Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » mar mar 20, 2018 7:12 am

L’Europa ha deciso che Uber è un servizio di trasporti
La Corte di giustizia europea ha respinto la tesi secondo cui agisce da piattaforma digitale: le conseguenze potrebbero essere molto rilevanti
(Leon Neal/Getty Images)
2017/12/20

https://www.ilpost.it/2017/12/20/uber-s ... sporti-app

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il massimo tribunale per gli affari europei, ha diffuso una sentenza molto attesa su Uber, il popolare servizio di trasporto privato a metà tra il taxi e il noleggio di auto con autista, che si usa con un’app. La Corte ha deciso che Uber va considerato come un servizio di taxi, e non come una piattaforma digitale come l’azienda sostiene da tempo.

Le conseguenze della sentenza potrebbero essere molto rilevanti: Uber, come molte altre startup nel campo della sharing economy, ha sempre beneficiato del fatto di operare in un’area grigia grazie alla quale ha potuto ridurre i costi e offrire un servizio a prezzi concorrenziali. Ora dovrà probabilmente adeguarsi alle norme sulla sicurezza e alle regole sindacali previste per i tassisti in tutti e 21 i paesi dell’Unione in cui opera.

#ECJ will tomorrow deliver its judgment in the case #Uber Systems Spain https://t.co/qPh2DS0Dbt – for background info. see press release on AG’s Opinion https://t.co/auyd6nk0uW

— EU Court of Justice (@EUCourtPress) December 19, 2017

Il processo era arrivato alla Corte dopo che nel 2014 un sindacato di tassisti di Barcellona aveva fatto causa a Uber per concorrenza sleale. Dopo la causa Uber aveva sospeso le sue attività in Spagna per poi riprenderle nei mesi successivi, ma solo a Madrid. Uber si era difesa proprio sostenendo di essere una semplice piattaforma digitale che mette in contatto gli autisti con i clienti, e non un servizio di trasporti. E quindi di non dover rispettare tutti i regolamenti – e i costi – che esistono per i secondi.

Nel tempo la posizione di Uber era cambiata: di recente ha sottoscritto degli accordi con i governi di vari paesi – come l’Italia – che avvicinano la sua condizione a quella dei tassisti. Al momento, scrive Reuters, opera senza restrizioni solamente in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. Gli accordi di questo tipo hanno reso più distesi i rapporti fra le autorità nazionali e Uber, ma hanno di fatto arrestato l’espansione dell’azienda in Europa. Oggi vale circa 70 miliardi di dollari, ma la sentenza della Corte di Giustizia potrebbe causarle diversi guai dal punto di vista economico e magari rivedere le proprie previsioni di crescita.

Al centro della causa contro Uber c’era UberPop (che in diversi paesi si chiama UberX), i cui autisti non hanno una licenza professionale da tassisti ma sono semplici persone con un’auto che vogliono guadagnare offrendo passaggi in giro per la propria città. UberPop, i cui prezzi sono più bassi rispetto all’Uber “normale”, era stato introdotto anche in Italia, a Milano, ma era stato poi ritirato dopo una sentenza del tribunale di Milano che lo aveva dichiarato illegale. UberPop era stato molto contestato dai tassisti italiani, così come è successo e continua a succedere in diversi paesi europei.

UberPop era citato anche nel parere dell’avvocato generale della Corte che ha esaminato il caso. L’opinione degli avvocati generali non è vincolante, ma in generale tende ad essere rispettata dai giudici: cosa che è avvenuta anche in questo caso. Secondo questo parere, la Corte doveva decidere di considerare Uber un servizio di taxi perché «da una prospettiva economica il servizio di trasporto costituisce la componente principale, mentre quello di connettere le persone e gli autisti con un’app rimane secondaria.

Dopo la sentenza, un portavoce di Uber ha detto che «questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi dell’UE dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti» e che l’azienda continuerà «il dialogo con le città di tutta Europa con l’obiettivo di garantire a tutti un servizio affidabile a portata di clic».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » ven apr 06, 2018 10:24 pm

Uber, pedone vittima della guida autonoma: sospesi i test
Francesco Forni
2018/03/19

http://www.auto.it/news/news/2018/03/19 ... okieAccept

A Tempe, in Arizona, una donna che attraversava fuori dalle strisce pedonali è stata investita. L'auto non è riuscita ad evitarla

Uber ha sospeso tutti i test drive di guida autonoma in seguito ad un incidente mortale. L'impatto letale s'è consumato a Tempe, in Arizona. Coinvolte un'auto dotata di self drive di Uber e una donna, che ha attraversato la strada al di fuori dalle strisce pedonali.

La vettura, nonostante i sensori, i radar e i Lidar, e il tecnico a bordo (utilizzato da Uber, non da Waymo) non sarebbe riuscita ad evitare l'impatto. I sistemi e l'intervento umano non sono stati sufficienti a scongiurare il disastro.

Secondo le ricostruzioni della polizia locale, l'auto di Uber stava viaggiando in guida 100% autonoma quando ha investito la donna. Al momento il National Transportation Safety Board sta vagliando i dati e le testimonianze per valutare le responsabilità.

Uber ha dichiarato che sta collaborando con le autorità locali per fare luce sull'incidente. E ha sospeso con effetto immediato le attività in tutte le zone dove sta facendo test di guida autonoma. In USA e Canada: Phoenix, Pittsburgh San Francisco e Toronto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità glob

Messaggioda Berto » dom ott 21, 2018 9:58 am

Tassisti di New York travolti da Uber e dai debiti, quinto suicidio
Giovedì 31 maggio 2018

http://www.askanews.it/esteri/2018/05/3 ... 531_111543


Chiedono un intervento della città e regole più chiare

Tassisti di New York travolti da Uber e dai debiti, quinto suicidio

New York, 31 mag. (askanews) – I tassisti di New York hanno di nuovo protestato per chiedere aiuto alla città, dopo il quinto suicidio di un collega, che ha ceduto alla disperazione di ritrovarsi con poco lavoro a causa della costante espansione di Uber e Lyft.

Come tutti i tassisti in altre città del mondo, la categoria a New York ha subito un forte colpo con la nascita di Uber: le autorità di New York, guidate dal democratico Bill de Blasio, hanno detto di essere al lavoro per stabilire nuove regole, tra cui potrebbe esserci anche l’imposizione di un numero massimo alle app come Uber.

Due giorni fa Kenny Chow è stato trovato morto nel fiume Harlem: secondo quanto hanno ricostruito i media americani, non riusciva a ripagare i 700.000 dollari di prestito per la sua licenza. In una nota inviata ad Axios, New York Taxi Workers Alliance ha definito la morte di Chow un suicidio, il quinto in cinque mesi per i lavoratori del settore a New York.

Il costo della licenza, che nel 2014 aveva un valore di 1 milione di dollari, oggi è sceso a 175.000 dollari, secondo quanto scritto dal New York Times.

Questo ha messo in difficoltà migliaia di tassisti che si sono indebitati per averla. A New York lavorano 70.000 veicoli legati ad applicazioni come Uber e Lyft, 30.000 auto nere con autisti, 135.000 taxi gialli e 4.000 taxi verdi, che possono accedere solo ad alcune zone della città e hanno forti restrizioni a Manhattan.

Nonostante anche gli autisti di Uber abbiano visto una notevole diminuzione dei loro stipendi, il colosso tech californiano sta lavorando per migliorare la situazione, visto che nuove proteste dei suoi autisti o la possibilità di suicidi rovinerebbe la reputazione, dopo un periodo molto difficile che ha portato all’allontanamento del fondatore ed ex amministratore delegato, Travis Kalanick.




New York, Taxi Driver ora è stanco di vivere
di Raffaele Angius 30 maggio 2018,

https://www.agi.it/estero/new_york_taxi ... 2018-05-30

Trentaseimila auto nere conquistano le strade di New York, dove i taxi gialli soccombono sotto la concorrenza inarrestabile di Uber. Ma anche nella Grande Mela le vittime della battaglia hanno un nome: Yu Mein Chow, tassista dal 2011, si è tolto la vita gettandosi nelle acque dell’East River l’11 maggio, come riporta il New York Times. È il quinto tassista suicida in cinque mesi.

A New York per decenni possedere una licenza per guidare un taxi ha significato poter mantenere la propria famiglia e mandare i figli al college. Chow ne aveva comprato una nel 2009 per seicentomila euro. Anni in cui con una notte di lavoro si potevano portare a casa anche duecento dollari al giorno (poco più di centosettanta euro). Ma ancora nel 2014 il prezzo di un “medaglione”, simbolo che rappresenta il titolo di poter possedere un taxi in proprio, arrivava alla cifra record di 1,3 milioni di dollari, come scrive Wired.

Oggi il sistema dei “medaglioni”, creato per limitare il numero dei tassisti - 13.600 licenze -, non funziona più. E molti tassisti non possono permettersi neanche di continuare a pagare i debiti contratti per acquistare la licenza.

“Non sarò mai uno schiavo”

La concorrenza delle aziende di ride-sharing - Uber conta 30mila delle 36mila auto nere che girano in città - ha fatto crollare il valore delle autorizzazioni, che secondo la Taxi and Limousine Commission, oggi valgono appena 175mila dollari. Situazione che ha costretto anche alcuni tassisti a cercare di vendere i propri medaglioni per poter pagare i debiti.

“Non sono uno schiavo e mi rifiuto di esserlo”. A febbraio si toglieva la vita Doug Schifter, suicida con un fucile a pompa davanti al municipio di New York. Il tassista aveva scritto sul proprio profilo Facebook: “Sono stato rovinato finanziariamente perché tre politici hanno distrutto la mia industria e la mia vivibilità, e le aziende newyorkesi hanno rubato i miei servizi rivendendoli a tassi molto più bassi di qualsiasi equità”. Schifter aveva denunciato di lavorare più di cento ore a settimana, rispetto alle quaranta ore che gli bastavano negli anni ottanta. Il mese dopo si toglieva la vita Nicanor Orchirsor, sessantaquattrenne originario della Romania, che con la moglie condivideva il taxi e massacranti turni di dodici ore a testa.



Prima di suicidarsi, un tassista ha scritto di come la gig economy lo ha rovinato
gig economy|di Ankita Rao|feb 12 2018

https://motherboard.vice.com/it/article ... ig-economy

Nota del redattore: Se tu o qualcuno che ti è vicino ha pensieri suicidi o atteggiamenti autolesionisti, ti incoraggiamo a chiamare una linea di aiuto e prevenzione, come Telefono Azzurro (se minorenne) o Telefono Amico.

Non sapremo mai per intero la storia di Douglas Schifter, un autista di taxi e limousine di New York che si è tolto la vita la settimana scorsa davanti al palazzo del Municipio. Quelli di noi che non lo conoscevano personalmente non hanno modo di capire quale fosse il suo stato di salute mentale, né che cosa stesse succedendo nella sua vita.

Ma nella nota finale che ha lasciato su Facebook e negli articoli firmati con il suo nome su riviste di settore, Schifter ha lasciato una traccia di opinioni relative allo stress che sopravvivere a New York come autista comporta, e, con esso, una visione di come la cosiddetta rottura causata da Uber e Lyft — nonché l'incapacità delle città di gestirla — pesi fortemente sui lavoratori.

