Kurdistan e dintorni

Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 6:31 pm

Elezioni Turchia, la delusione dei curdi: "Con Erdogan per noi non c'è più un futuro"
Il trionfo dell'Akp del premier lascia poche speranze alla minoranza che abita il Kurdistan e che alle precedenti votazioni aveva ottenuto un ottimo risultato, oggi pesantemente ridimensionato. "Vogliamo solo la pace, ma che sia vera pace per tutti"
di Francesca Sironi da Diyarbakir-Amed
02 novembre 2015
http://espresso.repubblica.it/internazi ... o-1.236901

«Non c'è futuro per la Turchia dopo questo risultato», ripetono nella notte di Diyarbakir dalla sede dell'Hdp, il partito-promessa di Selahattin Demirtaş uscito stremato dal voto del primo novembre: «Ma smettere di sperare sarebbe inutile. Perché avremmo partecipato alle elezioni se non credessimo nel dialogo?». Cercano di dare coraggio, rassicurazioni, un po' di luce. Ma fuori è buio pesto, e proprio qui, davanti alla sede, scoppiano scontri fra polizia e manifestanti alla fine dei conteggi. Una fiammata breve ma violenta: pietre, fuoco, lacrimogeni. E attesa.

L'esito delle elezioni politiche, visto dalla capitale del Kurdistan turco, è una coperta di delusione e paura. Visto da Ankara, è un successo chiaro e stabile affidato nelle mani dell'Akp, il partito del presidente Tayyip Erdoğan, che voleva il governo di un solo partito e l'ha ottenuto. Con il 49,4 per cento di voti (9 punti in più rispetto a giugno) e 316 deputati, Ahmet Davutoğlu potrà timonare insieme al suo superiore senza bisogno di imbarazzanti coalizioni; partnership d'altronde subito rifiutate all'uscita dei risultati del 7 giugno, quando l'Akp scese sotto il 41 per cento. E quando per la prima volta nella storia un partito filocurdo, l'Hdp, riuscì a ad entrare in aula col 13 per cento di sì.
Scontri tra polizia e manifestanti curdi sono in corso a Diyarbakir, principale città curda del sud-est della Turchia, dopo i primi risultati del voto di oggi che indicano il trionfo di Erdogan. Ci sono stati incendi e barricate nelle strade, dove la polizia avrebbe sparato gas lacrimogeni. Scontri anche a Nusaybin, sempre nel sud del paese, dove un negozio è stato dato alle fiamme e 20 persone sono rimaste ferite

L'entusiasmo di allora si è perso presto, però, mutato in lutto da mesi insanguinati da una falange di attentati mirati a seminare la paura contro il movimento capace di portare le istanze curde in Parlamento. Le stragi di Ankara, oltre 100 morti durante una manifestazione per la pace, e di Suruç, 33 vittime, entrambe attribuite a terroristi del Daesh, ma inserite in una strategia della tensione concentrata contro il partito filocurdo che non è stata opera solo del Califfato. Ci sono stati gli ordigni contro le sedi del movimento e la campagna militare voluta da Ankara nei villaggi del Sud del Kurdistan; gli arresti, i coprifuoco, i bombardamenti. Con la reazione armata per autodifesa di cittadine e quartieri da parte di giovani miliziani vicini al Pkk. Il bilancio complessivo conta 253 morti tra la popolazione, di cui 33 bambini. Sono numeri da guerra.

Ed è a questa guerra - sferrata in casa e senza comunicati ufficiali - che ora l'Hdp attribuisce la diminuzione dei voti, rimasti comunque superiori al 10 per cento necessario per eleggere rappresentanti in Parlamento. Mentre l'Akp di Erdogan è cresciuto raccogliendo parte dei consensi della destra radicale, convincendo gli elettori più preoccupati per il rischio che gli scontri portassero a una “sirianizzazione” della nazione. «Non abbiamo fatto campagna elettorale. Abbiamo solo cercato di salvare la nostra gente dai massacri», ha dichiarato il leader del partito filocurdo Demirtas. «Ci hanno obbligato a rimanere sulla difensiva, non abbiamo potuto portare avanti i contenuti del nostro programma», ribadiscono i suoi sostenitori dalla notte di Amed, il nome curdo di Diyarbakir: «Lo dimostra il calo che abbiamo avuto a Istanbul».

La nuova rivoluzione dell'Hdp aveva infatti sul Bosforo il suo ponte oltre le regioni dove è forte la presenza curda: lì erano diventati una bandiera di democrazia per tutti i turchi. Fra la gioventù di Gezi Park e i liberali quarantenni, i blogger anti censura e le associazioni per i diritti civili, il partito di Demirtas appariva come la buona sponda per dare una scossa alla Turchia sempre più islamica e conservatrice del presidente Erdogan. «Le donne, i movimenti Lgbt, i giovani, gli operai, si sono rispecchiati nella rivoluzione culturale che abbiamo avviato», spiega Edip Berk, deputato dell'Hdp: «Non abbiamo forzato il nostro messaggio, che resta la questione curda. Ma dimostrato che partendo dalle sofferenze dei curdi possiamo capire e riscattare le voci che il governo vuole mettere a tacere. Proponendo nuovi modelli».

Questo coro di libertà si è spento nelle elezioni di ieri. Il voto pro-Hdp si è concentrato di nuovo tutto qui, nel suo nido geografico, il Kurdistan. Fra le montagne di arenaria e i villaggi di guerriglieri per generazioni, fra le scritte sui muri per la libertà di "Apo" Abdullah Öcalan, il fondatore del Pkk, e i martiri di Kobane, gli unici che in Siria sono riusciti a sconfiggere sul campo il Califfato. È in questo bacino profondo che Demirtas e la sua co-presidente donna hanno preso, ancora, percentuali da plebiscito. Ma è anche qui che adesso il partito-solo-al-comando di Erdogan fa ancora più paura. E soffia su una situazione incandescente per animare il caos. «Noi vogliamo solo la pace. Io voglio solo la pace per la mia famiglia, non ne possiamo più di dormire tremando, di dover stare chiuse in casa per via del coprifuoco e delle operazioni di polizia», racconta una donna circondata da bambini fuori da una abitazione crivellata di proiettili del Sur, quartiere storico di Diyarbakir segnato dagli scontri delle scorse settimane: «Ma dev'essere la pace di tutti. Non la pace alle condizioni di Erdogan».
L'Akp delpresidente Recep Tayyip Erdogan riconquista la maggioranza assoluta dei seggi nel voto anticipato in Turchia. In questo video i festeggiamenti degli elettori dell'Akp a Konya

Il caos chiama altro caos. Negli ultimi tre mesi la pressione sulle città renitenti ad Ankara era scalata al terrore. A Singar i ragazzi raccontano di perquisizioni quotidiane, scontri a colpi di mitra, esecuzioni sommarie, come nel caso del ventenne ucciso e trascinato da una camionetta: una scena rilanciata in tutto il mondo grazie al filmato di un telefonino. A Kulp, trentaseimila persone spazzate dal vento a 125 chilometri da Amed, per "ragioni di sicurezza" lo Stato ha impedito di usare i pascoli e bruciato così gli unici proventi dell'economia locale. Nel Sur, oltre alle case sono state distrutte dalle raffiche anche le pareti della mosche di Fatih Pasah, costruita nel 1500. Demirtas ha denunciato ieri che 500 membri del partito, sindaci, politici, e militanti, sono stati arrestati nell'arco di sei mesi.

Questi prodromi si sono fatti corsa all'aprirsi delle urne. A poche ore dai primi risultati, una bomba è scoppiata a Nusaybim, nel distretto di Merdin. Lacrimogeni e spari sono proseguiti per due notti nel distretto di Cizre. E il nervosismo è ovunque nella città già chiusa di Amed, che da giorni abbassava le saracinesche in anticipo, alle sette di sera, per immergersi nell'attesa del voto, con la cicatrice ancora scoperta del coprifuoco. «Se non si aprirà un nuovo dialogo la Turchia diventerà uno stato più conservatore, più musulmano, più radicale contro le libertà e le donne», dice infervorato un militante dell'Hdp: «Ma dobbiamo evitare che questo si trasformi in una nuova guerra. Cosa ce ne facciamo dei morti, di altri morti, ancora, dopo migliaia di vittime? L'unica via è il dialogo».

Ma l'aria di guerra c'è già. Per respirarla basta passeggiare tra le barricate appena smontate dei quartieri che si sono autodifesi durante i coprifuoco o avventurarsi in villaggi come Aygun, 60 chilometri di terra brulla nel Kurdistan del Sud: una foresta antica incenerita, poche capre, la sola fonte di reddito lo Stato. Maestri, dottori e "civil guards", uomini semplici che si occupano di mantenere l'ordine. Nella scuola di Aygun, unico seggio elettorale per qualche migliaio di abitanti sparpagliati, stanno seduti lungo il muro. In undici. Abiti civili. E fucile a tracolla. Di fianco a loro, all'ingresso, apre la porta un militare in divisa.

Se nei paesi più grandi è un vai e vieni di donne col velo o con i capelli raccolti in una coda ma con i tacchi alti, qui di ragazze o madri non ce n'è nemmeno una. Solo un centinaio di maschi, di cui diversi attaccati al Kalashnikov. «Dobbiamo difenderci», ci ripete varie volte un uomo quando insistiamo sul perché di tutte quelle armi a due passi dalle urne: «Non c'è problema per noi: la Turchia è una grande democrazia».

Al mattino Diyarbakir/Amed si risveglia sospesa su su questo confine. Fra necessità di pace. E volontà di guerra.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:27 pm

I curdi in Turchia, un popolo privato dei diritti civili
Intervista di Francesco Fravolini
mercoledì 28 settembre 2011
http://www.agoravox.it/I-kurdi-in-Turch ... opolo.html


La loro situazione nella testimonianza di Nelly Bocchi, volontaria al Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale di Parma. Difficile situazione quella nella quale versa il popolo curdo in Turchia, dove quotidianamente sono calpestati i suoi elementari diritti civili. È preoccupante la condizione sociale vissuta da tutta la popolazione, soprattutto dai bambini, costretti a vivere senza alcuna speranza per il futuro, con un’infanzia troppo problematica. Eppure essa dovrebbe costituire il momento della vita durante il quale l’attenzione maggiore andrebbe rivolta alla scolarizzazione e all’aspetto puramente ludico.
La Turchia sembra essere sul piede di guerra. L’Iran e la Turchia si sono accordati per un’azione congiunta contro il movimento della guerriglia curda. E questa operazione è stata approvata (se non direttamente supportata), dal Governo regionale curdo. La Turchia e l’Iran, per lanciare queste operazioni, devono avere avuto l’approvazione degli Stati Uniti.
Dopo il recente viaggio della delegazione italiana nel Kurdistan turco tra Van, Hakkari, Yuksekova e Diyarbakir, chiediamo a Nelly Bocchi, volontaria presso il Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale di Parma, di tratteggiare il contesto sociale dello Stato visto con i suoi occhi, vissuto mediante gli incontri con le persone del luogo, ascoltandone con grande attenzione le drammatiche storie.

Qual è la situazione dei diritti civili del popolo curdo?

Tutte le bambine e i bambini delle elementari in Turchia, ogni giorno, devono recitare, all’inizio delle lezioni, questa frase:

Sono turco, onesto e gran lavoratore. Io sono turco, io sono retto, sto lavorando duro, il mio principio è di difendere i minori e di rispettare gli anziani, di amare il mio Paese e la mia nazione, molto più di me stesso, la mia legge, di crescere e di andare avanti. O supremo Ataturk, creatore del nostro quotidiano, giuro che camminerò ininterrottamente sulla via che hai aperto, sull’obiettivo che hai definito e sugli ideali che hai fondato. Lascia che la mia esistenza sia subordinata all’esistenza turca. Felice è colui che può chiamarsi turco.

Al di là dei quattromila villaggi curdi distrutti negli anni ’90, dei milioni di sfollati che sovrappopolano le città kurde e turche, delle migliaia di detenuti politici, delle centinaia di sindaci e attivisti dei diritti umani in carcere solo per aver parlato in curdo, del ritrovamento di fosse comuni, questa 'litania', che anche i bambni curdi sono costretti a dire a memoria e a ripetere quotidianamente, è la prima e più significativa violazione dei diritti di un popolo, i curdi, costretti, loro malgrado, fin dai primi anni di vita a dirsi turchi, cioè come coloro che impunemente li hanno massacrati e continuano a farlo.

