Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:54 pm

Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo, il contrario di Gianni Zonin
Doris il banchiere veneto-lombardo che riscatta la finanza bancaria ladra, quella alla Zonin.
Non tutti i banchieri e i ricchi sono ladri e farabutti, eccone un esempio.

viewtopic.php?f=94&t=2983

https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 3530179417
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:56 pm

Grazie a quest'uomo esemplare il Veneto si riscatta da farabutti come Zonin ed altri irresponsabili e amorali.
Questa è vera finanza etica che produce utili come è buono e giusto.
Quando la ricchezza finanziaria, il risparmio e la capitalizzazione fanno veramente del bene.



Ciao Ennio
https://www.facebook.com/watch/?v=617978299344236
https://www.bancamediolanum.it/mediolan ... ciao-ennio
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:57 pm

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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:58 pm

Morto Ennio Doris, fondatore Banca Mediolanum. Berlusconi: 'Ci mancherà'
Economia
Agenzia ANSA
24 novembre 2021

https://www.ansa.it/sito/notizie/econom ... acc61.html

Si è spento questa notte Ennio Doris, fondatore e presidente onorario di Banca Mediolanum.

Lo annunciano la moglie Lina Tombolato e i figli Sara e Massimo, che "in questi giorni di lutto" desiderano "mantenere uno stretto riserbo", che chiedono a tutti di "voler rispettare".

I dipendenti e i collaboratori del gruppo, si legge in una nota, "si stringono uniti e partecipi attorno alla famiglia Doris e, con enorme commozione, rendono omaggio a Ennio Doris, grande uomo e straordinario imprenditore".

Ennio Doris era nato a Tombolo (Padova) il 3 luglio del 1940. "Per oltre 40 anni - si legge in una nota - è stato indiscusso protagonista della grande finanza italiana nonché imprenditore, banchiere e fondatore di Banca Mediolanum, una delle più importanti realtà del panorama bancario nazionale presente anche in Spagna, Germania e Irlanda". Sposato dal 1966 con Lina Tombolato, Doris lascia i figli Massimo e Sara e 7 nipoti: Agnese, Alberto, Anna, Aqua, Davide, Luna Chiara e Sara Viola. Nel 1992 gli viene conferita l'onorificenza di ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica e nel 2002 quella di Cavaliere del Lavoro. Sempre nel 2002 consegue il master honoris causa in Banca e Finanza della Fondazione Cuoa.

Dal 2000 al 2012 Doris è stato consigliere di amministrazione di Mediobanca e di Banca Esperia. Dal 1996 amministratore delegato della holding Mediolanum fino al 2015, anno della fusione per incorporazione in Banca Mediolanum. Fino allo scorso 3 novembre, Doris ha ricoperto la carica di presidente di Banca Mediolanum, per diventare presidente onorario a seguito di una delibera assembleare. Doris era anche presidente onorario della Fondazione Mediolanum Onlus.

Nel febbraio del 1982, dopo un incontro a Portofino con Silvio Berlusconi e con il "supporto imprenditoriale e logistico del Gruppo Fininvest", Ennio Doris fonda Programma Italia, la prima rete di consulenti globali nel settore del risparmio, con l'idea di "diventare il punto di riferimento della famiglia italiana per il risparmio". Tre anni più tardi nasce Mediolanum Spa, holding cui fanno capo tutte le società del Gruppo. Una riorganizzazione che permette la quotazione in Borsa nel 1996 e, nel 1998, l'ingresso nell'allora indice Mib30, delle società a maggior capitalizzazione. Nel 1997 Programma Italia si trasforma in Banca Mediolanum.

"Ci ha lasciato Ennio Doris. Un grande uomo, un grande imprenditore, un grande patriota, un grande italiano". Così Silvio Berlusconi in una nota di cordoglio per la scomparsa di Ennio Doris. "Un uomo generoso, altruista, sempre attento agli altri, sempre vicino a chi aveva bisogno. Ci mancherà molto, mi mancherà moltissimo. A Massimo, a Sara, a Lina la mia vicinanza e tutto il mio affetto".

"Di Ennio Doris ci mancheranno l'altruismo, la visione di lungo periodo e le capacità manageriali unite alla grande umanità ed empatia verso il prossimo. Alla famiglia un messaggio di sincero cordoglio nella certezza che i buoni semi piantati da Ennio Doris sapranno germogliare e riprodursi". Lo afferma l'eurodeputata del partito democratico Alessandra Moretti.





Ennio Doris e Silvio Berlusconi: le vite parallele e quell’invito a lasciare Palazzo Chigi con la crisi dello...
Fabrizio Massaro
24 novembre 2021

https://www.corriere.it/economia/finanz ... pale.shtml

L’invito a mollare

Le sliding doors di Ennio e Silvio si materializzano nella piazzetta di Portofino. È la primavera 1981. Il primo ha 42 anni ed è un aspirante startupper, diremmo oggi. Il secondo è già Berlusconi, costruttore e editore tv. Gli aneddoti coincidono e in parte divergono, come in ogni buona trama: «Ci siamo incrociati e per convincerlo gli ho parlato di come l’idea di Programma Italia poteva essere una leva per il settore immobiliare. Capii subito che Berlusconi era inimitabile: mi fece tre domande, e subito dopo sembrava che conoscesse il settore meglio di me. Passati 15 giorni, mi convocò ad Arcore». Racconta Berlusconi nella biografia dell’amico scritta da Pier Augusto Stagi («Ennio Doris. 80 anni di ottimismo», Mondadori): «Ennio mi disse: “Ieri ho letto una sua intervista su Capital, quella in cui lei, rivolgendosi ai giovani imprenditori, ha dichiarato che se qualcuno avesse una buona idea tra le mani per una nuova impresa, potrebbe venire da lei a raccontargliela. Eccomi”». Pochi mesi dopo daranno vita a Programma Italia, la futura Banca Mediolanum. Oggi in Borsa vale 6,5 miliardi di euro. La sede? A Basiglio, in quella «Milano 3» costruita negli anni Ottanta dal Cavaliere.