La nota lasciata da Schifter (che Facebook ha poi rimosso), postata qualche ora prima della sua morte, racconta le difficoltà economiche di un autista a New York. Dice che lavorava almeno 100 ore alla settimana, ma ha comunque concluso la sua carriera in rovina.

Ha incolpato i poteri che esistono a New York, puntando il dito contro i politici che permettono a troppi taxi di circolare, inasprendo la competizione, e che hanno lasciato inserirsi anche i taxi green. "Sarebbe dovuto restare un numero di automobili inferiore alla domanda. Così si garantiva un'introito costante," ha scritto Schifter.

Per molti tassisti, questo flusso maggiore di rideshare e taxi ha prosciugato i mezzi di sussistenza che le persone si erano costruite in anni di lavoro. A New York, ci sono circa 40,000 taxi gialli, ma gli autisti di Uber hanno superato questo numero già nel 2015, senza contare i taxi regolari e gli altri servizi di Uber nel calcolo totale.

Siamo arrivati al punto in cui né gli autisti di Uber né i tassisti riescono ad avere un reddito stabile.

Non è chiaro che tipo di norme potrebbero aiutare i tassisti a restare a galla — il sindaco Bill de Blasio ha cercato di mettere un tetto agli autisti di Uber a New York, senza successo, in grossa parte per colpa dell'influenza che l'azienda ha. E qualsiasi mossa a favore dei diritti degli autisti non ha fatto che rafforzare la possibilità di guadagnare con la app di Uber.

Gli autisti di Uber sono in lotta contro i prezzi ingiusti da tempo, come Motherboard ha raccontato. Le aree grigie della gig economy hanno lasciato spazio allo sfruttamento. Ma siamo arrivati al punto in cui né gli autisti di Uber né i tassisti riescono ad avere un reddito stabile. I tassisti hanno debiti. Gli autisti di Uber guadagnano anche 60.000 dollari all'anno a New York, stando alle stime dell'azienda, ma il numero varia a seconda del costo dell'assicurazione del veicolo, delle spese per la benzina e delle ore che lavorano.

Persino tralasciando la questione della domanda-offerta, altre politiche lasciano gli autisti esposti ai capricci di chi governa. Per la rivista Black Car News, Schifter ha scritto dozzine di articoli sul proprio lavoro, accusando specifiche proposte legislative che, a suo avviso, colpirebbero i tassisti. Una normativa sulla congestione stradale, per esempio, era stata pubblicizzata come un modo per limitare il traffico imponendo un dazio sui veicoli che entrano a New York City. Al momento, sembra che un piano simile stia per attuarsi davvero.

Ma queste normative, ha scritto Schifter, non farebbero che costringere gli autisti a pagare per fare il proprio mestiere. "Il governo ci prende di mira come se fossimo vacche da mungere, spremendoci qui e lì e ovunque andiamo. Ogni singola agenzia vuole i nostri dannati soldi." Ha proseguito sostenendo che imporre un prezzo sulla congestione non ha funzionato a Londra, per quando abbia ridotto il traffico nel centro della città del 26 percento in quattro anni.

La sua rubrica esplorava i dettagli che solo gli autisti che hanno passato anni per le strade di New York possono sapere — raccontando i rischi delle corsie per ciclisti, dei camion sulla Expressway tra Brooklyn e il Queens e sottolineando come la polizia se la prenda con i tassisti ad ogni mossa. Schifter ha chiesto più volte che i tassisti si unissero contro aziende come Uber e ha profetizzato il crollo dell'industria dei taxi.

La sezione commenti sotto i post di Schifter — su Facebook e su Reddit, dove gli autisti di Uber hanno discusso del suo messaggio d'addio — rivelano reazioni miste. Qualcuno sostiene che Schifter non sia stato in grado di adattarsi ai tempi che cambiano, aspettandosi di guadagnare le stesse cifre che guadagnava quando ha cominciato a lavorare.

Altri lo hanno commiserato. "È necessario creare nuove norme affinché i tassisti possano avere una vita al di fuori del lavoro," ha scritto un commentatore che ha dichiarato di essere lui stesso un tassista di nome Thomas Reid. Un'altra persona sembrava aver cambiato da poco idea sull'entrare nel settore, perché ha scritto: "Ero sul punto di prendere la mia licenza da tassista, ma dopo aver letto una serie di articoli sui problemi di guadagno dei tassisti oggi, penso di voler riconsiderare la cosa e cercare un altro mestiere."

È bene ribadire che non sappiamo esattamente perché Schifter si sia suicidato. Ma dalle reazioni alla sua morte, la veglia tenutasi in suo nome e la conversazione scaturita, è chiaro che molti lo vedono come l'ultima richiesta di aiuto proveniente da un'industria disperata. In un certo senso, la cosa dice più di quanto avrebbe potuto dire lui stesso.



Ecco quanto è costata ai taxisti di New York la concorrenza di Uber e Lyft

https://it.businessinsider.com/nuovi-da ... ber-e-lyft

Tutti quanti si aspettavano più o meno che la comparsa di Uber e Lyft a New York avrebbe fatto scendere sui taxi gialli un velo di tristezza. Ora, nuovi dati mostrano con esattezza quanto i servizi digitali di richiesta taxi abbiano decimato il valore dei taxi tradizionali della città.

Secondo il sito Crain’s New York Business il valore delle licenze dei taxi — circa 13,600, strettamente regolate dal comune, che consentono ai taxi gialli di effettuare legalmente corse nelle strade della città – è precipitato a piombo negli ultimi 3 anni, crollando da circa un milione di euro nel 2014 a meno di 230mila euro, prezzo a cui è stata acquistata una licenza a marzo. Una caduta del 77 per cento, se ci atteniamo a queste cifre.

Utenza e guadagni sono anch’essi in declino per i taxi gialli, sebbene la situazione non sia ugualmente terrificante. Il numero totale di viaggi in taxi è sceso dell’11% a 123,7 milioni lo scorso anno, e i guadagni sono calati del 9% a 1,8 miliardi di dollari.

La scorsa estate, analisti di Morgan Stanley hanno stimato che la fetta totale di viaggi eseguiti dai taxi gialli era precipitata dall’84% al 65% dal 2015 al 2016, cedendo terreno per lo più a Uber ma anche agli altri concorrenti del ride-sharing come Lyft, Via, e Gett.

La notizia è brutta, ma non catastrofica secondo Matthew Daus, un ex membro della commissione Taxi & Limousine Commission (TLC). Ha detto a Matthew Flamm di Crain’s di aver condotto una valutazione indipendente con un revisore ufficiale dei conti per un caso di bancarotta che ha assegnato un prezzo di 575.000 dollari ad una licenza indipendente. (Ci sono due classi di licenze: quelle indipendenti, vendute a proprietari individuali, che raggiungono un valore leggermente inferiore rispetto a quelle aziendale, che sono detenute da aziende con flotte di auto.)

È comunque un rapido declino, ma ben lontano dal prezzo minimo della licenza venduta a marzo.

Il prezzo delle licenze è costantemente aumentato durante gli anni 2000, grazie in parte anche alle maggiori entrate generate dagli aumenti tariffari, secondo il TLC. Alcuni hanno registrato il picco del valore a 1,3 milioni di dollari nel 2014.

Leggi anche: In futuro nessuno avrà un’auto di proprietà. E potrebbe essere una buona notizia per i costruttori

Ma lo stuolo di nuove imprese di ride-sharing sta combattendo sulle tariffe, e la concorrenza ha reso l’aumento dei prezzi impraticabile.

La scomparsa del taxi giallo non sembra imminente – detiene ancora la maggioranza degli utenti, dopo tutto – ma i titolari delle licenze sono probabilmente bloccati con un investimento che vale solo una frazione del suo valore precedente.

I taxisti italiani hanno di che meditare.


L’incredibile ascesa di suicidi fra i tassisti a New York
2018/10/05

https://economymag.it/news/2018/10/05/n ... -york-2485

Dire che Uber uccide sarebbe maramaldo. Dire che la concorrenza sleale uccide è oggettivo. Il caso dei sei suicidi di tassisti a New York è stato per questo enfatizzato dal New York Times, con le tipiche lacrime di coccodrillo del sistema americano, che prima consente qualsiasi licenza ai cittadini e poi a posteriori si pente e introduce norme magari cervellotiche. Un po’ per le armi da fuoco da guerra, diffuse nelle case come da noi i soprammobili di ceramica, per cui i morti ammazzati da pallottole in America sono uno stillicidio impensabile. Ebbene, l’avvento di Uber e dei suoi dieci imitatori ha comportato un’inflazione di offerta di autisti per cui i taxisti guadagnano meno, cioè poco quanto i guidatori Uber, con la differenza che per i tassisti quello era il loro unico lavoro, mentre gli gli Uberisti è spesso un arrotondamento o un’integrazione e soprattutto che le licenze non valgono più nulla, e sì che costavano. Il New York Times, spiega che molti tassisti hanno speso anche più di un milione di dollari per una licenza che ora ne vale 200mila. Tutti si sono indebitati per poter esercitare e ora faticano a far quadrare i conti perché il lavoro è diminuito. I tassisti sono in crisi finanziaria ed esistenziale e se ne sono accorti anche i politici. Ad agosto, il Consiglio Comunale ha messo un tetto alle licenze di Uber e altri servizi simili, ha stabilito che abbiano una tariffa minima, e ora sta valutando interventi a sostegno dei tassisti, che vanno da consulenze finanziarie all’istituzione di un fondo «salva tassisti» e di «centri di assistenza al conducente sulla salute mentale».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » lun giu 01, 2020 7:33 am

Rider e caporalato, nelle chat lo schiavismo digitale sui fattorini Uber: "Se puzza fuori dai coglioni". Fattorini costretti a implorare la paga

di Davide Milosa e Andrea Tundo
31 maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... a/5819016/


Nelle 60 pagine che hanno portato al commissariamento della filiale italiana della società di gig economy gli investigatori e il Tribunale di Milano ricostruiscono i metodi. C'erano le "punizioni", come il blocco degli account, in caso di un lavoro che Uber e Flash Road City ritenevano non svolto ottimamente. Le risate per il malato convinto a lavorare

Come in un “padrone e sotto”, un uomini e caporali. Uber e la società a cui si era affidata per reclutare i rider da una parte, i ciclofattorini costretti a pedalare di giorno e di notte, col sole e con la neve, per 3 euro a consegna dall’altra. Dovevano sottostare alle regole, subire ritardi nei pagamenti e non reclamare le mance lasciate dai clienti attraverso la app. Altrimenti bastava un click per bloccare l’accesso alla piattaforma, impedendogli di lavorare. E scoperchiato il vaso, il colosso delle consegne a domicilio e la società di intermediazione hanno iniziato il rimpallo, con accuse incrociate. Il primo ritiene di aver sempre rispettato le leggi italiane e definisce “riprovevole e inaccettabile” quanto emerso nell’inchiesta, i responsabili della Flash Road City hanno raccontato alla procura di Milano che i rider per Uber sono “solo dei puntini su di una mappa, da attivare o bloccare a loro piacimento” per “ottimizzare il servizio della piattaforma e far guadagnare ad Uber il più possibile”.

