Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » mer set 19, 2018 2:30 am

Trump: Usa spennati da tutti,anche da Ue - Dazi a Cina? Abbiamo appena cominciato
18 settembre 2018

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 22293.html

Nella sua conferenza stampa alla Casa Bianca con il presidente polacco, Donald Trump ha attaccato non solo la Cina ma anche la Ue: "siamo il salvadanaio del mondo ma veniamo spennati dalla Cina, dall'Unione europea e virtualmente da tutti coloro con cui facciamo business", ha accusato. Il presidente degli Stati Uniti se l'è presa poi anche con il Canada: "non può continuare a caricare dazi del 300% sui prodotti caseari Usa", ha detto Trump in una conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca con il presidente polacco Andrzej Duda. Trump ha poi affermato che l'accordo commerciale tra Usa e Corea del sud "è stato pienamente rinegoziato e forse sarà firmato a margine dell'imminente assemblea generale dell'Onu".


Dazi, Pechino fa scattare le ritorsioni: colpito l’import di gas Usa. Cosa può succedere ora
2018-09-18

https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2 ... d=AElHIvyF

Altro che tregua. La guerra commerciale dichiarata da Donald Trump alla Cina torna nel vivo, con l’annuncio di una nuova ondata di dazi per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari. L’aliquota fissata si attesterà sul 10% dal 24 settembre, per salire al 25% dal primo gennaio 2019 in poi. Nel frattempo il clima fra i due paesi si è fatto incandescente, con conseguenze politiche anche nell’immediato. Per cominciare, rischia di saltare l’incontro fra il segretario del Tesoro Usa Steve Munchin e il vicepremier cinese Liu He, pianificato per il 27-28 settembre con l’obiettivo di distendere i rapporti fra le due potenze economiche.

Pechino colpisce import dagli Usa per 60 miliardi e ricorre alla Wto
La Cina inoltre ha deciso che adotterà dazi tra il 5 e il 10% contro importazioni americane del valore annuo di 60 miliardi di dollari. In particolare, verranno colpite le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, con una tariffa del 10 per cento. Le tariffe doganali scatteranno il 24 settembre, lo stesso giorno in cui entreranno in vigore quelle del 10% annunciate ieri dagli Usa. Pechino non si fa dunque intimidire dal presidente americano Donald Trump, che sempre ieri aveva avvertito: nel caso di ritorsioni da parte della nazione asiatica, Washington adotterà altri dazi per 267 miliardi di dollari. A quel punto, tutte le importazioni cinesi Usa sarebbero soggette a dazi. Non solo, ma Pechino ha anche presentato ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) contro la mossa di Trump.

«Nuova ondata di dazi»? Quali sono le precedenti?
Per ricapitolare. Uno dei chiodi fissi di Donald Trump è la diminuizione del deficit commerciale rispetto alla Cina, arrivato a valere l’equivalente di 375,5 miliardi di dollari solo nel 2017: gli Usa esportano beni per poco meno di 130 miliardi di dollari e ne importano dalla Cina per un valore di 505,4 miliardi di dollari. Trump aveva già fatto scattare quest’anno una doppia tranche di dazi per un totale di 50 miliardi, spalmati fra le misure al via a luglio (34 miliardi) ed agosto (16 miliardi). La Cina ha risposto a stretto giro imponendo tariffe capaci di colpire un valore analogo nell’interscambio.

Cosa cambia ora?
Ora, oltre al valore economico, si è aggravato anche l’impatto diretto sugli acquisti dei consumatori finali. I primi round di dazi avviati da Trump si riferivano a segmenti industriali come acciaio e alluminio o a prodotti (quasi) impercettibili per le tasche dei cittadini. Nella nuova lista sono finiti componenti e semilavorati vitali per le aziende Usa, oltre a prodotti di larghissimo consumo come buste della spesa e casse di legno. Per il momento sono salvi i dispositivi elettronici di largo consumo, con una lista di 300 gadget “salvati” all’ultimo (ci sono anche gli iPhone). Ma i produttori americani dell’hi-tech, e i loro clienti, non stanno dormendo sonni tranquilli. Trump ha paventato una «fase 3» di altri 267 miliardi di dazi che investirebbe l’elettronica e porterebbe, di fatto, a colpire l’intero import da Pechino.

E la Cina come potrebbe reagire?
«Potrebbe» è l’espressione adatta, perché non è ancora chiaro. Lo squilibrio commerciale fra i due fa sì che, paradossalmente, Pechino sia più debole quando si tratta di aggredire commercialmente Washington: il governo cinese non può concepire dazi per 200 miliardi di dollari visto che non importa beni per un valore pari a quella cifra. In compenso, la Cina ha dalla sua tutto l’armamentario della legislazione locale e del boicottaggio dei colossi americani interessati al mercato asiatico. Tradotto nelle pratica, le autorità locali potrebbe rendere difficile l’accesso a imprese statunitensi e bloccare operazioni di fusione e acquisizione. Un precedente già noto è quello del takeover della californiana Qualcomm sull’olandese Nxp semiconductors, affossato proprio dal niet delle autorità cinesi. In teoria gli organismi di vigilanza cinesi hanno già dichiarato che i fattori politici non hanno alcuna ripercussione sulle regole di concorrenza, ma lo scenario è tale da lasciar pensare che possa essere vero il contrario.

Che cosa spera di ottenere Trump? Cosa succederà nel concreto?
L’obiettivo di Trump, come già scritto, è ridurre la dipendenza commerciale dalla Cina. Un obiettivo che si sposa bene con le inclinazioni neoprotezionistiche della sua presidenza, ma trova - in questo caso - sponde anche nell’opposizione del Partito democratico. Per ora l’unico risultato tangibile potrebbe essere la cancellazione dell’appuntamento del 27-28 settembre, forse rinviato a un periodo successivo. L’impatto diretto sulla vita di cittadini e imprese rischia di farsi sentire anche per il voto del mid-term, le elezioni di metà mandato che si svolgeranno a novembre. L’appuntamento è da sempre ostico per il presidente in carica, ma il peso economico della trade war (guerra commerciale) potrebbe smuovere un certo numero di voti contro l’inquilino della Casa Bianca.




È arrivata la risposta cinese ai dazi di Donald Trump. Ed è piuttosto pesante
19 settembre 2018

https://www.agi.it/estero/cina_usa_dazi ... 2018-09-19

Pechino si sente "costretta" a intraprendere nuove azioni commerciali perché, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri, Geng Shuang, "non accetta l'azione unilaterale sul commercio e il protezionismo degli Stati Uniti".

L'ultimo round di tariffe applicate dagli Usa alle merci cinesi mette a repentaglio anche il dialogo tra Cina e Stati Uniti sul commercio, che settimana prossima avrebbe visto il ritorno a Washington del vice primo ministro, Liu He, il principale consigliere economico del presidente cinese, Xi Jinping, per cercare di ricucire una situazione che oggi appare ampiamente compromessa.


Le minacce di rappresaglia di Trump

Proprio Liu He, nella mattina di ieri, secondo quanto dichiarato all'agenzia Bloomberg da una fonte al corrente dei movimenti di Pechino, avrebbe convocato una riunione di alti funzionari di Pechino per decidere la strategia da utilizzare in risposta alla nuova offensiva sul commercio dell'amministrazione Trump, che ha già fatto sapere di non gradire la mossa di Pechino. "Ci sarà una grande e rapida rappresaglia economica contro la Cina", scrive Trump su Twitter, "se i nostri, agricoltori, allevatori e/o operai delle industrie saranno presi di mira".

L'impatto sull'economia cinese da nuove tariffe, ha assicurato da Tianjin un adviser della Peoplès Bank of China, la banca centrale cinese, Liu Shijin, non sarà significativo, ma occorrerà tenere conto delle ripercussioni sui mercati azionari e monetari.


La pesante reazione della Cina

La Cina imporrà tariffe del 5% e del 10% su sessanta miliardi di dollari di merci importate dagli Stati Uniti a partire dal 24 settembre prossimo, la stessa data in cui gli Usa faranno scattare tariffe, inizialmente al 10% e al 25% a partire dall'inizio del 2019, su duecento miliardi di dollari di prodotti provenienti da Pechino.

La misura di ritorsione, preannunciata già il mese scorso, alle prime minacce di una nuova escalation della tensione commerciale con Washington, è stata annunciata ufficialmente in serata, ora locale, dal Ministero delle Finanze di Pechino, che dichiara di "non avere altra scelta" che rispondere alle tariffe Usa con tariffe di rappresaglia, dopo che dal Ministero del Commercio era arrivata, nel pomeriggio, la promessa di ritorsioni alle nuove misure "unilaterali e protezionistiche" degli Stati Uniti "per salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi e l'ordine globale del commercio".

