El caxo Hong Kong

El caxo Hong Kong

Messaggioda Berto » gio mar 13, 2014 8:47 pm

Hong Kong: l’ex colonia divenuta modello di libertà economica (1° parte)

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Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano la prima parte dell’articolo Freedom Works: The Case of Hong Kong, apparso nel Novembre 2008 sulla rivista The Freeman (pubblicata dalla Foundation for Economic Education), da parte di Andrew P. Morriss, docente di diritto e professore di business all’University of Alabama. (Traduzione di Luca Fusari)

Hong Kong ha una notevole reputazione per la libertà economica e per le sue virtù liberali classiche. In una serie di articoli, Milton Friedman utilizzò Hong Kong per mostrare come il potere del libero mercato, in combinazione con poco altro, sia in grado di creare ricchezza, sottolineando che il suo reddito pro-capite è passato dal 28% nel 1960 al 137% nel 1996 sempre sotto la Gran Bretagna.

Come Friedman scrisse nel 1998, «confrontate la Gran Bretagna, il luogo di nascita della rivoluzione industriale, la superpotenza economica del XIX° secolo sul quale impero il sole non tramontava mai, con Hong Kong, una lingua di terra sovraffollata, senza risorse ad eccezione di un grande porto. Eppure nel giro di quattro decenni gli abitanti di questa lingua di terra sovraffollata hanno raggiunto un livello di reddito superiore di un terzo rispetto ai residenti della sua ex madrepatria».

La valutazione di Friedman corrisponde al ranking costante di Hong Kong in cima all’Index of Economic Freedom della Heritage Foundation e all’Economic Freedom of the World del Fraser Institute. Ad esempio nell’Index 2008 Hong Kong ha ottenuto più del 90% in sette dei dieci parametri di libertà economica. Notevole come il punteggio più debole di Hong Kong (la libertà dalla corruzione, dove si collocava alla 13° posizione su 180 Paesi valutati nel 2006 da Transparency International) fosse davanti a quello degli Stati Uniti (nel 2008 il 5° Paese più libero nel suo complesso, 20° sulla libertà dalla corruzione).

Perché Hong Kong è così libera? Hong Kong non sarebbe mai divenuta la potenza economica che è oggi se i politici di alto livello, sia inglesi che cinesi, avessero avuto voce in capitolo. La Gran Bretagna acquisì l’isola di Hong Kong nel 1842 (ulteriore territorio è venuto in seguito), attraverso un accordo tra il rappresentante britannico, il capitano Charles Elliot, e il negoziatore cinese, il marchese Ch’i-ying, per risolvere una piccola guerra che era scoppiata per questioni commerciali (fu un indennizzo per un sequestro cinese di oppio britannico, ma la controversia era più ampia rispetto alla questione dell’oppio, e studi recenti tendono a mettere in dubbio l’etichettatura convenzionale della cosiddetta ‘guerra dell’oppio’).

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L’accordo risultante fu impopolare sia presso la corte imperiale cinese che presso il governo britannico. Alle autorità cinesi non piaceva qualsiasi cessione di territorio ai britannici, ed erano preoccupati per l’impatto sui ricavi tariffari derivanti dalla creazione di un porto da questi controllato. Inoltre, i cinesi disprezzavano l’ossessione britannica per il commercio.

Il governo britannico ritenne Hong Kong una location povera rispetto alle possibili alternative, come Formosa. Tuttavia i limiti alla comunicazione nel XIX° secolo costrinsero i due governi a delegare l’autorità per risolvere la controversia ai loro rappresentanti in loco. Come ha scritto Frank Welsh in un suo eccellente volume A History of Hong Kong, fu «una fonte di imbarazzo e fastidio per i suoi progenitori fin dalla sua prima apparizione sulla scena internazionale» (se non diversamente indicato, le citazioni sono tratte dal libro di Welsh).

STORIA INIZIALE

Le valutazioni iniziali sul potenziale di Hong Kong furono pessimiste. Lord Palmerston, nella peggiore previsione mai fatta da un diplomatico britannico, concluse che era «un’isola sterile, che non sarà mai un luogo per il commercio». Il tesoriere coloniale, Robert Montgomery Martin, uno scrittore prolifico sul possedimenti d’oltremare della Gran Bretagna (compresi i cinque volumi sulla History of the British Colonies pubblicati nel 1840), al pari della valutazione di Lord Palmerston del 1844, ritenne che «non c’è un commercio notevole di qualsiasi dimensione a Hong Kong. (…) C’è solo un’azienda nell’isola, ma bisognerebbe (…) essere contenti se si riavesse indietro la metà dei soldi spesi nella colonia e ritirarsi da essa. (…) Ad ogni modo, non sembra esserci la minima probabilità che Hong Kong diventerà mai un luogo di scambi commerciali».

Tuttavia alcuni commerci cominciarono a seguito della creazione di depositi mercantili britannici. Ma le prime politiche britanniche sul loro nuovo territorio fecero poco per promuovere la crescita economica. In una indagine parlamentare del 1847 sulla situazione economica di Hong Kong, si scoprì che il governo britannico aveva inizialmente posto un’innalzamento «il più grande possibile sul reddito» e che questo aveva danneggiato il commercio, concludendo che le restrizioni istituite sul commercio dai primi amministratori britannici, allo scopo di aumentare le entrate, significavano che «danneggiarono Hong Kong».

Hong Kong fisicamente venne ampliata due volte durante il XIX° secolo. Il territorio sulla terraferma di fronte all’isola di Hong Kong, Kowloon, fu acquisito in modo “casuale” per 500 talleri durante un conflitto sino-britannica nel 1859 in un accordo tra un console britannico e un funzionario Ch’ing. Nel 1898 la Gran Bretagna ottenne in leasing per 99 anni i Nuovi Territori: il territorio continentale aggiuntivo oltre ad alcune isole.

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In entrambi i casi, la logica d’espansione fu quella di proteggere il porto dalla serie di cannoni situati sulla terraferma. Anche se gli inglesi speravano che i Nuovi Territori affittati divenissero una sistemazione più stabile, il loro accordo per un contratto di locazione anziché per una cessione permanente svolse un ruolo importante nel ritorno di tutto il territorio alla Repubblica Popolare Cinese nel 1997.

La Gran Bretagna fece relativamente poco con la sua nuova colonia, al di là di stabilire l’ordine pubblico e l’estensione della rule of law. Il risultato fu essenzialmente un porto franco, molto simile a quelli che le potenze europee stabilirono sulla terraferma con il trattato di Nanchino nel 1842-1843. Uno dei motivi di tale politica di relativo laissez-faire da parte della Gran Bretagna fu la persistenza del punto di vista maturato dai primi funzionari coloniali che i residenti cinesi non volessero o non apprezzassero la legislazione britannica.

Questo atteggiamento è evidente nella testimonianza di una commissione parlamentare della metà del diciannovesimo secolo, esaminando l’amministrazione della colonia, il colonnello John Malcolm, un collaboratore del governatore, disse ai parlamentari britannici che «i cinesi sono un popolo particolare, a cui non piace essere disturbato. Loro non ci capiscono, non possono capire le nostre vie, e quando gli viene detto che devono fare prima una cosa e poi un’altra, risultano spaventati e fuggono da noi».

Che si trattasse o no di una caratteristica “peculiare” dei cinesi avere antipatia per un governo arbitrario, al fine di evitare conflitti durante il mandato, la tendenza generale fu quella di lasciare sole le persone, le politiche adottate in ottica del commercio diede alla colonia fin dall’inizio il beneficio della rule of law.

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Re: El caxo Hong Kong

Messaggioda Berto » gio mar 13, 2014 8:49 pm

Hong Kong: l’ex colonia divenuta modello di libertà economica (2° parte)

http://www.lindipendenza.com/hong-kong- ... 2%B0-parte

Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano la seconda parte (qua la prima) dell’articolo Freedom Works: The Case of Hong Kong, apparso nel Novembre 2008 sulla rivista The Freeman (pubblicata dalla Foundation for Economic Education), da parte di Andrew P. Morriss, docente di diritto e professore di business all’University of Alabama. (Traduzione di Luca Fusari)

UN CENTRO NATURALE PER IL COMMERCIO

Che cosa fece la Gran Bretagna per creare Hong Kong? La combinazione dell’eccellente porto e della rule of law significò che Hong Kong era un centro commerciale naturale. Ma non era il posto migliore per il commercio in Cina, e ai primi del Novecento Shanghai stava vincendo con successo il commercio a distanza rispetto ad Hong Kong. Shanghai offrì una popolazione più istruita, una posizione più comoda, l’accesso alla protezione europea in regime di concessione franca da parte del governo cinese, e, a causa del declino del potere imperiale, relativamente poca interferenza da parte del governo cinese.

Nel 1910 Shanghai diventò un centro di commercio molto più importante di Hong Kong. Con la scelta inglese della più difendibile Singapore come centro del potere navale britannico nella regione, Hong Kong perse importanza per il governo di Sua Maestà. Come risultato, la colonia languiva in uno stagno, diventando un noto centro di prostituzione e gioco d’azzardo, anziché l’attuale potenza economica.

Una cosa che la Gran Bretagna non creò ad Hong Kong fu un governo democratico. Le istituzioni democratiche locali non furono autorizzate a svilupparsi, come furono invece ammesse nella maggior parte delle altre colonie britanniche, perché gli inglesi non erano disposti a dare alla maggioranza cinese una voce reale nell’amministrazione. Di conseguenza, come conclude Welsh, «Hong Kong continuò come un’amministrazione autoritaria, come sotto ogni governo cinese, ma l’autorità finale dovette essere la legge anziché il capriccio individuale».

Il governo centrale imperiale cinese raramente favorì la libertà economica e la fine del XIX° e l’inizio del XX° secolo non furono delle eccezioni a tale regola. Quando il potere del governo centrale si attenuò, i signori della guerra regionali cominciarono a rivaleggiare, ma furono altrettanti centri predatori di potere. Anche il potere degli europei, degli americani, e quello giapponese si ampliò in Cina, puntando sull’accesso al mercato cinese per i loro cittadini, ma non alla creazione della libertà economica per i cinesi all’interno delle loro sfere d’influenza.

La stabilità di Hong Kong attirò sempre più immigrati da altre parti della Cina. La popolazione crebbe dai 600 mila abitanti del 1920 ad oltre un milione nel 1938. Poiché in Cina le condizioni peggiorarono con l’invasione giapponese e la lotta tra i signori della guerra regionali (i nazionalisti del Kuomintang e i comunisti), ogni giorno 5 mila migranti cominciarono a riversarsi ad Hong Kong.

Nel Marzo del 1950 la città raggiunse i 2,3 milioni di abitanti, i quali portarono a Hong Kong sia un significativo aumento della forza lavoro che di capitale umano, con imprenditori cinesi che fuggirono davanti agli eserciti di Mao. Inoltre, la vittoria comunista sulla terraferma significò che Shanghai cessò di essere una seria concorrente.

ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ AD HONG KONG

La vita sulla sponda della Cina comunista non era facile. Durante la guerra di Corea, gli embarghi sul commercio colpirono gli affari della città, costringendo molti commercianti di Hong Kong a reinventarsi come produttori. L’afflusso continuo di profughi dalla terraferma distorse l’infrastruttura della colonia. Tra i rifugiati vi era Jimmy Lai, uno dei milioni di persone senza un soldo che cercarono la libertà ad Hong Kong.

Mentre lavorava nella stazione ferroviaria di Shanghai come facchino, a Lai fu data la sua prima tavoletta di cioccolato da un viaggiatore. Affamato, Lai la mangiò subito. Correndo dietro a quell’uomo, chiese da dove questo meraviglioso cibo provenisse, e la risposta fu “Hong Kong”. Determinato a raggiungere il luogo in cui erano disponibili tali meraviglie, Lai finalmente convinse la madre a permettergli di fuggire e venne contrabbandato fuori dalla Cina sul fondo di una barca da pesca.

Al suo arrivo a Hong Kong, andò quella stessa notte a lavorare in una fabbrica di abbigliamento. Oggi Lai è un miliardario, proprietario di una delle società di media di maggior successo in Asia. Le sue capacità imprenditoriali hanno ovviamente giocato un ruolo importante nel suo successo (Lai racconta la sua commovente storia nel documentario dell’Acton Institute The Call of the Entrepreneur) ma fu la libertà disponibile a Hong Kong, che gli ha permesso di mettere il suo talento all’opera.

Questa libertà ha molte forme, tra cui l’assenza di restrizioni valutarie in vigore in quel momento sia nel Regno Unito che in gran parte dell’Europa, e poche regolamentazioni sulle imprese. Come risultato, Hong Kong cominciò a fiorire. Perché? Come l’ultimo governatore britannico di Hong Kong, Christopher Patten, ha scritto nel suo libro di memorie, East and West, i profughi dal comunismo che invasero Hong Kong arrivarono nell’unica città libera della Cina: era infatti (nelle parole del giornalista cinese Tsang Ki-fan) «l’unica società cinese che, per un breve arco di 100 anni, ha vissuto un ideale mai realizzato in qualsiasi momento nella storia della società cinese, un momento in cui nessun uomo ha dovuto vivere nel timore che bussassero alla porta a mezzanotte».

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Hong Kong ha avuto un governo competente, perseguente l’economia di mercato sotto la rule of law. Fu un governo che ha pienamente soddisfatto l’obiettivo confuciano «rendi la gente del luogo felice e attrarrai immigrati da lontano». L’atteggiamento di laissez-faire del governo di Hong Kong sulle questioni economiche fu cementato da Sir John Cowperthwaite (nella foto a sinistra), segretario finanziario della colonia tra il 1961 e il 1971, Welsh lo definisce un «economista politico nella tradizione di Gladstone o John Stuart Mill» e la personificazione dell’«irriducibile scuola di Manchester di libero scambio».

Cowperthwaite ebbe il controllo quasi completo delle finanze pubbliche di Hong Kong, che utilizzò per attuare la sua politica di ‘non-intervento positivo’. Friedman diede a Cowperthwaite una grande parte del merito per il successo di Hong Kong, citando con approvazione il rifiuto di Cowperthwaite di raccogliere la maggior parte delle statistiche economiche sulla base del fatto che «se lascio calcolare queste statistiche, verranno usate per la pianificazione». Jimmy Lai ha un busto in bronzo di Cowperthwaite all’ingresso della sua azienda (così come quelli di Friedman e di F. A. Hayek).

Cowperthwaite merita i riconoscimenti che ha ricevuto. Durante il suo decennio come segretario finanziario, i salari reali aumentarono del +50% e la quota della popolazione in condizioni di acuta povertà scese dal 50% al 15%. Quello che è notevole è che Hong Kong compì questo senza risorse ad esclusione delle persone. La colonia non aveva né terreni agricoli né risorse naturali, e anche la risorsa umana mancava in gran parte di una educazione. Infatti, pochi al momento pensavano che le masse di profughi che avevano raggiunto Hong Kong durante gli anni ’50 sarebbero diventati qualcosa di diverso da un onere per lo Stato.

La maggiore e notevole trasformazione di Hong Kong si verificò quando i socialdemocratici governavano l’Europa e la Great Society di Lyndon Johnson dominava la politica americana, entrambe quale riflesso e consenso delle élites politiche d’Europa e del Nord America circa il fatto che il welfare State e le politiche economiche interventiste fossero l’unica direzione sensata per le società avanzate. Anche nel mondo in via di sviluppo le politiche economiche interventiste (come l’industrializzazione in sostituzione dell’importazione mediante l’innalzamento di alti muri tariffari per proteggere le industrie nazionali) furono ampiamente accettate.

La piccola Hong Kong riuscì invece ad adottare e a mantenere le politiche di libero mercato e di libero scambio che andavano contro le politiche del governo britannico, il consenso degli analisti politici e degli economisti dello sviluppo di tutto il mondo, e lo fece appollaiata precariamente sul bordo di un massiccia dittatura comunista, nel bel mezzo delle politiche autodistruttive come il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale.

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Re: El caxo Hong Kong

Messaggioda Berto » lun mar 17, 2014 8:39 am

Hong Kong: l’ex colonia divenuta modello di libertà economica (3° ed ultima parte)

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Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano la terza ed ultima parte (qua la prima e la seconda) dell’articolo Freedom Works: The Case of Hong Kong, apparso nel Novembre 2008 sulla rivista The Freeman (pubblicata dalla Foundation for Economic Education), da parte di Andrew P. Morriss, docente di diritto e professore di business all’University of Alabama. (Traduzione di Luca Fusari)

NON UN PARADISO LIBERTARIO

Sebbene sempre più libera rispetto a molti altri luoghi, Hong Kong non è mai stato un paradiso libertario.
Le sovvenzioni governative hanno dominato a lungo il suo mercato residenziale; con il 60% dei residenti che vivono in essa per la prima volta, il governo ha manipolato (e continua a farlo) il mercato fondiario per massimizzare i ricavi per le casse pubbliche dalle vendite, il che svolge un ruolo importante nel causare la carenza di alloggi e la richiesta di una edilizia residenziale pubblica quale “soluzione”.

L’assistenza medica è anch’essa stata a lungo socializzata. Inoltre Hong Kong ha avuto seri problemi di corruzione, anche durante il culmine dell’era di Cowperthwaite, con la polizia che negli anni ’60 e nei primi anni ’70 era «affetta dalla corruzione», secondo l’ex governatore Patten. Poi c’è il persistente “deficit democratico”. Hong Kong è riuscita a sfuggire all’ondata della democratizzazione, successiva al secondo conflitto mondiale, dilagante nell’impero britannico, perché, come un funzionario britannico disse in un’intervista radiofonica nel 1968, «all’elettorato della Gran Bretagna non importava un centesimo d’ottone di Hong Kong».

Infatti la Gran Bretagna non mostrò quasi nessun interesse ad espandere un governo rappresentativo nella colonia, dato che era diventato chiaro che Hong Kong sarebbe “ritornata” alla Cina nel 1997, quando il contratto di locazione sui Nuovi Territori sarebbe scaduto. In un certo senso questo deficit democratico ha giovato a Hong Kong, uomini come Cowperthwaite e Patten hanno mantenuto le idee liberali classiche sulla libertà economica e quindi hanno in gran parte evitato quelle azioni che avrebbero vinto l’approvazione popolare (e che sicuramente l’avrebbero avuta in Gran Bretagna).

Ma la mancanza di un governo rappresentativo ha consentito anche alla Gran Bretagna un trattamento vergognoso dei residenti di Hong Kong, quando ha respinto il diritto di soggiorno a quei titolari di un passaporto di Hong Kong temendo una anticipata marea di profughi in vista del ritorno alla Cina (il resto dell’Europa non si comportò in maniera migliore).

“UN PAESE, DUE SISTEMI”

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Hong Kong è tornata alla Cina nel 1997, nell’ambito di un accordo negoziato tra la Gran Bretagna e la Repubblica Popolare che prevede una garanzia per almeno 50 anni che Hong Kong e la Cina sarebbero stati “un Paese, due sistemi” (formalmente Hong Kong e l’ex colonia portoghese di Macao sono entrambe “regioni amministrative speciali” della Cina). Il ritorno in sé era inevitabile, così come lo era la volontà della Cina di preservare il capitalismo in suo seno.

Non solo l’isola di Hong Kong e Kowloon erano insostenibili senza l’affitto dei Nuovi Territori (dove si trova gran parte della fornitura d’acqua), ma ancora una volta agli elettori britannici degli anni ’90 non importò nulla di Hong Kong. L’interesse della Cina nella conservazione della gallina dalle uova d’oro era anch’esso chiaro. La Repubblica Popolare aveva a lungo fatto uso di Hong Kong (che avrebbe potuto sequestrare con la forza in qualsiasi momento) come mezzo d’accesso ai mercati esteri e quale fonte di capitali. L’80% del reddito estero della Cina è giunto attraverso Hong Kong.

La Cina ha anche voluto dimostrare a Taiwan che una riunificazione pacifica era possibile. Il pericolo era che la leadership cinese non avrebbe capito ciò che Patten nel suo libro ha definito «il rapporto tra l’hardware Hong Kong (l’economia capitalista) e il suo software (una società pluralista), eppure era quest’ultima che ha consentito al primo di funzionare in maniera così buona».

Fino ad oggi i nuovi governanti di Hong Kong si sono dimostrati straordinariamente abili nel proseguire il buon funzionamento sia hardware che software; che questo rimanga vero nel lungo periodo è ovviamente ancora una questione aperta. La reazione iniziale avuta dall’imperatore cinese Tao-Kuang davanti agli inglesi era stata che «questi barbari mancano di qualsiasi finalità elevata di lotta per l’acquisizione territoriale. Sembrano avere sempre il commercio come loro prima occupazione».

Frank Welsh ha concluso la sua storia facendo notare che Hong Kong «ha dimostrato il punto di vista dell’imperatore». Non furono solo i britannici ad aver fatto di Hong Kong un successo, è stata la gente di Hong Kong (dagli operai agli imprenditori) ad aver trasformato Hong Kong da un’isola sterile ad una potenza economica. Sono stati in grado di farlo perché il governo di Hong Kong li ha generalmente e a sufficienza lasciati soli. Hong Kong è lungi dall’essere perfetta e lontana dall’essere un mondo libertario da sogno, ma rimane un esempio di quanto l’ingegno umano e il talento imprenditoriale possano fare in una società.

Perché Hong Kong è stata così libera? In parte Hong Kong ha avuto la fortuna di essere stata governata da uomini che hanno inteso il loro ruolo come piuttosto limitato. Non vi fu l’ideale liberale classico nemmeno sotto Cowperthwaite, ma comunque significativamente fu la società più prossima a tale ideale nel ventesimo secolo.

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La combinazione del fallimento della Gran Bretagna nel fornire vere istituzioni democratiche e la sua mancanza di interesse per Hong Kong hanno permesso a quegli uomini di mantenere quelle politiche, anche mentre la Gran Bretagna stava sperimentando il disastro economico socialista tra gli anni ’50 e ’70.

Hong Kong ha beneficiato anche dell’esempio delle disastrose politiche economiche della Cina degli anni ’60. Con così tanti residenti, quali rifugiati dal comunismo, la domanda di libertà ad Hong Kong fu alta. La libertà ha reso possibile il successo di Jimmy Lai e quella dei milioni di persone che non saranno diventate miliardarie ma che grazie ai propri sforzi hanno un tenore di vita più elevato rispetto alla maggior parte del mondo. Hong Kong è stata fortunata ad aver provato la libertà, la gente di Hong Kong ha dimostrato che essa ha funzionato.
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