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Trump conferma i dazi sulla Cina. Ma la trappola di Pechino è pronta
Federico Giuliani
31 agosto 2019
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Altro che distensione e ottimi rapporti, Donald Trump prosegue a testa bassa nella guerra dei dazi contro la Cina. Domani entreranno in vigore le nuove tariffe doganali che appesantiranno i beni made in China destinati al mercato statunitense, e che di riflesso, nelle intenzioni del presidente americano, dovrebbero contribuire a indebolire l’economia cinese. Ma Trump ha anche un’altra convinzione, ovvero che la linea morbida che starebbe utilizzando Pechino a Hong Kong sia la diretta conseguenza del pugno duro adottato dagli Stati Uniti in ambito commerciale. La Cina, infatti, da quando sono scoppiate le proteste nell’ex colonia britannica, si è limitata a osservare i fatti da lontano, senza interferire con manovre militari. È pur vero che la pazienza del Partito comunista cinese ha un limite, e quel limite è stato superato da un pezzo. La sensazione è che, tariffe o non tariffe, la Cina dovrà in qualche modo disinnescare una bomba che rischia di danneggiare l’esoscheletro su cui si poggia il sistema politico ed economico del Dragone. Ma Trump sembrerebbe pensarla in modo diverso.
Trump collega i dazi a Hong Kong
Al di là delle convinzioni su Hong Kong, Trump tira dritto e conferma ai giornalisti l’imminente entrata in vigore delle tariffe: “Sono confermate. Anzi, a causa di quanto sto facendo avanti in ambito commerciale – ha detto il tycoon – a Hong Kong si sta mantenendo la calma”. Nonostante non vi siano certezze di quanto affermato da Trump, cioè che la “calma” di Hong Kong sia collegata alla mossa presidenziale dei dazi, pare che i negoziatori cinesi siano pronti a concludere un accordo. Trump lo ha ripetuto spesso: Pechino vuole sedersi a un tavolo e trattare. Dalla Casa Bianca filtra un certo scetticismo: alcuni funzionari non sono in grado di fornire dettagli ulteriori sui negoziati, né di confermare o smentire quanto sostenuto con insistenza dal presidente americano. In ogni caso, a partire da domani, primo settembre, scatterà sulla Cina la nuova mannaia preparata dagli Stati Uniti: il 10% su 300 miliardi di dollari di merci cinesi. La Cina ha ribattuto applicando tariffe su 75 miliardi di beni prodotti negli Usa, provocando la contro risposta di Trump, prevista per ottobre: aumento al 15% e 30% su 250 miliardi di dollari di merce.
Usare Hong Kong come merce di scambio
Il comportamento della Cina, desiderosa di voler risolvere la disputa commerciale con gli Stati Uniti, non deve essere confuso con una presunta debolezza di Pechino. Il Dragone, secondo alcuni analisti, avrebbe intenzione di sciogliere i nodi nella sua agenda il più in fretta possibile non tanto perché impaurito dal pugno duro di Trump, ma perché desideroso di salvare la faccia in vista dei prossimi, importanti, appuntamenti. Il primo di ottobre la Cina celebrerà infatti il 70° anniversario della fondazione del paese, e i vertici del Partito vogliono arrivare all’appuntamento privi di ogni fardello che potrebbero minare la loro autorità di fronte al popolo. Secondo altri esperti, Hong Kong sarebbe invece una sorta di manna dal cielo per la Cina: le proteste scoppiate nell’ex colonia britannica potrebbero essere utilizzate da Pechino come merce di scambio con Washington. Nel dettaglio: i cinesi eviterebbero spargimenti di sangue e repressioni dei giovani manifestanti in cambio di un buon accordo commerciale con gli Stati Uniti. È una strategia subdola, ma potrebbe funzionare. Trump, nelle scorse ore e dopo l’arresto delle autorità hongkonghesi di alcuni attivisti, aveva esortato la Cina di agire con umanità.