Alpini e tricolor - n'oror

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Messaggioda Berto » sab mag 10, 2014 7:12 am

Alpini e tricolor - n'oror
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Il fanatismo demenziale, acritico, idolatra, statalista e fascista degli alpini




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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... osari2.jpg

Perché un patriota friulano non può amare gli Alpini

http://www.lindipendenza.com/perche-un- ... gli-alpini

Innanzitutto grazie. E’ la prima cosa che, soprattutto da friulani, si può e si deve dire, quando si parla di Alpini. Gli Alpini hanno fatto tanto per il popolo friulano, soprattutto in occasione del tremendo terremoto del 1976, di cui in questa settimana cade l’anniversario.

E come hanno fatto tanto per noi, in diverse occasioni, altrettanto hanno fatto per moltissime altre popolazioni, in occasione di tremende catastrofi naturali ed umanitarie analoghe.

Dunque, grazie Alpini!


Ma questo loro straordinario operato in veste di “protezione civile”, non cancella ciò che sono e sono stati gli Alpini.

Gli Alpini sono un corpo dell’Esercito Italiano, sono italiani, non friulani, anche se un tempo reclutavano largamente in Friuli.

Gli Alpini rappresentano l’Italia, lo Stato Italiano, non il Friuli ed il popolo friulano.

Non c’è nulla che associ, soprattutto oggi, gli Alpini alla friulanità; sono e restano simbolo di italianità.

Un vero patriota friulano non può far finta di nulla, non può rifiutarsi di vedere i tricolori ostentati in ogni dove ad ogni adunata alpina. Nessuna bandiera friulana, tranne forse quella di qualche singolo privato. Solo la bandiera di uno Stato che non è friulano, ma che anzi sfrutta e spreme a morte il Friuli.

Nessun vero patriota friulano può associare gli Alpini e la loro storia alla Storia friulana.

La storia degli Alpini inizia nel 1855, nella Guerra di Crimea, in cui onore una canzone di quei giorni è diventata inno degli Alpini valdostani, e si ammanta di “gloria” con i fatti della Prima Guerra Mondiale, sui quali si è fondata l’ancora attuale retorica fascista secondo la quale l’Alpino sarebbe un montanaro semplice, tenace, buono, coraggioso e patriottico, “valoroso difensore della Patria dal barbaro invasore austriaco”.
Peccato che nel 1915 sia stata l’Italia a dichiarare guerra all’Austria-Ungheria, mentre erano ancora alleate, e ad invadere i territori per mera brama di conquista.

La storia degli Alpini prosegue poi attraverso le atrocità della Guerra di Libia del 1911, attraverso i massacri della conquista dell’Etiopia del 1935, delle invasioni proditorie di Francia nel 1940, di Grecia e Jugoslavia nel 1941 e dell’Unione Sovietica nel 1942, fianco a fianco dell’alleato nazista, con tutti i crimini annessi e connessi.

La cronaca dei crimini contro l’umanità perpetrati in maniera cosciente e volontaria dall’Esercito Italiano è nutrita e corposa, non vi è spazio per la retorica degli “italiani brava gente” costretti alla guerra da un regime tirannico ed antidemocratico “non scelto, voluto e non appoggiato dalla maggioranza”, e comportatisi con “cultura superiore, senso di giustizia e comprensione umana” che ancora oggi domina la storiografia ufficiale italiana. Questa è mera propaganda nazionalista.

Il regime fascista ha in realtà goduto di un consenso popolare largamente maggioritario fino all’8 settembre 1943, ed i reparti dell’esercito non si sono mai ammutinati, nemmeno davanti agli ordini più odiosi. Inclusi gli Alpini.

Questa è Storia, suffragata da testimonianze e documenti incontestabili anche dal più cieco e fanatico dei negazionisti.

Lo Stato italiano, il suo esercito ed i singoli reparti di esso, non hanno mai pagato né fatto pubblica ammenda per questi crimini, eguali per gravità e diffusione a quelli commessi dai loro colleghi della Wehrmacht; anzi, si continua imperterriti a tacere, minimizzare e distorcere il racconto della Storia con queste menzogne auto-assolutrici.

Gli Alpini in questo non sono affatto diversi dagli altri corpi dell’Esercito Italiano; hanno commesso crimini atroci e non hanno mai rotto con il proprio passato, sul quale insistono a mentire e negare.

Perché dunque un vero patriota friulano dovrebbe sentirsi orgoglioso di un reparto militare straniero che si è macchiato di inenarrabili atrocità contro altri popoli innocenti e non se ne è mai pentito?

Perché un vero patriota friulano dovrebbe sentirsi orgoglioso di un reparto militare di un esercito straniero che non ha mai combattuto una sola guerra di difesa in tutta la sua storia, ma anzi con le sue gesta criminali infanga il buon nome del Friuli?

Grazie per quello che gli Alpini hanno fatto nel dopoguerra, grazie per lo spirito di sacrificio, per l’inflessibile volontà di aiutare il prossimo; grazie per essere sempre stati i primi ad arrivare e gli ultimi ad andar via. Grazie a tutte queste persone, che sono state e sono meravigliose a prescindere dal cappello piumato che portano.

Ma questo, va rimarcato con forza, è uno spirito civico, un obbligo morale, che si può avere benisssimo senza essere o essere stati membri di un corpo militare che nella sua storia si è macchiato di crimini agghiaccianti di cui non si è mai pentito.

Grazie alle singole persone dunque, che per volontà e spirito aiutano il prossimo credendo in dei valori meravigliosi che loro ritengono riassunti in quella Penna Nera.

Ma un vero patriota friulano non può dimenticare che quella Penna Nera è intrisa di sangue innocente, e che il tricolore non è la sua bandiera.

Viva la brava gente che aiuta gli altri, ma mai viva gli Alpini o viva l’Italia. Questi non hanno nulla a che spartire con la Nazione Friulana.