Come “schiavi digitali” – Ma dentro le 60 pagine che hanno portato al commissariamento della filiale italiana della società di gig economy c’è quello che gli investigatori e il Tribunale di Milano ritengono uno schiavismo digitale, fotografato dalle minacce ai rider reclutati in situazioni di “emarginazione sociale” e dai messaggi nei quali alcuni fattorini implorano per giorni e giorni di essere pagati. Non ci sono schiene piegate nei campi né furgoni stipati che corrono lungo le provinciali, ma riunioni nella sede di Uber in una delle zone fighette di Milano e profili Linkedin in giacca e cravatta a regolare la vita di migranti e richiedenti asilo. Diversa la forma, identica la sostanza secondo i giudici: caporalato, sfruttamento, zero diritti.

“Questo ha ancora Lyka, lo blocco” – Una conversazione del 10 dicembre 2018 sostanzia bene l’affare. La manager di Uber, Gloria Bresciani, scrive a uno degli intermediari della Flash Road City, Danilo Donnini, lamentandosi di uno dei rider: “Questo ancora ha Lyka, il gps non gli funziona. Non sa come usare il cellulare, io così non lavoro”. Donnini prova a difendere la posizione della società, alla quale Uber aveva messo in mano il reclutamento dei ciclofattorini: “Bloccalo, portagli via la borsa, ma ci mancherebbe altro, questo non doveva lavorare oggi non è nei turni”. Bresciani non si fa pregare: “L’ho sospeso fino a quando non cambia numero di telefono”, risponde a Donnini che la ringrazia. Quindi aggiunge: “Comunque cerca di metterlo su un affiancamento stasera così non spreca la giornata che c’ha fame”. Per i giudici la sottolineatura della manager riguardo allo “stato di indigenza e di sfruttamento dei collaboratori” spiega il modus operandi, perché i rider “si adegueranno alle disposizioni che gli verranno impartite” proprio per lo stato di necessità in cui si trovano.

“Per mangiare devono connettersi la sera” – Pochi giorni dopo è ancora Bresciani a lamentarsi per i troppi corrieri connessi alla piattaforma nel pomeriggio, quando le richieste di consegne sono basse e suggerisce: “Secondo me se tu il pomeriggio non li paghi e loro per mangiare devono connettersi la sera, vedrai che si connettono. Ovvio che se gli dai la scelta se ne fregano e prendono soldi quando gli fa più comodo”. Messaggi che secondo i giudici fotografano come Uber “fosse pienamente consapevole della situazione di sfruttamento lavorativo e reddituale” della Flash Road City: “Anzi appare evidente che sia la stessa Bresciani ad incoraggiare il suo interlocutore ad impostare il rapporto con i rider affinché si connettano solo quando a Uber conviene, adottando metodi di sorveglianza e di pagamento, approfittando del loro stato di bisogno”.

“Quelli che puzzano fuori dai coglioni” – Una “attività di controllo” in “netto contrasto con le garanzie sancite dal legislatore per i lavoratori autonomi” che veniva richiesta anche da altri uomini di Uber, come Roberto Galli, che a luglio dello scorso anno riportava a Flash Road City le lamentele di un noto fast food per le attese dei rider davanti all’ingresso. Pronta la reazione della società di intermediazione: “Controlli quelli che bivaccano, che fanno queste cose qua fuori dai coglioni, non c’è neanche discussione: bloccato l’account, finito di lavorare, istantaneamente proprio… istantaneamente. Non lo so vedi tu, fate in modo di fare delle foto, di vederli… quelli che bivaccano, che puzzano, che fanno cazzate, fuori dai coglioni all’istante…”, sollecitava i colleghi uno degli indagati.

Il blocco degli account – Il ruolo di Uber non è ritenuto secondario dal tribunale di Milano . Anzi “emerge chiaramente” come la società “andasse di fatto a limitare la libertà decisionale” del partner “attraverso l’imposizione di turni prestabiliti”. A supporto della tesi, ci sono le mail con il numero dei corrieri da disporre su ogni turno. Una attività nella gestione dei rider “piuttosto intensa” da parte di almeno “alcune figure professionali” di Uber che “non sono di certo estranee” alla realtà di “forte sfruttamento, di intimidazione e di prevaricazione”. nei confronti dei rider che ricevevano 3 euro a consegna quando Flash Road City, almeno su Roma, veniva pagata “in media almeno 11 euro” per ogni pacco portato a domicilio.

Le risate per il rider malato – La Capitale era un problema per Uber, sia per una questione di conti che di distribuzione dei fattorini sul territorio. Sempre nel dicembre 2018, Bresciani chiede più uomini in bicicletta a Ostia: “Non c’è modo di farne rimanere almeno uno dei tre?”. Donnini è in difficoltà: “No perché loro poi hanno ultimo bus per la loro zona da Termini. Aspetta che mi gioco il jolly”. E chiede quindi a un rider “di scendere in strada anche se è malato che gli do 50 euro”. Bresciani ride e chiede: “Ma non ha un amico?”. Donnini risolve: “Ok ora si veste ed esce. Sono troppo forte”. E Bresciani, ancora ridendo: “Bene”. Per i giudici “appare evidente” che la manager di Uber era “pienamente partecipe” nella gestione dei rider, “costretti a lavorare in precarie condizioni di salute dietro la promessa di ricevere un bonus extra che ha un importante impatto economico sul basso compenso percepito”.

E il rider implorava i pagamenti – C’era però anche chi aspettava a lungo i pagamenti, non solo per le “punizioni”, come il blocco degli account, in caso di un lavoro che Uber e Flash Road City ritenevano non svolto ottimamente. Nel luglio 2019 i vertici italiani della società di San Francisco lamentano che due fattorini si sono presentati in sede chiedendo la liquidazione di pagamenti, mance e cauzione lasciata per il portavivande. La Flash Road City sostiene sia falso che non siano stati pagati, ma siccome avevano “tassi di accettazione schifosi, allora abbiamo cominciato a punirli (…) stanno facendo i furbi”. La realtà sembra essere ben diversa, stando ai messaggi spediti a uno dei referenti della società di intermediazione: “Buongiorno capo. Per favore non ho visto il mio pagamento. Per favore digli di pagare i miei soldi grazie”, è la prima richiesta. “Ti posso pagare solo su un conto personale tuo. Non possiamo più pagare su conti di amici”, rispondono dalla Flash Road City. Nella settimana successiva, le richieste continuano: “Per favore sai che non ho un conto in banca da allora. Per favore pagami come hai sempre pagato”. E ancora: “Oggi sono andato ad aprire un conto in banca (…) Ma hanno detto senza carta di residenti non possono aprire un conto in banca per me”. Il rider sembra non ricevere risposte: “Rispondimi per favore. Cosa dovrei fare ora. Ho provato il meglio possibile per aprire questo account (il conto in banca, ndr). Per favore, tu lo sai non per colpa mia. Per favore è molto difficile per me”. Dopo oltre una settimana, l’ultima richiesta: “È così che mi tratterai davvero male dopo un sacco di lavoro che ho svolto da 8 mesi a questa parte”.



Caporalato, minacce ai rider e reclutamenti non controllati durante il lockdown: ecco perché Uber Italy è stata commissariata
Il tribunale di Milano ha nominato un amministratore giudiziario per la filiale italiana della multinazionale del delivery. Indagati dipendenti e manager della società e di agenzie di intermediazione: "Regime di sopraffazione, cottimo puro"
di ORIANA LISO
30 maggio 2020

https://milano.repubblica.it/cronaca/20 ... 257979474/

Il "regime di sopraffazione retributivo" ai danni dei rider del servizio Uber Eats, "reclutati in una situazione di emarginazione sociale", si è aggravato con "l'emergenza sanitaria a seguito della quale l'utilizzo" dei fattorini "è progressivamente aumentato a causa della richiesta determinata dai restringimenti alla libertà di circolazione", tanto che "potrebbe aver provocato anche dei reclutamenti a valanga e non controllati". Un 'regimè che già prima dell'emergenza coronavirus, stando a quello che scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, era durissimo per molti rider. Ed è questo il motivo per cui ieri il Tribunale di Milano ha disposto, con un provvedimento mai preso prima non solo in Italia nei confronti di una piattaforma di delivery, il commissariamento di Uber Italy, filiale italiana del colosso americano delle consegne a domicilio di cibo, con l'accusa di caporalato. Punizioni economiche per i rider, sottrazione di mance, blocco degli account, consegne pagate 3 euro indipendentemente dal giorno e dall'ora. E il ricorso a persone disperate, migranti in fuga da guerre, ragazzi e uomini in stato di necessità.

Uber Italy, secondo i giudici, avrebbe "consapevolmente" sfruttato i rider in diverse città italiane, da Milano a Monza, da Torino a Bologna, da Roma a Firenze e non solo. Al centro delle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano e coordinate dall'aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari, c'è il servizio Uber Eats, gestito dalla società italiana che fa capo ad una holding olandese del gruppo Uber. E ci sono anche due società milanesi, la Frc e la Flash Road City, per le quali formalmente i rider lavoravano, anche se, scrive la Sezione misure di prevenzione (presieduta da Fabio Roia) che ha disposto l'amministrazione giudiziaria, Uber era "pienamente consapevole della situazione di sfruttamento" dei rider pagati "3 euro l'ora" e "puniti" anche togliendo loro le mance e parte dei compensi.

Un'indagine lunga, quella della procura, fatta di tante deposizioni di fattorini, di chat in cui le minacce erano pesanti. "Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (...) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il....", si legge in una chat riportata nel decreto di commissariamento. A scrivere è uno degli indagati che lavorava per una società di intermediazione di manodopera, ad un rider che lo aveva definito "schiavista". "Da noi non lavorerai, perché ho bloccato il tuo account", diceva ancora l'uomo. Tra gli indagati - tutti per "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro" - figurano, oltre ai responsabili delle società di intermediazione (Giuseppe e Leonardo Moltini e Danilo Donnini), dipendenti e manager di Uber Italy (Marco Vita, Gloria Bresciani, Francesco Rodondi, Roberto Galli e Gaetano Sanfilippo). I giudici hanno nominato un amministratore giudiziario che gestirà ora Uber Italy e hanno fissato al 22 ottobre un'udienza per la discussione. Ai titolari delle società intermediarie, tra l'altro, sono stati sequestrati oltre mezzo milione di euro in contanti.

