Basta finanziare il terrorismo nazi maomettano palestinese

Basta finanziare il terrorismo nazi maomettano palestinese

Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:12 pm

Basta finanziare il terrorismo arabo islamico palestinese antiebreaico e gli assassini di Allà
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Ixlam, pałestinexi, ebraixmo, ebrei, Ixraełe
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I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato mai esistito, caso mai i veri palestinesi storici sarebbero gli ebrei
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Basta finansiar el terorixmo ixlamego pałestinexe antiebreo

Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:13 pm

Basta finansiar i palestinexi par copar i ebrei; ke łi enpare a laorar.

Palestina: scomparso un mare di soldi
apr 10, 2013

http://www.rightsreporter.org/palestina ... e-di-soldi

La Palestina è il maggior beneficiario di finanziamenti internazionali per lo sviluppo, almeno per quanto riguarda la somma procapite. Nell’ultimo anno sono stati erogati ai palestinesi 11,7 miliardi di dollari (varie fonti tra cui UE, ECHO, WB, ONU, UNRWA ecc. ecc.). Solo il Pakistan ha avuto di più (la Repubblica Democratica del Congo segue di poco), ma la differenza procapite tra Palestina e Pakistan è abissale (3.760.000 abitanti della Palestina contro 176.745.364 del Pakistan e 67.757.577 della RD Congo).

Per fare un esempio comprensibile i palestinesi hanno ricevuto dalla comunità internazionale la somma procapite di 3.100 dollari contro i 174 dollari procapite dei congolesi e addirittura 74 dollari dei pakistani.

Bene, secondo un rapporto ONU che i burocrati del Palazzo di Vetro si guardano bene dal diffondere, nei territori palestinesi sono stati spesi per lo sviluppo solo 1,3 miliardi, cioè solo 345 dollari procapite. Dove sono i rimanenti 10,4 miliardi di dollari?

Cerchiamo di capire dov’è finito questo mare di soldi. Una parte non trascurabile se la sono bevuta alcune ONG che avevano presentato dei progetti, poi finanziati ma mai implementati (il sistema di ONG che gira intorno alla questione palestinese è impressionante e quasi mai limpido). Un’altra parte considerevole è andata nel pagamento dei dipendenti delle tante organizzazioni che ruotano attorno alla questione palestinese (ONG, ONU, UNRWA, la vecchia OLP e la nuova ANP, ma anche Hamas). Tanti soldi sono stati destinati al finanziamento dei media vicini alla causa palestinese (e non necessariamente i media sono palestinesi). Poi ci sono le rappresentanze diplomatiche palestinesi all’estero (ANP e Hamas). Un’altra parte considerevole si pensa sia stata destinata all’acquisto di armi. E poi? Beh, poi ci sono i conti esteri di Abu Mazen, della sua famiglia e di tutta la nomenclatura palestinese (Fatah e Hamas, senza distinzioni). Di molti soldi si sono proprio perse le tracce, ma i conti sono impietosi. Il fatto certo è che i conti palestinesi sono fumosi, poco chiari e senza nessuno che li controlli.

Quello che rimane francamente incomprensibile è che questi numeri ce li hanno tutti a partire dai maggiori donatori (Unione Europea, Stati Uniti, World Bank e Giappone) fino ai più piccoli, ma nessuno dice niente o chiede conto di questo incredibile squilibrio tra denaro erogato per lo sviluppo e denaro effettivamente speso.

Si continua imperterriti a dare la colpa del sottosviluppo palestinese a Israele, alle colonie, ai blocchi e al muro di sicurezza quando invece appare chiaro che le colpe stanno da tutt’altra parte.

Sul perché di tutto questo ci sarebbe da aprire una seria discussione, ma ogni volta che si parla di Palestina e di palestinesi il mondo sembra avere la mortadella sugli occhi. Dietro agli “aiuti umanitari” ai palestinesi c’è un vero sistema di truffa globale che non può più essere taciuto.

Noemi Cabitza
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Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:13 pm

Denaro buttato per la Palestina
di Cristofaro Sola
31 ottobre 2013

http://www.opinione.it/esteri/2013/10/3 ... 31-10.aspx

Quando c’è crisi e si fanno sacrifici inenarrabili per tirare avanti, anche i remoti echi di sprechi lontani rimbombano nei nostri timpani come note stonate. E fanno male quelle note, molto male a quanti, come molti italiani, sono alla canna del gas. La notizia ci giunge dalla stampa estera giacché i nostri media sono troppo concentrati sulle risse del cortile di casa nostra per preoccuparsi di segnalare ciò che avviene altrove. Si tratta dei contributi che l’Unione Europea elargisce, a titolo di solidarietà, all’Autorità Palestinese.

I fondi dovrebbero di regola essere destinati a progetti di sviluppo per i territori “occupati” da Israele e rivendicati dai Palestinesi. Di questi contributi se n’è già parlato a proposito del fatto che l’Ue abbia deciso di negare alle persone e agli enti di nazionalità israeliana residenti nelle zone collocate al di fuori della linea verde, il diritto a concorrere ai bandi di gara per l’assegnazione dei finanziamenti, a partire dall’annualità 2014, perché considerati alla stregua di occupanti illegali dei territori-bersaglio dell’intervento Ue. Nel contempo, però, con spudorato doppiopesismo si consente ai soggetti privati afferenti all’Olp o all’Autorità Palestinese l’opportunità di accedervi senza che siano richieste formali dichiarazioni in ordine al riconoscimento del diritto all’esistenza pacifica dello Stato d’Israele e alla sicurezza dei suoi confini.

Ora il settimanale britannico “Sunday Times” ci informa dell’esistenza di un rapporto della Corte dei Conti Europea nel quale si asserisce che nel periodo di esercizio 2008/2012, l’Autorità Palestinese “abbia sprecato, sperperato o perso nella corruzione almeno 1,95 milardi di euro” concessi dall’Ue in aiuti allo sviluppo. In pratica, gli ispettori europei svolgendo un audit sui progetti finanziati si sarebbero accorti che i denari erogati siano finiti dappertutto tranne che nelle iniziative per le quali erano stati concessi fondi in misura, oserei dire, generosa.

Sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo visto che il rapporto non è ancora stato depositato e quelle raccolte dal Sunday Times pare siano indiscrezioni ufficiose, che i controlli abbiano evidenziato un alto livello corruttivo presente nella burocrazia palestinese a cui è stato affidato il compito della gestione dei fondi. Un’indagine di “Trasparency International”, una Ong con sede a Berlino, a cui si deve la creazione di uno specifico indicatore che è l’Indice di corruzione percepita (Cpi), rileva che tra i dirigenti palestinesi il fenomeno del nepotismo sia divenuto un costume abituale nella gestione della cosa pubblica.

Riguardo agli accadimenti registrati nella striscia di Gaza, la fonte giornalistica sostiene che i soldi siano stati impiegati per finanziare altri tipi di iniziative. Dal momento che ad amministrare Gaza ci sono le forze di Hamas, branca dei Fratelli Musulmani in Palestina, non bisogna essere un genio per intuire quale destinazione abbiano avuto i nostri denari. Già, i nostri denari, perché presi come siamo da questo autodafé quotidiano sulle nostre incapacità rispetto alle virtuosità degli altri partner europei, facilmente dimentichiamo che lo Stato italiano sia un contributore netto dell’Ue.

Anzi, nel 2011, siamo stati il primo contributore netto dell’Unione. Tradotto: diamo più soldi all’Europa di quanti ne riceviamo in aiuti. Ne consegue che quel denaro, stanziato per progetti mai realizzati in terra di Palestina, era anche nostro. Ci apparteneva. Avrebbe potuto aiutare le nostre tante imprese in difficoltà oppure alleviare un po’ del disagio che le famiglie italiane provano per l’eccessivo carico fiscale che devono sopportare. E noi, invece, l’abbiamo dato all’Ue perché lo elargisse a quei galantuomini dei politici palestinesi cosicché potessero migliorare lo stato, già pingue, delle loro finanze personali o potessero dilettarsi a comprare armi per fare terrorismo.

Forse il nostro denaro è servito alla costruzione del più efficiente tunnel, scoperto qualche giorno fa dagli uomini dell’Idf, che da Gaza penetra per 2,5 chilometri di profondità in territorio israeliano. Secondo gli esperti la galleria, attrezzata con binari per vagoni e illuminazione, è stata costruita per colpire obiettivi civili e militari dentro Israele.

È a questo tipo di sviluppo che abbiamo contribuito? Nella Carta di Hamas, lo statuto del Movimento di Resistenza Islamico, all’articolo 8 c’è scritto: “Allah è il suo fine, il Profeta il suo capo, il Corano la sua costituzione, il Jihad il suo sentiero e la morte per la gloria di Allah il suo desiderio più caro”. Non mi pare che queste belle intenzioni siano presenti negli atti istitutivi dell’Unione Europea. Se si accettano soldi da qualcuno un po’ di decenza vorrebbe che almeno gli elementari princìpi di diritto naturale venissero condivisi con chi ti tende una mano per aiutarti.

Proprio per niente! La logica resta quella della violenza assassina per combattere i “nemici sionisti” e i loro alleati. E se questa banda di delinquenti sanguinari non ha fatto maggior danno lo si deve solo all’azione di contrasto svolta con successo in questi anni da Israele. Azione che noi europei intendiamo indebolire, regalando a pioggia finanziamenti ai terroristi perché realizzino atti criminali, magari più efficaci grazie al supporto di nuova tecnologia, aquistata con denaro fresco proveniente direttamente dalle casse dell’Unione Europea.

Nella carta costitutiva dell’organizzazione terroristica si legge: “L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei”.

Ecco chi abbiamo finanziato! Mi chiedo, allora, dove siano i custodi professionisti del moralismo italiano, pronti a puntare l’indice accusatore verso i propri nemici nostrani che sono sempre, guarda caso, corrotti e corruttori, frodatori dello Stato e dell’Ue, truffatori di ogni risma. Insomma, “mariuoli”. E di quelli invece che portano la kefiah, e gridano “morte a Israele, e morte ai suoi sodali occidentali”, nel mentre contano le banconote di cui i “crociati” hanno voluto graziosamente omaggiarli, che cosa pensano? Cosa dicono i valenti Savonarola del giorno dopo di questo latrocinio perpretato ai nostri danni? Una convincente risposta nel merito sarebbe gradita.



Palestina, aiuti umanitari e ONG: un business milionario (report)
Miriam Bolaffi
Mag 14, 2013

http://www.rightsreporter.org/palestina ... rio-report

Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un report dove segnalavamo che erano spariti un mare di soldi dagli aiuti umanitari e per lo sviluppo destinati alla Palestina e gestiti dalla ANP. Ora ci vogliamo concentrare sul grande “business umanitario” che gira intorno alla questione palestinese partendo dai soldi che costa a noi europei, cioè partendo dai soldi donati dall’Unione Europea (e quindi da noi) alla ANP, ad Hamas e alle tante ONG che operano da quelle parti.

Ci siamo sempre chiesti come mai le ONG che operano in Cisgiordania, a Gaza e persino in Israele avessero un comportamento anomalo rispetto al concetto stesso di “Organizzazione Non Governativa” che vorrebbe queste organizzazioni apolitiche e mai schierate. Avevamo qualche sospetto che dietro a questo comportamento ci fossero interessi prettamente economici oltre ad un odio ingiustificabile verso l’unica democrazia in Medio Oriente, Israele, ma fino ad ora i dati pubblici dei fondi destinati alle ONG erano praticamente introvabili e anche ora le omissioni sono tante (per esempio le specifiche e le rendicontazioni dei progetti sono introvabili o custodite come segreti di Stato). Tuttavia ora siamo in grado di farci almeno una idea del “business umanitario” che ruota attorno alla questione palestinese.

Partiamo dai dati ufficiali (fonte Unione Europea): secondo i dati diffusi dall’Unione Europea, nel 2012 la Palestina ha ricevuto dalla UE qualcosa come 156 milioni di Euro destinati alle sole spese ricorrenti della Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Nel 2013 l’Unione Europea ha già inviato alla ANP 168 milioni di Euro per lo stesso motivo (spese ricorrenti della ANP) e siamo solo a maggio. Questi “spiccioli” vengono erogati attraverso il meccanismo PEGASE (Mécanisme Palestino-Européen de Gestion de l’Aide Socio-Economique) che poi altro non è che “il meccanismo europeo per sostenere l’Autorità Palestinese nel raggiungimento delle finalità della riforma triennale denominata Palestinian Reform and Development Plan (PRDP) avviata nel 2008” (alla faccia del triennio). Solo che i programmi di sviluppo sono conteggiati a parte ed esulano dal meccanismo PEGASE. L’Unione Europea individua tre settori chiave per lo sviluppo della Palestina:

stato di Diritto che include anche il supporto alla giustizia e alla sicurezza
settore privato e commerciale
infrastrutture, in particolare quelle dedicate all’acqua

vediamo allora quanto ha sborsato l’Unione Europea nel 2012 per questi tre settori. 11 milioni di Euro per la ricostruzione del settore privato; 25 milioni di Euro per lo sviluppo delle infrastrutture nella Striscia di Gaza e nella zona C; 27,5 milioni di Euro per la costruzione istituzionale e per progetti a sostegno dell’Autorità palestinese; 8 milioni di Euro per progetti a Gerusalemme est. L’Unione Europea prevede che nel 2013 questi numeri saranno “rafforzati” mentre el priorità rimarranno le stesse.

