???
È vero o falso che le tariffe dei taxi italiani si spiegano con i maggiori costi?
Paolo Manasse
11 Marzo 2017
http://www.econopoly.ilsole24ore.com/20 ... iori-costi
Finalmente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato una sollecitazione alle Camere perché provvedano a rimuovere i più evidenti ostacoli alla concorrenza del settore dei taxi.
È almeno dal lontano 2006, quando le dure proteste dei tassisti romani contro il sindaco Veltroni bloccarono i timidi tentativi di liberalizzare i trasporti locali dei governi di centro-sinistra, che le vicende dei taxi costituiscono la cartina tornasole di governi deboli e ostaggio degli interessi particolari. Allora toccò al professor Giavazzi della Università Bocconi venire additato come il nemico pubblico numero uno della categoria per le opinioni espresse sul Corriere. Farmacisti, notai, avvocati, commercialisti, giornalisti, geometri, agenti di cambio, periti e tecnici di ogni genere: il numero di ordini professionali presenti nel nostro paese (se ne conterebbero 28 ) non ha riscontro nel mondo. E ancora oggi la sindaca Raggi, come nel 2008 il sindaco Alemanno, si schiera con la corporazione dei tassisti, coprendo la ricerca del consenso con i soliti argomenti contro “le liberalizzazioni” e “le multinazionali”.
In due precedenti articoli ho presentato alcuni fatti stilizzati sulle tarifffe dei taxi nel confronto internazionale, utilizzando diverse fonti e metodologie. Ho cercato di capire se fosse statisticamente fondata la percezione di chi viaggia o ha vissuto all’estero: che in Italia i taxi siano parecchio più costosi che in altri paesi. Nel primo articolo i dati di UBS del 2015, relativi alle tariffe dei taxi di 71 città dei paesi industrializzati mostrano che Milano e Roma sono al 54mo e 64mo posto delle città con tariffe più care in valore assoluto e al 60mo e 68mo posto quando si guarda alla tariffa del taxi rapportato ad una corsa sui mezzi pubblici (questi. in quanto tali sono sussidiati nella quasi totalità dei paesi)
Nel secondo articolo ho analizzato dati relativi a 128 città dei paesi avanzati, ricavati dal sito web numbeo.com . Questi ci dicono che quando le tariffe dei taxi sono aggiustate in modo da tener conto del diverso costo della vita nelle varie città, la posizione di Milano migliora, risultando al 33mo posto su 128 delle città più care (tariffa uguale al 80% di quella media), mentre quella di Roma addirittura peggiora (109mo posto) risultando più cara del 30% rispetto alla media.
Recentemente, in risposta a questi dati, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA) ha sostenuto che le maggiori tariffe italiane vadano attribuite ai maggiori costi che gravano sui tassisti (per gasolio, pressione tributaria, assicurazione auto, prezzo acquisto dell’auto). Dunque esse non andrebbero imputate ad alte barriere all’entrata che, limitando il numero di licenze, impediscono la concorrenza e alzano il prezzo delle corse. A sostegno di questa tesi, l’ Associazione produce ben 5 (!) osservazioni (Francia, Spagna, Germania, Italia e “Area Euro”), un campione statistico veramente poco significativo, per usare un eufemismo.
In questo articolo sottopongo a verifica empirica la seguente questione: quanto (eventuali) maggiori costi sostenuti dai tassisti italiani rispetto ai colleghi di altri paesi giustificano le (eventuali) tariffe più elevate?
Per rispondere ho raccolto i dati su alcune tra le variabile che verosimilmente influiscono sui costi di gestione dei taxi per 240 città del mondo osservate nel 2017 : un indice del costo della vita; un indice di congestione del traffico cittadino, che rallenta la corsa del taxi ne aumenta il costo finale; il prezzo in euro di un litro di benzina; il prezzo in euro di una corsa e quello di un abbonamento mensile al mezzo di trasporto pubblico, il mezzo di trasporto “più sostituibile” al taxi. Infine, ho tenuto conto del fatto che, per l’effetto Balassa-Samuelson discusso nel mio primo articolo, le tariffe nei paesi non industrializzati sono verosimilmente molto inferiori a quelle dei paesi industriali, anche tenendo conto del minor costo della vita.
Ho calcolato la tariffa del taxi in due modi diversi, per controllare che i risultati non dipendano dalla definizione adottata. La prima, la mia preferita, è data dalla somma di tre componenti: il costo iniziale (taxi start), il costo di una corsa di 5km ed il costo di 10 minuti di attesa. Questo perché nei diversi paesi e città le tariffe sono calcolate in modo diverso a seconda della lunghezza e/o della durata del percorso. Il secondo modo somma solo i primi due addendi, senza considerare il costo di attesa.
