Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:32 am

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale
viewtopic.php?f=94&t=2576
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:32 am

Uber "fa concorrenza sleale", il tribunale di Roma blocca i servizi e i tassisti esultano
Venerdì 7 Aprile

http://www.ilgazzettino.it/economia/ube ... m=facebook

Il Tribunale di Roma accoglie un ricorso dei tassisti e blocca Uber. I giudici della nona sezione civile hanno ordinato il blocco, entro 10 giorni, dei servizi offerti dal gruppo che gestisce l'applicazione che consente di trovare un auto con autista con losmartphone. I servizi bloccati dal tribunale sono Uber Black, ossia le berline nere con autista attive a Milano e nella Capitale, e le analoghe app Uber-Lux, Uber-Suv, Uber-X, Uber-XL, UberSelect, Uber-Van. In pratica tutte le attività della società in Italia. I giudici hanno accolto un ricorso per concorrenza sleale delle associazioni di categoria dei tassisti assistite da un pool di legali coordinato dall'avvocato Marco Giustiniani dello Studio Pavia e Ansaldo e composto da Moravia, Gigliotti, Massari e Fabbi.

La decisione arriva dopo che già due anni fa a Milano, sempre accogliendo un ricorso cautelare dei tassisti, i giudici avevano disposto il blocco della app UberPop, uno dei servizi messi a disposizione dalla multinazionale americana e che permette a chiunque di fare il tassista senza licenza. Un blocco, poi, confermato nelle scorse settimane anche dal Tribunale di Torino.

Con la sentenza depositata oggi, invece, il Tribunale di Roma, «accertata la condotta di concorrenza sleale», ha inibito a Uber «di porre in essere il servizio di trasporto pubblico non di linea con l'uso della app Uber Black» e di «analoghe» app, «disponendo il blocco di dette applicazioni con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano, nonché di effettuare la promozione e pubblicizzazione di detti servizi sul territorio nazionale».

Il giudice Alfredo Landi, inoltre, oltre a disporre la «pubblicazione» della sentenza sul sito di Uber, ha fissato anche una penale di 10mila euro «per ogni giorno di ritardo nell'adempimento» del blocco «a decorrere dal decimo giorno successivo» alla pubblicazione della sentenza, ossia da oggi. «A seguito di questa pronuncia del Tribunale di Roma - ha spiegato l'avvocato Giustiniani - la multinazionale Uber rischia di dover interrompere ogni attività in Italia, in quanto i servizi ad oggi offerti sono stati riconosciuti in contrasto con il diritto nazionale e in concorrenza sleale con gli altri operatori del settore».

«Siamo allibiti per quanto annunciato dall'ordinanza che va nella direzione opposta rispetto al decreto Milleproroghe e alla normativa europea. Faremo appello contro questa decisione, basata su una legge vecchia di 25 anni e che non rispecchia più i tempi, per permettere a migliaia di autisti professionisti di continuare a lavorare grazie all'app di Uber e alle persone di avere maggiore scelta». Così Uber Italia commenta la decisione del tribunale di Roma. «Ora il governo - afferma - non può perdere altro tempo ma deve decidere se rimanere ancorato al passato, tutelando rendite di posizione, o permettere agli italiani di beneficiare di nuove tecnologie come Uber».

Le norme che disciplinano «il servizio pubblico di trasporto non di linea» non limitano «la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori» e non favoriscono «posizioni di privilegio e monopolio», mentre «gli autisti Uber» svolgendo la loro attività «in contrasto» con la normativa si mettono in una posizione di «indebito vantaggio» rispetto ai tassisti, sottolinea il Tribunale di Roma nel provvedimento con cui oggi ha disposto il blocco. Il giudice Alfredo Landi, in prima battuta, chiarisce in cosa consiste Uber Black: è un «sistema» che consente agli utenti «che hanno scaricato l'app sul proprio telefonino, di entrare direttamente in contatto con autisti provvisti di autorizzazione ncc (noleggio con conducente, ndr)» che hanno sottoscritto un contratto con Uber.

Gli autisti delle "berline nere" Uber, però, a differenza dei tassisti, spiega il giudice, non sono soggetti «a tariffe predeterminate dalle competenti autorità amministrative» e possono così fare «prezzi più competitivi» a seconda «delle esigenze del mercato». E ciò perché non rispettano, a detta del giudice, le regole «a danno di coloro che esercitano il servizio di taxi o di noleggio con conducente» rispettandole. Secondo il giudice, inoltre, anche con le regole attuali ben si potrebbe utilizzare «la nuova tecnologia in modo rispettoso della normativa pubblica», consentendo ad esempio agli utenti di rintracciare tramite la app «invece che il singolo autista», come accade, «la rimessa di noleggio con conducente più vicina».

«Tribunale Roma decide inibizione Uber in Italia entro 10 giorni. I consumatori ringraziano, ora Governo eviti al paese questa brutta figura», commenta su Twitter Sergio Boccadutri, deputato del Partito democratico.

In una nota, Ugl Taxi, Federtaxi Cisal, Uil Trasporti, Fit Cisl e Associazione tutela legale taxi esultano per il successo «in questa battaglia contro una grossa multinazionale che ha lavorato in Italia violando le leggi esistenti». «Un sentito ringraziamento va anche alla magistratura - conclude la nota dei sindacati - che si è confermata come l'unico Potere degno di portare questo nome nel nostro paese».

«Dopo tante battaglie combattute insieme, finalmente Fratelli d'Italia e i tassisti possono esultare: il Tribunale civile di Roma ha infatti oggi accolto il ricorso per concorrenza sleale proposto dalle maggiori sigle sindacali del settore taxi contro il gruppo Uber per il servizio di noleggio con conducente Uber Black». Lo afferma Riccardo De Corato, ex vicesindaco e capogruppo di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale in Regione Lombardia. «Finalmente giustizia è stata fatta, siamo stati ripagati di tante battaglie, nelle istituzioni, nelle piazze e nei tribunali - ha aggiunto De Corato - Fratelli d'Italia è sempre stata al fianco dei tassisti, soprattutto in Regione Lombardia, dove avevamo presentato un Pdl per regolamentare gli Ncc e debellare la concorrenza sleale. Peccato però che nel 2014 il Progetto di Legge 187 sia stato fermato in Commissione».

«Una decisione abnorme che riporta l'Italia al Medioevo», afferma il Codacons, commentando in una nota «Con il blocco dei servizi Uber tramite app l'Italia viene rispedita indietro di decenni, mentre tutti gli altri paesi vanno avanti e si adeguano alle nuove offerte del mercato - afferma il Codacons -. A fare le spese di tale decisione saranno gli utenti, le cui possibilità di scelta saranno fortemente limitate, e che senza una reale concorrenza subiranno senza dubbio rincari delle tariffe per il trasporto non di linea. Invece di adeguare la normativa sui trasporti alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, in modo da offrire garanzie e certezze a tutte le parti in causa, si sceglie di danneggiare i consumatori paralizzando il mercato e l'evoluzione - prosegue l'associazione - e il Governo avrebbe dovuto già da tempo varare norme per introdurre in Italia servizi come Uber e farli convivere con i taxi tradizionali, così come avviene nel resto del mondo».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:33 am

Il Ceo di Uber lascia il consiglio dei consulenti di Trump
Una decisione presa per distanziare la società dal decreto sull’immigrazione del presidente
2017/02/03
http://www.lastampa.it/2017/02/03/tecno ... agina.html

L’amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, si è dimesso come consigliere economico del presidente Donald Trump. Lo ha comunicato con un’email ai dipendenti rimbalzata sui social media.

«Oggi ho parlato brevemente con il presidente del suo ordine esecutivo sull’immigrazione e delle implicazioni per la nostra società - ha scritto Kalanick - e gli ho fatto sapere che non sono in grado di poter essere parte del suo consiglio economico. Far parte del gruppo non doveva rappresentare un endorsement del presidente o della sua agenda ma, sfortunatamente, è andata esattamente così», ha detto il Ceo di Uber oggetto di pesanti critiche online e di campagne per il boicottaggio della sua società, soprattutto dopo che la Casa Bianca ha messo al bando gli immigrati da 7 Paesi a maggioranza islamica.

Kalanick era uno dei 16 consiglieri del forum strategico che ha in calendario la sua prima riunione proprio nella giornata di oggi. Tra gli altri, nel fanno parte il Ceo di General Motors, Mary Barra, Elon Musk di Tesla e Larry Fink di Blackrock.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:33 am

Uber e le tasse dei "tassisti per caso"
Scritto da Dario Stevanato
Lunedì 20 Aprile 2015

http://www.giustiziafiscale.com/economi ... -per-casoq

Uber, multinazionale americana che fornisce da qualche anno un servizio di trasporto automobilistico attraverso un’applicazione software che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti, è come noto sbarcata anche in alcune città italiane, sollevando polemiche e dubbi in ordine al rispetto delle leggi in materia di trasporto pubblico e noleggio con conducente. Nella sua versione “UberPOP”, il servizio fornito ai clienti si basa su autisti non professionisti, cioè privati dotati di semplice licenza di guida che impiegano la propria autovettura.

Qui non mi voglio però occupare dei profili di legalità del servizio, quanto analizzarne il regime fiscale, non tanto in capo alla società di gestione del servizio stesso, cioè Uber, che pagherà le imposte – in assenza di stabili organizzazioni in altri territori - esclusivamente nello Stato di residenza (pare che la controparte contrattuale dell’utente italiano sia sita in Olanda), quanto per le ricadute sui “Fornitori dei Servizi di Trasporto” (come vengono chiamati nel sito di Uber).

Nel caso di UberPOP, si tratta come detto di privati, i quali, una volta registrati al servizio, possono decidere di quando in quando di mettersi “on line”, ed a quel punto liberamente accettare o meno le richieste di servizio pervenute. In caso di accettazione, questa viene notificata dall’applicazione al cliente, che paga il servizio all’intermediario mediante carta di credito. Uber, a propria volta, trattenuta una quota del corrispettivo (il 20%), versa la differenza sul conto corrente del Fornitore del Servizio, cioè l’autista non professionista, il quale non rilascia alcun tipo di ricevuta al cliente per il servizio di trasporto eseguito, né riceve dallo stesso alcuna somma di denaro.

Con riguardo al trattamento delle somme versate da Uber agli autisti, circola la convinzione che si tratti per essi di un mero “rimborso spese”, privo di rilevanza reddituale e dunque da non dichiarare al fisco italiano. Nel blog di Uber si legge che il servizio UberPOP appartiene alla “sharing economy” per migliorare la vita dei cittadini, permettendo inoltre “di coprire i costi della propria auto mettendo il proprio veicolo a disposizione della città e divertendosi a condividerlo con gli altri cittadini”. Questa presentazione, che fa perno sui concetti non profit di ride sharing, condivisione, economia collaborativa, e così via, non sembra però totalmente rispondente alla realtà dei fatti: gli autisti non professionisti che partecipano ad Uber sembrano infatti non tanto dei buontemponi che vogliono divertirsi nel condividere con gli altri la propria auto, quanto cittadini desiderosi di arrotondare, a tempo perso, le proprie (magari magre) entrate.

Ciò detto, la tesi secondo cui gli autisti riceverebbero dei meri “rimborsi spesi” non tassabili mi sembra tutta da verificare. Anzitutto, perché non mi pare esservi un rimborso delle spese di diretta imputazione, sia pure calcolate con criteri forfettari. Il riferimento alle tabelle ACI, che Uber dichiara di utilizzare per “rimborsare” gli autisti, comporta la riconversione del corrispettivo pagato dal cliente, che si basa anche sulla durata della corsa in minuti, in una traduzione in termini di distanza percorsa. Inoltre il rimborso chilometrico dipende dal tipo di auto, mentre le tariffe praticate ai clienti di UberPOP non dipendono dal mezzo utilizzato. E ancora, le tariffe Aci si basano su un utilizzo anno della singola auto pari a 15 mila Km, e andrebbe allora verificato se nel rimborso erogato da Uber il parametro della percorrenza effettiva annua sia tenuto in considerazione. Sarebbe poi da chiedersi perché mai qualcuno dovrebbe andare in giro con la propria auto per portare passeggeri da una destinazione all’altra, senza la prospettiva di un sia pur minimo guadagno (certo resta sempre l’ipotesi del divertimento e della condivisione).