Le tariffe andranno a colpire 5207 prodotti di importazione statunitense, anche se con tariffe inferiori (5% e 10%) rispetto a quanto preventivato in precedenza (Fino al 25%): tra questi ci sono, tra gli altri, il caffè, il miele e i prodotti chimici.
Le strategie dell'uomo d'affari Trump potrebbero non funzionare in Cina

La situazione appare lontana da un rasserenamento. Oltre al nuovo capitolo dell'escalation commerciale tra Pechino e Washington, sul futuro grava la minaccia di ulteriori dazi che Trump vorrebbe applicare su 267 miliardi di dollari di importazioni cinesi: una misura che porterebbe, una volta approvata, ad applicare tariffe su 517 miliardi di dollari di merci provenienti dalla Cina, ovvero virtualmente tutto l'export di Pechino verso gli Stati Uniti.

Con la nuova offensiva, Trump sta "avvelenando" il clima dei colloqui, aveva dichiarato questa mattina il vice presidente della China Securities Regulatory Commission, Fang Xinghai, durante un forum a Tianjin. "Il presidente Trump è uno schietto uomo d'affari e cerca di esercitare pressione sulla Cina per ottenere concessioni dai negoziati", aveva detto in dichiarazioni riprese dall'agenzia Reuters. "Penso che questo tipo di tattica non funzionerà con la Cina".

La guerra commerciale in corso tra Cina e Stati Uniti desta preoccupazione anche tra le imprese europee che operano in Cina. Secondo il presidente della Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina (Euccc), Mats Harborn, che oggi ha presentato il Position Paper, il documento annuale più importante della Euccc, la Cina dovrebbe ridurre il "deficit di riforme" per "ridurre anche le tensioni nella guerra commerciale in corso" tra Cina e Stati Uniti: una tesi che è, pero', andata incontro alle critiche degli esperti cinesi sentiti dall'influente e agguerrito tabloid Global Times, che parlano di "logica sbagliata" da parte dell'associazione che difende le imprese europee che operano in Cina.


Dazi, Alibaba gira le spalle a Trump
(ANSA) - WASHINGTON, 19 SET 2018

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... df86c.html

Alibaba, il colosso dell'e-commerce cinese, non ha più in programma di creare un milione di posti di lavoro negli Stati Uniti, come il suo fondatore Jack Ma aveva annunciato a gennaio 2017 in un incontro col presidente americano Donald Trump.
Ma ha spiegato che la sua promessa non è più realizzabile a causa della guerra dei dazi Usa-Cina. "La premessa era quella di relazioni commerciali amichevoli tra i due Paesi - ha detto in un'intervista - ma questa premessa non esiste più e la nostra promessa non può essere mantenuta".


Schiaffo di Alibaba a Trump: cancellato il milione di posti di lavoro promessi in Usa
Il fondatore Jack Ma critica le mosse del presidente: "Venute meno le premesse con la politica dei dazi". E ammonisce: "Preparatevi a vent'anni di geuerra commerciale"
20 Settembre 2018

https://www.repubblica.it/economia/2018 ... -206903059

WASHINGTON - Alibaba, il colosso dell'e-commerce cinese, non ha più in programma di creare un milione di posti di lavoro negli Stati Uniti, come il suo fondatore Jack Ma aveva annunciato a gennaio 2017 in un incontro col presidente americano Donald Trump.

Il fondatore del colosso dell'online, che ha annunciato il passo indietro dalla guida operativa della sua creatura, ha spiegato che la sua promessa non è più realizzabile a causa della guerra dei dazi Usa-Cina. "La premessa era quella di relazioni commerciali amichevoli tra i due Paesi - ha detto in un'intervista - ma questa premessa non esiste più e la nostra promessa non può essere mantenuta".

Dazi Trump, Alibaba: "Prepariamoci a 20 anni di guerra commerciale tra Cina e Usa"

L'imprenditore simbolo della Cina contemporanea ha aggiunto: "Il commercio non è un'arma e non dovrebbe essere usato per cominciare le guerre, ma dovrebbe essere un fattore chiave per la pace". La sua intervista all'agenzia di stampa cinese Xinhua è stata così letta come una critica soprattutto al presidente americano. "La situazione che si è venute a creare ha distrutto le premesse sulle quali confidavamo. Ma Alibaba - ha concluso il 'guru' del colosso di Wall Street - comunque non smetterà di lavorare duramente per contribuire a uno sviluppo di sane relazioni commerciai tra Stati Uniti e Cina".

Dopo l'incontro del gennaio 2017, avvenuto prima che Trump si insediasse alla Casa Bianca, il tycoon aveva dichiarato: "Io e Jack faremo grandi cose". E invece, ora, Ma ha detto che la gente dovrebbe far meglio ad aspettarsi un ventennio di guerra commerciale tra le due maggiori economie al mondo. Un esito ben diverso da quelle premesse.


Alberto Pento
Alibaba avrebbe commercializzato in USA prevalentemente prodotti cinesi o prodotti non cinesi ma fatti in Cina.
Quindi è meglio così per gli USA, per la sua economia, i suoi lavoratori e le sue imprese.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » gio set 20, 2018 9:26 pm

Dazi e prodotti a km zero


LE SCIOCCHEZZE AUTARCHICHE DEGLI INVASATI DEL “KILOMETRO ZERO”
di LEONARDO FACCO

https://www.miglioverde.eu/le-sciocchez ... metro-zero

Ci sono almeno due ragioni importanti per cui un liberale serio e coerente deve aborrire la cultura subumana dei propagandisti dell’alimentazione a “Km Zero”: la prima, strettamente politico-filosofica, si richiama all’insegnamento di Frédéric Bastiat che con un aforisma fulminante ha sintetizzato le ragioni del libero commercio: “Laddove non passano le merci passano i cannoni”. Se Bastiat non finisse di convincervi, consigliamo anche la lettura di Cobden, di de Molinari, di Chidenius e di tanti altri autori passati e presenti. Il secondo motivo per cui dar di stomaco ogni volta che un “un mangiapiano” qualsiasi ( e tra leghisti e 5 stelle abbondano gli esempi) vaneggia di “consumo eco-sostenibile, in controtendenza con la globalizzazione, può essere la ragione oppure il buon senso. (I prodotti a Km zero per definizione non possono viaggiare molto e, per essere tali, non possono superare i 70 Km dal luogo in cui sono prodotti”). Per l’occasione, vorrei occuparmi più di questo secondo aspetto che del primo, per dimostrare…
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Contro l'Ideologia del chilometro zero
Alberto Mingardi
21 febbraio 2014

https://www.ilsole24ore.com/art/cultura ... id=AB2sKxx

Siamo al settimo anno di crisi economica, ed è difficile che il futuro ci appaia roseo. Eppure la nostra resta la società più ricca che la storia ricordi. Lo si capisce quando si discute di cibo. La pressante necessità di mettere assieme il pranzo con la cena è, per i più, fortunatamente un ricordo. Al contrario c'è una ricercatezza diffusa, un piacere di vivere la mensa per quel che può essere: un evento culturale, al pari di un romanzo o di una sera a teatro. Ci circonda un'abbondanza di cibo come mai prima nella storia.

È normale che, proprio in virtù di questa abbondanza, si stia facendo largo un gusto nuovo nell'esercitare la propria libertà di scelta. Ed è inevitabile che s'impongano nuove mode culturali. Come il "chilometro zero" – che, intelligentemente, in un Paese che vanta una cultura alimentare delle più solide, viene incontro al bisogno di valorizzarla. Dal momento che seguirla significa essere pronti a scucire fior di quattrini per l'illusione di mangiare come facevano i nostri nonni, che invece erano poverissimi, il "chilometro zero", come moda, è ingordo di giustificazioni. Non basta il brivido di scoprirsi un Indiana Jones versione gastronomo, determinato a riscattare sapori che rischiano di andare perduti: piacere di per sé non trascurabile. Il vezzo culturale può mutare in atteggiamento politico. E questo tanto più facilmente quanto più un comportamento individuale piacevole porta con sé ricadute positive sul piano collettivo. Piccoli vizi privati e grandi virtù pubbliche: accordare preferenza al prodotto locale sembrerebbe unire gli uni e le altre. Il "chilometro zero", ci viene detto, fa bene all'ambiente, riduce i rischi per la salute legati all'alimentazione, e restituisce varietà e pluralismo a una dieta che rischia pericolosamente di globalizzarsi. È proprio così, o anche questa medaglia ha il suo rovescio?

L'ambiente Capitando sul sito internet opportuno, chiunque può facilmente calcolare la propria "impronta carbonica", ovvero l'ammontare dell'emissione di CO² attribuibile ai suoi comportamenti. A maggior ragione, preoccupa l'impronta che lasciano i prodotti: che è il costo del loro trasporto, misurato in emissioni di anidride carbonica. I "mercati dei contadini" (farmers' market), che si vanno diffondendo anche in Italia, avrebbero il pregio di abbassare l'impronta carbonica. Girare per queste bancarelle, per inciso, è una piacevolissima esperienza: il produttore e il conservatore possono stringersi la mano. Davvero i farmers' market riusciranno non solo ad aumentare i ricavi per il primo, che evita di pagare pedaggio al distributore, ma anche a ridurre i costi per il secondo?