L’analisi (regressione su dati sezionali) permette di attribuire le differenze osservate tra le tariffe dei taxi nelle diverse città del mondo alle diverse condizioni di traffico, prezzo della benzina, costo della vita, prezzo dei mezzi pubblici, e al fatto di operare in un paese avanzato o in via di sviluppo. Questi elementi risultano molto significativi e congiuntamente riescono a spiegare oltre l’83 per cento della variabilità delle tariffe tra le città del campione. Questo fatto è importante perché implica che altre variabili potenzialmente rilevanti, quali il costo delle polizze e la pressione fiscale (quella effettiva però, che tenga conto dell’evasione, e non quella nominale considerata dalla CGIA) giocano un ruolo secondario, che potrebbe al massimo arrivare a spiegare il 17 per cento della variabilità osservata tra le città.
L’analisi permette di rispondere alla seguente domanda: se le condizioni di mercato fossero uguali nelle diverse città considerate e dunque i tassisti applicassero lo stesso “mark-up” dei prezzi sui costi, quali tariffe avremmo nelle diverse città? Qualora le tariffe effettivamente osservate fossero più alte di queste tariffe “previste”, cioè calcolate sulla base di un “ricarico medio” sui costi, allora vorrebbe dire che i tassisti di quella città hanno margini di ricarico maggiori rispetto alla media del campione , e che quindi la concorrenza è minore. Viceversa, se in una città la tariffa osservata fosse inferiore a quella “prevista” sulla base dei costi, allora vorrebbe dire che in quella città il margine di guadagno è inferiore, e la concorrenza maggiore, rispetto alla media.
La figura sottostante utilizza la definizione di costo di una corsa che include anche il costo di attesa. Ciascun puntino rappresenta una città. Sull’asse delle ascisse si misura la tariffa prevista sulla base dei costi, mentre in ordinata ho riportato la tariffa effettivamente osservata nella città. Se le città (i puntini) si trovano al di sopra della retta bisettrice, i tassisti di quelle città applicano un ricarico maggiore della media e la concorrenza è più bassa. Viceversa, i punti sotto la bisettrice rappresentano città con “mark-up” inferiore e maggiore concorrenza rispetto alla media. A conferma delle precedenti analisi, tutte le città italiane del campione (Roma, Milano, Torino e Trieste) si trovano sopra la retta bisettrice.
...
Figura 1: Tariffe previste in base ai costi e tariffe osservate. Fonte: elaborazioni dell’autore su dati numbeo.com
Ma qual è l’ordine di grandezza di questo “eccesso di ricarico sui costi”? È parecchio alto, troppo alto per essere attribuibile a variabili non considerate nell’analisi. La prima colonna della Tabella 1 riporta il rapporto tra tariffe osservate e quelle previste sulla base dei costi, quando la tariffa includa – o meno il costo di attesa. La seconda colonna ripete il calcolo utillizzando una tecnica di stima che dà un minor peso alle osservazioni che si discostano eccessivamente dalle altre (correggendo per i cosiddetti outliers).Queste ultime stime hanno il vantaggio di eliminare l’effetto sui risultati dei casi “anomali”. A seconda della definizione di tariffa o del metodo di stima, si ottiene che taxi romani applicano un extra-margine sui costi che supera quello medio di una percentuale che oscilla tra il 26 ed il 50 per cento, quelli milanesi tra il 14 ed il 22 per cento, quelli di Torino tra il 26 ed il 35 per cento e quelli di Trieste tra il 7 ed il 10 per cento.
...
Nota: la prima colonna riporta il rapporto tra tariffa osservata e tariffa stimata sulla base dei costi, quando si include (wait) oppore non si include (- no wait) il costo di 10 minuti di attesa, e quando le stime sono ottenute col metodo OLS. La seconda colonna mostra i risultati per lo stesso rapporto quando le stime sono ottenute con una correzione per la presenza di outliers
Nota: la prima colonna riporta il rapporto tra tariffa osservata e tariffa stimata sulla base dei costi, quando si include (wait) oppore non si include (- no wait) il costo di 10 minuti di attesa, e quando le stime sono ottenute col metodo OLS. La seconda colonna mostra i risultati per lo stesso rapporto quando le stime sono ottenute con una correzione per la presenza di outliers
Dunque quando si considerano i costi di gestione, appare ancora più evidente quello che le precedenti analisi, i diversi campioni di città, le diverse fonti statistiche e metodologie, mettono in luce: il mercato dei taxi italiano è molto meno concorrenziale che in altri paesi, e i tassisti applicano “ricarichi” sui costi considerevolmente maggiori di quelli esteri.
