Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:38 am

???

È vero o falso che le tariffe dei taxi italiani si spiegano con i maggiori costi?
Paolo Manasse
11 Marzo 2017

http://www.econopoly.ilsole24ore.com/20 ... iori-costi

Finalmente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato una sollecitazione alle Camere perché provvedano a rimuovere i più evidenti ostacoli alla concorrenza del settore dei taxi.

È almeno dal lontano 2006, quando le dure proteste dei tassisti romani contro il sindaco Veltroni bloccarono i timidi tentativi di liberalizzare i trasporti locali dei governi di centro-sinistra, che le vicende dei taxi costituiscono la cartina tornasole di governi deboli e ostaggio degli interessi particolari. Allora toccò al professor Giavazzi della Università Bocconi venire additato come il nemico pubblico numero uno della categoria per le opinioni espresse sul Corriere. Farmacisti, notai, avvocati, commercialisti, giornalisti, geometri, agenti di cambio, periti e tecnici di ogni genere: il numero di ordini professionali presenti nel nostro paese (se ne conterebbero 28 ) non ha riscontro nel mondo. E ancora oggi la sindaca Raggi, come nel 2008 il sindaco Alemanno, si schiera con la corporazione dei tassisti, coprendo la ricerca del consenso con i soliti argomenti contro “le liberalizzazioni” e “le multinazionali”.

In due precedenti articoli ho presentato alcuni fatti stilizzati sulle tarifffe dei taxi nel confronto internazionale, utilizzando diverse fonti e metodologie. Ho cercato di capire se fosse statisticamente fondata la percezione di chi viaggia o ha vissuto all’estero: che in Italia i taxi siano parecchio più costosi che in altri paesi. Nel primo articolo i dati di UBS del 2015, relativi alle tariffe dei taxi di 71 città dei paesi industrializzati mostrano che Milano e Roma sono al 54mo e 64mo posto delle città con tariffe più care in valore assoluto e al 60mo e 68mo posto quando si guarda alla tariffa del taxi rapportato ad una corsa sui mezzi pubblici (questi. in quanto tali sono sussidiati nella quasi totalità dei paesi)

Nel secondo articolo ho analizzato dati relativi a 128 città dei paesi avanzati, ricavati dal sito web numbeo.com . Questi ci dicono che quando le tariffe dei taxi sono aggiustate in modo da tener conto del diverso costo della vita nelle varie città, la posizione di Milano migliora, risultando al 33mo posto su 128 delle città più care (tariffa uguale al 80% di quella media), mentre quella di Roma addirittura peggiora (109mo posto) risultando più cara del 30% rispetto alla media.

Recentemente, in risposta a questi dati, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA) ha sostenuto che le maggiori tariffe italiane vadano attribuite ai maggiori costi che gravano sui tassisti (per gasolio, pressione tributaria, assicurazione auto, prezzo acquisto dell’auto). Dunque esse non andrebbero imputate ad alte barriere all’entrata che, limitando il numero di licenze, impediscono la concorrenza e alzano il prezzo delle corse. A sostegno di questa tesi, l’ Associazione produce ben 5 (!) osservazioni (Francia, Spagna, Germania, Italia e “Area Euro”), un campione statistico veramente poco significativo, per usare un eufemismo.

In questo articolo sottopongo a verifica empirica la seguente questione: quanto (eventuali) maggiori costi sostenuti dai tassisti italiani rispetto ai colleghi di altri paesi giustificano le (eventuali) tariffe più elevate?

Per rispondere ho raccolto i dati su alcune tra le variabile che verosimilmente influiscono sui costi di gestione dei taxi per 240 città del mondo osservate nel 2017 : un indice del costo della vita; un indice di congestione del traffico cittadino, che rallenta la corsa del taxi ne aumenta il costo finale; il prezzo in euro di un litro di benzina; il prezzo in euro di una corsa e quello di un abbonamento mensile al mezzo di trasporto pubblico, il mezzo di trasporto “più sostituibile” al taxi. Infine, ho tenuto conto del fatto che, per l’effetto Balassa-Samuelson discusso nel mio primo articolo, le tariffe nei paesi non industrializzati sono verosimilmente molto inferiori a quelle dei paesi industriali, anche tenendo conto del minor costo della vita.

Ho calcolato la tariffa del taxi in due modi diversi, per controllare che i risultati non dipendano dalla definizione adottata. La prima, la mia preferita, è data dalla somma di tre componenti: il costo iniziale (taxi start), il costo di una corsa di 5km ed il costo di 10 minuti di attesa. Questo perché nei diversi paesi e città le tariffe sono calcolate in modo diverso a seconda della lunghezza e/o della durata del percorso. Il secondo modo somma solo i primi due addendi, senza considerare il costo di attesa.

L’analisi (regressione su dati sezionali) permette di attribuire le differenze osservate tra le tariffe dei taxi nelle diverse città del mondo alle diverse condizioni di traffico, prezzo della benzina, costo della vita, prezzo dei mezzi pubblici, e al fatto di operare in un paese avanzato o in via di sviluppo. Questi elementi risultano molto significativi e congiuntamente riescono a spiegare oltre l’83 per cento della variabilità delle tariffe tra le città del campione. Questo fatto è importante perché implica che altre variabili potenzialmente rilevanti, quali il costo delle polizze e la pressione fiscale (quella effettiva però, che tenga conto dell’evasione, e non quella nominale considerata dalla CGIA) giocano un ruolo secondario, che potrebbe al massimo arrivare a spiegare il 17 per cento della variabilità osservata tra le città.

L’analisi permette di rispondere alla seguente domanda: se le condizioni di mercato fossero uguali nelle diverse città considerate e dunque i tassisti applicassero lo stesso “mark-up” dei prezzi sui costi, quali tariffe avremmo nelle diverse città? Qualora le tariffe effettivamente osservate fossero più alte di queste tariffe “previste”, cioè calcolate sulla base di un “ricarico medio” sui costi, allora vorrebbe dire che i tassisti di quella città hanno margini di ricarico maggiori rispetto alla media del campione , e che quindi la concorrenza è minore. Viceversa, se in una città la tariffa osservata fosse inferiore a quella “prevista” sulla base dei costi, allora vorrebbe dire che in quella città il margine di guadagno è inferiore, e la concorrenza maggiore, rispetto alla media.

La figura sottostante utilizza la definizione di costo di una corsa che include anche il costo di attesa. Ciascun puntino rappresenta una città. Sull’asse delle ascisse si misura la tariffa prevista sulla base dei costi, mentre in ordinata ho riportato la tariffa effettivamente osservata nella città. Se le città (i puntini) si trovano al di sopra della retta bisettrice, i tassisti di quelle città applicano un ricarico maggiore della media e la concorrenza è più bassa. Viceversa, i punti sotto la bisettrice rappresentano città con “mark-up” inferiore e maggiore concorrenza rispetto alla media. A conferma delle precedenti analisi, tutte le città italiane del campione (Roma, Milano, Torino e Trieste) si trovano sopra la retta bisettrice.
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Figura 1: Tariffe previste in base ai costi e tariffe osservate. Fonte: elaborazioni dell’autore su dati numbeo.com

Ma qual è l’ordine di grandezza di questo “eccesso di ricarico sui costi”? È parecchio alto, troppo alto per essere attribuibile a variabili non considerate nell’analisi. La prima colonna della Tabella 1 riporta il rapporto tra tariffe osservate e quelle previste sulla base dei costi, quando la tariffa includa – o meno il costo di attesa. La seconda colonna ripete il calcolo utillizzando una tecnica di stima che dà un minor peso alle osservazioni che si discostano eccessivamente dalle altre (correggendo per i cosiddetti outliers).Queste ultime stime hanno il vantaggio di eliminare l’effetto sui risultati dei casi “anomali”. A seconda della definizione di tariffa o del metodo di stima, si ottiene che taxi romani applicano un extra-margine sui costi che supera quello medio di una percentuale che oscilla tra il 26 ed il 50 per cento, quelli milanesi tra il 14 ed il 22 per cento, quelli di Torino tra il 26 ed il 35 per cento e quelli di Trieste tra il 7 ed il 10 per cento.
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Nota: la prima colonna riporta il rapporto tra tariffa osservata e tariffa stimata sulla base dei costi, quando si include (wait) oppore non si include (- no wait) il costo di 10 minuti di attesa, e quando le stime sono ottenute col metodo OLS. La seconda colonna mostra i risultati per lo stesso rapporto quando le stime sono ottenute con una correzione per la presenza di outliers

Nota: la prima colonna riporta il rapporto tra tariffa osservata e tariffa stimata sulla base dei costi, quando si include (wait) oppore non si include (- no wait) il costo di 10 minuti di attesa, e quando le stime sono ottenute col metodo OLS. La seconda colonna mostra i risultati per lo stesso rapporto quando le stime sono ottenute con una correzione per la presenza di outliers

Dunque quando si considerano i costi di gestione, appare ancora più evidente quello che le precedenti analisi, i diversi campioni di città, le diverse fonti statistiche e metodologie, mettono in luce: il mercato dei taxi italiano è molto meno concorrenziale che in altri paesi, e i tassisti applicano “ricarichi” sui costi considerevolmente maggiori di quelli esteri.

E d’altro canto il buon senso (e la teoria economica) aiuta: come potremmo mai spiegare il fatto che una licenza di taxi costi (in Italia!) oltre 100mila euro, se questa non garantisse un elevato “extra-profitto” negli anni di attività?

Le implicazioni di questa analisi sono importanti: i risultati suggeriscono che se le liberalizzazioni portassero la concorrenza ad un livello comparabile a quello internazionale, i margini di guadagno dei tassisti italiani, e dunque il valore delle licenze, cadrebbero di molto, in linea con le percentuali prima descritte. Il valore complessivo di questa perdita non finirebbe nel nulla, ma nelle tasche dei consumatori. Come insegna la teoria economica, vi sarebbero poi ulteriori benefici per tutti coloro che potendo mettersi alla guida di un’auto, troverebbero un lavoro ed un reddito. Possiamo discutere se sia o meno auspicabile che la fiscalità generale si faccia carico delle perdite dei tassisti. Ma, con buona pace delle associazioni dei taxi e dei loro sostenitori, non possiamo travisare la realtà e continuare a ripetere che “Tout va très bien, Madame la Marquise”.





“È vero o falso che i Taxi italiani siano tra i più cari e che liberalizzandoli scenderanno le tariffe?”

https://www.uritaxi.it/wpnew/vero-falso ... le-tariffe
https://www.uritaxi.it/wpnew/vero-falso ... ?print=pdf

Ancora una volta il Presidente Uritaxi Toscana #ClaudioGiudici ribatte colpo su colpo alle affermazioni del Prof. Manasse.
Ancora una volta l’assioma “liberalizzazione = più taxi = tariffe più basse” viene puntualmente demolito attraverso questo dettagliato documento del Presidente Giudici.

Il nostro invito che rivolgiamo a tutti i colleghi, è quello di divulgare il più possibile questo e tutta la serie di documenti che dimostrano l’infondatezza dei presunti benefici delle teorie liberiste in un settore PUBBLICO come il servizio taxi.

di: Claudio Giudici

Continuano le speculazioni contro i taxi italiani, ancora imperniate su due presunti assiomi (falsi, come si è già in parte dimostrato):
1) i taxi italiani sono cari;
2) la liberalizzazione del settore ne consentirebbe un abbassamento delle tariffe.
In assenza di minor pregiudizio, ci si accorgerebbe che i dati recenti di cui si è in possesso, smentiscono entrambi gli assiomi.

Come già spiegato, l’unica comparazione seria in materia è quella degli Automobil Club europei, Eurotest – sia per il metodo di rilevazione on road (non teorico) e ripetuto, sia per gli elementi di prezzo analizzati (spaziali, temporali, di supplemento), ed infine per ulteriori aspetti qualitativi a cui comunque in questa precisa sede non siamo interessati -, ma purtroppo è datata 2011.

...

Diversamente, raccolte dati open source – almeno per quanto riguarda il settore taxi – come quella di numbeo.com, sono assolutamente fuorvianti perché errate e approssimative (vedi qui: https:// http://www.uritaxi.it/wpnew/giudici-uri ... d-economia ).

Più affidabili dovrebbero invece essere i dati Ubs 2015, a cui lo stesso prof. Manasse aveva nel suo primo articolo fatto riferimento. Ma questi, se ben guardati, contraddicono sia gli assiomi ispiratori, sia le conclusioni delle sue tre analisi.

Infatti, come si evince dalla tabella sotto, i taxi italiani si collocano nella fascia medio-bassa di prezzo tra gli Stati dell’Europa occidentale, nonostante i dati Ubs siano drogati dall’inclusione della mancia nel prezzo finale pagato per il taxi; infatti essa, come si sa, se è una sorta di “obbligo consuetudinario” nei paesi di cultura anglosassone, è pressoché assente nei paesi di cultura mediterranea. In ogni caso, sia la ben più affidabile comparazione Eurotest, sia quella Ubs, smentiscono il primo assioma dell’analisi “Manasse”.

Ma è soprattutto in merito al secondo assioma, secondo cui la liberalizzazione del settore taxi porterebbe ad un abbassamento delle tariffe, che un intervento legislativo in tal senso produrrebbe risultati a dir poco drammatici. E questo, sia per gli operatori del settore ma ancor più per il consumatore. Infatti, Amsterdam, Stoccolma e Oslo, città dove il settore, in modi diversi è stato liberalizzato – con una clamorosa retromarcia in Olanda dopo lo scadimento post- liberalizzazione della qualità del servizio e la crescita dei prezzi – hanno tra le tariffe più alte d’Europa (dato confermato sia da Ubs 2015 che da Eurotest 2011).

A tal ultimo riguardo, c’è un’ampia narrativa in materia che, pur non conoscendosi l’opera dei fondatori del Sistema americano di economia politica che in tal senso molti elementi demistificatori offre, smaschera la mitologia liberista filo-imperiale (oggi potremmo dire filo-multinazionale) del funzionario della Compagnia britannica delle Indie Orientali, Adam Smith. Infatti, circa Oslo lo studio di Bankitalia “Occasional paper” n. 24 ci dice: “…dopo la deregolamentazione la locale autorità antitrust ha rilevato un aumento delle tariffe”. Nel manuale La regolazione del trasporto pubblico locale di Iaione, si dice a riguardo delle liberalizzazioni, che avrebbero comportato “un aumento sensibile dei prezzi a Phoenix, San Diego e Seattle” e si conclude dicendo: “…nel complesso, la qualità del servizio risulta peggiorata o non migliorata”.

...

Ma Stoccolma in particolare, rappresenta un caso di scuola emblematico della natura distruttiva delle liberalizzazioni. Il caso svedese, infatti, dopo la liberalizzazione radicale del settore, portò ad un tale svilimento della qualità e ad una tale crescita dei prezzi – perché per rendere sostenibile l’attività dei tanti taxi giunti sul mercato, con conseguente calo del numero delle corse giornaliere procapite, il prezzo delle singole corse crebbe proporzionalmente – che l’autorità pubblica fu costretta ad istituire improduttive forme di salario minimo per i tassisti, i cui costi hanno finito per gravare sulla contribuzione generale.

Ed il caso Uber, rischia davvero di rappresentare una clamorosa illusione ottica. Primariamente, un’app come Uber non è un’innovazione tecnologica sostanziale per il settore, poiché non incide sulla capacità del vettore di trasporto di performare meglio, ma è solo un surrogato esteticamente più gradevole, fra l’altro in possesso dei taxi italiani delle principali città già da prima della fondazione della multinazionale americana (si pensi ad itTaxi presente in oltre cinquanta città italiane, o ad AppTaxi presente in una quindicina di città italiane, o ad altre ancora), proprio come l’sms lo era della chiamata vocale. Non sta qui, infatti, l’appeal consumeristico dell’app americana, ma sul livello dello sfruttamento del lavoro.

La multinazionale, infatti, opera sistematicamente sotto costo e in posizione di dumping, così da poter mettere fuori mercato i concorrenti taxi, in quanto gravati da tutta una serie di regole diseconomiche a tutela dell’utenza (primariamente tariffari e prestazionali). Secondo quanto riportato recentemente anche da Econopoly (http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/02/23/il- vero-obiettivo-di-uber-creare-un-monopolio/), la corporation opera talmente sotto costo da far pagare alla propria clientela soltanto il 41% del costo complessivo di trasporto. Non è un caso dunque – e non è facilmente stimabile per quanto ancora possa durare l’appeal di Uber per i venture capital, seppur confidando, come sostiene l’esperto di trasporti Hubert Horan, nella celere conquista del monopolio del settore da parte della loro creatura – che Uber dopo sette anni di operatività registri 4miliardi di dollari di perdite. Ciò rappresenta un costo sia per la sostenibilità economica aziendale che per i lavoratori sottopagati (5,88 sterline orarie lorde per i driver Uber di Londra, come ricostruito dal prof. Mostacci della Università Bocconi).

Concludendo, come ben sanno i fruitori abituali di taxi, il vero modo per non spendere troppo, è un efficiente sistema di viabilità, fatto di preferenziali per i mezzi pubblici – è troppo chiedere posteggi e metropolitane in uno Stato che consente alle poche aziende pubbliche superstiti di spostare la propria sede fiscale nei paradisi fiscali? Forse sì… – che dunque aumentino il tasso tecnologico dell’infrastruttura di base su cui essi insistono, liberandoli dalla costante trappola del traffico che allunga il tempo di espletamento della corsa. E’ questa la vera innovazione tecnologica, e non un’app di una multinazionale che laddove manchi la rete 3G non prende, a cospetto di centrali radiotaxi dotate delle più disparate e innovative tecnologie di chiamata e distribuzione delle corse (gprs digitale, app, sms, Whatsapp, ecc.). E’ dunque sul mai citato, da parte degli “innovatori”, fronte infrastrutturale che si gioca la vera partita dell’efficienza del servizio taxi italiano, e non su patinate e mistificatorie operazioni comunicative volte ad aprire al predaggio delle multinazionali straniere anche questo settore oggi dominato dalla piccola imprenditoria italiana, associata nelle costituzionalmente tutelate e promosse cooperative.

Claudio Giudici

Presidente Uritaxi Toscana



“No al mercato selvaggio”. A sorpresa gli italiani danno ragione ai tassisti
Sette su dieci appoggiano la protesta contro Uber
Andrea Malaguti
2017/02/25

http://www.lastampa.it/2017/02/25/itali ... agina.html

Nonostante una settimana di proteste selvagge, nonostante le bombe carta di Roma, i blocchi del traffico, i disagi per i cortei e le file infinite negli aeroporti e nelle stazioni, gli italiani si schierano coi tassisti. Il 71% degli abitanti di Roma, Milano e Torino, le tre città più toccate dagli scioperi dei giorni scorsi, considerano infatti «giusta» la loro protesta. E solo il 24% è contro.

I dati del sondaggio realizzato dall’istituto Piepoli per La Stampa certamente sorprendono. Perché ribaltano completamente la percezione che si poteva avere dell’intera vicenda. Non solo da parte dei normali cittadini ma anche tra gli stessi protagonisti di questa vertenza: molti di loro, infatti, avevano definito «dannoso e controproducente» il fermo improvviso. Solo a Roma, dove il blocco ha creato più problemi, la quota dei favorevoli scende al 62% (con un 32% che considera «non giusta» la protesta) ma a Torino si tocca il 74% e a Milano il 76%. Ed anche la mediazione del governo ottiene un consenso molto ampio: l’80% la approva (a Milano addirittura il 93%) e solo l’11% non la condivide (con un picco del 23% tra i torinesi ed un minimo del 2% sotto la Madonnina).

Scorrendo i dati dell’indagine tutto questo, in parte, forse si spiega col fatto che i disagi hanno interessato una fetta del campione abbastanza contenuta che oscilla tra il 19 e del 24%. Ma questi dati, raccolti mercoledì, il giorno dopo la fine dell’ostilità, ci dicono che quella dei tassisti forse non è più tanto percepita come una delle tante caste che paralizzano (letteralmente) il Paese, la solita lobby che difende in ogni modo i propri privilegi, ma è diventata una categoria di lavoratori in difficoltà come tante altre. Con cui gli italiani, a loro volta squassati dal vento e dalle regole spietate della globalizzazione, oggi sentono di dover essere solidali.

Le rate del taxi ancora da pagare, o la licenza presa a peso d’oro e che ora vale la metà rispetto agli anni passati, non sono molto diverse dal mutuo che tanti italiani fanno fatica a onorare per una casa che a sua volta oggi vale molto meno di quando la si è acquistata. E se un taxista oggi dichiara un reddito che non arriva a 15 mila euro non è più un evasore come si sarebbe detto sino ieri, ma forse solamente uno dei tanti piccoli imprenditori che fatica ad arrivare a fine mese. E che ora, come se non bastasse, deve pure vedersela con lo strapotere delle multinazionali. Nel suo caso con un «mostro» come Uber e lo sciame di noleggiatori, i famigerati Ncc, che sottraggono loro i clienti invadendo le città anche quando non potrebbero. Uber sta ai tassisti come Amazon sta alle librerie, Airbnb alle pensioncine, i megaoutlet ai piccoli negozi dei centri storici, Youtube alle videoteche e le tante applicazioni web ai vecchi negozi di dischi. Ci sarà anche un nuovo che avanza ma il risultato finale è che ci sono tanti che in parallelo sono costretti a chiudere. E poco importa se Uber, come tante altre applicazioni, può farci risparmiare, o se ci fa viaggiare su auto più nuove e più belle consentendoci di sfruttare tutti i vantaggi della concorrenza. Tant’è che, dovendo scegliere, solo il 23% propone di liberalizzare il settore senza fare distinzioni, mentre la maggioranza dei cittadini al governo chiede innanzitutto di tutelare i tassisti (48% di media, 56% a Roma), mentre il 12% arriva addirittura a proporre di escludere Uber. Anche in questo caso una sproporzione schiacciante.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:39 am

Poi sulla questione vi è un'altro aspetto da considerare e non di poco conto, la licenza dei tassisti il cui costo-valore equivale ad un impegno-titolo pubblico, un diritto di proprietà, che corrisponde in parte al TFR dei lavoratori dipendenti, che se espropriato (con una nuova legge da parte dello stato o legislazione pubblica che modifica l'ordinamento dei trasporti di persone per adeguarlo alla modernità), richiede di essere indennizzato-risarcito pienamente al valore attuale e se la media del costo-investimento della licenza è intorno ai 150mila euro e i tassisti sono 40mila, la comunità e lo stato devono farsi carico dell'esborso di almeno 6miliardi di euro.
A ciò andrebbe aggiunta una indennità di lavoro corrispondente alla cassa integrazione, mobilità, pre pensionamento a seconda dei casi come è stato ed e è per tutti i lavoratori dipendenti che si sono trovati e che si trovano a perdere il lavoro a perdere il lavoro.



???

ECCO L’INTERVENTO DI ALBERTO MINGARDI*
Uber, lo studioso: “Cambiamento inarrestabile”. Ma il sindacalista: “Lo Stato stabilisca le regole”
marco bresolin

http://www.lastampa.it/2014/11/12/econo ... agina.html

Fra regole del ventesimo secolo, e tecnologia del ventunesimo, può svilupparsi una certa tensione. Il caso di Uber è un esempio fra tanti. Una serie di innovazioni ormai di uso comune (servizi di geolocalizzazione, smartphone, “virtualizzazione” dei sistemi di pagamento) rende obsolete le modalità tradizionali del trasporto pubblico non di linea.

Una banalità: ovunque, i taxi sono chiaramente riconoscibili (macchine bianche, gialle, black cab come a Londra). Il colore della carrozzeria segnala al cliente che quella vettura può portarlo dove desidera, pagando s’intende. Con UberPOP, arrivata anche a Torino, quella disponibilità ci viene segnalata attraverso una App. Non c’è più bisogno di avere depositi in cui tante automobili, tutte uguali l’una all’altra, aspettano il cliente interessato. Non c’è nemmeno bisogno che chi le guida decida di fare soltanto quel mestiere. Chiunque, quale che sia il colore della sua macchina, può offrire per una frazione della giornata il medesimo servizio, sicuro che i potenziali clienti saranno informati della sua esistenza.

Probabilmente anche in passato alcune persone, senza essere tassisti di professione, sarebbero state disponibili ad offrire “passaggi a pagamento”. Oggi tanto Uber quanto BlaBlaCar costruiscono attorno a questa disponibilità delle community di driver, che riescono ad interloquire con altre community di passeggeri e a intercettarne la domanda.

Non c’è da stupirsi, se il legislatore non ha immaginato una realtà di questo tipo: era inimmaginabile fino a pochi anni fa. Ciò non significa, però, che non sia necessario prenderne atto. Non è una situazione facile. Lo Stato in generale, i Comuni in particolare, hanno fatto una promessa esplicita a chi ha acquistato licenza di taxi: la promessa che quell’acquisto valeva a limitarne la concorrenza. Col senno di poi, una liberalizzazione del comparto (ogni tentativo in merito è andato puntualmente fallito, per la strenua opposizione della categoria) avrebbe forse preparato il terreno a un mutamento tanto radicale, ma non avrebbe cambiato i termini della questione. Il cambiamento appare inarrestabile perché è avvenuto sul terreno della tecnologia, non su quello delle regole.

È normale che Uber venga più o meno ovunque pesantemente contestata. La discrasia fra norme e tecnologia ne crea le condizioni, la legittima preoccupazione dei tassisti per il proprio futuro nutre la protesta. Ma proviamo a guardare alla questione dal punto di vista dell’eterno assente, in questi dibattiti: il consumatore. Il consumatore oggi ha a disposizione più possibilità di spostarsi in automobile in città (taxi, car sharing, Ncc, UberPop) di quante ne abbia mai avute. Persino l’idea dell’auto di proprietà potrebbe diventare qualcosa di eccentrico, per chi vive in un grande centro. Le abitudini si stanno evolvendo rapidamente, complice anche la crisi: sia perché si apprezzano costi più contenuti, sia perché la possibilità di fare l’ “autista a pagamento” per parte della giornata risulta molto appetibile a studenti e persone che si trovano ad essere senza lavoro.

C’è un problema di sicurezza, relativo ad affidabilità e professionalità degli autisti? Sicuramente, ma non si capisce perché regolamenti comunali non particolarmente stringenti, (tipicamente richiedono la patente di guida e il non avere riportato una o più condanne definitive a pene superiori ai due anni, assenza particolari controlli successivi) dovrebbero essere più efficaci dei rapidi e continui feedback ai quali Internet e social network ormai ci hanno abituato.

Non è detto che Uber esca vincitrice dalla battaglia con amministrazioni e regolatori di tutt’Europa. Ma una cosa è sicura: qualcuno continuerà ad offrire questo tipo di servizi, semplicemente perché ormai è possibile offrirli.

*Alberto Mingardi (direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni)




ECCO L’INTERVENTO DI NICOLA DI GIACOBBE
Nicola Di Giacobbe (segretario nazionale Unica, Unione italiana conducenti auto pubbliche, Filt-Cgil. Testo raccolto da Nadia Ferrigo)


Il problema non sta nel decidere se multare oppure no chi entra a far parte della piattaforma Uber, ma ristabilire la legalità nel Paese. La domanda è: a chi tocca vigilare? La società californiana è in Italia ormai dallo scorso anno, in tutto questo tempo dalle istituzioni sono arrivate solo parole, ora vogliamo i fatti. La competenza è del Ministero delle Finanze e dei Trasporti, che non devono intervenire su chi lavora per Uber, ma su Uber. Sanzioni e confische non servono, il problema nasce prima, quando gli si permette di assoldare gli autisti. Mi rivolgo al ministro Lupi a e ai sindaci: che sia Milano, Roma, Genova oppure Torino poco cambia. Non è serio affrontare la questione di volta in volta, città per città.

Non deve essere nemmeno raccontato come un problema che riguarda esclusivamente la categoria dei tassisti: anche i cittadini devono essere messi nelle condizioni di viaggiare nel pieno rispetto della legalità, senza infrangere il codice della strada. Uber opera al di fuori delle leggi: non si può sapere se il privato che si mette in strada per fare il tassista rispetta tutte le condizioni legali e fiscali. Le tariffe stabilite per il servizio pubblico non sono predisposte a casaccio, ma concordate, tenendo conto della geografia e dell’economia della città.

Non dimentichiamo che il tassista è tenuto a rispettare una serie di obblighi: deve accompagnare chiunque, deve sottostare non solo alle tariffe, ma anche alla turnazione comunale, pensata affinché il servizio sia garantito sempre, sabato, domenica e durante le festività. Quella di Uber è concorrenza sleale: non sono tenuti ad accompagnare chiunque gli faccia richiesta, ma si possono rifiutare. Con Uber non si può solo scegliere in quali momenti mettersi al volante e in quali no, ma anche quali zone della città servire e quali no. Ormai Uber è in più di duecento città nel mondo, ovunque i problemi sono gli stessi: il loro operato fa saltare per aria il sistema organizzato del trasporto pubblico.

Un altro aspetto che tengo a sottolineare, ed è per questo che auspico l’intervento del ministero delle Finanze, è quello del profitto. Un aspetto è che Uber non paga le tasse in Italia, l’altro riguarda chi si mette in macchina, che diventa un potenziale evasore fiscale. Uber si comporta come i caporali, che organizzano le squadre, a giornata, senza rispettare le leggi che ci siamo dati. Reclutare autisti alle loro condizioni altro non è che un’induzione a delinquere.

Nessuno è contrario alle nuove tecnologie, se queste possono aiutare a migliorare il servizio e ottimizzare i costi, ma non è questo il caso. A Roma per esempio ci sono sei centrali radio per i taxi, più un numero dell’amministrazione comunale, che sta per entrare in funzione. Le prime al tassista costano tra i 100 e i 200 euro al mese, il secondo circa 20 euro. Certo che ci si rivolge al più conveniente: se arriva un terzo soggetto che all’interno del servizio pubblico può far diminuire i costi e anche migliorare il servizio, allora ben venga Uber o chi per lui. Il problema non è la tecnologia, ma l’uso che se ne fa. Uber non porta innovazione, né lavoro, ma un’economia di facciata, che consente l’esercizio illegale di una professione tenuta a rispettare norme e regole concordate.




???

Lettera a un tassista (che odia Uber)
Guido Scorza
1 luglio 2015

http://www.chefuturo.it/2015/07/uber-taxi-lettera


"Diritto e tecnologia", senza la virgola, un unico tab, con il quale ho scelto di indicizzare la mia professione. Avvocato, giornalista, blogger, attivista dei diritti civiii online, socio fondatore di E-lex, Network di Studi legali specializzati in diritto delle nuove tecnologie, Presidente dell'Istituto per le politiche dell'innovazione e coordinatore di Open Media Coalition, la coalizione di associazioni della società civile italiana per la promozione e tutela della libertà di informazione.

Caro tassista, ti scrivo perché sono mesi che ci si confronta – e talvolta scontra – in modo indiretto, online ed off line, scrivendo e cinguettando via Twitter o a suon di carte bollate in Tribunale. Tu difendi – o credi di difendere – il tuo lavoro, il tuo futuro e quello della tua famiglia ed io difendo – o credo di difendere – il futuro, l’innovazione ed il progresso del nostro Paese.

Tu mi ricordi, ogni giorno, che Uber ed i suoi utenti sono fuori legge e ti rubano il lavoro ed io ti rispondo che le leggi non sono monoliti sempiterni ma “solo” regole che servono a garantire la civile convivenza tra i membri di una comunità – piccola o grande che sia – ed il bene comune. Il nostro è un confronto destinato a proseguire ancora a lungo perché entrambi sappiamo che ciascuno di noi continuerà a pensarla a modo suo anche se domani un Giudice accogliesse le mie tesi ed il giorno dopo, un altro, desse ragione a te. Non è questione – quella che così spesso ci vede contrapposti – che si possa risolvere in Tribunale perché non è questione che possa esser definita applicando ed interpretando leggi così tanto più vecchie del fenomeno che si ritrovano a governare. E questo sarà vero tanto che “vinca” tu, tanto che “vinca” io.

Se ci si limiterà a dire che un fenomeno nuovo è vietato solo perché le leggi di ieri non lo contemplano o, per la stessa ragione, che, invece, è lecito, solo perché non lo vietano, non avrà vinto nessuno di noi due ed avremo perso entrambi. L’incertezza del diritto resterà al suo posto ed ogni occasione sarà buona per far dire a me che in fondo ho ragione io o a te che non c’è dubbio che tu abbia torto.

Ti scrivo per provare a convincerti non che io ho ragione e tu torto, né che Uber sia lecito e non illecito come pensi tu anche perché – lascia che te lo scriva con grande franchezza – mentre noi siam qui ad accapigliarci sulla compatibilità di Uber rispetto alle nostre regole vecchie, da qualche parte, nel mondo, qualcuno ha già avuto un’idea che prima o poi rappresenterà per Uber esattamente ciò che Uber rappresenta per te: un abilitatore innovativo di fattori concorrenziali dei quali avresti volentieri fatto a meno.

Difficile dire se si tratterà delle macchine senza conducente che presto vedremo parcheggiare da sole nelle nostre città o di servizi di scooter-sharing che consentiranno a cittadini di ogni età di dare ed accettare passaggi in motorino spendendo una manciata di euro e, soprattutto, superando code ed ingorghi. Ma basta guardare indietro nella storia moderna dell’innovazione per scoprire che non c’è leader di mercato che nell’era di Internet e del digitale possa davvero dormire sonni tranquilli senza temere di essere superato, doppiato e spedito ai margini del mercato a tempo di record.

Ed allora perché anziché perder tempo, energie e serenità a discutere del contingente, di oggi, di domani o al massimo di dopodomani non ragioniamo assieme del futuro prossimo e di quello meno prossimo e delle regole che servono per governarlo? Sono convinto che, in questa prospettiva, le nostre posizioni su Uber e su quelli che verranno dopo Uber – che siano piccole startup tutte italiane o altre corporation americane – non sono così lontane come talvolta verrebbe da pensare a leggere certi scambi di cinguettii su twitter o a vedere le strade di mezza Francia messe a ferro e fuoco da alcuni tuoi colleghi d’oltralpe.

Credo che la parola magica per provare a convincerti di un affermazione che, probabilmente, sulle prime, ti farà storcere la bocca, sia “innovazione”, quella che – ne sono certo – amiamo entrambi e che, oggi, rappresenta l’unica reale chance per il nostro Paese di avere un futuro e, per noi, di lasciare ai nostri figli un Paese migliore di quello che ci hanno lasciato i nostri genitori o, almeno, non peggiore.

Nella tua macchina, oggi, c’è più tecnologia di quanta ce ne sia mai stata e grazie a quella tecnologia tu oggi lavori meglio, ti senti più sicuro e meno lontano da casa, nelle interminabili notti passate a trasportare sconosciuti lungo le strade delle nostre città.

Ti ricordi quanto era difficile portare un cliente a destinazione in una strada della quale non avevi mai sentito parlare prima che sul tuo cruscotto comparisse il navigatore satellitare e quante volte hai rischiato di andare a sbattere o passare con il rosso sfogliando quell’enorme stradario, con le pagine consunte, alla ricerca almeno di un’idea approssimativa su dove volesse andare il tuo passeggero?

Ti sei mai chiesto che fine hanno fatto o si avviano a fare gli editori degli stradari ed i tanti produttori ed editori di cartografia urbana ed extra-urbana a man mano che le mappe di Google e tanti altri sono entrate nel nostro quotidiano ed i Tom Tom sono diventati i protagonisti indiscussi dei cruscotti dei tassisti? Innovazione e tecnologia, digitale e satellitare, hanno reso la vita ed il lavoro più comodo per tanti di noi, sacrificando, naturalmente, i diritti e gli interessi di alcuni che hanno dovuto – non sempre con successo – re-inventarsi un lavoro o rassegnarsi al fatto che il presente aveva cancellato il passato in attesa di essere, a sua volta, travolto dal futuro.

E quante volte ti è capitato, ti capita o ti capiterà di programmare le tue vacanze, prenotare un treno, un aereo o una macchina a noleggio o, magari, affittare una casa al mare attraverso una delle tante app di prenotazioni online che si chiami Expedia, booking.com, volagratis o la tua preferita o, addirittura, Airbnb, la piccola startup diventata rapidamente un gigante che consente a chiunque di affittare a chiunque altro la propria casa?

Davvero non lo hai mai fatto? Davvero non lo lasci fare neppure a tua moglie, tuo marito o ai tuoi figli e davvero non la trovi una straordinaria rivoluzione nel nostro modo di vivere e di viaggiare ed un fattore abilitante una libertà che sin qui non avevamo mai avuto?

Eppure l’affermazione dei grandi portali delle prenotazioni online ha, innegabilmente, messo in crisi il pur florido mercato delle agenzie di viaggio ed è fuori di dubbio che Airbnb ed i suoi tanti emuli, rappresenti una spina nel fianco per piccoli e grandi albergatori perché, naturalmente, oggi, tu ed io, possiamo scegliere tra prenotare una stanza di albergo, spesso a cifre da capogiro o affittarci una casa intera, in riva al mare o addirittura su un albero, a prezzi stracciati perché il proprietario non l’affitta per vivere ma solo per abbattere i costi di gestione. E non dirmi che tu, davvero, non le trovi soluzioni delle quali faresti fatica a fare a meno, per tornare a dover fermare il taxi in doppia fila e scendere a prenotare le tue vacanze in agenzia.

E questo elenco potrebbe durare ancora a lungo, snodandosi, istante dopo istante, nel tuo quotidiano che, ormai, è intriso di innovazione e tecnologia proprio come il mio.

Hai mai pensato che probabilmente molte di queste innovazioni che oggi fanno parte integrante del nostro quotidiano non avrebbero mai visto la luce se ci si fosse limitati a sbarrare loro la strada, dicendo che erano contrarie ad una qualche vecchia legge a tutela di questo o quel centro di sacrosanti e legittimi interessi?

Sono convinto, per davvero, che quando scendi dal tuo taxi e ritorni a casa, anche tu, in fondo, ti renda conto che il nostro confronto, fino a quando riguarderà quello che dicono le leggi di ieri a proposito di un fenomeno di oggi e del suo domani è miope, sterile, nella migliore delle ipotesi inutile e, nella peggiore, addirittura dannoso per il nostro futuro. Ed allora cerchiamo assieme di individuare una posizione di equilibrio tra i nostri solo apparentemente contrapposti interessi e proponiamola al Governo perché la traduca in una norma di legge.

Progresso, futuro, innovazione, mercato, concorrenza, legalità, equità fiscale, sicurezza, correttezza, tutela dei consumatori e degli utenti sono i “tag” lungo i quali io vorrei che si snodasse uno sharing economy act del quale un Paese con l’ambizione ad essere moderno, civile e democratico non può, secondo me, più fare a meno. E i tuoi “tag” quali sono? Sono curioso di conoscerli.

Con stima e gratitudine per tutte le volte che mi hai portato a destinazione,

GUIDO SCORZA
Roma, 1 luglio 2015

P.S.

Scrivo in prima persona e scrivo a te ma, naturalmente, è solo un artificio retorico per invitare la tua categoria ad un dialogo costruttivo con le imprese della sharing economy ed i loro utenti. Quel che penso io personalmente e, probabilmente, quel che pensi tu, da solo, conta troppo poco.


Ora se tutte le attività produttive e di servizio per essere devono operare in quadro normativo-legislativo è ovvio che tra i valori generali che vanno salvaguardati sono le condizioni generali valide per tutti:
P.IVA. se poi si vuole modificare questo quadro per un interesse generale della comunità è giusto che i cittadini che ne verrebbero danneggiati siano risarciti, per cui ad esempio, nel caso dei tassisti questi dovrebbero essere risarciti del costo della licenza che loro hanno dovuto affrontare all'inizio della loro attività e che costituisce la buona uscita o TFR al termine della loro attività è giusto che la comunità si faccia carico di questo loro diritto che la nuova legge espropria e cancella.


Alberto Pento
Caro avvocato Scorza
lei, come attivista dei diritti civili, si è dimenticato del diritto civile relativo alla licenza dei tassisti e di altri diritti universali relativi al fatto che anche i tassiti sono lavoratori come tutti gli altri e che perdendo il lavoro hanno il diritto ad essere indennizzati ed assistiti.
Poi vorrei ricordarle come anche "la liberalizzazione" dovrebbe investire in pieno la sua categoria professionale eliminando anche l'ombra delle tariffe minime

http://nuvola.corriere.it/2016/03/24/av ... a-la-multa
e introducendo in taluni casi una forma di compenso in base ai risultati conseguiti, onde evitare spese inutili per cause inutili e già perse in partenza che non dovevano essere fatte, per lungaggini colpose e dolose dei processi, per negligenza e incuria, colpa professionale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:39 am

Taxi in sciopero, sindacati: “Basta, così’ regaliamo 8 milioni a Uber”. Ma nelle città è caos. Delrio: “Regolamentiamo”
Non si ferma la protesta dei tassisti, nonostante gli appelli delle associazioni: a Roma e Milano l'agitazione tocca il 5° giorno consecutivo e la protesta si estende a Napoli, mentre riprende anche a Torino. Martedì l'incontro con il ministro dei Trasporti: centinaia i conducenti attesi nella Capitale da tutta Italia: chiederanno il ritiro dal Milleproroghe dell'emendamento Lanzillotta
di F. Q. | 20 febbraio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... mo/3403052

Il sindacato chiede lo stop perché fa “danni irreparabili” alla categoria, ma i tassisti non ne vogliono sapere. Anzi: a Roma e Milano lo sciopero tocca il 5° giorno consecutivo e la protesta si estende anche a Napoli, con nuovi blocchi e disagi per cittadini e turisti, mentre a Torino riprende dopo uno stop iniziato giovedì. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio propone di “metterci a sedere e fare una regolamentazione seria”, ma la mobilitazione contro l’emendamento inserito nel Milleproroghe che secondo i conducenti è a favore di una app come Uber e dei noleggiatori con conducente non si arresta: in centinaia da tutta Italia si sono dati appuntamento per domani nella Capitale in concomitanza con l’inizio della discussione del testo alla Camera.

Per il quinto giorno consecutivo posteggi e stalli restano deserti, con i turisti a caccia di un taxi diventato ormai un miraggio a Roma come a Milano. Ora però i sindacati tirano il freno a mano: la protesta produce “danni enormi alla nostra categoria”, è l’appello lanciato da Loreno Bittarelli, presidente Uri (Unione radiotaxi italiani), e che sta regalando a Uber “quasi 8 milioni di euro”. E che nel capoluogo lombardo hanno portato all’ennesimo episodio di tensione: alcuni tassisti hanno lanciato uova contro un’auto Ncc, l’uomo alla guida ha reagito minacciandoli con una pistola giocattolo.

Pur restando “fermamente contrario all’emendamento inserito al Milleproporoghe”, Bittarelli mette in guardia sulle controindicazioni: moltissimi utenti, si legge in una nota, “sono stati costretti ad utilizzare gli Ncc ed hanno scaricato l’applicazione Uber, che noi diciamo di voler combattere e ai quali invece stiamo girando tutti i nostri incassi”. Cosa è andato storto? “Questa volta i tassisti non hanno seguito le nostre indicazioni, ma quelle di altri, che si propongono di rappresentare la categoria. Pertanto – ha concluso Bittarelli – la nostra onestà intellettuale ci impone di prendere atto di quanto avvenuto e fare un passo indietro, per dar modo ai tassisti di essere rappresentati da coloro ai quali si sono affidati in questi giorni”.

La richiesta delle sigle: riprendere il servizio almeno fino a dopo l’incontro con Delrio, previsto per martedì. A margine della presentazione del Polo Mercitalia alla stazione centrale di Milano è arrivata l’apertura del ministro: “Dobbiamo metterci a sedere – ha spiegato – per fare una regolamentazione finalmente seria che tolga provvisorietà all’attuale situazione”. Delrio ha sottolineato l’importanza dell’incontro di martedì e ha aggiunto: “C’è bisogno di garanzie, da un lato sui diritti dei cittadini e dell’altro anche sui diritti di chi ha investito nella propria azienda, che sono i tassisti”.

Saranno in migliaia martedì ad arrivare a Roma in concomitanza con l’incontro i sindacati del settore e il ministro Delrio, previsto per le prime ore del pomeriggio. Durante l’incontro i rappresentanti sindacali chiederanno al titolare di Infrastrutture e Trasporti il ritiro dell’emendamento Lanzillotta.

La tensione, intanto, aumenta giorno dopo giorno. La notte scorsa un conducente a noleggio è stato denunciato per minacce dopo aver puntato una pistola contro alcuni tassisti che gli avevano imbrattato l’auto di servizio con uova in piazza Luigi di Savoia, a Milano. E’ accaduto intorno alle 4, quando l’autista ha accompagnato un cliente in piazza. Secondo la ricostruzione dell’uomo, 47 anni, più volte nel corso della notte i tassisti avrebbero lanciato decine di uova contro la sua Mercedes, sporcando sia la carrozzeria che la tappezzeria interna. Dopo l’ennesimo episodio intimidatorio, è sceso dal mezzo estraendo una pistola che solo successivamente si è scoperto essere un’arma giocattolo e ha minacciato due tassisti, prima di rimettersi in marcia.

È solo l’ultimo episodio: negli ultimi giorni si sono verificati numerosi episodi di aggressioni nei confronti di conducenti Uber, presi di mira dai tassisti con lanci di uova e danneggiamenti ai veicoli.




Molto più che «rivolta dei taxi»: Uber e gli altri, il nuovo cannibalismo economico
Passo dopo passo si va verso l'abolizione dello Stato nazione. Veramente vogliamo questo? Siamo pronti come società ad un passo simile? Ed è veramente un balzo nel futuro?

http://m.diariodelweb.it/economia/artic ... 217_404526

ROMA - La rivolta dei tassisti, la chiamano. L’Italia è un paese stravagante: ogni giorno i telegiornali inondano le case dei poveri telespettatori denunciando malefatte di ogni genere. La protesta di una categoria che chiede null’altro che il rispetto della legalità è invece raccontata come un «ricatto» portato avanti da una piccola corporazione egoista.

Vale tutto
L’idea generale, anzi l’ideologia, che soggiace a questa storia è che tutti possano fare tutto, liberamente. Non ci si trova nemmeno più di fronte al tragico "vietato vietare" degli anni che furono, ma ad un nuovo e più potente concetto "vale tutto». L'estensione della libertà selvaggia, riconducibile a principi hobbesiani. In un tempo in cui il lavoro, per come lo si è conosciuto nel Novecento, esiste solo più dove regna la schiavitù semi salariata, cioè in Asia, l’unica cosa che si può fare sono lavoretti autonomi: c’è chi affitta la propria stanza e fa quindi l’albergatore, chi si mette in cucina e fa il ristoratore, chi prende la sua auto e fa il tassista e così via. Si chiama sharing economy, ovvero economia della condivisione. L’idea è nobile e nasce dall’esigenza di abbassare i costi del servizio per renderlo fruibile. Con un telefonino riesci ad avere qualsiasi bene immateriale ovunque, ad un prezzo molto più concorrenziale. Nel caso dei tassisti l’imputato globale si chiama Uber pop, ovvero un’applicazione inventata da alcuni ragazzi statunitensi, trasformata in breve tempo in una multinazionale che ha tra gli azionisti niente meno che Goldman Sachs.

Mercato contro mercato
I fautori di tale cambiamento sostengono che, semplicemente, sia stia creando un nuovo mercato. Ma è realmente così? Vale per Uber come per i noleggiatori, ovvero i due soggetti interessati dal decreto Milleproroghe che il governo fa languire da anni. Senza alcun dubbio il costo del servizio taxi è eccessivo: le tasse che vengono pagate dai tassisti, ad esempio, sono pari al 60% di quanto viene incassato. Su dieci euro il loro incasso è pari a quattro euro. Non è una situazione particolarmente vessatoria, dato che il lavoro salariato, nonché quello autonomo, subisce imposizioni di tal proporzione. Inoltre i tassisti, nonché ristoratori, albergatori etc, acquistano a caro prezzo le licenze: ovvero quello strumento che dovrebbe certificare la qualità del servizio.

Il nuovo cannibalismo economico
In realtà siamo di fronte a un processo di cannibalismo economico, molto simile a quello che ha distrutto l’industria tessile. Oggi abbiamo molti più vestiti a disposizione, ma il lavoro che questa produzione generava è stato spostato in luoghi dove il costo è infinitamente minore. Alcune zone d’Italia che per decenni, o secoli, hanno prosperato grazie alla produzione tessile (pensiamo al Biellese per esempio), oggi vivono grazie alla rendita generata in quegli anni. Quanto avviene nei tre servizi sopracitati è molto simile. Perché vi è una delocalizzazione in loco, ovvero, una concorrenzialità che tende al costo zero, il cui unico esito è quello di creare moltissimi posti che guadagnano poco o nulla.

La libera concorrenza se non è normata dallo Stato non funziona
La libera concorrenza se non è normata dallo Stato o implode, o fa gli interessi di gruppi dominanti. Nel caso di Uber chi guadagna realmente sono gli azionisti, mentre gli autisti, come testimoniato da quanto accade in California, lottano tra di loro al fine di strappare il prezzo più basso. In un contesto privo di regole quindi il plusvalore si genera per i rentier, oppure per nessuno. E’ vero che è un mercato in costante crescita, ma il margine di profitto si sta assottigliando sempre di più. La sharing economy oggi, negli Usa, rappresenta il 38% dei nuovi posti di lavoro. Non è qui il caso di ricordare l'enorme polarizzazione sociale di quel paese. In poche parole: i padroni di Uber sono miliardari, i driver si massacrano di lavoro per guadagnare pochi dollari.

Fine dello stato
Lo stato tende a sciogliersi. Ma quello che viene dopo, a ben vedere, non è il sol dell'avvenire. Anzi, l'utopia sta lentamente prendendo la forma della distopia. Il trucco che sta alla base di questi processi è molto semplice: si taglia fuori lo Stato, perché la tasse che si pagano, quando si pagano, nella sharing economy sono infinitamente inferiori. E’ necessario quindi essere almeno consapevoli delle proprie scelte. Un’economia basata sul primato dell’imprenditoria atomica, ovvero tutti contro tutti anche a livello individuale, determina la fine dello Stato per come l’abbiamo conosciuto. Ovvero niente più sanità gratuita, niente più pensioni, niente più servizi in generale. Non si può pensare di avere la sanità gratuita se non si pagano pià tasse. Ci vorrà un sistema sanitario privato, all'americana. Può piacere o non piacere ma così è. Si creerebbe quindi un altro mercato parallelo, quello privato dei servizi sanitari, magari anche quello basato sulla sharing.

Mors tua vita mea
Cosa significa tutto questo? Forse un giorno un chirurgo potrebbe operare a casa sua, o un insegnante creare una scuola da indipendente, e così via. Il campo è davvero infinito. Oppure un laureando in Medicina a prezzi bassissimi, a domicilio. Perché no? Oggi un singolo cittadini può fare il ristoratore a casa sua senza aver seguito alcun corso di formazione: fino a dieci anni fa sarebbe stato impensabile. Oppure puoi portare in giro sulla tua auto qualcuno anche se sei un pericolo pubblico. Di per sé, questa che viene venduta come una rivoluzione, non è una novità storica: è il modello economico e sociale vissuto fino all’avvento degli Stati nazione. Stiamo realmente cercando questo?

Il mondo che cambia
La vicenda dei tassisti quindi, le loro proteste organizzate e dure, nonché la strumentalizzazione che se ne fa, racconta molto più di quanto possa apparire. Mette in luce un regno a venire, che potrebbe non essere così paradisiaco. In una società dove io sono in guerra commerciale con il mio vicino di casa, dove non esiste null’altro che il lavoretto della sharing, da condividere vi è solo il tentativo di sopravvivere a scapito dell’altro. Gli Stati nazione furono ideati per inserire all'interno di un sol corpo le classi sociali: con mille difficoltà, mille ingiustizie, mille contrasti tutto questo è avvenuto. Oggi ci troviamo di fronte al mito dell’iper individualismo, portato addirittura a valore. Funziona molto bene nel breve periodo, ovvero quando ti accorgi che i sei euro che il tassista ti chiede per conto dello Stato ti rimangono in tasca.


Alberto Pento
Non è lo stato nazione la salvezza ma delle regole/valori improntate alla libertà, alla responsabilità, alla professionalità. al merito, al contributo sociale, al rispetto dei diritti di poter vivere di tutti, regole e valori validi per tutti e lo stato a controllo e garanzia;
uno stato che può essere anche continentale e federale suddiviso in tante comunità stato omogenee per storia, cultura, tradizioni e lingua che si facciano tra loro anche concorrenza,. con la loro indipendenza/autonomia.
Lo stato nazione otto-novecentesco ha fatto il suo tempo e i suiu danni, l'esperienza serva di lezione.
Libertà economica non significa libertà senza valori sociali e senza regole.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:40 am

Uber: registro app primo passo. Taxi, si tratta sullo sciopero
Alessia Tripodi
2017-03-21

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... m=facebook


Un registro per le app che collegano il cliente con il servizio auto «è una condizione necessaria, di trasparenza su cui siamo tutti d'accordo», ma non può che «essere un primo passo». Così il general manager di Uber, Carlo Tursi, al termine dell'incontro con il governo che si è svolto oggi al ministero dei Trasporti commenta una delle ipotesi in circolazione per il riordino del settore, contenuto in un decreto messo a punto dall'esecutivo. Il provvedimento - che fissa nuove regole per taxi, noleggio con conducente e app - sarebbe alle battute finali.

Ma il clima resta teso, con i sindacati delle auto bianche che hanno disertato l'invito al confronto con Uber e che confermano lo sciopero indetto per giovedì 23 marzo. Una protesta che il governo probabilmente tenterà di scongiurare domani: le sigle dei taxi sono state infatti convocate per un incontro al ministero al quale parteciperà anche il viceministro, Riccardo Nencini. E anche dal sindaco di Roma Virginia Raggi arriva un appello al «senso di responsabilità» dei tassisti romani.

Uber: «Da noi servizio accessibile, non solo per ricchi»
Per Uber l'obiettivo centrale resta quello di «liberalizzare il settore» ha detto il manager Tursi commentando la seconda proposta di cui si parla, quella relativa alla messa a punto di ambiti territoriali: per Uber «non fa la differenza - ha detto - quello che conta è non fissare un tetto alle autorizzazioni».Durante l'incontro al ministero «abbiamo avuto modo di raccontare la nostra posizione» ha continuato il manager, spiegando che «in Italia c'è un'occasione importante, si parla di riformare un settore che è normato da una legge di 25 anni fa. Regole obsolete». «Noi - aggiunge - mettiamo a disposizione un servizio accessibile, non solo per ricchi o per chi vive in grandi città».

Taxi: «Ci sentiamo presi in giro»
«Ancora una volta abbiamo l'impressione di vivere una situazione grottesca, nella quale ci sentiamo nuovamente presi in giro». Così scrivono una ventina di sigle sindacali dei taxi in una nota in cui commentano le notizie sui possibili contenuti del decreto di riordino del settore. «Dopo l'assenza totale di risposte alle nostre richieste - aggiungono - trapelano infatti informazioni relative alla costruzione di un possibile decreto attuativo che dovrebbe essere emanato a livello ministeriale, costruito sui principi contenuti nella bozza di legge delega presente nel Ddl concorrenza. Addirittura si rivendica che tale decreto ministeriale sia ispirato ai principi contenuti nella bozza originaria di legge delega, adducendo come eventuale giustificazione l'assenza di rimostranze sulla stessa da parte delle rappresentanze dei tassisti. Peccato che un qualsiasi decreto emanato a livello ministeriale, dovrebbe essere l'attuazione pratica di una norma già in vigore».

I taxi al Governo: «Mantenga gli impegni»
Per i sindacati «nel nostro caso, quindi, questo decreto dovrebbe dare attuazione alla legge 21 che già regolamenta il settore» e «costruirlo dunque sulle basi di una norma non ancora approvata, con l'evidente finalità di deregolamentare il nostro lavoro, conferma ulteriormente le ragioni alla base del nostro fermo nazionale» - concludono - «e la scarsa attenzione che il governo ha più volte manifestato nei confronti degli impegni assunti verso la nostra categoria».
In ogni caso i sindacati dicono ok all'incontro di domani al Mit, ma avvertono: «A noi non è pervenuta ancora nessuna bozza di decreto di riordino del settore» dice la Iuiltrasporti «e sarebbe istituzionalmente corretto ricevere tutta la
documentazione del caso prima del tavolo ministeriale, per non trovarci davanti la classica situazione in cui, drammaticamente,ci si sente dire di prendere o lasciare».
Duro il giudizio anche sull'incontro di oggi tra governo e Uber. «È irresponsabile e incomprensibile l'atteggiamento del governo che in una fase così delicata non trova di meglio da fare che ricevere chi agisce in maniera illegittima contribuendo a gettare benzina sul fuoco» dice Roberto Cacchione di Usb Taxi.

Raggi ai tassisti: «Appello alla responsabilità»
Sullo sciopero proclamato dai taxi per giovedì interviene anche il sindaco Raggi, che su Fb scrive: «I tassisti aspettano risposte dal governo che deve mantenere le sue promesse. Non smetterò mai di dirlo:le riforme non devono essere calate dall'alto. Comprendiamo la difficoltà della situazione e le loro ragioni ma la Capitale, in particolar modo in questi giorni in vista della celebrazione dei 60 anni dei Trattati di Roma, è sotto i riflettori del mondo e i tassisti sono i primi 'ambasciatori' della Capitale. Sono sicura che hanno a cuore la vita della nostra amata città». E aggiunge: «Il diritto allo sciopero è sacrosanto come lo sono anche i diritti dei cittadini. Lancio un appello al senso di responsabilità di tutti gli operatori affinché Roma non viva paralisi e i servizi minimi vengano garantiti».
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Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 8:00 am

Uber sotto accusa a Londra per aver evaso 20 milioni di sterline. L’economia dei lavoretti online sotto la lente del fisco britannico.
Un avvocato londinese chiama in causa l’azienda californiana per evasione. In Italia il Governo raggiunge un accordo provvisorio con i tassisti in rivolta.
di Flavio Fabbri 22 febbraio 2017

https://www.key4biz.it/uber-sotto-accus ... lia/182019

Giornata ad altissima tensione quella di ieri, con Uber protagonista in Italia per le proteste dei tassisti in piazza nel centro di Roma, contro il Milleproroghe e l’emendamento Lanzillotta, che a detta dei lavoratori del settore favoriva i tradizionali Ncc (noleggio auto con conducente), gli abusivi e la nuova categoria dei lavoratori autonomi di internet.

L’azienda californiana, fornitrice di un servizio di trasporto privato con conducente tramite un’applicazione mobile che mette in contatto passeggeri e autisti, proprio ieri è stata chiamata in causa anche a Londra da un avvocato fiscalista, Jolyon Maugham, con l’accusa di aver evaso 20 milioni di sterline di tasse nel 2015. L’azienda americana ha replicato subito che non si tratta affatto di evasione o elusione, perchè il modello di business è molto semplice e trasparente: “I nostri autisti sono dei lavoratori autonomi, sono loro che devono preoccuparsi di pagare l’Iva”.

La difesa è stata affidata direttamente a Jo Bertram, general manager di Uber in Gran Bretagna: “Chi utilizza il nostro servizio deve pagare le tasse come qualsiasi altro freelance del settore, ma noi siamo solo una piattaforma digitale che fa incontrare domanda e offerta, non forniamo un servizio di trasporto pubblico locale”.

Si tratta di 40 mila autisti self-employed come li definisce Uber, che lavorano in tutto il Regno Unito. Si tratta della nuova manovalanza dell’internet economy e della gig economy. Un esercito crescente di lavoratori senza diritti, che proprio a fine ottobre dell’anno scorso ha trovato posto sulle prime pagine dei giornali britannici grazie alla sentenza del Central London Employment Tribunal, che di fatto ha riconosciuto Uber come un datore di lavoro vero e proprio.

E questo ribalta completamente la posizione espressa da Bertram, perché significa che Uber impiega forza lavoro come qualsiasi altra impresa e che quindi deve riconoscere ai suoi 40 mila dipendenti dei diritti basilari (salario minimo, ferie pagate, malattia), pagando le tasse a fine anno.

Il tribunale londinese sentenziava chiaramente che trovata “ridicolo” immaginare Uber come una semplice piattaforma che connette in tempo reale 40 mila piccole imprese, evidenziando inoltre l’utilizzo di un linguaggio inappropriato nei contratti che dava l’impressione di “un’amministrazione creativa”.

Una questione di non poco conto che, unita alla denuncia dell’avvocato londinese relative all’accusa di evasione fiscale sul suolo britannico, apre di nuovo una riflessione urgente sull’impatto negativo che queste aziende hanno sul welfare stesso di un Paese, visto che si parla di diritti dei lavoratori, tasse, servizi, salari, pensioni.

In Italia la protesta dei tassisti per il momento è stata sospesa e con essa anche lo sciopero. Dopo una lunga trattativa tra il Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, e le 21 sigle sindacali del settore taxi, hanno trovato un’intesa di massima con due possibili decreti: uno per il riordino del settore e l’altro per un giro di vite più forte a danno dell’abusivismo. Il tavolo di confronto aperto ieri si chiderà entro un mese con i testi finali per un accordo definitivo tra Governo e rappresentanti dei tassisti.
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Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 8:29 pm

???

La neutralizzazione di Uber è il riscatto del protezionismo reazionario
scritto da Massimiliano Trovato il 08 Aprile 2017
http://www.econopoly.ilsole24ore.com/20 ... eazionario

Per un paese abituato a guardare gli altri dal fondo della classifiche internazionali, il provvedimento con cui il tribunale di Roma ha a tutti gli effetti neutralizzato la presenza di Uber nel mercato italiano – sospendendone anche il servizio professionale UberBlack, pochi giorni dopo che il tribunale di Torino aveva ribadito lo stop ai guidatori occasionali UberPop – rappresenta una rara occasione di riscatto. Peccato che la classifica in ballo in questo caso sia quella del protezionismo reazionario.

Secondo il magistrato decidente, le attività di Uber costituiscono una forma di concorrenza sleale ai danni delle auto pubbliche: e il sospetto è che, agli occhi di ampie fasce dell’opinione pubblica, la concorrenza sleale sia semplicemente quella efficace: la concorrenza, cioè, che offre ai consumatori servizi migliori a prezzi più bassi.
Ma l’articolo 2598 del codice civile attribuisce alla nozione di concorrenza sleale un significato tecnico ben preciso – la lesione di obblighi di buona fede, per esempio attraverso la denigrazione dei competitor o la bieca imitazione dei loro prodotti – che non sembra potersi ravvisare nelle condotte di Uber.

Analizzare in punta di diritto le controversie sollevate dalla rivoluzione di Uber non basta, tuttavia, a misurare la portata dei conflitti che l’avvento della società californiana ha catalizzato, in questo come in altri paesi. Da un lato, dobbiamo perdonare alla giurispridenza, in linea di principio imboiaccata dalla legge vigente, un certo margine di naturale conservatorismo; dall’altro, dobbiamo tenere in conto che le interpretazioni della magistratura s’innervano su un contesto sociale fortemente polarizzato. Non è casuale che la decisione di Roma giunga a valle del recente e torrido scambio d’idee, se così vogliamo chiamarlo, tra tassisti e governo.

In altre parole, la scarsa lungimiranza dei giudici sin qui investiti del destino di Uber, seppur non giustificabile, appare comunque comprensibile alla luce della latitanza del legislatore, tuttora incapace di tradurre nel linguaggio del ventunesimo secolo la disciplina sul trasporto locale non di linea, elaborata in una stagione in cui internet era un club per iniziati e i telefoni cellulari avevano la portabilità e la grazia di una foratina.

Si tratta di un confronto eminentemente politico tra due opposte visioni del mondo: una che vorrebbe sterilizzare ogni possibilità d’innovazione nei settori regolati; e una che riconosce che solo attraverso l’esempio concretamente prestato dagli innovatori possiamo innescare i meccanismi di revisione delle normative esistenti, testandone costantemente la tenuta. Che l’innovazione travolga interessi costituiti è una conseguenza sgradevole ma ineliminabile del processo.

Questa è la domanda fondamentale che ci dobbiamo porre: è lecito che, per tutelare l’affidamento più o meno legittimo dei tassisti, si perpetuino quelle che – contro le incredibili affermazioni in materia del giudice Landi – sono palesi rendite monopolistiche che danneggiano il mercato e i consumatori? Si tratta, peraltro, di un quesito che lascia aperta l’eventualità di compensazioni a favore dei tassisti. Grazie a Uber sappiamo che il modello regolamentare impiegato sin qui non ha più ragion d’essere. La barca dei taxi per come li abbiamo conosciuti è destinata ad andare a fondo: potremo forse offrire loro una scialuppa, ma non è affogando Uber che la potremo tenere a galla.


Che orrore questo giornale. Che manipolatore, che bugiardo!
Uber fa concorrenza sleale, abbassando i prezzi con il caporalato, violando i diritti dei lavoratori.
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Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » mer apr 12, 2017 11:25 am

Il car sharing è la prova che i veri prepotenti non sono i tassisti
scritto da Econopoly il 12 Aprile 2017
Pubblichiamo un post di Claudio Giudici, presidente di Uritaxi Toscana

http://www.econopoly.ilsole24ore.com/20 ... i-tassisti

A differenza di quello che si può pensare, il settore taxi italiano è dominato da grande razionalità, sia nella normativa che nell’azione rivendicativa. Non può essere un caso che, diversamente dai propri cugini nel resto del mondo, i tassisti italiani siano coloro che meglio sono riusciti nel tempo a ottenere il rispetto dei propri diritti. Diritti, regole, non privilegi come alcuni raccontano! Regole del gioco, fra l’altro, che possono ovviamente essere cambiate, ma senza mai introdurre meccanismi discriminatori a favore di alcuni – solitamente un paio di grosse multinazionali -, ed in sfavore di altri – solitamente una moltitudine di portatori di piccoli interessi -.

Certe ricostruzioni, quanto meno ardite, finiscono per far passare come un privilegio l’acquisto di una onerosa licenza – finanche arrivando a raccontarlo come illecito, nonostante l’imposizione fiscale a cui è sottoposto l’atto di trasferimento della licenza… – con tutte le diseconomie (relative agli obblighi a tutela dell’utenza) che si porta dietro, e come le vittime, coloro che, da un giorno all’altro, o con titoli autorizzativi presi a titolo gratuito presso qualche comune sconosciuto, o addirittura senza alcun titolo autorizzativo, entrerebbero nel medesimo mercato, ma senza il gravame di tutti quegli obblighi diseconomici gravanti sui tassisti. Roba, da far tornare alla mente, un celebre aforisma di Malcolm X…

Quello dei taxi, infatti, è un settore gravato da tutta una serie di diseconomie, dalle condizioni di ingaggio (titoli professionali, licenza, controlli annuali, ecc.), a quelle funzionali (tariffa amministrata, obbligo prestazionale, obbligo di copertura di servizio), che il legislatore pretende, al fine di garantire il diritto alla mobilità dell’utente (come asset complementare ed integrativo al trasporto pubblico di linea), e che trovano come loro controbilanciamento economico nel numero chiuso delle licenze.

Alla luce di tutto questo, non è un caso che i tassisti italiani non abbiano mai protestato contro l’esplodere del car sharing, semplicemente perché non c’è quella violazione delle regole del gioco in cui essi sono obbligati ad operare. Per sintesi, il car sharing è altra cosa! Ciò non vuol dire che i tassisti non sappiano quale appesantimento della propria sostenibilità economica derivi dal car sharing. Sicuramente, il car sharing, nell’immediato crea un fattore di concorrenzialità al settore taxi, ma in prospettiva? Il possesso dell’auto è uno dei più costosi che ci si possa permettere, in quanto l’utilizzo effettivo del mezzo è del 3% sul ciclo di vita complessivo del mezzo.

Durante il secondo Master in Eco-mobility management della Luiss Business School, furono presentate da Car2Go le prospettive e le dinamiche del car sharing in Italia. Nel corso della presentazione fu sottolineato quello che poteva essere l’impatto sul settore taxi. Si ipotizzò una riduzione del lavoro per i tassisti dell’1% nel breve periodo, ma un aumento dell’8% nel medio periodo.

Ammettiamo pure che i dati fossero edulcorati per troncare sul nascere eventuali resistenze che i tassisti italiani avrebbero potuto opporre all’ingresso del brand di Daimler AG, ma in generale ciò che si può fare col car sharing non è ciò che si può fare col taxi. Quest’ultimo, ti offre una serie di plus che il primo non ti dà. Per comprensione immediata: il car sharing sta alla locazione turistica come il taxi sta all’hotel. E se gli albergatori hanno provato a stoppare il mercato della locazione turistica – sopratutto dalla nascita di Airbnb – i tassisti non hanno mai provato a stoppare il car sharing. Perché?

Semplicemente perché non ve ne sono argomentazioni di senso, se non di natura smaccatamente economica. Ma questo sì che sarebbe luddismo, e non la legittima resistenza a chi come Uber pretende di operare con regole di favore nello stesso mercato! E alla lunga, appare più che verosimile il fatto che per effetto “sgocciolamento” – una sorta di trickle-down orizzontale, invece che verticale -, in un contesto di sempre minori possibilità di possesso dell’auto da parte della cittadinanza, proprio grazie al car sharing, i tassisti stessi possano lavorare di più.

E così, strano ma vero, i tassisti italiani non sono mai stati contro l’innovazione tecnologica, anzi, vi hanno sempre fatto ricorso dotandosi delle più moderne tecnologie in merito ai sistemi di chiamata, e l’hanno sempre richiesta al gestore pubblico in materia di innovazione tecnologica delle infrastrutture stradali. A Firenze, per esempio, i tassisti sostenevano la ben più tecnologicamente avanzata metropolitana, rispetto a quel sottoprodotto-ossimoro che è la metropolitana di superficie (la tanto discussa tramvia).

Perciò il dissenso nei confronti di Uber non è affatto ripugnanza verso l’innovazione tecnologica – anche perché è una piattaforma tecnologica che si sostanzia in una semplice app, cosa di cui i tassisti erano già in possesso prima dello sbarco della multinazionale americana in Italia, con la fondamentale differenza però di non aggirare attraverso le proprie app la normativa di settore – ma verso l’oggi incredibilmente dimenticato principio base delle “stesse regole in stesso mercato”.

I tassisti, increduli riguardo alle analisi da parte dei più svariati opinion maker, stanno semplicemente chiedendo da anni, sia verso il mondo del noleggio con conducente, di Uber o MyTaxi, quello che la Danimarca, dando prova di una sovranità nazionale come oramai è raro vedere, ha sancito una volta per tutte: per fare il taxi si devono seguire certe regole; seguite queste, tutti possono fare i tassisti; al di là di queste, nessuno può fare il tassista.

Ed ecco che Uber ha deciso di chiudere la propria attività a partire dal prossimo 18 aprile. Al di là delle ricostruzioni strumentali contro i tassisti, e patinate a favore della multinazionale americana, è l’ennesima prova – almeno per chi conosce il settore – che i veri prepotenti, contro un mercato con parità di regole, sono quelle multinazionali che vorrebbero poter fare mobilità con le regole che esse vogliono, al di là di quelle previste dal legislatore a tutela dell’utenza, del mercato, degli operatori.

L’alternativa a tutto ciò, che osservatori e sopratutto la politica, devono avere il coraggio di sposare – senza prova di favore alcuna, ed anzi con moltissime prove di sfavore soprattutto per quanto concerne questo settore – è dire chiaramente che pur di consegnare alla deregulation questo mercato, sono disposti a far saltare il servizio pubblico e dunque le correlate tutele a favore dell’utente (tariffa amministrata, obblighi prestazionali, ecc.).

E, attenzione, richiedere che queste tutele gravino sui soli tassisti ma non sui vettori che userebbero le multinazionali, rappresenterebbe semplicemente un’istituzionalizzazione per legge della concorrenza sleale. Lo spieghiamo ai nostri figli fin da piccoli, che le regole devono essere uguali per tutti.




https://it.wikipedia.org/wiki/Car_sharing
Il car sharing (dall'inglese auto condivisa o condivisione dell'automobile) è un servizio che permette di utilizzare un'automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un parcheggio, e pagando in ragione dell'utilizzo fatto.
Questo servizio viene utilizzato all'interno di politiche di mobilità sostenibile, per favorire il passaggio dal possesso del mezzo all'uso dello stesso (cioè all'accesso al servizio di mobilità), in modo da consentire di rinunciare all'automobile privata ma non alla flessibilità delle proprie esigenze di mobilità. L'auto, in questo modo, passa dall'ambito dei beni di consumo a quello dei servizi.
Tipicamente si tratta di un servizio commerciale erogato da apposite aziende, spesso con l'appoggio di associazioni ambientaliste ed enti locali.
Il car sharing si distingue dal car pooling: in quest'ultimo modello più persone viaggiano insieme nella stessa auto, che normalmente è di proprietà di uno dei viaggiatori, e dividono tra loro le spese di viaggio e manutenzione. Il car sharing, invece, può essere assimilato a un autonoleggio a ore con automobili parcheggiate in più punti della città. È inoltre emersa una ulteriore variante del car sharing: il "car sharing peer-to-peer", che prevede l'uso di auto condivise non appartenenti ad una flotta dedicata (come nel car sharing tradizionale), ma appartenenti agli stessi membri della comunità iscritta al servizio; in quest'ultimo caso, quindi, il car sharing è assimilabile (non ad un noleggio a ore bensì) ad una multiproprietà del veicolo.
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Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » ven apr 14, 2017 6:48 pm

???

Uber non sarà più illegale da lunedì, il Tribunale sospende lo stop
Maurizio Caprino

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... m=facebook


Uber potrà continuare a operare in Italia, almeno per ora: il Tribunale di Roma ha accolto la richiesta di sospensiva della multinazionale americana sull'ordinanza con la quale il 7 aprile aveva dichiarato illegittime le modalità con cui esercita il noleggio con conducente, imponendo lo stop su tutto il territorio nazionale da lunedì prossimo, 17 aprile.

La partita non si chiude qui: la sospensiva è solo il primo passo del reclamo con il quale Uber si è opposta all'articolata ordinanza della Sezione specializzata in materia d'impresa del Tribunale della capitale. In sostanza, la decisione di oggi riguarda solo il riconoscimento del fatto che nell’immediato potrebbe essere causato un danno irreparabile. Sia alla collettività (perché si tratta di un servizio di trasporto) sia su Uber stessa e sugli autisti che con essa operano.

Così non è detto che alla fine il reclamo non sia comunque respinto, per cui il divieto di operare non debba diventare operativo in futuro.


Vittoria di Uber: no allo stop dal 17 aprile

Però la sospensiva può anche essere interpretata come un segno di un possibile esito favorevole a Uber: nelle precedenti occasioni in cui la multinazionale ha chiesto sospensive di provvedimenti sfavorevoli, non ha visto accolta la propria richiesta. I provvedimenti passati, comunque, riguardavano in particolare Uber Pop, cioè il servizio svolto da autisti estemporanei, che suscità molte più perplessità giuridiche rispetto agli altri servizi, che sono più vicini alla modalità di noleggio con conducente, regolarmente riconosciuta dalla legge.

Ora si passa alla discussione sul merito della questione, che dovrà portare a decidere se confermare o no l’illegittimità di Uber sancita dall’ordinanza del 7 aprile. Il prossimo round ci sarà il 5 maggio, data per la quale è stata fissata l’udienza per la discussione. Interverranno anche i legali di Altroconsumo, associazione di consumatori che è entrata nel giudizio al fianco di Uber, «per per tutelare i diritti e la libertà di scelta dei cittadini italiani».

In generale, tutte le associazioni dei consumatori sono a favore di Uber. L’Unione nazionale consumatori ha commentato che ora la partita è soprattutto politica, perché la magistratura non può supplire con le proprie decisioni al vuoto legislativo determinato sulla materia dall’obsolescenza della legge-madre (che risale al 1992). Occorre però vedere se il Governo avrà la forza di imporre una propria linea su una questione così delicata, che coinvolge il consenso di una categoria influente come quella dei tassisti.
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Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » ven mag 12, 2017 2:53 pm

Uber, svolta dalla Corte Ue: "Deve avere le licenze". I taxi esultano

http://www.affaritaliani.it/affari-euro ... 78458.html

Secondo l'avvocato generale della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, i servizi di auto con conducente offerti via "app" da Uber rientrano nel settore dei trasporti, con la conseguenza che gli Stati membri possono imporre l'obbligo di licenze e autorizzazioni come per i taxi. Secondo l'opinione dell'avvocato generale, che non è vincolante per la successiva sentenza che sarà pronunciata dalla Corte di Lussemburgo, Uber non può beneficiare del principio della libera prestazione dei servizi garantito dal diritto Ue alle società dell'informazione. Una vera svolta comunque nella querelle tra Uber e taxi che può cambiare in maniera decisiva la situazione.

Uber: sindacati taxi, ora rispetti stesse norme anche in Italia

"Da quanto si apprende da agenzie di stampa l'Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea ha dato una chiara indicazione alla Corte sul fatto che Uber debba possedere le Licenze richieste dalle legislazioni nazionali per i taxi". È quanto affermano i sindacati Ugl taxi, Federtaxi Cisal, Uil trasporti, Fit Cisl e Fast Confsal. "Ora ci aspettiamo che anche in Italia, nonostante le fortissime pressioni di politici lobbisti - conclude la nota - queste conclusioni si concretizzino grazie alla Magistratura che stabilirà le giuste ragioni dei tassisti che chiedono regole certe per tutti, anche per una multinazionale da 70 miliardi di dollari come Uber".
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Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » sab mag 13, 2017 10:03 pm

Tu sei una question e UBER un'altra

???

https://www.uber.com/info/iostoconuber/Paolo

“Ho superato i 50 anni e mi sono imbarcato in questa avventura: per le persone della mia età è sempre più difficile trovare un posto di lavoro, chi è che ti prende a lavorare a cinquant’anni suonati?

Speravo che Uber fosse il trampolino di lancio verso la mia nuova età adulta. Prima facevo il rappresentante di commercio, ma erano gli anni della crisi, le cose non andavano bene, avevo bisogno di un secondo lavoro.

Mi sono avvicinato a Uber perché mi piaceva la tecnologia , il modo di trattare con la clientela, di pagare con la carta, che fosse tutto tracciato, limpido, lineare. (???)

Non sapevo nulla di tutti i tassisti contro. Poi una sera fuori da una discoteca mi hanno insultato pesantemente, quella è stata solo la prima di tante altre volte. Penso che in una città europea e internazionale come Milano ci sia posto per tutti, io non odio i tassisti , mi piacerebbe che esistesse una cooperazione con loro.

Loro ci credono dei competitor: in realtà molto spesso non abbiamo neanche la stessa clientela. Secondo me ha poco senso parlare di concorrenza sleale.

Mi piacerebbe che il governo prendesse in carico le nostre rimostranze. Mi auguro un futuro roseo per tutti, vorrei che il mio lavoro continuasse a esistere.”
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