Ma poniamo pure che sia possibile riscontrare una perfetta corrispondenza tra quanto “girato” da Uber all’autista privato per la corsa effettuata e le tabelle Aci sui costi chilometrici riferite al tipo di auto utilizzata. Basterebbe questa circostanza ad escludere la natura reddituale di quanto percepito, differenziando la posizione degli autisti privati da quella dei lavoratori autonomi, o anche dei dipendenti che utilizzano la propria auto per trasferte all’interno del Comune, ricevendo rimborsi chilometrici imponibili?

Tanto per cominciare, mi sembra abbastanza chiaro che l’attività esercitata dall’autista privato si inserisce in un assetto oneroso e sinallagmatico, e non in un “ufficio gratuito” o in un’attività ludica, di condivisione disinteressata della propria auto col resto della cittadinanza. Con il “rimborso”, i Fornitori del Servizio di Trasporto (come vengono chiamati nel sito di Uber) ricevono una somma che va a remunerare non solo le spese di diretta imputazione relative alla corsa (come il carburante), ma altresì le altre spese fisse legate al possesso e al mantenimento della vettura, e al tempo dedicato alla prestazione del servizio. Spese che altrimenti determinerebbero un depauperamento patrimoniale, e che sarebbero comunque sostenute da colui che, non dimentichiamolo, dispone di un’autovettura per le proprie esigenze e finalità private e familiari. Il “rimborso” erogato da Uber reintegra dunque l’autista da spese e costi che altrimenti ridurrebbero il suo patrimonio, e che sarebbero comunque in buona parte ugualmente sostenute. Il che mi sembra differenzi questa situazione rispetto a quella di chi, per svolgere un certo incarico, riceve soltanto il ristoro di spese che in assenza di quell'incarico non avrebbe patito (come accade per i puri rimborsi di spese non accessori o collaterali a un compenso imponibile, come ad esempio quelli dei conferenzieri cui vengano rimborsate le sole spese vive di viaggio).

D’altra parte, in presenza di un’attività astrattamente produttiva di reddito, non rileva che i proventi siano appena sufficienti a coprire i costi sostenuti, che sarebbe comunque onere del contribuente documentare e dimostrare. Non mi sorprenderebbe, dunque, se l’Amministrazione finanziaria ritenesse integrata la fattispecie di cui all’art. 67 lettera i) del Tuir, sulla tassabilità dei “redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” (i servizi di trasporto rilevano quali attività commerciali a mente dell’art. 2195 c.c.), o di cui alla lettera l), sui redditi derivanti “dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, redditi che “sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione” (art. 71 comma 2 del Tuir).

Del resto l’Agenzia delle Entrate ritiene tassabili anche i rimborsi spese e le reintegrazioni patrimoniali percepite dagli amministratori di sostegno, che svolgono un “munus” pubblico in regime di gratuità (art. 379 c.c.). Figuriamoci dunque quale potrà essere l’atteggiamento nei confronti di un pagamento a forfait a fronte di un’attività onerosa. Mi sbaglierò, ma non credo che gli autisti di UberPOP possano dormire sonni tranquilli contando sulla qualifica delle somme ricevute in termini di “rimborsi spese” intassabili, soprattutto se le cifre in gioco diventassero complessivamente importanti.



“Airbnb e Uber trattengano e versino le tasse”
Proposta di legge bipartisan alla Camera: aliquota del 10% per la sharing economy

http://www.lastampa.it/2016/02/29/itali ... agina.html

La notizia è che l’Italia potrebbe presto avere una legge sulla «sharing economy». E i colossi dell’economia della condivisione plaudono. Mercoledì 2 marzo un gruppo bipartisan di parlamentari presenterà una proposta alla Camera. Tra i firmatari ci sono Veronica Tentori e altri sei esponenti del Pd, Antonio Palmieri (Fi), Ivan Catalano (Gruppo Misto), Adriana Galgano e Stefano Quintarelli di Scelta civica.

Il nodo del fisco

La bozza spiega che la finalità è quella di «riconoscere e valorizzare» l’economia della condivisione, di «promuoverne lo sviluppo» e di definire «strumenti atti a garantire la trasparenza, l’equità fiscale, la leale concorrenza e la tutela dei consumatori». Ma il passaggio chiave è l’articolo 5, quello che si propone di intervenire sulla fiscalità. I parlamentari chiedono che a tal proposito le piattaforme agiscano da sostituti d’imposta per i redditi generati dagli utenti con un’aliquota fissa del 10% su tutte le transazioni. Significa che Airbnb tratterà le tasse e le verserà direttamente all’erario per conto dell’utente-proprietario della casa.

Soglie e percentuali

La proposta di legge prevede inoltre la soglia 10 mila euro annui come discrimine tra «chi svolge una microattività non professionale ad integrazione del reddito» e chi invece «opera a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti». Chi sta sotto paga il 10% con la formula della cedolare secca (fatta salva la no tax area). Chi supera la cifra versa l’aliquota corrispondente al cumulo con gli altri redditi.

Spetterà invece all’Autorità per la concorrenza e il mercato regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme della «sharing economy». Sarà inoltre istituito un registro elettronico nazionale delle piattaforme. Per iscriversi app e siti avranno bisogno del via libera dell’Autorità al documento con le policy.

Uber riapre?

«L’auspicio è che le istituzioni tengano in considerazione anche chi condivide i propri beni in maniera occasionale e si impegnino in una progressiva semplificazione delle procedure», commentano da Airbnb. Il modello potrebbe essere quello di Parigi, dove la piattaforma versa la tassa di soggiorno. E anche Uber, l’app che consente di diventare autisti, spera di poter tornare a fornire ai clienti italiani il servizio Uber Pop, bloccato il 25 maggio scorso dal tribunale di Milano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:34 am

A questi prezzi, questo povero autosta lavoratore non guadagna nulla, lavora un giorno intero gratis unicamente per le spese, chi ci guadagna è solo UBER il lavoratore in oggetto è meno di uno schiavo.

http://www.sicurauto.it/news/quanto-si- ... r-pop.html

Una giornata intera al volante per le strade di Torino. Ecco quanto guadagna realmente un driver di Uber Pop
Quanto si guadagna in un giorno con Uber Pop?

UberPop, il servizio che permette a un automobilista iscritto alla piattaforma di offrire un passaggio con la propria auto in cambio di una piccola somma è attivo a Torino. Tra critiche e approvazioni, l'app californiana continua la sua espansione annunciata in nome di una mobilità sostenibile e alternativa, anche se è ancora considerata fuorilegge per via del profitto che ne trarrebbe il conducente. Un giornalista è diventato autista Uber per documentare la giornata tipo di un driver UberPop, dimostrando che molta gente richiede un passaggio a Uber ma anche che a fine giornata, dopo 8 ore passate al volante, non può certo dire di avere le tasche (o meglio il conto) piene di soldi. Ecco come si diventa autisti di UberPop e quanto si guadagna realmente.

COME SI DIVENTA DRIVER POP
Ora che Uber ha abbassato le tariffe delle corse per avvicinarle ai costi chilometrici delle tabelle ACI, quello che taxi e Comuni lo definivano un illecito "profitto" dei conducenti è ridotto all'osso. Un giornalista de La Stampa ha verificato quanto realmente può portare nelle tasche di un privato una giornata intera dedicata a portare in giro i clienti di UberPop. L'esperienza non è esente dal rischio di essere beccati dai vigili, infatti bisogna rispettare scrupolosamente le indicazioni di Uber per non incorrere nelle stesse multe e sequestri di Milano e Genova. Prima di entrare in servizio, il giornalista racconta la sua iscrizione avvenuta in circa 24 ore. "Abbiamo caricato su una piattaforma on line dati e documenti. - afferma il giornalista - Abbiamo anche giurato di non avere conti in sospeso con la giustizia. Per ora si fidano, ma entro due settimane dovremo fornire i certificati del Tribunale." Poi il giorno seguente si passa al colloquio con il personale di Uber Italia. "Ci siamo ritrovati con altre quindici persone in un hotel di piazza Massaua, periferia Ovest di Torino. Ci hanno accolto tre ragazzi di 25 anni. Ci hanno catechizzato per un'ora e fornito uno smartphone. In meno di ventiquattr'ore siamo diventati «autisti»".

9 CORSE IN 8 ORE
Così' è iniziata l'esperienza da conducente di UberPop per un giorno, percorrendo a bordo di un'Alfa Romeo Giulietta circa 100 chilometri per rispondere alle chiamate di utenti italiani e stranieri che chiedevano un passaggio. "La prima chiamata arriva alle 9,10. Ci siamo appena seduti in macchina e c'è già qualcuno che ha bisogno di noi. Si chiama Giulio e deve andare al Politecnico." La Giulietta impiega 22 minuti per percorrere 7 chilometri e la corsa viene pagata direttamente tramite l'app con carta di credito (9 euro). "La seconda chiamata arriva alle 10 ma poi il cliente non si presenta", ecco uno degli inconvenienti rischiosi, come telefonare a chi ha prenotato la corsa ma ha cambiato idea e non sapeva come annullarla. Poi la giornata continua e il racconto del giornalista anche: "Dopo un quarto d'ora, il telefono s'illumina: un signore ha bisogno di un passaggio in Tribunale." Dopo poco arriva la quarta richiesta "si chiama Florent, è un gallerista parigino, in città per Artissima. Parte dal centro per andare all'aeroporto di Caselle: 16 chilometri in venti minuti, costo 13 euro. Con il taxi sarebbero stati 35 o 40 euro", secondo il giornalista. La giornata di lavoro suddivisa da 2 pause di mezz'ora prosegue fino alle 18 dopo e si conclude dopo aver dato il passaggio a 23 persone, di cui solo 2 over40 e solo 4 italiane.

LE ISTRUZIONI PER NON COMMETTERE ERRORI
Durante il servizio il giornalista racconta di aver caricato alcuni passeggeri a bordo strada proprio nelle vicinanze di alcuni taxi in attesa di clienti (vedi l'immagine in alto tratta dal servizio). La preoccupazione di avere qualche grattacapo c'è, ecco perché durante il colloquio Uber consiglia di seguire scrupolosamente alcune indicazioni, come accertarsi dell'identità della persona prima di farla salire e non telefonare ai clienti. Il giornalista, infatti, racconta che: "Al corso, i ragazzi di Uber raccomandano di rispondere ad almeno il 90% delle chiamate, di non telefonare al cliente a meno che non sia necessario, e di essere prudenti: «Quando credete di aver individuato il passeggero chiedetegli come si chiama. Solo a quel punto fatelo salire. Non date troppo nell'occhio»". Anche se di vigili il neo autista Uber non ne incontra e i tassisti non mostrano evidenti segnali di aver individuato un concorrente, le precauzioni non sono mai troppe: "È meglio se fate sedere i passeggeri accanto a voi" avrebbe consigliato Uber agli aspiranti driver Pop. E tra i tanti clienti salta fuori un francese che vuole pagare in contati. Un pericoloso passo falso dal quale il giornalista si tiene a debita distanza poiché potrebbe anche essere una trappola dei vigili per cogliere il conducente in flagranza. Tra l'altro, specifica il giornalista, "in auto non avvengono scambi di denaro o transazioni". Uber preleva direttamente il costo della corsa dalla carta di credito del cliente e ogni settimana paga il driver con un bonifico. E qui arriva il momento di fare due conti sui soldi che il conducente ha guadagnato in una giornata con UberPop.