E d’altro canto il buon senso (e la teoria economica) aiuta: come potremmo mai spiegare il fatto che una licenza di taxi costi (in Italia!) oltre 100mila euro, se questa non garantisse un elevato “extra-profitto” negli anni di attività?
Le implicazioni di questa analisi sono importanti: i risultati suggeriscono che se le liberalizzazioni portassero la concorrenza ad un livello comparabile a quello internazionale, i margini di guadagno dei tassisti italiani, e dunque il valore delle licenze, cadrebbero di molto, in linea con le percentuali prima descritte. Il valore complessivo di questa perdita non finirebbe nel nulla, ma nelle tasche dei consumatori. Come insegna la teoria economica, vi sarebbero poi ulteriori benefici per tutti coloro che potendo mettersi alla guida di un’auto, troverebbero un lavoro ed un reddito. Possiamo discutere se sia o meno auspicabile che la fiscalità generale si faccia carico delle perdite dei tassisti. Ma, con buona pace delle associazioni dei taxi e dei loro sostenitori, non possiamo travisare la realtà e continuare a ripetere che “Tout va très bien, Madame la Marquise”.
“È vero o falso che i Taxi italiani siano tra i più cari e che liberalizzandoli scenderanno le tariffe?”
https://www.uritaxi.it/wpnew/vero-falso ... le-tariffe
https://www.uritaxi.it/wpnew/vero-falso ... ?print=pdf
Ancora una volta il Presidente Uritaxi Toscana #ClaudioGiudici ribatte colpo su colpo alle affermazioni del Prof. Manasse.
Ancora una volta l’assioma “liberalizzazione = più taxi = tariffe più basse” viene puntualmente demolito attraverso questo dettagliato documento del Presidente Giudici.
Il nostro invito che rivolgiamo a tutti i colleghi, è quello di divulgare il più possibile questo e tutta la serie di documenti che dimostrano l’infondatezza dei presunti benefici delle teorie liberiste in un settore PUBBLICO come il servizio taxi.
di: Claudio Giudici
Continuano le speculazioni contro i taxi italiani, ancora imperniate su due presunti assiomi (falsi, come si è già in parte dimostrato):
1) i taxi italiani sono cari;
2) la liberalizzazione del settore ne consentirebbe un abbassamento delle tariffe.
In assenza di minor pregiudizio, ci si accorgerebbe che i dati recenti di cui si è in possesso, smentiscono entrambi gli assiomi.
Come già spiegato, l’unica comparazione seria in materia è quella degli Automobil Club europei, Eurotest – sia per il metodo di rilevazione on road (non teorico) e ripetuto, sia per gli elementi di prezzo analizzati (spaziali, temporali, di supplemento), ed infine per ulteriori aspetti qualitativi a cui comunque in questa precisa sede non siamo interessati -, ma purtroppo è datata 2011.
...
Diversamente, raccolte dati open source – almeno per quanto riguarda il settore taxi – come quella di numbeo.com, sono assolutamente fuorvianti perché errate e approssimative (vedi qui: https:// http://www.uritaxi.it/wpnew/giudici-uri ... d-economia ).
Più affidabili dovrebbero invece essere i dati Ubs 2015, a cui lo stesso prof. Manasse aveva nel suo primo articolo fatto riferimento. Ma questi, se ben guardati, contraddicono sia gli assiomi ispiratori, sia le conclusioni delle sue tre analisi.
Infatti, come si evince dalla tabella sotto, i taxi italiani si collocano nella fascia medio-bassa di prezzo tra gli Stati dell’Europa occidentale, nonostante i dati Ubs siano drogati dall’inclusione della mancia nel prezzo finale pagato per il taxi; infatti essa, come si sa, se è una sorta di “obbligo consuetudinario” nei paesi di cultura anglosassone, è pressoché assente nei paesi di cultura mediterranea. In ogni caso, sia la ben più affidabile comparazione Eurotest, sia quella Ubs, smentiscono il primo assioma dell’analisi “Manasse”.
Ma è soprattutto in merito al secondo assioma, secondo cui la liberalizzazione del settore taxi porterebbe ad un abbassamento delle tariffe, che un intervento legislativo in tal senso produrrebbe risultati a dir poco drammatici. E questo, sia per gli operatori del settore ma ancor più per il consumatore. Infatti, Amsterdam, Stoccolma e Oslo, città dove il settore, in modi diversi è stato liberalizzato – con una clamorosa retromarcia in Olanda dopo lo scadimento post- liberalizzazione della qualità del servizio e la crescita dei prezzi – hanno tra le tariffe più alte d’Europa (dato confermato sia da Ubs 2015 che da Eurotest 2011).
A tal ultimo riguardo, c’è un’ampia narrativa in materia che, pur non conoscendosi l’opera dei fondatori del Sistema americano di economia politica che in tal senso molti elementi demistificatori offre, smaschera la mitologia liberista filo-imperiale (oggi potremmo dire filo-multinazionale) del funzionario della Compagnia britannica delle Indie Orientali, Adam Smith. Infatti, circa Oslo lo studio di Bankitalia “Occasional paper” n. 24 ci dice: “…dopo la deregolamentazione la locale autorità antitrust ha rilevato un aumento delle tariffe”. Nel manuale La regolazione del trasporto pubblico locale di Iaione, si dice a riguardo delle liberalizzazioni, che avrebbero comportato “un aumento sensibile dei prezzi a Phoenix, San Diego e Seattle” e si conclude dicendo: “…nel complesso, la qualità del servizio risulta peggiorata o non migliorata”.
...
Ma Stoccolma in particolare, rappresenta un caso di scuola emblematico della natura distruttiva delle liberalizzazioni. Il caso svedese, infatti, dopo la liberalizzazione radicale del settore, portò ad un tale svilimento della qualità e ad una tale crescita dei prezzi – perché per rendere sostenibile l’attività dei tanti taxi giunti sul mercato, con conseguente calo del numero delle corse giornaliere procapite, il prezzo delle singole corse crebbe proporzionalmente – che l’autorità pubblica fu costretta ad istituire improduttive forme di salario minimo per i tassisti, i cui costi hanno finito per gravare sulla contribuzione generale.
Ed il caso Uber, rischia davvero di rappresentare una clamorosa illusione ottica. Primariamente, un’app come Uber non è un’innovazione tecnologica sostanziale per il settore, poiché non incide sulla capacità del vettore di trasporto di performare meglio, ma è solo un surrogato esteticamente più gradevole, fra l’altro in possesso dei taxi italiani delle principali città già da prima della fondazione della multinazionale americana (si pensi ad itTaxi presente in oltre cinquanta città italiane, o ad AppTaxi presente in una quindicina di città italiane, o ad altre ancora), proprio come l’sms lo era della chiamata vocale. Non sta qui, infatti, l’appeal consumeristico dell’app americana, ma sul livello dello sfruttamento del lavoro.
La multinazionale, infatti, opera sistematicamente sotto costo e in posizione di dumping, così da poter mettere fuori mercato i concorrenti taxi, in quanto gravati da tutta una serie di regole diseconomiche a tutela dell’utenza (primariamente tariffari e prestazionali). Secondo quanto riportato recentemente anche da Econopoly (http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/02/23/il- vero-obiettivo-di-uber-creare-un-monopolio/), la corporation opera talmente sotto costo da far pagare alla propria clientela soltanto il 41% del costo complessivo di trasporto. Non è un caso dunque – e non è facilmente stimabile per quanto ancora possa durare l’appeal di Uber per i venture capital, seppur confidando, come sostiene l’esperto di trasporti Hubert Horan, nella celere conquista del monopolio del settore da parte della loro creatura – che Uber dopo sette anni di operatività registri 4miliardi di dollari di perdite. Ciò rappresenta un costo sia per la sostenibilità economica aziendale che per i lavoratori sottopagati (5,88 sterline orarie lorde per i driver Uber di Londra, come ricostruito dal prof. Mostacci della Università Bocconi).
Concludendo, come ben sanno i fruitori abituali di taxi, il vero modo per non spendere troppo, è un efficiente sistema di viabilità, fatto di preferenziali per i mezzi pubblici – è troppo chiedere posteggi e metropolitane in uno Stato che consente alle poche aziende pubbliche superstiti di spostare la propria sede fiscale nei paradisi fiscali? Forse sì… – che dunque aumentino il tasso tecnologico dell’infrastruttura di base su cui essi insistono, liberandoli dalla costante trappola del traffico che allunga il tempo di espletamento della corsa. E’ questa la vera innovazione tecnologica, e non un’app di una multinazionale che laddove manchi la rete 3G non prende, a cospetto di centrali radiotaxi dotate delle più disparate e innovative tecnologie di chiamata e distribuzione delle corse (gprs digitale, app, sms, Whatsapp, ecc.). E’ dunque sul mai citato, da parte degli “innovatori”, fronte infrastrutturale che si gioca la vera partita dell’efficienza del servizio taxi italiano, e non su patinate e mistificatorie operazioni comunicative volte ad aprire al predaggio delle multinazionali straniere anche questo settore oggi dominato dalla piccola imprenditoria italiana, associata nelle costituzionalmente tutelate e promosse cooperative.
