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European and Venetian Renaissance (EVERE)http://www.dissgea.unipd.it/european-an ... ance-evereIn piena sinergia con le altre unità del progetto, il presente gruppo di ricerca si propone di contribuire dal punto di vista storico allo studio della circolazione e ricezione a livello europeo del 'modello veneto' durante il Rinascimento. Facendo leva su di un gruppo di ricerca che già da diversi anni lavora sui temi trattati (Ambrosini, Caracausi, Gullino) e che ha partecipato a progetti di ricerca nazionali (Prin 2007 e 2009), obiettivo dell’Unità è ora di consolidare l’esperienza pregressa, sviluppando nuove sinergie e reti di collaborazione con studiosi di altre università nazionali e internazionali. Questi obiettivi saranno raggiunti attraverso una serie di ricerche e attività seminariali che affronteranno la diffusione di modelli politici e idee religiose (in particolare di carattere eterodosso) nel rapporto fra il Veneto e l’Europa, includendo in questo senso anche l’area del Mediterraneo centro-orientale, all’interno degli scambi fra ambiente cristiano e ambiente musulmano.
Il progetto si articolerà all’interno di due filoni più precisi: il primo si focalizzerà sulla divulgazione del ‘mito’ di Venezia in ambito europeo; il secondo sulla “esportazione dell´eterodossia”.
Per quanto riguarda il primo filone di ricerca (La costituzione veneziana nell’Europa cinquecentesca) obiettivo principale è studiare come la diffusione del modello politico veneziano nell’Europa cinquecentesca, attraverso lo studio dei suoi principali ‘vettori’ di trasmissione, ovvero ambasciatori, consoli e mercanti. La costituzione veneziana, sintesi di democrazia, aristocrazia e monarchia, consentì di fatto la sopravvivenza della Serenissima lungo tutto il corso dell’età moderna e contribuì a rendere possibile, all’interno della compagine statale, la convivenza di etnie diverse per lingua, religione, economia, mentalità senza traumi o lacerazioni eccessive, senza rivolte insurrezioni tumulti, perlomeno non del calibro registrabile altrove. Non erano poi molte le repubbliche europee agli inizi dell’età moderna, e la pattuglia era destinata ad assottigliarsi ulteriormente nel corso del Cinquecento, che vide il trionfo della restaurazione imperiale a opera di Carlo V e successivamente dell’ideale monarchico, suggellato dalla teorizzazione del tacitismo e della “ragion di Stato” (Botero). Ebbene, nel ristretto ambito degli Stati repubblicani Venezia si distingue ulteriormente per una peculiarità che la rende in qualche modo una struttura politica eccezionale: essa cioè non deriva la propria nascita, il diritto a esistere come forma sociale organizzata, né dall’Impero né dal Papato. Non ha neppure un fondatore, un eroe eponimo: essa – così il mito autoreferenziale, ben supportato da una nutrita storiografia pubblica e privata – scaturisce da una collettività anonima e indistinta, nasce dall’acqua come Venere, vergine come la Vergine per antonomasia, la Madonna madre del Cristo.
Questa peculiarità venne divulgata dal governo veneto e dai suoi rappresentanti, sia all’interno dello Stato (rettori) che all’esterno (ambasciatori), come motivo di orgoglio e di autoidentificazione; persino dopo la disfatta di Agnadello la fede nella validità delle proprie istituzioni (le “sante leze”) non venne meno (I. CERVELLI, Machiavelli e la crisi dello stato veneziano).
Donde il dibattito costituzionale sviluppatosi, in termini di comparazione, principalmente a Firenze (si pensi, a titolo di esempio, a F. GILBERT, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento; G. SILVANO, La “Repubblica de’ Viniziani…) ma anche altrove, nella nascente Olanda come nei conati democratici ravvisabili nelle lotte contadine degli anni Venti e Trenta del XVI secolo, dei quali le Landesordnung di Michael Gaismair, studiate da Giorgio Politi e Aldo Stella, rappresentano uno dei momenti qualificanti. Questa tradizione repubblicana continuerà a serpeggiare più o meno visibilmente nell’Europa delle monarchie (W.J. BOUWSMA, Venezia e la difesa della libertà repubblicana) sino ai fermenti dell’Illuminismo, che le conferiranno nuova forza e più vasti orizzonti: da Pasquale Paoli a Rousseau a Jefferson, dagli enciclopedisti ai padri della costituzione americana.
Con riferimento a questo filone di ricerca l’obiettivo principale è di indagare i tempi e modi attraverso i quali il ‘modello veneto’ si diffuse in Europa, utilizzando un approccio innovativo nello studio di figure quali ambasciatori, ma anche consoli, mercanti e prelati, vettori privilegiati di trasmissione culturale nell’area europea rinascimentale. Se l’importanza degli ambasciatori veneti è ben nota, grazie soprattutto ad una lunga tradizione di studi, l’approccio innovativo alla base di questa linea di ricerca è di studiare il fenomeno nella sua complessità e nelle interazioni fra i diversi attori sociali e istituzionali coinvolti. L’interesse nei confronti di consoli e mercanti, ad esempio, si giustifica per il fatto che, durante il Rinascimento, la Repubblica di Venezia si presenta, alla pari anche di altri Stati italiani, leader dal punto di vista tecnologico e delle produzioni culturali (editoria, vetro, setificio e arte pittorica su tutte). Lo studio delle figure istituzionali connesse alla loro diffusione (consoli, mercanti e inventori) fornirà un punto di vista non indifferente per la comprensione della ricezione delle idee e dei modelli politici: se il ruolo di mediatori rivestito dai consoli è evidente, non meno importante, ma tutto da esplorare è il ruolo giocato da patrizi e mercanti che si recarono in veste di ‘ambasciatori’ ufficiali in paesi che non erano ancora stati pienamente frequentati dalle figure dell’entourage politico veneziano (come in Svezia, Russia e Balcani). In secondo luogo, invece, ancor più decisivo fu il legame fra ambasciatori, consoli e mercanti nelle principali piazze di commercio, quasi sempre sedi di importanti corti europee.
Sempre adottando questa prospettiva, non meno importante risulta l’analisi delle figure cardinalizie. La Repubblica riservava infatti un’attenzione speciale nell'assegnazione delle sedi vescovili, ma si impegnava anche e forse più tenacemente nelle occasioni di creazione di nuovi cardinali. Coloro che ricevevano tali benefici da parte del Pontefice dovevano ovviamente essere fidati dello Stato di San Marco e si impegnavano a promuovere l'interesse della Repubblica e dei suoi cittadini non solo per senso di riconoscenza per la loro elezione, ma anche per senso di amore verso la patria. Tuttavia una volta eletti diventavano sudditi del Pontefice e dovevano in realtà occuparsi della promozione degli interessi dello Stato della Chiesa. Questa loro condizione di servire praticamente due padroni non era sempre facilmente gestibile: alcuni sceglievano di impegnarsi esclusivamente per conto del papa, provocando la diffidenza dei concittadini, l'indignazione, addirittura il disprezzo. La loro condotta doveva essere corretta per evitare sconvenienti per la politica veneziana e se qualcuno non sembrava pentirsi, poteva subire il processo per tradimento contro la patria. Tale pericolo era conosciuto ai prelati veneziani “dissidenti” che cercavano di difendersi ottenendo la protezione di qualche altro potente signore fra gli Stati europei. Questo elemento faceva di loro un importante trait d’union fra Veneto ed Europa, la cui condotta ci permette di osservare più da vicino i rapporti fra l’ambiente europeo e veneto.
