Papa Ratzinger l'aveva previsto ma fu crocifisso come islamofoboNel discorso di Ratisbona nel 2006 Benedetto XVI denunciò il lato violento della religione musulmana. New York Times e Repubblica lo accusarono: così spezzas il dialogo
Renato Farina - Gio, 15/01/2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 82979.htmlI l 12 settembre del 2006, Benedetto XVI tenne una lezione all'università tedesca di Regensburg. Il tema era sul diritto delle singole coscienze di aderire o non aderire liberamente a una fede. Il Papa osservò che Maometto, dopo avere in gioventù ammesso la facoltà di scelta, una volta raggiunto il potere, impugnò la spada per convertire il prossimo.
Non si fermò lì, Ratzinger. Perfettamente cosciente del peso delle sue parole, spiegò dove stava l'errore, e propose un «dialogo sincero» per estirpare questa radice di violenza, presente anche in una certa visione del Dio cristiano e nell'ideologia atea, usando la ragione e vedendola come riflesso dell'Onnipotente. Questa seconda parte del discorso fu trascurata. E scandalo fu. Boom!
Alt, però. Attenzione. Benedetto XVI, prima di essere raffigurato come un fantoccio e incendiato dai musulmani indiani e da quelli palestinesi, fu impiccato in Occidente. Cominciò il New York Times a gettare in pasto il mite tedesco alle folle feroci delle moschee. Seguì, dopo aver fiutato l'aria, Repubblica . In contemporanea con gli anatemi degli ulema e degli imam oltre che dei muftì, arrivò quello di Eugenio Scalfari. Ci fu l'assassinio di una suora gentile e votata al servizio degli orfani in Somalia. Chiese e canoniche furono assaltate in Oriente e in Africa.
I signori del pensiero e della matita, gli uomini della satira e delle alte riflessioni, affibbiarono la responsabilità di questi linciaggi e tumulti al Papa. Non si sognarono neanche per un istante di ammettere che proprio le reazioni criminali al libero pensiero del Pontefice confermavano quanto avesse ragione il Vescovo di Roma a denunciare un legame piuttosto nefasto tra la fede islamica e la spada. Si disse: Ratzinger se l'è cercata. Non solo, il pensiero tradotto in italiano corrente era questo: Ratzinger causa con questi suoi discorsi un sacco di guai a noi occidentali di sinistra che vogliamo vivere in pace con quest'islam così moderato e gentile.
Pochissimi in Europa e in America difesero il diritto del Papa a esprimersi liberamente. In Italia furono Il Giornale , Libero e Il Foglio . La sua libertà di pensiero in Europa fu calpestata. Persino in campo cattolico, il responsabile per il dialogo con l'islam della Compagnia di Gesù, padre Tom Michel, censurò il Papa: «Penso che il Papa abbia seminato mancanza di rispetto nei confronti dei musulmani. Noi cristiani dobbiamo ai musulmani delle scuse». La suora era già stata uccisa, il fantoccio del Papa bruciato, le fatwa di condanna a morte verso Ratzinger pronunciate. Ma questi insistono. Colpa del Papa. Ritiri, si scusi.
Intervenne in difesa di Benedetto chi non te lo aspetti. Salman Rushdie, intervistato dallo Specchio , si scandalizzò non per le frasi del Papa, ma per le repliche del famoso quotidiano liberal. «Sono rimasto scioccato da un editoriale del New York Times , che chiedeva al Papa di scusarsi perché durante il discorso di Ratisbona aveva citato un personaggio del XV secolo, con cui tra l'altro non era d'accordo. Perché pretendere le scuse, per un testo bizantino? Non ricordo l'ultima volta che è accaduto un fatto simile, nella storia. La Chiesa ci ha messo 400 anni per scusarsi con Galileo, ma il mondo ha preteso che si scusasse con l'islam in 8 minuti».
Dinanzi a questo coro osceno contro il Papa, con un monito senza precedenti, fu il portavoce della Commissione europea Johannes Laitenberger a frenare l'assalto di satira e intellighenzia tutta contro la libertà di parola che dovrebbe essere riconosciuta persino al Vescovo di Roma: «Le reazioni sproporzionate, che corrispondono al rifiuto della libertà di espressione, sono inaccettabili... La libertà d'espressione è una pietra angolare dell'ordine europeo... ». Il fatto è che chi praticò quel «rifiuto della libertà di espressione», e scartò la «pietra angolare» dell'Europa, sono quelli che oggi scrivono: a Parigi è nata l'Europa. E dicendo Europa pensano a se stessi, a quel microcosmo di sinistra che santifica e demonizza con decisioni da salotto ciò che è bene e ciò che è male. Lo stesso che oggi proclama Je suis Charlie , e che allora incoraggiò il rogo di Papa Charlie Ratzinger. La medesima sinistra chic e choc che non ha nessuna voglia di ammettere di aver sbagliato almeno un po'.
In realtà in quel 2006, incolpando il Pontefice romano delle reazioni degli islamici, si regalò un alibi a qualsiasi futuro gesto criminale di reazione. Adesso è cambiato il vento. Ezio Mauro, direttore di Repubblica , si fa le foto in Boulevard Voltaire con il primo ministro socialista Manuel Valls, che gli parla addirittura in italiano, parbleu . Si mescola con i promotori della manifestazione di Parigi, e scrive Je suis Charlie , e ci crede senz'altro. Ma nel 2006 avrebbe meritato una maglietta onoraria con scritto: Je suis le Muftì .
Oggi piacerebbe sentire, da tutti coloro che intimarono a Benedetto XVI di tacere e di chiedere scusa, una paroletta di resipiscenza. Macché. Piccola panoramica della vigliaccheria salva-vita. Il New York Times fulminò come «tragiche e pericolose» le parole del Papa. «C'è già abbastanza odio religioso nel mondo. Benedetto XVI ha insultato i musulmani». Repubblica usò l'editoriale di prima pagina per sistemarci sopra come su un rogo Benedetto. Marco Politi, oggi firma di punta de Il Fatto (che oggi diffonde Charlie Hebdo , ottimo marketing), lo accusò di aver fatto precipitare «la Santa Sede in una vera e propria Waterloo». Sostenne Politi: è stato «molto più di un incidente di comunicazione». L'«infelice citazione di Maometto» che ha suscitato l'«amara indignazione dei musulmani moderati europei ha portato violentemente alla luce lo strappo compiuto da Ratzinger».
Come si vede: la reazione violenta è stata provocata da uno strappo violento. Chi la fa l'aspetti. Se l'è cercata. Il Papa tedesco ha dunque una responsabilità gravissima: «ha tragicamente spezzato» il dialogo con l'islam, «ha cancellato il riferimento ai rapporti fraterni con il monoteismo islamico». (A questo proposito Politi sostiene che il Papa ha ammesso di aver avuto torto, e infatti «si è scusato». Bugia. Non ha mai chiesto scusa. Ha espresso «rammarico» per non essere stato compreso. La vulgata dice che non fu ben consigliato, che si trattò di un errore da professor Ratzinger, scapestrato e temerario. So invece per certo che Benedetto XVI rispose no a chi gli chiese di espungere dal discorso le severe parole di Manuele II Paleologo su Maometto che ha portato al mondo «cose cattive e disumane» come la guerra santa. Riteneva falso un dialogo con l'islam che saltasse la questione dirimente della libertà).
Eugenio Scalfari interviene e, con sicurezza infallibile, dice: «Anche il Papa è fallibile. Ha sbagliato dal punto di vista della sua Chiesa. Ha fatto un involontario passo avanti sulla via dello scontro religioso».
Insomma: dicendo che l'islam si deve emendare dalla violenza, è colpevole della violenza che subisce. Perfetto. Scalfari va oltre e arriva alla scomunica: «Ha incrinato l'oggettività della trascendenza. Il Papa romano arriva alla soglia della miscredenza». Qui però lo lasciamo ai dialoghi con il successore Papa Bergoglio che lo capisce, io no.
La libertà d'espressione, il diritto a parlare senza dover pagare un prezzo di minacce, senza dover sopportare il ricatto di essere qualificati come provocatori. Che belle cose. Je suis Charlie , come no?
Ratisbona, 8 anni fa lo scontro con l'Islam: e se oggi scoprissimo che Ratzinger aveva ragione?Piero Schiavazzi, L'Huffington Post
Pubblicato: 12/09/2014
http://www.huffingtonpost.it/2014/09/12 ... 11360.htmlSebbene le cronache lo abbiano catalogato e archiviato come il classico incidente di percorso, frutto di una svista e di una gaffe da manuale, i manuali di storia potrebbero invece riabilitare Ratisbona e attribuirle un ruolo di snodo epocale e data cruciale, tra i gesti e discorsi celebri che hanno scandito il cammino dell’Occidente. Al punto che un giorno forse, insieme all’11, ricorderemo anche il 12 settembre. In un contesto analogo e non meno drammatico.