Claudio Giudici
Presidente Uritaxi Toscana
“No al mercato selvaggio”. A sorpresa gli italiani danno ragione ai tassisti
Sette su dieci appoggiano la protesta contro Uber
Andrea Malaguti
2017/02/25
http://www.lastampa.it/2017/02/25/itali ... agina.html
Nonostante una settimana di proteste selvagge, nonostante le bombe carta di Roma, i blocchi del traffico, i disagi per i cortei e le file infinite negli aeroporti e nelle stazioni, gli italiani si schierano coi tassisti. Il 71% degli abitanti di Roma, Milano e Torino, le tre città più toccate dagli scioperi dei giorni scorsi, considerano infatti «giusta» la loro protesta. E solo il 24% è contro.
I dati del sondaggio realizzato dall’istituto Piepoli per La Stampa certamente sorprendono. Perché ribaltano completamente la percezione che si poteva avere dell’intera vicenda. Non solo da parte dei normali cittadini ma anche tra gli stessi protagonisti di questa vertenza: molti di loro, infatti, avevano definito «dannoso e controproducente» il fermo improvviso. Solo a Roma, dove il blocco ha creato più problemi, la quota dei favorevoli scende al 62% (con un 32% che considera «non giusta» la protesta) ma a Torino si tocca il 74% e a Milano il 76%. Ed anche la mediazione del governo ottiene un consenso molto ampio: l’80% la approva (a Milano addirittura il 93%) e solo l’11% non la condivide (con un picco del 23% tra i torinesi ed un minimo del 2% sotto la Madonnina).
Scorrendo i dati dell’indagine tutto questo, in parte, forse si spiega col fatto che i disagi hanno interessato una fetta del campione abbastanza contenuta che oscilla tra il 19 e del 24%. Ma questi dati, raccolti mercoledì, il giorno dopo la fine dell’ostilità, ci dicono che quella dei tassisti forse non è più tanto percepita come una delle tante caste che paralizzano (letteralmente) il Paese, la solita lobby che difende in ogni modo i propri privilegi, ma è diventata una categoria di lavoratori in difficoltà come tante altre. Con cui gli italiani, a loro volta squassati dal vento e dalle regole spietate della globalizzazione, oggi sentono di dover essere solidali.
Le rate del taxi ancora da pagare, o la licenza presa a peso d’oro e che ora vale la metà rispetto agli anni passati, non sono molto diverse dal mutuo che tanti italiani fanno fatica a onorare per una casa che a sua volta oggi vale molto meno di quando la si è acquistata. E se un taxista oggi dichiara un reddito che non arriva a 15 mila euro non è più un evasore come si sarebbe detto sino ieri, ma forse solamente uno dei tanti piccoli imprenditori che fatica ad arrivare a fine mese. E che ora, come se non bastasse, deve pure vedersela con lo strapotere delle multinazionali. Nel suo caso con un «mostro» come Uber e lo sciame di noleggiatori, i famigerati Ncc, che sottraggono loro i clienti invadendo le città anche quando non potrebbero. Uber sta ai tassisti come Amazon sta alle librerie, Airbnb alle pensioncine, i megaoutlet ai piccoli negozi dei centri storici, Youtube alle videoteche e le tante applicazioni web ai vecchi negozi di dischi. Ci sarà anche un nuovo che avanza ma il risultato finale è che ci sono tanti che in parallelo sono costretti a chiudere. E poco importa se Uber, come tante altre applicazioni, può farci risparmiare, o se ci fa viaggiare su auto più nuove e più belle consentendoci di sfruttare tutti i vantaggi della concorrenza. Tant’è che, dovendo scegliere, solo il 23% propone di liberalizzare il settore senza fare distinzioni, mentre la maggioranza dei cittadini al governo chiede innanzitutto di tutelare i tassisti (48% di media, 56% a Roma), mentre il 12% arriva addirittura a proporre di escludere Uber. Anche in questo caso una sproporzione schiacciante.