Tutte le violazioni dei diritti umani di questo popolo fiero, senza una patria, derivano da questo: la 'panturchizzazione', inserita nella costituzione e fondamento dello Stato. A questa nazionalizzazione spinta all’estremo si aggiunge il grande potere che hanno i militari, i quali detengono, oltre al controllo dell’esercito, anche il potere esecutivo (per la Costituzione del 1982, inseguito all’ultimo golpe, un consiglio di cinque persone, due civili e tre militari, ha l’ultima parola su tutto ciò che concerne la sicurezza dello Stato) e quello economico, perché si sono costituiti in una lobby dal nome 'Oyak' che possiede imprese e banche, senza pagare le tasse. È evidente che chi rivendica la propria lingua, le proprie tradizioni, la propria cultura e tutto ciò che rende i curdi un popolo, non trova posto in Turchia. Chi non diventa 'turco di montagna', come i turchi chiamano i curdi, è emarginato e considerato separatista, con tutti i problemi conseguenti".

Nel Paese manca la libertà d’espressione: quali i limiti nella crescita della società?
"Esprimersi pubblicamente in lingua kurda rimane vietato (anche se attualmente il governo centrale sta permettendo, per qualche ora al giorno e supervisionando i programmi, un canale televisivo curdo in Turchia), tanto che molti sindaci, ora in carcere, sono stati accusati di separatismo solo per aver stampato dei dépliant che illustravano i servizi offerti dalla municipalità ai propri cittadini, in tre lingue: turco, curdo e inglese.
Uno dei pochi quotidiani scritti in kurdo, Azadya Welat, è stato costretto a chiudere tante volte e la redazione è finita tutta in carcere. La lingua curda è diversa dal turco, che è una lingua moderna e, sostengo, inventata. Il curdo ha radici lontane nel tempo, è simile al fārsì che si parla in Iran e ha cinque lettere che mancano nel turco, una e la più importante è la “W” (lettera proibita). Il curdo è la lingua parlata soprattutto dai ceti più poveri e si arriva a dei paradossi: se una persona è ricoverata all’ospedale e un suo congiunto chiede al medico informazioni sulla salute del ricoverato, è costretto a chiedere notizie in turco, altrimenti il medico non risponde. Stessa situazione per le visite o le telefonate ai detenuti. Attualmente si sta svolgendo un maxi-processo contro sindaci e attivisti per i diritti umani; gli imputati e i loro avvocati difensori hanno scelto di parlare in curdo (anche per portare a conoscenza di tutti questa assurdità), ma i giudici hanno chiamato un’interprete, mentre gli avvocati sono stati denunciati. La lingua è per un popolo (i curdi rappresentano numericamente 1/3 della popolazione complessiva della Turchia) l’espressione più naturale per mantenere viva la propria identità e la propria cultura. Esistono gruppi e associazioni, soprattutto di studenti che, rischiando galera e tortura, mantengono viva la propria lingua, raccogliendo le storie, i miti, le leggende, tutta cultura locale tramandata oralmente dalle persone anziane. Stessa operazione culturale per la musica e le danze, grazie all’impegno di Mkm, il centro culturale della Mesopotamia".

È troppo pressante la propaganda di chi si oppone con le armi?
"È la questione del Pkk. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya karkerén Kurdîstan,spesso citato con l’acronimo Pkk) è nato negli anni ’80 e ha cominciato ad agire a metà di quegli anni contro la repressione turca, che consisteva in villaggi distrutti, sparizioni, detenzioni arbitrarie. Proprio nel contesto sociale di una così grande violenza, difendersi è legittimo. Il 'merito' dei fondatori del Pkk, Abdullah Öcalan in primis, è stato quello di riunire in un unico esercito tutti coloro che si ribellavano separatamente, raccogliendo e organizzando il movimento partigiano. Non li definisco terroristi, perché non lo sono, ma ho visto e conosciuto tanti giovani che hanno scelto di andare in montagna, perché il lavoro non riescono a trovarlo, a scuola sono emarginati; resta la scelta tra scappare in Europa o unirsi al Pkk. Quelli che sono stati già in carcere (sono molti) anche da liberi non hanno più la tessera verde, la quale garantisce la possibilità di essere curati gratis o a poco prezzo e permette di accedere alla scuola secondaria o all’università. Dove possono andare? Credo che il Pkk sia stato messo in quella famosa lista di “terroristi” per ragioni meramente politiche, ma anche per blandire la Turchia, ultimo sicuro avamposto della Nato in Medioriente. Conosciamo tutti le vicende di Öcalan. Quello che posso aggiungere, oltre a denunciare il trattamento disumano e degradante che subisce nel carcere di Imrali, è che per tutti i curdi è un simbolo. Non a caso lo chiamano “Apo”, cioè zio".

Che cosa caratterizza l’identità del popolo curdo?
"La lingua, i colori della loro bandiera: giallo, rosso e verde; anche questi sono assolutamente vietati".

Quali azioni devono essere intraprese con urgenza?
"Sarebbe essenziale la conoscenza di ciò che accade, anche stando comodamente seduti a casa propria, attraverso Internet e, perché no, andare sul posto, ad esempio al Newroz, il giorno della liberazione, che nel tempo si è trasformato nella festa dell’orgoglio e dell’identità, l’occasione per milioni di persone di gridare le richieste di pace, democrazia, diritti e libertà. Per recarsi in quei posti sono sufficienti pochi soldi, poco tempo per capire un popolo e una terra dove, tra l’altro, sono ben presenti le nostre radici storiche. L’altra azione da intraprendere è quella di chiedere ai curdi rifugiati in Italia notizie della loro terra, mentre chi è iscritto a partiti, sindacati o movimenti culturali, può parlarne al proprio interno, supportando i pochi e piccoli progetti che si stanno realizzando con fatica".
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:27 pm

Gli scomodi successi dei Curdi "sbagliati"
di Luca Marchesini
mercoledì 3 settembre 2014
http://www.agoravox.it/Gli-scomodi-succ ... Curdi.html

In un recente articolo, molto dibattuto sui social network, il collettivo Wu Ming ha analizzato nel dettaglio alcuni aspetti cruciali dell'attuale crisi irachena e della guerra civile siriana, evidenziando a più riprese le mancanze e le incongruenze dell'informazione mainstream occidentale nella rappresentazione dei conflitti in corso.

Sopratutto, denunciano quelli di Wu Ming, è stato completamente sottaciuto il ruolo delle formazioni combattenti curde laiche e di ispirazione socialista (se non propriamente anarchica) del PKK e dell'YPG (Yekîneyên Parastina Gel, Unità di Protezione del Popolo) che, a più riprese, sia in Iraq che in Siria, hanno sbaragliato sul campo le milizie jihadiste dell'IS.

Sui giornali nostrani si è parlato quasi unicamente dei Pashmerga, formazione militare curda legata al Partito Democratico del Kurdistan, tradizionalmente filo-americano, che controlla il nord dell'Iraq. Da settimane si rincorrono gli appelli perché europei e americani armino pesantemente i Pashmerga in funzione antijihadista ma, fa notare Wu Ming, i curdi iracheni hanno più volte dimostrato di non avere la preparazione e la volontà di combattere apertamente l'IS e, in diverse occasioni, sono usciti mal conci dagli scontri diretti. Ad aver conseguito le imprese principali, come la liberazione degli Yazhidi assediati sul monte Sengal e la riconquista della città di Makhmour, sono stati invece i soldati del PKK e del YPG accomunati da un'ideologia di origine marxista e forgiati sui campi di battaglia turchi e siriani.

La cosa paradossale è che il PKK è ancora considerato come un gruppo terrorista nelle liste nere della Casa Bianca e dell'UE, più che altro per non dispiacere l'alleato turco, attore fondamentale delle politiche della Nato. Dunque il temibile gruppo terrorista dell'IS, da tutti indicato come il nuovo nemico pubblico dell'Occidente, viene tenuto a bada sul terreno non dai fidi Pashmerga, ma dai terroristi del PKK e dai loro cugini siriani dell'YPG. Un bel ginepraio che evidentemente crea qualche problema di immagine e di coscienza sia in Europa che negli Stati Uniti. E' questo forse il motivo per cui il ruolo fondamentale svolto dai curdi “sbagliati” in Iraq abbia fino ad oggi trovato così poco spazio nelle ricostruzioni dell'informazione nostrana, abituata a semplificare lo scenario per creare uno schema più rassicurante nel quale i buoni (gli amici dei nostri amici) combattono contro i cattivi vestiti di nero.

Del PKK qualcosa sappiamo, sopratutto dopo la sciagurata vicenda del '98-'99 che vide l'Italia ed il governo di Massimo d'Alema contribuire indirettamente alla cattura del leader del movimento, Öcalan, da parte dei servizi turchi, dopo che questi aveva richiesto asilo politico nel nostro paese. Molto meno si conosce del YPG, corrispettivo siriano del PKK che da quasi tre anni difende con successo il suo territorio dagli islamisti dell'IS. Il YPG ha creato un territorio indipendente all'interno dei confini orientali del territorio siriano; è stata chiama Zona Autonoma di Rojava, e per alcuni analisti rappresenta un esperimento più unico che raro di organizzazione territoriale democratica e progressista all'interno dell'attuale panorama geopolitico mediorientale.

L'elemento che maggiormente caratterizza Rojava e l'YPG è il rispetto dell'equità di genere. Le donne ricoprono un ruolo importante nella società, molte di loro combattono nelle fila della milizia e tante sono cadute sui campi di battaglia, affrontando le truppe islamiste. Anche l'organizzazione militare è improntata a principi democratici e gli ufficiali vengono eletti attraverso apposite consultazioni. Rojava, inoltre, opera una politica inclusiva verso le altre confessioni e verso le popolazioni non curde. Sul suo territorio operano formazioni politiche di diversa estrazione e tra le fila del YPG, legato al principale partito curdo siriano, il PYD, militano anche sunniti, Yazidi, cristiani ed esponenti di altre minoranze, uniti nella lotta contro i gruppi islamici integralisti che minacciano la stabilità dell'area e l'incolumità delle popolazioni ritenute infedeli o apostate.

Così è scritto nella Carta del Contratto Sociale del Rojava, adottata nel febbraio del 2014: “Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.
Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale.
Con questa Carta, si proclama un sistema politico e un’amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale”.

Ogni singola parola della carta rimanda ai valori di libertà, eguaglianza, laicità e solidarietà di cui l'Occidente afferma di essere portatore e difensore. C'è addirittura un riferimento alle istanze ecologiste, sopraffatte altrove dalle urgenze della crisi economica e un riconoscimento esplicito del principio di integrità territoriale della Siria, nel rispetto delle diverse minoranze.

I curdi di Rojava sarebbero dunque gli alleati ideali per un Occidente che volesse affermare i valori in cui dice di credere. Una forza realmente plurale e democratica, efficace sul campo di battaglia, con cui cooperare per fermare l'avanzata dell'IS e trovare soluzioni per l'intricatissima crisi siriana. Ma così non è. I curdi siriani dell'YPG, per i loro stretti legami con il PKK di Öcalan, sono ancora considerati alla stregua di un gruppo terrorista, nonostante siano sostenuti da un intero popolo e rappresentino un'alternativa reale agli esiti confessionali o anti-democratici delle primavere arabe, nonostante si siano dimostrati indispensabili sul fronte militare.

La questione curda, di fatto, è una ferita ancora aperta e un dossier scottante sul tavolo dei rapporti tra NATO e Turchia. Come scrive Wu Ming, non è insensato “credere che i bombardamenti americani e le armi occidentali ai Peshmerga non servano solo a contrastare il mostro di Frankenstein fuggito dal laboratorio (l'IS, ndr), ma anche a contenere una soggettività scomoda che ha sparigliato le carte (in Siria prima e in Iraq dopo) e conseguito l'egemonia sul campo nella lotta al mostro. Egemonia che imbarazza le potenze dell'area - in primis la Turchia che, come abbiamo visto, le YPG accusano da tre anni di fornire sostegno all'ISIS - e dunque va contesa, 'riequilibrata', limitata”.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:33 pm

Turchia: stop ad orrore e repressione sul popolo curdo! La petizione del Partito della Sinistra Europea
di maribù duniverse
domenica 14 febbraio 2016
http://www.agoravox.it/Turchia-stop-ad-orrore-e.html

Per la pace, la democrazia e i diritti umani in Turchia. Fermare la guerra!

Con il pretesto della “lotta al terrorismo”, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan da diversi mesi sta portando avanti un vero e proprio progetto di terrore e di guerra nel suo paese, in particolare nella regione curda della Turchia.
Questo scoppio di violenza contro i curdi ed i popoli della Turchia può essere definito come crimine contro l’umanità e ha già fatto diverse centinaia di vittime, tra cui molti bambini, e 200.000 sfollati. E ora, Selahattin Demirtas, co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP) che ha ottenuto il 10% alle ultime elezioni, è direttamente minacciato dal Presidente Erdogan.