Movimento ”Autodeterminazione delle Nazioni Friulane e del Litorale”
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Re: Alpini

Messaggioda Berto » sab mag 10, 2014 7:14 am

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Re: Alpini e tricolor

Messaggioda Berto » sab mag 10, 2014 11:54 am

http://www.life.it

Digiuno e Alpini

Pubblicato 10 maggio 2014 | Da daniele

Cari amici,
vi invio i files aggiornati sulla situazione attuale della Fraja Veneta. statistiche digiunatori al 9 maggio
Vedete se potete coinvolgere un amico: un giorno di astensione dal cibo fa bene: alla causa Veneta, all’anima, al corpo.
Una piccola riflessione sull’intasamento dei tricolori da giovedì scorso su strade e autostrade.
Se avete avuto l’occasione di venire da Milano in autostrada, già da Giovedì 8/5, era tutto un flusso tricolore: auto, camion attrezzati, pullman, caravan, roulotte.
Tutti pieni di goderecci alpini bardati dei tre colori in tutti gli accessori.
Ne ho visti diversi gruppi anche Venerdì fare i turisti, con tanto di guide,in giro per Conegliano.
Oggi e domani impossibile recarsi verso Pordenone: 500.000 entusiasti veneti, lombardi, friulani, piemontesi, cioè gente di questo nostro Nord messo in ginocchio dall’Italia, sono lì a sventolare la bandiera causa della nostra rovina, di tanti suicidi.
Come è possibile?
Gli alpini sono brave persone, hanno il nostro comune denominatore: sono seri, lavoratori, sanno “fare”, e sanno anche essere goliardici quando la coscienza è a posto perchè hanno fatto il proprio dovere per tutta la settimana.
E però stanno lì allineati, col petto gonfio d’orgoglio, dietro al simbolo sbagliato: il tricolore.
Per tradizione, abitudine, cameratismo e forse anche un pò di paura di uscire dalle righe. Di essere “stonati” rispetto alla massa.
Mah!, credono ancora che Cadorna Luigi sia stato un grande generale e magari addirittura una brava persona.
Dobbiamo rispettarli e aspettare che il tempo galantuomo rimetta i tasselli della verità al loro posto.
Intanto: NON guardate la televisione oggi e domani e lunedì. NON osate avvicinarvi a Pordenone (raggio di sicurezza dall’epicentro tricolorato almeno 50 km).
Vi allego la lettera che ho scritto al Sindaco di Conegliano il 28 Marzo scorso a proposito del criminale macello noto con l’epitaffio di “Grande guerra”. lettera a sindaco su cadorna (2)
Viva San Marco

Fabio Padovan


http://www.life.it/wp-content/uploads/2 ... orna-2.pdf

LETTERA APERTA AL SINDACO DI CONEGLIANO


Egr. Sig.
Sindaco
Del Comune di Conegliano. Conegliano, 25/03/14

Caro Sindaco ti scomodo un’altra volta per inoltrarti la seguente richiesta confortata da alcune riflessioni e dati storici.

Credo sia giunto il momento di cambiare nella toponomastica di Conegliano il nome di alcune vie non più di attualità, ed anzi controproducenti.

Ve ne sono alcune che rivestono lo stesso negativo significato sia per chi vi abita sia per chi, transitando, ne legge i nomi sulle tabelle indicative.

Cominciamo da quella più eclatante, ma che ho notato solo ultimamente.
Mi riferisco a Via “Luigi Cadorna”, lo sciagurato generale, “Comandante in Capo”, che ha portato al macello centinaia di migliaia di giovani innocenti durante la tragica Prima Guerra Mondiale.

Una guerra che verrebbe voglia di dichiarare futile, per i motivi che l’hanno scatenata, se non fosse che è stata una tragedia immane, che ha causato un dolore incontenibile sul globo terrestre.

Via Luigi Cadorna incombe perpendicolare verso la facciata della Chiesetta dei Frati Cappuccini, alle pendici del Parco Rocca.

Sai, percorrere una via intitolata ad un feroce assassino, non fa certo piacere a chi ha un minimo di dimestichezza con la Storia, che non sia quella roboante delle versioni patriottiche ufficiali.

Una guerra voluta da una sparuta minoranza di esaltati e di fanatici nazionalisti che però l’hanno fatta subire ad una stragrande maggioranza di connazionali che non ne erano minimamente interessati e che in larga parte neanche sapevano dove stavano Trento e Trieste. Pochi industriali e pochissimi politici avevano deciso che l’Italia doveva imbarcarsi in quell’avventura bellica. Così furono le masse operaie e contadine ad essere strappate dalle loro case e lavori per essere avviate al fronte a sopportare, completamente impreparate e non equipaggiate, tribolazioni, malattie e devastazioni. Mica quei quattro fanatici che parlavano di albe radiose e di morte col sole in fronte nei campi gialli di grano.
La povera ubbidiente massa a morire nelle trincee e rincitrulliti generali caporioni a comandare inflessibili da postazioni sicure ben lontane dai rischi. Generali che erano rimasti alle tattiche del secolo precedente, col mito dei grandi assalti frontali di Napoleone.
Il presuntuoso Generale Luigi Cadorna riuscì a trasformare il fronte in un lager dove i “suoi” ragazzi potevano solo obbedire, uscire ripetutamente in assalti suicidi, dannarsi e farsi fucilare dai Carabinieri Italici perché non riuscivano a conquistare quattro sassi, ritenuti “strategici” dalle teste d’uovo dei comandanti.
Cadorna fece piazzare le mitragliatrici dei carabinieri dietro le file destinate agli assalti e fece aprire il fuoco sulla schiene dei soldati se avessero esitato a lanciarsi con ardore (magari cantando “Avanti Savoia”) fuori delle trincee verso le mitragliatrici austriache.
Scrive Lorenzo Del Boca nel suo “Grande guerra, piccoli generali”, da cui ho attinto molto della presente: “Le corti marziali lavorarono a pieno ritmo e i magistrati, seduti sulle stufe arroventate dal fuoco per paura di prendersi un raffreddore, spedirono davanti al plotone d’esecuzione una quantità di poveracci analfabeti che il fango delle trincee aveva mutilato”.

I nostri soldati combattevano come leoni, ma ufficiali ignoranti di qualsiasi strategia, addossavano sempre le colpe alla povera truppa, descritta nei loro roboanti dispacci come un’accozzaglia di cacasotto, i cui superstiti, se pur sfiniti, feriti e mutilati dovevano con urgenza essere spediti prontamente davanti al muro di un qualche cimitero di paese per essere fucilati.
Mandati a morte per mano italiana da tromboni in divisa per nulla tagliati per i combattimenti veri. Buoni solo a pavoneggiarsi ai bordelli.
I nostri fanti non avevano i tronchesini per tagliare i fili spinati? Dovettero talvolta arrangiarsi requisendo le forbici che i contadini usavano per tagliare i tralci delle viti.
Gli eroici ufficiali se ne stavano ben lontani durante le battaglie e poi, a batoste terminate, comparivano per sentenziare: “I reticolati si sfondano con i petti!”, naturalmente degli altri.
Quei cialtroni di comandanti pretendevano con continui nuovi massicci arruolamenti di avere a disposizione più soldati dei proiettili delle mitragliatici nemiche, tanto quei poveri soldatini non erano mica i loro figlioli.
E così sui reticolati si ammucchiava il carnaio italiano, con pochissime perdite per gli austroungarici, come negli assalti del Giugno 1915 nella prima criminale battaglia dell’Isonzo.
Gli austriaci a volte, sparando comodante da seduti, si alzavano a urlare: “Basta, basta morte.
Italiano torna indietro”, perché “Tirare su quegli uomini era più facile che mirare al bersaglio”.
Nella terza battaglia dell’Isonzo i comandanti diedero l’infame ordine di attaccare.
In poche decine di metri quadrati i poveri fantaccini furono maciullati. Impregnarono di rosso le zolle, i cadaveri si ammonticchiavano uno sull’altro. La truppa fu decimata ma il comandante della brigata ordinò agli increduli, esausti, feriti sopravvissuti alla carneficina di tornare fuori a farsi maciullare.
Perbacco!, c’era qualche sopravvissuto ancora da utilizzare!
In pochi giorni, per la vanagloria di qualche “putinot coa divisa” rimasero sul terreno 67.000 (SESSANTASETTEMILA) poveri giovani, le cui mamme attendevano con ansia nella casa che avevano controvoglia lasciata.
Quelli che si salvavano dagli attacchi erano lasciati per giorni sotto la pioggia, nel fango e negli escrementi delle trincee, col rancio freddo e immangiabile, mentre naturalmente gli ufficiali (qualcuno per la verità faceva eccezione) discettavano da lontano, guardando col cannocchiale, di quanto fosse vigliacca la soldataglia incapace.
Ma perché a fine guerra non abbiamo ripagato Cadorna con la stessa moneta con cui aveva pagato i ragazzi terrorizzati che spediva davanti al plotone d’esecuzione?, fucilato anche Cadorna, magari da qualcuno dei “suoi” ragazzi che si fosse offerto volontario.
Il principale responsabile di una carneficina cui sottopose soldatini inconsapevoli, possiamo ben dire, oggi, a distanza di cento anni, è stato uno subdolo, spietato, vigliacco assassino.

Luigi Cadorna, un nome simbolo di vigliaccheria e grettezza che, appena nominato Capo di Stato Maggiore, corse a comprarsi le azioni dell’Ansaldo, azienda che, tra le tante, finanziava i guerrafondai perché le sue acciaierie avrebbero lavorato a pieno ritmo per rifornire di armi i magazzini militari. E lui era ben certo di potersi godere i frutti delle azioni Ansaldo, perché, a differenza dei suoi uomini, lui era sicuro di non cadere perché la prima linea l’avrebbe vista col
binocolo, da lontano, ben riparato.

Questo indecente macellaio scrive alla famiglia: “Ho approvato che alcuni colpevoli o non fossero passati per le armi”. I poveri fantaccini NON colpevoli ringraziano!
Ecco cosa scrisse alla fidanzata un aspirante ufficiale di 26 anni giunto pieno di entusiasmo patriottico da Avellino al “112° Fanteria”: “Avevo un alto concetto della vita militare. Invece qui c’è la feccia. Un giorno dovranno piangere lacrime di sangue per tutto quello che fanno soffrire. La mano divina si farà sentire sul colpevole, sull’infame, sull’ingiusto. Maledetta la guerra, maledetta chi la pensò, maledetto il primo che la nominò”.

Non ci sembra di udire il grido di tutti quei morti ammazzati che chiedono giustizia attraverso la nostra riconoscenza? E’ un dovere, un lascito immenso cui non possiamo sottrarci per servilismo.

Cadorna, che obbliga i suoi sottoposti ad applicare continuamente la DECIMAZIONE.
Il Grande Comandante Supremo emana una circolare datata 1 Novembre 1916: “Resta diritto e dovere dei comandanti estrarre a sorte tra i maggiormente indiziati e punirli con la pena di morte. A codesto ordine nessuno può sottrarsi e io ne faccio obbligo assoluto e indeclinabile a tutti i comandanti”. Ed ecco quindi che lo stesso scrive: “Presso il 75° Fanteria si verificarono casi di indisciplina. Il Comando, con azione pronta ed energica di cui dò ampia e
incondizionata lode, ordinò che due soldati fossero passati per le armi”.
Ed ecco l’ordine del giorno del 23 Ottobre 1916: “ Qualora l’istruttoria del tribunale non conduca all’accertamento del colpevole esigo che un militare sorteggiato per ogni compagnia sia condannato alla fucilazione”.
E così finirono fucilati migliaia di poveretti, rei magari soltanto di aver fatto presente condizioni quotidiane invivibili in trincea o impossibilità tecniche ad eseguire ordini strampalati provenienti da lontano. Come capitò all’alpino Silvio Ortis e ai suoi tre amici.
Oppure vennero decimati interi plotoni colpevoli di non essersi fatti ammazzare tutti quanti nei ripetuti inutili tentativi di prendere una vetta austriaca imprendibile.
Finirono fucilati alpini bendati, eroi delle guerre d’Africa, volontari, padri di famiglia e semplici ragazzi che non capivano cosa gli stesse succedendo finchè il plotone non sparò loro addosso.
Anche Conegliano ha avuto famiglie che hanno perso molti componenti sulle trincee della grande guerra:
i fratelli Barazza, Giocondo e Giovanni; i fratelli Basso, Giulio, vent’anni, e Luigi, venticinque, di Costa; i fratelli Biral, Francesco e Matteo; i fratelli Bottega, Antonio e Francesco; i tre fratelli Calderolla, Augusto, Giacomo e Luigi, di Collalbrigo; i fratelli Ceschin, Giuseppe e Giusto (“secondo figlio offerto alla patria dai vecchi genitori” recita l’epitaffio retorico!; ma i vecchi genitori avrebbero dato la loro vita per tenerseli a casa invece!); i fratelli Dal Bianco, Arcangelo e
Tranquillo, nati a Santa Lucia di Piave, ma residenti a Conegliano; i fratelli Dal Bò, Giovanni e Girolamo; i due fratelli Dal Cin, Antonio e Pietro di Collalbrigo; i fratelli Dottor, Domenico, morto sul Monte Piana e dopo pochi mesi Pietro; i fratelli Gatti, Antonio e Giuseppe; i fratelli Moret, Antonio e Tiziano; i fratelli Nardo, Domenico e Vittorio, originari di Mareno di P.; i fratelli Pagotto, Antonio e Giovanni; i fratelli Piai, Angelo e Gerardo; i fratelli Rosada, Giovanni e Luigi; i fratelli Silvestrin, Vittorio e Antonio; i fratelli Spinazzè, Giuseppe e Natale; i fratelli Stringher, Giuseppe e Luigi; i fratelli Tonon, Giovanni e Vittorio da Ogliano; i fratelli Vazzoler, Bonaventura e Ruggero.

Figli unici, come Benvenuti Giuseppe, 26 anni, perduti per la follia dei pazzi e assassini. Padri, come Pasqualotti Angelo del 1882, morto a 34 anni, che ha lasciato moglie e cinque figli.
Tutti mancati cittadini della nostra città. Tanti, troppi giovani che lasciano genitori, vedove e orfani.

E’ tempo di rimuovere dalla nostra vista quel nome ignobile di un eroe da strapazzo e dedicare la stessa via magari a qualche vero eroe veneto, che ha messo in gioco coscientemente la propria vita per il bene di un comune ideale, come il grande Marcantonio Bragadin o uno dei Serenissimi del 9 Maggio 1997.
Oppure dedichiamola a qualcuno di quei ragazzi coneglianesi che hanno lasciato, senza un perché, le loro giovani vite lontano dalle carezze della mamma. Magari potrebbe andare bene proprio “Via Fratelli Calderolla”.

Caro Sindaco,

è ora nostro sacrosanto dovere cancellare dalla toponomastica nomi vergognosi che infangano la civiltà e il decoro.

Fabio Padovan
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Re: Alpini e tricolor

Messaggioda Berto » sab mag 10, 2014 2:13 pm

http://www.lettera43.it/stili-vita/sold ... 120113.htm

Soldati e droga: la guerra con le sostanze proibite
Da coraggio. E stimola l'attenzione. Tra le forze armate spopola la Dexedrina. Negli Usa ma non solo.


di Mauro Pompili

Sostengono lo spirito bellico dei combattenti. E lo fanno da secoli.
L'uso delle droghe tra i soldati ha una lunga tradizione.
I galli, per esempio, aggiungevano alla birra piante con principi attivi capaci di effetti simili a quelli del Lsd.
Fin dall'antichità la cannabis era usata in tutto il Nord Africa e in India dai soldati. La stessa etimologia della parola «assassini» affonda nel nome che era dato a combattenti particolarmente temuti, che prima della battaglia usavano l'hashish.

GRAPPA NELLE TRINCEE. Nella Prima Guerra mondiale alle truppe italiane era distribuita grappa in abbondanza prima di lanciarsi all’attacco, lo racconta anche Emilio Lussu in Un anno sull’altipiano.

Recentemente sono poi emersi documenti che testimoniano l’impiego di cocaina da parte dell’esercito nazista nella Seconda Guerra mondiale.

EROINA PER I SOLDATI USA. In epoca contemporanea è stata la Guerra del Vietnam ad aver segnato un punto di svolta per l’uso di droghe.
In Indocina l’eroina diventò infatti una vera abitudine tra le truppe. Anche in questo caso l'etimologia può aiutare a comprendere le ragioni: il nome eroina deriva dalla parola «eroe» e richiama la capacità della sostanza di accrescere il coraggio o l'incosciente temerarietà.

Pochi anni dopo l’esercito sovietico, impegnato in Afghanistan, dovette affrontare lo stesso problema, il 25% dei reduci era diventato tossicodipendente.

ALLARME TRA LE TRUPPPE ITALIANE. Recentemente in Italia l’allarme è stato lanciato dal capo di Stato maggiore dell’esercito, il generale Claudio Graziano, che ha denunciato il preoccupante aumento «di alcuni comportamenti negativi che denotano un inequivocabile e intollerabile allentamento di quella tensione morale che deve essere il tratto distintivo di ogni militare».
È con queste parole che il generale ha richiamato i comandanti affinché esercitino un controllo più pressante sui proprio sottoposti, arginando così il problema oramai conclamato dell’uso e dell’abuso di droghe e alcol tra i militari.
Nelle nuove guerre si usa l'anfetamina per gli effetti stimolanti

Negli Usa l'uso di certe sostanze non è approvato, ma i soldati acconsentono di assumere le droghe.

Nelle guerre del XXI secolo la principale droga impiegata è l'anfetamina. Effetti stimolanti immediati, relativa facilità di produzione e costo contenuto ne fanno il prodotto ideale per tutti i conflitti.
Gli effetti collaterali sono, però, particolarmente drammatici. Molti civili e soldati alleati morti in Afghanistan a causa del fuoco amico o per errore potrebbero in realtà essere stati uccisi dalle troppe anfetamine prese dai militari.
TENERE ALTA LA TENSIONE. Questa è l'ipotesi che suggerisce un lungo reportage pubblicato dal Christian science monitor sull'uso di droghe prescritte ai militari americani dai propri superiori, in particolare tra i commandos delle forze speciali e i piloti dei bombardieri.
Secondo il quotidiano americano, l'uso di stimolanti sarebbe reso necessario dalla lunghezza delle missioni. In molti casi gli aerei che bombardano le vallate afghane partono da basi situate sul territorio Usa, a più di 10 mila chilometri di distanza, dove tornano a missione compiuta.
LA DEXEDRINA È LA PIÙ USATA. Lo stimolante più usato è la Dexedrina, una dextroanfetamina legale consigliata ai piloti, che non sono obbligati a prenderla, anche se «la loro carriera può soffrirne se rifiutano».
Da un lato i militari sono incoraggiati a usare eccitanti, dall’altra devono firmare una dichiarazione in cui acconsentono ad assumere queste sostanze, anche se il consenso informato indica che la «Us food and drug administration (l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ndr) non ha approvato l'uso della Dexedrina per alleviare la stanchezza».
ASSUEFATTI ALLE SOSTANZE. Finita la missione, per neutralizzare la sovreccitazione anfetaminica, i piloti sono costretti ad assumere sedativi per poter dormire.
In gergo le anfetamine vengono chiamate «go pills», mentre i sedativi «no-go pills». Il rischio è di diventare tossicodipendenti ed essere assuefatti al ciclo stimolante-sedativo.
Gli effetti di queste abitudini militari ricadono spesso anche su chi ha la sfortuna di capitare a tiro di questi soldati.
Effetti collaterali pericolosi: si vedono i nemici ovunque

Tra i piloti la droga più usata è la Dexedrina che serve per stimolare l'attenzione dei soldati.
(© Getty Images) Tra i piloti la droga più usata è la Dexedrina che serve per stimolare l'attenzione dei soldati.

In Inghilterra e in Canada la questione degli effetti delle droghe ai militari inizia a essere affrontata, soprattutto in relazione alle bombe vaganti, agli incidenti da fuoco amico e ai clamorosi errori nell’identificazione dei bersagli.
Tra i molti casi sotto esame anche un incidente che ha provocato la morte di quattro soldati canadesi. Un pilota americano di F16 in una missione a largo raggio pensando di essere sotto attacco sganciò un bomba su un convoglio alleato.
Un esperto militare, John Pike ha dichiarato: «La versione iniziale dell'incidente ritraeva il comportamento del pilota come inesplicabilmente aggressivo e condito da un pizzico di paranoia e il mio primo pensiero era che avesse preso troppa speed (il termine usato in gergo per le anfetamine, ndr)».
Un pilota che abusa di Dexedrina vede nemici ovunque, come troppo spesso è accaduto in molti teatri di guerra.
PIÙ LETALE DI AL QAEDA. Il ministero della Difesa britannico è costretto a congedare un numero di militari pari a un battaglione ogni anno a causa dell’aumento del consumo di droga tra gli uomini.
L’esercito inglese ha così 'perso' per uso di cocaina cinque volte più soldati di tutti quelli morti in battaglia in Iraq e in Afghanistan per mano di al Qaeda. La diffusione di sostanze stupefacenti risulta più letale di qualunque altro sistema di arma convenzionale o chimica conosciuta.
Le conseguenze per la difesa inglese si preannunciano drammatiche. «Così come stanno le cose», informa un'esperta che ha condotto uno studio sul fenomeno, «l'esercito perde un battaglione l’anno a causa della cocaina per ragioni disciplinari con un ritmo che non ci consente di sostituirlo con altrettanto personale addestrato».

ARMA USATA DAI TALEBANI. La droga nel mondo militare è anche un vero e proprio nemico da cui difendersi, come si legge in un rapporto dell’intelligence statunitense divulgato dal The Daily Beast che l'ha definita «arma tattica dei talebani e seguaci di al qaeda, l’impiego di eroina per inficiare la professionalità dei marine a un costo bassissimo».
Questo è il quadro conosciuto dei grandi eserciti occidentali, ma probabilmente la situazione è anche peggiore nelle milizie armate che combattono in tutto il pianeta.

Dall’Afghanistan alla Cecenia, dal Mali alla Siria (qui i ribelli ricorrono al Captagon) si fa uso costante di stupefacenti ed eccitanti. Un impiego che contribuisce anche a spiegare sia le violenze efferate sia la facilità con cui è accettato il martirio come forma di guerra.
TRAFFICI ILLECITI PER LE ARMI. Inoltre se i soldati usano le droghe per trovare il coraggio e vincere la stanchezza, contemporaneamente il traffico internazionale di stupefacenti serve spesso a finanziare l’acquisto di armi per una o l’altra fazione in campo.
Sempre di più le guerre contemporanee sembrano ruotare intorno a quelle sostanze che accompagnano la storia della civiltà umana, ma che in origine erano cercate nel tentativo di costruire un ponte verso la divinità.
Domenica, 19 Gennaio 2014
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Re: Alpini e tricolor

Messaggioda Berto » dom mag 11, 2014 7:22 am

Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani
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El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian
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Straje de ła I goera mondial ente l'ara veneta
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Stermegno de łi afregani da parte de łi tałiani
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ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian
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Foibe - par colpa dei nasionałeixmi edeołojeghi
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Ençeveltà tałega, straji, połedega, caste, corusion
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Re: Alpini e tricolor

Messaggioda Berto » mar mag 13, 2014 6:34 pm

Marco Paolini - Il Sergente [2007]

https://www.youtube.com/watch?v=eTV4Y4OvTDQ

Ki el Paolin el dopara anca ła łengoa veneta.

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Donau, Danubio - el fiume de l'Ouropa e 'l Don
viewtopic.php?f=45&t=746



Casta de łi atori, de łi scritori e de łi sportivi
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Re: Alpini e tricolor - n'oror

Messaggioda Berto » lun giu 15, 2015 10:23 am

Volantini venetisti all’Adunata «Anacronistica bolgia di retorica»
viewtopic.php?f=139&t=1684

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Il gruppo è stato bloccato dalla polizia. Tre denunce, una a carico di Flavio Contin, tra i protagonisti dell’assalto al campanile di San Marco del 1997

14 giugno 2015
http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 5512.shtml

CONEGLIANO (TREVISO) A volte ritornano, anche dove meno te l’aspetti. Per esempio in una città imbandierata in diecimila tricolori, che celebra l’orgoglio del servizio alla patria, nella comune appartenenza al corpo degli alpini. Ma evidentemente l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsi sfuggire un’invettiva contro l’Italia, così un gruppo di venetisti ha effettuato un volantinaggio al raduno triveneto dell’Ana a Conegliano, che è stato bloccato dalla polizia e che è sfociato in tre denunce, fra cui quella a carico di Flavio Contin, uno degli assaltatori del campanile di San Marco dell’8 maggio 1997 e degli arrestati nell’operazione sui «nuovi Serenissimi» del 2 aprile 2014. Domenica mattina, durante lo sfilamento di 17 mila penne nere nel centro della città, gli attivisti posizionati in corso Mazzini a due passi dalla tribuna delle autorità hanno cominciato a distribuire agli spettatori i ciclostilati firmati dal «Veneto Fronte Indipendentista» e diretti proprio agli alpini.