Ed è proprio in una chat WhatsApp, 'Amici di Uber', in cui dialogavano alcuni manager di Uber Italy e i titolari delle società intermediarie di manodopera, che si parla di "sentinelle" da piazzare davanti ad un McDonald's per fotografare i rider che avevano "atteggiamenti errati". E' un altro dei tanti dettagli che emergono dal decreto di commissariamento della filiale italiana del gruppo americano, nel quale sono riportate decine e decine di conversazioni e messaggi. Così in uno di questi dialoghi il "dirigente" Uber Roberto Galli parla con Danilo Donnini, intermediario, chiedendogli, come riassumono i giudici, "che tipo di contromisure stanno prendendo per il ripetersi di atteggiamenti 'indecorosì al fine di evitare ulteriori lamentele da parte del McDonald's" che si trova in una piazza a Milano. E Donnini: "Abbiamo messo due sentinelle che fotograferanno chi avrà atteggiamenti errati (...) li segnaliamo e blocchiamo a vita (dall'app per le consegne, ndr). Direi che in questo week end tale azione di controllo verrà eseguita". In un'altra conversazione Gloria Bresciani, anche lei dipendente Uber, dice a Donnini che "sotto il 70% vanno bloccati", riferendosi alla percentuale di "accettazione" degli ordini da parte dei rider. E Donnini: "Ora ultimatum, poi li blocchiamo". In un altro dialogo sempre un dipendente Uber diceva a un intermediario e riferendosi ai fattorini: "Spostane un po' da Roma per domani e trovane altri locali". Un quadro di conversazioni che, secondo i giudici, dimostra la consapevolezza di Uber delle pratiche di caporalato, ma anche il fatto che i suoi dirigenti approvassero i "metodi di sorveglianza" sui lavoratori, fino alla disconnessione dalla app, come punizione.

Negli atti si leggono le dichiarazioni dei fattorini reclutati, come scrivono i giudici, anche in un "seminterrato" e soprattutto migranti "provenienti" da contesti di guerra, "richiedenti asilo" e persone che dimoravano in "centri di accoglienza temporanei" e in stato di bisogno. "La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall'ora", ha messo a verbale uno di loro. E ciò anche se l'importo che vedevano sulla loro app era maggiore. "Cottimo puro", scrive il Tribunale. E se i rider non rispettavano le "regole" (c'è un decalogo agli atti) e si lamentavano scattavano le punizioni, di cui, secondo i giudici, sarebbero stati al corrente anche i manager Uber (tra loro Marco Vita, "operations coordinator" nell'area di Milano) in contatto coi titolari delle società di intermediazione, parte, per i giudici, della "galassia" Uber. Società che, si legge sempre nel decreto, lavoravano soprattutto con le consegne di "panini McDonald's" sulla base di una "partnership" tra quest'ultima e Uber. "Insistevo per avere subito il denaro - ha raccontato un lavoratore - e da quel momento sono stato bloccato". Blocchi degli account, il cosiddetto "malus", ossia una cifra da "sottrarre" alla paga, e la sottrazione delle mance. Erano queste le punizioni e così, si legge ancora, un rider facendo "68 consegne" guadagnava "204 euro", dopo "turni massacranti".

Uber Eats in una nota ha spiegato di aver "messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo - ha aggiunto la società - ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia".

Da tempo i sindacati denunciavano storture nel sistema delivery. E oggi scrive la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan con un tweet: "Una vergogna la vicenda Uber Italy. E' inqualificabile pagare un lavoratore 3 euro a consegna. Sono forme di schiavitù e di sfruttamento del lavoro e della dignità della persona che il sindacato deve contrastare obbligando le imprese ad applicare ai rider il contratto della logistica. Ha fatto bene il tribunale ad intervenire". Così anche i segretari nazionali della Cgil Tania Scacchetti e Giuseppe Massafra: "Il commissariamento di Uber Italy deciso dal Tribunale di Milano è una notizia che per la sua gravità ci lascia attoniti. Siamo in presenza di un caporalato digitale, non solo quindi nelle campagne, che cancella i diritti e lede la dignità dei lavoratori. Ora è importante attendere gli sviluppi della vicenda, tutelando il lavoro è continuando a rivendicare diritti e tutele per i ciclofattorini delle piattaforme del food delivery. In queste battaglie i lavoratori avranno sempre la Cgil al loro fianco".



Milano. "Sopraffazione" a danni di richiedenti asilo: commissariata Uber Italia
Fulvio Fulvi venerdì 29 maggio 2020

https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... -tribunale

Una paga di 3,75 euro lordi a consegna, che diventano 3 euro netti se il lavoro viene fatto usando la bicicletta e 3,50 se invece si porta il cibo a casa del cliente in sella a un motorino. Datori di lavoro senza scrupoli, che avrebbero costretto i rider a turni massacranti, soprattutto durante il lockdown, nell’emergenza Covid, quando la richiesta di pasti a domicilio ha raggiunto livelli eccezionali. E proprio nel periodo di quarantena degli italiani ci sarebbe stata una valanga di reclutamenti non controllati, da Roma a Bologna, da Firenze a Monza.

Inoltre, le misere tariffe sarebbero state proposte ai lavoratori da un paio di società intermediarie del settore della logistica che li avrebbero reclutati per conto di Uber Eats Italy, compagnia per la quale però svolgevano il servizio. È quanto emerge dalle indagini condotte dalla guardia di finanza di Milano che hanno portato ieri al commissariamento della filiale italiana del gruppo americano, noto anche per il noleggio auto con servizio App.

Le ipotesi di reato che si prospettano per la multinazionale californiana sono, secondo i pm Alessandra Dolci e Paolo Storari, sfruttamento del lavoro e caporalato (art. 603/bis del codice penale). Il provvedimento di amministrazione giudiziaria della società deciso, per competenza, dai magistrati del tribunale del capoluogo lombardo, sezione misure di prevenzione, è stato eseguito dopo di una serie di perquisizioni e acquisizioni di documenti negli uffici della compagnia.

In particolare, sarebbero state due società esterne (tra cui la Flash Road City che risulterebbe indagata nel medesimo procedimento) a procacciare a Uber Italy i lavoratori, quasi tutti richiedenti asilo e provenienti da Paesi come Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh, «zone la cui vulnerabilità è segnata da anni di guerre e povertà alimentare» scrive il giudice Fabio Roia nell’atto di commissariamento. Si tratta, peraltro, di persone «discriminate e sfruttate approfittando del loro stato di bisogno», che vivono in un «forte isolamento sociale», condizione che avrebbe facilitato il reperimento di manodopera a bassissimo costo. Molti dimoravano in centri di accoglienza per migranti.

Uber Eats smentisce le accuse e spiega di aver «messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo – ha aggiunto la società – ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia».I ciclofattorini, “anima” del food delivery, si muovono a qualsiasi ora del giorno e della notte, soprattutto nelle grandi città, per consegnare, nel più breve tempo possibile, pasti preparati da ristoranti e pizzerie direttamente a casa dei clienti che lo richiedono attraverso piattaforme online. Un’attività gestita che era già finita sotto i riflettori della magistratura milanese nell’agosto scorso con un’indagine conoscitiva nell’intero settore finalizzata a verificare la sicurezza e i contratti di lavoro.

La procura aveva chiesto alla Polizia locale di Milano di controllare anche le condizioni igienico-sanitarie dei contenitori per i cibi e il rispetto delle norme che dovrebbero tutelare i lavoratori, quasi sempre “a cottimo” (“più consegno più guadagno”) e quindi senza contribuzioni né polizze contro gli infortuni.Monitorati pure gli incidenti stradali nei quali sono stati coinvolti i fattorini in bicicletta, per valutare eventuali responsabilità penali da parte dei datori di lavoro.«Una vergogna la vicenda Uber Italy. È inqualificabile pagare un lavoratore 3 euro a consegna. Sono forme di schiavitù e di sfruttamento del lavoro e della dignità della persona che il sindacato deve contrastare, obbligando le imprese ad applicare ai rider il contratto della logistica. Ha fatto bene il Tribunale a intervenire» ha dichiarato la segretaria generale Cisl, Annamaria Furlan.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 11:10 am

In Usa gli utenti Uber hanno denunciato 6000 aggressioni sessuali
AGI - Agenzia Giornalistica Italia
6 dicembre 2019

https://www.agi.it/estero/uber_aggressi ... 019-12-06/

Quasi 6.000 denunce di aggressione sessuale, inclusi 450 stupri, sono stati denunciati da utenti Uber nel 2017-2018. È quanto emerge dal rapporto sulla sicurezza divulgato dalla società di taxi alternativo.

È la prima volta che Uber divulga simili dati e il rapporto sarà pubblicato ogni due anni. "Uber sta facendo un passo importante ma ogni società ha un ruolo da giocare. Siamo ansiosi di lavorare insieme per confrontarci su queste questioni, contarle e fare progressi per eliminarle", ha dichiarato Uber lanciando un appello affinché anche altre compagnie come quelle aeree o di taxi divulghino i loro rapporti sulla sicurezza.

Uber, nel documento di 84 pagine, tiene a sottolineare come il 99,9% delle sue 2,3 milioni di corse nel 2017-2018 siano avvenute senza incidenti.

L'azienda californiana di servizio alternativo al taxi opera in circa 70 Paesi. Nel rapporto sulla sicurezza Usa vengono segnalati anche 9 aggressioni fatali nel 2018 (contro 10 nel 2017) e 58 morti a causa di incidenti. I tentati stupri nel 2018 sono stati 1.560 e i casi di palpeggiamenti o baci indesiderati sono stati 376. Gli aggressori non sono sempre gli autisti, colpevoli nel 45% dei casi in base al rapporto
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 11:12 am

Rider, la denuncia dei fattorini di Uber Italy: «Dagli intermediari minacce e pagamenti mancati»
31 maggio 2020

https://www.open.online/2020/05/31/ride ... i-mancati/

C’è chi è arrivato in Italia con un barcone e chi invece, italiano, voleva arrotondare per pagarsi l’Università, ma ora denunciano di essere stati sfruttati dagli intermediari che agivano per conto di Uber Italy, la società commissariata dal Tribunale di Milano con l’accusa di caporalato. I rider, di cui sono state raccolte le testimonianze negli ultimi giorni, hanno confermato di aver preso 3 euro a consegna, ma raccontano anche altri dettagli, come «minacce e pagamenti mancati» dagli intermediari. Daniel, sulle pagine di Repubblica, dice di aver perso tutto. «Non sono riuscito ad aiutare mia mamma quando si è ammalata, chiedevo i soldi che mi spettavano, ma nessuno mi rispondeva». Daniel, 24 anni, è arrivato in Italia con un barcone.

«A Roma ho cercato un lavoro, un mio amico mi ha presentato a Danilo, mi ha fatto firmare una sorta di contratto. Dovevano essere 3,50 l’ora, ma sono diventati 3,50 a consegna», racconta. L’intermediario a cui si riferisce è Danilo Donnini, il manager che agiva per una delle due società finite sotto inchiesta, indagato anche lui per caporalato. Daniel non ha i documenti italiani e vive in un centro di accoglienza a Roma, ma questo non gli ha impedito di essere reclutato per lavorare come fattorino di Uber Italy. A chi come me non aveva documenti pagavano in contanti», dice. Poi però cambiano le regole e il pagamento deve avvenire solamente su un conto, che Daniel non ha. Motivo per cui, secondo il suo racconto, non viene pagato per il lavoro svolto.