Sono trascorsi otto anni dal quel martedì pomeriggio del 2006, quando Joseph Ratzinger, dimenticandosi di essere Papa e tornando professore davanti al suo pubblico, nell’agone casalingo di Regensburg, alzando appena lo sguardo dal testo con vezzo accademico, scatenò la tempesta perfetta, sollevando le piazze islamiche nel raggio di dodicimila chilometri dal Marocco all’Indonesia.
Lo fece immedesimandosi nella figura - e nei tormenti - dell’imperatore e intellettuale Manuele II Paleologo, fiero difensore di Costantinopoli e di una civiltà in declino, in arretramento terminale di fronte alle armate turche. Insomma un grande sconfitto della storia, che oggi con il senno di poi, dopo la resa delle dimissioni e l’esito del pontificato di Benedetto XVI, rivela una somiglianza biografica e di destino con la parabola del Papa emerito. E allunga la sua ombra geopolitica sull’imminente trasferta di Francesco a Istanbul: su invito dell’erede dei sultani, Tayyip Erdoğan, nella nazione che Atatürk rifondò - e reinventò - abolendo il Califfato, il 29 ottobre 1923, come la Santa Sede ha tenuto recentemente a rimarcare.
Ratisbona, in tale scenario, costituisce il supremo tentativo di definire l’Europa per contrapposizione: quale antidoto alla jihad e alle derive fondamentaliste, muovendo dalla concezione di un Dio che pone un limite a se stesso e alla propria onnipotenza, identificandosi con la ragione creatrice, rinunciando all’opzione dell’arbitrio e offrendosi quale modello originario - e originante - di quella che in seguito avremmo chiamato monarchia costituzionale. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio": quella che all’Islam sarebbe apparsa una limitazione inammissibile dell’assolutezza divina, per l’Occidente rappresenta il principio sorgivo e il DNA da cui scaturiscono tutte le sue conquiste: illuminismo e laicità, diritti e democrazia. Che oggi come ai tempi dell’imperatore è chiamato a difendere.
A otto anni da Regensburg e a seicento dall’assedio di Costantinopoli, le argomentazioni del sovrano bizantino trovano singolare corrispondenza, di toni e intenti, nel sofferto editoriale - manifesto, “L’Occidente da difendere”, in cui una settimana fa Ezio Mauro ha focalizzato il tema irrisolto dell’identità dell’Europa, nel frangente del conflitto e della chiamata alle armi, “perché la democrazia ha diritto di difendersi, ma ha il dovere di farlo rimanendo se stessa”, scrive. A dimostrazione del fatto che, nonostante l’avvento di un Papa che promuove la cultura dell’incontro, i codici e la cornice del dibattito restano quelli dello scontro fra culture, perfino nella riflessione di un laico e liberal quale il direttore di Repubblica, in veste di Manuele Paleologo dei giorni nostri e nell’orizzonte ideale fissato da Benedetto a Ratisbona.
Un orizzonte che neppure Francesco potrà eludere, da qui a breve, quando a Strasburgo il 25 novembre ritroverà il dilemma identitario, che Ratzinger portò alle conseguenze estreme nell’aula di Regensburg, giungendo alla conclusione che, se non c’è Europa senza cristianesimo, vale anche la reciproca, per cui non può esserci cristianesimo senza Europa, cioè senza l’illuminismo, senza la congiunzione indissolubile di fede e ragione, di Atene e Gerusalemme. “A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto”, domandò il Papa tedesco. “La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?”
L’interrogativo riecheggia in versione profana e politica, conservando però una religiosa tensione, tra le righe di Ezio Mauro: “Ma noi siamo in grado di difendere questi nostri principi e di credere alla loro universalità almeno potenziale, oppure siamo disponibili ad ammettere che per realpolitik diritti e libertà devono essere proclamati universali in questa parte del mondo, ma possono essere banditi come relativi altrove?”
“Altrove” sta in primis per Oriente e per Califfato, al cospetto di un mondo islamico che, nonostante i pronunciamenti e lo schieramento compatto di rais e muftì, non ha sciolto fino in fondo, nella coscienza delle masse e nei retro-pensieri dei capi, l’ambiguità del legame tra fede e coercizione, a suo tempo additato da Benedetto nel suo vibrante J’accuse, suscitando le devastanti reazioni a tutti note.