Ennio Doris, un vero pioniere visionario: cambiò il modo di investire
Jacopo Orsini
25 novembre 2021

https://www.ilmessaggero.it/persone/enn ... 43648.html

Silvio Berlusconi, che dopo un incontro a Portofino avvenuto quarant'anni fa era diventato suo socio e amico, ieri l'ha definito «un grande imprenditore e un grande patriota». Famoso per il suo inguaribile ottimismo, Ennio Doris non era conosciuto solo nel mondo del risparmio gestito, dove aveva costruito con Banca Mediolanum uno dei gruppi più importanti in Italia. A farlo diventare un personaggio noto al grande pubblico era stato un martellante spot televisivo in cui tracciava con un bastone un cerchio sulla sabbia per spiegare il suo nuovo modello di banca «costruita intorno a te», come recitava il messaggio pubblicitario. Un vero tormentone, imitato anche da un irresistibile Maurizio Crozza, che l'aveva portato nelle case di tutti.

Ennio Doris, il celebre spot Mediolanum sul lago salato: «Una banca costruita intorno a te»

Nato a Tombolo, in provincia di Padova, il 3 luglio del 1940, sposato dal 1966 con Lina, due figli - Massimo e Sara - e sette nipoti, da piccolo voleva diventare mediatore di bestiame come il padre, ma all'età di 10 anni si ammala ai reni e deve quindi abbandonare il suo sogno e concentrarsi sugli studi. Prende un diploma di ragioneria a Treviso e nel 1960 inizia a lavorare alla Banca Antoniana di Padova, dove resta fino al 1968, per diventare poi direttore generale delle Officine meccaniche Talin di Cittadella insieme all'industriale Dino Marchiorello, altro personaggio chiave nella vita di Doris. Sarà proprio Marchiorello a fargli capire che la sua strada era quella dell'imprenditore. Nel 1969, dopo aver visto un suo ex compagno di scuola fare il promotore, comincia a lavorare nel settore della consulenza finanziaria, prima in Fideuram e poi in Dival (gruppo Ras), dove parte con un gruppetto di collaboratori e in pochi anni arriva a gestire oltre 700 professionisti.

L'incontro con Berlusconi

È in quegli anni che avviene un altro dei suoi incontri decisivi. Una sera un falegname, che aveva deciso di affidargli 10 milioni di lire dei suoi risparmi, una somma ragguardevole per l'epoca, gli dice: «Signor Doris, sa cosa le ho dato?». «Sì, 10 milioni», risponde lui. «No, si sbaglia», replica l'artigiano. Gli fa vedere i calli delle mani e aggiunge: «Le ho dato questi. E si ricordi che io non posso permettermi di ammalarmi, perché altrimenti la mia famiglia non va avanti». «Lì ho capito quello che dovevo fare - racconterà Doris anni dopo - Avere successo non perché sono bravo a vendere, ma perché sono utile alle persone».

Poi nel 1982 l'incontro con Berlusconi. L'anno prima era uscita sul mensile Capital una intervista in cui il futuro premier diceva: «Se qualcuno ha un'idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. E se l'idea è buona ci lavoriamo insieme». Pochi mesi dopo Doris incontra casualmente il Cavaliere a Portofino e gli illustra il suo progetto. Gli spiega di voler diventare il «punto di riferimento della famiglia italiana per il risparmio». Il proprietario della Fininvest resta colpito dalle sue idee e lo aiuta a fondare Programma Italia, la rete di consulenti finanziari diventata poi il colosso del risparmio guidato oggi dal figlio 54enne Massimo. «Siamo venditori e siamo i migliori», fa dire Paolo Sorrentino a Toni Servillo nei panni di Doris in Loro, il film che racconta la storia di Berlusconi.

La società, che all'inizio è posseduta al 50% ciascuno, cresce rapidamente e qualche anno dopo cambia nome in Mediolanum (poi Banca Mediolanum). Nel 1996 sbarca in Borsa dove oggi vale oltre sei miliardi di euro e amministra circa 104 miliardi di risparmi. Nel 2008 il fallimento della banca americana Lehman Brothers si abbatte sui mercati di tutto il mondo e innesca una devastante crisi finanziaria. Il fondatore di Mediolanum, confermando la sua attenzione per i clienti, sceglie di intervenire per tutelare i risparmiatori che hanno subito perdite con prodotti legati all'istituto statunitense. Decide quindi di rimborsare 120 milioni agli 11mila clienti colpiti. Grande appassionato di ciclismo, uno sport dove la tenacia, la costanza e la dedizione sono indispensabili, Doris amava ripetere: «In salita si va più piano, come nei momenti di crisi economica. Il passo si fa più lento, ma è nelle difficoltà che si capisce quanto uno vale davvero».


UNO NON VALE UNO

https://www.facebook.com/franco.marta.5 ... 2525205402

Figlio di due agricoltori, da semplice ragioniere - niente laurea bocconiana e Master in Corporate Finance; l'Italia del dopoguerra fu rifatta da ragionieri, geometri e maestri. E non erano "dottori" - creò, dopo averlo illustrato a un tipo ancora più folle di lui, un modo diverso di gestire il risparmio.
Lascia molti denari - a cui aggiungiamo, non sottraiamo quelli dati in beneficenza; e son stati tanti, si scopre ora - e moltissimi amici. E soprattutto ottomila dipendenti. Ottomila famiglie, cioè, che mangiano - bene - grazie alle sue idee.
Arrivederla, ragioner Doris. Perchè uno non vale uno.