“La democrazia, stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro protezione” (articolo 1 bis del trattato di Lisbona) non sono garantiti in Turchia, dove vengono attaccati attivisti progressisti di tutti i giorni, giornalisti, donne o uomini, avvocati, uccisi, e intere popolazioni sono terrorizzate. Bombardamenti, omicidi politici, arresti e imprigionamenti di parlamentari eletti e di giornalisti, città sotto coprifuoco e assedio, circondate dall’esercito, civili uccisi da cecchini sono diventati eventi di routine nella Turchia governata dall’AKP.

Tutte le persone, in particolare di sinistra e le forze progressiste di opposizione ad Erdogan sono dichiarate “terroriste”. Dare notizie dei crimini AKP è proibito, editori e giornalisti sono in prigione. La libertà popolare di informazione è stata distrutta.

In totale impunità, il presidente turco ha anche attaccato i leader delle organizzazioni europee progressiste che sostengono l’HDP, come Maite Mola, Vicepresidente del Partito della Sinistra Europea, portata davanti alla giustizia “per aver insultato il capo dello Stato” a causa della sua partecipazione ad una manifestazione di denuncia della corruzione del governo.

Nonostante I suoi principi, in un momento in cui il mondo sta scoprendo i rapporti ambigui tra la forza al potere in Turchia e ISIS, l’UE ha deciso di riaprire il processo di adesione della Turchia all’Unione europea e monetizzare fino a 3 miliardi di euro un criterio di conservazione sul suo territorio (e in quali condizioni!) dei migranti in fuga e dei rifugiati della guerra in Iraq e in Siria.

Noi, cittadini europei, uomini e donne di pace e di progresso rifiutiamo l’indifferenza e l’ipocrisia dei leader europei, che devono opporsi alla politica di distruzione e allo stato di terrore organizzato dal presidente turco, dal suo governo e dal suo partito islamico-conservatore, AKP.
È urgente che l’UE ei suoi Stati membri adottino iniziative attive per proteggere i popoli della Turchia, soprattutto nelle province curde, per l’istituzione di un processo negoziale per la pace, la democrazia ei diritti umani in Turchia.

Per il suo successo, è essenziale che, sulla base delle esperienze passate, i negoziati di pace siano intrapresi in modo trasparente e democratico, coinvolgendo la società civile e discutendone nel parlamento nazionale, come proposto dall’HDP.

È possibile esercitare pressioni sulle autorità turche attraverso le seguenti misure:

– Cancellazione di tutti i pagamenti di miliardi di euro in sovvenzioni alla Turchia;

– Chiedere al Governo Turco di rompere tutti i rapporti finanziari, logistici ed economici con ISIS;

– Sospendere gli accordi di cooperazione di polizia , giudiziari e militari;

– Fermare qualsiasi discussione sul processo di adesione della Turchia all’UE fino a quando la violenza continuerà;

– La rimozione della PKK dalle liste delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.

Noi, cittadini europei, uomini e donne di pace e di progresso chiediamo all’Unione europea di agire per un immediato cessate-il-fuoco in Turchia, l’instaurazione di un dialogo nazionale sul rispetto dei diritti fondamentali, espressione della libertà e della democrazia.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:58 pm

Avvocato curdo ucciso, l’opposizione: «È stato un proiettile della polizia»
Secondo i parlamentari dell’Hdp, che citano i risultati dell’autopsia, la pallottola che ucciso Elci è uguale quelle in dotazione agli agenti di polizia
Milano, 1 dicembre 2015

http://www.corriere.it/esteri/15_dicemb ... 9b33.shtml

Secondo i parlamentari dell’Hdp, che citano i risultati dell’autopsia, la pallottola che ucciso Elci è uguale quelle in dotazione agli agenti di polizia [Esplora il significato del termine: Avvocato curdo ucciso, l’opposizione: «È stato un proiettile della polizia» Secondo i parlamentari dell’Hdp, che citano i risultati dell’autopsia, la pallottola che ucciso Elci è uguale quelle in dotazione agli agenti di polizia ]
Tahir Elci (Ansa)Tahir Elci (Ansa)

La pallottola che ha ucciso il leader degli avvocati curdi Tahir Elci morto a Diyarbakir in uno scontro a fuoco è stata sparata da una pistola della polizia. A darne notizia è il partito di opposizione che spiega come anche nelle immagini di un video si vedano due uomini in divisa sparare verso Elci e come l’autopsia abbia rilevato che a uccidere l’uomo sia stata un proiettile uguale a quelli in dotazione alla polizia.

Quando è stato ucciso Elci stava tenendo una conferenza stampa nella città. L’uomo era noto per la sua posizione riguardo il Pkk, che - diceva - «non è un gruppo terroristico», ma una «organizzazione politica armata con grande seguito». Il governo di Ankara considera invece il Pkk una «organizzazione terroristica». A metà ottobre Elci era stato arrestato e rilasciato dopo 24 ore per le sue dichiarazioni sul Pkk. Per lui erano stati chiesti fino a sette anni e sei mesi di carcere con l’accusa di «propaganda a favore di un’organizzazione terroristica. Ora il partito filo-curdo Hdp ha presentato al Parlamento turco una mozione in cui richiede la creazione di una commissione d’inchiesta sull’omicidio di sabato a Diyarbakir di Tahir Elci, il capo degli avvocati curdi locali. Nella proposta si sottolineano alcune analogie con l’assassinio di Hrant Dink, il direttore del giornale turco-armeno «Agos» ucciso a Istanbul nel gennaio 2007.

In entrambi i casi, sostiene l’Hdp, le vittime erano finite nel mirino di «strutture profonde» dello Stato. Durante i funerali di Elci celebrati il leader dell’Hdp, Selahattin Demirtas, aveva parlato di «delitto politico». «Sarebbe molto facile trovare gli esecutori se venisse trovato il bossolo del proiettile. Dal nostro punto di vista è molto chiaro che in quel momento, in quell’area e in quella strada nessuno a parte agenti di polizia stava sparando», ha detto Demirtas, aggiungendo che «per quale scopo e da quale arma» è stato colpito Elci «può essere svelato solo attraverso una corretta indagine». La mozione presentata dall’Hdp per creare una commissione d’inchiesta parlamentare sull’omicidio di Elci è stata respinta con i voti del partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan e del nazionalista Mhp.



Turchia, migliaia al funerale dell’avvocato curdo ucciso
Rabbia e dolore alle esequie di Tahir Elci a Diyarbakir. La vedova : «Gli hanno sparato alla nuca e un ramo di ulivo è caduto dalla sua bocca»
Milano, 29 novembre 2015

http://www.corriere.it/esteri/15_novemb ... c21f.shtml

Rabbia e dolore alle esequie di Tahir Elci a Diyarbakir. La vedova : «Gli hanno sparato alla nuca e un ramo di ulivo è caduto dalla sua bocca» [Esplora il significato del termine: Turchia, migliaia al funerale dell’avvocato curdo ucciso Rabbia e dolore alle esequie di Tahir Elci a Diyarbakir. La vedova : «Gli hanno sparato alla nuca e un ramo di ulivo è caduto dalla sua bocca»]

Almeno 50mila persone hanno partecipato a Diyarbakir, in Turchia, ai funerali dell’avvocato curdo Tahir Elci, ucciso sabato poco dopo aver lanciato un appello per una soluzione pacifica del conflitto. Nell’attacco sono morti anche due poliziotti. Secondo le autorità turche Elci, presidente dell’associazione degli avvocati della città, sarebbe stato ucciso «accidentalmente» a causa del fuoco incrociato. Ma per i militanti curdi si è trattata di un’esecuzione. Elci era una delle voci più rispettate in Turchia per le sue dichiarazioni a favore di una uscita pacifica del conflitto tra Ankara e i militanti curdi, costato la vita a oltre 45mila persone in 30 anni.

Durante i funerali, la vedova ha dichiarato: «Gli hanno sparato alla nuca e un ramo di ulivo è caduto dalla sua bocca». Il legale aveva ricevuto minacce dopo che a ottobre durante un dibattito televisivo aveva detto che il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) non era una organizzazione terroristica nonostante commetta attentati, ma un gruppo che ha per primo scopo i fini politici. Per quella frase era stato arrestato e la procura aveva chiesto sette anni e mezzo di carcere.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 9:49 pm

Na parte dei Curdi łi xe Yaxidi

Yaxidi copa da łi xlameghi de l'IS
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https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... ameghi.jpg

La man de n yaxida copà da łi-xlameghi de l'IS ente na fosa comun
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https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... -comun.jpg

Yaxidi ca łi se spoxa
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https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... -spoxa.jpg
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2016 8:12 am

Le forze di Assad avanzano verso Palmira
SU-15 in Siria TASS
18 marzo 2016

http://www.analisidifesa.it/2016/03/rus ... su-palmira

Mentre i primi Sukhoi decollavano dalla base siriana di Hmeimin in diretta televisiva insieme a cargo Iliyushin 76 carichi di militari e materiali alla volta di Voronezh e altre basi russe, primo segno tangibile dell’avvio del ritiro russo, i jet di Mosca hanno continuato a martellare (25 incursioni il 15 e 16 marzo) le postazioni dello Stato Islamico nel settore di Palmira.

La città e il sito archeologico vennero espugnati dai jihadisti nel maggio scorso ma le truppe di Damasco appoggiate, dai bombardieri russi Sukhoi 24 e Sukhoi 25, sembrano intenzionate a riconquistarla in tempi brevi completando con un successo in questo settore tre mesi di vittorie conseguite in tutti i fronti a spese dei diversi gruppi di ribelli.

Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (Ondus), organizzazione con sede a Londra legata dell’opposizione siriana non jihadista, gli attacchi “hanno permesso di avanzare all’Esercito governativo, che ormai si trova 4 chilometri a sud e a ovest” dal centro urbano. L’emittente televisiva di Hezbollah al-Manar riporta inoltre che i soldati siriani hanno catturato la collina più alta (939 metri) che sovrasta Palmira.

Mosca aveva comunque avvertito che il suo disimpegno non sarebbe stato né totale né immediato e il capo di gabinetto del Cremlino, Sergei Ivanov, ha reso noto che resteranno un migliaio dei 5 mila militari oggi dislocati in Siria, un quinto dei quali sarà assegnato a compiti di ”ricognizione”.

Tra il 15 e il 16 marzo hanno lasciato la Siria 5 bombardieri Sukhoi Su-24, 4 aerei da attacco Sukhoi 25, 4 cacciabombardieri Su-34 e un caccia Su-30: Resterebbero quindi non meno di due dozzine di velivoli da combattimento dei modelli sopra citati anche se non è noto quanti velivoli verranno mantenuti in Siria per appoggiare alle forze di Assad. L’unica conferma è che resteranno a Latakya le due batterie di missili terra-aria a lungo raggio S-400, in grado di coprire anche parte dello spazio aereo turco.

Il vice ministro della difesa Nikolai Pankov ha precisato che le forze aeree russe proseguiranno i raid contro “obiettivi terroristi”.

La riconquista di Palmira avrebbe un significato simbolico, mostrerebbe la determinazione russa a colpire lo Stato Islamico e aprirebbe alle forze siriane la strada per Deir az Zor (dove la guarnigione lealista è circondata dai jihadisti) e verso Raqqa, capitale dell’Isis già minacciata da nord dalle milizie curde prive però dei mezzi pesanti necessari a lanciare un’efficace offensiva.

Secondo il reporter di Ria Novosti, che ha assistito ai combattimenti, l’esercito siriano sta bombardando le posizioni nemiche intorno Palmira, in vista dell’assalto imminente mentre unità meccanizzate e forze speciali stanno “ripulendo” i dintorni della città dalla presenza delle forze dell’Isis che il 17 marzo hanno lanciato una controffensiva.

L’esercito siriano sta anche avanzando su Qaryatayn circa 30 chilometri da Palmira e la percezione è che in questo settore si stia combattendo la battaglia decisiva contro lo Stato Islamico in Siria.

Secondo IHS Jane’s negli ultimi 14 mesi l’Isis ha perso il 22 per cento del territorio che controllava in Siria e Iraq negli ultimi 14.
Come aveva anticipato Analisi Difesa il ritiro delle forze russe dalla Siria è reso possibile dalle migliorate capacità delle forze siriane pesantemente rinforzate da mezzi e consiglieri militari russi.

“Oggi le forze armate siriane sono capaci non soltanto di contenere il terrorismo ma anche di condurre un’offensiva di successo contro di esso”: ha dichiarato Vladimir Putin aggiungendo che “l’esercito siriano ha preso l’iniziativa e continua a liberare la propria terra dai gruppi terroristici”.

I 167 giorni della campagna di Siria sarebbero costati alla Russia l’equivalente di almeno 38,4 miliardi di rubli (poco più di 488 milioni di euro) secondo i calcoli fatti dall’agenzia economica Rbc, che riferisce di costi giornalieri aumentati di quasi il 50 per cento dall’inizio dei raid aerei: dai 156,3 milioni ai 230 milioni di rubli al giorno, quasi tre milioni di euro.

La maggior parte delle spese (33,7 miliardi di rubli) sarebbe legata alle missioni di combattimento, mentre la stima relativa ai costi del personale militare (circa 4.000 persone, scrive Rbc) si aggira intorno agli 800 milioni di rubli.

A contare sull’aiuto russo, almeno in termini di forniture di armi, sono anche i curdi iracheni che avrebbero chiesto a Mosca sistemi di difesa antiaerea, artiglieria e armi anticarro: lo ha dichiarato il rappresentante dei curdi iracheni a Mosca, Aso Talabani. Secondo alcuni media la Russia avrebbe già fornito ai curdi iracheni 5 cannoni a tiro rapido da 23 millimetri cinque pezzi d’artiglieria antiaerea Zu-23-2. Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, si è rifiutato di commentare questa notizia.

Un altro effetto dell’annunciato ritiro russo è stata la proclamazione di una federazione autonoma curda nel nord della Siria ad opera del maggiore partito curdo siriano, il Pyd.

Il governo di Damasco, che pure con gli Usa sostiene le milizie curde che in questa regione combattono l’Isis, ha subito definito la decisione come “incostituzionale e senza valore”. Negativo anche il primo commento della Coalizione nazionale siriana, il maggiore raggruppamento delle opposizioni, secondo il quale ogni tentativo di costituire unilateralmente regioni autonome equivale a “confiscare la volontà del popolo siriano”.

La Russia ha detto di non opporsi in linea di principio a un
sistema federale, ma ogni decisione in questo senso, ha sottolineato Dmitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, deve essere discussa coinvolgendo “tutti i gruppi etnici e religiosi che vivono in territorio siriano”.

E quindi nell’ambito dei negoziati in corso a Ginevra, ai quali Mosca insiste che siano invitati anche i curdi. Dal canto suo, la Turchia aveva già espresso ieri la sua opposizione, quando la decisione era stata preannunciata, affermando che “gli atti unilaterali non possono avere alcuna validità”.

Ankara, del resto, il cui territorio confina per quasi 900 chilometri con le regioni curde siriane, è irriducibile nemica delle milizie curde dell’Ypg che qui combattono lo Stato islamico, che considera terroriste perché legate al Pkk turco.

Idris Nassan, responsabile per le relazioni internazionali del ‘cantone’ curdo di Kobane, ha detto che “un accordo sulla proclamazione di una federazione” è stato raggiunto in una conferenza tra responsabili curdi in corso da ieri nella ocalità di Rmelan. La nuova entità comprenderà il cantone di Kobane insieme a quelli di Al Jazira e Afrin. Ma lo stesso Nassan ha assicurato che con gli stessi diritti vi saranno accolti anche i cittadini siriani di etnia araba, così come i turcomanni.

(con fonti AFP, Ansa, Reuters, AP)
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 10:28 am

Siria
viewtopic.php?f=188&t=619


I Curdi in Siria

A cura di UIKI ONLUS
http://www.retekurdistan.it/i-curdi-in-siria

SVILUPPI POLITICI NEL KURDISTAN OCCIDENTALE (KURDISTANA ROJAVA)

PREFAZIONE

I curdi che vivono nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) e in Siria hanno vissuto a lungo ai margini degli sviluppi politici generali e sono stati loro stessi a rischio di scomparsa. Non avevano mai acquisito il posto che si meritavano a livello di dibattito pubblico regionale e internazionale. Quando si parlava dei curdi siriani, anche negli ultimi tempi, non era che a margine degli avvenimenti verificatisi nel Kurdistan iracheno o nel Kurdistan turco. Eppure i curdi del Kurdistan occidentale non hanno sperimentato meno problemi degli altri; ma questo fatto si spiega attraverso considerazioni geografiche, demografiche e soprattutto fondamentalmente politiche, il motivo principale essendo la persistenza dello status quo nella regione di fronte alle politiche negazioniste che hanno ignorato i diritti e persino l’esistenza di un popolo.

Tuttavia la rivolta popolare scoppiata nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) contro il regime siriano ha aperto la strada a un rapido cambiamento della situazione e ha finalmente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questa parte del Kurdistan. Questa regione, la più piccola del Kurdistan, è diventata attualmente la chiave per risolvere la questione curda, e un modello di organizzazione politica per l’intero Medio Oriente. I cambiamenti avvenuti in Kurdistan occidentale hanno prodotto effetti sulle altre parti del Kurdistan (Turchia, Iran e Iraq), effetti che, ovviamente, non vanno in un’unica direzione. Si possono valutare le difficoltà affrontate per arrivare a un tale livello di cambiamento. Le politiche repressive, i programmi d’assimilazione e la propaganda negazionista sono simili nelle diverse parti del Kurdistan e, in Kurdistan occidentale, sono state spinte fino al punto in cui i curdi abitanti in quella regione non avevano acquisito alcun diritto fondamentale in quanto residenti, alcuni privati perfino dei documenti necessari per il godimento dei diritti civili. Essi stessi hanno quindi dovuto resistere per lunghi anni.

Questo dossier, oltre alle informazioni generali presentate, consentirà di osservare gli sviluppi della situazione dopo la rivoluzione del 19 luglio 2012 in Kurdistan occidentale. Sarà possibile constatare come le cosiddette forze dell’opposizione, i gruppi islamisti, Al-Qaeda così come le forze del regime abbiano intensificato i loro attacchi contro i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava). Questo dossier contiene inoltre articoli e analisi provenienti da diverse fonti di stampa.

1. LA REGIONE DI CIZRE
Questa regione comprende le seguenti città: Dêrika Hemko, Rimêlan, Tilkoçer, Girkê Legê, Çilaxa, Tirbespiyê, Qamişlo, Amudê, Dirbêsiyê, Serêkaniyê, Tiltemir e Hesekê. I tre quarti sono attualmente sotto il controllo delle autorità curde. Istituzioni civili e militari sono state introdotte da più di un anno in tutti i centri urbani della regione. La popolazione della zona supera il milione di abitanti.

La densità della popolazione e la ricchezza del suo sottosuolo fanno di Cizre la regione più importante del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava). Non è esagerato affermare che essa si trova nel cuore del Rojava, è essa stessa Rojava. Il governo siriano ha collegato tutte le città della regione alla provincia di Hesekê. I giacimenti di petrolio della regione Rimelan-Cizre sono più importanti di quelli della Siria. Rimelan ha lo stesso potenziale petrolifero di Kirkuk. Un’altra fonte di ricchezza della regione Cizre è l’agricoltura.

2. LA REGIONE DI KOBANE
La regione è costuituita dai comuni di Kobanê, Til Ebyad, Eyn İsa, Menbec e Cerablus. E’ situata proprio davanti alla pianura di Suruç, nel Kurdistan del Nord (Kurdistan di Turchia). Più di 500.000 curdi vivono in questa regione agricola attraversata da uno dei due fiumi della Mesopotamia, l’Eufrate. Il centro della città e un gran numero di villaggi sono sotto controllo curdo.

3. LA REGIONE DI EFRIN
La popolazione della regione è stimata sui 500.000 abitanti. Tuttavia, a seguito di migrazioni interne dalle altre città dove erano presenti curdi in Siria, questo numero si è raddoppiato. Una parte importante di questa popolazione vive a Êzaz, Cebel Seman e İdlip. La regione è interamente sotto controllo curdo.

Queste tre regioni curde sono attualmente tre parti distinte del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava), ma questa suddivisione amministrativa non impedisce le relazioni gerarchiche tra le strutture politiche. I partiti e le associazioni politiche si sono organizzati nelle tre parti del Kurdistan occidentale. Le istituzioni create durante la rivoluzione nella regione di Kurdistana Rojava lavorano nell’ambito di uno stesso coordinamento, L’Alto Consiglio Curdo. Le Forze di Difesa del Popolo (YPG) hanno unità decentrate in ciascuna di queste tre aree per garantire il controllo e la difesa delle frontiere.

SINTESI STORICA

Con gli accordi di Losanna del 1923 il Kurdistan fu diviso in quattro parti. Il confine tra la Turchia e la Siria ha seguito il percorso della linea ferroviaria tra Berlino e Baghdad. Qamişlo (Kurdistan occidentale) e Nusaybin (Kurdistan turco) erano in precedenza una sola città, ma dopo il passaggio della ferrovia Qamişlo si trovò in terra siriana e Nusaybin in terra turca.

Molti villaggi, comuni e città furono divisi in due. Le tribù, le famiglie, decine di migliaia di curdi che vivevano sulla stessa terra si trovarono separati da barriere di filo spinato e mine. Solo in questi ultimi anni sono stati in grado di incontrarsi di nuovo oltre il muro di filo spinato. Questo autentico dramma vissuto da migliaia di curdi è ancora oggi oggetto di documentari e programmi televisivi in occasione di festività religiose. I curdi furono vittime di politiche repressive e divisi, durante la prima guerra mondiale, da parte delle grandi potenze che non ne riconobbero né l’esistenza, né i diritti. I curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) hanno visto peggiorare la loro situazione con l’arrivo al potere del partito Baath nel 1963. Furono considerati pericolosi da Damasco e furono vittima di numerosi attacchi e di operazioni repressive. Un decreto di 12 articoli pianificò ufficialmente questa politica che portò all’insediamento degli arabi nella regione curda costringendo i curdi all’esilio. L’amministrazione attirò gli arabi offrendo loro facilitazioni economiche e facendoli stabilire in villaggi arabi al fine di tagliare le comunicazioni tra i villaggi curdi rimanenti. Si trattò di una cacciata «incrociata» nel paese, i curdi cacciati dalla regione vennero deportati nelle regioni arabe al centro della Siria. Questa politica mirava a arabizzare i curdi e ad assimilarli.

In Siria così come in Turchia la lingua curda fu proibita nella stampa e nella società. I nomi delle città e dei luoghi storici curdi furono arabizzati. 300.000 curdi furono privati dei loro diritti fondamentali, come il diritto di essere naturalizzati. Oltre al genocidio culturale, il regime siriano non ha smesso di impegnarsi nelle aggressioni fisiche. Il 12 marzo 2004 a Qamişlo, per esempio, nel corso di una partita di calcio tra la squadra del Qamişlo e quella di Der Ez Zor, le forze governative siriane aiutate dai nazionalisti arabi hanno attaccato con violenza i curdi. Nel corso di questi scontri una trentina di curdi sono stati uccisi, centinaia feriti e imprigionati. Le manifestazioni di protesta sono durate per dieci giorni; in seguito a questi tragici eventi i curdi hanno deciso di organizzarsi nel modo che ha portato agli sviluppi attuali. Il Partito dell’Unità Democratica (PYD) è stato fondato nel 2003 e, nello stesso periodo, sono state poste le premesse per la fondazione delle Unità di Difesa del Popolo (YPG).

Il fatto che Abdullah Öcalan, leader del popolo curdo, abbia vissuto più di venti anni in Siria, e che abbia sviluppato il movimento di liberazione del Kurdistan, ha riguardato direttamente i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) e ha sostenuto la riflessione e la strategia delle loro organizzazioni. Attualmente i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava), attraverso la loro propria organizzazione, hanno fondato autorità locali autonome.

LA RIVOLUZIONE DEL 19LUGLIO 2012
UN MODELLO PER I POPOLI A RISCHIO

Prendendo in mano la gestione e l’amministrazione della città di Kobanê lo scorso 19 luglio 2012, il popolo del Kurdistan occidentale ha già acquisito un anno di esperienza sulla strada dell’istituzione del processo rivoluzionario. Con il sistema di “autonomia democratica” da esso fondato, è diventato un esempio per gli altri popoli del Medio Oriente. Il popolo curdo è ormai riconosciuto in tutto il mondo come la terza forza in Siria.

La Siria, durante il terzo anno di occupazione militare ad opera di forze esterne, è diventata una terra dove è presente la guerra tra comunità con tutto il dramma umano che essa genera; le distruzioni sono aumentate. Nel Kurdistan occidentale, al contrario, nello stesso periodo, è avanzato passo
dopo passo il processo rivoluzionario avviato dal popolo.