IL RESOCONTO DELLA GIORNATA
Le 8 ore di guida per portare a termine 9 corse si fanno sentire a fine giornata, tant'è che gli effetti sul fisico sono l'unica evidenza lampante del resoconto giornaliero, poiché di soldi ancora non ce ne sono sul conto (come detto Uber li accredita ogni settimana). Facendo qualche considerazione, però, non sembra che il conducente UberPop abbia tratto chissà quale profitto. Anzi, se è stato bravo a tenere uno stile di guida parsimonioso, forse può anche coprire il costo dell'auto per il servizio offerto. A fine giornata il giornalista considera un incasso di 61 euro, dal qual bisogna sottrarre circa 12 euro come commissione a Uber Italia. Tra qualche giorno, quindi, al giornalista saranno accreditati circa 48 euro sulla sua carta di credito, ma intanto ha speso 11 euro di gasolio per percorrere 100 chilometri.

E' DIFFICILE ARRICCHIRSI CON UN RIMBORSO SPESE
Ne consegue che per ogni chilometro percorso l'autista Uber Pop incasserà 0,48 euro, che sono praticamente gli stessi soldi che le tabelle ACI attribuiscono al costo chilometrico (circa 0.5 euro) di un'Alfa Giulietta 1.6 JTD m-2 da 105 cv Euro 5 (la nostra prova su strada) che percorre 15 mila chilometri l'anno, quale rimborso spese. Allora vi riproponiamo una dichiarazione estratta da una recente intervista di SicurAUTO a Benedetta Arese Lucini, general manager Uber Italia, sulle sanzioni e sul presunto profitto illecito dei conducenti, tanto temuto da taxi e Comuni: "Mi sembra si colpisca con una sanzione davvero dura persone che danno il loro contributo alla mobilità di città sempre più intasate. Persone che lo fanno per sostenere i costi di gestione della propria auto in un momento economicamente difficile. Se gli utenti di Uber sono persone che magari la macchina non la possiedono, i driver di UberPop sono persone che la devono possedere per lavoro e per le necessità della propria famiglia."
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:34 am

???

Inchiesta: chi ha ragione su Uber
da Paolo Morelli -
18/02/2017

http://www.thelastreporter.com/inchiest ... ne-su-uber

Uber è legale o no? C’è una guerra in atto alla app statunitense, sia in Italia che all’estero, ma proviamo a capire come stanno le cose.

Per parlare di Uber è necessario iniziare dalla fine. Ieri, a Torino, si è svolta la manifestazione nazionale dei tassisti contro Uber, che si è conclusa con un’audizione presso l’Authority dei Trasporti, accompagnata, però, da un tentativo di sfondamento da parte dei manifestanti e da episodi poco entusiasmanti anche nei confronti dei media. Uber, dal canto suo, non è rimasta a guardare, e mentre i tassisti scioperavano, ieri, ha abbassato le tariffe del 20%.

Gli atti intimidatori.
Chi se la passa peggio, però, sono gli autisti di Uber, che spesso vivono nel terrore, mentre alla manager di Uber Italia, Benedetta Arese Lucini, è stata assegnata una scorta a seguito delle numerose minacce ricevute. Prima di andare ad analizzare come stanno le cose, è necessario tenere bene a mente la violenza verbale e fisica operata dagli oppositori di Uber – che in molti casi sono tassisti.

La sentenza di Genova.
Verso la fine di gennaio, a Genova sono stati fermati 5 autisti di Uber, ai quali è stata ritirata la patente e sequestrata l’auto. I vigili urbani hanno contestato la violazione dell’articolo 86 del Codice stradale, che disciplina il “servizio di piazza”, cioè il servizio di trasporto operato dai taxi con regolare licenza. Gli autisti, assistiti dai legali di Uber, hanno fatto ricorso al Giudice di pace e hanno vinto. Uber non compie un servizio di piazza, le patenti sono state restituite, così come le auto, e le sanzioni sono state annullate in quanto non c’è esercizio abusivo della professione.

La prossima settimana sarà pubblicata la motivazione, che comunque non fa Giurisprudenza (quindi non influisce ufficialmente sull’interpretazione della Legge) ma è sicuramente da tenere in considerazione nell’ottica della regolamentazione del mercato. Semmai, a Uber potrebbe essere contestata una violazione dell’articolo 85, che disciplina il noleggio auto con conducente (NCC) e si distingue dal servizio di piazza e può ricevere prenotazioni solo nella propria autorimessa, dove le auto “scariche” hanno l’obbligo di stazionare. Quello che preoccupa, e che non va dimenticato, è la minaccia di Valerio Giacopinelli, socio della Cooperativa Radio Taxi: «Questa sentenza avrà delle conseguenze. E nel futuro potrebbero verificarsi problemi di ordine pubblico che coinvolgeranno non soltanto la nostra categoria ma anche gli autisti Ncc». Un’affermazione grave, soprattutto alla luce di quanto accaduto ieri a Torino.

La differenza tra taxi e NCC.
Intanto, però, è necessario fare chiarezza. La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 13 febbraio 2014, ha stabilito una netta differenza tra i due servizi: le corsie preferenziali e gli “stalli”, cioè i luoghi di stazionamento pubblico delle auto, sono accessibili esclusivamente ai taxi. Questi ultimi operano un “servizio di piazza”, che è così definito: «il vettore si mette a disposizione di un’utenza indifferenziata (individuale o piccoli gruppi) con lo scopo di soddisfarne le esigenze di trasporto». Quello che si contesta di più, però, è il nuovo servizio di Uber, Uber Pop.

Come funziona UberPop.
Attraverso il portale di Uber, è possibile registrarsi e chiedere di diventare un autista Uber Pop. Ci sono requisiti precisi, tra cui la fedina penale pulita e un’auto di proprietà non più vecchia di 8 anni. Il servizio è molto simile a quello dei taxi, ma parte da un concetto diverso: con Uber Pop non porti a casa uno stipendio ma ti paghi le spese dell’auto. Come ha raccontato Andrea Rossi su La Stampa, un’intera giornata di “lavoro” per Uber Pop, al netto del carburante e del 25% riservato a Uber, fa guadagnare all’autista circa 40 euro. È chiaro che con una cifra del genere non è possibile portare a casa uno stipendio sensato, a meno di non restare in giro tutti i giorni, ma questo andrebbe a contravvenire lo spirito originario del servizio, cioè il «pagarsi le spese».

L’utente scarica la app e si registra, seleziona il percorso e indica la propria posizione di partenza, la prima auto nei paraggi disponibile accetta il passaggio, sempre tramite la app, e si presenta all’appuntamento. Il percorso e il prezzo sono stabiliti a priori e si paga con carta di credito, tutto in automatico, non c’è alcuno scambio di contanti. Le tariffe sono inferiori a quelle dei taxi, ed è il motivo principale per cui questi ultimi accusano Uber di concorrenza sleale. Le associazioni di taxisti, infatti, denunciano che i loro prezzi sono influenzati dalla tassazione al 55%.

E con l’assicurazione come la mettiamo?
Dal punto di vista assicurativo, gli autisti di Uber sono in regola. Come spiegano da una filiale torinese di un grande gruppo assicurativo: «la polizza copre automaticamente tutti i passeggeri, siano essi amici, parenti o sconosciuti. Essendo un’auto privata, in caso di incidente non siamo tenuti a sapere chi fossero le persone a bordo. Il problema normativo non c’è, sicuramente si pone un problema deontologico, anche perché i tassisti hanno un tipo di polizza diverso che costa molto di più di una normale RCA». Con UberPop, l’utente chiede un passaggio e paga un “rimborso” a chi lo accompagna, è un po’ come pagare la benzina a un amico che ti accompagna l’aeroporto, ma Uber è un’azienda.

Sullo stesso concetto si fonda un altro notissimo servizio di car pooling, Bla Bla Car. In questo caso, però, non si sono sollevate proteste, anche perché Bla Bla Car è dedicato principalmente a tragitti extraurbani percorsi da privati che, per dividere le spese, trovano, attraverso il sito web, persone che devono percorrere tragitti simili e che contribuiscono a coprire i costi del viaggio. Inoltre, gli autisti di Bla Bla Car non attendono chiamate, si tratta di privati cittadini che “chiedono” se qualche altro utente abbia bisogno di un passaggio per andare verso una certa direzione, quindi il meccanismo è inverso. Anche in questo caso, comunque, l’assicurazione copre i passeggeri senza problemi. Tornando a Uber, poi, l’azienda garantisce la copertura assicurativa per tutti i danni non coperti dall’assicurazione privata dell’auto.

Ok, ma il Codice della strada?
Stando al Giudice di pace di Genova, Uber non viola la norma che disciplina il servizio di taxi «Il nodo della questione – spiega un avvocato torinese specializzato nel Codice della strada – sta nel numero di passaggi che una persona dà. Se la cosa è occasionale non ci sono problemi, però se vado a promozionare questi passaggi posso violare delle norme di carattere amministrativo». Dove sta il limite tra il car pooling (cioè i passaggi dati a seguito di un rimborso) e il servizio taxi? È questo il nodo da sciogliere. «Fare pubblicità e mettere in piedi un’azienda basata su queste attività – continua l’avvocato – viola regole di carattere amministrativo, perché Uber non si interfaccia con l’amministrazione che regola il trasporto». In questo momento gli autisti di Uber non possono essere sanzionati perché mancano le norme. L’azienda, però, deve interfacciarsi con l’amministrazione pubblica per chiarire la propria posizione, cosa che sta, in effetti, facendo.

Il Ministero dei Trasporti dovrà decidere se Uber può esercitare senza autorizzazioni o se deve richiederle. Nel momento in cui, però, il servizio dovesse essere dichiarato illegale, lo Stato dovrà sanzionare anche gli utenti che utilizzano la app, perché se il servizio è illegale allora ne è illegale il suo utilizzo. Una prospettiva poco praticabile (si possono controllare tutti gli smartphone?). Uber ha evidenziato un problema nel settore del trasporto italiano, già emerso in occasione delle liberalizzazioni delle licenze ai taxi. «Il mercato non è libero – conclude l’avvocato – perché le licenze sono contingentate e concesse dai comuni, in questo settore non si può parlare di libera concorrenza, perché per Legge non è prevista».

L’authority dei trasporti.
Andrea Camanzi è il Presidente dell’Autorità di regolazione dei Trasporti, istituita nel 2013, che ha sede a Torino. È il luogo in cui ieri sono state audite le sigle sindacali, che hanno fatto saltare il banco non appena Camanzi ha nominato Uber. Per i taxisti, Uber è illegale e non va nemmeno convocato, ma l’intenzione dell’authority è quella di sentire tutti gli attori del mercato, per poi fornire un rapporto dettagliato al Ministero, che agirà di conseguenza.

«Il tema della legittimità della piattaforma – ha dichiarato Andrea Camanzi a fine gennaio – dipende da come questa soluzione tecnologica viene utilizzata. Se essa viene adoperata come piattaforma di prenotazione, è necessario armonizzare la legislazione vigente con l’avvento delle nuove tecnologie. Diverso il caso di servizi, come Uber Pop, in cui si offrono trasporto di cortesia per finalità semi-commerciali. In questa circostanza è evidente che si pone un problema di sicurezza che dev’essere garantita al cittadino». Il Ministro dei Trasporti Maurizio Lupi si è più volte espresso contro Uber, dichiarandolo illegale e «da contrastare».

Libera concorrenza in libero Stato.
La questione è un’altra: bisogna davvero contrastare Uber? Il Ministero rischia di trovarsi di fronte a un bivio di ben altra caratura. Si può aprire alla libera concorrenza nel settore del trasporto pubblico non di linea? O meglio: si possono liberalizzare le licenze dei taxi? Finora, la risposta – anche dei precedenti governi – è stata più no che sì. Di fatto, si tratta di un settore – al pari delle sigarette o delle tabaccherie – dove la libera concorrenza non è prevista.