L’addio a Ennio Doris: la malattia da bambino, le umili origini, l’incontro con Berlusconi a Portofino, chi era il banchiere visionario venuto da Tombolo
Paolo Possamai
25 novembre 2021

https://nordesteconomia.gelocal.it/fina ... 1.40960527

Doris era un visionario pragmatico. E dunque i suoi spunti sul futuro li pescava dalla vita: in questo caso, potremmo dire che la sua convinzione circa il fatto che le filiali creditizie avrebbero fatto la fine delle cabine telefoniche se l’era formata facendo il bancario. Da dipendente di Antonveneta, della agenzia di San Martino di Lupari, faceva visita agli imprenditori a casa loro o in ufficio, senza aspettare che venisse dal cliente l’iniziativa o la dichiarazione di una necessità.

Un leader naturale. Un formidabile affabulatore. Un uomo che nelle dimensioni del rischio sapeva cogliere piuttosto le opportunità. Ennio Doris, colui che dal nulla ha creato un’impresa finanziaria di primaria importanza come banca Mediolanum, divenendo uno dei venti uomini più ricchi d’Italia, è stato tutto questo.
Sentite cosa diceva il 30 marzo 2020, a chi scrive queste righe:

«Sarà la crisi più profonda del dopoguerra. I governi devono lavorare puntando sulla durata più breve possibile o le imprese andranno in asfissia, come un sub». Eravamo all’inizio della tempesta, al principio di una traversata per terra ignota chiamata Covid. Ma l’analisi di Doris non si fermava mai al puro esercizio dei fattori di razionalità. Accompagnava sempre le parole con il sorriso e con un tratto di sorgiva bonomìa veneta. Ecco dunque il seguito delle sue considerazioni di un anno e mezzo fa: «Resto ottimista e scommetto sul fatto che in estate le fabbriche riprenderanno a pieno regime, come sta accadendo in Cina, con il seguito di un formidabile rimbalzo della produzione e dei consumi, e a seguire dei valori finanziari».

Quanti sono stati, nel pieno del caos e del generale terrore, a esprimere pensieri così intrisi di fiducia e, in pari tempo, capaci di tenere conto di uno schema di lettura autenticamente internazionale? Oggi possiamo ben cogliere come la sua lettura del possibile divenire, insomma della evoluzione del quadro macro economico globale, includesse un talento “visionario”.

Che “visionario” fosse, lo avvertì immediatamente anche Silvio Berlusconi. Mille volte Doris ha narrato l’aneddoto, al limite dell’incredibile. Ennio aveva realizzato la propria carriera dapprima da impiegato in banca Antonveneta, poi in Fideuram e Ras. Ma che potesse colpire il già affermato Berlusconi, semplicemente incontrandolo a Portofino e per via illustrandogli la sua rivoluzionaria idea, vale a dire il modello Mediolanum poi da tanti emulato, era ipotesi dell’irrealtà. E invece l’incantatore di serpenti chiamato Silvio restò affascinato da Ennio e ne divenne stabile compagno di strada. Per la precisione, occorre dire che Ennio è stato l’unico socio alla pari di Silvio. E a tutti gli effetti, nel sidecar marchiato Mediolanum, Ennio ha tenuto sempre il manubrio, con Silvio sul sellino a lato.

Da principio l’idea, quasi 40 anni fa, si chiamava Programma Italia, la prima rete di consulenti globali nel settore del risparmio personale, con l’idea di “diventare il punto di riferimento della famiglia italiana per il risparmio”. Nel 1995 cambia il nome, ma non il concetto di fondo: con il brand Mediolanum un anno dopo avviene la quotazione in Borsa nel 1996 e, nel 1998, l’ingresso nel listino Mib30. L’idea di fondo trae infatti comunque spunto dall’esperienza.

Doris era un visionario pragmatico. E dunque i suoi spunti sul futuro li pescava dalla vita: in questo caso, potremmo dire che la sua convinzione circa il fatto che le filiali creditizie avrebbero fatto la fine delle cabine telefoniche se l’era formata facendo il bancario. Da dipendente di Antonveneta, della agenzia di San Martino di Lupari, faceva visita agli imprenditori a casa loro o in ufficio, senza aspettare che venisse dal cliente l’iniziativa o la dichiarazione di una necessità. Osservando che Gianfranco Cassol, suo compagno di scuola all’istituto di ragioneria Ricatti di Castelfranco, aveva iniziato a fare uno strambo mestiere nuovo chiamato “promotore”, nel 1969 Doris è entrato nelle fila di Fideuram da consulente finanziario e due anni dopo nel gruppo Ras. Prodromi e incubazione della sua idea di una banca senza sportelli.

Dopo di che, da principio l’invenzione della banca telematica l’ha appoggiata su telefono e teletext con la Tv domestica, poi l’affermazione di internet ha reso merito al pioniere e gli ha permesso di dispiegare compiutamente la strategia anche in Spagna e Germania. Il celebre spot pubblicitario, vecchio ormai di una ventina d’anni, secondo cui Ennio Doris tracciava un cerchio sulle sabbie di un lago salato per spiegare il suo modello di banca “costruita intorno a te” visualizzava appunto l’intuizione d’origine. Come fece, più o meno negli stessi anni il suo conterraneo Giovanni Rana, esponente della stessa generazione di veneti cresciuti dal nulla al rango di campioni nazionali, anche Ennio Doris ci aveva messo la faccia. Da testimonial della sua impresa.