«Mia mamma si era ammalata in Africa, scrivevo a Danilo, gli chiedevo i soldi che mi spettavano, ma lui non rispondeva. L’ho supplicato. Lui a un certo punto mi ha risposto: “Tanto non puoi farmi nulla, non sei italiano, io sì”. A settembre è morta mia mamma e io non ho potuto aiutarla», dice. La sua testimonianza è stata raccolta dal nucleo di polizia economico tributaria della guardia di finanza di Milano ed è contenuta nel fascicolo aperto su Uber. Mattia, invece, racconta la sua esperienza con Uber Italy alla Stampa. Dice di aver resistito un mese, ma le condizioni di lavoro erano inaccettabili: «Gli intermediari ci chiedevano la disponibilità degli orari settimanali in chat, se non rispondevamo entro 30 minuti ci minacciavano».

Anche lui, come Daniel, ha firmato una sorta di “contratto” e dice che il suo guadagno era di 3 euro a consegna: «Ho fatto presto a mollare, ma in tanti non l’hanno fatto e i migranti sono stati ingannati con la promessa di avere permessi di soggiorno». Anche dal suo racconto emerge il nome di Danilo Donnini che però respinge le accuse. E sempre sulle pagine del quotidiano torinese si difende: «Le prime vittime di Uber siamo stati noi: sfruttati, tenuti in pugno e costretti a firmare un contratto vessatorio». Dice di aver sempre trattato bene i rider, di averli sempre pagati. Ma dalle chat emergono alcuni messaggi che sembrano smentirlo: «Ho solo minacciato di venirti a rompere un braccio e lo ribadisco», scriveva. Danilo ammette: «Alle condizioni dei miei fattorini non avrei mai lavorato».




«Davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’»
Enzo Boldi
12/10/2020

https://www.giornalettismo.com/uber-ita ... ettazioni/

Arrivano novità dalle indagini su Uber Italia. Il pm di Milano, Paolo Storari, ha chiuso la fase di indagini sulla costola italiana del colosso americano. Dallo scorso 29 maggio, l’azienda era stata commissariata (provvedimento mai preso prima a questi livelli) dopo le denunce di molti rider che parlavano di sfruttamento, paghe non consone e mance sottratte. Si è parlato, a tutti gli effetti, di caporalato. Ed è questa l’accusa che viene rivolta alle dieci persone indagate. E proprio durante questa fase preliminare, che dovrebbe portare a processo, sono state rese note alcune intercettazioni ambientali e telefoniche tra i vertici della filiale italiana.


La principale, quella che ha destato maggior scandalo e un peso non indifferente durante le indagini su Uber Italia, riguarda la manager Gloria Bresciani, accusata con altre tre persone di caporalato. «Davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori». Questo il contenuto della conversazione tra la manager e una sua dipendente.

Uber Italia, chiusa la fase di indagini

Secondo il pm di Milano, Bresciani e gli altri imputati agivano «in concorso tra loro e con altre persone non identificate utilizzavano, impiegavano e reclutavano riders incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le imprese Flash Road City e FRC srl, per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento». E si parla di rider pagati a cottimo, con un salario di tre euro a consegna (senza considerare la distanza da percorrere dal locale fino all’utente finale), di mance sottratte arbitrariamente.

Le paghe a cottimo, da 3 euro a consegna

«Venivano pagati a cottimo 3 euro a consegna – si legge nella dichiarazione del pubblico ministero di Milano -, indipendentemente dalla distanza da percorrere (ritiro presso il ristoratore e consegna finale al cliente), dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna-notturna e giorni festivi) e pertanto in modo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, derubati delle mance che i clienti lasciavano spontaneamente quale attestazione della bontà del servizio svolto».



«Uber sfruttava rider "disperati" a tre euro l’ora»
Chiusa l’indagine a Milano. L’accusa per 10 manager è caporalato ai danni di richiedenti asilo che venivano truffati sui compensi. L’ammissione di una responsabile: «È un sistema, ma non puoi dirlo in pubblico»
Massimo Franchi
12.10.2020

https://ilmanifesto.it/uber-sfruttava-r ... euro-lora/

Caporalato, sfruttamento e intermediazione illecita della manodopera dei rider. Il tutto ai danni di migranti con disperata necessità di lavorare che sono stati truffati da persone che rubavano dai loro salari per mettere soldi contanti nelle cassette di sicurezza.

LA CHIUSURA DELL’INDAGINE che a Milano a maggio aveva portato al commissariamento di Uber Italy conferma tutta la gravità della situazione che aveva portato ad un provvedimento totalmente inedito. Il food delivery si conferma il settore della gig economy che sfrutta lavoratori senza diritti che la stessa Assodelivery – a cui Uber Eats aderisce – vuole mantenere al cottimo sfruttando il contratto-pirata recentemente sottoscritto con il sindacato di comodo Ugl.

Dieci gli indagati, stralciata invece la posizione della società che il 22 ottobre dovrà affrontare un’udienza alla Sezione misure di prevenzione.

Nell’avviso di conclusione delle indagini depositata dal pm Paolo Storari si legge che i ciclofattorini «venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, come riconosciuto dagli stessi dipendenti Uber».

IL GIUDIZIO INFATTI È di una dipendente che dice chiaramente: «Abbiamo creato un sistema per disperati». E per questo viene ripresa dalla manager Gloria Bresciani – «Ti prego davanti a un esterno non dirlo mai più, anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori» – che è accusata di caporalato in concorso con Giuseppe e Leonardo Moltini e Danilo Donnini, responsabili delle società di intermediazione Frc e Flash Road City che reclutavano i rider approfittando «dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale».

I rider, si legge nell’avviso di chiusura indagini, erano «pagati a cottimo 3 euro a consegna», «indipendentemente dalla distanza da percorrere, dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/ notturna e giorni festivi)». «derubati delle mance» e «puniti» attraverso “una arbitraria decurtazione (cosiddetto malus) del compenso pattuito, qualora i rider non si fossero attenuti alle disposizioni impartite».

LA PROCURA HA ALLEGATO anche un «prospetto» che mostra le paghe della settimana dal 20 al 26 maggio 2019. Con ben 75 ore lavorate (oltre 10 al giorno) un rider ha portato a casa 225 euro. Un suo compagno con 68 ore solo 179,5 – a causa di un «malus» annotato da 24,50 euro – pari 2,63 euro l’ora. I rider venivano anche «estromessi arbitrariamente dal circuito lavorativo di Uber attraverso il blocco dell’account a fronte di asserite mancanze lavorative”.

Ad un indagato il pm contesta l’ipotesi di favoreggiamento perché assieme a Giuseppe Moltini avrebbe depositato circa 305mila euro, ritenuti «profitto» di caporalato e frode fiscale, «all’interno di una cassetta di sicurezza» di una banca.

L’inchiesta è stata chiusa in un momento molto delicato sul fronte contrattuale. A poche settimane dalla scadenza di fine ottobre – quando per la legge sulle Crisi aziendali del 2019 entrerà in vigore un compenso orario per i rider pari al contratto della logistica e pari a oltre 10 euro – Assodelivery ha sottoscritto un contratto con il sindacato Ugl che mantiene il cottimo. Deliveroo – prima aziendea associata – ha mandato mail ricatto ai rider intimando di firmare il contratto pena il licenziamento.

I rider si sono mobilitati ma senza un intervento urgente di un tribunale o di un organismo ispettivo, molti saranno costretti a firmare il contratto pur di continuare a lavorare.

LA CGIL – CHE SI COSTITUIRÀ parte civile nel procedimento milanese contro «condizioni di lavoro inaccettabili», denuncia la segretaria confederale Tania Scacchetti – sta vagliando la possibilità di presentare ricorsi per comportamento antisindacale e appoggiare i ricorsi penali per estorsione presentati dai rider e dall’associazione Comma 2.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 11:13 am

La Corte di Cassazione ha deciso: I RIDERS POSSONO BENEFICIARE DELLE STESSE TUTELE PREVISTE PER I LAVORATORI SUBORDINATI
Ordine Consulenti del Lavoro di Milano
da Domenica Morena Massaini
di Giuseppe Magaddino – Avvocato in Milano
6 marzo 2020

https://consulentidellavoro.mi.it/rivis ... bordinati/

I. – PREMESSA

La recente sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione1 ha affermato che i c.d. riders di Foodora hanno diritto alle tutele spettanti ai lavoratori dipendenti, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (di seguito “art. 2, D.lgs. n. 81/2015”)2.

II. – LA VICENDA ALLA BASE DELLA PRONUNZIA DELLA CORTE SUPREMA La sentenza in commento conclude la nota vicenda che nell’ultimo biennio ha fortemente contribuito ad alimentare il dibattito sui riders in Italia3. Nel maggio 2018, il Tribunale di Torino4 aveva rigettato il ricorso di alcuni riders della Digital Services XXXVI Italy S.r.l. (Foodora)5 che chiedevano – in via principale – di essere inquadrati come lavoratori subordinati; ovvero in subordine, l’applicazione delle previsioni sul lavoro parasubordinato previste nel Jobs Act (in particolare l’articolo 2, comma 1, D.lgs. n. 81/2015 che estende la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative). Nel maggio 2018, il giudice di prime cure aveva rigettato integralmente le domande dei ricorrenti ritenendo, tra l’altro, a) non sussistente alcun vincolo di subordinazione, poiché i riders erano liberi di scegliere quando e quanto tempo lavorare (elementi incompatibili con la subordinazione); b) l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 inapplicabile, trattandosi di “norma apparente”, quindi, inidonea ad esplicare effetti diretti nell’ordinamento6.

All’inizio del 2019, la Corte di Appello di Torino, pronunciandosi sul ricorso proposto dai riders, pur confermando l’assenza del vincolo di subordinazione rilevata dal Tribunale di Torino7, riformava parzialmente la sentenza di primo grado riconoscendo il diritto dei riders “a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione all’attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore di Foodora, ai sensi dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015”.

In particolare, ad avviso del Collegio torinese: – l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 identificherebbe una nuova categoria legale intermedia, i.e. un tertium genus (nel quale ricadrebbero le collaborazioni etero-organizzate), interposto tra la subordinazione e la collaborazione coordinata e continuativa, ex articolo 409, n. 3 c.p.c.. Sul punto è interessante notare – anche al fine di valutare la “conformità” dei modelli adottati da altre piattaforme attive nel mercato italiano – come nel caso di cui si discute i giudici di secondo grado abbiano riconosciuto la natura etero-organizzata del rapporto (e quindi il diritto dei ricorrenti a beneficiare delle tutele proprie del lavoro subordinato) prendendo a riferimento i seguenti elementi caratterizzanti il business model di Foodora:

– dopo essersi spontaneamente candidato per una corsa, il rider era tenuto a effettuare la consegna entro 30 minuti dal ritiro, pena l’applicazione di una penale di 15 euro; – i turni di attività/consegna erano organizzati da Foodora;

– il collaboratore doveva:

• iniziare il turno recandosi in una zona predefinita;

• confermare alla piattaforma il completamento di ciascuna consegna accettata/effettuata;

– le norme in materia di subordinazione non dovrebbero essere applicate in modo generalizzato ai rapporti con i riders.

Competerebbe invece al giudice il compito di individuare – volta per volta – le tutele applicabili in concreto a ciascun rapporto (nel caso in esame, in particolare, la Corte riconosce le tutele proprie della subordinazione in tema di sicurezza e igiene, retribuzione diretta8 e differita, limiti di orario ferie e previdenza, resta esclusa invece la tutela contro i licenziamenti). Le conseguenze pratiche di tale interpretazione sono particolarmente rilevanti tenuto conto che il riconoscimento del potere del giudice di selezionare le norme della subordinazione applicabili ai rapporti etero-organizzati con i riders determinerebbe una situazione di inevitabile incertezza per gli operatori (i.e. per riders e – in particolare – per le piattaforme). Gli stessi infatti si troverebbero a non poter predeterminare quante/quali potrebbero essere le norme applicabili in caso di (ri)qualificazione del rapporto con il rider in collaborazione etero-organizzata (non potendo quindi valutare ex ante le eventuali implicazioni in termini di costi/benefici).

Avverso tale sentenza la Foodinho S.r.l. – società che ha incorporato la Digital Services XXXVI Italy S.r.l. (Foodora), in liquidazione – ha proposto ricorso per Cassazione9. Nelle more del giudizio in Cassazione, l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 è stato parzialmente modificato dal Decreto legge 3 settembre 2019, n. 10110 (il cui testo è privo di efficacia retroattiva); la Suprema Corte tuttavia, pur accennando alla modifica legislativa del testo dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, si è pronunciata sulla versione della norma precedente a tale modifica.

III. – INQUADRAMENTO DEI PRINCIPI DI DIRITTO ESPRESSI DAI GIUDICI DI LEGITTIMITÀ

Il ricorso per Cassazione mirava a confutare l’interpretazione dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 – nella versione ratione temporis applicabile – offerta dalla Corte di Appello, riaffermando quella di primo grado, che aveva definito tale norma come fattispecie apparente. Invero, con il primo dei quattro motivi proposti, la società ricorrente ha ribadito che la previsione legislativa in parola non avrebbe introdotto nessuna nuova categoria legale (il c.d. tertium genus), essendo l’“etero-organizzazione” un elemento già tipico della subordinazione, applicabile ove vi sia stata “una ingerenza più pregnante nello svolgimento della collaborazione, eccedente quindi l’etero-determinazione”. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto integralmente il ricorso. In particolare, il Supremo Collegio, dopo aver ripercorso gli elementi fattuali tipici della prestazione contestata e analizzato succintamente le diverse interpretazioni prospettate negli anni dai vari commentatori con riguardo alla natura dell’art. 2, D.lgs. n. 81/201511, ha chiarito che: (i) non è consentito all’interprete etichettare un’innovazione legislativa come “norma apparente”, incapace di produrre effetti giuridici; (ii) l’intervento riformatore del 2015 deve essere contestualizzato e ne va intesa la ratio legis. L’intento del Legislatore del Jobs Act, secondo la Cassazione, è stato, da un lato, quello di creare una stabilizzazione dei posti di lavoro, sia a tempo indeterminato che determinato; dall’altro, di introdurre delle previsioni “flessibili” atte a regolamentare le profonde trasformazioni del mercato del lavoro (in costante evoluzione) all’esito dell’avvento di nuove tecnologie. Ancora, la riforma del 2015 ha contestualmente introdotto delle misure repressive degli abusi delle fattispecie contrattuali. In questo senso s’inserisce l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, che va interpretato in collegato disposto con la contestuale abrogazione del c.d. lavoro a progetto (ex art. 52, D.lgs. n. 81/2015) e con il conseguente ripristino della più ampia categoria delle collaborazioni ex articolo 409 c.p.c..

La Suprema Corte invero esplicita che “il Legislatore, in una prospettiva anti-elusiva [mediante l’art. 2, comma 1] ha inteso limitare le possibili conseguenze negative [derivanti dalla “riemersione” delle collaborazioni ex art. 409 c.p.c.], prevedendo comunque l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con l’ingerenza funzionale dell’organizzazione predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione”. Sulla base di tali premesse la Corte ha poi chiarito due principi fondamentali (entrambi discostanti dall’interpretazione offerta dalla Corte di Appello di Torino):

– l’articolo 2, comma 1 configura una norma di disciplina (avente carattere sia preventivo sia rimediale12) e non di fattispecie, quindi non idonea ad identificare un tertium genus intermedio tra lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. e collaborazioni ex art. 409, n. 3 c.p.c.. Secondo la Corte non avrebbe senso interrogarsi se tali tipologie di collaborazione siano ascrivibili alla subordinazione ovvero all’autonomia; ciò che rileva è che per le stesse – ove ne ricorrano i presupposti tipizzati dal Legislatore (personalità, continuità, etero-organizzazione) – siano applicate le norme previste per la subordinazione avendo l’ordinamento disegnato una norma di disciplina; – non è necessario effettuare una selezione delle tutele proprie della subordinazione applicabili ex articolo 2, comma 1, alle collaborazioni etero-organizzate (né tantomeno tale selezione dovrebbe essere effettuata dai giudici).

Infatti, nei casi di collaborazioni coordinate, ove il collaboratore – per le concrete modalità di svolgimento della prestazione – sia di fatto “comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente, e quindi il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.

Sul punto è interessante rilevare che la Cassazione – in un brevissimo passaggio della sentenza in commento – accenna anche al profilo per cui tale previsione non sottintenda sempre un’applicazione completa della disciplina della subordinazione, poiché vi possono essere casi in cui questa trasposizione è “ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare”13. Tale riflessione non è tuttavia ulteriormente approfondita dalla Corte. Per i motivi sopra esposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso di Foodora, ritenendo applicabili agli ex riders della piattaforma tutte le tutele spettanti ai lavoratori subordinati.

IV. – CONSIDERAZIONI SULLE IMPLICAZIONI PRATICHE DELLA POSIZIONE ASSUNTA DALLA CORTE DI CASSAZIONE

La sentenza in commento ha il pregio di porre un punto fermo su alcune questioni aperte da quando il “caso riders” è esploso in Italia. Innanzitutto, la Cassazione conferma che la prestazione lavorativa dei riders di Foodora, sebbene contrattualizzata come lavoro autonomo, per le sue modalità di svolgimento giustifica l’applicazione dell’articolo 2, comma 114. Dopodiché la Corte, pur non entrando nel “vivace dibattito dottrinale” circa la qualificazione dell’articolo 2, comma 1, e discostandosi da quanto prospettato dalla Corte di Appello di Torino, esclude che tale norma sia idonea ad introdurre un tertium genus, trattandosi piuttosto di una norma di disciplina, che opera ex post con finalità antielusive. Di qui, tutte le volte in cui la collaborazione ex articolo 409 n. 3 c.p.c. è connotata da modalità di esecuzione della prestazione imposte dal committente, così da integrare la etero-organizzazione, troveranno applicazione tutte le tutele del lavoro subordinato (non solo per i riders ma per qualsiasi collaboratore etero-organizzato). Secondo l’orientamento della Suprema Corte invero tale applicazione va effettuata in modo integrale – salvo i casi di “incompatibilità oggettiva”. Proprio questo inciso della Cassazione lascia tuttavia aperti diversi scenari. Presumibilmente, nel concreto potrebbe toccare al giudice stabilire – caso per caso
– se l’estensione di una tutela del lavoro subordinato sia oggettivamente incompatibile con le modalità di esecuzione della stessa.

Oppure, come previsto al comma 2, lett. a, dello stesso art. 2, D.lgs. n. 81/2015 (che fa salva la possibilità per le parti sindacali di sottoscrivere contratti collettivi atti a regolare il trattamento economico e normativo applicabile alle collaborazioni etero-organizzate), potrebbero essere le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a regolare tramite accordi collettivi la disciplina applicabile a tali forme di collaborazione. Invero, se sino ad oggi il dibattito tra piattaforme e rappresentanze sindacali non ha ancora preso piede in modo concreto, proprio tale precedente potrebbe stimolare l’incontro tra riders e piattaforme (per il tramite delle proprie rappresentanze sindacali15).

Questo consentirebbe di evitare – nell’eventualità in cui un giudice dovesse riconoscere la natura etero-organizzata del rapporto – l’applicazione integrale della subordinazione prevedendo ex ante la disciplina “concordata” da applicare a tali tipologie di rapporti.

Peraltro, in tale logica di incentivazione/ crescita del dialogo tra le parti sociali si inserisce anche l’intervento legislativo del 201916 che, come già rilevato, ha esteso l’applicabilità dell’articolo 2, comma 1, ricomprendendovi le collaborazioni etero-organizzate anche attraverso “piattaforme anche digitali” in cui il collaboratore svolge lavoro “prevalentemente” personale. Tale intervento ha altresì introdotto una disciplina ad-hoc per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore17, lasciando anche in questo caso ampio spazio all’autonomia collettiva delle parti18. In conclusione, sarà interessante osservare se le innovazioni legislative e giurisprudenziali in commento (che hanno senza dubbio determinato un restringimento del margine
di discrezionalità operativa delle piattaforme) riusciranno a dare impulso a un produttivo dialogo sociale ovvero se, in mancanza, saranno comunque in grado di fornire una cornice regolatoria a un mercato – quello del lavoro su piattaforme – in rapidissima e costante evoluzione.

Per la tabella clicca qui.

1. Cass. Civ., sez. Lav., 24 gennaio 2020, n.1663.

2. Tale articolo prevede l’applicazione delle norme proprie del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate e si inserisce all’interno di un più ampio processo di riforma del mercato del lavoro italiano, avviato nel 2015 con il c.d. Jobs Act.

3. I c.d. gig workers rappresentano un fenomeno in constante aumento in Italia. Secondo una stima di Fondazione De Benedetti per il Rapporto Annuale INPS 2018 (riferita al 2017), i lavoratori su piattaforma sarebbero tra gli 589.040 e i 753.248, di cui il 12% rappresentata dai riders, (in https://www.inps.it/nuovoportaleinps/de ... mdir=51978). Più recentemente, l’Istituto Nazionale di Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp), in occasione della relazione sull’indagine presentata alla Camera dei Deputati a settembre 2019, ha individuato i gig workers in 213.150 unità, di cui il 15% svolge l’attività di rider (in https://inapp.org/it/inapp-comunica/sal ... -contratto).

4. Trib. Torino, sez. Lav., sentenza n 778/2018. L’occasione offre l’opportunità di segnalare che un caso molto simile a quello deciso dal Tribunale di Torino, è stato trattato e deciso dal Tribunale di Milano, che però – con la sentenza n. 1853/2018 – ha respinto il ricorso di un ex rider di Foodinho, piattaforma acquisita poi da Glovo, che chiedeva l’accertamento di una prestazione di lavoro subordinato con argomentazioni pressoché identiche (libertà di rendere la prestazione scegliendo tra i vari slot disponibili; libertà di cancellarsi dagli slot prenotati; assenza dell’obbligo di svolgere un numero minimo di ore).

5. Digital Services XXXVI Italy S.r.l. (Foodora) in liquidazione, nelle more del processo è stata incorporata dalla Foodinho S.r.l., ex startup italiana acquisita nel primo trimestre del 2016 da Glovo, società di deliver-everything spagnola. L’ex Foodora è quindi di proprietà da Glovo dall’ultimo trimestre del 2018.

6. Cfr. Tribunale di Torino, sentenza 7 maggio 2018, n. 778, pag. 14.

7. La Corte di Appello conferma che l’attività dei riders non è compatibile con il lavoro subordinato, difettando del requisito della obbligatorietà (i riders invero erano liberi, tra l’altro, di decidere se lavorare in una determinata fascia oraria o meno).

8. E’ interessante notare che la Corte, nel determinare la retribuzione applicabile nel caso di specie, prende a riferimento quella per i dipendenti inquadrati al V livello del Ccnl Logistica. Si tratta di un richiamo importante che potrebbe essere preso in considerazione anche in futuro – e.g. ai fini della determinazione del trattamento retributivo minimo da applicare ai c.d. riders lavoratori autonomi ex. 47-quater del D.L. n. 101/2019 convertito dalla L. n. 128/2019. Tale disposizione, infatti, prevede che, in mancanza di (nuovi) accordi collettivi ad hoc regolanti trattamenti minimi retributivi dei riders assoggettati alla disciplina del nuovo D.L. n. 101/2019, si dovrà fare riferimento ai minimi tabellari previsti dai Ccnl applicabili ai “settori affini o equivalenti”.

9. Si precisa che i riders non hanno proposto ricorso incidentale avverso la sentenza dei giudici torinesi rinunciando quindi a insistere sulla loro domanda principale finalizzata al riconoscimento della sussistenza di un “vero e proprio” rapporto di subordinazione con Foodora.

10. Il Decreto legge 3 settembre 2019, n. 101 (D.L. n. 101/2019 – convertito in Legge 2 novembre 2019, n. 128) ha modificato parzialmente – ampliandone la portata – l’art. 2 D.lgs. n. 81/2015 sostituendo la parola “esclusivamente” con “prevalentemente”, sopprimendo l’inciso “anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro” e precisando – dopo il primo periodo, sempre al comma 1 – che “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.

11. Cfr. Cass., 24 gennaio 2020, n.1663, punto 11, pag. 6. “Sono state proposte le soluzioni interpretative più varie, soluzioni che possono schematicamente e senza alcuna pretesa di esaustività così evocarsi: a) una prima via, che segue inevitabilmente il metodo qualificatorio, preferibilmente nella sua versione tipologica, è quella di riconoscere alle prestazioni rese dai lavoratori delle piattaforme digitali i tratti della subordinazione, sia pure ammodernata ed evoluta; b) una seconda via immagina l’esistenza di una nuova figura intermedia tra subordinazione e autonomia, che sarebbe caratterizzata dall’etero-organizzazione e che troverebbe nel D.lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, il paradigma legale (teoria del tertium genus o del lavoro etero-organizzato); c) la terza possibilità è quella di entrare nel mondo del lavoro autonomo, dove tuttavia i modelli interpretativi si diversificano notevolmente essendo peraltro tutti riconducibili nell’ambito di una nozione ampia di parasubordinazione; d) infine, vi è l’approccio “rimediale”, che rinviene in alcuni indicatori normativi la possibilità di applicare una tutela “rafforzata” nei confronti di alcune tipologie di lavoratori (quali quelli, considerati “deboli”, delle piattaforme digitali) cui estendere le tutele dei lavoratori subordinati”.

12. Cfr. Cass., 24 gennaio 2020, n.1663, punto 26, pag. 9. Secondo l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte, essendo la situazione soggettiva del collaboratore etero-organizzato parzialmente assimilabile a quella del lavoratore subordinato, al ricorrere di alcuni elementi sintomatici, quali l’etero-organizzazione dei tempi e dei luoghi, consegue l’applicazione integrale delle tutele del lavoro subordinato, coerentemente all’intento antielusivo della norma.

13. Cfr. Cass., 24 gennaio 2020, n.1663, punto 41, pag.11.

14. Il rider poteva scegliere se lavorare prenotandosi per gli slot orari predisposti ma Foodora imponeva che la consegna fosse effettuata entro 30 minuti dal ritiro del cibo dal ristorante (salvo il pagamento di una penale di 15 euro), indicava dove iniziare obbligatoriamente il turno e dava le istruzioni sul percorso da seguire per la consegna che, una volta portata a termine, doveva essere comunicata alla piattaforma. Alcuni degli strumenti utilizzati per consegnare (i.e. lo zaino termico, il caschetto e la giacca catarifrangente per la bici) erano consegnati dalla società in comodato d’uso gratuito, previo pagamento di una cauzione di 50 euro.

15. Peraltro, ad oggi, il tasso di adesione dei riders ai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale risulta particolarmente basso.

16. “L’intento protettivo del Legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza – per l’applicabilità della norma di prestazioni “prevalentemente” e non più “esclusivamente” personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all’elemento della “etero-organizzazione”, eliminando le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale riduzione”.

17. Tale innovazione legislativa, pensata quasi esclusivamente per i riders, prevede tra l’altro, l’obbligo di copertura antinfortunistica, l’obbligo di iscrizione presso Gestione Separata Inps e l’applicazione di un minimo salariale orario (non potendo tali lavoratori essere retribuiti in base alle consegne effettuate).

18. Entro il prossimo novembre 2020, le parti collettive saranno chiamate a regolare alcuni aspetti fondamentali di tali rapporti tra cui i livelli minimi e i criteri di determinazione del compenso (fermo restando che in mancanza di tali accordi i riders saranno tenuti a beneficiare di compensi non inferiori ai minimi previsti dai Ccnl affini).





https://consulentidellavoro.mi.it/wp-co ... ADDINO.pdf
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Uber multinazionale del caporalato, una mostruosità globale

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 11:14 am

Corte Suprema GB: autisti Uber sono dipendenti non autonomi
19 febbraio 2021

https://www.rainews.it/dl/rainews/artic ... 096dd.html

Gli autisti di Uber devono essere trattati come dipendenti e non come lavoratori autonomi, ha stabilito la Corte suprema britannica. La sentenza apre alla possibilità per migliaia di autisti Uber in Gran Bretagna di fare richiesta per un salario minimo e per le ferie pagate.

Uber, che rischia di dover pagare delle compensazioni agli autisti, ha dichiarato che la sentenza si concentra su un piccolo numero di guidatori e ha già portato dei cambiamenti nel suo business. La società che gestisce l'app di trasporti ha presentato appello alla Corte Suprema dopo aver perso tre battaglie legali in precedenza.

La Corte Suprema britannica ha indicato nella sua sentenza alcuni elementi che si riferiscono alla fattispecie di lavoro dipendente: Uber decide quando guadagnano gli autisti, i termini del loro contratto, può penalizzare quegli autisti che rifiutano più corse, monitora il rating dato dai clienti e può interrompere il rapporto se i voti non migliorano. In base a questi e altri fattori, secondo l'Alta corte gli autisti sono in una condizione subordinata a Uber e l'unico modo di guadagnare di più è lavorare di più.

Uber è stata portata in tribunale dai suoi autisti in diversi altri Paesi proprio sul loro status, di dipendenti o autonomi.


Uber: corte suprema Gb, gli autisti sono lavoratori. Diritto a salario minimo e ferie
19 febbraio 2021

https://www.ilsole24ore.com/art/uber-co ... i-ADtA5yKB

La sentenza, che conferma un verdetto di primo grado, costringerà l’azienda a garantire contratti e tutele rafforzate agli autisti

Gli autisti della piattaforma Uber impiegati nel Regno Unito devono essere considerati «lavoratori» a tutti gli effetti e avere accesso a diritti come salario minimo, ferie pagate e pause di riposo. Lo ha stabilito il 19 febbraio la Corte Suprema britannica, confermando come il verdetto di un precedente grado di giudizio che aveva dato torto al colosso Usa dei trasporti privati.

Il caso risale al 2016, quando un tribunale del lavoro aveva stabilito che due «driver» della piattaforma avessero diritto a ferie pagate e pause di riposo nel corso della propria giornata lavorativa. La sentenza costringerà l'azienda, già impegnata nei mesi scorsi in uno scontro giudiziario con il Comune di Londra, a garantire contratti e tutele rafforzate agli autisti, come invocato da tempo da sindacati e autorità locali. Il tempo di lavoro dei conducenti, si legge in un sommario della sentenza, «non è limitato al tempo trascorso con i passeggeri» e include quando «sono “loggati” nella applicazione e disponibili ad accettare tratte».

L’azienda: le cose sono già cambiate, ora faremo di più

Uber ha dichiarato che rispetterà la sentenza, sottolineando che si tratta di un «piccolo gruppo di autisti» che utilizzavano la app nel 2016. L’azienda ha replicato di aver già «fatto significativi cambiamenti» al suo modello di business da allora, proprio per venire incontro alle esigenze dei guidatori coinvolti nel servizio. Ora l’impegno del gruppo sarà quello di «fare di più» e consultarsi direttamente con gli autisti attivi nel paese, per verificare che genere di cambiamenti si attendano.




L'autista di Uber è un dipendente: lo stabilisce una sentenza
In Francia la Corte di Cassazione chiude una causa tra la app e un conducente. La spinta dei giudici per inquadrare la gig economy
5 marzo 2020

https://www.wired.it/economia/lavoro/20 ... efresh_ce=

Nuova importante sentenza per i lavoratori della gig economy. Il 4 marzo la Corte di Cassazione francese ha riconosciuto a un autista del colosso americano Uber lo status di lavoratore subordinato anziché di lavoratore autonomo. Secondo l’ordinamento francese questa decisione arriva come ultimo grado di giudizio nel procedimento, e quindi ora Uber non potrà più ricorrere contro la scelta dei giudici di Parigi.

Il caso risale al 2017, quando la compagnia americana ha deciso di disattivare l’account dell’autista francese impedendogli di ricevere segnalazioni sulle corse, si legge su Le Monde. A quel punto il lavoratore ha denunciato la società e nel 2019 la Corte d’appello di Parigi ha emesso una sentenza che stabiliva che quello tra l’autista e la compagnia era un “contratto di lavoro subordinato”, e non di lavoro indipendente.

Con la nuova sentenza, la Corte di Cassazione ha ora confermato quella decisione ribadendo che gli autisti della compagnia “non si costituiscono una propria clientela, non possono fissare liberamente le proprie tariffe e non stabiliscono autonomamente le modalità di esecuzione del proprio lavoro”, scrivono i giudici, e per questo non si possono considerare quei lavoratori come autonomi ma si devono considerare come subordinati.

Da parte sua, Uber fa sapere che la decisione non tiene conto delle “ragioni per cui gli autisti decidono di utilizzare l’applicazione Uber, e nemmeno dell’indipendenza e della flessibilità che permette loro”. Inoltre, la compagnia resta ferma sul fatto che questa sentenza non “implica una riqualificazione immediata o automatica di tutti gli autisti che utilizzano la piattaforma”.

Ma questo non rappresenta certo un caso isolato. Sempre in Francia, per esempio, Uber riporta oltre 150 casi di autisti che vogliono convertire il loro contratto con la piattaforma in un contratto di lavoro dipendente, e in California, lo scorso settembre, è stata varata una legge che garantisce maggiori tutele e garanzie simili a quelle dei lavoratori dipendenti per gli autisti del colosso e per altri lavoratori impiegati nella gig economy.

Anche in Italia, lo scorso gennaio, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che riguarda i rider della compagnia di consegne cibo Foodora (ormai chiusa e passata sotto Glovo) e ha stabilito che, anche se collaboratori, i fattorini devono poter beneficiare dei diritti dei lavoratori subordinati e non come lavoratori autonomi.



Sentenza Uber, effetto domino sui diritti dei lavoratori della gig economy
Antonello Guerrera
17 marzo 2021

https://www.repubblica.it/economia/2021 ... 292696901/

LONDRA - E ora che cosa succederà alla "gig economy", all'economia di Uber, Deliveroo, Just Eat & Co., con gli autisti e i rider pagati sinora a cottimo perché considerati "contractor" e non lavoratori? E se cambiasse tutto? Una rivoluzione, o perlomeno una metamorfosi di questo business ultra-flessibile del XXI secolo, potrebbe essere iniziata a Londra. Perché Uber, il colosso californiano dei taxi a basso costo, oggi si è piegato alla recente sentenza della Corte Suprema britannica che ha definito ufficialmente gli autisti della multinazionale "workers", ossia lavoratori dipendenti. E così, da subito, tutti i 70 mila driver di Uber operanti oltremanica (di cui quasi 50 mila a Londra) avranno ferie pagate (per una quota del 12% del salario), contributi automatici per la pensione e un salario minimo, che dal primo aprile in Regno Unito sarà quantificato in 8,91 sterline, circa dieci euro all'ora.

Si apre una nuova era, che mette paletti e regole a un "far west" che per l'azienda era produttivo e stimolava domanda e concorrenza, mentre, dall'altra parte della barricata, sempre più autisti non sopportavano più le condizioni di lavoro precarie, aggravate poi dalla crisi del Covid che ha affossato la richiesta di corse e spostamenti. "Cambiamo pagina", ha detto il ceo di Uber Dara Khosrowshahi all' "Evening Standard", "questo è un miglioramento deciso agli standard dei nostri autisti".

Ma quali saranno le conseguenze? Innanzitutto, potrebbe esserci un aumento di costi per i clienti, anche se questo punto è ancora oscuro: il Regno Unito rappresenta il 6,4% del fatturato totale delle singole corse di Uber ed è il mercato più importante in Europa. Gli Stati Uniti ovviamente sono il primo mercato mondiale. L'azienda ancora prevede di segnare un trimestre positivo prima della fine dell'anno e per ora non c'è segnale di un cambiamento di obiettivo. Ma secondo Morgan Stanley ciò "avrà sicuramente un impatto sui conti di Uber". Oggi, all'apertura della borsa di New York dopo l'annuncio, l'azienda ha perso il 4,52%.

Il punto vero però è che questa sentenza e la decisione di Uber di accettare questi benefici per i lavoratori nel Regno Unito potrebbero dare il là a un effetto domino. Innanzitutto, ci potrebbero essere altre cause oltremanica, nonostante le concessioni dell'azienda della Silicon Valley. Innanzitutto, Uber riconosce salario minimo e altri benefit non sul tempo totale di lavoro ma solo quella porzione che parte dal momento in cui l'autista imbarca il cliente a quello in cui quest'ultimo arriva a destinazione. Ciò non ha ancora soddisfatto alcuni rappresentanti dei lavoratori di Uber James Farrar e Yaseen Aslam, che hanno lanciato l'azione legale cinque anni fa. Secondo loro l'azienda manca di riconoscere ancora il 40% circa di quello che spetta ai driver. Tuttavia, Uber insiste nel non voler riconoscere come lavoro il tempo passato dagli autisti senza clienti o quello impiegato per raggiungerli, dato che Uber non ha controllo né l'esclusiva sui suoi lavoratori, i quali potrebbero benissimo lavorare contemporaneamente anche con altre compagnie di trasporto privato economico, come Lyft.

Non solo: le concessioni di Uber non si applicano per esempio ai fattorini del cibo che rientrano sotto la branca "Uber Eats", che a questo punto, dopo la sentenza della Corte Suprema e la sua messa in pratica da parte dell'azienda californiana, potrebbero avanzare richieste simili. Inoltre, sempre nel Regno Unito, Uber è implicata in un'altra causa importante e cioè quella del pagamento dell'Iva britannica, dalla quale sinora è esentata perché viene considerata dall'erario tecnicamente come una piattaforma di intermediazione e non come un datore di lavoro vero e proprio. Ma è chiaro che, accettando di approvare i diritti per i suoi guidatori, Uber potrebbe presto essere considerata un datore di lavoro e tutti gli effetti e quindi essere colpita a livello fiscale.

Non c'è dubbio che la sentenza della Corte Suprema e la sua applicazione è stata una vittoria di Davide contro Golia e questo potrebbe pone un precedente importante che può essere emulato in altri Paesi, dove Uber per esempio ha già concesso la copertura sanitaria agli autisti. Allo stesso tempo, è vero che di recente c'è stato un referendum in California che ha rigettato richieste di benefit simili a quelle vidimati nel Regno Unito. Vedremo.

Di certo, il futuro di Uber e dei suoi simili è quantomeno a rischio. Secondo il "Financial Times", quello dell'azienda californiana è un modello insostenibile: "Dopo 12 anni di attività, Uber non è ancora riuscita a registrare utili", nonostante valga 110 miliardi di dollari. "Non siamo qui a criticare il capitalismo", continua il quotidiano finanziario londinese, "ma a un certo punto bisogna anche dare un'occhiata alle perdite di Uber (6,8 miliardi di dollari nel 2020) e di altri competitors. E allora uno pensa: ne è valsa davvero la pena?".



I driver di Uber sono lavoratori subordinati: la sentenza della Corte Suprema del Regno Unito
Falletti Elena
mercoledì 24 marzo 2021

https://www.quotidianogiuridico.it/docu ... egno-unito

La decisione della Corte Suprema britannica riguarda Uber BV, la nota azienda che possiede l'app Uber. La richiesta dei driver di Uber di fronte ai giudici inglesi rappresenta un leading case per stabilire il loro status lavorativo. Nel 2016, al momento del deposito della domanda, il numero di autisti Uber che operavano nel Regno Unito era stimato a circa 40.000, di cui circa 30.000 nella sola area di Londra. Ora, la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che la loro posizione integra quella di lavoratori dipendenti.


Perché i rider fanno sciopero: quali sono le richieste a Uber, Deliveroo, Glovo, Just Eat e Social Food
Vito Califano
26 Marzo 2021

https://www.ilriformista.it/perche-i-ri ... od-206506/

È il giorno dello sciopero dei riders, i fattorini del food delivery, i lavoratori che attraversano le città e che chiedono ai consumatori di non fare acquisti oggi in segno di solidarietà per le loro condizioni lavorative. È stato battezzato “No delivery day”, il giorno di protesta. Un’iniziativa che è stata confermata nonostante la firma di un protocollo tra sindacati e aziende del delivery per la legalità, contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore.

I fattorini del food delivery chiedono “un contratto vero e proprio, con tutele reali, concrete garanzie, equità e rispetto del loro lavoro con una retribuzione adeguata. In altre parole, un contratto collettivo nazionale. Ci troviamo in una situazione paradossale, eppure diffusa nel mondo del lavoro contemporaneo, sempre più simile ad una giungla: siamo pedine nelle mani di un algoritmo, eppure siamo considerati lavoratori autonomi; siamo inseriti in un’organizzazione del lavoro senza alcun potere, eppure non siamo considerati lavoratori dipendenti”.

Le ragioni spiegate in una lettera aperta inviata ai clienti e all’opinione pubblica. Previsti presidi in una trentina di città italiane. A organizzare la protesta in primis è la rete RiderXiDiritti. “Durante la pandemia siamo stati definiti lavoratori indispensabili, e il delivery un lavoro essenziale. Ma continuiamo a fare questo lavoro a 3 euro a cottimo senza neanche la malattia”, protesta un rider citato da Repubblica.

La rete RiderXiDiritti ha definito una “truffa” il contratto raggiunto dalla sola Ugl e AssoDelivery – che rappresenta quasi tutti i gruppi del settore come Glovo, Just Eat, Uber Eats, Deliveroo, Social Food – che non rendeva i rider lavoratori dipendenti (rimangono collaboratori occasionali o partite Iva) ma che riconosceva alcuni incentivi come un compenso minimo di 10 euro lordi per ogni ora lavorata; indennità integrativa pari al 10, 15 e 20% per il lavoro notturno, le festività e il maltempo; premio di risultato da 600 euro ogni 2 mila consegne effettuate; incentivo di 7 euro all’ora per i primi 4 mesi dall’apertura del servizio in una nuova città, anche in assenza di ordini; niente ferie, malattia o maternità; assicurazione contro gli infortuni e per danni contro terzi obbligatoria per legge; dotazioni di sicurezza sono a carico delle aziende come indumenti ad alta visibilità e casco.

“Siamo vicini ai rider – una nota della Cgil di Roma e Lazio – e sosteniamo le loro lotte e domani (oggi, ndr), a partire dalle ore 15:00, parteciperemo al loro presidio in Piazza San Silvestro, nel rispetto della normativa anti-Covid. In tutta Europa le aziende mettono in regola i ciclofattorini e garantiscono diritti, sicurezza e salario. I rider diventano dipendenti e riescono a uscire dal cottimo e dallo sfruttamento. In Italia, invece, Assodelivery continua a sfuggire al confronto e preferisce soccombere in tribunale e rischiare di pagare milioni di multe piuttosto che trattare davvero con le organizzazioni sindacali. La firma del protocollo contro il caporalato, sottoscritto ieri, dimostra che la trattativa sindacale e gli accordi portano buoni risultati. L’unica strada è quella che dà spazio alla trattativa con i rappresentanti dei lavoratori, come sta facendo Just Eat, per dare vita a un contratto vero che tuteli i rider ed elimini ingiustizie e sfruttamento”.

Lo scorso febbraio una sentenza della Procura di Milano, secondo la quale Uber Eats, Glovo-Foodinho, Deliveroo e Just Eat devono regolarizzare 60mila rider con contratto di collaborazione. Quantificata una violazione in materia di sicurezza sul lavoro per 733 milioni di euro complessivi di ammende nei confronti delle aziende. Per la Procura la condizione dei ciclofattorini, che sono assunti da contratti di lavoro autonomo occasionale, è equiparabile a quella di lavoratori dipendenti. Un’indagine che ha contato su interviste a oltre mille rider, prima a Milano e poi in tutta Italia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Precedente

Torna a Skei, laoro, economia, banke, fisco, ladrarie o robaure

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron