«Femminicidio»? Più vero «uxoricidio»Ferdinando Camon
11 agosto 2013
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/ ... cidio.aspxImpossibile non essere d’accordo sulle nuove norme a proposito del reato che va sotto il nome di «femminicidio». Le cronache parlano di una donna uccisa ogni due giorni circa, di 99 vittime nei primi mesi di quest’anno, e dunque è giusto che il governo faccia subito mente locale, studi ed emani i provvedimenti che ritiene adatti per prevenire e punire questa violenza. Si può discutere se i provvedimenti siano abbastanza efficaci, se potevano esser presi prima, ma non che vengano finalmente emanati. Fatta la legge sul «femminicidio», la parola «femminicidio"»diventerà stabile e ufficiale, d’ora in poi indicherà per tutti, su tutti i media, la violenza di coppia.
Ma è – questo voglio dire – una parola sbagliata. Perché con questa parola pare che si tratti di «uomini che odiano le donne», di un odio di genere, maschi contro femmine. Non è così. Questi violenti che picchiano, feriscono, minacciano, perseguitano o uccidono, non odiano le donne in generale, ma in particolare le donne con cui vivono o hanno vissuto, che sono le loro mogli o conviventi, da cui hanno avuto dei figli. Hanno una relazione stretta con queste donne, una relazione che le rende importanti e uniche nella loro vita. E adesso odiano proprio questa importanza, questa unicità. Vorrebbero distruggerla. Per distruggerla, distruggono chi la incarna. Non perché è una donna, ma perché è «quella» donna, la donna che segna la loro vita. Una volta si chiamava uxor, e dava il nome a questo tipo di delitto. Oggi ha diversi altri nomi, compagna, partner, amica, ma quando scattano questi crimini è pur sempre vittima dello stesso rovesciamento che l’uomo imprime alla relazione: dall’amore all’odio.
Perché ci fu un tempo in cui c’era amore nella relazione, altrimenti la relazione non sarebbe nata e non sarebbe proseguita, e non avrebbe generato dei figli. Ma il rovesciamento dell’amore in odio fa odiare o disprezzare tutto ciò che la relazione ha prodotto. Anche, e in primo luogo, i figli. È stupefacente leggere nelle cronache le minacce con cui il marito o ex-marito o compagno, comunque il padre, minaccia la madre di vendicarsi sui suoi figli. «Ricòrdati che hai due figli» è un’espressione assurda e psicotica, perché quelli sono anche suoi figli, di lui. Il rovesciamento della coniugalità in rancore rovescia la genitorialità in indifferenza. Chi odia la moglie, madre dei suoi figli, è indifferente ai suoi propri figli. Se li fa soffrire, o addirittura morire, sente la loro sofferenza, o la loro morte, come un completamento della sofferenza o della morte che infligge alla loro madre. Sto cercando di spiegare perché il termine «femminicidio» è inadeguato rispetto a «uxoricidio»: uxor è molto più di femmina, c’è in uxor una carica di relazione che in «femmina» e dunque in «femminicidio» va perduta. E il concetto di uomini che perseguitano le donne non fa capire bene questo crimine. Queste non sono donne, ma mogli-madri. È per questo che sono odiate, perseguitate, punite. Ed è per questo che il crimine è tanto più grave, e dunque più gravi devono essere le punizioni.
Il marito persecutore che minaccia: «Ricòrdati che hai due figli», vuol dire che non si sente legato ai figli, legata è lei. E allora minaccia o perseguita lei alla presenza dei figli, la presenza dei figli non lo frena ma lo eccita. Questo incrementa la gravità del reato, e deve dunque incrementare le pene. Nello stesso tempo, incrementa nella moglie-madre la paura, e dunque l’incapacità o l’impossibilità di difendersi. Anche in futuro, nei mesi avvenire, o per tutta la vita. Patiti l’oltraggio o le percosse, la donna tenderà a non fare denuncia, per cancellare l’evento dalla sua mente e da quella dei figli. Se ha sul corpo tracce della violenza, ferite, lividi, le nasconderà. Farà questo non perché donna, ma perché madre. Ben venga dunque questa legge sui crimini coniugali o familiari. Peccato che arrivi sotto quel nome, «femminicidio», che toglie al reato la parte più grave e più odiosa della colpa.
La mattanza delle exFERDINANDO CAMON
10.06.2016
http://www.ilgiornaledivicenza.it/home/ ... -1.4924214È impressionante la quantità di femminicidi in Italia: dall’inizio di quest’anno sono 58. L’ultimo ieri nel Veronese, a Pastrengo. Non si tratta più di qualche cervello che va in corto circuito, qui sono i cervelli di una generazione che si bruciano. Dobbiamo cercare se c’è qualcosa che finora non capivamo bene o non chiamavamo col giusto nome.
Com’è possibile che un uomo ami una donna, e tuttavia la aspetti lungo una strada, le blocchi l’auto, la tiri fuori e la bruci viva? Ma l’amore non dovrebb’essere tenerezza e protezione? Se la ama e la ammazza, allora dobbiamo rivedere il nostro concetto di amore: l’amore può dare la morte? L’amore può essere volontà di possesso, volere l’altra a tutti i costi, e se non può averla spingersi a odiarla fino ad ucciderla? L’amore può diventare odio? Si può amare e insieme odiare? Sì, si può. La nostra cultura è piena di questo binomio. Una delle più antiche e belle poesie d’amore, del poeta latino Catullo, nato nel Veronese, dove s’è scatenato l’ultimo femminicidio, dice proprio così: «La odio e la amo. Se mi chiedi perché, non lo so. Ma così è, e mi sento in croce». Quello che ha bruciato la fidanzata le mandava messaggini: «Devi soffrire come soffro io». Lui si sentiva bruciare, e l’ha bruciata. Non sono «femminicidi», questa parola è sbagliata. Non uccidono una donna. Uccidono la propria donna, quella con cui convivono o vorrebbero convivere. Quella che è, nella realtà o nel sogno, la loro moglie. Questi sono dunque uxoricidi.
Uccidere la donna con cui si vive, vuol dire tagliare una parte di sé. Operazione dolorosa, a volte insopportabile. Chi fa questo sa di fare il male, ma non riesce a impedirselo, dà la colpa all’altro e lo punisce per questo: a Pastrengo, dopo averla uccisa a coltellate, l’ha colpita al cranio con un vaso.
Questi uxoricidi partono sempre con un incontro o un dialogo, ma la discussione degenera, perché i due «non possono più parlarsi», le loro vite si sono separate. Se potessero parlarsi, non si ucciderebbero. La sostituta del coltello o della pistola è la parola. Da come un fidanzato o un compagno o un marito o un padre parla, si capisce chi è. Le convivenze piene di discussioni e sopportazioni sono buone, parlando e litigando si tira avanti. Le convivenze piene d’incomprensioni e minacce sono pericolose. Queste donne l’avevano capito e volevano liberarsene, ma questi uomini non volevano ammetterlo perché voleva dire che loro sono fatti male. Questa è la verità.