Cara Sixara se a ghè on tenpo parfeto lè coelo sagro pì ke coel profan, parké lè eterno o fora dal tenpo cofà Die.
La perfasion del tenpo gramego lè na perfasion profana, tera tera, finia.
Preterito = dadrio, lasà endrio (
preterito el xe on moto tenego-jergal ke par kel diga kisàke purpio parké nol se cognose e cognosendolo el val come e manco de
dadrio).
???
Osservazioni sul participio passato in veneto ∗
Roberta Maschi e Nicoletta Penello (Università di Padova)
http://asit.maldura.unipd.it/documenti/ ... enello.pdf???
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Il veneto occidentale (varietà di Verona) aumenta, invece, il sincretismo all’interno della I con. con l’unificazione delle desinenze del plurale in - é (MP e FP canté ). Ancora in questa zona, il MS di II con., tipo tazùo , alterna liberamente con tazù , mentre è soprattutto nel bellunese che registriamo forme di III con. come sentì “sentito” (Zamboni 1974: 58). Più raramente si assiste ad un adeguamento della III con. alla II, come nel bisiacco sintù e nei dialetti di area ladina ( fnù “finito”, come temù “temuto”; cfr. Zamboni 1974: 71).
Segnaliamo inoltre che i participi in - ésto (vedi oltre § 4) non sono diffusi con la stessa frequenza in tutto il veneto:
abbiamo, da un lato, l’area centrale in cui alternano con i participi in - ùo , e solo per alcuni verbi 5 , e dall’altro lato l’area settentrionale (specie feltrino-bellunese) in cui rappresentano l’unica forma participiale di II con. (in bellunese e trevisano con la forma - ést ).
Ritroviamo questo tipo anche oltre i confini veneti (con una veste fonologica propria ad ogni varietà): in trentino (- ést ), lombardo alpino e comelicano (- óst(o)/ -óstu ), ferrarese, triestino, zaratino (- ùsto ) 6 e istriano (- ìsto per il passaggio e > i ), stando alle rilevazioni effettuate da Jaberg e Catoni (visibili nelle carte riportate da Zamboni 1974: 23-24).
Se in alcune aree l’uscita - ésto si può estendere a verbi di III con. (ad es. alto vicentino sentesto “sentito”, dormesto “dormito”), altrove la sua massiccia diffusione nella II incoraggia la formazione di una desinenza parallela di III: - ìst(o) (Valsugana e Oderzo, TV: cfr. Rohlfs 1968: §624; anche alto vicentino, cfr. Tuttle 1998: 126); nell’agordino si registra per la III con. l’uscita - iést ( sentiest , Tuttle 1998: 127).
6 Wengler (1915: 58-63) documenta, per Zara, le forme credusto, credù, credudo ; volusto, volesta, volsù, volsudo, voludo ; podusto, podesto ; savusto, savudo : ciò ci farebbe pensare, per il participio in - ùsto , ad una contaminazione fra i tipi - ù(d)o ed - ésto .
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Si sottolinea, infine, la particolarità della desinenza - óst(o)/ -óstu (es. participi deboli del comelicano curostu “corso”, muvostu “mosso”), probabilmente analogica alla serie “-posto” > “risposto”, “nascosto” e ad altri participi forti analogici come most “mosso”, plost “piovuto” (Poschiavo), tlostu “tolto” (Comelico); cfr. Rohlfs 1968: § 624, Tuttle 1998: 126 e Zamboni 1997: 150.
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Sono inoltre presenti poche forme forti in - sto ( visto, risposto ), che si sono costituite per analogia con participi in cui la sequenza - st - è etimologica: POS(I)TU, QUAES(I)TU. Ricordiamo che lo stesso fenomeno si è verificato nell’italiano: a partire dai participi chiesto e posto , la sequenza - st -, reinterpretata come morfema participiale, si è estesa al participio di altri verbi, sostituendo o affiancando le forme etimologiche: visto 14 , nascosto, rimasto, risposto .
14 Per visto si potrebbe presupporre un volgare *VIS(I)TU al posto di VISU, sorto per contaminazione con l’iterativo VISITARE (cfr. Rohlfs 1968: § 624 e Tekavčić 1980: § 729).
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Infatti un movimento di forte espansione dei participi in - ésto si ebbe nel XV secolo quando, a partire da Venezia, si irradiarono a macchia d’olio nell’entroterra (cfr. Tuttle 1997a); in quest’epoca era ancora ben vivo l’uso del perfetto, e si riscontra nei testi antichi una forte tendenza a regolarizzarne le forme forti sostituendone il tema con quello del presente e aggiungendo la desinenza tonica - é . Possiamo indovinare quindi che, parallelamente al perfetto, anche i part. pass. forti subissero una forte spinta alla regolarizzazione, e che la desinenza - ésto potesse, per certi versi, prestarsi allo scopo meglio di - ùdo , proprio grazie alla vocale tematica che rinviava ai perfetti equivalenti regolarizzati (ad es.: perf. mosse - part. mosso => perf. mové - part. movésto ). Scriveva l’Ascoli (1878: 396):
“nelle letterature dialettali, e in ispecie nella veneta, ci è mostrato come il tipo ‘forte’ di perfetto si venisse largamente risolvendo nel tipo ‘debole’ [...]. Ora, ognun sa quanto sia stretto il vincolo fra il perfetto indicativo e il participio di perfetto [...]; dato codesto tralignamento del perfetto indicativo, la produzione di un nuovo participio si rende [...] pressoché inevitabile...”.
I participi veneti in - ésto più antichi di cui abbiamo testimonianza risalgono al XIV secolo, e sono presenti sia in testi letterari (il Tristano veneto, la versione volgare dell’ Arte di Amare , ecc.) che in documenti di tipo pratico ( Statuti veneziani ), di provenienza soprattutto veneziana (ma anche occidentale). I più frequenti sono movesto “mosso”, con i suoi composti, e piasesto / plasesto “piaciuto”, a cui si affiancano coiesto “colto”, chorresto “corso”, nosesto “nuociuto”, tasesto “taciuto” e tolesto “tolto” 16 .
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4. Il participio in - ésto : una neoformazione veneta
Nel veneto centrale un gruppo di verbi di II con. dispone di due participi deboli, o rizoatoni, in quanto accanto alla forma attesa, in - ùo (che costituisce la forma morfologicamente non marcata, disponibile per tutti i participi regolari di II), compare una seconda forma con morfema desinenziale - ésto , scomponibile in vocale tematica - e -, morfema participiale - st - e desinenza - o . Mentre il morfema - ùo è riconducibile ad un -UTU già proprio del latino volgare, quindi ad una desinenza regolare o regolarizzante panromanza, l’origine di - sto è invece rintracciabile in singoli verbi: PONO, part. pass. POS(I)TU, “posto” e QUAERO, part. pass. QUAES(I)TU, “chiesto”. Osserviamo subito che si tratta della stessa origine delle forme forti venete e italiane in - sto viste al § 3.2.; ma possiamo anche constatare che, in quel caso, si trattava di una diffusione limitata a pochi verbi, e soprattutto che le nuove forme analogiche erano forti, rizotoniche.
???
Nel caso dei participi veneti in
-ésto, invece, l’uscita
-sto dei participi forti latini si diffuse, in veneto, ad altri verbi di II coniugazione, ma grazie all’inserimento della vocale tematica tonica
-é- divenne un’uscita regolarizzante (alternativa a
-ùdo ) e applicabile a tutti i temi verbali di II:
-é-sto .???
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???
Me dimando:
vanti de ste atestasion scrite da coanto tenpo a se doparava o uxava ste dexinense entel parlar?
e da endove saltełe fora, come se gałe formà?
ki łe ga portà?
concordanse co l'ara tałega e staltre aree ouropee?
łighi co łe atestasione veneteghe ?
Co sti łaori de łi grameghi tałiani no me cato ben, no me destrigo, me par tuto masa enbrojà su da i dogmi romansi sol latin e so łe varianse łengoesteghe dite asurdamente e enpurpiamente "latin volgar" da cu a saria naste łe nostre łengoe dite "romanse" e fate nasar entel mexoevo come par encanto o par na deriva biołojega drento ła łengoa, ... ghe xe màsa encoerense, sfalsadure, spanadure.
Tuti sti studi łi togo par coel łi val e prinçipalmente par i dati reałi ke łi porta, lasando łe considerasion de sti studioxi da na parte, lomè come epotexi.
http://www.ovi.cnr.it