«Chi vi coinvolge in questa anacronistica bolgia di retorica patriottarda – era scritto, in riferimento al centenario della Grande Guerra onorato dall’evento – sono gli stessi che vi stanno spudoratamente smobilitando e consegnando le vostre stesse caserme a chi non è veneto, ma nemmeno italiano o europeo». ???

E ancora: «Non prestatevi a questo subdolo plagio da parte di chi in questo preciso istante sta consegnando le chiavi di casa vostra a stranieri che aprioristicamente ci odiano. Solo con le nostre bandiere trivenete ci salveremo, con alla testa il vessillo di San Marco!». ???

Parole che hanno suscitato il fastidio di diversi simpatizzanti delle penne nere, tanto da richiedere l’intervento degli agenti del commissariato di Conegliano, presenti in forze alla parata insieme ai colleghi della Digos di Treviso. Tre manifestanti hanno protestato alla richiesta di esibire un documento, per questo sono stati accompagnati negli uffici della polizia, dove sono stati sottoposti a fotosegnalamento ed ai rilievi dattiloscopici, denunciati per il rifiuto di fornire le proprie generalità e la violazione di un ordine dell’autorità , nonché sanzionati per il volantinaggio abusivo. Si tratta di un trevigiano, di un veneziano ed appunto del padovano Contin, 72enne di Casale di Scodosia, irriducibile «serenissimo».



Ke oror!
ITALIA su di noi puoi sempre contare.

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https://www.facebook.com/fabio.padovan55

Domenica mattina (14/06/15) a Conegliano. Sfilano le Penne Nere.
Hai voglia di parlare di Indipendenza del popolo Veneto dalla tirannia fiscale della vorace Italia.
Il Popolo Veneto sta qui, a battere le mani con gioia, mentre sfilano a migliaia i tricolori sorretti dagli alpini.

E’ una festa popolare, vera, grande, carica di emozioni e genuina nei sentimenti. C’è dentro l’amor patrio (anche se è sbagliata la patria), l’orgoglio di aver avuto truppe coraggiose e eroiche, la fierezza di sfilare e di veder sfilare i propri figli, mariti, papà, nonni. C’è la condivisione della felicità, e non è, di questi tristi tempi, cosa piccina.
C’è l’allegria della musica delle varie fanfare, c’è la venetissima innata deferenza nei confronti delle Autorità (militari, civili, religiose). Alcune sono sul palco, altre sfilano sorridenti: molti i sindaci con l’immancabile fascia tricolore. Alcuni con cappello alpino.
Io sto lì ai bordi e li guardo sfilare. Tanti mi salutano, sono amici, amici da una vita. Persone care.
Alpini: gente nostra, persone generose, persone oneste e laboriose. Non immaginano che dentro il mio cuore ci sia tanto avvilimento.
Poi arriva il Gruppone di Belluno, preceduto dallo striscione, portato con la carica e la serietà che il compito comporta: “ITALIA su di noi puoi sempre contare”. Ma, vale il contrario? L’alpino bellunese può mai contare sull’Italia?
Ma di cosa dovrebbe essere riconoscente il falegname di Belluno alla matrigna Italia?
E quando mai questa megera lo ha trattato con amore?
Figli mandati al macello in due guerre, che il falegname non aveva volute. Amici che si sono uccisi in questi anni perché disoccupati o trucidati da una crisi pilotata, nello stesso momento in cui altri rubavano e ancora rubano i soldi delle sue tasse per pagarsi sfacciati lussi esenti da crisi. Gli italiani prendono i soldi del falegname bellunese e di sua moglie e glieli danno al suo concorrente dall’altra parte della valle: alle famiglie di Bolzano, Trento, Udine.
Lì non pagano mammografie, libri di testo gratis per i figli fino ai 18 anni, benzina scontata. Il bellunese se ne sta lì in mezzo a due entità diverse, che campano sui suoi stenti. Ma è la stessa Italia?
Allargandoci e volendo strafare, potrei ricordare agli amici bellunesi che sorreggono il loro tricolore che ai dipendenti della Regione Sicilia NON si applica la Legge Fornero (ITALIA su di noi puoi sempre contare): loro sono diversi; oppure che i dipendenti di Camera e Senato hanno ancora la “scala mobile” (ancora! Dopo 30 anni). Tutti lavoratori nella stessa Italia?

MI arrivano in testa flash nitidissimi di uomini in completo blu, che sghignazzano, lì nei palazzi romani, mentre, in questo preciso momento, si stanno gustando le immagini che arrivano in diretta da Conegliano, Treviso, Veneto (non Libero), Italia: “Signori, continuiamo tranquilli. Su brindiamo!”, e alzano lietamente i calici prima di accordarsi su dove banchettare stasera a spese del contribuente. “Dove andiamo in ferie?”, “Io vado a Cortina”, “Io vado prima a Cortina e poi a Porto Rotondo”. Tanto i soldi mica sono i loro e ferie belle lunghe, mi raccomando!

Poiché siamo in ambito militaresco, di reggimenti, trincee e eroismi, credo che ognuno dovrebbe seriamente rispondere ad una domanda piccola piccola, ma devastante.
Scriveva lo scrittore Goffredo Parise, vicentino (1929-1986): “Il Veneto è la mia Patria. Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria. Noi Veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere combatteremo, è soltanto il Veneto”.
Ecco, ciascuno si chieda e si risponda nel profondo del proprio cuore, da solo, da uomo, a tu per tu con le proprie intime convinzioni: “Per chi sei disposto a combattere e morire?, a perdere per sempre i tuoi affetti e a non rivedere mai più i tuoi cari?”. Per nessuno?, Per la tua casa? Per Treviso?, Per il Veneto?, per la Calabria?, per il Piemonte?, per l’Italia?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Alpini e tricolor - n'oror

Messaggioda Berto » lun giu 15, 2015 10:24 am

Ke simioti sti pori alpini!