Finito qui? Nemmeno per idea. Ci sono poi i cosiddetti “rifugiati palestinesi” che, come sappiamo, sono rifugiati solo per l’UNRWA ma non per il Diritto Internazionale. Negli ultimi due anni l’Unione Europea ha versato direttamente nelle casse del UNRWA la somma di 80 milioni di Euro diventando così il primo donatore dell’organismo Onu dedicato ai palestinesi. Questo finanziamento è utilizzato per coprire i servizi e i programmi di base dell’UNRWA nei settori della sanità, dell’istruzione e dei servizi sociali ed è essenzialmente utilizzato per pagare gli stipendi per gli insegnanti, medici e operatori sociali attivi nei campi profughi.

Siete impressionati? Beh, lasciate stare perché non abbiamo ancora finito. Adesso arriva il bello. Dovete sapere che siccome a Bruxelles non erano contenti di tutti questi soldi (che spariscono sistematicamente nel nulla) hanno pensato bene di aggiungere “fondi aggiuntivi” destinati a programmi di sviluppo tematici da destinare più che altro alle ONG. Per programmi di “sicurezza alimentare” (che dovrebbero spiegare cosa significa) sono stati spesi 11 milioni di euro sia nel 2011 che nel 2012 per un totale di 22 milioni di euro in due anni. Per i “programmi per la pace” (sic) sono stati stanziati 10 milioni di euro sia nel 2011 che nel 2012 (altre 20 milioni di euro in due anni). Per l’assistenza umanitaria l’Unione Europea ha stanziato nel 2012 la cifra di 42 milioni di Euro dati in gestione a ECHO e quindi alle ONG. Un supplemento ai fondi aggiuntivi è stato destinato dalla UE alla UNRWA per progetti alimentari e di sviluppo per un totale di 24 milioni di euro nel periodo che va dal 2007 al 2013. Nel corso dell’anno corrente (2013) per far fronte alla impennata dei prezzi l’Unione Europea dovrebbe stanziare sempre a favore della UNRWA la somma di 40 milioni di ero già accantonati per il periodo 2009 / 2011. Nel 2012 altri 7,5 milioni di euro sono stati stanziati sempre a favore della UNRWA per progetti a Gaza, mentre ECHO sempre per progetti a Gaza ha beneficiato di altri 16,7 milioni di euro.

Ora, se non sbaglio i conti stiamo parlando di 647,2 milioni di euro (ai quali andrebbero aggiunte le somme che ogni Stato destina alla Palestina singolarmente). Di questi più di un terzo (oltre 250 milioni di Euro) sono destinati attraverso varie strade alle ONG (soprattutto attraverso ECHO e l’UNRWA) per progetti che difficilmente qualcuno controlla (gli unici che fanno controlli sono quelli di ECHO). Il risultato è che il tanto sbandierato sviluppo in Palestina non si vede nonostante i tantissimi milioni di Euro stanziati dalla UE. Le ONG tendono a dare la colpa di tutto questo a Israele (il muro, le colonie, ecc. ecc.) e intanto continuano a prendere soldi senza sviluppare niente. Come mai? Qualcuno è in grado di spiegare tutto questo? Qualcuno sa dirmi perché centinaia di migliaia di euro destinati alle ONG per progetti di sviluppo non sortiscono alcun effetto?

E’ possibile allora parlare di “business umanitario” senza scadere nel complottismo? E’ possibile sospettare che a molti di questi “organismi umanitari” (non tutti, ce ne sono anche di seri) convenga che la situazione in Palestina non cambi? Qualcuno sa spiegarmi perché le priorità umanitarie di Gaza (e relativi stanziamenti) si basano ancora su un rapporto scritto nel 2009 quando tutti sanno che la situazione a Gaza è oggi completamente diversa?

In un momento in cui a causa della crisi globale i fondi destinati allo sviluppo sono stati drasticamente tagliati da tutti gli organismi mondiali, gli unici a non avere alcun problema a reperire fondi sono le organizzazioni che operano in Palestina. E spesso per arrivare al loro obbiettivo (l’accesso ai fondi) non esitano a diffondere notizie false e faziose finendo così per alimentare odio ingiustificato nei confronti di Israele al solo scopo di avere enormi benefici economici. Per capirlo basterebbe fare una comparazione con i fondi destinati ad altre aree dove la situazione è molto (ma molto) peggiore di quella in Palestina, come alcune aree africane interessate da conflitti violentissimi e da una situazione di povertà assoluta. Se si pensa poi che ci sono ONG che operano unicamente in Palestina si capisce come il “business umanitario” palestinese non sia pari a nessuno.

Fino ad oggi in tanti si chiedevano dove prendessero i soldi tutte quelle organizzazioni che operano in Cisgiordania e a Gaza, da dove provenissero i fondi che alimentano le tante campagne di disinformazione contro Israele. Adesso lo sappiamo. Per buona parte sono soldi nostri.
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Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:14 pm

Finanziamenti ai palestinesi
http://www.focusonisrael.org/tag/finanz ... alestinesi