La prima tappa, il primo anno del processo rivoluzionario – anno in cui il popolo ha preso il controllo delle autorità locali di Kobanê il 19 luglio 2012 – è stata quella di far riconoscere la propria esistenza come popolo e di stabilire la propria autorità nelle province intorno a questa regione. Nonostante le forti pressioni e l’embargo dall’esterno, il popolo ha saputo far funzionare le istituzioni in tutti i settori della società e ha costruito un sistema di libera espressione per tutti, indipendentemente dalla diversità delle opinioni.
Una domanda si impone: com’è stato possibile che il Kurdistan occidentale abbia potuto seguire la propria strada mentre la guerra in corso in Siria continuava e continua tutt’ora, alimentata dalle potenze dominanti del mondo?

LE CONDIZIONE IN CUI LA RIVOLUZIONE E’ COMINCIATA
La “Primavera dei Popoli” chiamata “Primavera Araba”, che ha avuto inizio in Tunisia ed è proseguita in Egitto e Libia, è riuscita anche in Siria. La rivoluzione popolare iniziata ufficialmente il 26 marzo 2011, ma in realtà il 15 marzo 2011, ha gradualmente guadagnato terreno in tutto il paese. Durante questo periodo, le grandi potenze come gli Stati Uniti, l’Europa, la Russia e la Cina e altri paesi ‘satelliti’ come la Turchia e l’Iran erano desiderosi di sviluppare una politica nel loro interesse di stati regionali. Così si sono cominciate a organizzare le forze di opposizione siriane (N.d.T. al regime di Bashar al-Assad): tredici partiti di sinistra, tre partiti curdi e diversi personaggi pubblici si sono uniti nel settembre 2011 sotto il nome di Comitato di Coordinamento per il Cambiamento Democratico Nazionale – CCCND) (El Heyet Tensiq). I soldati che disertavano l’esercito siriano hanno cominciato a fuggire in Turchia e hanno fondato l’”Esercito siriano libero” (ESL). Più tardi, gruppi organizzati da Arabia Saudita, Iran, Turchia e Al-Qaeda si sono inquadrati nei ranghi dell’ESL. Il 15 settembre 2011, un gruppo di opposizione siriano ha fondato a Istanbul, con il sostegno della Turchia, il Consiglio nazionale siriano (CNS). Allo stesso modo i gruppi di opposizione si sono riuniti a Doha, capitale del Qatar, e hanno fondato l’11 novembre 2012 la Coalizione Nazionale delle forze della Rivoluzione e dell’opposizione siriana (CNFROS). Nel frattempo, la guerra tra clan è proseguita con il suo strascico di tragedie e distruzione.

DIECI ANNI DI ESPERIENZA
La lotta e la resistenza dei curdi contro le politiche negazioniste e le guerre distruttive sono state, molto prima di questo periodo che ha coinvolto oggi il Kurdistan occidentale, le forze motrici della “Primavera delle Nazioni”. La resistenza del Kurdistan occidentale risale infatti a ben prima del 2011. La lotta di liberazione del popolo curdo è stata – in questa parte del Kurdistan, dove ha vissuto per molti anni Abdullah Ocalan, il leader del popolo curdo – molto importante e i curdi in Siria hanno pertanto acquisito di fatto dieci anni di esperienza.

Gli eventi del 12 marzo 2004, allorché il regime Baath ha proceduto ad un vero e proprio massacro nella città di Qamişlo, fu come uno shock per il movimento curdo che ha in seguito rafforzato i suoi mezzi di auto-difesa e moltiplicato le sue attività in campo sociale. La creazione della maggiore formazione politica nella regione, il Partito dell’Unione Democratica, il PYD, risale a questo periodo (2003). Questa politica ha dato i suoi frutti e ancora oggi le forze di difesa del popolo (YPG) si possono appoggiare a questa mobilitazione.

IMPEGNO ATTIVO NELLE RIVOLUZIONE
La rivolta popolare contro il regime siriano per i curdi è stata l’occasione di portare la propria lotta a un livello superiore. Il movimento curdo, pur decidendo di partecipare attivamente alla rivoluzione, è stato in grado di fare tesoro della sua esperienza storica, e in conformità con la propria visione di società ha deciso di seguire un corso indipendente. Ha preso le distanze sia dalle forze del regime Baath sia dalle forze di opposizione, mostrando di posizionarsi come terza forza, una forza che propone una soluzione. All’inizio, durante le manifestazioni nazionali del venerdì, sia le forze del regime Baath, sia quelle dell’opposizione cercavano di tirare i curdi ciascuno dalla propria parte. Gli uni e gli altri promettevano di riconoscere ai curdi i loro diritti, ma “dopo la risoluzione del conflitto”, entrambi accusandoli di fare il gioco dell’avversario: pro-regime per l’uno, pro-opposizione per l’altro.

Di fronte all’approccio e del regime e dell’opposizione, i curdi hanno deciso, per rimanere attivi nella rivoluzione e mobilitati politicamente, di creare il Movimento della Società Democratica (TEV-DEM) e l’Assemblea Popolare del Kurdistan Occidentale (MGRK). Sedici partiti curdi del Kurdistan occidentale hanno a loro volta creato l’Assemblea nazionale curda della Siria (ENKS). I curdi sono stati gli iniziatori dei cortei del venerdì nelle regioni curde e il TEV-DEM è stato l’organizzatore delle proteste contro le politiche negazioniste. Per la prima volta corsi di lingua curda sono stati inaugurati a Efrin. Assemblee popolari sono state istituite in tutte le città, assicurando servizi che in precedenza erano di competenza dello Stato, come la distribuzione di gasolio e la pulizia delle strade. Giovani curdi hanno iniziato a offrire corsi di curdo nelle scuole secondarie e superiori. Nello stesso periodo è stato creato l’Istituto per la Lingua curda (Saziya Zimane Kurdi-SZK).

LE FORZE DI DIFESA
I curdi si sono organizzati politicamente e, dopo aver sviluppato le loro attività nella società civile, hanno rafforzato le loro forze di legittima autodifesa (YPG), fondate nel 2004 e riconosciute ufficialmente nel 2011. Tutte le unità legate alle YPG hanno successivamente preso posizione lungo i confini del Kurdistan occidentale.

LA RIVOLUZIONE DEL 19 LUGLIO E LA STRATEGIA IN TRE FASI
La strategia curda è stata quella di stare lontano da questa sporca guerra e di organizzare la propria resistenza, cercando di sviluppare una propria politica indipendente. La rivoluzione del 19 luglio 2012 ha permesso al popolo del Kurdistan occidentale di prendere gradualmente il controllo di tutte le assemblee comunali in base alla strategia avviata dal movimento curdo, una strategia in tre fasi. La prima fase è stata diretta a prendere il controllo delle zone rurali e dei villaggi collegati al comune, la seconda a prendere il controllo delle istituzioni civili e dei servizi pubblici connessi allo stato, la terza al controllo di tutte le città curde.

Il 18 luglio 2012, quando gran parte dei quadri dirigenti del regime siriano sono stati uccisi nel corso di una riunione di crisi a Damasco, capitale della “Repubblica araba siriana”, l’Esercito siriano libero (ESL) ha preso il controllo delle città di Minbic e Cerablus situate tra Kobanê e Aleppo. Questi hanno contribuito al ritiro delle forze militari siriane nelle città curde tra cui quella di Kobanê, con il sostegno della popolazione curda. A partire dal 19 luglio 2012, la terza fase della strategia del movimento curdo poteva dispiegarsi. Dopo Kobanê è stata la volta delle città di Serêkaniyê, Dirbêsiyê, Amude, Derik, Girke lege, Tirbespiyê e Tiltemîr. I quartieri curdi delle città siriane ancora sotto il controllo delle forze del regime – Aleppo, Raqqa e Hassaké – sono stati anch’essi “liberati”. Durante questo periodo di 2-3 mesi, tutte le collettività locali curde sono andate nelle mani del popolo, ad eccezione di Qamişlo, la più grande città della regione, ancora sotto il controllo delle forze del regime siriano, e di alcune istituzioni pubbliche.

Il mese di luglio è diventato ancora una volta un punto di svolta nella storia dei curdi. Il 2 luglio 1979, infatti, il leader del popolo kurdo, Abdullah Ocalan, aveva varcato i confini del Nord Kurdistan per andare in Kurdistan occidentale, aprendo la strada per la rivendicazione identitaria: si trattò di un passo storico nella lotta per la liberazione del Kurdistan. I 14 luglio 1982 quattro quadri del PKK, Hayri Durmuş, Mehmet Kemal Pir, Akif Ali Yilmaz e Ali Çiçek, detenuti nel carcere di Diyarbakir, avevano iniziato uno sciopero della fame fino alla morte per protestare contro il sistema carcerario, le pressioni, la tortura e la politica negazionista verso l’identità curda. Attraverso questa resistenza è stata scritta una nuova pagina nella lotta per la liberazione del Kurdistan. Questa lotta si è diffusa nei quattro angoli del Kurdistan e ha portato la voce del popolo curdo a tutto il mondo.

Il 19 luglio 2012, i curdi che avevano cacciato le forze del regime dalle città del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) hanno preso la gestione del governo locale per mettere in pratica i principi di un sistema chiamato “autonomia democratica”, tra cui il controllo politico, l’organizzazione delle forze di legittima autodifesa, l’amministrazione della giustizia e le attività economiche e socio-culturali, nonché le questioni riguardanti i diritti delle donne.

LA FONDAZIONE DELL’ALTO CONSIGLIO CURDO
Gli eventi del 19 luglio 2012 e le loro conseguenze hanno rafforzato l’unione dei diversi gruppi politici curdi nel Kurdistan occidentale. Il PYD – che è la più grande delle forze politiche della regione – rilevando, dopo diversi incontri, una concreta evoluzione,
si è riunito all’Assemblea del popolo del Kurdistan occidentale e ha formato con altri sedici partiti curdi l’Assemblea nazionale curda della Siria (ENKS). A seguito di questo importante incontro, che si è tenuto l’11 luglio a Erbil, nel Kurdistan meridionale, le due assemblee hanno deciso di lavorare insieme e hanno annunciato ufficialmente il 24 luglio la fondazione dell’Alto Consiglio Curdo. Questo passo decisivo per l’unità fra i curdi è stato accolto il 29 luglio in Kurdistan occidentale da centinaia di migliaia di curdi che sono scesi in piazza per dare il proprio riconoscimento all’Alto Consiglio Curdo. Successivamente l’Alto Consiglio Curdo ha istituito tre comitati: il “Comitato della diplomazia”, il “Comitato dei Servizi Sociali” e “Comitato della Difesa”.

LA VITTORIA DIPLOMATICA
Questa nuova situazione è stata ben accolta a livello internazionale. Così Lakhdar Brahimi (già alto rappresentante della Lega Araba e delle Nazioni Unite nel mondo, nominato il 17 agosto 2012 mediatore internazionale delle Nazioni Unite nella guerra civile siriana), si è incontrato con funzionari dell’Alto Consiglio Curdo. Allo stesso modo, funzionari del Consiglio hanno avuto l’opportunità di condividere la loro visione politica con l’opinione pubblica internazionale durante le visite nei paesi europei. I più importanti sviluppi diplomatici sono avvenuti nel maggio 2013, quando, su proposta del PYD, l’Alto Consiglio Curdo è stato ufficialmente invitato a partecipare alla Conferenza di Ginevra, alla quale parteciperanno gli Stati Uniti, la Russia, l’Unione europea e le forze dell’opposizione siriana. I curdi, la cui esistenza non è stata fino ad ora riconosciuta, potranno partecipare per proprio conto a una piattaforma internazionale.

YPG, LE FORZE DI DIFESA NAZIONALE
Insieme a questi sviluppi politici e diplomatici e alla presa di controllo delle autorità locali della città, importanti misure sono state adottate nel settore della difesa. Le YPG, fondate nel 2004, si sono organizzate dopo la rivoluzione del 19 luglio 2011 in brigate e battaglioni che hanno preso posizione in tutte le città del Kurdistan occidentale e in città della Siria come Aleppo e Hassaké. Le YPG, che svolgono un importante ruolo di difesa nella regione, hanno dato prova di una grande resistenza agli attacchi del regime nelle città di Aleppo, Efrin, Serêkaniyê, Amude e Hassaké. Le YPG, nonostante la perdita di decine di combattenti che sono morti negli scontri, hanno mantenuto la loro posizione e protetto senza distinzione tutti i popoli della regione. Le YPG sono oggi riconosciute come la “Forza di Difesa Nazionale”, nonostante la propaganda anti-curda le dipinga come una “forza armata di un gruppo politico.”

LA SICUREZZA NELLE CITTA’ E’ DI CONPETENZA DELL’ASAYIS
Un passo importante è stato compiuto per garantire la sicurezza nelle città, considerata un requisito indispensabile per il funzionamento di base dell’auto-governo democratico. La polizia ha preso posizione prima a Kobanê, poi in tutte le province del Kurdistan occidentale. La sicurezza delle città è stata affidata a loro dopo aver ricevuto un addestramento nelle accademie militari delle regioni di Cizre, Kobanê e Efrin. Finora hanno soddisfatto le aspettative. I loro interventi nell’ambito dei reati penali (rapina, sequestro di persona, omicidio, conflitti familiari) sono apprezzati.

LE AUTORITA’ INDIPENDENTI E LE ASSAMLEE POPOLARI
Oltre a queste attività, sono state create nel Kurdistan occidentale assemblee popolari in città come Derik, Girke lege, Tirbê Spiyê, Qamişlo, Amude, Dirbêsiyê, Serêkaniyê, Tiltemir, Kobanê e Efrin, e in sette province collegate a Efrin ma anche in Siria, a Damasco, Aleppo, Raqqae Hassaké. “Case del popolo” sono stati istituite in ogni distretto. Sono proprio queste assemblee a essere responsabili per la soluzione dei problemi della popolazione.

Le popolazioni assire, araba, cecena, armena e caldea, prima diffidenti, hanno successivamente preso il loro posto in queste assemblee. Numerosi sono coloro che, tra queste persone, si sono impegnati non solo nelle attività di queste assemblee, ma anche tra le fila delle forze di difesa.

SI ISTITUZIONALIZZA L’ISTRUZIONE IN LINGUA CURDA
Una delle attività educative più importanti è quella dedicata alla comprensione del sistema di auto-governo democratico attraverso una formazione rivolta a tutti i cittadini. Per raggiungere quest’obiettivo sono state istituite in molte città accademie che offrono formazione continua. Molte di queste istituzioni sono chiamate “Pensieri di Nuri Dersimi” (N.d.T. uno dei principali organizzatori della rivolta alevita di Dersim nel 1937, che si rifugiò in Siria fino alla morte avvenuta nel 1973). Vi si insegna la filosofia di Nuri che comincia così a raggiungere tutti i segmenti della società. Importanti passi sono stati compiuti attraverso questi sistemi educativi. Anche l’istruzione in lingua madre è stata una delle attività più importanti svolte nel Kurdistan occidentale. Per far fronte al flusso di formazione richiesta fornito dall’Istituto per la lingua curda (SZK), sono state costruite centinaia di scuole e sono stati formati quasi un migliaio d’insegnanti. Migliaia di bambini curdi sono educati fin dalla più tenera età in curdo. Inoltre corsi di curdo si sono tenuti per la prima volta nelle scuole appartenenti al regime. Queste attività vogliono essere un sistema alternativo al sistema di istruzione. E’ stata inoltre creata l’Unione degli insegnanti curdi. Si sono cominciate a creare importanti istituzioni nel campo dell’arte e della cultura. Diversi centri di “Arte e Cultura” sono stati aperti a Qamişlo, Derik, Amude, Aleppo, Efrin e Kobanê. Questi centri forniscono all’intera popolazione, adulti e bambini, attività quali lezioni di musica, danze popolari, teatro. E’ stato aperto inoltre un centro di ricerca sulla cultura regionale.

I COMITATI
I comitati sono stati istituiti per soddisfare le esigenze della popolazione e risolvere i problemi sociali, giudiziari e economici. In questo contesto, oltre al comitato per i servizi sociali dipendente dall’Alto Consiglio Curdo, sono stati istituiti comitati per la pace e i servizi sociali in ogni assemblea. A fronte di un sistema giudiziario statale, è stato istituito un comitato “giustizia” che riceve lamentele dai residenti durante il lavoro di modernizzazione: è stata costituito un comitato per la pace e la giustizia, legato all’Alto Consiglio Curdo, per una riforma del sistema giudiziario, il 4 aprile 2013 è stata creata l’Accademia delle Scienze Sociali della Mesopotamia, l’Ufficio “diritto e giustizia sociale.”

LE DONNE SONO LA FORZA MOTRICE DELLA RIVOLUZIONE
Le attività dei giovani e delle donne sono uno dei pilastri del sistema di autonomia democratica. Le donne curde mobilitatesi sotto il nome di Yekitiya Star (L’Unione di Stelle), hanno preso parte alla decisione di creare “assemblee popolari” per le donne e “case delle donne”. Esse sono rappresentate in modo adeguato nelle “assemblee popolari”. Hanno creato diversi centri educativi e scientifici e hanno fondato un’accademia per le donne il cui scopo è quello di diffondere l’ideologia della “liberazione delle donne”. Le donne assicurano la co-presidenza delle “autorità popolari”. Le organizzazioni femminili svolgono un ruolo attivo nella risoluzione dei conflitti politici, educativi, familiari, economici e quelli con le forze dell’ordine. Queste donne che si sono ritagliate un proprio ruolo per l’istruzione in lingua madre hanno deciso di riunirsi in un’associazione dal nome “Unione delle donne insegnanti” nell’Istituto per la Lingua Curda (SZK).

LE YPJ: LE UNITA’ DI DIFESA DELLE DONNE
Le donne, per sbarazzarsi del patriarcato e dello stato, hanno compiuto passi significativi nella costruzione di un sistema autonomo. Coloro che avevano preso posto fino a allora nelle file delle YPG hanno deciso di organizzarsi in modo indipendente a livello militare e prendere il nome di YPJ (Unità di Difesa delle Donne). Esse sono attualmente organizzate in brigate e battaglioni in tutte le province per difendere la popolazione.

Anche le attività dei giovani sono organizzati autonomamente sotto il nome di “Movimento della Gioventù Rivoluzionaria”. Inoltre, gli studenti sono organizzati sotto il nome di “Federazione degli Studenti Patriottici”. Alcune accademie sono incaricate della formazione.

COOPERATIVE PER LA ROTTURA DELL’EMBARGO
L’embargo presente nella regione crea notevoli problemi, in particolare nel campo della salute. La popolazione manca di generi di prima necessità come medicinali, cibo e carburante. Una commissione speciale è stata istituita sotto gli auspici dell’Alto Consiglio Curdo per risolvere questi problemi. La mezzaluna curda – Heyva Sor Kurd – è a disposizione per soddisfare al meglio le esigenze della popolazione e organizzare gli aiuti dall’estero.

E’ stata inoltre intrapresa nel 2013 un’altra iniziativa in campo economico, che è anche uno dei pilastri fondamentali del sistema, chiamata “Associazione per lo sviluppo dell’economia del Kurdistan occidentale”, creata al fine di rompere l’embargo e per costruire un sistema di risoluzione dei conflitti in questo settore. Questa organizzazione ha iniziato la sua opera nelle città di Kobanê e Derik, e intende sviluppare l’economia
basandosi sul dinamismo della popolazione. Essa promuove in particolare le cooperative.

STAMPA E INFORMAZIONE
Un’altra attività fondamentale nell’ultimo anno in Kurdistan occidentale riguarda la stampa e l’informazione. Nonostante l’obsolescenza dei mezzi di comunicazione risalenti a più di trent’anni fa, i servizi di stampa e di informazione hanno, a partire dallo scorso anno, lavorato costantemente e sistematicamente, con un canale TV, giornali, una rivista e una radio, tutte in collegamento alle agenzie di stampa. Radio locali trasmettono ora i loro programmi nelle città di Qamişlo, Kobanê, Derik e Efrin.

Mentre la lotta per il potere provoca sempre più morti e distruzione in Siria, le autorità autonome del Kurdistan occidentale creano un clima di fiducia e sono diventate un modello per i popoli della regione. Sono diventate il bersaglio di varie forze i cui interessi sono ora a rischio e che considerano la volontà popolare come una minaccia. Ecco perché il Kurdistan occidentale è sotto attacco e vittima di una guerra speciale.

Queste forze portate in campo dalla Turchia hanno creato incidenti ad arte per attirare i curdi nella trappola di un conflitto cieco. Un membro delle YPG è stato ucciso e altri tre gravemente feriti durante gli scontri del 2 ottobre 2012 nella città di Dirbesiyê dopo che le forze armate turche si sono posizionate in misura ingente al confine. Il PYD è stato accusato di collaborazionismo con il regime di Bashar al-Assad per seminare la divisione tra i curdi, ma tale piano è stato sventato. L’Esercito siriano libero (FSA), a sua volta, cerca di avvicinarsi a diversi gruppi e partiti curdi attaccando i valori del popolo curdo.

LE MANOVRE DELLA TURCHIA
Oltre agli attacchi militari, la Turchia è impegnata in importanti manovre diplomatiche per contrastare la volontà politica del popolo curdo. Dopo la creazione dell’Alto Consiglio Curdo, alcuni partiti curdi si sono incontrati ad Erbil con Ahmet Davutoğlu, ministro degli Affari esteri della Turchia. Nel contempo è stato rivelato un documento segreto del Ministero degli Affari Esteri della Turchia: un tentativo di screditare il PYD di fronte agli altri partiti curdi. Parallelamente Abdulhakim Besar, presidente del Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti), si è riunito a Londra con le autorità statunitensi.

Da parte sua, Lakhdar Brahimi (mediatore delle Nazioni Unite nel conflitto siriano) ha chiesto un incontro con i funzionari del PYD che lo hanno messo al corrente della loro posizione, e cioè che l’organismo che rappresenta i curdi era l’Alto Consiglio Curdo e che non vi poteva essere quindi alcun dubbio che il PYD avrebbe dovuto essere l’unica organizzazione invitata a questo incontro. Diversi partiti curdi rappresentati nell’Alto Consiglio Curdo e nell’Assemblea nazionale dei curdi della Siria, come conseguenza di questa posizione del PYD, sono stati invitati a partecipare alla riunione con Lakhdar Brahimi tenutasi a Damasco.

INCONTRI SEGRETI ANTI PYD
Emissari turchi, americani e israeliani hanno tenuto nel corso di questi ultimi mesi di primavera, a Erbil, un incontro segreto con le autorità del Sud Kurdistan, il cui scopo era di silurare il PYD. A seguito di questo incontro, è stata rapidamente intrapresa una campagna diffamatoria contro il PYD, ma i curdi del Kurdistan occidentale hanno contrastato questa offensiva scendendo in piazza in massa.

Su richiesta dell’Alto Consiglio Curdo, l’Ensk (l’Assemblea nazionale curda della Siria creato da 16 partiti curdi nel Kurdistan occidentale) convocato per chiarire la sua posizione, e l’Assemblea Popolare del Kurdistan occidentale si sono incontrati e, il 4 novembre, il Presidente della Regione del Kurdistan del Sud (Mesut Barzani) ha fatto una dichiarazione sostenendo l’unione di tutti i curdi. Ma tre giorni dopo, contrariamente allo spirito dell’appello, sono stati invitati a partecipare alla riunione dell’opposizione siriana a Doha (Qatar) solo il Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi), “dimenticando” di invitare l’Alto Consiglio Curdo.

GLI ATTACCHI DELLE BANDE
La Turchia, le cui manovre per stabilire zone “cuscinetto” sono andate fallite, ha quindi optato per un’altra tattica tesa a far attaccare le città del Kurdistan occidentale da bande organizzate che hanno intensificato i loro attacchi. I quartieri curdi di Aleppo sono stati vittime di queste bande il 25 e 26 ottobre 2012. Trenta curdi sono stati uccisi in questi attacchi. Queste bande supportate dalla Turchia hanno lanciato attacchi senza sosta fra il 27 e il 30 ottobre 2012 contro la città di Efrin e i suoi dintorni. Successivamente è risultato che anche partiti curdi, il Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi) avevano partecipato ad attacchi contro curdi nelle città di Aleppo e Efrin.

QUANDO IL PIANO E’ FALLITO A EFRIN SI SONO DIRETTI A CIZRE
Nel momento in cui il piano contro la città di Efrin è fallito, un secondo piano è stato messo a punto contro Cizre dall’esercito turco che il 2 settembre ha attaccato la linea di confine a Dirbesiye uccidendo un membro delle YPG e ferendone gravemente altri tre. Il 20 settembre un membro della ENKS, Ebu Candia, è stato assassinato a Serêkaniyê. L’8 novembre, gruppi armati con base in Turchia hanno cominciato ad attraversare il confine a Serêkaniyê, dichiarando di essere gruppi dell’opposizione siriana venuti a combattere le truppe governative. Ma il 19 novembre hanno preso a attaccare i curdi.

Va notato che questi attacchi sono stati commessi con la partecipazione dei partiti curdi, il Partito Democratico Curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi), mentre si teneva un incontro segreto a Doha, capitale del Qatar. Le forze delle YPG hanno opposto una strenua resistenza che ha sventato questo secondo piano, costringendo il 13 dicembre questi gruppi di banditi a firmare un accordo in base al quale si ritiravano dalla città. Allo stesso tempo, le truppe del regime Baath sono state respinte al di fuori delle città curde di Dirbêsiyê, Tiltemir, Amude e Derik. Secondo l’accordo, le forze di opposizione siriane hanno accettato di riconoscere tali aree come zone franche e si sono impegnati a fermare i loro attacchi.

GİRZİRO E DI NUOVO SERÊKANİYÊ
Questo accordo è durato solo un mese, e il 16 gennaio 2013, mentre le forze di difesa delle YPG e il movimento curdo erano impegnati a cacciare i militari del regime Baath di Girziro, un villaggio nel comune di Girke lege che si trova nella regione petrolifera, i gruppi armati hanno attaccato di nuovo Serekaniyê. Gli scontri sono durati quindici giorni e sono stati condotti da venti gruppi diversi. Nel corso di questi scontri due ambulanze, una francese e l’altra turca, sono state sequestrate dalle forze delle YPG mentre stavano trasportando armi fabbricate in Turchia. Uno degli aggressori era un cittadino turco. Si è inoltre constatato che paesi come la Turchia, la Francia, l’Iran, il regime Baath e le forze di opposizione siriane hanno preso parte agli scontri. Le perdite da parte degli aggressori sono state ingenti. Da parte curda si è lamentata la morte di quattro civili e undici combattenti, membri delle YPG.

Le forze delle YPG hanno combattuto le forze del regime a Girziro e polverizzato i gruppi armati a Serekaniyê. Le forze delle YPG hanno inoltre preso il controllo il 1° marzo 2013, dopo una settimana di scontri, del comune di Cil Axa (Al Jawadiyah) attaccato alla città di Girke lege e nella regione petrolifera di Rimêlan. Parallelamente a questi eventi, il 13 febbraio 2013 i gruppi armati hanno attaccato la città di Tiltemir dove vivono insieme in pace, curdi, arabi e assiri. Gli scontri tra le forze dell’ESL e delle YPG hanno provocato dieci morti tra gli assalitori.

LE FRONTIERE SONO STATE CHIUSE
Dopo questi attacchi, il governo regionale del Kurdistan del Sud ha deciso il 19 maggio 2013 di chiudere il posto di confine di Sêmalka, nonostante le proteste della popolazione curda che ha interpretato questa decisione come parte del piano anti-curdo.

NUOVI ATTACCHI AD EFRIN
Questi gruppi armati, dopo aver fallito a Cizre, hanno attaccato di nuovo Efrin, e per raggiungere i loro scopi hanno messo l’intera regione sotto embargo. Dal 25 maggio 2013 hanno cominciato ad attaccare i villaggi vicino a Efrin e costretto la popolazione di Aleppo (Aleppo) all’emigrazione forzata. Questi gruppi hanno anche cercato di tagliare acqua ed elettricità. Tre attivisti di Al-Qaeda usciti dalla Tunisia sono arrivati in Siria attraverso la Turchia per partecipare ai combattimenti. Hanno detto che avevano ricevuto aiuto dai servizi segreti dello Stato turco. La zona è ancora soggetta ad embargo.

Durante gli scontri nella città di Hassaké, forze delle YPG hanno identificato soldati turchi. Questi gruppi armati hanno provato ad attaccare il tessuto sociale della regione sviluppando un traffico di droga, ma si sono confrontate con le forze dell’ordine popolari che hanno cacciato i trafficanti e messo sull’avviso la popolazione. Mentre tutti questi piani venivano neutralizzati, il movimento politico curdo decideva tuttavia di rafforzare e formalizzare il proprio sistema di difesa per
mezzo di tutte le istituzioni create durante questo periodo di conflitto.

In questo quadro, tutti i capi delle principali tribù del Kurdistan occidentale si sono riuniti il 24 febbraio 2013 a Amude per dare vita a un’assemblea delle tribù.

VITTORIA DIPLOMATICA DELL’ALTO CONSIGLIO CURDO
La più importante vittoria diplomatica curda si è avuta nel maggio 2013 quando, su proposta del PYD, l’Alto Consiglio Curdo è stato ufficialmente invitato dalla Russia alla Conferenza di Ginevra, che vedrà la partecipazione degli Stati Uniti, della Russia, dell’Unione europea e delle forze dell’opposizione siriana. I curdi, la cui esistenza non era precedentemente riconosciuta, saranno in grado di partecipare per proprio conto a una piattaforma internazionale. Alcune forze guidate dagli Stati Uniti hanno cercato da allora di far annullare questo invito e per frantumare l’unità dei curdi hanno proposto nomi come quello di Abdulbasit Seyda (che è stato per un periodo presidente del Consiglio nazionale siriano, ed è considerato dal Consiglio nazionale curdo come la voce della Turchia, mentre per il CNK rappresenta solo se stesso).

Infine, nonostante tutti questi ostacoli, i curdi, in base alle loro esperienze e risultati, eleggeranno un’autorità regionale provvisoria in cui verranno rappresentati tutti i gruppi etnici. Un “contratto sociale” sarà firmato da tutte le parti. Sarà nominato un comitato dall’autorità regionale provvisoria, previa consultazione e discussione con le strutture etniche, culturali e religiose. Questa autorità provvisoria che prenderà il posto dell’Alto Consiglio Curdo dovrà pubblicare ufficialmente il contratto sociale da sottoporre a referendum popolare durante le elezioni regionali. Queste elezioni regionali si terranno entro tre mesi dall’istituzione dell’autorità provvisoria. In questo modo il popolo avrà ufficialmente scelto la propria autorità.

E’ possibile datare tutti questi sviluppi dal 19 luglio 2012, primo anno della rivoluzione. I popoli del Kurdistan occidentale hanno fondato e costruito un solido sistema contro le politiche negazioniste. Hanno iniziato a praticare questo sistema in tutti i settori della vita con il nome di “autonomia democratica”. (Fonte: Dildar Aryen, Questo articolo è stato pubblicato in tre parti dall’agenzia di stampa ANF dall’17.07.2013)

LA BANDA DI ALQAEDA ASSASINA I CURDI

In Siria da due anni è in corso una guerra civile e si vive una tragedia umana. E i curdi soffrono sempre di più delle sue conseguenze. Fin dall’inizio i curdi non hanno preso posizione, ovvero si sono comportati in modo estremamente prudente. Prudenti, affinché i combattimenti non si estendessero alle loro zone. Le precauzioni prese in buona parte hanno avuto successo. Perché hanno avviato un autogoverno dei loro territori. Nel nord della Siria i curdi sono la maggioranza. Oltre ai curdi, in questa zona vivono anche arabi, assiri e armeni. La regione curda rappresenta anche per questi popoli una regione sicura. Tali popoli, così come i gruppi religiosi come cristiani e yazidi, sono rappresentati nelle comunità di autogoverno costituite. Ma questo autogoverno non è piaciuto a tutti coloro che hanno interessi nella regione e quindi hanno provato a distruggerlo. In primo luogo era lo Stato turco a sentirsi disturbato. Ha immediatamente chiuso i confini, decretato l’embargo e impedito l’avvicinamento tra i curdi e l’opposizione siriana. E successivamente ha appoggiato all’interno dell’opposizione siriana il Fronte Al Nusra nella guerra contro i curdi con armi e tutti i mezzi possibili. In questo modo ha poi rafforzato questi gruppi che intendono dominare la regione. Sentendosi rafforzati nei loro intenti, hanno attaccato. Attualmente si combatte dappertutto nelle zone curde di Haseki, Raqqa e Aleppo. Questo vuol dire che dal confine iracheno fino alla città di confine di Hatay/Turchia, ovvero una zona di confine lunga 700 km sono in corso combattimenti.

Fin dall’inizio i curdi non erano amici del regime siriano. Come in altre zone del paese, anche nelle zone curde ci sono state proteste. Ma l’opposizione siriana si è appoggiata al nazionalismo arabo. E il popolo curdo con i suoi diritti umani fondamentali non veniva riconosciuto. Le richieste dei curdi non venivano ascoltate. Per questa ragione i curdi hanno preso una terza via e così determinato la propria collocazione in Siria. Ovvero né con il regime, né dalla parte dell’opposizione. Perché i curdi non hanno attaccato nessuno e/o si sono appropriati della terra di qualcuno. Ma contro gli attacchi, da qualunque parte provenissero, hanno cercato di difendersi. Anche le forze del regime hanno combattuto contro i curdi. Soprattutto ad Aleppo sono state usate armi chimiche contro i curdi. E nonostante questi attacchi, i curdi sono rimasti sulla posizione dell’autogoverno e cercano pazientemente di mantenere questa posizione. Gli attacchi del 16 luglio sono stati iniziati dal Fronte Al-Nusra, che è subordinato ad Al-Qaeda. L’obiettivo di questo Fronte è di costituire in tutta la regione un emirato islamico. Sotto il nome “Stato Islamico Iraq-Damasco” nelle zone occupate hanno già proclamato il proprio potere. Con l’occupazione delle zone curde vogliono completare il loro “emirato islamico”. Il Fronte Al-Nusra Front viene appoggiato dalle formazioni jihadiste della regione. Questi gruppi sono costituiti prevalentemente da persone organizzate in diversi paesi e inviate in Siria in nome della guerra santa “Jihad” e che con la Siria non hanno nulla a che vedere, ovvero non sono siriani.

È interessante anche osservare che in diversi paesi islamici, molti prigionieri legati ad Al-Queda sono ‘fuggiti’, ma in realtà sono stati liberti e mandati in Siria (Iraq/Bagdad: Carceri di Abu Graib e Taci – più di 800 detenuti, Libano: carcere Bingazi Kuveyfiye– circa 1200 prigionieri, Pakistan: circa 250 prigionieri dal carcere Dera Ismail Han). In Arabia Saudita Arabia sono stati rilasciati circa 1400 pericolosi criminali condannati e mandati in guerra in Siria. Questi gruppi non hanno nulla a che vedere con giustizia, diritti umani, etica, coscienza morale. Anche con il vero Islam non hanno niente a che fare. Sono spietati e barbari. Da loro presunti studiosi religiosi vengono proclamate le cosiddette “Fatwa” contro i curdi. Secondo loro i curdi sono “infedeli” e uccidere i loro uomini è un buon atto di fede. E il sequestro dei loro beni, di donne e bambini è permesso. Non c’è distinzione tra civile e soldato. Fino ad ora sono stati uccisi centinaia di persone indifese e di bambini. Da ultimo, il 1 agosto 2013 sono state uccise più di 70 persone nei villaggi di Til Eran e Til Hasil ad Aleppo. Le riprese di questo massacro sono state anche pubblicate. Sono state trasmesse anche le riprese del rogo di tre ostaggi curdi cosparsi di benzina. Nessuno sa cosa sia successo con centinaia di altri curdi che hanno portato via durante controlli stradali e assalti ai villaggi.

L’embargo proclamato contro i territori curdi diventa sempre più rigido. Non solo i valichi di confine turchi sono chiusi, ma sono stati chiusi anche quelli verso il Kurdistan meridionale e l’Iraq. E dall’altro lato, le strade che portano verso le città siriane sono controllate dai banditi e criminali già citati. Per salvarsi, soprattutto da Aleppo e Damasco, la gente (curdi, assiri, armeni, in parte arabi e cristiani e yazidi) fuggono verso le zone curde. La popolazione di questa zona è raddoppiata. Quindi le tragedie umane sono predeterminate. Le zone curde hanno di fronte due grandi problemi: da un lato sono esposti agli attacchi armati di questi gruppi barbarici e senza scrupoli. Se dovessero davvero riuscire a vincere questa guerra, significherebbe un massacro su larga scala. Dall’altro lato a causa dell’embargo sono confrontati con un dramma umanitario. Siamo consapevoli del fatto che in tutta la Siria si verificano delle tragedie. Ma la minaccia alla quale sono esposti i curdi è particolarmente seria e grande. Perché porta in sé il potenziale di una grande tragedia.

Per questo sarebbe necessario intervenire prima che sia troppo tardi:

• gli attacchi e i massacri ai quali sono esposti i curdi devono essere condannati

• la Turchia deve smettere immediatamente di fornire appoggio ai gruppi citati e aprire i valichi di frontiera. Allo stesso modo devono essere aperti i valichi di frontiera verso il Kurdistan meridionale e l’Iraq

• vanno forniti aiuti umanitari alle zone curde sotto la sorveglianza dell’ONU.

• riconoscimento dell’identità curda in Siria e la realtà del popolo curdo e dei suoi diritti umani e con il diritto all’autogoverno e alla costruzione di una Siria democratica e pluralista.

Per queste ragioni facciamo appello a tutti i paesi, ma soprattutto all’ONU, all’UE, alla Commissione europea, a tutti gli enti/istituzioni e a tutti coloro che credono nella pace, nella democrazia, nella libertà e nei diritti umani, perché alzino la propria voce, prendano posizione, mostrino sensibilità e prendano misure adeguate. (Comunicato Stampa del Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan -KNK)

FONTE
http://www.firatnews.com/news/guncel/yo ... evrimi.htm
http://www.ilkehaber.com/haber/rojava-n ... -27052.htm
http://www.yeniozgurpolitika.com/index. ... e&id=22317
http://www.firatnews.com/news/guncel/ro ... -evran.htm
http://www.kongrakurdistan.net

KNK, Congresso Nazionale del Kurdistan
Rue Jean Strass 41, 1060 Brussels, Belgio
http://www.kongrakurdistan.net / kongrakurdistan@gmail.com
Tel. 0032 26 47 30 84
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » ven ago 26, 2016 9:29 am

Siria, 350 soldati turchi oltre il confine. I curdi: “Ankara vuole colpire noi, non l’Isis”
Ankara ha lanciato l'operazione militare insieme ai ribelli dell'Esercito siriano libero. Il portavoce del Pkk: "Il vero obiettivo è combattere contro di noi". La risposta: "Se il ritiro a est dell'Eufrate non avverrà, abbiamo ogni diritto di intervenire". Alleanza curdo-araba prepara offensiva contro Raqqa, roccaforte dello Stato islamico. "Ad Aleppo uccisi otto civili da razzi lanciati dagli insorti"
di F. Q. | 25 agosto 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... is/2995440

Non è stata una presenza di un giorno, perché l’intervento militare turco in Siria, voluto da Erdogan contro lo Stato islamico e le milizie curde, prosegue a oltre 24 ore dal superamento del confine. Un totale di 350 soldati delle forze armate di Ankara, tra i quali 150 dei corpi speciali, ha preso parte all’operazione Scudo dell’Eufrate, lanciata il 24 agosto dalla Turchia insieme ai ribelli dell’Esercito siriano libero per allontanare Isis dalla città di Jarabulus. Secondo CnnTurk, le forze di terra sono supportate da intense operazioni aeree della coalizione internazionale che combatte contro l’autoproclamato Stato islamico.

All’offensiva partecipano anche 17 aerei turchi, inclusi 13 F-16 e altri velivoli di supporto. Altri 10 carri armati – oltre ai 20 circa arrivati ieri – che sono entrati in territorio siriano per due chilometri, prima di fare ritorno in Turchia. Secondo i media, si è trattato di un’operazione per garantire la sicurezza al confine tra i due Paesi. Obiettivo di Ankara è colpire gli jihadisti fedeli al califfo, contrastare i curdi che stanno guadagnando terreno nel nord della Siria e conquistare un posto di rilievo in vista della ripresa dei negoziati di pace.

Ma a poche ore dall’offensiva, il portavoce del Pkk curdo ha accusato Ankara di voler “colpire i curdi, non lo Stato islamico”. “L’obiettivo delle operazioni della Turchia nel nord della Siria sono le Forze democratiche Siriane (Sdf, coalizione guidata dai curdi), non l’Isis”. Il Pkk è considerata dalla Turchia un’organizzazione terroristica al pari dei curdi siriani del Pyd, che negli ultimi giorni sta guadagnando terreno in Siria. Risponde alle accuse il ministro della Difesa, Fikri Isik secondo cui, se i curdi non si ritirano a est del fiume Eufrate “abbiamo ogni diritto di intervenire”.

Secondo una fonte ufficiale turca citata dal quotidiano Hurriyet, il segretario di Stato americano John Kerry ha riferito al ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che le milizie curde hanno cominciato a ritirarsi sulla sponda orientale dell’Eufrate. “Durante la conversazione – ha detto la fonte – si è discusso tra l’altro della questione del Pyd/Ypg“, vale a dire dei curdi del Partito dell’unione democratica (Pyd) e della sua ala militare, le Unità di protezione popolare (Ypg). Per Ankara le due formazioni sono gruppi terroristici alleati del Pkk, ma gli Stati Uniti le hanno finora appoggiate nella loro avanzata contro i jihadisti dell’Is.

Si prepara l’offensiva contro Raqqa, roccaforte dell’Isis – Le Forze democratiche della Siria (Fds), alleanza curdo-araba sostenuta dagli Usa in funzione anti-Is, arretrano sulla sponda orientale dell’Eufrate e si apprestano a lanciare un’offensiva contro la città di Raqqa, considerata la roccaforte del sedicente Stato Islamico in territorio siriano. “Le Fds sono passate a est dell’Eufrate per preparare un’eventuale liberazione di Raqqa”, ha reso noto tramite Twitter un portavoce dell’Operazione Inherent Resolve, la missione internazionale a guida statunitense avviata nell’ottobre 2014 a seguito dell’espansione dell’autoproclamato Stato Islamico in Iraq e Siria. Il portavoce ha poi chiarito che a Manbij, liberata a metà agosto dall’Is, restano “alcune forze” per completare, “come previsto”, le operazioni nell’area e “rimuovere ordigni Ied”. I miliziani curdi siriani delle Ypg, le Unità di protezione del popolo, annunciano di aver concluso la loro operazione nella città di Manbij e di aver lasciato la zona al controllo delle autorità locali. Secondo le Ypg, come riferito in un comunicato diffuso oggi, il passaggio di consegne è avvenuto in realtà il 15 agosto scorso: il comando militare è passato al Consiglio militare di Manbij e l’amministrazione della città è stata lasciata al Consiglio locale.

Serghei Lavrov e John Kerry a Ginevra per discutere di tregua - Il ministro degli Esteri russo e il segretario di Stato americano si incontreranno nella città svizzera, probabilmente domani, per discutere di una possibile tregua in Siria. Lo ha detto oggi l’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, in un briefing da Ginevra trasmesso in diretta dalla tv panaraba Al Jazeera. Kerry arriverà a Ginevra da Ryad, dove oggi ha colloqui con le autorità saudite e di altri Paesi del Golfo schierati con i ribelli siriani.

Battaglia di Aleppo, otto civili uccisi da razzi lanciati dagli insorti – Le persone eliminate risiedevano nella parte occidentale della città sotto il controllo delle forze pro-Assad. Lo riferiscono sia l’agenzia governativa Sana sia l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). I bombardamenti sono stati effettuati sui quartieri di Al Hamdania, Al Jaberia e Maysalon.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » lun nov 21, 2016 7:42 am

Così nel nord dell’Iraq il Kurdistan costruisce la sua indipendenza
I curdi per la prima volta hanno un vero esercito. Lungo i villaggi tolti all’Isis nasce la nuova frontiera
2016/11/20
giordano stabile inviato a beirut

http://www.lastampa.it/2016/11/20/ester ... agina.html

Le nuove frontiere sono riconosciute dai trattati di pace. Ma vengono costruite in tempo di guerra. Mentre la battaglia di Mosul entra nel secondo mese, i bulldozer dei peshmerga curdi lavorano a pieno ritmo fra Bartella e Tall Kayf, lungo un arco a circa venti chilometri di distanza dalla roccaforte dell’Isis. Costruiscono un terrapieno alto tre-quattro metri e, a ridosso, una nuova strada che porta direttamente alle cittadine appena liberate. Una «circonvallazione» che una volta finita la guerra potrà collegare Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, ai territori curdi più a Ovest. Ma potrà segnare anche la nuova frontiera di un Kurdistan indipendente.

Il terrapieno e la strada sono «provvisori» e servono a proteggere, ufficialmente, le truppe curde a guardia del territorio riconquistato dai colpi di mano dell’Isis. Il provvisorio, però, in Iraq diventa spesso definitivo. E per i curdi la distruzione dello Stato islamico rappresenta un’occasione storica. Esattamente come la caduta di Saddam Hussein. Allora, nel 2003, i peshmerga erano entrati anche a Mosul, assieme alle avanguardie della 101
a divisione americana. Oggi, in base agli accordi con Baghdad, i curdi non hanno mire dirette su Mosul.

Tra Bashiqa e Kirkuk

Altrove però i confini del Kurdistan si allargano a vista d’occhio. Nei villaggi attorno a Mosul, come Bashiqa appunto, dove è forte la componente etnica curda e yazida. E in un’ampia fascia di territorio a Sud-Ovest di Kirkuk. La stessa Kirkuk è stata presa nell’estate del 2014, quando lo Stato iracheno era sul punto di collassare e le colonne con le bandiere nere dell’Isis erano a pochi chilometri da Baghdad. A Kirkuk, come a Mosul, i curdi sono una minoranza, attorno al 20%: un referendum dovrà stabilire se la città vorrà far parte del Kurdistan. E tutto dovrà essere deciso da una complessa trattativa sugli assetti futuri dell’Iraq, subito dopo la distruzione del Califfato.

I rapporti di forza conteranno molto. L’Iraq del premier Haider al-Abadi è riuscito a ricostruire il nucleo duro dell’esercito. E si è posto in una posizione di equilibrio fra gli alleati, Stati Uniti e Iran. La realizzazione di un Iraq unito e federale sembra però ancora una chimera. La provincia sunnita dell’Anbar è stata riconquistata al prezzo della distruzione quasi totale di Ramadi e Falluja. Le milizie sciite, Hashd al-Shaabi, hanno un ruolo preponderante nel controllo del territorio. Sono state escluse dalla conquista di Mosul, ma stanno occupando la parte occidentale della provincia di Ninive. Il risultato è un esodo massiccio delle popolazioni arabo-sunnite. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Center di Ginevra, gli sfollati interni iracheni hanno raggiunto i 4 milioni. A ciò si aggiunge l’esodo verso l’estero. Se i cristiani iracheni, dal 2003 al 2015, sono passati da 1,5 milioni a 200 mila, anche gli arabo-sunniti diminuiscono. Secondo cifre ufficiose a Baghdad sono scesi dal 50 al 20% della popolazione.

In questo rimescolamento, innescato dalla follia brutale dell’Isis, il Kurdistan è diventato l’entità irachena più solida. I peshmerga hanno ricevuto blindati, missili anti-tank, artiglieria leggera. Centinaia di istruttori occidentali, in primis italiani, hanno trasformato una forza guerrigliera in un vero esercito che può contare su 160 mila uomini. Gli stessi arabi, sunniti e cristiani, vedono come più sicuro il Kurdistan di Baghdad o dell’Anbar. Il governo di Erbil sostiene di aver accolto «un milione» di sfollati in due anni. «Le nostre sono istituzioni laiche», sottolinea la leadership del Kdp, il partito del presidente Massoud Barzani al potere. Come dire, niente derive settarie che invece incombono su Baghdad.

L’allaeanza con la Turchia

Dal 2003 Erbil ha cambiato volto. Il boom petrolifero l’ha trasformata in una metropoli piena di mall all’americana, grattacieli, mega alberghi come il Diwan. Ora il calo del greggio ha frenato quest’orgia edilizia e asciugato le casse del governo, che fatica a pagare gli stipendi. Ma le prospettive restano solide. Barzani è riuscito a portare dalla sua parte la Turchia, nemico storico dei curdi, con l’avvio di stretti rapporti economici, l’esportazione del petrolio attraverso un oleodotto che passa per l’Anatolia, l’apertura del mercato curdo ai prodotti turchi. Ankara non dimentica poi che Barzani è stato suo alleato negli Anni 90 contro il Pkk.

L’alleanza con la Turchia significa però seppellire il sogno del grande Kurdistan, quasi realizzato fra il 1920 e il 1923, fra il Trattato di Sèvres che aveva creato il primo Kurdistan indipendente, e quello di Losanna, che lo aveva cancellato. A Erbil vanno con i piedi di piombo. Prima il Kurdistan iracheno. Poi, in base ai nuovi equilibri in Siria, forse quello siriano, il Rojava, che sta prendendo forma ma è egemonizzato dai guerriglieri dello Ypg, alleati del Pkk, già in marcia verso Raqqa. Più in là per ora, nemmeno con i sogni, non si va.
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