Così dovrebbe essere, perlomeno secondo Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, che nei suoi libri raccomanda di «tornare al cibo locale, quindi agricoltura vicino a casa», «tornare al valore della stagionalità, i prodotti di stagione costano di meno». È chiaro quale sia il sottinteso: a costare è la distanza, il trasporto, l'arrivo di cose diverse e nuove e pertanto peggiori di quelle che siamo abituati a mangiare. È un'aritmetica semplice: se viene da lontano, i costi di trasporto si sommano al prezzo del prodotto, ergo il consumatore pagherà di più. Vi sarebbe quindi un costo implicito, imputato all'ambiente, ma anche uno palese. Solo che le condizioni di produzione non sono, uniformemente, uguali ovunque nel mondo. Cambiano i salari dei lavoratori, è indubbio, ma anche il clima, la fertilità del terreno, il prezzo relativo dei fattori di produzione. C'è un costo-opportunità, per l'utilizzo di qualsiasi risorsa: molto banalmente, il costo-opportunità (gli usi alternativi cui rinuncio) per l'utilizzo del suolo è diverso in un'area che produce vini pregiati e in una zona industriale. Non è detto che ciò che è prodotto vicino costi di meno: curiosamente, appena è stato possibile la gente si è resa via via meno dipendente dal negozio sotto casa. Se ciò che è locale fosse di per sé a buon mercato, del resto, non ci sarebbe bisogno di alcuna corsia preferenziale. Nel caso il negozio sotto casa costasse sempre di meno degli altri, perché è sotto casa, la gente ci andrebbe da sola, senza bisogno d'esser convinta.

La grande distribuzione lavora sulle economie di scala, forte di processi di "industrializzazione" del settore alimentare che ne hanno fatto lievitare la produttività. Le maglie della competizione si allargano: essa non avviene più soltanto fra prodotti simili di una stessa regione, ma fra territori diversi. Un'offerta più ampia non significa prodotti più scadenti. Finché ogni vino era consumato solo nei paraggi del luogo di produzione, la qualità tendeva a essere (con l'eccezione di poche terre d'elezione) genuinamente pessima. In molti territori, i vitigni locali andavano scomparendo. Tutt'oggi, ad alcuni di essi resta appiccicata la maledizione di essere stati sfruttati, per troppo tempo, per produrre vino che, godendo di un piccolo o grande monopolio locale, di norma era appena bevibile.
Il fatto di avere a che fare con bacini di domanda più vasti ha cambiato il vino, ha indotto i vigneron a investire in ricerca e innovazione, le aziende a differenziarsi per presidiare al meglio la propria nicchia di mercato. Questo ha paradossalmente portato a riscoprire vitigni "autoctoni" misconosciuti, o per anni male utilizzati. La tutela del prodotto locale in quanto prodotto locale non significa necessariamente rispetto per l'ambiente. Oggi produrre utilizzando tecniche sagge sul piano ambientale è un vantaggio competitivo, sostanzialmente perché il pubblico le apprezza: in un'economia di mercato, nulla è più potente dei gusti dei consumatori. Ma se la gara dei prezzi avesse un esito già scritto, sempre e comunque a favore dei locali, l'incentivo a differenziarsi anche dimostrandosi più "verdi" degli altri sarebbe ridotto. Che il "chilometro zero" somigli al caro vecchio protezionismo, i politici l'hanno già intuito. La Lega Nord, ma non solo, chiede «appalti a chilometro zero», per privilegiare le imprese locali. Indipendentemente dall'esito delle gare. Che è come dire: indipendentemente dai prezzi e dalla qualità.

Alberto Pento
Se è per quello, caro Mingardi, abbiamo sperimentato e pagato caro, l'affidamento dei lavori pubblici ad imprese foreste, specialmente del meridione italiano, che arraffavano i lavori al prezzo più basso.

Sì alle gare ma innanzi tutto per le imprese locali e se mancassero (per disponibilità, numero/quantità, qualità, organizzazione, esperienza, ecc.) e solo in tal caso anche ad imprese foreste o più distanti.



Alberto Pento
Difficile trovare paesi senza dazi. Di certo l'Europa e la Cina ne hanno molti e forse gli USA sono tra i paesi che ne avevano meno e di cui gli altri hanno abusato alla grande.
Libero commercio di prodotti sicuri, certificati e controllati. Io per principio preferisco consumare prodotti nostrani certificati e garantiti, contribuendo al benessere e alla crescita dell'intera comunità locale. Autarchia? No, solo buon senso e reciprocità.
Libertà è poter scegliere con consapevolezza e responsabilità.
Ben venga la concorrenza tra prodotti ma che sia regolamentata e sicura con completa tracciabilità dei prodotti e di ogni altra condizione legata alla loro produzione.





Prodotti agricoli a km zero
In Veneto la prima legge regionale
13 gennaio 2010

https://www.italiaatavola.net/articolo.aspx?id=13767

Con il via libera dell’Ue è operativa la 1ª legge sui cibi a km zero approvata dalla regione Veneto. Il testo innovativo introduce la definizione di prodotti agricoli a km zero, prevede spazi per gli agricoltori nei mercati rionali e la promozione del patrimonio agroalimentare regionale nelle mense

Con il via libera dell'Unione europea è finalmente operativa la prima legge sui cibi a chilometri zero approvata dalla regione Veneto su iniziativa della Coldiretti che ha raccolto le firme in suo sostegno. L'aumento del costo dei carburanti incide pesantemente sulla spesa alimentare visto che ogni pasto percorre in media 1.900 chilometri prima di giungere sulle tavole e l'operatività della legge consentirà di far arrivare più facilmente sulle tavole prodotti locali che non devono percorrere lunghe distanze con mezzi inquinanti.

Il testo innovativo introduce per la prima volta la definizione di 'prodotti agricoli a km zero” individuando caratteristiche precise ed essenziali quali: stagionalità, sostenibilità ambientale, qualità organolettiche e legame con la tradizione culinaria. In un Paese come l'Italia dove oltre l'86% dei trasporti commerciali avviene su gomma e la logistica incide per quasi un terzo sui costi di frutta e verdura, la nuova norma promuovendo il consumo di prodotti locali aiuta le tasche ma anche -la salute e l'ambiente in quanto riduce le emissioni di gas ad effetto serra che provocano cambiamenti climatici.

L'iniziativa risponde al bisogno di un numero crescente di consumatori che vuole condurre uno stile di vita attento all'ambiente e alla salvaguardia del clima anche a tavola. Dopo la pubblicazione nel Bur (Bollettino ufficiale della Regione) la normativa sarà applicabile a tutti gli effetti autorizzando anche gli enti locali a promuovere l'orientamento del consumo dei prodotti di provenienza regionale in mense pubbliche, nella ristorazione collettiva e in tutti i supermercati.

Tra gli obiettivi della legge vi è la promozione del patrimonio agroalimentare regionale nei pasti di scuole elementari, istituti scolastici superiori, università, ospedali e caserme nella misura del 50%, una percentuale che non discrimina il prodotto di origine extraregionale o straniera ma valorizza le tipicità locali consentendo ai consumatori di fare scelte consapevoli, sostenibili in termini di prezzo e meno impattanti sull'ambiente.

L'articolato prevede inoltre spazi riservati agli agricoltori nei mercati rionali, che non andranno a ledere gli interessi di altre categorie, ma integreranno la gamma delle offerte stagionali ai consumatori attraverso la filiera corta. Significativa l'adozione di "menu a km zero" da parte di alcuni ristoratori che impiegano ricette a base del 30% di specialità provenienti dalle campagne circostanti.

In Veneto sotto lo 'slogan km zero” sono operativi 100 mercatini agricoli, una mensa ospedaliera (la seconda d'Italia) ad Adria (Ro), un circuito di 30 ristoranti che adottano menu a breve distanza utilizzando le tipicità delle campagne limitrofe e oltre 36mila pasti all'anno nelle scuole dei comuni di Vittorio Veneto , Tombolo, Galliera Veneta, Rosolina e Porto Tolle sono realizzati con prodotti locali, ma iniziative sono presenti in tutta Italia. Sono circa 500 i mercati degli agricoltori di campagna Amica presenti in tutte le province nazionali ed oltre 60mila i punti di vendita diretti delle aziende agricole dove comprare formaggi, vino, salumi, extravergine e ortofrutta del territorio.

Franco ManzatoIl vicepresidente della Giunta di palazzo Balbi Franco Manzato (nella foto a sinistra) è soddisfatto per l'approvazione da parte del Consiglio delle modifiche che recepiscono le osservazioni della Commissione europea al testo della legge regionale finalizzata ad orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine veneta.

«La legge regionale sul km zero è la miglior risposta a chi dice che il federalismo costa e che l'Italia non se lo può permettere: la nostra legge rappresenta per i produttori veneti un guadagno, non una spesa. La spesa aggiuntiva si ha quando si concede qualcosa al territorio lasciando intatto l'apparato centrale: allora sì che si ha un costo aggiuntivo, ma quello non è federalismo, bensì un'altra cosa».

«Ora non dovrebbero esserci più problemi e la norma dovrebbe diventare presto operativa. Il mio grazie va a Coldiretti – ha affermato Manzato – che per prima ha dato avvio al km zero e al processo legislativo che ora giunge al traguardo. Ringrazio inoltre i dirigenti e funzionari regionali che hanno risolto ogni empasse con Bruxelles. Se c'è una legge che è già 'sentita” prima ancora della sua promulgazione è proprio questa: ricordo casi emblematici di "utilizzo" dei suoi principi da parte di soggetti pubblici come il Comune di Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, che ogni giorno distribuisce 1500 pasti "locali" nelle sue scuole, o come l'Usl 19 di Adria che ha inserito i prodotti del territorio nel menu ospedaliero. Mi auguro che queste realtà siano d'esempio al resto del Veneto».

«La legge veneta non è solo la prima in Italia sui prodotti a km zero – ha ribadito Manzato – ma è un esempio di federalismo applicato: rispetto ad una omogeneità che rischia solo di appiattire tutto, esaltiamo le qualità, le eccellenze e le capacità di ogni singolo territorio per promuoverne uno sviluppo dal basso. Viene insomma dato il via libera alla politica di contrasto ad una mondializzazione che penalizza le nostre aziende trasformandosi in banalizzazione e omogeneizzazione del gusto e dei sapori a scapito della tipicità e delle imprese che lavorano meglio: una politica che abbiamo sempre perseguito e non solo come amministrazione regionale».


Alberto Pento
In tanti anni non sono ancora riuscito a trovare dei salami e delle sopresse industriali buone quanto quelle quelle casalinghe o artigianali che le imitano.
Solo per la mortadella e i würstel ho il "gusto" industriale non avendo mai assaggiato produzioni casalinghe o artigianali.
Lo stesso vale per una gallina, una pollanca, una pollastra, un cappone: non vi è confronto tra quelli ruspanti e casalinghi e quelli allevati nei capannoni industriali dell'AIA e simili.
Ciò vale per mille o diecimila altri prodotti.



Ecco perchè la spesa "a chilometro zero" è anche "ad efficienza zero"
2013/05/08
Dario Bressanini

http://www.italiacheraglia.com/index.ph ... efficiente
http://bressanini-lescienze.blogautore. ... metri-zero


[…] Recentemente ha cominciato a diffondersi l’uso dei “chilometri percorsi” dal cibo (i food miles nel mondo anglosassone, che potremmo anche tradurre con chilometri alimentari) come indice per misurare l’impatto ambientale. La semplice logica dietro questo concetto è che più un alimento ha viaggiato, più energia ha consumato, più combustibili fossili ha bruciato, più gas serra ha emesso (ricordo che i gas serra includono l’anidride carbonica, il metano e altri gas) e quindi più alto è l’impatto ambientale e meno il cibo è ecologicamente sostenibile.

Studi recenti però mostrano che le cose non sono così semplici e che i chilometri percorsi non sono un indicatore sensato dell’impatto ambientale e della sua sostenibilità. […] Una delle difficoltà risiede nel fatto che circa la metà del chilometraggio percorso, il 48%, è attribuibile al compratore. […] In più la grande distribuzione […] trasporta in modo più efficiente le merci, utilizzando meno autoveicoli pesanti al posto di un numero più elevato di veicoli più piccoli meno efficienti che verrebbero utilizzati da un sistema distributivo non centralizzato. […] Se comperate pomodori a febbraio (e non mi dite che non lo fate! Li compero anche io, faccio “outing” ;-) ) anche se sono prodotti a due passi da casa e li acquistate in un Farmer’s market, sono cresciuti in serre riscaldate e illuminate artificialmente, e quindi hanno richiesto più energia di analoghi pomodori coltivati in sud Africa. […] ricordatevi dell’Ecologia di Scala: un piccolo produttore è spesso più inefficiente dal punto di vista energetico. In più pensate che uno studio del 2007 ha calcolato che se fate 10 km in macchina per andare a comperare solamente 1 kg di verdura, generate più CO2 che non facendola arrivare direttamente dal Kenya. Ancora una volta, i consumi energetici individuali, o la produzione di CO2, possono essere superiori a quelli per portare i prodotti sino ai mercati. […]

La mia personale impressione è che in realtà lo slogan della spesa a km 0, nonostante abbia poco senso economico e scientifico, sia destinato a rimanere tra noi ancora per un po’, per il semplice fatto che viene utilizzato come strumento di marketing e di promozione commerciale. Detto brutalmente, si vuole vendere non solo un pomodoro prodotto localmente, ma anche l’idea che in questo modo state “salvando il mondo”(indipendentemente dal fatto che sia vero o meno), approfittando del fatto che su una fascia di consumatori “attenti” questi messaggi fanno presa. […]


01 novembre 2010
http://www.libertiamo.it/2010/11/01/viz ... -a-km-zero

[…] In primo luogo la sovranità alimentare è fonte di insicurezza alimentare e di instabilità dei prezzi: se gli approvvigionamenti provengono tutti da una stessa area geografica, sono più facilmente soggetti ai rischi a cui le produzioni agricole sono normalmente esposte, e lo sono tutti insieme. […] Un mercato aperto non è vantaggioso solo per i consumatori, ma anche per gli stessi agricoltori, che possono approfittare di sbocchi commerciali più ampi per i loro prodotti […]. Un altro discorso è quello della sostenibilità ambientale: pretendere che tutto il fabbisogno agroalimentare sia prodotto vicino alla porta di casa significa che gran parte della produzione avverrebbe in aree climatiche e su terreni non vocati. […] Mentre non ha alcun fondamento scientifico l’ipotesi secondo la quale ridurre le distanze percorse dal cibo porterebbe a una riduzione delle emissioni di gas serra, dato che il trasporto su lunghe distanze incide per il 4% sulle emissioni legate al cibo , mentre il resto proviene dalle fasi di produzione, stoccaggio e conservazione. […]

Aggiornamento del 14 agosto 2015:
http://www.dissapore.com/grande-notizia ... e-i-prezzi

Intervistato da “Sette”, il più giovane chef stellato d’Italia, Matteo Metullio, enfant prodige dell’Alta Badia, critica la moda del chilometro zero, ritenendola solo un espediente per aumentare i prezzi dei piatti. E sostiene anzi che le eccellenze bisogna andare a prendersele, anche se costa qualche chilometro.

Friulano, faccia da bravo ragazzo, appena 26 anni lo chef del ristorante “La Siriola” di San Cassiano, in provincia di Bolzano, è un tipo diretto. Metullio spiega come molti ristoratori speculino sull’irrefrenabile dilagare della dicitura “Chilometro zero” nei menu dei ristoranti. I prodotti “a chilometro zero” sono quelli che i locali pagano meno, ma paradossalmente finiscono con il costare di più.

«Con questa storia del chilometro zero i ristoratori hanno abbattuto i costi di acquisto delle materie prime e hanno alzato i prezzi dei menu. Riescono a farti pagare più di 40 euro un’insalata solo perché è stata raccolta nell’orto del ristorante. Cose da pazzi. I prodotti a chilometro zero dovrebbero costare meno, non di più. Ma ormai molti chef vendono loro stessi, la griffe. Non quello che ti fanno mangiare. È assurdo»

Tra l’altro, continua Metullio, risulta difficile garantire la qualità puntando soltanto sul “chilometro zero”: si sa che ogni regione ha le sue specialità, e se si vuole offrire il massimo al cliente bisogna saper attingere l’ingrediente giusto dal posto giusto.

«Se io faccio arrivare qui in Alto Adige i gamberi da Sanremo, la mozzarella da Battipaglia o i pomodori da Pachino, non garantisco qualità? Con i trasporti veloci che ci sono oggi sarebbe un peccato privarsi di questi prodotti in nome del fantomatico “chilometro zero”. La cucina non ha bisogno di limitarsi».

Inoltre secondo lo chef, che non si fa pregare quanto si tratta di azzardare teorie spericolate, molti dei ristoranti che fanno del “chilometro zero” la loro bandiera, in cucina hanno personale che viene dall’estero, facendo crollare il castello di tutti i buoni propositi come la valorizzazione del territorio, il rispetto delle tradizioni, la storia di un piatto.

«Molti super ristoranti che propongono prodotti a chilometro zero vivono una contraddizione: hanno in cucina truppe di cuochi giapponesi o coreani. Mi spiega che cosa ne sanno loro della cucina del territorio? Come possono capire se il canederlo o il pesto sono fatti in modo giusto o sbagliato?»

Metullio ribadisce ancora una volta la sua posizione annunciando la presentazione di un piatto che probabilmente farà impallidire ecologisti e fan sfegatati del chilometro zero:

«Tra pochi giorni presenterò un piatto che forse chiamerò “Spaghetti 4.925 km” perché la pasta è di Gragnano, gli scampi pugliesi, il basilico calabrese, l’olio ligure, l’affumicatura di brace e uova altoatesine, la colatura di alici e l’acqua di pomodoro campane… Non saranno a chilometro zero ma state certi che sono buonissimi…»

Alberto Pento
Io preferisco la pasta Sgambaro di Castello di Godego, i pomodori dell'orto di mia madre, il basilico del mio giardino, l'olio del Garda o dei colli Euganei, le uova delle galline del vicino, le sardine di Chioggia, lo spek di Asiago o tirolese, ...
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » mar ott 02, 2018 7:39 am

Trump cancella il Nafta. Siglata intesa commerciale con il Canada
Gerry Freda - Lun, 01/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 82724.html

Secondo gli analisti, una vittoria dei democratici alle imminenti elezioni statunitensi di metà mandato stravolgerebbe il cronoprogramma diretto all’entrata in vigore del nuovo accordo

Gli Stati Uniti e il Canada hanno concluso un accordo commerciale diretto a sostituire il Nafta.

Nella notte tra il 30 settembre e il primo ottobre, le delegazioni dei due Paesi sono riuscite a concordare nuove regole intese a disciplinare gli scambi di beni e servizi tra Washington e Ottawa. Il nuovo patto, insieme a quello stipulato lo scorso agosto tra Usa e Messico, darà vita all’U.S.-Mexico-Canada Agreement (Usmca), un quadro normativo mirante a regolare un volume d’affari pari a 1,2 trilioni di dollari l’anno. Il "vecchio" Nafta, promosso da Bill Clinton nel 1994, era stato ripetutamente attaccato da Donald Trump in quanto “svantaggioso” per le aziende “a stelle e strisce”. La recente intesa tra Washington e Ottawa rappresenta, per il tycoon, un’ulteriore promessa elettorale realizzata, in quanto egli, durante le presidenziali del 2016, si era impegnato a revocare la scelta fatta ventiquattro anni fa da Clinton.

Con l’entrata in vigore del nuovo trattato commerciale tra i due Paesi, le esportazioni statunitensi di prodotti lattiero-caseari avranno libero accesso al mercato canadese. In cambio, le case automobilistiche di Ottawa potranno vendere i loro veicoli negli Usa senza pagare alcuna tariffa doganale. Tuttavia, la nuova intesa non abolisce i dazi imposti nei mesi precedenti da Trump ai danni delle esportazioni canadesi di acciaio e alluminio. Le due delegazioni, in una nota, hanno precisato che le tariffe applicate a tali materiali sarebbero ancora oggetto di “negoziati paralleli”. Il recente trattato, inoltre, nonostante sia stato presentato dalla Casa Bianca come uno strumento mirante a “scardinare” il Nafta, in realtà salvaguarda alcune norme di quest’ultimo. Il capitolo 19 dell’accordo entrato in vigore ventiquattro anni fa, relativo al “sistema di risoluzione delle controversie”, resterà infatti intatto.

La delegazione americana, guidata dall’U.S. Trade Representative Robert Lighthizer, e quella canadese, capeggiata dal Ministro degli Esteri Chrystia Freeland, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sull’accordo siglato questa notte: “L’Usmca darà ai nostri allevatori e ai nostri imprenditori un quadro normativo di alto livello. Quest’ultimo si tradurrà in scambi commerciali più liberi ed equi, oltre che in una costante crescita economica per tutto il Nord America.” Robert Lighthizer, in una successiva conferenza stampa, ha dichiarato: “Questo accordo è estremamente vantaggioso per gli Stati Uniti e rappresenta una grande vittoria del presidente Trump.” Il premier di Ottawa, Justin Trudeau, in un comunicato, ha salutato come “un giorno felice per il Canada” la conclusione della trattativa con gli Usa in ambito commerciale. All’entusiasmo del Primo ministro ha fatto da contraltare la rabbia degli allevatori del Québec, i quali contestano il libero accesso al mercato nazionale dei prodotti lattiero-caseari “a stelle e strisce”. Il nuovo patto dovrà essere ufficialmente sottoscritto da Trump e Trudeau entro sessanta giorni. Una volta firmato dall’inquilino della Casa Bianca, l’Usmca dovrà poi essere ratificato dal Congresso statunitense.

Ad avviso degli analisti politici americani, le imminenti elezioni di metà mandato rischiano di stravolgere il cronoprogramma diretto all’entrata in vigore della nuova intesa. Un’eventuale maggioranza democratica al Parlamento Usa, frutto del successo elettorale degli avversari di Trump, difficilmente approverebbe la cancellazione del Nafta. Per il momento, l’accordo promosso dal tycoon ha riscosso in patria gli apprezzamenti del sindacato degli imprenditori manifatturieri. La National Association of Manufacturers ha infatti espresso giudizi positivi sul contenuto del trattato: “Dopo avere analizzato il contenuto del documento”, ha dichiarato Jay Timmons, segretario del sindacato, “possiamo affermare con convinzione che quest’ultimo renderà più liberi e trasparenti gli scambi commerciali in Nord America. Grazie alla nuova intesa, gli imprenditori del settore manifatturiero potranno espandere enormemente il loro volume d’affari, contribuendo così alla crescita dell’economia statunitense.”
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » mar gen 01, 2019 2:11 pm

Nel 2018 gli Stati Uniti sono andati all'assalto della Cina: tutti i fronti dell'offensiva
Andrea Muratore
1 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/partito- ... gica-trump

L’anno appena concluso è stato caratterizzato, sul piano della geopolitica internazionale, dal braccio di ferro tra Cina e Stati Uniti, impegnati in una rivalità politica che ha avuto le sue più importanti manifestazioni in campo economico ma è stata caratterizzata da numerose schermaglie nella sfera militare. In palio, la leadership globale degli Stati Uniti, che la Cina non mira a rovesciare ma da cui si sta, passo dopo passo, affrancando portando avanti l’ambiziosa strategia di connettività infrastrutturale (“Nuova Via della Seta“) con cui mira a emanciparsi dal domino dei mari di Washington, rafforzando il ruolo dello yuan nei confronti del dollaro egemone negli scambi internazionali e puntando su tecnologie di frontiera come il 5G e l’intelligenza artificiale per essere in testa nella corsa al progresso del domani.

Negli apparati statunitensi da tempo cova un crescente timore per le iniziative di Pechino. Già manifestato nell’era Obama con la strategia del pivot to Asia, che indicava correttamente nell’Estremo Oriente il nuovo baricentro geopolitico del pianeta. Ora amplificato da Trump, in crescente sintonia sul dossier cinese con uno “Stato profondo” che in altri campi avversa e contrasta, in una sfida a tutto campo volta a ridimensionare l’Impero di Mezzo prima che questo possa acquisire una compiuta dimensione planetaria. Anticipando la “trappola di Tucidide“, il timore dello scontro tra l’egemone in declino relativo e lo sfidante in rapida ascesa, forzando il disequilibrio di potenza. Nel 2018 è partito un assalto strategico alla Cina da parte degli Stati Uniti, con il benestare di tutti i centri di potere: Casa Bianca, Congresso, Pentagono, servizi segreti.

Contenere la Cina prima che sia troppo tardi: il proposito degli Usa

Come ha scritto Dario Fabbri sull’ultimo numero di Limes, “anziché pensarsi giustiziere del sistema corrente, la Cina è impegnata a trasformarsi in potenza compiuta. Il Paese è giunto sulla medesima soglia strategica che nella sua millenaria storia non ha mai saputo varcare. Ovvero, rendere economicamente omogenei la costa e il resto del territorio nazionale, vivere maggiormente di sé attraverso un cospicuo mercato interno, diventare una talassocrazia che sappia controllare le rotte su cui si muovono le sue merci”. Obiettivo degli Stati Uniti, secondo l’analista, è prevenire la realizzazione di questi risultati strategici che garantirebbero alla Cina una coerenza e una coesione interna mai raggiunte in precedenza, rendendola pronta a un ruolo veramente globale.

Da qui un’offensiva a tutto campo per contenere la Cina entro i suoi confini o, addirittura, metterle pressione all’interno di quello che, per ragioni storiche, Pechino considera lo spazio strategico di sua pertinenza. Il Mar Cinese Meridionale è più caldo che mai. Le tensioni su Taiwan e le operazioni di tutela del diritto di navigazione poste in essere da Washington si sono intensificate.

Per indebolire Pechino, Trump vuole fare perno sui suoi importanti alleati tradizionali. Giappone e Australia sono clientes geopolitici di grande importanza, integrati completamente nello spazio securitario statunitense. L’India è senz’altro ostile alla Cina e alla Belt and Road Initiative, ma nonostante l’amicizia tra Trump e Narendra Modi, non è usa alle scelte di campo e punta a un ruolo autonomo, sebbene l’avvicinamento del rivale Pakistan a Pechino giochi per un suo sostegno alla causa statunitense, camuffata in maniera multilaterale attraverso l’iniziativa Quad nell’Indo-Pacifico.

La guerra dei dazi

Nel 2018 gli Stati Uniti hanno avviato una serie di manovre economiche volte a disturbare l’ascesa cinese colpendo le esportazioni di Pechino con crescenti dazi, a cui la Cina non ha potuto sinora reagire con un’offensiva di eguale portata, pur tenendo di riserva la carta delle terre rare.

Secondo Fabbri, “lungi dal perseguire un mero riassestamento della bilancia commerciale […] la pressione in atto vuole imporre alla Repubblica Popolare specifiche condizioni geopolitiche”, forzandone l’integrazione più stringente nelle regole del commercio internazionale di matrice liberale sancite dal Wto. Il modello dirigista dell’economia cinese che Xi Jinping ha irreggimentato, proiettandolo a sostegno della sua grande strategia, riversa centinaia di miliardi di dollari nelle iniziative che Washington vuole stroncare utilizzando la leva del commercio.

Costringendo la Cina ad accettare il consensus dell’ordine a guida statunitense, le si potrebbe rendere più difficile la strada verso quell’omogeneizzazione interna che gli Usa vogliono impedire. Non è un caso che, in parallelo allo stringimento del cerchio nel Mar Cinese Meridionale e all’offensiva commerciale, sia partita dal Congresso di Washington un’azione di disturbo sulle violazioni dei diritti umani nella regione occidentale dello Xinjiang, abitata dalla minoranza musulmana degli uiguri, la cui repressione è stata a lungo accettata dagli Stati Uniti in cambio dell’accettazione cinese della retorica della “guerra globale al terrore”.

Lo Xinjiang è vitale per la “Nuova Via della Seta” e Pechino sta puntando a integrarlo a tappe forzate nel tessuto socio-economico della nazione. Colpendo gli interessi di Pechino all’interno del suo territorio, gli Stati Uniti gli ricordano di essere in grado di mettere in discussione la stessa unità nazionale della Cina. Cosa che già accade, a ben vedere, consentendo l’esistenza della “provincia ribelle” di Taiwan.

5G e intelligenza artificiale: la madre di tutte le battaglie

Ciò che la guerra dei dazi nasconde è una sfida senza esclusione di colpi per la supremazia globale nel settore tecnologico di frontiera destinato ad influenzare l’economia mondiale nei prossimi decenni. Nell’ottobre del 2017, Xi Jinping ha tenuto al Congresso del Partito un discorso di più di tre ore in cui esortava il popolo a diventare il numero uno nel campo, perché questa tecnologia cambierà il mondo, fissando a 150 miliardi di dollari gli investimenti previsti nel campo fino al 2030.

5G e intelligenza artificiale rivoluzioneranno numerosi sistemi economici e il controllo delle tecnologie per il loro sviluppo sarà determinante per riscrivere numerosi equilibri di potenza. Temendo le azioni delle cinesi Huawei e Zte in Occidente e i loro legami con gli apparati politico-securitari dell’Impero di Mezzo, gli Stati Uniti hanno esercitato nel settore tutto il peso della loro influenza imperiale, arrivando a richiamare gli alleati alla “scelta di campo”.

Nella sfida tecnologica l’America torna imperiale

Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Giappone hanno seguito l’egemone mettendo al bando i colossi di Pechino dalle gare per il 5G sul loro territorio. L’arresto in Canada di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei e direttrice delle operazioni finanziarie del colosso cinese, ha segnato la brusca fine della breve tregua commerciale concordata a inizio dicembre a Buenos Aires da Donald Trump e Xi Jinping e palesa definitivamente la reale natura di una gara senza esclusione di colpi.

Come ha scritto Giorgio Cuscito sul penultimo numero di Limes, la Cina ha lanciato la sfida alla supremazia degli Usa in campo tecnologico proprio nei settori dell’Ai e del 5G: “La Repubblica Popolare ha ancora qualche lacuna sul piano quantitativo, ma sta rapidamente colmando il divario con gli Usa grazie al forte sostegno governativo alle aziende tecnologiche nazionali, alla grande quantità di metadati a disposizione e al fenomeno dell’imprenditoria cinese”. Per questo, gli Stati Uniti hanno iniziato un’offensiva politica ed economica di ampio respiro per tarpare le ali alla Repubblica Popolare.


Scenari futuri

Il 2018 ha visto Washington all’attacco su diversi fronti: tecnologia, dazi, diritti umani, rivalità marittime, questione di Taiwan. Gli Stati Uniti vogliono acquisire dividendi dall’attuale divario di potenza e conservare uno status quo a loro favorevole. La Cina di Xi Jinping, per ora, si comporta come i ciclisti staccati sulle salite più dure che provano a recuperare in progressione, senza cambiare i ritmi dei suoi programmi economici e geopolitici. Il calcolo americano è che, sul lungo periodo, la Cina non avrà più fiato per reagire alle sollecitazioni statunitensi.

Difficile dire se il ragionamento sia corretto. Certamente, tra disuguaglianze, inquinamento e debito aggregato la Cina ha grandi sfide da vincere, ma lo stesso si può dire degli Stati Uniti. La svolta strategica dell’amministrazione Trump non ha prodotto, per ora, un indebolimento complessivo della Cina: sarà il tono che la relazione acquisirà nel 2019 a far capire cosa c’è da aspettarsi per il futuro. Tenendo presente che la trappola di Tucidide è un’ipotesi remota, ma che non va mai esclusa definitivamente.
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » mar feb 19, 2019 12:22 pm

Dazi Usa sull'auto, la Germania trema
Rodolfo Parietti - Mar, 19/02/2019

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 47524.html

A Berlino 5 miliardi di danni. Ma l'Europa contrattacca: "Pronti a reagire subito"

Con la firma del segretario al Commercio, Wilbur Ross, il dossier sull'eventuale inasprimento dei dazi sulle auto europee è arrivato sul tavolo di Donald Trump.

Nessun dettaglio è stato ancora rivelato, ma stando ad alcune indiscrezioni il documento stabilisce che le importazioni di quattroruote dal Vecchio continente costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale. L'inquilino della Casa Bianca ha 90 giorni di tempo per prendere una decisione, e li sfrutterà tutti. Non solo perché, al di là della retorica iperbolica da twitter, l'intesa con la Cina sulla tariffe è tutt'altro che vicina (e Pechino continua a soffrirne, con le vendite di auto crollate in gennaio del 15,8% su base annua), ma soprattutto per il motivo che al tycoon conviene tenere Bruxelles sulla graticola il più possibile per aumentare il peso negoziale dell'America.

L'Unione europea, infatti, già frigge: se il rapporto consegnato a Trump «si traducesse in azioni a danno delle nostre esportazioni, la Commissione reagirebbe in modo rapido e adeguato», ha subito chiarito ieri un portavoce di Bruxelles, Margaritis Schinas. Insomma, un'immediata ritorsione che andrebbe a colpire merci Usa per un controvalore di 20 miliardi di euro, come annunciato da Jean-Luc Demarty, direttore generale del commercio presso la Commissione europea.

Le preoccupazioni legate all'introduzione di tariffe del 25% (contro l'attuale 2,5%) sui modelli made in Europe, sono peraltro legittime. In gioco ci sono cifre importanti, e per la precisione i 37,4 miliardi di euro che rappresentano, in base ai calcoli dell'Acea, le vendite 2017 effettuate negli States dai produttori automobilistici comunitari. A tremare è in particolare la Germania, che in tempi di protezionismo montante sta scoprendo sulla propria pelle come sia un vulnus economico essere così tanto - troppo? - export oriented. Gruppi come Bmw, Volkswagen e Mercedes vendono negli Usa 470mila auto: dazi alle stelle costerebbero ai produttori tedeschi 5 miliardi, derivanti da un crollo del 50% dei ricavi negli Stati Uniti. Berlino deve quindi fare il tifo per la National automobile dealers association (ovvero i concessionari a stelle e strisce), convinta che la ritorsione trumpiana sarebbe un boomerang capace di distruggere 366mila posti di lavoro a causa del rincaro dei prezzi delle auto (mediamente 2.750 dollari in più) che provocherebbe un calo annuo di 1,3 milioni delle immatricolazioni. Angela Merkel, che lo scorso sabato aveva ammesso di non riuscire a capire la connessione fra le importazioni di auto e la sicurezza nazionale, rischia insomma di avere un'altra bella gatta da pelare nella fase terminale del suo mandato. E proprio nel momento in cui il Paese, evitata per un soffio la recessione, deve comunque fare i conti con la netta frenata dell'economia e con problemi del settore bancario così seri da richiedere l'intervento del governo.

Se Berlino piange, Londra non ride. Il colosso automobilistico giapponese Honda intende chiudere il suo stabilimento di Swindon nel 2022 mettendo a rischio 3.500 posti di lavoro. Dietro la scelta ci sarebbero anche le incertezze legate alla Brexit, anche il gruppo nipponico parla di una scelta legata a un piano di riorganizzazione.
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » lun mar 04, 2019 10:46 pm

Trump: "Basta dazi sui prodotti agricoli"
Redazione - Dom, 03/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 55539.html

Il presidente Usa: "Bene i negoziati, ma la Cina li tolga subito"

Donald Trump torna a mostrare i muscoli nella guerra commerciale in corso con Pechino: «Ho chiesto alla Cina di rimuovere immediatamente tutte le tariffe su tutti i nostri prodotti agricoli, compresa la carne di manzo e di maiale, sulla base del fatto che stiamo andando avanti bene con le discussioni commerciali», ha cinguettato ieri il presidente degli Stati Uniti dopo gli incontri bilaterali tra le delegazioni dei due governi in vista del vertice con il presidente del Paese asiatico, Xi Jinping.

Lo stesso Trump ha subito sottolineato su Twitter di non aver fatto scattare gli addizionali dazi del 25% il primo marzo, termine che aveva indicato per trovare un accordo, quindi in sostanza l'ultimatum è slittato. «È molto importante per i nostri agricoltori e per me», ha proseguito Trump riferendosi alla sua ultima richiesta; in realtà Pechino avrebbe già aperto alla possibilità di aumentare gli acquisti di prodotti made in Usa, compresi appunto soia, riso, mais e carne.

Wall Street spera ormai in una positiva soluzione per la trade war in corso, ma le distanze da colmare restano molte. A partire dal niet della Cina alla possibilità di interrompere gli aiuti di Stato alle sue aziende pubbliche o para-pubbliche; uno dei maggiori motori che hanno fatto del Paese asiatico la «fabbrica del mondo» e anche uno dei principali volani dell'economia internazionale. Proprio ieri si è saputo che l'ex Celeste Impero lo scorso anno ha fatto investimenti fissi nel settore dei trasporti per 3,2 trilioni di yuan, l'equivalente di 478,9 miliardi di dollari, per realizzare nuove costruzioni e infrastrutture. Disaggregando il dato complessivo, annunciato dal ministero dei Trasporti, gli investimenti nelle ferrovie si sono attestati a circa 800 miliardi di yuan, quelli nelle strade e idrovie 2,3 trilioni di yuan e nell'aviazione civile a 80 miliardi. Nel 2018, sono stati realizzati più di 2.600 chilometri di linee ad alta velocità e 6000 chilometri di superstrade. Complessivamente, secondo quanto rilevato dall'Ufficio nazionale di Statistica, nel 2018 gli investimenti fissi in Cina sono aumentati del 5,9% annuo. Altro che la guerra dei M5S contro la Tav.
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » lun mag 13, 2019 8:12 am

Che demeneti e falsi questi comunisti travestiti del Fatto Quotidiano, antiamericani, antisemiti e filo nazi maomettani: fanno passare i giusti dazi di Trump per difendersi da quelli cinesi e dagli aiuti di stato della Cina che alterano la libera concorrenza mondiale per ingiusti e prepotenti protezionismi americani.


Dazi, un accordo Usa-Cina non ci sarà mai. E Trump sta tirando troppo la corda
Loretta Napoleoni
2019/05/12

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... da/5172635

La politica protezionista americana condotta a colpi di tweet è surreale al punto che ormai nessuno sa bene cosa ci sia dietro, insomma un’analisi corretta della strategia trumpista di lungo termine è impossibile. Ma prevedere le conseguenze di una guerra tariffaria tra due superpotenze economiche, quello sì che è possibile, e per farlo bisogna fare un piccolo passo indietro.

La rivoluzione politica di Donald Trump poggia sul ritorno di un’America onnipotente, una superpotenza a tutti gli effetti. Naturalmente ci sono degli ostacoli, primo fra tutti la Cina, economia matura ed emergente allo stesso tempo, che lavora alacremente alla costruzione di una macchina militare tanto efficiente quanto quella americana. La Cina è un rivale potente anche a livello demografico: un miliardo e 400 milioni di cinesi contro 300 milioni di americani.

L’obiettivo di Trump è chiaramente impedire alla Cina di compiere il sorpasso, di diventare più potente degli Stati Uniti e se ciò avvenisse l’America non potrebbe mai essere “di nuovo grande”. Ecco spiegato perché il presidente vuole che Pechino smantelli la politica del made in China 2025: politica che mira a chiudere il divario con l’occidente in 10 settori, tra cui quello dell’acciaio, entro il 2025 e a dominare l’industria dell’intelligenza artificiale entro il 2030. Questo non è semplicemente un obiettivo economico: è una strategia di lungo periodo diretta a garantire la sicurezza nazionale cinese, è un programma per il futuro della nazione il cui artefice è il presidente Xi Jinping, la meta finale è l’emergere della Cina come potenza globale.

E’ chiaro dunque che un accordo solido e duraturo tra Washington e Pechino non ci sarà mai, dal momento che nessuno dei due rinuncerà al programma di supremazia mondiale. La guerra dei dazi è l’inizio di un conflitto di lungo periodo; il pericolo è che tale conflitto abbia conseguenze negative per l’economia mondiale a causa della globalizzazione. E vediamo perché.

Fino ad ora le tappe salienti della guerra dei dazi sono state tutte dirette verso la Cina. Nel luglio del 2018 il presidente ha imposto per la prima volta una tariffa punitiva del 25% su 50 miliardi di dollari di esportazioni industriali cinesi. I nuovi dazi sono stati seguiti a settembre dall’imposizione di una tariffa del 10% su una gamma molto più ampia di prodotti per un valore di circa 200 miliardi di dollari l’anno, che questa settimana è stata portata al 25%. Questa settimana, dopo la rottura dei negoziati commerciali con la Cina, Trump ha affermato che gli Stati Uniti stanno studiando la procedura per applicare un tasso del 25% su tutte le restanti importazioni cinesi, per un valore di 325 miliardi di dollari.

Le sanzioni al momento sono popolari nel mondo degli affari e nell’industria americana pesante, anche e soprattutto tra gli operai che hanno votato Trump; non lo sono tra gli agricoltori che hanno visto le importazioni cinesi di derrate alimentari e materie prime diminuire in risposta ai nuovi dazi. Per ora anche piazza Affari sembra poco preoccupata della guerra dei dazi perché è convinta che si troverà un accordo. Ma questa tranquillità si potrebbe trasformare in panico nel momento in cui diverrà evidente che il commercio internazionale si sta contraendo a causa delle politiche protezioniste americane e cinesi. A quel punto, potrebbe succedere l’impensabile, un crollo di borsa epocale. Non dimentichiamo che il 50% del valore degli indici di Wall Street è rappresentato da imprese ad alta tecnologia: una guerra dei dazi ne farebbe aumentare i costi e ridurrebbe sostanzialmente le vendite a livello globale.

Trump sta giocando con l’economia globalizzata convinto di avere in mano un giocattolo made in Usa. Il presidente è fuori tempo e forse anche scollegato con la realtà; ha però avuto fortuna, è incappato in un ciclo economico positivo e quindi ancora raccoglie consensi. Ma nei prossimi 12 mesi la guerra dei dazi potrebbe trasformare la crescita economica americana in una recessione simile a quella degli anni Ottanta. E se questa inversione avvenisse prima delle elezioni presidenziali, Trump potrebbe anche perde
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » lun mag 13, 2019 8:21 pm

???

Cina, da giugno dazi su 60 miliardi di dollari di merci americane
Scritto da Federico Giuliani

https://it.insideover.com/economia/cina ... merci.html


La Cina aumenterà le tariffe doganali su 60 miliardi di dollari di prodotti americani a partire da giugno. È questa la prima risposta concreta di Pechino alla decisione di Trump. Il Presidente degli Stati Uniti aveva infatti deciso l’aumento dei dazi su 200 miliardi di merci made in China. Il braccio di ferro prosegue anche se esiste ancora un margine che permetterebbe alle parti di siglare una pace commerciale.

Aumentano i dazi sulle importazioni americane

Per il momento, però, Pechino restituisce il favore a Washington. È vero, la Cina esporta dagli Stati Uniti cinque volte tanto rispetto a quanto non fanno gli americani con i prodotti cinesi. Ma questo primo passo di Pechino indica che Xi Jinping non teme alcuno scontro frontale con il collega Trump. Sulle importazioni statunitensi la Cina aveva già imposto tariffe addizionali, che dal 1 giugno varieranno dal 5% al 25%.

Il braccio di ferro continua

Washington pochi giorni fa aveva aumentato le tariffe su 200 miliardi di dollari di merci cinesi dal 10% al 25%. Una mossa che non è certo piaciuta al governo cinese. La Cina era convinta di giungere in tempi brevi alla risoluzione della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Trump ha preferito scegliere un’altra strada.

Una risposta “all’atto unilaterale” di Washington

La Commissione delle tariffe doganali del Consiglio di Stato ha giustificato l’aumento dei dazi sulle importazioni americane come un tentativo di salvaguardare gli interessi della Cina. Pechino ha dovuto adeguare le proprie tariffe aggiuntive “in risposta all’atto unilaterale e al protezionismo commerciale degli Stati Uniti”. La nota istituzionale termina lanciando un avvertimento a Washington. “La Cina – si legge nel documento – spera che gli Stati Uniti tornino sulla giusta strada per trovare un accordo vantaggioso per tutti”.


Alberto Pento
Credo che nell'articolo vi siano degli errori non vorrei mai che si trattasse di disinformazione antiamericana:
"È vero, la Cina esporta dagli Stati Uniti cinque volte tanto rispetto a quanto non fanno gli americani con i prodotti cinesi."

In verità sono gli USA che importano dalla Cina 4 volte quello che vi esportano:
Nel 2017 la Cina ha esportato negli USA 505, 6 miliardi e ha importato dgali USA 130,4 miliardi.


Interscambio USA Mondo anno 2017
http://www.infomercatiesteri.it/highlig ... ghts=12910
Per quanto concerne l'interscambio di beni per aree, la UE nel suo insieme continua a pesare piu' della Cina, con un interscambio pari a $718,5 mld (+4,7% rispetto al 2016), con importazioni per $283,5 mld (+5,2%) ed esportazioni per $434,9 mld (+4,5%).
Quanto ai singoli Paesi, la Cina si conferma principale partner commerciale degli USA, con un interscambio di $636 mld, primo fornitore ($505,6 mld) e terzo mercato di sbocco ($130,4 mld), seguita da: Canada, primo mercato di sbocco ($282,4 mld) e terzo fornitore ($300 mld), con un interscambio di $582,4 mld; Messico ($557 mld); Giappone ($204,2 mld); Germania ($171,2 mld), primo Paese europeo in termini di interscambio. Gli Stati Uniti hanno registrato il maggiore disavanzo commerciale con: Cina (-$375,2 mld, +8,1% rispetto al 2016), Messico (-$71,1mld, +10,4%), Giappone (-$68,8 mld, +0,1%), Germania (-$64,3 mld, -0,7%), Vietnam (-$38,3 mld, +19,8%), Irlanda (-$38,1 mld, +6%), Italia (-$31,6 mld, +10,8%).
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 12:12 pm

La Cina avverte Pompeo: "Gli Usa non si spingano oltre"
Federico Giuliani
19 maggio 2019

https://it.insideover.com/politica/cina ... no-la.html

In un colloquio telefonico con il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha lanciato l’ennesimo avvertimento agli Stati Uniti, intimando Washington di “non andare troppo lontano” nella controversia commerciale che Donald Trump sta portando avanti contro la Cina. I due hanno poi affrontato altri temi, fra cui la crisi iraniana e Taiwan.

La chiamata tra il ministro degli Esteri cinesi e Pompeo

Wang Yi è stato chiaro. Come riferisce l’agenzia il canale cinese Cgtn, la Cina è ancora disposta a portare avanti i negoziati per raggiungere un accordo equo e non umiliante sul nodo dazi. La guerra commerciale non fa bene a nessuno e Pechino consiglia alla Casa Bianca maggiore moderazione, sempre se gli Stati Uniti sono interessati a risolvere la contesa. Le ultime dichiarazioni e azioni di Trump hanno danneggiato gli interessi della Cina e le sue imprese; da qui il richiamo, gentile ma diretto, del ministro cinese a Pompeo.

Iran: evitare una pericolosa escalation

Il governo cinese insiste nel ricoprire il ruolo di attore saggio e moderato. Wang ha chiesto agli Stati Uniti “una prova di contenimento” per evitare una pericolosa escalation delle tensioni riguardo l’Iran. Negli ultimi giorni, infatti, è cresciuto il rischio di una possibile guerra tra Washington e Teheran, tanto che il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, è volato in Cina per chiedere il sostegno del Dragone. La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Morgan Ortagus, ha sì dichiarato che Pompeo ha parlato con Wang Yi ma si è limitata a sottolineare come i due abbiano affrontato “questioni bilaterali”, senza fornire altri dettagli.

Dossier Taiwan

Wang ha poi invitato gli Stati Uniti ad attenersi al principio “Una Cina, due sistemi” in merito allo status di Taiwan. Pechino chiede a Washington – riporta Xinhua – di aderire ai comunicati congiunti Usa-Cina ma soprattutto di gestire le tematiche riguardanti l’isola con maggiore cura e attenzione, soprattutto nei termini e nei modi. Dopo l’Iran e la guerra commerciale, un nuovo scontro su Taiwan è l’ultima cosa che i cinesi si augurano possa accadere.
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Re: Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA

Messaggioda Berto » sab giu 08, 2019 12:36 pm

Le minacce di Trump di imporre al Messico i dazi, per contenere la crisi alla Frontiera, incominciano a funzionare!
2019/06/07

https://osservatorerepubblicano.com/201 ... rGJkwmWKo8

Oggi 7 giugno, sul Washington Examiner sono usciti 2 articoli interessanti sugli effetti delle minacce di Trump, di imporre dazi commerciali al Messico, per il lassismo in campo migratorio di quest’ultimo.

Il Messico infatti, intende inviare 6.000 truppe della Guardia Nazionale al suo confine meridionale per blindare la frontiera con il Guatemala, in risposta alla minaccia dell’imposizione dei dazi USA sulle sue merci e nell’ambito dei colloqui in corso a Washington tra le due nazioni.
Militari messicani

I dazi voluti dal Presidente Trump sono stati decisi, a causa delle centinaia di migliaia di immigrati che hanno e che stanno tuttora attraversando indisturbati il Messico, diretti verso gli Stati Uniti d’America.

Nonostante l’intento del Messico di procedere a rafforzare la sicurezza delle frontiere, la Casa Bianca ha ancora in programma di applicare, a partire dal 10 giugno, una tariffa del 5% su circa $ 350 miliardi di beni merci provenienti dal Messico. Le tariffe aumenteranno del 5% ogni mese fino al raggiungimento dell’aliquota del 25% a ottobre 2019.

“La nostra posizione non è cambiata, i dazi andranno avanti ed entreranno in vigore lunedì“, ha detto la Segretaria dell’Ufficio Stampa della Casa Bianca, Sarah Sanders.

Press Secretary Sarah Sanders

Marc Short, il capo dello staff del Vicepresidente Mike Pence ha dichiarato, venerdì 7 giugno, quanto segue:

“C’è un procedimento legale che sta procedendo con un piano per implementare i dazi con il Messico lunedì, ma penso che esista la possibilità – se i negoziati andranno bene – che il presidente possa bloccarlo ad un certo punto nel fine settimana “

Funzionari messicani, mercoledì 5 giugno, si sono recati a Washington, DC, per negoziare con la Casa Bianca.

Terminati i colloqui, Trump ha affermato che, sebbene il Messico soddisfi alcune richieste degli Stati Uniti, sono necessari ulteriori progressi per evitare le tariffe.

Il Presidente Trump

“I progressi sono stati fatti, ma non abbastanza: gli arresti effettuati sul confine a maggio sono arrivati a 133.000 perché il Messico e i democratici al Congresso si rifiutano di procedere sulla riforma dell’immigrazione“, ha twittato Trump giovedì 6 giugno.

Venendo ai colloqui, per scongiurare i dazi sulle proprie merci, il Messico avrebbe promesso di onorare le norme internazionali e fare la sua parte per affrontare la crisi dei migranti proveniente dall’America centrale e meridionale.

Indiscrezioni del Washington Post riferiscono che, se Trump annullasse i dazi, il Messico adotterà l’accordo “Safe Third Country” con gli Stati Uniti. “Safe Third Country” prevede che i richiedenti asilo debbano richiedere asilo nella prima nazione sicura dove giungono. In pratica, significherebbe che il Messico dovrebbe occuparsi degli immigrati in arrivo dal Guatemala, dall’Honduras e dal Salvador. Il Messico non scaricherebbe più il peso di queste ondate migratorie sugli USA e quelli che si vedranno rifiutato l’asilo in Messico non potranno beneficiare dell’asilo negli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti hanno già un accordo simile con il Canada.

Il Messico deve comportarsi come una nazione e non come una strada di accesso per gli USA dove tutti possono attraversarla indisturbati.

Carovana di migranti diretti verso gli USA

L’invio di truppe alla frontiera con il Guatemala, i colloqui in corso, rappresentano un atto di buona fede e uno sforzo per cercare di trovare la soluzione e potrebbe garantire un posticipo dell’inizio dei dazi di qualche giorno, per trattare. Se avvenisse un accordo, questo rappresenterebbe una grande vittoria per il Presidente.

Aggiornamento:

Il Presidente Donald Trump, poche ore fa, ha twittato che è stato raggiunto un accordo tra gli Stati Uniti e il Messico e di conseguenza i dazi commerciali previsti per lunedì 10 giugno sono state sospesi a tempo indeterminato.

“Sono lieto di informarvi che gli Stati Uniti hanno firmato un accordo col Messico. I dazi che dovevano essere applicati dagli Usa lunedì, sono quindi sospesi a tempo indeterminato. Il Messico, in cambio, ha concordato di adottare misure forti per arginare la marea della migranti attraverso il Messico e verso il nostro confine meridionale. Questo sarà fatto per ridurre grandemente, o eliminare, l’immigrazione illegale proveniente dal Messico e verso gli Stati Uniti. I dettagli dell’accordo saranno rilasciati a breve dal Dipartimento di Stato. Grazie! “

Sulla base di una prima dichiarazione del Dipartimento di Stato, il Messico promette di schierare la sua Guardia Nazionale in tutto il Messico, in particolare alla frontiera, di aumentare le azioni per smantellare le operazioni dei trafficanti di esseri umani e compiere ulteriori passi per coordinarsi con il governo americano per condividere informazioni per “proteggere meglio e rendere più sicuri i nostri comuni confini“.
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