Un secondo filone di ricerca si propone invece di ricostruire i processi di elaborazione delle idee della Riforma d’oltralpe nelle conventicole clandestine e, più in generale, negli ambienti veneti in qualche modo interessati alle novità religiose, la particolare interpretazione del “mito di Venezia” nei cenacoli eterodossi e la divulgazione di tale versione del “mito” in ambito europeo nel corso del sec. XVI. L’attenzione verrà focalizzata su alcune cerchie veneziane e padovane, di composizione sociale alquanto eterogenea, sulle quali esercitarono la loro influenza anche eterodossi provenienti da altre aree della penisola. Tra questi, il piemontese Giacomo Broccardo, che soggiornò a lungo a Venezia tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del sec. XVI intrattenendo fitti rapporti con patrizi, intellettuali e dissidenti religiosi, e viaggiò poi in vari paesi protestanti, pubblicandovi le sue opere nelle quali riconosce in Venezia l’unica possibile sede di un concilio in grado di riportare l’Europa alla pace religiosa.
Fin dalla seconda metà del sec. XIX, la circolazione in territorio veneto delle dottrine religiose della Riforma d’oltralpe, nelle sue varie correnti e denominazioni, è stata oggetto dell’attenzione di molti studiosi italiani e stranieri: attenzione dovuta sia ai vasti consensi che tali dottrine incontrarono in Veneto e in Friuli, sia alla disponibilità di un materiale archivistico di eccezionale consistenza e rilievo, in primissimo luogo i fondi inquisitoriali conservati presso gli Archivi di Stato di Venezia e di Rovigo e l’Archivio della Curia Arcivescovile di Udine. Le ricerche hanno rivelato come in terra veneta fosse sorta nel sec. XVI una fitta rete di conventicole eterodosse – dal punto di vista dottrinale ispirate per lo più alla Riforma elvetica o all’anabattismo – in contatto non solo con altre analoghe conventicole sparse nella Penisola, ma altresì con città riformate e con singoli esponenti della Riforma d’oltralpe. Questi collegamenti erano facilitati dal fatto che all’interno dei cenacoli filoriformati veneti e friulani molte tra le principali figure di riferimento provenivano da altre località italiane e avevano alle spalle un’esperienza di viaggi in terre straniere, soprattutto in Francia, in Svizzera e nell’area germanica.
Se i veneti interessati alle novità religiose avevano molto da ricevere in materia dottrinale, essi avevano a loro volta un significativo contributo culturale da offrire alla Riforma, quanto meno ai settori più intellettuali di questo movimento religioso: il “mito” politico e culturale di Venezia, quel mito che appunto tra XV e XVI secolo aveva trovato la sua più matura e articolata definizione grazie all’opera di pensatori politici, di letterati e di artisti. A suscitare il vivo interesse e, in alcuni casi, anche la convinta adesione di alcuni esponenti della Riforma furono soprattutto due aspetti di quella complessa costruzione ideologica che va sotto il nome di “mito veneziano”.
Il primo aspetto è quello che vede in Venezia la città “libera” per eccellenza, libera per non essere mai stata soggetta ad alcuna dominazione straniera e libera in quanto promotrice e tutrice di libertà per tutti i suoi sudditi e per tutti coloro che in lei, e nei suoi territori, cercano un rifugio. Il secondo è quello che dipinge Venezia come la città “cristiana” per eccellenza, come la più fedele e integra interprete dell’Evangelo, alla pari e talvolta più della stessa Roma. Di qui le speranze, inevitabilmente destinate a rivelarsi fallaci, nutrite nei confronti della Repubblica veneta da non pochi fautori della Riforma (tra gli italiani, basti ricordare Bernardino Ochino e Pier Paolo Vergerio), i quali credettero di riconoscere nella città-stato lagunare non solo un sicuro luogo di accoglienza per tutti i perseguitati religionis causa, ma anche qualcosa di più: la “porta” attraverso la quale la Riforma sarebbe potuta, un giorno, entrare trionfalmente in Italia.