Ancora corruzione nel “governo” di Abu Mazen
Emanuel Baroz
13 agosto 2015
di Emanuele Vena

http://www.focusonisrael.org/2015/08/13 ... -abu-mazen

Un documento – firmato da Majdi Al-Khaldi, consigliere diplomatico del presidente Abu Mazen – in cui si chiedono 4 milioni di dollari al Bahrein per finanziare un complesso residenziale di lusso per i funzionari governativi palestinesi. O, ancora, un atto che dimostra le richieste avanzate da Nazmi Muhanna – direttore generale dell’autorità che sorveglia la frontiera con Israele – di sovvenzioni pubbliche per l’istruzione della figlia e l’assistenza medica della famiglia. Sono gli ultimi esempi, resi pubblici dall’Associated Press, che riportano alla luce la piaga della corruzione nella politica – e, nello specifico, nel governo – della Palestina.
La diffusione dei documenti ha provocato l’indignazione del popolo palestinese, espressa a gran voce in particolar modo tramite i social media. Del resto, per buona parte della popolazione Abu Mazen è colpevole di aver ritardato per fin troppo tempo la proclamazione di nuove elezioni – l’ultima tornata elettorale risale al lontano 2005 – con tutto ciò che ne concerne, a partire dallo scarso livello di controllo della presentabilità morale dei suoi fedelissimi di governo, nonostante riforme a lungo promesse ma ad oggi disattese.
Gli osservatori dichiarano che il livello di corruzione è più basso rispetto al periodo antecedente la morte di Yasser Arafat. Ma Amzi Shoab, capo di Aman – associazione che fa riferimento a Transparency International, l’organizzazione internazionale che porta avanti la lotta alla corruzione su scala globale – segnala ancora l’esistenza di “grandi buchi neri” diventati “regni privati di alcuni funzionari pubblici”, a partire dal “sistema finanziario ed amministrativo”, da riformare in maniera urgente. Del resto, l’ultimo Barometro diffuso dalla stessa Transparency International nel 2013 non dipingeva un quadro propriamente roseo, con appena un palestinese su 4 che considerava la corruzione in calo e con il 42% degli intervistati che considerava i partiti politici del Paese come corrotti o estremamente corrotti.
La stessa Transparency nel 2014 ha denunciato una grave situazione a seguito dell’offensiva portata da Israele a Gaza, che aveva provocato seri danni sul piano logistico all’attività portata avanti dall’organizzazione. Quali sono le cifre della cattiva gestione? Secondo un rapporto della Corte dei Conti dell’Unione Europea, tra il 2008 ed il 2012 sarebbero andati dispersi oltre 3 miliardi di dollari di aiuti esteri alla Palestina. Mentre la Banca Mondiale nel 2010 parlava dell’esistenza di oltre 13 mila impiegati statali “fantasma”. Una situazione destinata a perdurare, almeno fintantoché non cesserà lo stallo parlamentare creato dal conflitto tra Hamas e Fatah, dalla cui risoluzione passa, tra le altre cose, anche la creazione di un serio meccanismo di controllo delle assunzioni pubbliche e di una corruzione e nepotismo arrivati ormai a livelli ormai endemici.
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Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:14 pm

È di nuovo scontro fra Bruxelles e Gerusalemme
mercoledì 27 gennaio 2016

http://www.ilborghesino.blogspot.it/201 ... les-e.html

È di nuovo scontro fra Israele e l'Unione Europea. La contesa verte all'apparenza su una questione di poco conto: una strada sconnessa e poco praticabile di circa quattro chilometri, che corre alla periferia di un villaggio nei pressi di Betlemme, nel West Bank. Ma su questa strada si scontra una differente concezione del Diritto internazionale.
L'Unione Europea sta finanziando la realizzazione di strade ed edifici nel West Bank, nel lodevole tentativo di dotare i palestinesi di efficienti infrastrutture, nel momento in cui dovessero essere conseguite le condizioni per la proclamazione di uno stato indipendente. Sfortunatamente, numerose iniziative di questo tipo sono platealmente realizzate nell'area C: quella che gli Accordi di Oslo, sottoscritti in Norvegia fra israeliani e palestinesi con il patrocinio della stessa Unione Europea, assegna alla piena giurisdizione di Gerusalemme. Israele dunque ha il diritto - e, secondo il diritto internazionale, anche e soprattutto il dovere - di garantire sicurezza e ordine pubblico in questa area, e di amministrarla al meglio.
Ciò include la facoltà di concedere licenze edilizie. Non essendoci uno stato a cui sono riconducibili queste aree, qualunque soggetto - sia esso privato, pubblico o sovranazionale - che desideri piantare anche soltanto una tenda, deve ottenere il preventivo benestare di Gerusalemme. Altrimenti, compie un illecito amministrativo, e viola il diritto internazionale sancito nel 1993, e ratificato a Parigi nel 1995.
Ma Bruxelles ha una strana concezione del diritto. O meglio: lo genera arbitrariamente a proprio piacimento. E finanzia copiosi progetti edilizi nell'area C del West Bank, nell'evidente tentativo di creare un precedente, e uno stato di fatto: una volta costruite abitazioni, capannoni, edifici e strade, diventa problematico negarne la destinazione. E così sistematicamente si assiste alla pantomima di macchine movimento terra con ben evidente lo stemma blustellato dell'Unione Europee, intente a tirar su improbabili infrastrutture, che ruspe con ben evidente la stella di David demoliscono senza sconti. Soltanto nei primi cinque mesi dello scorso anno ben 41 strutture, costate ai contribuenti europei oltre 235.000 euro, sono state smantellate perché prive di concessione edilizia.
Nell'area C del West Bank vivono circa 300.000 palestinesi e 370.000 israeliani. Da tempo si discute circa l'opportunità di annettere quest'area, al pari di quanto fatto con le Alture del Golan. La contesa attorno alla nuova strada che corre ad una dozzina di chilometri della capitale israeliana accende nuovamente la disputa fra Gerusalemme e Bruxelles, ai ferri corti dopo la decisione dell'Unione Europea di marchiare i prodotti israeliani realizzati in Giudea, Samaria, Alture del Golan e quartieri orientali di Gerusalemme.
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Messaggioda Berto » dom gen 31, 2016 10:15 pm

Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi co łi so sostenidori e conpliçi cristiani)

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Epifania, profughi musulmani a pranzo dal cardinale Scola
In curia una famiglia palestinese reduce da una lunga odissea: nati e vissuti a lungo in Iraq dopo la fuga del nonno nel 1948, sono emigrati in Siria e poi in Turchia
di Giampiero Rossi
6 gennaio 20160

http://milano.corriere.it/notizie/crona ... 2f89.shtml

La messa solenne alle 11, i vespri per l’Epifania alle 16, sempre in Duomo. In mezzo, il pranzo in Arcivescovado con una famiglia di profughi palestinesi musulmani. Il 6 gennaio è sempre una giornata intensa, per il cardinale Angelo Scola. Oltre alla doppia celebrazione, infatti, anche quest’anno l’arcivescovo ha scelto l’Epifania per ospitare a pranzo persone in difficoltà. L’anno scorso una rappresentanza dei detenuti del carcere di Opera, stavolta i nove componenti della famiglia Hamdawi, palestinesi di fede islamica, riproponendo con questa scelta temi ricorrenti nei suoi interventi pubblici: l’accoglienza agli immigrati e ai rifugiati, il dialogo tra le religioni.

Come racconta il figlio maggiore Khaled, gli Hamdawi hanno alle spalle un’autentica odissea. Sono nati e hanno vissuto a lungo in Iraq, dopo la fuga dalla Palestina del nonno, nel 1948. A Bagdad il capofamiglia aveva un grande garage, ma a causa della loro origine, per gli Hamdawi vivere nell’Iraq disgregato del dopo-Saddam è diventato pericoloso. Decidono quindi di partire: prima vanno in Siria, poi in Turchia.

Ma le condizioni di vita degli (allora) otto componenti della famiglia non migliorano, anzi si ritrovano a vivere in una tenda, per due anni, in un campo profughi con duemila persone. La tappa successiva è l’Italia, dove nel 2010 ottengono una casa. Ma dura poco, perché arriva l’espulsione. «Per due settimane abbiamo dormito in stazione a Roma, poi siamo partiti per la Svezia, dove abbiamo chiesto asilo politico - racconta ancora Khaled - . Lì siamo rimasti un anno e poi, quando è nata la mia ultima sorella, siamo tornati in Italia, finché non abbiamo avuto tutti i documenti». La famiglia è allora partita per la Danimarca, dove è rimasta due anni e mezzo. E poi di nuovo in Italia: tre notti alla Malpensa e otto mesi a Casa Suraya: «Da un mese e mezzo siamo a Cinisello Balsamo, e possiamo rimanere per un anno e mezzo. I miei fratelli hanno cominciato ad andare a scuola, io e mio padre cerchiamo un lavoro. Vogliamo inserirci, voglio anche riprendere a studiare».

C’è gratitudine «immensa» verso gli italiani: «A Casa Suraya è come se avessimo una famiglia. A Cinisello ci troviamo bene con la gente della parrocchia. Vado anche a fare volontariato alla Caritas e a dare una mano con i profughi alla Stazione». E il pranzo con Scola? «È un onore e un piacere andare dall’arcivescovo. Siamo felici di trascorrere del tempo con lui».



Nota mia:
Questi cristiani di sinistra o cattocomunisti, laici e clerici, assieme ai sinistri di ogni gradazione, sono veri e propri antisemiti/antebrei che attuano/esercitano il loro razzismo persecutorio verso gli odiati ebrei, per procura, finanziando e sostenendo il nazismo terrorista antisraeliano dei nazislamici arabo palestinesi che sono divenuti veri mercenari dell'occidente cristiano e dell'oriente islamico contro gli ebrei di israele detti sionisti.
Questi nazislamici arabo palestinesi vivono o traggono sostentamento con il mercenariato razzista e criminale antisraeliano.
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Messaggioda Berto » mar feb 02, 2016 3:39 am

Tunnel sotterranei, Netanyahu avverte Hamas: “Risponderemo con più forza che nel 2014”
1 febbraio 2016

http://www.linformale.eu/tunnel-sotterr ... e-nel-2014

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto all’opposizione che aveva accusato il governo di non aver agito tempestivamente contro i tunnel del terrore scavati da Hamas tra Gaza e Israele, annunciando l’intenzione di far saltare i passaggi sotterranei e di agire con molta più forza di quella usata nella guerra del 2014.

“Stiamo lavorando con metodo e con calma contro tutte le minacce, comprese le minacce di Hamas, con misure sia difensive sia offensive. E, naturalmente, in caso venissimo attaccati dalle gallerie sotterranee costruite nella Striscia di Gaza, agiremo con forza contro Hamas, con molta più forza di quella usata durante l’operazione Margine di Protezione”, ha detto Netanyahu nella conferenza stampa di ieri.
Secondo notizie recenti, il gruppo terroristico ha ricostruito molti dei tunnel distrutti durante il conflitto dell’estate 2014. Alcuni alti funzionari dell’IDF stimano che il numero delle gallerie è ormai quasi lo stesso rispetto a prima dell’Operazione Margine di Protezione.

Netanyahu, che è anche ministro degli esteri israeliano, ha assicurato che Israele avrà il sostegno internazionale qualora fosse costretto ad avviare un’altra campagna per distruggere i tunnel e ha consigliato ad Hamas di non “provarci”. “Penso che tutti lo capiscano qui da noi e che lo comprendano nel resto del mondo”, ha continuato. “Spero che non avremo bisogno di intervenire, ma le nostre capacità – sia difensive sia offensive – si stanno sviluppando rapidamente.”

In precedenza il leader dell’opposizione Isaac Herzog aveva accusato il governo di essere “inattivo” e invitato Netanyahu a bombardare le gallerie, avvertendo il rischio di un possibile futuro spargimento di sangue in caso di mancato intervento. “La leadership politica deve fornire una risposta pubblica chiara ai cittadini. Bisogna smetterla di esitare”, ha detto Herzog. “Bisogna dare ordine all’IDF di bombardare i tunnel e distruggere questa minaccia. Soprattutto se ci sono gallerie che hanno già attraversato il confine con Israele. Perché stiamo aspettando? Aspettiamo forse che terroristi, con le loro armi in pugno, arrivino in un kibbutz o in un insediamento? Il primo ministro e il ministro della difesa devono fornire una risposta ai cittadini”.

“Un giorno, ci sveglieremo e scopriremo che, ancora una volta, abbiamo sottovalutato la gravità della minaccia”, ha aggiunto Herzog. “E ci costerà sangue e terribile dolore”.
Sabato scorso, Hamas ha diffuso un nuovo video di propaganda in cui si lodano i combattenti che”faticano giorno e notte” per costruire i tunnel. Giovedì erano morti almeno sette terroristi, rimasti intrappolati sotto le macerie di una galleria crollata.
I residenti israeliani in zone vicine alla Striscia di Gaza hanno detto che durante il fine settimana quel tunnel era giunto così vicino alle loro case da aver sentito tremare i pavimenti. Hanno anche espresso disappunto per il fatto che non sia stata mantenuta la promessa di costruire barriere protettive contro i tunnel del terrore dopo l’Operazione Margine di Protezione del 2014.
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Basta finansiar el terorixmo ixlamego pałestinexe antiebreo

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2016 8:57 am

Ki ke boicota Ixrael lè on rasista antisemita, antiebreo, antixraełian, fiankexador e sostenidor de łi teroristi sasini palestinexi e xlameghi:

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... iebrei.jpg

BOICOTTA CHI? - LETTERA CONTRO IL BOICOTTAGGIO DEL TECHNION DI HAIFA DA PARTE DI ALCUNI ACCADEMICI ITALIANI | di Gabriel Levy

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 7190175976

Cari amici,

ieri è apparsa sul web una nuova campagna di boicottaggio contro il Technion, il Politecnico di Haifa (Israele), campagna che è stata firmata da 168 docenti e ricercatori accademici italiani.
La campagna è dotata di un appello dove vengono spiegate le motivazioni del boicottaggio.

Il mio problema è che comincio a non capire una cosa: chi dobbiamo boicottare?

Dalla TV ho appreso nei mesi scorsi che bisogna segnalare e boicottare i prodotti israeliani provenienti dai territori occupati, mentre per le strade della mia città vedo manifesti che invitano a boicottare Israele in generale.

Ora un gruppo di 168 accademici ci dice che dobbiamo boicottare il Technion.

Comincio a sentire un pò di confusione.

Ecco, vorrei dire a questi 168 accademici che prima di dare un giudizio su qualcosa, è bene che si informino su quella cosa.

Lasciando da parte la millenaria disputa dei territori contesi o occupati, ed anche quella di chi c’era prima e cosa c’era dopo, vorrei raccontare ai 168 accademici che cosa è il Technion, oggetto del loro boicottaggio, visto che ho avuto il piacere di laurearmi al Technion in Ingegneria Informatica ed Ingegneria Gestionale, nei lontani anni ‘80.

Il Technion è un Istituto Tecnologico che comprende 18 facoltà di ingegneria e medicina, biologia ed architettura, fisica e chimica, in cui circa 1200 docenti insegnano a 13000 studenti materie tecnologiche e non solo.

Nel Technion studiano studenti di tutte le etnie e le religioni, circa il 20% degli studenti è arabo, e naturalmente ci sono anche ebrei, buddhisti ed anche tanti atei.

Tra i vari palazzi di questa città-studi ci sono le facoltà universitarie, le case dello studente, le mense , le biblioteche la piscina, il campo da calcio e le sale informatiche.
Il Technion è stato fondato nel 1912, ma l’erogazione dei corsi è iniziata solo nel 1923.
Il primo rettore del Technion si chiamava Albert Einstein.

Nel 1962 al Technion apre la Facoltà di Informatica.

Nel 1969 quella di Ingegneria Biomedicale.

Nel ranking mondiale delle università tecniche, il Technion è posizionato al posto numero 29.

Diversi sono i premi Nobel usciti da questa scuola.

All’inizio degli anni ‘80 frequentai il Technion per quasi un decennio.

In una delle costruzioni c’era un corridoio con tanti uffici con porte aperte e dentro due sedie e un tavolo.

Il corridoio si chiamava “Incubator”, incubatore.

Lì, nell’incubatore, chiunque si poteva presentare con una idea di business ed il sistema scuola gli dava una sede, un micro budget, un ricercatore di fondi (oggi si chiamano Seed Capital), uno o più persone di supporto per sviluppare l’idea.

Se l’idea prendeva piede, l’ufficio si spostava in una zona industriale più o meno vicina, liberando cosi’ un micro ufficio per la prossima idea.

Se fate un giro per la zona industriale di Haifa, vedrete palazzi che si chiamano Google e Microsoft, Facebook e Intel, Yahoo e Waze.

Mica noccioline...

Oggi questa roba si chiama “startup economy”, ed è la cosa più rivoluzionaria che sia successa nella storia del pensiero economico dopo la definizione del plusvalore da parte di “Carletto” Marx.

L’economia delle startup ha infatti dimostrato che lavoro e ricchezza si sviluppano la dove c’è innovazione e tecnologia, ricerca e sviluppo, diversità e disciplina organizzativa.
Può darsi che 168 accademici italiani vogliano boicottare il Technion, ma vorrei fare notar loro una cosa: probabilmente ognuno di loro usa un computer o cellulare dove vi sono dentro decine se non centinaia di prodotti e algoritmi israeliani, magari realizzati proprio dal Technion e dai suoi laureati. Se comprate un prodotto in una farmacia italiana, avete il 10% di probabilità di comprare un prodotto israeliano, magari realizzato proprio dai tecnici usciti dal Technion. Se vai in ospedale, rischi che ti salvino la vita con un macchinario o un software israeliano, inventato proprio al Technion...

Negli ultimi anni le campagne di boicottaggio hanno fatto molti danni, soprattutto ai palestinesi, quelli che lavoravano nelle fabbriche boicottate. Ad esempio alcune settimane fa 90 famiglie palestinesi hanno perso il lavoro che li sosteneva, quando, grazie proprio al boicottaggio, la fabbrica israeliana Sodastream ha dovuto chiudere i battenti.

Ora che volete boicottare il Technion, sappiate che anche li c’è gente di tutte le etnie e le religioni che non ha nessuna voglia di perdere il proprio posto di lavoro, per cui se ne strafrega altamente del vostro boicottaggio: un mese fa il Technion ha aperto una mega sede in Cina, e migliaia di cinesi ed altri asiatici vengono a imparare come si crea innovazione in Israele.
E ben vengano anche gli accordi tra le migliori università italiane ed il Technion, e auguriamoci che i risultati della collaborazione tecnologica Italia-Israele diano presto importanti frutti che creino sviluppo e lavoro per i due popoli e per il mondo intero.

E mi chiedo però una sola cosa: voi 168 accademici, siete in Italia, che vista da Israele è un bellissimo posto, e da li a qui o da li alla Siria, più o meno è la stessa distanza.

Io non so che cosa vi raccontano nei media oltre al fatto che i soldati israeliani mangiano i bambini arabi, ma a pochi chilometri da qui, in Siria, sta succedendo da anni un massacro che non si allontana molto da un paio di mesi di Auschwitz.
In Siria ci sono stati 300 mila morti e dieci milioni di profughi negli ultimi anni.

Noi israeliani abbiamo costruito un ospedale da campo al confine siriano dove 1653 siriani feriti sono sinora venuti a farsi curare. Inoltre vi sono nel paese organizzazioni umanitarie che collaborano alacramente con i nuovi campi profughi che sono sorti, ad esempio, in Giordania e diamo anche una mano con team paramedicali sull’isola di Lesvos.

Voi 168 accademici italiani, che cosa state facendo di realmente operativo per aiutare la tragedia umanitaria che si sta svolgendo in quel luogo che era chiamato “Siria”?

Avete boicottato Assad, che ha fatto gettare barili riempiti di dinamite sui condomini dei propri concittadini a Damasco?

Avete protestato per le strade di Milano quando l’ISIS ha massacrato migliaia di Yazidi e Cristiani?

Avete manifestato contro i bombardamenti turchi che stanno uccidendo centinaia di curdi?

Vi state muovendo contro l’impiccagione di centinaia di gay all’anno in Iran?

No, non vi state muovendo, voi vi svegliate solo quando si può accusare Israele o gli Stati Uniti.

Avete lasciato il terreno libero a Salvini.

Quando vedo Salvini protestare contro l’impiccagione dei gay, mi rendo conto che in Italia la destra si e’ presa il ruolo della sinistra....

Come se protestare contro gli Ayatollah fosse “di destra”: Salvini quando dice NO alla Shariya, è più di sinistra di chi non la vuol veder arrivare.

Protestare contro l’integralismo islamico non è di destra, ma è una azione di sinistra: l’integralismo islamico, la Shariya, e’ la piu’ depravata, fascista, nazista, totalitaria legislazione civile diffusa al mondo.

E protestare contro il fascismo non è di destra.

La Shariya è di destra, non Salvini o Geert Wilders.

Allora, cari 168 accademici, vi auguro solo che i vostri nomi non diventino famosi come quelli degli “scienziati” italiani che firmarono il “Manifesto della razza” nel lontano 1938...



Fassino contro i professori: “Assurdo boicottare l’accordo con Israele”
Fa discutere l’intesa siglata da Università e Politecnico con il Technion di Haifa. Dopo la protesta di 27 docenti interviene il sindaco: Torino è una città tollerante e aperta
beppe minello
03/02/2016


http://www.lastampa.it/2016/02/02/crona ... agina.html

Al sindaco Fassino non è piaciuta la presa di posizione di 27 docenti che hanno sottoscritto una petizione con la quale chiedono di boicottare l’accordo di collaborazione che Università e Politecnico hanno avviato con Technion, l’Israel Institute of Technology di Haifa: «Non vogliamo fornire sostegno all’occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina». «Il nostro obiettivo è far sì che Torino sia città tollerante, aperta, capace di riconoscere ogni identità: e anche per questo motivo stigmatizzo chi propone di boicottare l’accordo tra Politecnico, Università e Technion», sono state le parole pronunciate ieri da Fassino in Sala Rossa al termine di un duro dibattito fra maggioranza e opposizione di centrodestra tutto incentrato sui rapporti da tenere con la comunità islamica.

Dibattito chiesto dal centrodestra per contestare il «Patto di condivisione e cittadinanza attiva» che, l’8 febbraio, verrà firmato con le comunità islamiche «per promuovere - ha spiegato l’assessore Ilda Curti - l’affermazione dei valori di convivenza, rispetto reciproco e conoscenza, sancito dall’articolo 3 della Costituzione e nei principi fondamentali che regolano la nostra convivenza civile». Patto chiesto, nel novembre scorso, dagli islamici dopo i drammatici fatti di Parigi. Il documento prevede tre cose: creare un coordinamento permanente con i centri islamici cittadini; creare una bacheca di comunicazione su ciò che accade in città da appendere in tutte le moschee torinesi; prevedere una giornata di «Moschee aperte - spazio per tutti» durante il quale «i fedeli musulmani possano raccontarsi al territorio facendo entrare la città nei loro luoghi di culto».

Sul tema, l’opposizione di centrodestra non è mai stata tenera e il clima preelettorale ha radicalizzato i toni. I leghisti Ricca e Carbonero, quelli che hanno preteso e ottenuto che il sindaco venisse in aula a spiegare senso e modalità del Patto, hanno criticato il «privilegio concesso alla comunità islamica: non siamo contrari al patto, ma perché non farlo con tutte le fedi? Insomma vorremmo iniziative pro religione e non pro Islam». Enzo Liardo (Ncd) ha scomodato l’imbarazzante vicenda delle statue coperte: «Siamo spaventati da loro e per tenerli buoni cerchiamo il dialogo». Marrone di Fratelli d’Italia ha criticato l’apertura delle moschee «perché significa dare importanza a luoghi che propagandano il Califfato». Tronzano di Fi ha chiesto che simili decisioni vengano discusse prima in Consiglio comunale. Insomma, un dialogo fra sordi.

Fassino ha replicato a tutti loro: «Abbiamo 150 mila cittadini di origine straniera: compito delle istituzioni è di farli sentire cittadini, con eguali diritti e eguali doveri. Una politica di integrazione intelligente e responsabile – e non di assimilazione – deve consentire a ogni cittadino di conservare la propria identità. L’atto che proponiamo non rappresenta un privilegio o una “concessione”, ma ha l’obiettivo di liberare la vita dei cittadini dalle paure, ribadendo valori di libertà, democrazia e rispetto della vita umana».


Torino, Gilli, rettore del Politecnico: "Sbagliato boicottare Israele, significa negare la ricerca scientifica"
Dopo l'appello di 30 docenti contro l'accordo con l'ateneo di Haifa
02 febbraio 2016

http://torino.repubblica.it/cronaca/201 ... -132554363

Torino, Gilli, rettore del Politecnico: "Sbagliato boicottare Israele, significa negare la ricerca scientifica"
"La scienza è il miglior modo per superare le conflittualità. Boicottare Israele vuol dire boicottare la ricerca scientifica e questo non è mai un bene".
Il rettore del Politecnico di Torino, Marco Gilli, critica così la petizione di alcuni docenti universitari torinesi, che hanno chiesto di boicottare l'accordo di collaborazione con Technion, l'Israel Institute of Technology di Haifa.
"Si tratta di una posizione emersa da parte di un numero abbastanza esiguo di ricercatori, nessuno del Politecnico di Torino - precisa Gilli ai microfoni di Radio Veronica One -. La nostra collaborazione con le università israeliane è di tipo scientifico. Riguarda il trattamento delle acque, le nanotecnologie e l'energia. E io credo che la scienza non debba avere confini ideologici o politici".
"Se c'è un modo per aprirsi è proprio quello di collaborare
in ambito scientifico, dove non valgono le ragioni politiche, ma i risultati oggettivi degli esperimenti. La forza dell'università è la sua indipendenza, anche dalla politica.
Crediamo che l'università debba essere libera di stabilire collaborazioni con tutti quelli che coltivano la scienza e la formazione".

Una identica posizione critica nei confronti dei docenti che boicottano Israele era stata presa ieri dal sindaco di Torino Piero Fassino


Le ensemense só e contro łi ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2178

Rasixmo contro łi ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =25&t=1413
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Messaggioda Berto » gio feb 04, 2016 8:28 pm

Ecoła kì na criminal terorista pałestinexe col burka, pronta a coparse par far straje de ebrei:

"My dream is to commit suicide bomber and kill Jewish people"
http://i-supportisrael.blogspot.co.il/2 ... omber.html

Aiar e finansiar sta xente a vol dir farse conpleghi de łi assasini nasixlameghi antisemiti
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Basta finansiar el terorixmo ixlamego pałestinexe antiebreo

Messaggioda Berto » sab feb 06, 2016 2:46 pm

“Lista Nera” dice no alla campagna della destra contro chi denuncia l’occupazione
Israele/Territori occupati. Ieri decine di organizzazioni israeliane di sinistra e Ong dei diritti umani - come Breaking the Silence, B'Tselem, Gisha, HaMoked - hanno tenuto un raduno a Tel Aviv per ribadire alla destra che non riuscirà a chiudere la bocca a chi difende i palestinesi. I soldati israeliani ucciso un 14enne palestinese a Halhul (Hebron)
Un momento del raduno ieri al porto di Tel Aviv delle organizzazioni israeliane di sinistra
Michele Giorgio GERUSALEMME
06.02.2016

http://ilmanifesto.info/lista-nera-dice ... ccupazione


I dirigenti politici israeliani, non solo quelli al governo, amano ripetere ai loro interlocutori che «Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente». Questa affermazione se prima veniva smentita con forza solo dai palestinesi da tempo è contestata anche da non pochi israeliani ebrei. In particolare quelli di sinistra che riferiscono di spazi più ristretti ed intimidazioni per chi dissente dalla linea della destra al potere. Ricordano anche il ruolo centrale che svolgono gruppi di estrema destra vicini al movimento dei coloni impegnati a denunciare in pubblico come «traditori» intellettuali, attivisti e simpatizzanti della sinistra. Alla legge sulla «Trasparenza» in discussione alla Knesset sui finanziamenti dall’estero alle Ong progressiste e dei diritti umani, e alle inchieste della polizia che di recente hanno preso di mira attivisti ebrei contro l’occupazione, si aggiunge ora il passo fatto dalla censura militare che ha chiesto al blogger Yossi Gurevich di sottoporre preventivamente al suo esame tutti i testi che dovrebbero apparire sul suo sito. Sino ad oggi le pubblicazioni in ebraico venivano sorvegliate «a distanza» ma ora la nuova responsabile della censura militare, Ariel Ben Avraham, vuole azioni preventive nei confonti di un certo numero di pagine Facebook gestite da israeliani ebrei.

Contro l’attacco, ormai continuo, alle espressioni di dissenso, ieri decine di organizzazioni israeliane per i diritti umani e contro l’occupazione – come Breaking the Silence, B’Tselem, Gisha, HaMoked – assieme a centinaia di persone hanno tenuto un raduno al porto di Tel Aviv, “Lista Nera”, per dire alla destra che non riuscirà a chiudere la bocca a chi denuncia l’occupazione dei territori palestinesi. «Abbiamo detto a chi attacca che ha di fronte persone che non demordono, che non fanno marcia indietro sul rispetto dei diritti umani e la democrazia», spiega al manifesto Sarit Michaeli di B’Tselem. «Purtroppo il trend in atto nella società israeliana non è positivo» sottolinea Michaeli «la campagna (nei confronti del dissenso) non è destinata ad esaurirsi, anzi andrà avanti. Ma è proprio in queste fasi che occorre continuare il proprio lavoro con lo stesso impegno». Jafar Farah, direttore esecutivo del centro arabo per l’uguaglianza “Mossawa” di Haifa, ricorda la decisione presa alla fine del 2015 dal governo Netanyahu di mettere fuori legge il movimento islamico in Israele. «Ciò che è stato fatto al Movimento Islamico potrebbe essere il futuro di tutte le nostre organizzazioni», ha avvertito Farah.

La tensione intanto non accenna a diminuire in Cisgiordania dove ieri un ragazzo palestinese di 14 anni, Haitham al Baw è stato ucciso in scontri con l’esercito a Halhul (Hebron). Ferito anche il cugino Wajdi. Per il portavoce militare israeliano, i due ragazzi si apprestavano a lanciare bottiglie incendiarie al passaggio dei soldati. Da parte sua il servizio d’emergenza palestinese denuncia che i militari israeliani hanno impedito per lungo tempo di aiutare i feriti. Resta ancora chiuso il villaggio di Qabatiya – da cui provenivano i tre giovani palestinesi autori dell’assalto armato a Gerusalemme di qualche giorno fa – dove sono proseguiti gli scontri con i soldati israeliani che hanno ferito almeno dieci dimostranti. Si sono avuti scontri anche lungo le linee tra Gaza e Israele, a Betlemme, Qalqiliya e Bilin. In Cisgiordania continuano gli arresti notturni di palestinesi – almeno sette tra giovedì e venerdì – e l’esercito ha notificato sette ordini di demolizione delle case di altrettanti palestinesi accusati di aver compiuto attacchi contro israeliani. Tra queste ci sarebbe anche quella di Abdullah Dais responsabile dell’uccisione il mese scorso della colona israeliana Dafna Meir nell’insediamento ebraico di Otniel.

Si accende inoltre la polemica sui deputati arabo israeliani Hanin Zoabi, Basel Ghattas e Jamal Zahalka, di Tajammo, parte della Lista Araba Unita, accusati dal premier Netanyahu di aver avuto «un incontro con 10 famiglie di terroristi, incluso uno che ha ucciso tre israeliani». La destra chiede l’espulsione dal Parlamento dei tre deputati. Questi ultimi denunciano una «campagna fascista» spiegano che quelle visite sono state solo «un atto umanitario» a sostegno delle famiglie che chiedono la restituzione dei corpi dei palestinesi uccisi durante attacchi tentati o compiuti e che le autorità israeliane continuano a trattenere da settimane a scopo punitivo.

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... tinexi.jpg

Anca sti kì de sanca łi xe antiebrei, fiło xlameghi e par ła sparision de Ixrael.
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