Al Veneto rurale, all’imprenditoria nata dal nulla Doris apparteneva, e non la rinnegava affatto questa appartenenza. Delle sue origini e del riscatto della sua regione andava anzi fiero. Ascoltiamo un’altra sua frase resa tanti anni fa al nostro giornale: “Il Veneto con la caduta del muro di Berlino è diventato centrale, non la Lombardia, ma il Veneto perché l’Europa si è spostata a Est. Questa era delle regioni più povere. Qui c’è stata una esplosione di imprenditorialità, un popolo che si è battuto per emergere”.

Di questa generazione se ne va uno degli uomini guida, così lungimirante da cogliere già una ventina di anni fa nel figlio Massimo l’erede e il continuatore, preparandone la successione. Perché le imprese vanno oltre i loro stessi fondatori.
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:58 pm

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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:59 pm

Ennio Doris e Gianni Zonin, che differenza abissale!
Questi due imprenditori, finanzieri e banchieri sono l'esempio più evidente di come il denaro, la finanza o il capitale finanziario e la banca siano di per sé entità e attività naturalmente e generalmente buone come l'aria e l'acqua e che è solo l'uomo malvagio e ignorante che può inquinarle e renderle cattive e nocive.
Essi incarnano il bene e il male:
Ennio Doris rappresenta il sano egoismo altruista, che fa il proprio legittimo interesse facendo l'interesse degli altri;
Gianni Zomin rappresenta il cattivo e malato egoismo che crede di poter fare il proprio interesse contro l'interesse altri, danneggiando e predando gli altri.



Malagestio | Dov’è finito Zonin? Ascesa, declino e oblio del banchiere del popolo che ha affossato Vicenza
Linkiesta.it
Stefano Cingolani
16 aprile 2019

https://www.linkiesta.it/2019/04/banca- ... nni-zonin/

La saga dei rimborsi è ancora lontana dalla conclusione, nonostante l’accordo raggiunto dal governo con le associazioni degli investitori. Il miliardo e mezzo di euro già stanziato, è alla ricerca di un sistema legittimo per essere erogato, perché non sfugge a nessuno che l’italica pretesa di intascare i profitti e farsi pagare le perdite da tutti gli altri contribuenti, è iniqua e illegale. A rullare i tamburi di guerra più delle altre è la tribù dei “truffati” veneti, in particolare gli ex azionisti, obbligazionisti, sottoscrittori, depositanti della Banca Popolare di Vicenza, la madre di tutte le popolari fallite, l’alfa e l’omega di un sistema che ancor oggi si insiste a difendere. La banca del territorio, la banca del popolo, la banca di sistema: tutti caciocavalli appesi come le idee hegeliane secondo Benedetto Croce. Perché la realtà è che non ci sono da una parte lupi e dall’altra candide pecorelle: le ire funeste di chi oggi ha perso il proprio capitale andrebbero bilanciate con le gioie di chi brindava in mezzo alla tempesta. A Vicenza è crollato il paradigma che ha fatto grande, robusto, ricco quel territorio finché è durato il carnevale.

Lo ha ammesso Giancarlo Ferretto, proprietario della Armes (sistemi di imballaggio), già presidente della Confindustria veneta e vicepresidente della BPV: “Se il Nord Est ha retto lo si deve anche alle banche popolari le quali, mentre le altre chiudevano i rubinetti, hanno continuato a erogare credito. Ma distribuivano utili che di fatto non avevano, incrementavano le azioni senza che ci fosse un corrispondente effettivo”. L’autodafé si spinge più in là: “Noi risparmiatori abbiamo sbagliato, le abbiamo considerate la mucca da mungere. Ogni anno distribuivano i dividendi, ci mettevano lì la monetina e aumentava il valore delle azioni. Io per primo ho fatto questo errore. Dovevamo capirlo: mentre i titoli delle banche quotate in borsa scendevano, quelli della BPV o di Veneto banca continuavano a crescere. Eravamo come drogati. Teniamo in piedi il territorio, ci ripetevano, siamo un sistema protetto”.

Al centro di questo sistema si era collocato Gianni Zonin, personaggio chiave nella Vicenza dell’ultimo quarto di secolo. “Troppo facile adesso dargli la croce addosso”, dice Ferretto che pure ha sfidato il “vignaiolo prestato alla finanza”. E affonda: “C’è stata un’omertà, un silenzio, un’acquiescenza. Ci sono molte responsabilità e quelle più grandi le ha la Banca d’Italia”. È così? La vigilanza di via Nazionale è sotto il tiro incrociato. Per i difensori dei piccoli soci-debitori, non si è mossa con la dovuta fermezza. Per Luca Zaia, il presidente leghista della regione Veneto, al contrario, la banca centrale ha peccato di “eccesso di zelo”, perché insieme al governo “ha preso le banche e le ha gettate sul mercato”. A via Nazionale si difendono inanellando i fatti.

Il 15 febbraio 2018 il giudice della udienza preliminare, Roberto Venditti, ha stabilito il sequestro conservativo di beni per 176 milioni di euro donati da Zonin ai familiari dopo l’inizio dell’inchiesta. Il danno per i risparmiatori della banca (a causa del calo di valore delle azioni, da 62,50 euro precipitate a 10 centesimi) ha fatto perdere 6 miliardi di euro a 118.000 piccoli azionisti. Nel marzo 2018 il Tribunale di Vicenza ha ordinato un ulteriore sequestro di beni di Zonin per 19 milioni di euro. “Paron Zani” si è rifugiato nella sua villa a Terzo d’Aquileia pretendendo di apparire come un perseguitato dalla sfortuna e dalle serpi covate in seno. Tutto è passato ai figli Domenico (presidente al posto del padre), Francesco (vice) e Michele che fa l’avvocato, più la moglie Silvana Zuffellato; il pacchetto azionario è suddiviso tra i membri della famiglia direttamente o attraverso alcune società veicolo. E l’eroe di un tempo diventa il grande traditore come nella novella di Jorge Luis Borges.

La popolare vicentina gli spalanca le porte quando è già nel club dei grandi produttori di vino e si è affermato come imprenditore coraggioso. Diventare soci significava entrare nel giro esclusivo di chi conta davvero, quindi era sempre stato molto difficile. Nata nel 1866 per servire il popolo, la BPV in realtà serviva la classe dirigente locale. Finché il capitale non si è aperto anche ai dipendenti creando così un “parco buoi” manovrabile, visto che le carriere interne sono strettamente legate alla sorte dei vertici

Il processo, il più grande mai celebrato fino ad oggi in Italia per reati bancari, si è aperto a dicembre. Sono imputati i vertici della banca, a partire da Zonin fino agli ex vicedirettori Emanuele Giustini e Paolo Marin, l’ex dg Andrea Piazzetta e l’imprenditore Giuseppe Zigliotto, già presidente della Confindustria locale e consigliere di amministrazione. Le accuse sono di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza di Bankitalia e Consob e falso in prospetto. Secondo i pm, Zonin non può essere considerato “un inconsapevole pensionato perché era perfettamente a conoscenza di quello che avveniva in banca. Si comportava come un amministratore delegato e tanti suoi amici hanno compiuto operazioni baciate”. La difesa, invece, sostiene che i veri responsabili del crac “sono fuori dal processo”, e intendono gli ex manager che avrebbero agito per proprio conto con operazioni spericolate che hanno eroso il capitale fino a portarla al collasso. Il “tribunale del popolo” capeggiato dalle organizzazioni dei soci ha già emesso le sue condanne, vuole che a pagare sia lo stato, cioè tutti gli altri contribuenti. Intanto, su tutto l’impero Zonin, compresa il pezzo forte, il vino, s’allunga l’ombra dell’incertezza. Nel dicembre scorso Alessandro Benetton con la finanziaria 21Invest è entrato in Zonin1821 la holding dell’azienda vinicola prendendo il 36% e portando 65 milioni di euro (su un fatturato attorno ai 200 milioni) che saranno tutti investiti per sviluppare le attività produttive. E tra cinque anni, se tutto va bene, la borsa. Si chiude così un’altra storia centenaria di capitalismo familiare.

Giovanni detto Gianni, classe 1938, con diploma d’enologo a Conegliano e una laurea in giurisprudenza, nel 1967 a soli 29 anni aveva preso il posto dello zio Domenico alla guida dell’azienda di famiglia, trasformata in società per azioni. Allora la Zonin imbottigliava il vino comprato dai produttori e per compiere un salto di qualità era necessario uscire dalla provincia. Il primo balzo avviene nel 1970 con l’acquisto della tenuta di Ca’ Bolani in Friuli; seguiranno San Gimignano, la Maremma, il Piemonte, l’Oltrepo pavese. Poi il grande passo verso i sontuosi grappoli dell’area mediterranea con la Masseria Altemura nel Salento e il Feudo Principi di Butera in Sicilia tra il 1997 e il 2000, “acquistate con mezzi propri”, precisa l’azienda vinicola. L’Italia non basta e arriva anche il sogno americano. Nel 1976, Zonin pianta le viti in Virginia, a Barboursville Vineyards, una impresa già fallita ai tempi di Thomas Jefferson e mai più tentata dai primi dell’800.

La popolare vicentina gli spalanca le porte quando è già nel club dei grandi produttori di vino e si è affermato come imprenditore coraggioso. Diventare soci significava entrare nel giro esclusivo di chi conta davvero, quindi era sempre stato molto difficile. Nata nel 1866 per servire il popolo, la BPV in realtà serviva la classe dirigente locale. Finché il capitale non si è aperto anche ai dipendenti creando così un “parco buoi” manovrabile, visto che le carriere interne sono strettamente legate alla sorte dei vertici.

Zonin prende il timone nel 1996, quando l’istituto di credito contava 150 sportelli e poco più di 20 mila azionisti. Con lui le filiali diventano 650 e gli azionisti oltre 110 mila. La sua prima mossa è rifiutare le nozze già apparecchiate con la banca di Padova. Due anni dopo, insieme all’Ina e allo spagnolo Banco de Bilbao, compra una quota della BNL appena privatizzata. Frutterà lauti guadagni, ma anche un processo per complicità nella scalata lanciata nel 2005 dall’Unipol di Giovanni Consorte alla banca romana. Zonin verrà assolto, e finora nessuna delle numerose indagini giudiziarie contro di lui si è mai conclusa con una condanna. Nel 2002 la Cassa di Prato, in grave difficoltà, viene salvata dalla BPV. Nel frattempo, c’è lo sbarco in Sicilia dove Zonin acquistava poderi importanti. Nel 1998 la Popolare di Vicenza cerca di acquisire il polo creditizio nato dalla fusione tra il Banco di Sicilia e la Sicilcassa. L’operazione, in cordata con altri soci, non riesce perché prevale la Banca di Roma.