Ne è apparso consapevole, in controtendenza con gli entusiasmi del primo anno di pontificato, un cardinale notoriamente filoarabo come Jean - Louis Tauran, Presidente del Consiglio per il Dialogo Interreligioso, già influente ministro degli esteri di Wojtyla e oggi ascoltato “consigliere per la sicurezza nazionale” di Bergoglio.
Con una dichiarazione irrituale in pieno agosto, il suo dicastero ha posto un aut-aut all’Islam e chiesto ai suoi leader “una presa di posizione chiara e coraggiosa”, mettendo in forse il prosieguo stesso dei rapporti con il Vaticano, così come si sono sviluppati nelle ultime tre decadi, a seguito dello storico meeting di Assisi del 1986: “Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro seguaci e i loro leader? Quale credibilità potrebbe avere ancora il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito negli ultimi anni?”
Con un paragone irriverente ma suadente, diremmo che come la Ferrari di Montezemolo, la Chiesa di Francesco primeggia nel gradimento ma sente di perdere terreno sui circuiti che contano, dalle terre di Abramo alla terra di Gesù, con la falsa partenza del summit di pace nei giardini vaticani, alla vigilia della guerra di Gaza, e l’impossibilità di fermare i tagliagole dello Stato Islamico, senza l’ombrello aereo di Obama, dopo il miraggio della santa alleanza con Putin, materializzatosi sulla via di Damasco e subito svanito nelle nebbie del Don. Sia chiaro: per effetto della cura Bergoglio e delle sue sorprendenti performance, il brand aziendale del cattolicesimo brilla come non mai. Eppure al di là dei “risultati economici” e del fatturato spirituale, con il rientro e riavvicinamento all’ovile di milioni di fedeli, permane un problema di “gestione sportiva”, osserverebbe impietoso Sergio Marchionne.
Cambiando sport ma continuando con le metafore azzardate, si avverte un difetto d’interdizione, di contrasto a metà campo, che misura i limiti della “cultura dell’incontro”, modulo prediletto dal Pontefice argentino, incentrato sulla proposizione del gioco, sulle aperture in avanti e sul fraseggio, privilegiando i fantasisti ma lasciando scoperte le difese. Davanti a un nemico che di converso non rispetta e conosce nessuna regola.
La scienza politica in questo caso, meglio della teologia, che a riguardo depista e inganna, può aiutarci a indagare la portata e la novità fenomeno. A dispetto delle nostalgie genealogiche, dell’integralismo dottrinario e del ritorno al passato, costantemente ostentati, lo scanner del Califfato si mostra infatti geneticamente inedito e futuristico nell’impostazione. Il suo riferimento non sono i regimi teocratici, statici e arcaici, ma i recenti totalitarismi del Novecento, di cui rappresenta “tecnicamente” l’evoluzione e trasposizione su piattaforma religiosa, dopo il cedimento teorico-pratico e il fallimento emotivo dei loro fondamenti atei.
Il profilo non risulta pertanto monolitico, bensì fluido, tendente a destabilizzare, a travolgere ogni resistenza e a istituzionalizzare l’arbitrio, visualizzandolo, coltello alla mano, e assecondando l’aspirazione intrinseca del potere, che è quella di sottrarsi alla rete di consuetudini e norme in cui lo stato storicamente lo imbriglia. E’ questo il paradosso più significativo di una entità come l’IS che, mentre si dichiara “stato”, ne configura de facto il superamento e la negazione.
La religione, nel ruolo assegnato all’ideologia sotto nazismo e stalinismo, diventa dunque il carburante, nonché l’alibi, che consente al despota di assolutizzare desideri e deliri: dai lager ai gulag, dai killing fields di Pol Pot ai bordelli del deserto di al - Baghdadi, con la promessa di schiudere le porte del paradiso e l’obiettivo di spalancare le botole dell’inferno.
??? Varcando la soglia del parlamento di Strasburgo il 25 novembre, con il bagaglio della sua enorme popolarità, Bergoglio porterà dentro di sé l’eco del discorso più impopolare ma profetico: in cui Ratzinger, come nessun altro, colse e illustrò il nesso tra la concezione del Dio “costituzionale”, che sceglie di autolimitarsi, e il concepimento dell’Europa, che nasce con un vagito di libertà. In un continente che non esisterebbe senza cristianesimo. E in una cristianità che senza Europa non sarebbe quella che abbiamo conosciuto. ???