L’anno scorso, però, l’Antitrust si era espresso a favore di Uber e dei servizi di NCC, in quanto le «nuove app» migliorano l’incontro tra domanda e offerta nel settore dei trasporti non di linea, ma ammoniva dicendo che fosse necessario «eliminare le distorsioni concorrenziali nel settore degli autoservizi di trasporto pubblico, causate dall’esclusione dei taxi e del servizio di Noleggio auto con conducente dall’applicazione delle norme di liberalizzazione». Il problema va oltre Uber, lo Stato ha una grana molto più grossa, che riguarda le liberalizzazioni.

Il ddl Concorrenza.
Come ha ben ricostruito Formiche.net, è ora in discussione un disegno di legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere portato tra due giorni in Consiglio dei Ministri. Nella bozza, che coinvolge principalmente il Ministero dello Sviluppo Economico, ci sarebbe una modifica che farebbe tirare un sospiro di sollievo a Uber: verrebbe infatti abrogato l’obbligo per le vetture NCC di ricevere prenotazioni solo presso l’autorimessa, sanando di fatto il limbo creato dalla app di Uber Pop, che consente di prenotare via smartphone (anche perché, per Uber Pop, l’autorimessa non esiste).

Secondo quanto dichiarato a Formiche.net da Francesco Artusa, presidente dell’Associazione NCC, il ddl andrebbe ad abrogare alcune norme introdotte dalla precedente riforma semplificando leggermente la vita agli NCC, ma sarebbe comunque insufficiente. «Si creino leggi differenti per i due comparti – ha spiegato – perché non è possibile che una categoria possa dettare legge sul regolamento della sua categoria concorrente». Probabile, quindi, che il Governo intervenga, in prima battuta, non per legalizzare o punire Uber, quanto per cercare di liberalizzare il comparto del trasporto, recependo quindi le indicazioni dell’Antitrust.
Federica_Guidi

Qualche esempio estero.
Uber Francia ha denunciato il governo francese alla Corte europea di Bruxelles. I nostri vicini di casa hanno intrapreso proteste simili a quelle italiane ma il Ministero dei Trasporti ha fatto approvare una legge per mettere fuorilegge Uber in tutta la Francia, sebbene Uber Pop stia continuando le proprie attività. Se Bruxelles dovesse esprimersi a favore di Uber, potrebbero esserci ricadute anche sugli altri stati membri, inclusa l’Italia.

Caos anche in Canada, dove il governo si sta muovendo per contestare a Uber l’esercizio abusivo del servizio taxi. In India, invece, Uber ha da poco introdotto un pulsante per le chiamate di emergenza a seguito di un presunto stupro, avvenuto a dicembre 2014, ai danni di una donna di Nuova Delhi, da parte di un autista di Uber Pop.

Il cliente ha sempre ragione?
In generale, assistiamo a una guerra contro l’azienda statunitense, mossa prima di tutto dai tassisti (comprensibile), ma che spesso trova impreparati i governi. Uber ha sollevato una questione importante: è normale che nel trasporto pubblico non di linea non ci sia libera concorrenza? Per gli utenti, sembra proprio di no. La situazione, che sta degenerando, impone un intervento preciso dello Stato, non per reprimere Uber ma per aggiornare la Legge ed eliminare questo enorme vuoto normativo, regolarizzando il crescente fenomeno della sharing economy, cioé la condivisione di un bene proprio con altri che ne usufruiscono, a cominciare dai trasporti. Al momento, quindi, non si può dare ragione né a Uber né ai tassisti, sebbene l’utenza abbia già scelto da che parte stare, e questo non può essere ignorato.



UBER pop è una forma di caporalato che aggira le legislazioni sul lavoro dipendente e su quello indipendente delle Partite Iva, andrebbe reso illegale per violazione di una molteplicità di leggi e per concorrenza sleale
https://it.wikipedia.org/wiki/Caporalato
https://it.wikipedia.org/wiki/Concorrenza_sleale
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:35 am

UBER pop è una forma di caporalato che aggira le legislazioni sul lavoro dipendente e su quello indipendente delle Partite Iva, andrebbe reso illegale per violazione di una molteplicità di leggi e per concorrenza sleale
https://it.wikipedia.org/wiki/Caporalato
https://it.wikipedia.org/wiki/Concorrenza_sleale



Il tribunale di Milano ha respinto l’istanza di sospensione del blocco del servizio UberPop presentata dalla multinazionale americana dopo il provvedimento di inibitoria del servizio dello scorso 26 maggio per concorrenza sleale nei confronti dei taxi. La società deve disattivare il servizio entro oggi.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ABShZrvD

La risposta di Uber
Il commento di Benedetta Arese Lucini, General Manager di Uber Italia, è affidato a una nota: «Siamo dispiaciuti per la decisione del giudice di non permettere che UberPOP continui a operare tra oggi e il 2 luglio, quando ci sarà la prossima udienza. Ovviamente la rispetteremo, ma continueremo a batterci legalmente affinché le persone possano continuare ad avere un'alternativa affidabile sicura ed economica per spostarsi in tante città. E perché non venga negata a migliaia di driver una risorsa economica.
Moltissimi nelle ultime settimane ci hanno sostenuto, cittadini, opinion leader, associazioni di consumatori. È la dimostrazione che il nostro servizio è amato, proprio perché utile e decisivo per la mobilità cittadina. E anche l'Autorità dei Trasporti ha chiarito ancora una volta la necessità di una nuova regolazione per servizi innovativi come il nostro. Ora tocca alla politica portare l'Italia verso l'innovazione, prendendo le decisioni necessarie per permettere la mobilità del futuro».

Tassisti soddisfatti
«Siamo estremamente soddisfatti per la decisione di quest'oggi. Non ci sono più alibi, è la seconda volta in sole due settimane che il Tribunale di Milano ordina al Gruppo Uber di bloccare l'attività Uber-pop per concorrenza sleale, precisando anche che avrebbe dovuto farlo sin dal 26 maggio scorso». Così gli avvocati Marco Giustiniani, Nico Moravia, Giovanni Gigliotti dello Studio Pavia e Ansaldo e il legale Alessandro Fabbi, che rappresentano le associazioni di categoria dei tassisti, hanno commentato la decisione del Tribunale milanese

La sentenza
Lo scorso 26 maggio il Tribunale di Milano aveva accertato la «concorrenza sleale». Il servizio UberPop, che consente a chiunque di diventare tassista, ha determinato «un vero e proprio salto di qualità nell'incrementare e sviluppare il fenomeno dell'abusivismo», scriveva il giudice nell'ordinanza con cui ha sospeso il servizio. «Prima dell'introduzione di tale app - viene spiegato nell'ordinanza - i soggetti privi di licenza avevano un circoscritto perimetro di attività e di possibilità di contatto con gli utenti - sostanzialmente a livello di contatto personale - mentre UberPop consente in tutta evidenza un incremento nemmeno lontanamente paragonabile al numero di soggetti privi di licenza che si dedicano all'attività analoga a quella di un taxi e parallelamente un'analoga maggiore possibilità di contatto con la potenziale utenza, così determinando un vero e proprio salto di qualità nell'incrementare e sviluppare il fenomeno dell'abusivismo».

Che cos’è Uber Pop
UberPop è uno dei servizi messi a disposizione dall’azienda di San Francisco. Il servizio più innovativo, probabilmente, perché trasforma in autista chiunque. Originariamente Uber offriva servizi di trasporto con auto guidate da autisti professionisti. UberPop è stato il passaggio chiave che, in pratica, ha fatto esplodere la App, trasformando un'intuizione in un'azienda che vale oltre 40 miliardi di dollari.

I consumatori con Uber
Il Codacons ha subito commentato che questa conferma è una notizia negativa per i consumatori. Ieri all’udienza per discutere sulla richiesta di sospensiva è intervenuta anche l'associazione dei consumatori, Altroconsumo, che ha dato il suo appoggio formale al reclamo di Uber. Dalla parte dell’azienda si era pronunciata nei giorni scorsi anche l'Autorità di Regolazione dei Trasporti, che ha inviato a Parlamento e Governo una segnalazione che mira a modificare i trasporti pubblici non di linea, settore nel quale rientrano con prepotenza i servizi offerti dalla società californiana.



UBER : il grande inganno
Riccardo Orlando

http://taxiblu.it/cms/uber-grande-inganno

Per comprendere a fondo la vicenda Uber è necessario conoscere la legislazione che regola e differenzia il servizio di noleggio con conducente dal taxi.
Il taxi si rivolge ad una clientela indifferenziata, lo stazionamento avviene in un luogo pubblico e le tariffe sono determinate dall’amministrazione, che stabilisce anche la modalità del servizio.
Il noleggio con conducente si rivolge ad un’utenza specifica che avanza presso la sede del vettore apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo o a viaggio, e lo stazionamento avviene all’interno delle rimesse.
Così recita la legge 21/92, seguita nel 2008 dal decreto legge 30/12/2008 n. 207 art 29 comma 1-quater il quale specifica in maniera ancora più dettagliata le modalità di svolgimento e le sanzioni. *
*(Le nuove disposizioni introdotte dal 29 comma 1-quater sono state oggetto di plurime sospensioni da parte di successivi decreti legge, in particolare l’art. 7-bis comma1 del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, in seguito con l’art. 23, comma 2, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 per ultimo l’art. 5 comma 3 del d.l. 30 dicembre 2009 n. 194 che proroga la sospensione al 31
marzo 2010.)
Nessun altro rinvio ha più fatto riferimento al differimento, ne consegue che a decorrere dal primo di aprile del 2010 le modifiche introdotte dall’art. 29 comma 1-quater sono entrate in vigore, come spiega incontrovertibilmente la sentenza della Sezione II, 4 settembre 2012, n. 7516 del TAR del Lazio.
Questo segna un punto fermo, ossia, la legge 21/92 ha subito varie modifiche negli anni, come abbiamo visto nel 2008 con la 29 1-quater, ma anche nel 2012 con il cosiddetto cresci Italia.

Perché questa premessa?
Perché in questi ultimi mesi noi tutti abbiamo sentito, come fosse un mantra, tre concetti che un dipendente di Uber ha ripetuto fino alla noia:
la legge 21/92 è vecchia, l’art. 29 1-quater non è in vigore e soprattutto la 21/92 non contempla l’avvento della tecnologia.

Ora i primi due punti sono destituiti da ogni fondamento, come abbiamo visto in premessa, ma è l’ultimo che mi ha, fin dalla prima volta che lo ho sentito, come dire…solleticato, perché questa argomentazione, che è stata utilizzata anche da politici ed amministratori, è totalmente ridicola sbagliata e pericolosa.

Un esempio?
La legge Merlin è del 1958, quindi secondo questi fini pensatori ora che la tecnologia è arrivata posso gestire una casa chiusa con una App?
O peggio mi posso attrezzare per gestire la raccolta di pomodori con un’applicazione?
(caporalato tecnologico).