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Cogna dir forte a tuti, prasiò anca a łi alpini, ke ła vera Pàrea o Patria o tera Pàrea lè ła tera endoe ca se xe nati e k'a se vive e endoe k'a xe nasesti e ke łi ga vivesto anca na bona parte dei nostri avi e lè ła tera ke ła ne ga formà come omani e come popoło.
La tera Pàrea lè ła tera ke ła ne ga vołesto ben e ke ła ne vol ben, ke ła creansa par nu, ke ła ne vol vivi e fełiçi, veneti de storia e de coultura, omani łebari e sorani, ke ła gà piaser se doparemo ła nostra łengoa veneta e ke no ła ne manda a copar ki ke ne sta arente e a morir par gnente, ke no ła ne roba el fruto del nostro łaor, de ła nostra fadiga e del nostro enpegno.
No ghe xe altre Pàree vere, coełe ke łe ne copa, deroba, ke łe ne vol çitadini sotani e sensa degnetà, ke no łe ga creansa par ła nostra storia e ła nostra coultura lè na Pàrea abouxiva, na cativa Marègna da parar via, de cu vargognarse e łeberarse prima ke se pol.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Alpini e tricolor - n'oror

Messaggioda Berto » lun giu 15, 2015 10:25 am

A go on sogno!
A go on sogno da vivar vanti de morir e lè coeło de poder vedar, miłara de Veneti montegar so łe nostre Alpi sante e ke a miłara łi se raduna so łe piane dei 4 osari vixentini: del Cimon, del Paxoubio, de Axiago, del Gràpa
e ke da łi, łi ghe sighe ai nostri morti, a l’Ouropa e al mondo intiero kel nostro canto no lè coeło barbaro e viołento de łi tałiani, el canto mamełego-roman de łi sasini de Cristo ma tuto naltro, na canta de paxe, de fradernetà e de ben;
e ke dapò a miłara ognoun el porte on tricołor tałian a bruxar so l braxer del riscato e ke l’oxe alto: mi so veneto e no tałian e ke pì gnente me podarà costrenxar a portar sta orenda bandera ke ła gronda del sangoe de ła nostra xente veneta.
No łi se vargogna mia łi alpini de ver sempre en man el tricołor tałian e de cantar l’orenda canta mamełega piena de viołensa e ke ła exalta łi sasini de Cristo.

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Re: Alpini e tricolor - n'oror

Messaggioda Berto » lun giu 15, 2015 10:26 am

Olmi: in Italia tutto si fonda sulla menzogna

http://www.lindipendenzanuova.com/grand ... prati-olmi

di Pino Corrias per “il Venerdì – la Repubblica”-

Dopo tanta retorica da centenario, ammainate tutte bandiere, per favore, arriva Ermanno Olmi, il narratore di molti mondi, tra cui il nostro, a raccontarci cosa fu la Grande Guerra, attraverso quella piccolissima, e dolorosa, di due soldati senza nome, un ufficiale e un fante, incastrati dalla Storia e dalla neve in una trincea a 1800 metri di altezza, sopra Asiago, nella notte di plenilunio dell’autunno 1917. Sognando una buona vita a un millimetro dalla morte. E di sicuro una minestra calda.

Da Milano ad Asiago

Olmi esce dal buio della sala di montaggio con gli occhi lucidi e un sorriso. Gli piace lavorare, ma anche lo sfinisce. Ha 83 anni. Si siede. Beve un caffè. Porta notizie dal suo nuovo film, Torneranno i prati, come uscisse dagli scavi di una memoria che risale a quando era bambino, nella piccola Italia degli Anni Trenta, casetta con giardino alla Bovisa, tra le ciminiere di Milano, quando suo padre ferroviere gli faceva certi racconti pieni di freddo e di spavento, narrandogli dei prati lungo il fronte orientale, sugli altopiani, incisi dal sangue e dalle trincee della guerra.

Oggi, declinando nel titolo quei prati al futuro, Olmi ha scelto di tramandarci un po’ di speranza: “Mi piacerebbe aver fatto un film bello, ma soprattutto utile.
Ne abbiamo bisogno”. Dice: “C’è un cinema per sognare e un cinema per capire. A me interessa il secondo”.


Nel film il tempo dell’anima

La storia del film coincide con quella dei protagonisti, un’ora e mezza: “Un tempo dell’anima, non quello degli orologi”, in cui i due giovani uomini si parlano di cose da nulla, “ma in quel nulla c’è il mondo”. Scende la neve, morde la stanchezza, sale la paura. Poi la neve smette e ci sono le stelle: luci di incommensurabile lontananza, eppure vicinissime. “Proprio come le trincee dell’altro mondo, quello dei nemici, che talvolta correvano a non più di dieci metri di distanza”, e che possono contenere la fucilata del cecchino che ti uccide, oppure una pausa di vita.

Perché da un avamposto all’altro, magari senza vedersi, ci si parlava “con la lingua dei poveri, che è lingua universale” per concordare una tregua, raccogliere i feriti agonizzanti, oppure fare un po’ di legna. Un bombardamento scompagina il paesaggio e la storia. Un colpo di scena la conclude, perché “ci sarà una sorpresa nel volto del nemico”. Per scoprire cosa? “Che in tutte le guerre il vero nemico siamo noi stessi, la nostra ostinata stupidità”.


Disobbedienza virtù civile

Gli storici – che di quella guerra hanno narrato le infinite ragioni, gli infiniti torti, le sofisticate spiegazioni – non sarebbero d’accordo. Ma a Olmi non interessano le grandi architettura della storia, lui inquadra e racconta le piccole viti che le tengono insieme, magari fino al punto di rottura.
“Ogni guerra è un crimine – dice -. E io predico la disobbedienza come virtù civile”.



Morti per il carbone delle Nazioni

Diciassette milioni di morti, ci furono allora, 600 mila solo in Italia. “Per lo più contadini e analfabeti, chiamati a difendere la patria che per loro era la terra, era l’orto, era la vita. Senza neanche immaginare che invece morivano per la ricchezza delle casate reali, degli imperi. Per il ferro e il carbone delle Nazioni”.



La storia e Dio vivono nel bosco

E’ dall’inizio dei suo viaggio che Olmi declina vite minime di giovani operai, giovani fidanzati, trascurabili eroi della fatica quotidiana come i contadini del suo capolavoro, L’albero degli zoccoli, Palma d’oro a Cannes, anno 1978, per raccontarci la grandezza del mondo, il suo mistero. Sempre indagato con la sua mistica di “aspirante cristiano”, e il suo stupore: “Ho vissuto e lavorato sempre all’insegna della sorpresa”. Dice: “Borges cercava il nome segreto di Dio nei libri. Io lo cerco negli uomini, nelle cose fabbricate e in quelle create, come un albero o il bosco”.



Il consumo che abbaglia

Accomodato sul divano, cerca le parole di un rendiconto: “So che da adesso in poi il mio futuro è anche il mio congedo”. Per questo ha voglia di parlare del suo lavoro, il cinema, “che mi ha reso un artigiano felice”, dell’Italia “umiliata dalla menzogna perpetua”, di quella illusione che ci scava: “Crediamo che la felicità sia nel consumare cose. Ma il consumo è il simulacro del piacere e quel che ci resta è solitudine”.



Cominciamo dal cinema.

“Ho girato più di cento opere, tra documentari e film, ogni volta mi sembra di ricominciare da zero, di scoprire tutto dall’inizio. E’ una sensazione bellissima che mi consente la massima concentrazione”.

Anche stavolta ha lavorato con molti appunti e poca sceneggiatura?

“Ho letto molti diari di soldati, preferendoli ai grandi scrittori. Non volevo troppe mediazioni letterarie, volevo immediatezza, stupore, dramma e la poesia dell’essere vivi. Poi ho scritto la storia dei miei personaggi in forma di racconto, sempre in prima persona singolare. I dialoghi li provavo sul set. Le inquadrature anche. Ai tempi dell’Albero degli zoccoli, mi scrivevo le battute su un foglietto che tenevo nel cappello. Sul set provavo le battute con i contadini, ascoltavo il suono del dialetto. Quando le battute stonavano, le cambiavo. I macchinisti ogni tanto mi chiedevano notizie: che dice il foglietto, andiamo in pausa?”.



Il metodo Olmi

E oggi?

“Oggi lo stesso. Ma con tutti gli impacci dei miei anni. Per fortuna sul set, in mezzo alla neve, c’era il mio amico regista Maurizio Zaccaro a tenere le fila. Io me ne stavo un po’ più a valle, davanti a un monitor, dentro una baracca a morire di freddo”.



Quanto le pesano gli anni?

“Rallentano tutto quello che vorrei fare. Mi nascondono le parole che ho in testa. Però mi tengono anche compagnia”.



E vero che una volta finiti non riguarda più i suoi film?

“E’ vero, non li riguardo mai, straccio gli appunti, ripulisco la scrivania. Mi metto in cammino verso altre scoperte, mentre loro stanno fermi e quello che avevano da raccontarmi lo so già”.



Cos’è per lei il cinema?

“E’ mostrare qualcosa della realtà che gli altri non vedono. E’ Rossellini che gira Paisà tra la polvere del dopoguerra. E’ Fellini che sogna di fare Otto e mezzo mentre lo fa. E’ Tonino Guerra, già molto malato, che mi dice ho una bellissima storia da raccontarti sul nostro amico Tarkovskij. E mentre racconta, fuori dalla finestra della sua casa di Pennabilli, c’è la stessa neve di Amarcord”.



Le manca quel mondo?

“E’ stato una parte della mia giovinezza. Ma sono un uomo di sentimenti, non un sentimentale, e quindi non mi manca, perché c’è sempre, sta dentro di me”.



Il cinema di oggi le piace?

“Quello degli effetti speciali, delle commedie insulse, no. Ma ho visto cose bellissime come Le meraviglie di Alice Rohrwacher, certi film di Edoardo Winspeare e poi i lungometraggi di Michelangelo Frammartino, che per me è il più profondo. Sono sicuro che ruberò qualcosa a ognuno di loro, una luce, una inquadratura. Certi film sono così roventi che ti lasciano il segno”.



L’Italia si fonda sulla menzogna

E l’Italia di oggi che segno le lascia?

“Inquietudine, rabbia. Perché tutto si fonda sulla menzogna, su questo inganno che il consumo, l’economia, il pil, riempirà il vuoto della vita. Berlusconi, da questo punto di vista, è stato il re dei mentitori. Un avvelenatore di pozzi. Pasolini, parlando di un regista disse: è così bugiardo che quando sarà all’inferno, convincerà gli altri di essere in paradiso”.



Renzi dannato della comunicazione

E Renzi?

“Anche lui è prigioniero di questa dannazione della comunicazione. Questo perpetuo fare in fretta per poterlo dire in fretta e poi magari, lentamente, non fare niente. Racconta anche lui bugie. Tutti fanno finta di credergli per convenienza e si va avanti ancora un po’”.

Però almeno è giovane, dunque innocente del passato, o almeno così si dice.

“E’ giovane di sicuro. Speriamo solo che migliori, perché è anche l’unico”.



La verità stonata

La accusano di essere antimoderno, inattuale, passatista.

“Se la modernità è distruggere il pianeta che ci ospita, avvelenare quello che mangiamo, preferisco non essere moderno. Ma non lo credo. La modernità è pensare con occhi nuovi, non masticare idee vecchie. Il mio amico Luciano Bianciardi, che nei suoi ultimi anni milanesi veniva a trovarmi ogni giorno, con la sua camminata lenta, da provinciale, era tra i pochi che non credevano ai miracoli del Miracolo economico. Tra tanti cantori, la sua verità stonava”.



Però anche lei ha fatto spot pubblicitari, dicono i puristi.

“Ah, sì. Me lo rimprovera sempre il mio amico Goffredo Fofi. E’ vero, lo ammetto. Ne ho girati sei per sopravvivere in certi anni in cui i miei film non facevano una lira. Con due caroselli campavo un anno, una meraviglia. Poi ho smesso”.



Asiago, libro della vita

In tanti anni di mestiere non ha mai abitato a Roma e ha lasciato Milano per l’altopiano di Asiago.

“Vivo in mezzo alla natura e al silenzio. Ho avuto una brutta malattia. Loredana, mia moglie, mi ha aiutato a sopravvivere. Ma lo ha fatto anche il bosco, che è il libro della vita”.


Grande Guerra, la retorica delle bandiere per dimenticare

Di questo film cosa vorrebbe che restasse?

“La forza della vita sulla morte. La certezza che la guerra è un crimine. E visto che siamo nel centenario, il sospetto che la retorica delle bandiere sia fatta più per dimenticare che per ricordare”.
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