Gli ispettori della Banca d’Italia trovano “poco oggettivo” il valore delle azioni (44 euro). Ci mette il becco anche la magistratura che avvia un’indagine per falso in bilancio, ma il procuratore capo Antonio Fojadelli archivia il tutto. Un tentativo di riaprire il caso finisce con il “non luogo a procedere”. Affonda nel nulla anche l’accusa lanciata dall’Adusbef di “metodi estorsivi per diventare azionisti” archiviata nel 2009 perché “non si ravvisano credibili ipotesi di reato”

In politica Zonin ha seguito l’onda, come i suoi pari: è stato vicino ai democristiani, anzi ai dorotei per l’esattezza, poi berlusconiano, ma senza trascurare la Lega (al potere in Veneto). Tuttavia ha saputo essere trasversale. Vicenza è finita in mano al centro sinistra, anche se guidato da un democristiano d’antan come Achille Variati fattosi poi renziano ed entrato nel consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti. Il salotto buono e colto è la Fondazione Roi creata nel 1988 dal marchese Giuseppe Roi, pronipote di Antonio Fogazzaro, e dotata di un vasto patrimonio soprattutto immobiliare. Socio influente della BPV, quando muore, nel 2009, il marchese lascia alla banca la gestione dei suoi beni. Così Zonin diventa presidente della fondazione.

I primi dubbi sulla irresistibile ascesa del vignaiolo spuntano nel 2001. Gli ispettori della Banca d’Italia trovano “poco oggettivo” il valore delle azioni (44 euro). Ci mette il becco anche la magistratura che avvia un’indagine per falso in bilancio, ma il procuratore capo Antonio Fojadelli archivia il tutto. Un tentativo di riaprire il caso finisce con il “non luogo a procedere”. Affonda nel nulla anche l’accusa lanciata dall’Adusbef di “metodi estorsivi per diventare azionisti” archiviata nel 2009 perché “non si ravvisano credibili ipotesi di reato”. Intanto, scoppia la grande crisi finanziaria.

Il 2007 è un anno che fa da cerniera. L’Antitrust guidato da Antonio Catricalà dice no all’ingresso nel patto di sindacato di Mediobanca per incompatibilità visto che la banca guidata da Zonin è azionista della Cattolica Assicurazioni e della Nordest Merchant (insieme ai Benetton). Sarebbe stato il coronamento del grande sogno, invece rappresenta il punto di svolta negativo. Allora si consuma anche la rottura con un socio di rilievo come Nicola Amenduni, il gran capo delle acciaierie Valbruna, per un conflitto sulle strategie e sul direttore generale. Gli uomini della vigilanza contestano inoltre alcune operazioni in derivati perché nel frattempo si era acceso il semaforo rosso sui contratti ad alto rischio nascosti nei bilanci. Nel 2012 nuove indagini, mentre nell’anno successivo vengono effettuati diversi interventi (con lettere e nel corso di incontri) per richiamare la banca al rispetto dei limiti previsti all’epoca per il riacquisto delle azioni proprie e “per porre all’attenzione l’esigenza di non ingenerare nei soci aspettative di sicura e pronta liquidabilità del titolo azionario o di garanzia di un rendimento minimo dell’azione”, come scrive la Banca d’Italia nella nota tecnica trasmessa alla commissione d’inchiesta del consiglio regionale del Veneto. La lettera è un meticoloso elenco delle cose fatte, fino alla “spinta” per le dimissioni di Zonin e la trasformazione in società per azioni il 3 marzo scorso.

Eppure la popolare vicentina era riuscita a superare gli stress test anche se di stretta misura. ”La Banca Centrale Europea ci ha promosso in Europa fra i primi 13 più importanti gruppi bancari italiani – scriveva orgoglioso Zonin – siamo risultati una banca solida e fortemente patrimonializzata”. Era il 4 dicembre 2014. Solo due mesi dopo la Bce avrebbe avviato un primo accertamento per monitorare il sistema di governo, di gestione e controllo dei rischi, proseguito con una nuova verifica nel mese di marzo. All’assemblea dell’11 aprile 2015, quello stesso presidente che a Natale si felicitava con gli azionisti, propose di ridurre il valore del titolo da 62,50 a 48 euro. Un anno dopo sarebbe arrivato a 6 euro, perdendo in sostanza il 90%.

Gli investitori ottenevano in cambio tassi agevolati, una cedola annuale oppure la “ricompensa” di un euro per ogni azione quando la banca, attraverso il fondo che avrebbe dovuto regolare e movimentare il mercato interno dei soci, ricomprava le sue stesse azioni dal cliente

Lo stratagemma per schivare la vigilanza sta nel riscatto con chiusura anticipata di un prestito obbligazionario con scadenza 2018, emesso un anno prima. Dallo stress test, precisa la banca stessa, “emerge una carenza tecnica patrimoniale pari a 223 milioni di euro, più che compensata dalla già deliberata irrevocabile conversione del prestito obbligazionario soft mandatory per 253 milioni di euro”. Con quei 30 milioni di surplus residui il gioco è fatto.

Perché allora, nonostante ciò, si è continuato a parlare della BPV come possibile “aggregatrice” per salvare la Popolare dell’Etruria? Una tesi evocata da più parti è il buon rapporto con la Banca d’Italia grazie alla rete protettiva formata da ex funzionari di palazzo Koch: Gianandrea Falchi, già capo della segreteria quando Mario Draghi era governatore, assunto nel 2013 alle relazioni istituzionali; Mariano Sommella, arrivato fin dal 2008 e Luigi Amore l’uomo che aveva condotto l’ispezione del 2001. Nel 2011 era stato nominato vicepresidente Andrea Monorchio l’ex potentissimo direttore generale del Tesoro. Ad essi s’aggiungono magistrati in pensione (tra i quali quel Fojadelli che aveva archiviato l’inchiesta del 2001) e ufficiali della finanza. Uno schieramento singolare, una batteria di fuoco imponente rimasta alla fine senza cartucce perché in realtà è proprio la banca centrale a scoperchiare il pentolone magico.

L’ispezione del 2014 rivela che la popolare di Vicenza aveva comprato azioni proprie senza chiedere l’autorizzazione e “mette in luce un diverso problema, vale a dire quello delle azioni finanziate”. La BPV non aveva dedotto “per un ammontare cospicuo” dal patrimonio di vigilanza il capitale raccolto a fronte di finanziamenti erogati dalla stessa banca ai sottoscrittori delle sue azioni. Ciò ha provocato un buco di circa un miliardo di euro al quale si aggiunge il deterioramento del portafoglio creditizio, che ha comportato la contabilizzazione di 1,3 miliardi di euro di rettifiche di valore nel bilancio 2015 (+54% rispetto all’anno precedente). Le operazioni baciate, come vengono chiamate in gergo, sono concesse “a patto che i relativi finanziamenti siano autorizzati dall’Assemblea straordinaria” e “che le azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza”. Sia la Popolare di Vicenza sia Veneto Banca, invece, le hanno praticate per mostrare una solidità che in realtà era solo frutto di una partita di giro, visto che i crediti concessi alla clientela rientravano in parte sotto forma di azioni. Gli investitori ottenevano in cambio tassi agevolati, una cedola annuale oppure la “ricompensa” di un euro per ogni azione quando la banca, attraverso il fondo che avrebbe dovuto regolare e movimentare il mercato interno dei soci, ricomprava le sue stesse azioni dal cliente. Dal gennaio del 2014 era richiesta l’autorizzazione della Bce per ogni riacquisto, ma Popolare di Vicenza ricomprava azioni con disinvoltura, fino a quando il fondo non è stato bloccato e l’azione è divenuta illiquida, impossibile da vendere. Molti, a cominciare dalla Lega, gettano la colpa sulla riforma delle popolari, rimpiangendo il bel tempo in cui il valore di una azione veniva deciso a tavolino dai soci, magari senza perizie indipendenti, come era successo a Vicenza. Allora c’era champagne per tutti come nella cantina di Auerbach quando il dottor Faust ne cavalcava le botti. Ma a partire dal 2015 tutto questo non è più possibile, quel piccolo mondo antico fatto di amicizie, collusioni, clientele, svanisce.

Atlante, guidato da Alessandro Penati, investe un miliardo e mezzo di euro, ma non ce la fa; a quel punto si leva un coro di voci per chiedere un salvataggio di stato e la più acuta è ancora una volta quella della Lega. Dichiara Luca Zaia nel giugno 2017: “Il bail-in costerebbe 11 miliardi al fondo interbancario di garanzia, per salvarle basterebbe invece solo un miliardo. Mi sembra logico che convenga investire questo miliardo fregandosene dell’Europa per garantire i risparmiatori e salvaguardare i loro risparmi”

Molti soci di prima classe mangiano la foglia e scappano. La fuga dalla nave che affonda comincia proprio nel 2014 e mese dopo mese s’arricchisce di nomi: Giuseppe Stefanel, Renzo Rosso, la banca IBL, le Autostrade del Brennero, Giuseppe Zigliotto, allora presidente della Confindustria vicentina (la terza in Italia per associati), Giovanni Roncato, Luca Marzotto, il cognato di Zonin e consigliere della banca, Roberto Pavan. S’aggiungono ai vecchi “soci eccellenti” come la Cattolica assicurazioni, le Generali, Ferrarini il re dei salumi locali, Zigliotto della Confindustria vicentina (uscito prima del crac), la Fondazione Roi (ha investito nella banca 29 milioni che oggi valgono un decimo), la Fondazione cassa di Prato e persino Stefano Dolcetta della Fiamm (accumulatori) il quale aveva preso la presidenza. Non c’è dubbio, era davvero una banca di sistema e il sistema bancario cerca di salvarla, sensibile ai gridi di dolore che vengono anche dal sistema politico, soprattutto dalla Lega che governa il Veneto, ma non solo.

Prima fallisce un tentativo di andare in borsa, nonostante la garanzia di Unicredit; è un flop che contribuisce alla uscita di Federico Ghizzoni, l’amministratore delegato della grande banca milanese. Poi ci prova il fondo Atlante nato soprattutto ad opera di Giuseppe Guzzetti con la Cariplo, proprio per impedire che la crisi della popolare vicentina inneschi un effetto domino cadendo, innanzitutto, su Unicredit. Atlante, guidato da Alessandro Penati, investe un miliardo e mezzo di euro, ma non ce la fa; a quel punto si leva un coro di voci per chiedere un salvataggio di stato e la più acuta è ancora una volta quella della Lega. Dichiara Luca Zaia nel giugno 2017: “Il bail-in costerebbe 11 miliardi al fondo interbancario di garanzia, per salvarle basterebbe invece solo un miliardo. Mi sembra logico che convenga investire questo miliardo fregandosene dell’Europa per garantire i risparmiatori e salvaguardare i loro risparmi”. La Popolare di Vicenza insieme con Veneto Banca, finirà a Intesa Sanpaolo al costo simbolico di un euro. Il Tesoro guidato da Pier Carlo Padoan sborsa 4,8 miliardi di euro liquidi e 12 miliardi sotto forma di garanzie. Un anno dopo Eurostat certifica che il costo sui conti pubblici per le due venete è stato di 4,7 miliardi di euro che pesano per 11,2 miliardi sul debito. Zaia non ha fatto bene i conti, o forse li ha fatti per i suoi elettori, ma non per il resto degli italiani. Per loro ci saranno la flat tax e le pensioni anticipate. Chi paga? Pantalone che a quanto pare ha messo le braghe giallo-verdi. Finché reggeranno le bretelle.
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 4:59 pm

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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 5:00 pm

Anche il Berlusconi imprenditore e finanziere acquista una luce diversa e buona come sostenitore e socio alla pari di Ennio Doris in Banca Mediolanum, la banca che non ti frega e ti rispetta.
Questa è vera finanza etica che produce utili come è buono e giusto che sia e si faccia.


Ennio Doris, un vero pioniere visionario: cambiò il modo di investire
Jacopo Orsini
25 novembre 2021

https://www.ilmessaggero.it/persone/enn ... 43648.html

Silvio Berlusconi, che dopo un incontro a Portofino avvenuto quarant'anni fa era diventato suo socio e amico, ieri l'ha definito «un grande imprenditore e un grande patriota». Famoso per il suo inguaribile ottimismo, Ennio Doris non era conosciuto solo nel mondo del risparmio gestito, dove aveva costruito con Banca Mediolanum uno dei gruppi più importanti in Italia. A farlo diventare un personaggio noto al grande pubblico era stato un martellante spot televisivo in cui tracciava con un bastone un cerchio sulla sabbia per spiegare il suo nuovo modello di banca «costruita intorno a te», come recitava il messaggio pubblicitario. Un vero tormentone, imitato anche da un irresistibile Maurizio Crozza, che l'aveva portato nelle case di tutti.

Ennio Doris, il celebre spot Mediolanum sul lago salato: «Una banca costruita intorno a te»

Nato a Tombolo, in provincia di Padova, il 3 luglio del 1940, sposato dal 1966 con Lina, due figli - Massimo e Sara - e sette nipoti, da piccolo voleva diventare mediatore di bestiame come il padre, ma all'età di 10 anni si ammala ai reni e deve quindi abbandonare il suo sogno e concentrarsi sugli studi. Prende un diploma di ragioneria a Treviso e nel 1960 inizia a lavorare alla Banca Antoniana di Padova, dove resta fino al 1968, per diventare poi direttore generale delle Officine meccaniche Talin di Cittadella insieme all'industriale Dino Marchiorello, altro personaggio chiave nella vita di Doris. Sarà proprio Marchiorello a fargli capire che la sua strada era quella dell'imprenditore. Nel 1969, dopo aver visto un suo ex compagno di scuola fare il promotore, comincia a lavorare nel settore della consulenza finanziaria, prima in Fideuram e poi in Dival (gruppo Ras), dove parte con un gruppetto di collaboratori e in pochi anni arriva a gestire oltre 700 professionisti.

L'incontro con Berlusconi

È in quegli anni che avviene un altro dei suoi incontri decisivi. Una sera un falegname, che aveva deciso di affidargli 10 milioni di lire dei suoi risparmi, una somma ragguardevole per l'epoca, gli dice: «Signor Doris, sa cosa le ho dato?». «Sì, 10 milioni», risponde lui. «No, si sbaglia», replica l'artigiano. Gli fa vedere i calli delle mani e aggiunge: «Le ho dato questi. E si ricordi che io non posso permettermi di ammalarmi, perché altrimenti la mia famiglia non va avanti». «Lì ho capito quello che dovevo fare - racconterà Doris anni dopo - Avere successo non perché sono bravo a vendere, ma perché sono utile alle persone».

Poi nel 1982 l'incontro con Berlusconi. L'anno prima era uscita sul mensile Capital una intervista in cui il futuro premier diceva: «Se qualcuno ha un'idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. E se l'idea è buona ci lavoriamo insieme». Pochi mesi dopo Doris incontra casualmente il Cavaliere a Portofino e gli illustra il suo progetto. Gli spiega di voler diventare il «punto di riferimento della famiglia italiana per il risparmio». Il proprietario della Fininvest resta colpito dalle sue idee e lo aiuta a fondare Programma Italia, la rete di consulenti finanziari diventata poi il colosso del risparmio guidato oggi dal figlio 54enne Massimo. «Siamo venditori e siamo i migliori», fa dire Paolo Sorrentino a Toni Servillo nei panni di Doris in Loro, il film che racconta la storia di Berlusconi.

La società, che all'inizio è posseduta al 50% ciascuno, cresce rapidamente e qualche anno dopo cambia nome in Mediolanum (poi Banca Mediolanum). Nel 1996 sbarca in Borsa dove oggi vale oltre sei miliardi di euro e amministra circa 104 miliardi di risparmi. Nel 2008 il fallimento della banca americana Lehman Brothers si abbatte sui mercati di tutto il mondo e innesca una devastante crisi finanziaria. Il fondatore di Mediolanum, confermando la sua attenzione per i clienti, sceglie di intervenire per tutelare i risparmiatori che hanno subito perdite con prodotti legati all'istituto statunitense. Decide quindi di rimborsare 120 milioni agli 11mila clienti colpiti. Grande appassionato di ciclismo, uno sport dove la tenacia, la costanza e la dedizione sono indispensabili, Doris amava ripetere: «In salita si va più piano, come nei momenti di crisi economica. Il passo si fa più lento, ma è nelle difficoltà che si capisce quanto uno vale davvero».
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 5:00 pm

Considerazioni storiche.

I banchieri finanzieri ebrei del passato assomigliavano più a Ennio Doris mentre a Gianni Zonin assomigliavano di più i finanzieri banchieri cristiani che questi sì praticavano la vera usura bancaria e tutta una serie di speculazioni e di frodi a danno dei loro clienti e soci.

Rothschild banchieri ebrei d'Europa - realtà e menzogne
viewtopic.php?f=197&t=2761

Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni
viewtopic.php?f=165&t=224
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Re: Ennio Doris il buon banchiere veneto-lombardo

Messaggioda Berto » mer dic 08, 2021 5:01 pm

Ricondividiamo una bellissima intervista di Ennio Doris a Matrix, avvenuta il 22 novembre del 2017.
Un uomo prima che un banchiere, sempre pronto a mettersi in gioco in prima persona, al fianco dei propri clienti.


https://www.facebook.com/watch/?v=433460688176457
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