Come potrete leggere nell’articolo su Bruxelles, presente nell’ultimo numero del nostro magazine, il modo di operare di Uber è simile in tutta Europa, ma quello che emerge con chiarezza dall’articolo è che le reazioni della classe politica sono differenti.
E non solo i nostri politici si sono dimostrati svogliati e un po’ pigri nel prendere posizione, ma una volta assunta, allorquando il Ministro Lupi e il Governatore Maroni hanno parlato di Uber pop illegale, è rimasta lettera morta.
Onestamente se fossi un politico che chiede il rispetto delle leggi, e dichiara il servizio di un’azienda illegale, sarei alquanto stupito ed irritato nel constatare che quest’ultima continua imperterrita ad operare.
Bisogna però che sia i politici che l’opinione pubblica come anche noi tassisti, si comprenda che il trasporto pubblico non di linea, è regolamentato, in ogni parte del mondo, sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per quanto riguarda le tariffe, non per salvaguardare gli operatori, ma per garantire gli utenti, che hanno il diritto, essendo il nostro un servizio pubblico, di avere la certezza della tariffa e la certezza del servizio.
E’ talmente vero che i comuni e le amministrazioni non marginano sulle corse, e non modificano le tariffe in base a domanda e offerta, perché giustamente l’utenza pretende chiarezza e trasparenza.
Parlano di concorrenza, ma fino all’avvento di Uber l’utente poteva scegliere tra il taxi, con le tariffe stabilite dalle amministrazioni, oppure rivolgersi ai noleggi con conducente, i quali correttamente contattati dall’utilizzatore, soddisfacevano uno dei capisaldi della concorrenza, l’asimmetria informativa, cioè il cliente poteva scegliere il noleggiatore che riteneva soddisfare maggiormente le proprie necessità, non ultima quella del prezzo.

Uber cosa fa? Elimina totalmente questa facoltà del cliente dandogli la finta sensazione di essere lui a scegliere, in realtà non contratta mai il prezzo ma anzi è proprio Uber stessa che modifica la tariffa a proprio piacimento in base a parametri fumosi, quindi cosa vuole fare Uber portare concorrenza o sostituirsi al regolatore pubblico?

Parlano di costi, ma credo che anche un bambino comprenda che se tra l’offerta e la domanda c’è un terzo soggetto che margina il 20% il risparmio non ci può essere.
Insomma si fanno passare per i paladini del libero mercato, in realtà sono esattamente come i caporali presenti per la raccolta dei pomodori, tu lavori io guadagno.
E questo succede perché l’obbiettivo principale di Uber non è quello di soddisfare l’utenza o gli operatori del servizio, ironicamente chiamati partner, ma il soddisfacimento degli azionisti.
In se questo non è un male, anzi, ma lo diventa quando si tratta di un servizio pubblico, e quando il nuovo soggetto che entra nel mercato non rispetta regole di nessun tipo generando una concorrenza sleale.
Provate a pensare se le regole di Uber fossero applicate alla sanità o alla scuola, più esami clinici i pazienti richiedono più costano, più una lezione è richiesta e più ti faccio pagare, ma non in una sana concorrenza tra ospedali o scuole, basata su qualità e competenza, no, in una sorta di monopolio dove io decido i prezzi io decido le regole io margino e gli altri lavorano.
C’è da stupirsi? No davvero, sappiamo tutti dell’alta considerazione che il CEO di Uber (quello che conta, quello americano) ha del mondo del taxi, e del mondo del lavoro in generale.
Chiaramente, ragionando con questa logica, la presentazione di Uber pop era solo una questione di tempo, ed infatti ecco arrivare la quintessenza dell’illegalità, privati che senza titolo trasportano persone con auto immatricolate per uso proprio con assicurazioni che non coprono i sinistri senza iscrizione all’Inail, Inps camera di commercio e partita iva.
I dipendenti di Uber Italia, ora promuovono l’idea di un servizio di privati tra privati, quasi fosse un’associazione culturale o di solidarietà, parlano di rimborso spese, e tabelle ACI.
La realtà è ben diversa, come la cronaca nera di Milano ci ha insegnato. Chiami uber black arriva uber pop, con tutto il corollario che ne consegue, vuoi un’auto blu e ti arriva un’utilitaria, richieste di 20 – 30 euro per corse di pochi chilometri (peraltro in nero) insomma l’opposto di quello che pubblicizzano.

Per comprendere il potere della comunicazione, di come la utilizzano, di come intendono la concorrenza ed il rispetto delle regole e di come riescano a manipolare la verità, basta leggere i blog o i redazionali che molti giornali hanno fatto, trasmettendo alle persone un concetto semplice, semplice, ABBASSO LE LOBBY.

Ora noi saremo anche dei “asshole” come ci ha definito il CEO (quello che conta quello americano) ma non certo stupidi, credo quindi che la domanda che tutti si dovrebbero fare è: sono più lobby dei lavoratori che senza sovvenzioni, senza tutele facendo davvero gli imprenditori con i propri soldi sono riusciti per esempio a mettere in piedi centrali radio delle dimensioni di quelle milanesi, dando lavoro diretto a circa 200 dipendenti, e procurando lavoro a circa 4200 tassisti, investendo in proprio (e parlo solo per Taxiblu) circa 4.000.000 di € in innovazione negli ultimi 5 anni, pagando le tasse in Italia, (i soli tassisti Milanesi versano all’erario tra imposte dirette indirette ed accise circa 60.000.000 di €, mentre per esempio Google uno degli investitori di uber circa 1.800.000) oppure chi da dipendente senza avere investito nemmeno un euro beneficia di capitali che arrivano da società come: Google, Goldman Sachs, Lowercase, Benchmark, Menlo, First Round, capitali in parte sottratti alla tassazione, senza rischiare nulla e cercando di moltiplicarli sempre evitando di pagare le tasse nei paesi dove producono reddito?

Credo che la risposta sia di un’evidenza cristallina. Sono convinto che noi siamo l’avanguardia di una guerra che finirà per toccare tutti i settori del mondo del lavoro, portata avanti con una strategia cara agli antichi romani “dividi et impera”. Stanno cercando di farci fuori utilizzando il sostegno di parte dell’opinione pubblica imboccata e informata in maniera distorta, stanno cercando di dividerci al nostro interno, ma l’opinione pubblica deve comprendere che noi siamo solo i primi, che il momento in cui si prenderanno le assicurazioni su facebook o in qualunque social è vicinissimo, e anche lì verranno bruciate competenze e professionalità. Poi arriveranno i grandi gruppi professionali, quelli che fatturano 800 € l’ora e pagano i partner (!) 1.000 € al mese, fra 5 anni toccherà ai lidi, insomma dobbiamo essere consci del pericolo e bravi a comunicare all’opinione pubblica a cosa stiamo tutti quanti andando incontro.
Questo sarà il nostro futuro? Credo di no, mi guardo attorno e vedo segnali incoraggianti sia in Italia che in Europa, La Svizzera per esempio ha fatto un referendum poche settimane fa per alzare lo stipendio minimo garantito da 3.200 € a 3.900 €, mettendo in primo piano la dignità dei lavoratori anziché gli azionisti delle multinazionali, la Francia sta facendo una lotta feroce ai paradisi fiscali e alle scatole cinesi, qualcosa si muove anche in Italia, e in questo panorama noi possiamo diventare la coscienza critica, in che modo?
Svolgendo nel migliore dei modi il nostro lavoro, non dimenticando mai che è un servizio pubblico, guardando ai nostri clienti come ai nostri migliori alleati, alzando la qualità del servizio, diventando veicolo informativo del pericolo a cui tutti i lavoratori vanno incontro, difendendo con dignità ed orgoglio il nostro lavoro, quello dei nostri dipendenti, e salvaguardando il nostro vero capitale, i clienti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:35 am

Uber, la sharing economy ci toglierà dei diritti?

https://www.uritaxi.it/wpnew/tag/uberpo ... int-search

Un rischio serio sta interessando lo scenario di noi utenti e consumatori. Una serie di emendamenti presentata alla legge annuale sulla concorrenza, potrebbe dare libero sfogo ad un’iniziativa imprenditoriale, di grande impatto e forti polemiche: Uber. Io mi occupo di diritti e questo potrebbe sembrare un argomento di non mia stretta competenza. Ma se non altro anch’io sono una consumatrice e quindi giocoforza tirata in ballo. E poi qualsiasi ambito umano può essere interessato da argomenti che vanno a riguardare i diritti delle persone.

C’è il mio diritto ad essere tutelata dI fronte ai soldi che spendo, alle transazioni che eseguo ed ai servizi che utilizzo. Ma c’è poi tutta una serie di diritti, che relativamente alla partita Uber, riguardano una molteplicità di soggetti. Certamente c’è il diritto della multinazionale americana di fare affari… Business. Ma ciò non può soverchiare altro. Come il sacrosanto principio di pagare le tasse e, ai lavoratori, i contributi previdenziali, come tutti gli emolumenti che vanno versati in maniera corretta e senza scalzare obblighi a danno di altri o a loro beffa. C’è poi il diritto di certi lavoratori – o piccoli imprenditori che svolgono un servizio pubblico regolato, i tassisti, intendo – a non vedersi scavalcare dal potere soverchiante e preponderante di chi può attingere a una cassa sostanzialmente senza fondo.

Il Tribunale di Milano aveva stabilito delle regole, mettendo fuorilegge Uberpop, l’app che permette a tutti di trasformarsi in “improvvisati tassisti”. La senatrice del Partito democratico, Linda Lanzillotta, ha riaperto la questione, proponendo una soluzione di mezzo. Lanzillotta punta a una regolamentazione di Uberpop, “affermando che non rappresenta il diavolo” che è l’Antitrust a chiederci di fare qualcosa. Insomma Lanzillotta giustifica i suoi emendamenti all’articolo 50 del ddl Concorrenza con l’esigenza di regole in virtù di una concorrenza che “fa bene a tutti”.

In realtà il rischio è di legalizzare una situazione in cui gli utenti, che quotidianamente necessitano di mezzi pubblici per facilitare i loro spostamenti, vedano venir meno una serie di garanzie tipiche del servizio pubblico taxi, ovvero quello della tariffa dalla Pubblica Amministrazione, oppure, ad esempio, quello dell’accessibilità è (di questi giorni l’aumento di altre 20 vetture dedicate al trasporto di disabili nella città di Milano). E su questo punto anche organizzazioni di consumatori hanno fatto sentire le loro proteste.

Ma c’è di più. Sono pure in pericolo i diritti dei lavoratori, ai quali non vengono garantiti i contributi previdenziali. Uber e i suoi autisti non sono obbligati a pagare nessuna cassa. Se passasse una simile impostazione, il sistema nel suo complesso non reggerebbe. È facile credere che ciò verrebbe utilizzato anche in altri ambiti lavorativi, diventando un’ottima scappatoia per datori di lavoro senza scrupoli al fine di precarizzare all’eccesso i propri dipendenti e risparmiare sulla loro pelle. Tutto il sistema pensionistico potrebbe quindi essere a rischio.

La sharing economy – l’economia che parte da beni condivisi, quella che prende il via dal basso, dalla giusta esigenza degli utenti a risparmiare – doveva essere un’alternativa al capitalismo, inteso come quella forma che sfrutta il lavoratore abbagliandolo con la falsa speranza di un consumismo alla portata di tutti; si sta rivelando invece come un altro tipo di macchina per far soldi ad appannaggio di pochi.

Chi mette a disposizione gli strumenti per trasformare in pratica la sharing economy si trova, naturalmente, il coltello dalla parte del manico. Può agire in modo che a lui spettino lauti guadagni e sotto, agli utenti finali, un servizio che solo in principio dia l’impressione del risparmio, ma a scapito dell’impoverimento di altri, degli standard del lavoro e delle leggi sullo stesso, senza contare la generazione di un nuovo e più subdolo tipo di precariato.

Partendo dal concetto di sharing economy c’è il rischio di arrivare a formulare una nuova forma di sfruttamento; una sorta di caporalato 2.0 a danno soprattutto delle fasce deboli del lavoro, spinte ad accettare impieghi sottopagati e senza tutele. Proprio negli Stati Uniti e proprio in California, dove molti applicativi legati alla sharing economy sono nati e continuano a nascere, si sono registrati grossi problemi sul fronte del lavoro; Uber, per esempio, è già stata censurata da alcuni giudici del lavoro per aver trattato gli autisti come “indipendenti” e non come dipendenti.

Questo pericolo riguarda anche il nostro Paese, dove il dibattito mi sembra un poco confuso; tra chi è a favore di ogni forma di nuova economia della condivisione ed è visto come uno al passo coi tempi, e chi invece è critico ma è additato come passatista. Al contrario credo ci si debba fermare a riflettere e non dare libero sfogo a tutto questo attraverso qualche emendamento: una soluzione sbagliata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:36 am

I lavoratori di UBER cosa sono e che diritti e doveri hanno?


Gli autisti di Uber sono "lavoratori dipendenti"
29 ott 2016

http://franceschini.blogautore.repubbli ... dipendenti

Con una sentenza che può diventare un precedente legale per tutta l'economia dello stesso tipo, un tribunale di Londra ha stabilito che gli autisti di Uber (l'azienda americana con filiali in mezzo mondo che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un'applicazione software mobile) sono di fatto "lavoratori dipendenti" e perciò hanno diritto a un salario minimo e ferie pagate. È il primo caso legale in Gran Bretagna che chiama in causa il modello di business di molte piattaforme analoghe, che collegano lavoratori con clienti senza incorrere nelle spese di assumere direttamente i lavoratori medesimi. "L'idea che Uber a Londra sia un mosaico di 30 mila piccole imprese (quanti sono gli autisti di Uber nella capitale britannica, ndr.) collegati tra loro da una piattaforma comune è leggermente ridicola", afferma il giudice Anthony Snelson nella sentenza, che il Financial Times definisce "una vittoria per i diritti dei lavoratori".


Uk, gli autisti di Uber hanno diritto a ferie e salario sindacale
Leonardo Maisano 28 ottobre 2016
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ADELFMlB

Londra - Gli autisti di Uber hanno diritto a salario sindacale, vacanze retribuite e quant'altro spetta a un dipendente. A stabilirlo è una sentenza del tribunale di Londra che ha accolto il ricorso delle Unions mobilitate da due lavoratori che rivendicavano una condizione contrattuale che va al cuore del sistema creato da Uber e della cosiddetta sharing economy. La rete di taxisti occasionali che spopola da Londra e New York si regge proprio sul principio che gli autisti sono lavoratori autonomi e che per questo si mettono a disposizione del network con modalità e tempistica che essi stessi decidono. Tanto basta, secondo la società californiana, per definire un guidatore di Uber un lavoratore autonomo.

Il caso Foodora apre un nuovo scenario sul mercato del lavoro

La tesi è stata rigettata dai giudici di primo grado secondo i quali, invece, vanno considerati a tutti gli effetti lavoratori dipendenti e quindi titolati ad ottenere tutte le garanzie previste dal contratto nazionale di lavoro del settore. Un verdetto che rischia ora di fare scuola incrociando il cammino di realtà analoghe come Deliveroo, il servizio di consegna a domicilio esploso in mezzo mondo sulla scia di Uber. «La stragrande maggioranza degli autisti - ha commentato Jo Betram, manager di Uber nel Regno Unito -vuole mantenere la libertà di decidere quando e per quanto tempo lavorare, senza alcun obbligo contrattuale da lavoratore dipendente».

Il caso nasce dalla denuncia di due autisti secondo i quali Uber era in grado di esercitare un controllo sulle loro modalità di lavoro, creando un contesto più simile a quello di lavoro dipendente che autonomo. Tesi che, come detto, il tribunale ha riconosciuto essere valida. La parola ora va ai giudici d'appello ai quali il gruppo di San Francisco ha già fatto ricorso.


Ingannò i lavoratori: Uber condannata
Matteo Cavallito 20 gennaio 2017

http://www.valori.it/economia-solidale/ ... 16421.html

Uber dovrà versare 20 milioni di dollari di risarcimento complessivo ai suoi autisti per aver fornito loro false informazioni in merito alle prospettive di guadagno e di finanziamento dei veicoli. Lo ha stabilito l’esito conclusivo del patteggiamento tra il colosso della sharing economy (o gig economy, come ribattono i critici) di San Francisco e la Federal Trade Commission (FTC). Secondo quanto riferito da quest’ultima in una nota ufficiale, Uber avrebbe tentato di attrarre potenziali lavoratori diffondendo stime esagerate circa la redditività dell’impiego. La compagnia, in particolare avrebbe dichiarato sul proprio sito che i driver operativi a New York e a San Francisco raggiungevano un reddito mediano – il livello di retribuzione che divide la popolazione statistica in due sotto popolazioni di uguale numerosità – pari rispettivamente a 90 mila e a 74 mila dollari. I dati contrastano palesemente con le cifre reali, valutate, secondo la FTC, in 61 mila e 53 mila dollari.

Al centro della contesa anche il cosiddetto Vehicle Solutions Program, l’iniziativa della compagnia che dovrebbe consentire ai suoi autisti privi di un’automobile di finanziare l’acquisto di un veicolo o di ottenere un leasing. L’azienda, ricorda la FTC, aveva promesso di offrire ai suoi lavoratori “le migliori opzioni di finanziamento possibile a prescindere dalla loro storia creditizia”. Ma anche queste promesse si sarebbero rivelate false. Tra la fine del 2013 e l’aprile del 2015, riferisce ancora la FTC, il costo mediano delle rate di acquisto delle automobili sarebbe stato superiore ai 160 dollari alla settimana contro i 140 promessi dalla compagnia. Superiori alle cifre dichiarate anche i costi del leasing: oltre 200 dollari settimanali contro i 119 previsti.


???
“Noi autisti di Uber con la paga puntuale”
30 SETTEMBRE 2016
di Olga Mascol
http://nuvola.corriere.it/2016/09/30/id ... tisti-uber

Si può diventare autista Uber con una certa facilità: ci vuole un permesso conducente, un’auto berlina e la licenza NCC (noleggio con conducente). I vantaggi sono quelli del lavoro da mitteleuropa in su, con i pagamenti puntuali e gli orari di lavoro umani in relazione alle necessità economiche del driver. La licenza può costare dai 20 mila ai 30 mila euro di media, dipende dalla zona che si vuole coprire (si arriva fino ai 70 mila euro per Roma). La macchina si ottiene in leasing. Arif, pakistano, conosciuto durante la prova del servizio a Milano, ha un permesso di soggiorno in Italia da 10 anni e racconta di avere ritrovato la forza e voglia di andare avanti grazie al lavoro con Uber, dopo un lungo periodo di disoccupazione. “Avevo perso il lavoro, e sono stato fermo per un anno e mezzo: ho famiglia e per me non è stato facile. Ho deciso di mettermi alla prova con Uber. Ho studiato per prendere la licenza NCC e ho cominciato a lavorare come conducente”. Oggi guadagna 2500 euro netti al mese. Ma le storie dei driver di Uber sono tra le più variegate. C’è chi ha sempre lavorato per cooperative italiane e a un certo punto, stremato dall’irregolarità nei pagamenti, ha venduto l’anima a Uber. È questo il caso di Giuseppe, 54 anni, autista a Roma: “Con Uber i pagamenti sono puntuali, non lavoro tutto il giorno e definisco io le fasce orarie. Così è migliorata di molto la mia vita privata”. I clienti prenotano le corse attraverso una app e quindi è tutto tracciato: non c’è modo di evadere. Giuseppe guadagna 1800-2000 euro al mese, dipende dalle ore di lavoro. Parte da un anno di disoccupazione anche Maria, di Milano. “Prima lavoravo a Sky, come commerciale” racconta. “Ora lavorando 4-5 ore guadagno 2000 euro al mese”. Non è invalidante il fatto di essere donna, anzi: “I maschilisti ci sono sempre, ma la maggior parte delle volte per i clienti è meglio perché si sentono a loro agio”. E poi c’è chi lo fa per passione, per voglia di incontrare persone e non solo per guadagnare, ed è questo il caso di Amor El D. italo-marocchino laureato in relazioni internazionali, scrittore per varie testate in giro per il mondo e in varie lingue. “Sono un libero professionista, scrivo sui giornali di diplomazia culturale, parlo 4 lingue, francese, arabo, italiano, capisco lo spagnolo e mi esercito quando lavoro come autista: ho tutte recensioni buone”. Perché, da lato utente, tutti i driver vengono recensiti. Poi c’è Alessandro, 32 anni, romano, prima lavorava per il soccorso stradale, e ora guadagna 1000 euro netti a settimana. Uno stacco notevole nel cambio della qualità della vita. Ha speso per la licenza 70 mila euro, “è rientrato tutto in un anno”. Certo in Italia non c’è più il servizio Uber pop (sospeso a giugno 2015) che permette negli US (dove si chiama Uber X) anche ai privati cittadini, agli studenti e ai precari di arrotondare lo stipendio, spesso avendo una macchina normale. È vero però che in un mondo digitale e 3.0, i servizi alternativi a Uber fioriscono come funghi con nomi e facies diversi (i.e. Zego, Lyft, blacklane ecc): ma il senso è sempre quello. Offrire un servizio di trasporto non di linea. Un mondo in cui le licenze “chiuse” legate a un mestiere non hanno senso. Intanto in tutta Europa (tranne in Italia) Uber X ha sostituito Uber Pop: è richiesta solo la “licenza” al guidatore (diversa da quella italiana che è legata all’auto ed è “limitata”), che serve a certificare al cliente che il driver è un professionista. Qui in Italia non c’è nemmeno Uber X: mancano le dovute liberalizzazioni e manca anche una cultura alla liberalità. Alessandro, il conducente romano, dopo avere pagato 70 mila euro di licenza ammette: “Sono contro la liberalizzazione, perché ho investito dei soldi della licenza”. In Italia non c’è uniformità nel regolamento del trasporto pubblico non di linea (taxi, ncc), e la legge di riferimento è stata emessa ben prima dell’arrivo degli smartphone (legge quadro 21/1992). Da allora in poi qualcosa è cambiato con la riforma del Titolo V della Costituzione, grazie alla quale il trasporto è rientrato fra gli ambiti di disciplina regionale; nonostante ciò il quadro non è cambiato fino al 2006 con il decreto Bersani sulle liberalizzazioni, con cui gli enti locali possono adottare soluzioni diverse in relazione alle specificità territoriali. Da qui ci sono stati miriadi di provvedimenti regionali, ma nessun adeguamento all’esistenza di un mondo “digitale e 3.0” (a eccezione fatta per GPS e radiotaxi, in un sistema comunque chiuso, quello dei taxi).



Accordo Uber-autisti: un “piatto di lenticchie” da 100 milioni di dollari
di Antonio Aloisi , Valerio De Stefano
Un accordo extragiudiziale evita al colosso dell’economia on demand il processo contro i suoi ex lavoratori. Il risultato? Ora gli autisti sanno su cosa vengono valutati, possono chiedere la mancia e associarsi tra loro

http://www.linkiesta.it/it/article/2016 ... lari/30120

Colpo di scena: Uber e gli autisti americani che avevano portato la società in tribunale, asserendo di esser trattati come dipendenti e invocando i diritti conseguenti a tale status, potrebbero raggiungere un accordo. Se il deal andasse a buon fine, non si terrebbe l’udienza prevista per giugno e attesa dal 2013. Vista la posta in gioco, il contenuto di questa intesa – che deve comunque essere accettata e approvata in sede giudiziale – merita di essere indagato in profondità.

Soprattutto, per cominciare, bisognerebbe volgere lo sguardo alla “pistola fumante”. Se, infatti, la causa in corso di fronte al giudice Edward M. Chen fosse finita nel modo peggiore per Uber – vale a dire con una riclassificazione degli autisti uniti nella class action - si sarebbe rivoluzionato il modello di business che va per la maggiore nel segmento economico dell’on-demand economy: qualificare i lavoratori come autonomi per pagarne i servizi solo nel momento in cui effettivamente lavorano, risparmiando tutti o quasi tutti i costi legati a ferie, orari di lavoro, malattia, assicurazione e previdenza sociale.

Ma procediamo per gradi. Innanzitutto perché l’ultimo episodio pare inserirsi in una catena di eventi in cui può rintracciarsi una certa coerenza. L’accordo proposto da Uber arriva pochi mesi dopo quello raggiunto dal suo maggior competitor, Lyft, patrocinato dallo stesso avvocato. Sempre in queste settimane, AirBnB era alle prese con un’altra negoziazione. Obiettivo? Istituire un canale previlegiato per il reclutamento delle squadre di pulizie. La società di shared hosting intendeva impegnarsi a pagare i lavoratori non meno 15 dollari l’ora, rispettando dunque il livello di salario minimo che in molti negli Stati Uniti, specie tra le categorie meno protette, vorrebbero raggiungere. I vertici erano sul punto di stipulare un “accordo pilota” con uno tra i più grandi sindacati statunitensi (il Service Employees International Union) traendone ottima pubblicità – per AirBnB e per l’organizzazione dei lavoratori – e silenziando per un po’ le polemiche sui prezzi lievitati degli affitti e sul ruolo delle rendite nel mercato immobiliare. La firma dell’accordo è stata per il momento sospesa anche per via dell’opposizione di altri sindacati, che contestano in toto la disruption – secondo alcuni, si tratta di concorrenza sleale – che AirBnB porta nel settore alberghiero. Nessuna teoria complottista, nessun radicalismo da accademia. Eppure, dietro a queste tre iniziative – salutate con sentimenti contrastanti – sembra esserci una strategia chiara, certamente non perversa. I giganti della sharing economy (qualunque sia il senso di questa definizione) ambiscono ad accreditarsi non tanto presso il pubblico dei consumatori – dove già spopolano – ma principalmente agli occhi del regolatore.

Uber ha reso finalmente pubblica la policy di disattivazione degli account, finora arbitraria e confidenziale. Sembra un grande passo in avanti è in realtà la conquista della normalità

Veniamo ora alla proposta dello “storico” accordo tra Uber e le sue controparti. Se tutto filasse liscio, l’accordo varrebbe in California e Massachusetts nei confronti dei circa 385mila autisti ammessi alla class action: una bella vittoria del loro rappresentate, Liss-Riordan. Nel dettaglio, i punti più rilevanti dell’offerta sono sei. Li riassumiamo qui di seguito. In primis, gli autisti rimangono dei lavoratori autonomi e rinunciano alle pretese in tema di riclassificazione. Vedremo più in avanti come proprio questo punto sia al centro dell’accordo (ad ammetterlo è la stessa impresa in comunicato stampa). Intanto, lo scorso settembre Uber aveva inutilmente provato a escludere un numero consistente di questi autisti modificando le condizioni contrattuali. I giudici avevano comunque ammesso a partecipare all’azione di massa anche gli autisti (altri 160mila) che avevano iniziato a usare la piattaforma dopo la firma di una nuova clausola contrattuale che rimetteva le dispute ad una soluzione extragiudiziale (l’arbitrato). La nota del fondatore torna incidentalmente sul tema, ribadendo i risultati di un sondaggio condotto dalla stessa società e che vede il 90% dei rispondenti “desiderosi di non lavorare sotto un capo” (non solo: la maggioranza sarebbe entusiasta della flessibilità garantita dal servizio e dichiarerebbe di ricavare delle somme utili a integrare le finanze mensili con le proprie prestazioni saltuarie).

A seguire, Uber accetta di compensare i suoi “partner” con una somma ingente ma relativamente sostenibile per le sue casse: 84 milioni di dollari e altri 16 nel caso in cui la quotazione della società andasse a buon fine e la valutazione dell’azienda continuasse a crescere nei prossimi mesi. A colpo d’occhio, si direbbe una somma ragguardevole: 100 milioni di dollari, in potenza. Il blog TheRideShareGuy ha fatto i conti, tolto l’onorario dell’avvocato (un terzo della cifra certa, dunque 28 milioni di dollari) e divisa la somma restante per il numero dei ricorrenti, ad ogni “driver” toccherebbe un gruzzolo intorno ai 150 dollari. Si tratta di una cifra pro-rata, dunque i più assidui al volante avranno diritto ad un multiplo della cifra comunque difficilmente superiore a 8mila dollari, secondo i calcoli più generosi.

Due altre clausole dell’accordo sono state accolte molto positivamente dagli stessi lavoratori. Da un lato, Uber ha reso finalmente pubblica la policy di disattivazione degli account, finora arbitraria e confidenziale (in USA e in Spagna le nuove regole sono già consultabili). Laicamente, occorrerebbe ammettere che quello che sembra un grande passo in avanti è in realtà la conquista della normalità. Che i prestatori di un servizio possano conoscere le ragioni in base a cui il loro rapporto – quale che sia la natura dello stesso – possa essere sospeso o risolto è veramente il minimo sindacale. Finora questa materia era stata affidata all’esperienza degli autisti o al passaparola, si è detto che le regole non scritte circa la disattivazione dell’utenza fossero anche usate come minaccia implicita volta a promuovere certe pratiche (puntualità, cortesia, disponibilità) e inibire altre (ritardi, rifiuti, lentezze). Una delle maggiori cause di sospensione, com’è noto, è legata alla qualità del servizio reso – valutata dagli stessi consumatori con il sistema di rating per stelline (nel caso in cui le recensioni scendano sotto i 4,6 punti in una scala da 1 a 5, l’autista potrebbe perdere l’accesso al sistema). Uber fa di più, oggi rende visibili questi giudizi lasciati a fine corsa e informa i suoi partner che il calcolo si basa su qualche centinaio di prestazioni rese ed è rapportato alla qualità media del servizio reso in una certa città. Inoltre, Uber fa sapere che tiene in considerazione il tasso di cancellazione delle chiamate prese in carico e quello di accettazione delle richieste. Nulla di nuovo, i blog su cui gli autisti sono soliti scambiarsi dritte e consigli avevano già chiarito che l’“oscuro algoritmo” incaricato di quotarli tiene in conto queste due informazioni. Anche in questo caso, vista dal lato di chi è alla guida, si tratta di un meccanismo raffinato per applicare certe regole: nulla di illecito né di straordinario, ma condotte tipiche di un datore di lavoro “tradizionale”. Il documento rilasciato da Uber, su alcune delle cui clausole non insistiamo (si tratta di quelle volte a contrastare abuso di sostanze psicotrope, truffe e discriminazioni), si conclude con un’offerta di perdono. Per tornare a bordo, basterà dimostrare che ci si impegna a migliorare e che si è disposti a frequentare dei “corsi di recupero”.

Sempre in tema di valutazione, il gigante statunitense di qui a breve inaugurerà dei “comitati di pari” deputati a passare in rassegna i casi di disattivazione, ad oggi inappellabili. Anche in questo caso, si badi, siamo alle prese con un’innovazione positiva. Finora il percorso di espulsione aveva un che d’imperscrutabile, non era garantita possibilità di appello e l’esito era comunicato con una mail standard a cui non era dato rispondere. Da ultimo, Uber precisa che non disattiverà i profili dei suoi partner per così dire “pigri”, quelli – cioè – che hanno un basso tasso di presa in carico di commissioni. Il fondatore giustifica questa scelta con toni ilari: «we understand that drivers need breaks, and sometimes things come up—maybe a kid has gotten sick at school. When drivers aren’t available, we’d just ask they turn off the app» (“Capiamo che gli autisti abbiano bisogno di prendersi una pausa o che – magari – debbano correre a scuola perché i loro figli si ammalano. Quando non siete disponibili, spegnete l’app”).

Inoltre, Uber offre la propria diponibilità a sostenere gli autisti nella creazione di un’associazione tra colleghi (nulla a che fare con un sindacato, comunque). Tali “rappresentanze” saranno sostenute con le risorse della società e ascoltate trimestralmente con lo scopo di raccogliere lamentele e disegnare progetti di miglioramento. Con espressioni trionfali il comunicato stampa dell’avvocato degli autisti rende noto che, con l’accordo in tasca, le autovetture potranno finalmente dotarsi di cartelli che sollecitano le mance. Nei gruppi di driver, da mesi, è proprio questo il tema più caldo: la società si è rifiutata di aggiungere all’interfaccia digitale una schermata dedicata al “tipping” – consuetudine quasi obbligata e piuttosto lauta negli USA (spesso il 10 o anche 20 % della cifra totale). Anche in assenza di questa possibilità, i guidatori hanno congegnato forme supplici e creative allo stesso tempo (spillette ma anche cappellini o tappetini con l’immancabile hashtag #tipyourUberdriver). Molto si è detto su questa conquista, dalla criticità del valore di certe somme agli occhi di cittadini che a stento raggiungono compensi sopra la soglia del salario minimo (di per sé abbastanza basso negli Stati Uniti e oggi oggetto di una battaglia che si pone l’obiettivo di innalzarlo) ai frequenti rischi di discriminazione – dubbi che evidentemente hanno a che fare con la tradizione della mancia in generale.

Uber conserva la possibilità di mettere alla porta i suoi autisti e, ancora, ne le lega le sorti alle valutazioni dei clienti o ai tassi di reperibilità e disponibilità. Per converso, gli autisti continueranno a non poter negoziare liberamente i propri compensi, come pure ci si aspetterebbe da un libero professionista

Proviamo ora a dare un giudizio sui contenuti della proposta. Da un punto di vista eminentemente legale, non si ravvedono vincitori. Dal lato dei promotori della class action nessun tappo deve essere saltato al momento della finalizzazione dell’accordo. Le parole con cui il rappresentante degli autisti commenta la vicenda paiono inafferrabili: «questa causa, grazie alla transazione e all’attenzione tenuta alta, rappresenta un avvertimento a chiunque voglia fare il furbo e farla facile classificando la forza lavoro come autonoma». Questo è tutto da vedere!

D’altra parte, neanche Uber può festeggiare: l’accordo finirebbe per valere in due stati e non impedisce ad autisti fuori dalla California e dal Massachusetts di citare in giudizio la società (altre cause pendono davanti a giudici di Florida, Arizona, Pennsylvania). In più, un messaggio accomodante è stato recapitato all’indirizzo delle autorità legislative e regolatorie: Uber si dimostra disponibile a rinunciare a qualche privilegio che ascrive alla propria immaturità («Siamo cresciuti troppo e troppo in fretta», si schermisce l’amministratore delegato, ammettendo un approccio “shoot first and as later"). Tuttavia, un dubbio permane. Le scelte della società sembrano destinate ad accrescere il livello di confusione attorno al tema della classificazione dei lavoratori. È indubbio che una forza lavoro fatta esclusivamente di professionisti autonomi (i.e. autisti) contribuisca a tenere bassi i costi transattivi, ma la questione giuridica permane.

Il dato letterale di un contratto può essere smentito da una pronuncia giudiziale che prenda atto che – nella realtà – la prestazione si svolge in modo diverso da quanto originariamente pattuito perché, ad esempio, l’autonomia dei lavoratori rimane solo sulla carta. Su questi profili l’accordo nulla può, se non – per l’appunto – contribuire, grazie alle nuove regole, a infittire la coltre d’incertezza sullo status dei lavoratori. I chiarimenti in tema di disattivazione dell’account e la pubblicazione della policy di buona condotta complicano la revisione a cui sono solite ricorrere le corti che passano in rassegna, come detto, le circostanze pratiche e le prerogative del datore o committente. Più intrusivi sono i suoi poteri di dare direttive o istruzioni su come lavorare o di controllare come queste vengano rispettate, meno libero è il lavoratore da un punto di vista tanto organizzativo quanto economico, maggiore è la probabilità che un giudice etichetti quella relazione contrattuale come di tipo dipendente. Su questo tema il confronto in dottrina continuerà a essere acceso.

