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Kyenge: «I migranti sono una risorsa, non un problema»L'Ue vota la ricollocazione. Ma c'è il no del blocco dell'Est. «Colpa dei populismi», dice l'ex ministro Kyenge. «Il welfare dell'Ue ha bisogno di nuovi lavoratori».
di Antonietta Demurtas
22 Settembre 2015
http://www.lettera43.it/esclusive/kyeng ... 216349.htm Al parlamento europeo Cécile Kyenge ci è arrivata dopo aver fatto il ministro dell'Integrazione del governo di Enrico Letta, proprio in un momento in cui in Europa, non solo in Italia, l'integrazione è una chimera.
È un'Unione europea scossa dal più grande esodo dopo quello della Seconda guerra mondiale, che sul fenomeno migranti non riesce a trovare una soluzione comune, e che sta mettendo a rischio tutti suoi valori fondanti.
Un'Ue che, attraverso le azioni di alcuni suoi Stati membri, sta mostrando il peggio di sé.
LOTTA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI. Ma Kyenge a combattere con i problemi legati all'immigrazione, alla discriminazione e al razzismo ci è abituata.
Anche se a certe cose non ci si abitua mai.
Ecco perché quando il Senato italiano ha dato l'autorizzazione a procedere contro il leghista Roberto Calderoli per diffamazione nei suoi confronti (l'aveva paragonata a un orango), ma non per istigazione all'odio razziale, Kyenge ha espresso «amarezza», sottolineando che «la decisione del Senato getta un'ombra pesante sulla lotta contro il razzismo, proprio quando il populismo e la xenofobia stanno crescendo a causa della crisi dei rifugiati».
DOMANDA. Forse sarebbe il caso di ripristinare quel ministero dell'Integrazione voluto da Mario Monti?
RISPOSTA. Era un ruolo particolare che non si è capito sino in fondo e che, soprattutto oggi, con i cambiamenti che stanno avvenendo sul territorio, è più fondamentale che mai e dovrà essere ricreato per prevenire i conflitti, fare politica di coesione per una convivenza civile.
D. In Italia non eravamo pronti?
R. No, semplicemente era un ruolo nuovo, la gente doveva ancora capire, le istituzioni dovevano trovare un modo per diventare sistema e coordinare così tutte le politiche che riguardano l'asilo e l'immigrazione, che non possono essere ridotte a un unico settore.
D. Politiche che ora riesce a seguire meglio a Bruxelles lavorando nella commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe)?
R. Qui ho trovato la mia dimensione proprio perché un tema dell'immigrazione non si può affrontare in modo unidimensionale, ma unendo diverse competenze.
D. Per esempio?
R. Si parte dall'immigrazione legale, economica, alla lotta contro il traffico di essere umani, alla cooperazione internazionale per intervenire sulle cause profonde dell'immigrazione in modo da rafforzare anche le politiche di pacificazione, sino ad arrivare alla revisione del pacchetto asilo.
Insomma un dossier completo unico ma eterogeneo per affrontare davvero il fenomeno migratorio, in maniera non più settoriale perchè questo ci lascia nella dimensione emergenziale.
D. Che è invece l'unica affrontata finora dall'Ue?
R. Purtroppo una dimensione emergenziale affrontata con grande lentezza. Mesi passati a discutere per trovare la soluzione a un problema che nel frattempo era già diventato qualcos'altro. Ogni giorno migliaia di persone arrivano in Europa e la cifra di 160 mila ricollocamenti (120 mila più 40 mila) se poteva avere un senso cinque mesi fa, ora non lo ha più.
D. Una goccia nel mare?
R. Sì, oggi non serve una soluzione burocratica, tecnica, ma una politica comune sull'asilo e l'immigrazione, altrimenti non si va da nessuna parte. Solo che al momento trovare un'intesa tra tutti i 28 Paesi sembra impossibile.
D. Quale Stato membro secondo lei sta dando il migliore esempio nella gestione di questo fenomeno?
R. Proprio perché l'immigrazione riguarda più aspetti, non c'è un Paese che sta facendo bene in tutto, ci sono delle buone pratiche.
D. Quali?
R. Anche se non siamo bravi a valorizzarci, l'Italia è stato il primo Paese che è riuscito a far capire l'importanza di salvare le vite umane attraverso l'operazione Mare nostrum.
D. Un'altra piccola goccia nel mare?
R. Sì, ma oggi rafforzando programmi come Triton e Poseidon, di fatto l'Europa ha ricalcato gli obiettivi di Mare Nostrum, e ora le marine militari degli altri Paesi europei stanno contribuendo in questo modo.
D. Sì ma spesso si limitano a scaricare i naufraghi nel porto più vicino.
R. Certo, ricerca e salvataggio è il primo passaggio. Poi però c'è il tema dell'accoglienza e qui sono molto bravi i Paesi nordici come la Germania e la Svezia, che hanno un buon programma di integrazione.
D. Forse anche perché hanno un sistema di welfare avanzato?
R. Sì, basterebbe fare una politica europea che metta a sistema le buone pratiche dei vari Paesi, ognuno nel suo settore.
D. Ma in Europa spesso è difficile anche solo comunicare...
R. Persino sulla comunicazione ci sono buoni esempi come la Carta di Roma che da nazionale andrebbe allargata ad altri Paesi. Le Nazioni unite hanno fatto un vademecum su come comunicare il fenomeno migratorio.
D. Eppure ci sono ancora molti Paesi Ue che di soluzioni comunitarie non ne vogliono proprio sentire: al Consiglio straodinario dei minisitri degli Interni Ue del 22 settembre si è dovuto votare con la maggioranza qualificata per superare il blocco dei Paesi dell'Est e ricollocare appena 120 mila rifugiati.
R. Per questo dicevo che bisogna fare sistema, unire e comunicare le buone pratiche: queste politiche andrebbero allargate prima di tutto al globo dell'Est, Paesi che non hanno mai conosciuto un tipo di immigrazione che viene dal Sud.
D. E che oggi respingono con sputi, calci e muri.
R. Per loro chiunque arriva sul territorio rappresenta una minaccia. Oggi i populisti sono molto forti e riescono a far passare il messaggio che chi arriva è un nemico che ruba il lavoro.
D. Ma non è che anche in Europa dietro la parola populismo o paura, alla fine si nasconde solo il razzismo?
R. Il razzismo è la conseguenza di tutti questi fattori. Quando si tende ad aumentare la paura e a stigmatizzare gli altri, il razzismo aumenta, l'altro viene visto come il pericolo e quindi discriminato.
D. Spesso sono gli Stati i primi a farlo, o erigendo muri come l'Ungheria o scegliendo chi accogliere e chi no a secondo della religione come la Slovacchia.
R. Questi Stati sbagliano e peggiorano solo la situazione, dovrebbero avere delle politiche inclusive capaci di prevenire i conflitti sul territorio, perché proteggi le persone solo includendo tutte le persone.
D. Anche in Italia non siamo molto bravi in questo...
R. In Italia le istituzioni purtroppo hanno indebolito questo processo facendo leggi nocive, come per esempio la legge Bossi-Fini. Per questo l'Ue quando scrive le sue raccomandazioni agli Stati membri deve spingere affinché si facciano non solo le riforme economiche, ma anche si rafforzino quelle nel settore dell'immigrazione, magari riformando proprio certe leggi.
D. Insomma non solo Jobs act...
R. La riforma della legge Bossi-Fini è ugualmente necessaria, perché contiene tanti articoli che escludono le persone dall'integrazione nella società. Due anni fa un immigrato che perdeva il lavoro aveva solo sei mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti entrava nell'illegalità, veniva arrestato, diventava un clandestino. Quindi nella testa delle persone un pericolo.
D. Adesso abbiamo aumentato quel tempo sino a un anno: non tanto.
R. Sì, infatti il problema rimane. I cambiamenti sono molto veloci e anche le leggi si devono adeguare. Oggi l'immigrazione non è più quella del 2001, e soprattutto non è solo un problema da gestire, ma una risorsa.
D. Anche il presidente dell'Onu Ban Ki-moon l'ha ricordato nel suo discorso al parlamento di Strasburgo: gli immigrati non sono un problema, ma un punto di forza per l'Ue.
R. Esatto. Nel 2020, se l'Europa vuole mantenere il sistema pensionistico che ha oggi, avrà bisogno di altri 42 milioni di europei. E di oltre 250 milioni in più nel 2060. Ma qui non si fanno più figli: oggi servono quattro persone per ogni pensionato, nel 2050 ce ne saranno solo due.
D. Quindi?
R. O queste due persone lavoreranno il doppio o si cerca di essere più lungimiranti e guardare al fenomeno migratorio con un altro occhio, è quello che dovrebbe fare un buon statista.
D. È quello che sta facendo Angela Merkel aprendo la porta a tutti i rifugiati siriani?
R. Esattamente, Merkel sta riuscendo a trasformare in una risorsa un evento così drammatico, a interpretarlo positivamente. Se non lo facciamo tutti, nel 2050 saremo costretti ad andare a prendere persone all'estero per farle venire a lavorare qui.
D. Prima di farli venire però bisognerebbe fare i conti con il razzismo. Cosa che in Italia fatichiamo ancora a fare: a distanza di anni lei ancora deve lottare per fare condannare Calderoli, che cosa prova?
R. Dal punto di vista personale non lo auguro a nessuno, quando sono diventata ministra non pensavo di scatenare tutto quello che è successo. Non dipendeva da me, io sono così, quindi probabilmente sono già una provocazione.
D. Perché?
R. Perché sono nera, perché sono donna, perché ho una cultura, perché ho studiato. Ma non l'ho voluta creare io questa situazione. Mi ci sono trovata e quando è successo ho capito che forse in Italia ci dobbiamo ancora rafforzare.
D. Servono anticorpi contro il razzismo?
R. Sì, li dobbiamo creare, per questo non lascio perdere. Non è più una questione personale, chiunque si può trovare in quella situazione e chiunque deve essere difeso, deve poter vivere tranquillamente e far parte di una comunità. È dai casi personali come il mio che si parte per rafforzare le regole, le leggi.
D. Eppure proprio i nostri legislatori al Senato hanno deciso di dare l'autorizzazione a procedere contro Calderoli per diffamazione, ma non per istigazione all'odio razziale.
R. Lo trovo molto grave, uno schiaffo ai valori prima di tutto del mio partito, ma anche degli altri.
D. Da chi è stata delusa?
R. A dare quel voto non è stato solo il Pd, ma un partito come il Sel e questo mi ha sorpreso molto, una buona parte dei suoi senatori hanno votato così, quindi c'è da interrogarsi sul livello culturale e cognitivo di chi sta dentro le istituzioni e che non capisce che il razzismo fa ancora parte della nostra quotidianità e va debellato.
D. Il razzismo più che sottovalutato è un reato ignorato. Che cosa si aspetta dal Pd ora?
R. Una presa di posizione, mi deve dire se è giusta la decisione presa dal Senato. E da quella dichiarazione lì ci sarà da fare un percorso, vediamo.
D. Lei però per ora non si dimette dal partito?
R. No, anche perché visto come hanno votato al Senato non si salva nessun partito.
D. Infatti forse più che una questione di principi, è una questione di opportunità politica: Calderoli dopo quel voto al Senato ha ritirato tutti gli emendamenti alla riforma costituzionale proposta dal governo
R. Non voglio entrare in quella polemica, questa è una causa talmente nobile, che non tocca a me indagare su questo. Io chiedo solo a chi ha votato di riflettere e capire che dentro le istituzioni si devono garantire i diritti di tutti non solo di una parte della comunità.
D. Perché quella frase di Calderoli non è stata ritenuta istigazione al razzismo?
R. Lo chiede a me, alla vittima? Me lo sto chiedendo da tempo, come se lo chiedono tutti quelli che ogni giorno sono vittime di questo reato. Qui il problema è che si accetta il razzismo dentro le istituzioni senza pensare che quella decisione colpirà tante persone sul territorio, persone che non sapranno come difendersi.
D. Che cosa l'ha ferita di più?
R. Quella parola detta da Calderoli aveva tutto dentro, era riferita a un aspetto preciso, il mio, non era un generico: sei un imbecille, aveva una connotazione particolare che colpiva non solo me ma tutta una categoria di persone, e che cercava di farti sentire come se tu non appartenessi agli essere umani perché sei nero. Se non è istigazione al razzismo questa...
D. Si rivolgerà alla Corte dei diritti umani di Strasburgo?
R. Sì, di sicuro non mi fermerò, andrò in Europa.