La ricerca che qui si propone intende sviluppare questo filone tematico concentrando l’indagine su una singolare figura di mistico e visionario cinquecentesco, il piemontese Giacomo Broccardo (ca. 1518-post 1594). Su di lui disponiamo di dati molto frammentari, che si ricavano per la maggior parte dagli atti del processo da lui subìto da parte del Sant’Uffizio veneziano nel 1568 e dai passi autobiografici contenuti nelle opere del Broccardo stesso. Trasferitosi ancora giovanissimo a Venezia, il piemontese vi trovò impiego come insegnante e vi conobbe l’eterodosso fiorentino Pietro Carnesecchi. Tra il 1548 e il 1549 fu in Francia e nel 1549 pubblicò a Parigi la sua prima opera nota, In tres libros Aristotelis de arte rethorica paraphrasis, dedicata al vescovo designato di Treviso Giorgio Corner, presso la famiglia del quale aveva lavorato come insegnante. Nel maggio 1568 il Broccardo venne arrestato, per conto del Sant’Uffizio veneziano, nella casa dei nobili friulani Marco e Isabella della Frattina, dai quali era stato assunto nel 1565 come precettore dei figli; il suo processo si interruppe il 30 ottobre 1568, giorno in cui, con la complicità di Marco della Frattina, l’inquisito sfuggì alle forze del tribunale inquisitoriale veneziano.
Da allora il Broccardo peregrinò per l’Europa protestante: la sua presenza è documentata nello stesso 1568 a Basilea, nel 1573 a Heidelberg, nel 1578 in Inghilterra e poi in Olanda (dove nel 1580, a Leida, cominciò a pubblicare le sue opere), nel 1585 a Brema, nel 1591 a Norimberga.
Le sue opinioni religiose, riconducibili alla Riforma ortodossa, erano tuttavia percorse da una vena di profetismo visionario non compatibile con l’ortodossia riformata: la più diffusa e discussa delle sue opere, la Mystica interpretatio, fu oggetto di condanna da parte di due sinodi calvinisti francesi. In questo scritto trovano la loro più completa espressione i temi fondamentali del pensiero del Broccardo, temi che ricorrono, in forma più o meno articolata, in tutti gli altri suoi scritti. La storia dell’umanità viene dal Broccardo divisa in tre età, l’ultima delle quali (aperta dalla nascita di Lutero) sarà contrassegnata da due concili generali che si svolgeranno a Venezia e porteranno all’abolizione di papato e impero, all’unificazione della cristianità e alla conversione degli ebrei e di tutti gli infedeli, comprese le popolazioni indigene del Nuovo Mondo.
Oltre che di teologia, il Broccardo si interessò di filologia greca ed ebraica, di filosofia, di scienze naturali e di alchimia. All’inizio del sec. XVII, la Mystica ... interpretatio influì sulla genesi del movimento rosacrociano.
Giacomo Broccardo ha attirato l’attenzione di vari studiosi di storia della Riforma, ma gli unici studi di una qualche consistenza che finora gli sono stati dedicati sono quello di Delio Cantimori, Visioni e speranze di un ugonotto italiano, “Rivista storica italiana” LXII (1950), pp. 199-217 (basato esclusivamente sulle sue opere a stampa) e di Antonio Rotondò, che al Broccardo ha dedicato una “voce” nel Dizionario biografico degli italiani, 14, Roma 1972, pp. 385-389. Una scheda sul personaggio, curata da Lucio Biasiori, figura nel recente Dizionario storico dell’Inquisizione diretto da Adriano Prosperi (I, Pisa, Edizioni della Normale, 2010, pp. 226-227).
Molto della sua vita e del pensiero del piemontese resta tuttavia ancora da esplorare.
Queste attività di studio e ricerca coinvolgeranno anche studiosi di altre università e favoriranno, grazie all’attivazione di specifici assegni di ricerca, l’inserimento di giovani ricercatori al fine di sostenere la creazione di un polo stabile di ricerca attorno agli studi di ‘Storia del Rinascimento’.
Coordinatore
Federica Ambrosini
Termine
Novembre 2016