Va però detto questo: pur alla presenza di qualche aggiustamento, Uber conserva la possibilità di mettere alla porta i suoi autisti e, ancora, ne le lega le sorti alle valutazioni dei clienti o ai tassi di reperibilità e disponibilità – strumenti soft per monitorare il comportamento. Per converso, gli autisti continueranno a non poter negoziare liberamente i propri compensi, come pure ci si aspetterebbe da un libero professionista. È dunque un accordo al ribasso rispetto all’esito potenziale della controversia? Chissà. A detta di Liss-Riordan, legale degli autisti, la causa rischiava di chiudersi con un buco nell’acqua. Allo stesso tempo, il fatto che la questione sia stata transata e non decisa, lascia aperta la strada a ogni decisione in futuro. A conti fatti, il giudice che si vedrà notificato il prossimo ricorso avrà un precedente in meno e qualche grattacapo in più.


Quando nessuno ha un vero 'impiego', chi paga i contributi?
Jason Koebler
Dec 6 2016
https://motherboard.vice.com/it/article ... rio-minimo

Gli autisti Uber si sono uniti alle proteste per alzare il salario minimo negli Stati Uniti, ma cosa significa nel contesto della gig economy?

In 24 città diverse degli Stati Uniti, gli autisti Uber stanno protestando insieme ai lavoratori dei fast food, agli inservienti, al personale d'aeroporto e molte altre categorie professionali a basso stipendio, in accordo con il generale sciopero dei lavoratori "Fight for $15." Chiedono un aumento del salario minimo a 15 dollari l'ora, cosa che fa sorgere una domanda importante: guidare un'auto Uber è un "lavoro"?



http://www.cortedicassazione.it/cassazi ... _BUFFA.pdf


Per le donne lavorare in Uber deve essere un inferno
Alessandro Massone21 febbraio 2017
http://thesubmarine.it/2017/02/21/per-l ... un-inferno
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato

Messaggioda Berto » dom apr 09, 2017 7:36 am

Il vero obiettivo di Uber? “Creare un monopolio”
Alberto Annicchiarico 23 Febbraio 2017

http://www.econopoly.ilsole24ore.com/20 ... -monopolio

I taxi costano cari e i tassisti sono spesso al centro di aspre polemiche. Specie in questi ultimi giorni. E però, vediamo anche l’altra faccia della medaglia. Almeno proviamoci. In un articolo (parte di una serie) apparso su Naked Capitalism, di cui fornirò il link al termine di questo post, Hubert Horan, 40 anni di esperienza nella gestione e regolamentazione delle compagnie di trasporto (in primis aerolinee) ha cercato di dimostrare che Uber – la molto celebrata e altrettanto criticata società di San Francisco nata come frutto maturo della sharing economy e rapidamente trasformata nella startup più sostenuta di sempre dal venture capital (è stravalutata, circa 70 miliardi di dollari) – non è poi il toccasana che si vuole far credere, per un sistema dei trasporti urbani che voglia essere più efficiente. Né, soprattutto, che il successo di Uber abbia come obbiettivo quello di portare un contributo reale al benessere economico, inteso nel suo senso più generale.

Spiega Horan che Uber è di fatto un’azienda non redditizia, una startup che strutturalmente accusa perdite operative come nessun’altra prima. La capacità di Uber di sottrarre clientela agli operatori incumbent, i taxi, per intenderci, sarebbe dovuto, secondo Horan, al massiccio funding degli investitori. I passeggeri di Uber pagano soltanto il 41% del costo del viaggio, mentre i concorrenti della società fondata da Travis Kalanick devono caricare il 100% del costo sulle spalle del cliente. Una competizione “predatoria”, quella di Uber, secondo Horan.

Horan fornisce poi le cifre della struttura dei costi dell’industria dei taxi e sostiene che Uber ha costi ben più alti. Del resto non è un mistero che i massicci investimenti in decine di città del mondo abbiano prodotto per Uber una consistente perdita di bilancio, per oltre quattro miliardi complessivi, di cui più di due nel solo 2016.

La tesi dell’autore, in definitiva, è che Uber, tenuta in piedi dalle generose sovvenzioni degli investitori, non possa proprio generare utili in un mercato che sia realmente concorrenziale invece che drogato dal suo strapotere finanziario. Mica poco per un’azienda che si picca di essere altamente innovativa ma che, per dire, si è andata a schiantare in mercati in cui ha trovato competitor più agguerriti e veloci negli adattamenti al nuovo ecosistema, per esempio in Cina.

E perché mai Uber non ci tiene a essere competitiva? Perché, è la tesi centrale di Horan, il suo modello di business ha per obiettivo l’instaurazione di un monopolio. Un convincimento, quello del massimo ritorno in condizioni di monopolio, che ha fatto breccia nelle menti e nei cuori dei venture capitalist che hanno generosamente finanziato Uber. Nessuno degli investitori che hanno fornito una montagna di miliardi di dollari (13 quando è stato scritto il post di Horan su Naked capitalism) si sognava che quel denaro servisse a sbaragliare i concorrenti in condizioni di equa competizione (level playing field). Una volta distrutta la concorrenza e conquistato il mercato il piano sarebbe quello di tagliare prezzi e paga ai conducenti delle auto sotto il livello dei 12/17 dollari all’ora con cui vengono pagati gli operatori tradizionali del settore. Così sono buoni tutti, verrebbe da dire…

Anche perché, in condizioni di monopolio Uber potrebbe usare più facilmente la leva del surge pricing, il picco di prezzo utilizzato algoritmicamente (nella Silicon Valley qualcuno direbbe “magicamente”) quando sale la richiesta del servizio.

In definitiva, secondo Horan “il modello di business di Uber è interamente basato sul trasferimento della ricchezza da consumatori e fornitori ai miliardari” dell’industria hi-tech americana.

Una tesi radicale, che accusa anche i media di avere fatto il gioco di Uber, sbandierandone acriticamente la pretesa capacità di innovazione, senza porsi la questione di fondo: ovvero, se Uber sia realmente competitiva sotto il profilo dei costi e dell’efficienza e se il suo fine ultimo sia realmente beneficiare i consumatori invece che assicurarsi il dominio del mercato per poi agire indisturbata sul fronte delle tariffe. Perché, si chiede Horan, i più grandi quotidiani e le riviste specializzate hanno esaltato le gesta di Kalanick anche quando Uber ha palesemente violato le regole vigenti nei Paesi in cui è approdata, al solo scopo di mettere una parte consistente del trasporto urbano nelle mani dei suoi investitori?



Uber, il presidente si dimette dopo soli sei mesi
Franco Sarcina
2017-03-20

http://www.ilsole24ore.com/art/tecnolog ... m=facebook

Dopo soli sei mesi dal suo arrivo il presidente di Uber, Jeff Jones, ha rassegnato le dimissioni, annunciate prima da lui stesso a mezzo stampa e poi da uno stringato annuncio di un portavoce della società: «Vogliamo ringraziare Jeff per i suoi sei mesi nella nostra società e augurargli il meglio per il futuro».
Ma le dimissioni di Jones non sono le uniche: ha deciso di andarsene anche Brian McClendon, vicepresidente e uno degli ingegneri a capo del progetto di guida autonoma, arrivato alla società californiana da Google un paio di anni fa.

«Punti di vista incompatibili»
Jeff Jones ha spiegato in un intervento sul sito Recode le ragioni della sua decisione: «Sono entrato in Uber perché condividevo la sua missione, e la sfida di costruire capacità globali che avrebbero aiutato l'azienda a maturare e prosperare nel lungo termine. Ma è ormai chiaro che il mio punto di vista e l’approccio alla leadership che ha guidato la mia carriera non sono compatibili con ciò che ho visto e con la mia esperienza all’interno di Uber, e quindi non posso continuare a restare presidente della società».

L’addio di Jones non è avvenuto senza polemiche, come si deduce da un comunicato interno del ceo della società di San Francisco, Travis Kalanick, inviato via mail ai dipendenti: «Dopo che abbiamo annunciato la nostra intenzione di assumere un coo (Chief operating officer), Jeff è giunto a una decisione difficile. È un peccato che questa sia stata annunciata attraverso la stampa, ma ho pensato che fosse importante inviare a tutti voi una e-mail prima di fornire un commento pubblico».

Assunto per migliorare l’immagine della società
Secondo alcune fonti, tuttavia, il prossimo arrivo di un nuovo manager come coo non sarebbe la causa principale della scelta di Jones. L’ormai ex presidente avrebbe infatti capito durante il suo periodo a Uber come la situazione complessiva all’interno non sia affatto tranquilla, soprattutto considerando che Jones era entrato in Uber anche per cercare di migliorare l’immagine della società, appannata sia dalle dispute con i taxi tradizionali sia da altre vicende che invece sono accadute proprio nel periodo in cui Jones era operativo, come l’accusa di furto di proprietà intellettuali da parte di Waymo, una società di Google che lavora alla guida autonoma, o alcuni casi di «sexual harassment» (molestie sessuali) da parte di driver della società negli Stati Uniti.

L’esodo dei top manager Jones, 48 anni, proviene dalla società di commercio elettronico Target di Minneapolis, dove era chief marketing officer. Il suo ingresso ufficiale in Uber risale al 19 settembre scorso. Quando fu scelto da Kalanick, lo stesso ceo della società californiana aveva detto che Jones era la figura adatta per fondere le capacità operative di Uber con il marketing, e che era stato scelto anche per il suo «forte ethos».

Gli abbandoni di Jones e McClendon non sono gli unici ad aver recentemente colpito la società californiana: all'inizio del mese avevano rassegnato le dimissioni, tra gli altri, Ed Baker, vice presidente responsabile di prodotto e crescita, e Charlie Miller, uno dei principali ricercatori nel settore della sicurezza. Evidentemente, il tentativo di “pulire” Uber dalle polemiche e dalle accuse che da molte parti si sono levate contro il servizio di trasporto privato alternativo ai taxi non ha avuto, finora, un buon esito.



Tutte le risposte sulla sfida fra Uber e i taxi. E voi con chi state?
di Alberto Annicchiarico 18 marzo 2017
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... id=AEcJDBp

È vero o falso che le tariffe dei taxi italiani si spiegano con i maggiori costi? Ma anche, è vero o falso che i taxi italiani sono fra i più cari e che liberalizzare è la salvezza? E Uber è più sharing economy o monopoly economy? Ecco alcune domande che il blog Econopoly si è posto nelle ultime settimane per affrontare l'acceso dibattito sulle auto pubbliche e sulla proposta di riforma del Governo.

Sulle presunte “non risposte” dell'Esecutivo i taxi sciopereranno il prossimo 23 marzo, dalle 8 alle 22. Saranno rispettate le fasce di garanzia e durante lo sciopero saranno assicurati i servizi sociali, cioè il trasporto di anziani, portatori di handicap e malati. “Ancora una volta siamo stati umiliati - si legge - il governo non è stato in grado di fornire alcun tipo di risposta a delle semplici domande, nascondendosi dietro la sovranità del parlamento”, dicono i tassisti. L'ultimo sciopero risale al 2012, quando era in carica il governo Monti.

Nei giorni scorsi l'Antitrust ha chiesto un intervento rapido per una riforma del settore della mobilità non di linea, cioè taxi e Ncc, regolato da “una legge ormai vecchia di 25 anni”. La riforma, secondo l'Antitrust, dovrebbe anche riguardare quella tipologia di servizi che attraverso piattaforme digitali mettono in connessione autisti non professionisti e domanda finale, come il servizio Uber Pop.

Uber si è fatta avanti proponendo di partecipare a un fondo che risarcirebbe i tassisti per la perdita eventuale di valore delle licenze nel caso fossero superate dalla riforma e ha inviato una lettera a tutte le sigle sindacali del settore taxi per proporre “un incontro a porte chiuse” lunedì 20 marzo. “Credo sia giusto tentare la via del dialogo, aprendo una porta ad un confronto civile e onesto”, scrive ai tassisti il general manager di Uber Italia, Carlo Tursi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Skei, laoro, economia, banke, fisco, ladrarie o robaure

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron