El mito de ła soranedà monedara

Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » ven feb 24, 2017 9:20 am

PERCHE' SOVRANISTI
Superare le polemiche e restituire alla Nazione un'opzione politica unitaria e finalmente vincente
24/02/2017 05:40

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/p ... NISTI.html

Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Tutti i percorsi che hanno oggi portato la destra italiana a schierarsi su posizioni sovraniste, sono stati difficili e tortuosi. Per questo è molto improbabile tentare di scaricare queste contraddizioni del passato, solo su chi oggi sta organizzando il Movimento Nazionale per la Sovranità.

Potremmo ricordare che Storace se ne andò da Alleanza Nazionale nel 2007 perché il nostro partito stava aderendo al Ppe e che il primo corteo sulla sovranità monetaria, con ben 20.000 persone, fu organizzato proprio da lui nel 2012. Potremmo controbattere che il Governo Monti su sostenuto fino all’ultimo da tutti gli attuali vertici di Fratelli d’Italia con voti di fiducia e di approvazione del Fiscal Compact (salvo Crosetto), mentre io e soprattutto Storace eravamo ben lontani dal Parlamento e dal Governo. Potrei rimarcare che quando sono arrivato in FdI nel 2013 i loro parlamentari europei facevano ancora parte del Ppe e che dovemmo faticare non poco, fino alle europee del 2014, per schierare quel Movimento su posizioni di critica radicale dell’euro. Potremmo.. ma a che servirebbe? A continuare a tirarci fango addosso, alimentando quell’immagine di rissa continua che segna la destra italiana ormai da troppo tempo.

Quindi “scurdammoce 'o passato”? No, semplicemente, invito tutti a sostituire ogni ridicolo scaricabarile personale con una seria analisi storica e culturale. Al “sovranismo” tutta la destra italiana è arrivata in ritardo e per passaggi successivi. Ci siamo liberati con fatica dalle lenti deformanti di un europeismo di maniera e dalle analisi di comodo degli economisti di regime, per comprendere fino in fondo i danni prodotti dal Governo Monti e l’intollerabile sottomissione in cui ci tengono da anni la Commissione europea e il Ppe della Merkel.

Per questo è importante fare tesoro delle esperienze avute, per costruire un fronte unito e vincente. Dobbiamo scongiurare divisioni e faide all’interno del Polo sovranista – inevitabilmente guidato, dati in numeri in campo, dalla Lega di Salvini – per evitare di arrivare deboli e divisi al confronto con l’altra parte del centrodestra, quella aderente al Ppe e schierata su posizioni liberal-popolari. Dobbiamo rivendicare le primarie del centrodestra per far scegliere ai nostri elettori il leader e il programma, in modo che l’unità del nostro schieramento non si fondi su pericolosi compromessi al ribasso. In tutta Europa i due spezzoni del centro-destra – quello liberal-popolare e quello sovranista - sono schierati su fronti contrapposti, in Italia c’è ancora tempo e spazio per tentare di evitare questo esito perdente. La fine dell’ultimo Governo Berlusconi con una “trama di palazzo” organizzata da Bruxelles e dal Quirinale, dovrebbe insegnare molte cose a tutti quanti noi. Non so se riusciremo a raggiungere un tale obiettivo, che darebbe all’Italia il ruolo di un vero laboratorio politico a livello europeo. Ma, almeno, risparmiamoci il triste spettacolo di una destra lacerata e preoccupata soprattutto di recriminare sulle scelte del passato.


La Corte dei conti indaga sul debito di Roma
Dopo quella penale, aperta un’inchiesta dei pm contabili sul «caso derivati» Il «buco» miliardario risale al 2002 sotto la gestione dell’ex sindaco Veltroni
24 Agosto 2016
http://www.iltempo.it/roma-capitale/201 ... ma-1018022

Anche la Corte dei conti vuole vederci chiaro su come è stato gestito il risanamento del debito storico del Comune di Roma. I magistrati della Procura contabile del Lazio, così come hanno fatto i colleghi del penale, hanno aperto un fascicolo sulla base dell’esposto presentato dall’attuale assessore al Bilancio Marcello Minenna e dal capo di gabinetto del sindaco Carla Raineri prima delle elezioni, quando entrambi erano al fianco del commissario straordinario Francesco Paolo Tronca. Nella denuncia si chiede ai pm di verificare se le mosse messe in campo da Massimo Varazzani, ex commissario straordinario per la gestione del debito di Roma Capitale, abbiano causato un danno all’erario del Campidoglio. In particolare, i due denuncianti hanno chiesto di accertare se in relazione al «caso derivati» l’operato di Varazzani sia stato corretto. Era stata l’amministrazione guidata dall’ex sindaco Walter Veltroni ad acquistare nel 2002 prodotti finanziari derivati, i cui effetti disastrosi si sono ripercossi sulle casse di Roma Capitale sotto forma di debiti. Nel 2008, con l’elezione di Alemanno, il governo Berlusconi diede il via libera alla creazione della gestione commissariale, una sorta di «bad company» interna al Comune che doveva provvedere al risanamento del debito accumulato fino a quel momento. Basti pensare che si è arrivati a toccare quota 32 miliardi di euro. Oggi, invece, si attesta attorno ai 12 miliardi: 3 miliardi e 224 milioni di euro per quanto riguarda il debito non finanziario e 8 miliardi e 768 milioni di euro per quanto riguarda il debito finanziario. A Varazzani venne quindi affidato il compito di controllare le pretese dei creditori e autorizzare il Comune al pagamento. Ed è proprio questo il punto contestato nell’esposto. Secondo Minenna e Raineri, l’ex commissario non avrebbe convocato tutti i creditori, violando la par condicio creditorum e «favorendo» le banche. Varazzani aveva ottenuto una linea di credito da 5 miliardi per disfarsi dei derivati, portando come garanzie i 500 milioni di euro messi a disposizione ogni anno della gestione commissariale: 300 milioni dallo Stato e 200 milioni dal Comune, racimolati grazie all’addizionale Irpef dello 0,9% (la più alta d’Italia) e l’euro versato al Campidoglio per ogni volo atterrato e decollato da Ciampino e Fiumicino. Il danno ipotizzato nella denuncia deriverebbe dagli interessi di questa operazione: i 5 miliardi, considerati i tassi d’interesse e le spese per il prestito, sono costati 7 miliardi. Questa l’ipotesi su cui si lavoreranno i magistrati contabili, per stabilire se la strategia di Varazzani abbia effettivamente favorito gli istituti di credito che avevano emesso i derivati, aggravando la situazione debitoria del Comune. I pm di viale Mazzini si avvarranno dell’ausilio della Guardia di Finanza, a cui la Procura penale guidata da Giuseppe Pignatone ha già affidato una delega d’indagine. Il sindaco Virginia Raggi, durante la sua campagna elettorale, aveva fatto della ristrutturazione del debito di Roma, «un debito che è principalmente finanziario e nei confronti delle banche», uno dei punti fondamentali del suo programma. Fatto sta che secondo quanto spiegato dall’attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito di Roma Capitale, Silvia Scozzese, durante un’audizione in commissione Bilancio della Camera: «Né i piani di rientro finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008». Attualmente, infatti, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune di Roma, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore. Si tratta di circa 5.100 posizioni riferibili a procedure non definite, per larga parte relative a procedure espropriative e a contenzioso, per un importo pari a quasi 2 miliardi di euro. A ciò si aggiunge il fatto che la gestione commissariale ha ereditato dal Comune di Roma nove contratti derivati, di cui due risultano ancora aperti alla data del 30 settembre 2015. Entrambi hanno come controparte Banca Opi, sono stati stipulati il 24 luglio 2007 e scadono il 31 dicembre 2030. «Il rischio è che già nel 2016 – ha spiegato la Scozzese – si potrebbe verificare una crisi di liquidità se emergessero nell’anno pagamenti per debiti non finanziari superiori a 539 milioni di euro».


Roma, debito fuori controllo: c'è lo spettro del fallimento
Venerdì 7 Ottobre 2016
di Oscar Giannino

http://www.ilmessaggero.it/roma/campido ... 11221.html

Ieri il neo assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, ha escluso l’ipotesi di un default per la Capitale, ma la situazione è più che emergenziale. I problemi più rilevanti sono quattro. C’è un debito finanziario di 1,2 miliardi, gestibile a seconda dei flussi di entrate proprie del Campidoglio. C’è il nodo della rata annuale di ammortamento del debito da 13 miliardi circa, in gestione separata commissariale. C’è inoltre uno squilibrio patrimoniale di oltre un miliardo del Gruppo Roma Capitale, creato dal saldo netto tra crediti e debiti delle società partecipate comunali che al Gruppo fanno riferimento, e che può rapidamente chiamare all’esigenza di ricapitalizzazioni. E infine c’è un quarto problema: la continua emersione dai conti ereditati di debiti fuori bilancio, residui attivi e passivi.

Facciamo un passo indietro. L’assestamento di bilancio 2016 votato a fine luglio in Campidoglio e impostato dall’allora assessore Minenna è stato un puro atto dovuto. Per rispettare la scadenza di legge, senza avere il tempo né l’intenzione di compiere alcuna scelta strutturale. La voce più rilevante era lo stanziamento di 90 milioni previsti per il salario accessorio nel 2017 e 2018, una delle gravi questioni createsi in passato tenendo gli occhi chiusi sui finti salari di produttività spalmati per tutti fino, in alcun i casi, a oltre il 50% della retribuzione ordinaria. Altre voci apparivano in singolare e inesplicato contrasto con la situazione certificata dall’ex commissario Tronca solo 60 giorni prima, a fine maggio. Secondo il rendiconto finale della gestione Tronca in cassa allora risultavano solo 13 milioni di euro, mentre a luglio secondo il documento Minenna erano saliti a ben 800, computando però per cassa poste non traducibili in liquidità immediata. Qualche giorno fa il sindaco Raggi ha disposto ad alunni disabili e municipi l’assegnazione di 9 milioni su 11 “trovati”, ha detto, nelle disponibilità di tesoreria. Lodevole, ma il problema da affrontare è purtroppo di tutt’altro ordine di grandezza. Il Campidoglio non potrà impostare di qui a 10 settimane il preventivo 2017 senza una ricognizione a 360 gradi dei diversi fattori che concorrono al suo squilibrio strutturale. E poiché per farlo occorre tempo, con tutto il rispetto i 100 giorni sin qui persi sono un cattivo inizio.

LE SCOPERTE
Per avere un’idea di quanto temibilmente ballerine siano le scoperte speleologiche, per così dire, che continuano ad avvenire scavando nei conti di Roma, basti pensare che secondo la Ragioneria capitolina nel primo semestre 2106 già erano emersi 46 milioni non computati nel preventivo 2016, tra nuova spesa corrente e debiti fuori bilancio. A seguito dell’assestamento votato dall’attuale giunta a fine luglio l’Oref, cioè l’Organo di Revisione Economico-Finanziaria del Campidoglio, ha innalzato vertiginosamente la stima fino a 234 milioni di debiti fuori bilancio.
La nuova giunta partirà probabilmente dall’esame di sostenibilità della rata annuale di ammortamento dovuta a Cdp per l’anticipazione di cassa del debito di 13 miliardi, affidato alla gestione separata commissariale guidata da Silvia Scozzese. Che ha avvisato per tempo, a fine 2015, che dal 2017 i flussi prevedibili di cassa generati non saranno tali da sostenerne più la gestione ordinaria e il rientro. Perché, appunto, il bilancio del Campidoglio resta strutturalmente squilibrato.

D’altro canto, i romani sono già al massimo delle sovra aliquote Irpef e Irap sommando Comune e Regione: pagano 750 euro l’anno oltre la media nazionale.

Non pesa solo la rata annuale di ammortamento del debito. Come ha puntualmente dovuto ammettere ieri l’assessore Mazzillo, è la macchina comunale a essere divenuta incapace di entrate proprie in percentuali accettabili. Perde oltre 100 milioni di affitti l’anno sul suo patrimonio immobiliare, sconta 7,1 miliardi di crediti non incassati tra entrate tributarie, multe, tariffe per servizi e canoni. Non riesce a processare l’anno più del 10% degli arretrati Imu. E dal 2008 si sono aggiunti 2,3 miliardi di spese correnti non liquidate ai fornitori, che il commissario Tronca ha iniziato a ridurre. Da asili, mense, affitti e mercati, il Campidoglio riesce a incassare solo 900 milioni l’anno aggiuntivi ai trasferimenti centrali e alle tasse: rispetto ai 4 miliardi di euro di Milano, che ha meno della metà degli abitanti della Capitale.

LE IDEE SUL RIORDINO
Intervenire sul conto economico ordinario postula avere idee estremamente chiare sul riordino del perimetro e dell’organizzazione dell’intera macchina capitolina. Purtroppo a tutti i livelli, dagli assessorati centrali ai Municipi, c’è un problema di gestione e controllo dei dati, di regole, e di risorse umane. Se ci fermiamo alle maggiori stazioni appaltanti gare per lavori e forniture, nel perimetro capitolino e delle sue controllate maggiori siamo a quota 150, che sfiora addirittura le 300 unità se comprendiamo anche quelle per modesti importi. Occorre integrare i sistemi informatici oggi non interfacciati e usati da ogni Dipartimento e Municipio per gestire appalti, gare e affidamenti, che compartimentano e ostacolano ogni processo centralizzato di controllo. E superare la prassi invalsa di attribuire ogni singolo affidamento alla valutazione del dirigente responsabile del procedimento, senza omogeneità di criteri. E bisogna cessare di aggirare gli obblighi di gara attraverso il frazionamento degli importi.

Nel 2015 Milano ha realizzato alienazioni di beni patrimoniali del Comune per 950 milioni, Roma per 33. In compenso, il Campidoglio oggi gestisce anche aziende agricole come Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere, volte alla produzione di carni, salumi e formaggi. Naturalmente, il conto di queste aziende è in perdita. Malgrado le 72 mila unità immobiliari destinate a canone sociale nel Comune di Roma (di diversa proprietà pubblica, non solo comunale), il Campidoglio spende oltre 20 milioni di canoni sociali in proprio.

Quanto al miliardo di squilibrio delle partecipate, non è purtroppo nemmeno esso una sorpresa. Oltretutto il più dei contratti di servizio delle società scade a fine anno, e andranno riscritti con criteri di efficienza del tutto diversi. Di sicuro, il Campidoglio oggi non ha la disponibilità finanziaria adeguata per gli investimenti che sono necessari in Atac e Ama. E comunque una stima almeno approssimativa delle disponibilità non si può credibilmente fare, prima di aver definito come s’intende aggredire gli squilibri strutturali che gravano sul conto economico.

Atac, che in 5 anni ha ottenuto sussidi pubblici per 4,3 miliardi riuscendo a sommare perdite per 1,1 miliardi, ha 12 mila dipendenti con costo medio di 46mila euro, ai vertici di settore. Per l’Ama siamo ancora al punto in cui sono le cronache giudiziarie a dettare l’agenda, mentre senza una precisa scelta industriale il trattamento dei rifiuti romani continuerà a essere un affare per altre parti d’Italia.

Ci fermiamo qui. Non c’è alcun pregiudizio verso la giunta Raggi. Il duro compito che l’attende era chiaro da prima delle elezioni. La condizione di Roma impone scelte molto impegnative, che richiedono grande risoluzione, raffinata competenza, visione e padronanza di un’infinità di dettagli. E 100 giorni dicono che il tempo per addossare le colpe agli altri è finito.


Roma, debito pregresso a quota 12 miliardi
Andrea Marini 06 aprile 2016

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ACLDy01C

l debito pregresso del Comune di Roma, quello che dal 2008 è sotto il controllo della Gestione commissariale, è arrivato a quota 12 miliardi: 3,2 di natura non finanziaria (come debiti commerciali per ritardati pagamenti) e 8,8 di natura finanziaria (come mutui). A fare il punto, ieri, nella sua audizione nella commissione Bilancio della Camera è stata Silvia Scozzese,che da settembre 2015 è il commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del debito pregresso del Campidoglio.

Scozzese ha permesso di mettere un punto fermo: quando è stato predisposto il piano di rientro, nel 2008, il disavanzo ammontava a poco più di 9,5 miliardi. Quando nel 2010 è stato effettuato l’accertamento definitivo, la cifra è stata quantificata a quota 16,7 miliardi: Scozzese ha spiegato, ad esempio, che di ben 2mila pratiche di espropri, avvenuti tra il 1960 e il 1990, si è ritrovata memoria solo nel 2010. Tuttavia, non tutte le nubi si sono diradate: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito – ha detto Scozzese – sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune non è stato individuato direttamente il soggetto creditore». Soprattutto, Scozzese ha messo in guardia su una possibile crisi di liquidità per gli anni 2020-2035. Per smaltire il debito pregresso – quello “ordinario” in capo al Campidoglio, secondo l’ultimo bilancio approvato dal commissario straordinario Francesco Paolo Tronca è pari a 1,2 miliardi, ampiamente sostenibile – ogni anno viene versato un contributo statale di 300 milioni, più 200 milioni ricavati da una addizionale sui diritti di imbarco sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti di Roma e da un incremento dell’addizionale comunale Irpef dello 0,4 per cento. Eppure: «Se si esclude dal computo del debito finanziario della Gestione Commissariale il contributo atteso dal ministero dell’Economia di 880 milioni di euro – ha sottolineato Scozzese – il saldo tra entrate e uscite si prospetta negativo fino al 2039. Chiaramente nei primi anni questo scenario di crisi verrebbe attutito dal versamento degli 880 milioni di euro, spostando le difficoltà di liquidità al 2020 e fino al 2035».
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » ven feb 24, 2017 11:25 pm

Altri che se la prendono con l'euro e propagandano il ritorno alla lira e alla sovranità monetaria


ECCO COME L’EURO CI HA RESI PIÙ POVERI
24 febbraio 2017
http://uneuropadiversa.it/leuro-ci-resi-piu-poveri

La moneta unica continua a provocare malumori e genera scetticismo non solo nelle periferie d’Europa ma anche ai piani alti. La stessa Germania, che è il paese che più ha guadagnato con l’euro, oggi mostra un certo ripensamento. Ma perché questa insofferenza?

I motivi sono tanti. Il primo è da ricercarsi nel malcontento generato dalla globalizzazione non avendo portato l’arricchimento generale che aveva promesso… A dirlo i dati snocciolati da un’indagine condotta dal World Economic Forum.

La globalizzazione ha migliorato la vita di cinesi e indonesiani mentre negli Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia fino agli Emirati Arabi Uniti le condizioni sono addirittura peggiorate, con una maggior senso di precariato. E l’euro è nato in un’era dove la risposta alla globalizzazione sono i neo nazionalismi.

Ma la sfiducia verso la moneta unica si spiega anche guardando ai dati italiani. Dal 2001 il debito pubblico è cresciuto di circa 500 miliardi di euro e dal 108% del Pil è arrivato oltre il 133%. Anche la disoccupazione è peggiorata: dall’8,8% di fine 2001 all’11,9% di dicembre 2016 all’11,9%. In questa valle di lacrime solo l’export ha tenuto.

Ma nella popolazione il malcontento è cresciuto soprattutto perché da quando c’è l’euro sono schizzati alle stelle i prezzi dei generi alimentari e fare la spesa ogni giorno diventa un’impresa ardua. Secondo l’Istat, confrontando i prezzi dei principali prodotti di largo consumo dal 2002 al 2016 si notano aumenti vertiginosi: +47% per un chilo di spaghetti, +58% il riso, +55% la passata di pomodoro, +80% le patate e +73% per la carne di vitello. Ma perché è calato così tanto il potere d’acquisto? I motivi son tre: il cambio sfavorevole, l’arrotondamento prima del passaggio dalla lira all’euro e i controlli mancati durante il periodo della doppia circolazione che hanno favorito la speculazione. A questi problemi si aggiunge il raddoppio degli affitti. La soluzione migliore è l’uscita dall’euro per riacquisire la sovranità monetaria, la penetrazione sui mercati e il potere d’acquisto perduto.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mer mar 01, 2017 7:13 am

Berlusconi ci riprova: “Serve una nuova moneta nazionale da affiancare all’euro”
L'Italia deve riprendersi "la sovranità monetaria. Conservare l’euro per le importazioni e le esportazioni e con una nuova valuta provvedere ai pagamenti dello Stato", ha detto l'ex premier nel corso della trasmissione Notizie Oggi, su Canale Italia. Dove è andato all'attacco su Renzi: "Ha commesso errori di arroganza e inaffidabilità". Per poi rilanciare il nome di Luca Zaia come leader del centrodestra
di F. Q. | 27 febbraio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... ro/3419833

Quando le idee scarseggiano meglio aprire il cassetto e cercarne qualcuna tra quelle vecchie rimaste inutilizzate, come Matteo Renzi sa bene. “Serve una nuova moneta per riprenderci la sovranità monetaria. Conservare l’euro per le importazioni e le esportazioni e con una nuova moneta interna provvedere a tutti i pagamenti dello Stato per aiutare chi è rimasto indietro. Sono assolutamente convinto di questa soluzione”. Parola di Silvio Berlusconi, intervenuto in mattinata nel corso della trasmissione Notizie Oggi, in onda su Canale Italia.

Un’idea che il presidente di Forza Italia aveva già lanciato almeno 5 volte nel corso degli ultimi tre anni. “Abbiamo le nostre idee sull’euro e le presenteremo: per esempio, creare una seconda moneta, recuperando parte della nostra sovranità monetaria – concionava l’ex premier il 29 novembre 2014, in collegamento telefonico con un’iniziativa del No tax day a Roma – una seconda moneta che possa essere stampata da noi e messa sul mercato che poi valuterà il cambio con l’euro. Una cosa che si può fare”.

Un mese più tardi Silvio tornava sull’argomento: “La Bce deve garantire i debiti degli Stati sovrani europei come la Grecia e stampare moneta. – argomentava il 29 dicembre intervenendo al telefono ad un appuntamento elettorale promosso a San Vitaliano da un deputato di FI – da parte nostra dobbiamo recuperare sovranità monetaria con una moneta nazionale il cui cambio con l’euro deve essere deciso dal mercato. Si tratta di una misura fondamentale per la crescita e per uscire dalla crisi”.

Un vero pallino quella della seconda moneta, per Berlusconi. Che il 16 ottobre 2015 tornava a perorarne la bontà: “Io ricordo, dopo la seconda guerra mondiale, che c’era in Italia una seconda moneta che è rimasta di fianco alla lira dal ’43 al ’53 – ricordava Io non dico di uscire dall’euro, ma non ho trovato nessuna norma nei trattati Ue che vieti l’adozione di una moneta nazionale e noi abbiamo già un nome: si chiama lira, il cambio lo da il mercato con l’euro, perché non fare una prova?”.

Il 27 maggio 2016, poi, il leader azzurro tornava a difendere l’idea, proposta da Virginia Raggi lanciata nella sua corsa verso il Campidoglio: “L’ipotesi di una moneta
complementare fu una mia idea e la rivendico ma se c’è il controllo di Bankitalia, altrimenti cosa facciamo usiamo le conchiglie raccolte ad Ostia e Fregene oppure una banconota dorata con la faccia barbuta di Grillo? Battere moneta non è prerogativa dei sindaci, ma degli Stati sovrani”.

Quindi l’ultimo appello affidato alle pagine del libro che Bruno Vespa dà alle stampe alla fine di ogni anno: “Dobbiamo agire su due fronti – dice Berlusconi al giornalista autore di C’eravamo tanto amati. Amore e politica. Miti e riti. Una storia del costume italiano, uscito il 4 novembre – da un lato rendere l’euro competitivo con le altre principali valute, dall’altro affiancarlo a una moneta nazionale aggiuntiva“.

Parlando della scissione nel Partito democratico su Canale Italia, poi, il presidente di FI è andato all’attacco (“E’ una guerra che sta lacerando il Pd che ormai sembra un contenitore vuoto. Renzi ha commesso degli errori, soprattutto di arroganza e inaffidabilità, ma il resto del suo partito sta usando gli stessi metodi ma senza il suo carisma”) ed è tornato a indicare un nome in grado di unire il centrodestra: “Se Berlusconi non potrà tornare in campo – ha premesso l’ex premier – il centrodestra dovrà trovare qualcuno al suo interno. Il governatore del Veneto Luca Zaia si sta comportando molto bene. Dico Zaia o qualcun altro in grado di emergere e convincere tutti”.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » gio mar 02, 2017 1:02 pm

È l’euro il problema? Cinque miti dei «no-euro» da sfatare
di Riccardo Sorrentino 27 febbraio 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... id=AEwoNIe

scire dall’euro? Davvero? Sono in tanti ormai a chiederlo, all’estero - la destra lepenista francese, per esempio - e in Italia. La doppia recessione di Eurolandia, nel 2008-09 e nel 2012-13 ha spinto molti alla ricerca di un colpevole e la moneta comune è un capro espiatorio perfetto: l'interdipendenza che ha creato tra i 19 paesi rende evidenti le frizioni e i vincoli, soprattutto politici, mentre nasconde a uno sguardo superficiale i vantaggi, principalmente economici. Nel profondo la realtà è decisamente diversa. I vincoli e i problemi posti dall’euro sono minimi rispetto ai vantaggi goduti dal nostro paese, i cui problemi nascono altrove.

1) Il commercio estero ha sofferto
Non è vero. È innegabile che l'andamento dell’euro, oggi, risponda a fattori che riguardano l’unione dei 19 paesi, tra i quali una politica monetaria unica che tiene conto dell’insieme dell’Unione monetaria e non di un singolo paese (e le aspre critiche provenienti dall'economia più grande, la Germania, che è sospettata di essere egemonica sull'area e sulla Bce, lo confermano).

Non è mai stato un problema, però. L’Italia, paese tradizionalmente in attivo nella bilancia commerciale, non è mai andata in deficit: il suo surplus si è ridotto nel 2008-09 – e questo ha pesato, nella dinamica del pil - ma da allora ha ripreso a crescere rapidamente e, in termini reali, ha superato i livelli pre-crisi già a fine 2014.


ITALIA, BILANCIA COMMERCIALE IN TERMINI REALI
Dati annuali in milioni di euro. (Fonte: Eurostat)
1998200020022004200620082010201220142016250.000300.000350.000400.000450.000500.000

Anche le esportazioni verso la Germania hanno mantenuto – in questo caso in termini nominali - un trend in crescita (malgrado la parentesi della Grande recessione) non rapidissima ma comunque sostenuta: la media storica è del 3,1% annuo, l’export è cresciuto di un miliardo di euro ogni anno. È diventato inoltre sempre più importante il resto del mondo (l’”estero” di Eurolandia), che ora copre il 61% delle nostre esportazioni, dal 50% del ’99. Il cambio dell'euro è quindi diventato molto più rilevante, per l’economia italiana, negli ultimi 18 anni. All’interno dell'Unione, la Germania, che sembra diventata la nostra bestia nera soprattutto sul tema dell’interscambio commerciale, è intanto diventata sempre meno fondamentale per i nostri destini: assorbe il 13% del nostro export (in crescita), contro il 20% del ’91 e il 17% del ’99.


ITALIA, EXPORT VERSO LA GERMANIA
Dati annuali in milioni di euro
19921994199619982000200220042006200820102012201420.00025.00030.00035.00040.00045.00050.00055.000

2) Non si può svalutare.
È vero, ma è un bene. Il desiderio di svalutazione è piuttosto bizzarro tra i populisti. Soprattutto in un paese come l'Italia, che importa carburanti, la flessione della valuta comporta sempre una riduzione dei salari reali: benzina e gasolio salgono, è difficile sostituirli, si riduce quindi il reddito disponibile per altri acquisti.

Senza contare che tutta la struttura dei prezzi può aumentare in seguito all'aumento del greggio, con stipendi e salari costretti a inseguirli, a volte senza riuscirci. Se poi è vero che una svalutazione può premiare le imprese esportatrici – imprenditori, ma anche lavoratori – è anche innegabile che l'effetto sia sempre meno importante per le economie avanzate, che devono competere sulla qualità e la produttività, non sul prezzo. Il Giappone ha recentemente provato a svalutare la propria moneta per risollevare le esportazioni, ma dopo un inizio brillante, ma inferiore alle aspettative, presto l’effetto è svanito.


GIAPPONE, ESPORTAZIONI IN TERMINI REALI
Dati in miliardi di yen (Fonte: Fred Economic data)

3) L’Italia non governa la propria moneta.
È vero, la politica monetaria è decisa a Francoforte dalla Bce per tutti i paesi di Eurolandia. L’Italia ne ha però tratto vantaggi di cui, restando “sovrana” – ma la sovranità è una finzione giuridica – non avrebbe potuto godere. I tassi di interesse sono calati rapidamente per tutte le scadenze. Nel ’93 il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia era ancora al di sopra del 10%, poi è rapidamente sceso fino al 3% di inizio ’99, in vista dell’adesione all’euro. In termini reali è passato dal 6% - un livello altissimo, che segnalava quanti rischi erano attribuito al nostro debito pubblico - fino all’un per cento.

Per il lungo periodo, la media dei rendimenti dei decennali nell'età dell’euro è stata del 4,2%, quella del periodo 1980-92 – prima che iniziasse la flessione di “avvicinamento alla moneta unica” del 14,5%. Lo spread sui decennali tedeschi è arrivato da un massimo di 1175 punti base nell’82 fin quasi a zero dopo l’introduzione della moneta comune: i titoli italiani rendevano poco più di quelli tedeschi. Oggi il quantitative easing della Bce permette ai titoli italiani di avere di nuovo rendimenti molto bassi e spread decisamente inferiori a quelli del periodo della crisi fiscale di Eurolandia. Sono state, per il nostro paese, due grandi occasioni perdute.


ITALIA, RENDIMENTI E SPREAD DEI BTP DECENNALI
Valori in percentuale
Rendimenti BTp decennaleSpread BTp Bund
198019851990199520002005201020150510152025

L’unico svantaggio che questa politica monetaria potrebbe aver portato all'Italia non piace – e non trova d’accordo – i populisti anti-euro. È possibile che il costo del credito “più basso del dovuto” abbia permesso la sopravvivenza di imprese non competitive che altrimenti sarebbero fallite (cessando di produrre in modo efficiente) o meglio avrebbero trovato in tassi più alti un forte incentivo a innovare. Lo stesso effetto che avrebbe, in tutte le economie, l’introduzione dei dazi sulle importazioni - anch’essi oggetto di crescenti nostalgie - giustificabili solo, e forse, per le industrie nascenti.

4) L'euro ha portato inflazione
È semplicemente falso. La media storica dell'inflazione italiana è del 5,6%, la media del periodo dell’euro (dal ’99) è dell’1,8%. Tra l’85, quando finì l’epoca dell’inflazione a due cifre, e il ’98, i prezzi sono invece cresciuti in media del 5% annuo. L'ingresso in Eurolandia ha ridotto la dinamica del costo della vita che, va sempre ricordato, è davvero la peggiore delle tasse.


ITALIA, INFLAZIONE ANNUA
Incremento annuale dell'indice dei prezzi, dati mensili - fonte Istat
19501955196019651970197519801985199019952000200520102015-10-505101520253035

Molti consumatori – non solo in Italia – si sono lamentati del fatto che con l'introduzione dell’euro molti prezzi sono aumentati a dismisura (e questo è vero), e hanno accusato le statistiche di non aver registrato questi movimenti (e questo, invece, è falso). Dai dati Istat emerge che a dicembre 2001, rispetto a un anno prima, molti prezzi risultavano in fortissimo aumento. Non tanto i ristoranti (+3,8%) e gli alberghi (+5,8%), da sempre sul banco degli accusati; quanto i servizi bancari delle poste (+25,8%), le patate (+19%), le polizze assicurative (+16%), la carne di maiale (+12,5%), i giornali (+11,5%), i servizi bancari in genere (+10%), la frutta (+7,6%), i vegetali (+7,3), i frutti di mare (+7%) e così via. Sono relativamente pochi i prodotti che hanno visto i prezzi salire meno del 2,4% dell'indice complessivo.

Come si spiega questa differenza? In quell’anno sono calati i prezzi dell'energia (-5%) e tra questi in particolare i carburanti (-10,3%): sono prodotti che pesano molto sul paniere e sui consumi degli italiani. In flessione risultavano anche comunicazioni, prodotti tecnologici e prodotti farmaceutici, non certo secondari nel paniere dei consumi degli italiani.

L’INFLAZIONE DOPO L’INTRODUZIONE DELL’EURO
Variazione annuale dei prezzi a dicembre 2001. ( Fonte: Istat)
25,818,916,013,513,412,511,58,78,57,77,67,35,85,65,54,63,82,4-10,1-14,2Servizi bancari
postaliPatateAssicurazioneServizi finanz.in genereTrasporto aereo passeggeriCarne di maialeGiornali freschiVegetali freschiTrasporto marittimo passeggeriMolluschi e costacei freschiFruttaVegetaliAlberghiScuola secondariaPesce congelatoPaneRistoranti, pizzerie e similiInflazioneCombustibili liquidiApparecchiature di elab. inf.-20-100102030

In molti casi, la dinamica dei prezzi ha rallentato, e bruscamente, già nel 2002. Si può dire che il fenomeno si è esaurito subito, ma intanto il danno era fatto. Nel 2001, a rigore, sono cambiati molti prezzi relativi – quelli, per esempio, dei giornali rispetto a quelli dei farmaci – e i consumatori hanno dovuto sopportare un disagio aggiuntivo a quello dell'uso di una nuova unità di conto, che da allora ha lo stigma della moneta inflazionistica. Senza esserlo.

5) Il trattato di Maastricht è troppo rigido
Il trattato di Maastricht funzionerebbe perfettamente se in ciascun paese la crescita fosse uguale al 2-2,5% e la sua inflazione al 2,5%: permetterebbe di avere deficit pari al 3% del pil ogni anno - il massimo consentito - e di portare il debito al 60% del pil in un tempo lungo ma non irragionevole.


IL SENTIERO DEL RAPPORTO DEBITO PIL

Il problema è che l’Italia non cresce così velocemente, e non è a causa dei vincoli del trattato. Negli ultimi anni gli sforzi di finanza pubblica profusi non si sono trasformati in incrementi analoghi del pil nominale (che comprende anche l'inflazione). Il paese in realtà ha fatto passi indietro in termini di produttività multifattoriale, non ha saputo reggere alle sfide della globalizzazione e della tecnologia, non sono state adeguate competenze, modelli organizzativi, strutture normative.


LO STIMOLO FISCALE E LA CRESCITA
Deficit (in milioni di euro) Variazione del Pil nominale (in milioni di euro)
32.944,834.176,121.147,016.404,044.074,041.358,047.473,051.662,062.172,055.549,024.571,043.936,082.881,068.121,060.781,047.216,043.218,048.482,042.931,062.799,837.386,440.710,467.364,959.623,946.904,044.915,457.653,141.362,858.747,961.077,422.600,0-59.272,431.636,232.948,4-24.197,9-8.665,915.782,022.062,71997199819992000200120022003200420052006200720082009201020112012201320142015-100.000-50.000050.000100.000

Uscire dall’euro?
Uscire dall’euro, quindi, non è soltanto tecnicamente complicato. È anche costoso, soprattutto per un’economia indebolita come quella italiana. Tra i costi, a parte quelli evidenti – riguardanti il debito pubblico – ce ne sono altri nascosti, se non dalla realtà economica dai molti luoghi comuni che circondano l’argomento.

La moneta comune non è perfetta, resta un progetto incompleto sotto molti punti di vista. Richiede molto rigore - non solo fiscale... - da parte di tutti gli attori economici. Nel senso che fa emergere i mille problemi di un’economia, impedisce di nasconderli, impone di affrontarli. Fornisce però anche molti strumenti per farlo. Purché si voglia.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2017 7:25 pm

L’EURO NON È IRREVOCABILE, È SEMPLICEMENTE IRREPARABILE!
di GERARDO COCO
05/03/2017

http://www.miglioverde.eu/leuro-non-irr ... reparabile

Le catastrofi non sono eventi ma processi. Si sviluppano nel corso di giorni, anni, decenni. Pensiamo a un terremoto. Placche tettoniche collidono e scorrono lentamente l’una sull’altra accumulando nel tempo forze geologiche immani. Nessuno si accorge della catastrofe in corso sino al momento in cui un evento, il terremoto appunto, le rilascia in pochi istanti. Purtroppo, tempo e luogo preciso di questo evento sono imprevedibili. Se, per assurdo, lo si potesse bloccare, il terremoto accumulerebbe ancora più energia e, come una molla compressa, al momento del rilascio, provocherebbe danni maggiori.
A differenza del terremoto le catastrofi finanziarie si possono bloccare ma non le tensioni che accumulano e che a un certo momento, sempre imprevedibile, vengono rilasciate. Per questo motivo ogni nuova crisi è più violenta delle precedenti.
Si è continuamente affermato che la Banca Centrale Europea abbia salvato l’euro, ma non è affatto vero. Tutto quello che questo istituto ha fatto è “immagazzinare” le turbolenze che le forze naturali del mercato, libere di operare, lo avrebbero fatto saltare in aria da un pezzo. Questa forze latenti, compresse e presenti nel sistema stanno accumulando sempre più energia distruttiva. La catastrofe nell’eurozona è in corso. Si tratta solo di congetturare quando l’inevitabile diventerà imminente.

La crisi del debito sovrano europeo iniziata nel 2010 non si è mai risolta. Tutto si è aggravato: il debito è aumentato, la crescita economica si è arrestata, il contesto politico deteriorato. Cosa sarebbe successo senza gli interventi della Bce? Un diluvio di liquidazione dei titoli di debito sovrani.
All’inizio della crisi, un avamposto di creditori fiutando l’insolvenza imminente di alcuni governi si sbarazzava del loro debito in cambio di liquidità immediata.
A queste prime svendite sarebbe seguito, come tra animali riuniti in folla, il meccanismo di contagio: il movimento di qualche pecora propagandosi all’intero gregge avrebbe provocato la svendita in massa dei titoli e i tassi di interesse salendo alle stelle avrebbero reso proibitivo l’indebitamento.
La liquidazione in massa di titoli è l’evento sismico che caratterizza le crisi finanziarie: il mercato prende definitivamente atto che i debiti su cui ha investito non potranno mai essere ripagati e cerca di disfarsene il più in fretta possibile. La conseguenza è la depressione che, dal punto di vista tecnico, è l’evento di assestamento e di rettifica dell’eccesso di debito. Purtroppo, associata al collasso del credito, comporta una falcidia generale dei valori delle attività economiche e degli standard di vita. Per quanto sia doloroso ammetterlo, tutto questo processo è il presupposto di una vera, sana e legittima ripresa economica.

Chi pensa, invece, che questa possa verificarsi senza traumi o crede ai miracoli o alle promesse di una banca centrale, è fuori strada.
Nel luglio del 2012 il presidente della Bce, Mario Draghi, proclamava che l’istituto era pronto a preservare l’euro a qualsiasi costo. Come? Creando dal nulla trilioni di euro per comprare il debito di governi in bancarotta per evitare che il mercato se ne sbarazzasse in massa. La “ripresa finanziaria” nell’eurozona è consistita proprio in questo: continuare a mantenere l’illusione della solvibilità dei governi mantenendo appetibile il loro debito insolvente così da permettere il loro continuo indebitamento. La ripresa economica invece non è avvenuta perché questa avrebbe richiesto interventi strutturali, soprattutto tagli di spesa e di tasse, compito non della banca centrale ma dei governi. Un compito prioritario perché il debito pubblico è sempre deflazionario: non è ripagabile se non estraendo reddito dalla collettività e quindi riducendo gli ingredienti della crescita: risparmi e investimenti.

L’unico modo per scongiurare la catastrofe, ora in atto, sarebbe stato, da un lato, attuare un piano di vera ristrutturazione dei debiti sovrani insolventi prevenendo così la falcidia futura del panico del mercato (che si pensa che non si verificherà mai); dall’altro, eliminare la fonte di questi debiti: la spesa ipertrofica dei governi. Due cose impossibili.
Quanto alla ristrutturazione, infatti, i paesi creditori, per evitare di accollarsene le perdite, con la copertura della Bce concedevano invece ai paesi debitori ancora più credito per ripagare prestiti già ricevuti e scaduti. Quanto al rubinetto della fonte della spesa incontrollata, è rimasto sempre aperto; nessun governo prenderà mai l’iniziativa di chiuderlo volontariamente. Solo un evento traumatico può forzare a tali iniziative. La storia della crisi greca è eloquente. Sono passati sei anni da quando, per la prima volta, fu coniato il termine Grexit e da allora, la situazione in questo paese è peggiorata proprio perché nessuna vera ristrutturazione ha avuto luogo e la fonte della spesa incontrollata è sempre attiva.

Oggi nell’eurozona si sono aggiunti nuovi e importanti “punti di rottura” come Italia e Francia che ne hanno fatto peggiorare l’attività sismica. Il mercato dei titoli sovrani è già allarmato non solo sul merito del credito di tutti i paesi dell’eurozona ma anche su quello della stessa banca centrale. Infatti non può sfuggire il fatto che la Bce, come maggior creditore dei paesi insolventi, è essa stessa insolvente e l’illusione sulla solvibilità dei governi potrebbe presto trasformarsi nell’insolvibilità valutaria. Infatti,per acquistare debito sovrano la Bce ha dovuto creare sempre più euro stimolando le aspettative inflazionistiche del mercato che ora, in cerca di rendimenti più alti, si sta sbarazzando sia di euro sia del debito espresso in questa valuta.

Se la BCE smettesse di acquistare il debito pubblico, i governi scoprirebbero rapidamente che non esiste più una domanda per i loro titoli e i tassi di interesse esploderebbero. Sarebbe il fallimento istantaneo dell’eurozona. L’euro non è affatto irrevocabile come più volte ha detto Mario Draghi. L’euro è irreparabile. Pertanto è irrilevante dibattere se per un paese sia meglio uscirne o restarne, oppure cercare di prevedere l’epicentro della prossima crisi. Data l’instabilità esplosiva che l’area ha accumulato, l’epicentro può essere dovunque. Pertanto, al punto in cui si è arrivati. l’unica cosa che ogni paese deve fare è studiare un piano di emergenza per minimizzare i danni del prossimo terremoto che distruggerà l’eurozona.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom mar 12, 2017 3:36 pm

UNA SOLA REGOLA: NON SI CREA LA RICCHEZZA DAL NULLA
di MATTEO CORSINI
12/03/2017

http://www.miglioverde.eu/una-sola-rego ... -dal-nulla

Tra i tanti che propongono come soluzione ai problemi dell’Europa la monetizzazione della spesa ci sono anche (il quasi premio Nobel) Renato Brunetta e Giovanni Tria, i quali, dopo aver messo in evidenza i fallimenti nel processo di convergenza e squilibri macroeconomici tra i Paesi dell’eurozona, sostengono: “In questo contesto, è chiaro quel che si dovrebbe fare, anche se farlo implica cambiare le regole che sovrintendono l’Unione monetaria. Ad oggi non è facile cambiarle, ma la strada non è quella del non rispetto delle regole, anche se fino ad oggi l’Unione si è arrangiata accettandone sostanzialmente la violazione o la loro flessibilità. Ciò che manca sono gli investimenti necessari al sostegno della domanda interna all’eurozona, ma soprattutto a recuperare competitività sui mercati internazionali e ad assicurare la sostenibilità di lungo periodo, innanzitutto sociale, della crescita.”
Suppongo che nessuno si meravigli se gli investimenti non siano altro che il solito “piano infrastrutturale”. E dato che il cosiddetto piano Juncker è ritenuto insufficiente, secondo i nostri “sarebbe necessario ricorrere a spesa in deficit per finanziare investimenti pubblici, azione di principio corretta secondo la cosiddetta golden rule, di cui si parla almeno da quando si sono concepite le regole europee di stabilità e crescita, ma mai accettata per sfiducia nell’uso corretto della regola stessa da parte di governi propensi alla spesa (le “cicale”).”
La regola aurea presenta sempre il problema che, anche se contabilmente si può decidere convenzionalmente di cambiare la rappresentazione delle cose, la realtà non cambia. Quindi le risorse reali per finanziare gli investimenti vanno trovate. Brunetta e Tria, però, sono tra coloro che credono che possano essere create dal nulla, per evitare in ogni caso che aumenti il debito pubblico.
“Tutto ciò implica affrontare la vera questione che in questi anni ha bloccato la politica economica europea: come conciliare il necessario stimolo fiscale con il pericolo, o la quasi certezza, che l’ulteriore crescita dei debiti pubblici crei ulteriore sfiducia nella loro sostenibilità. L’unica strategia che nelle condizioni descritte sembra possibile, oltre che necessaria, è, quindi, quella di uno stimolo fiscale finanziato attraverso la creazione di moneta. In altri termini, ciò che si propone è la monetizzazione di una parte dei deficit pubblici, destinata a finanziare, senza creazione di debito aggiuntivo, un ampio e generalizzato programma di investimenti pubblici, con il vincolo del mantenimento di un avanzo primario al netto di tale finanziamento, ottenuto attraverso il controllo della spesa corrente, in misura compatibile con un sentiero di riduzione costante del debito.”
Aggiungono i nostri: “Ci si augura che le obiezioni a questa politica non si riducano all’osservazione che le regole attuali non lo consentono, perché ormai è assodato che le regole attuali, senza un “whatever it takes” che sia applicato contemporaneamente alla politica fiscale oltre che a quella monetaria, conducono alla dissoluzione europea e alimentano solo proposte di abbandono dell’euro.”
Io credo che il problema reale non siano le regole, che sono stabilite politicamente. Il problema è che non si può creare ricchezza dal nulla, per cui ogni monetizzazione comporta la redistribuzione di risorse esistenti da chi le ha prodotte e legittimamente le possiede ad altri soggetti. Questo nessuna convenzione politica lo può cambiare.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mar apr 04, 2017 7:56 am

COME FANNO LE BANCHE A MOLTIPLICARE IL DENARO DAL NULLA
di ROBERTO GORINI

https://www.miglioverde.eu/riserva-frazionaria-banche

Come fanno le banche commerciali a moltiplicare il denaro dal nulla. Come funziona e cos’è la riserva frazionaria e chi ci guadagna. La riserva frazionaria è un moltiplicatore che consente l’espansione del credito. In un sistema a riserva frazionaria diversa dal 100% il sistema bancario può accreditare del denaro in quantità superiori ai depositi che ha.
Secondo economisti di orientamento marxista, l’espansione del credito assicura tassi di crescita anche decennali alle economie capitalistiche, ma inevitabilmente porta a crisi di sovrapproduzione oppure a crisi economiche dovute all’insolvenza di molte imprese alla scadenza dei debiti. Più in generale, si critica il fatto che la quantità di moneta prestata possa non corrispondere ad una ricchezza reale e quindi causare inflazione e calo della domanda.
Secondo la scuola austriaca di economia, in particolare Ludwig von Mises, la crescita dei prezzi è l’effetto di una crescita della moneta circolante, non corrisposta da un aumento della ricchezza reale: l’espansione del credito, derivante dalla possibilità di una riserva frazionaria inferiore al 100%, causerebbe una crescita dei prezzi ogni qualvolta lo stock di debito di Stato, famiglie e imprese cresce più rapidamente del PIL. Ovviamente, l’indebitamento può crescere tanto più rapidamente quanto più è bassa la “barriera” della riserva obbligatoria. Si tenga presente che la riserva obbligatoria non determina la domanda di prestiti. Tali considerazioni contribuiscono a formare la teoria austriaca del ciclo economico.


L’origine dell’inflazione

http://brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=8530 (pagina non più disponibile)

L’inflazione proviene dall’espansione della base creditizia, che è la componente più importante dell’offerta monetaria, cioè dei mezzi di circolazione: depositi a vista e moneta corrente (banconote e moneta metallica). La tecnica più usata per espandere la base creditizia è rappresentata dalle cosiddette operazioni sul mercato aperto, attraverso cui la Banca Centrale riacquista dalle banche commerciali titoli di Stato già in loro possesso. Lo scopo finale è aumentare la base creditizia per abbassare il tasso di interesse e incentivare gli investimenti. Il controvalore dell’acquisto dei titoli versato sui conti delle banche crea la disponibilità di nuovi depositi a vista sulla cui base le banche possono effettuare nuovi prestiti. Nel momento in cui la banca effettua un nuovo prestito crea nuovo denaro. Ma ogni singolo deposito non dà origine a un solo prestito, ma a un multiplo la cui grandezza dipende dalla frazione di deposito che la banca, per legge, deve trasformare in riserva al fine di far fronte a richieste di immediata liquidità dei depositanti. Ad esempio, se il deposito è 100 e il rapporto di riserva è pari al 10%, la banca può prestare 90 perché 10 vanno destinati a riserva. Tuttavia poiché i soggetti economici spendono e depositano denaro in continuazione, il prestito originario di 90 dà origine ad un altro deposito e quindi ad un altro prestito di 81 che è 90 meno 10% di riserva. A propria volta, il deposito di 81 dà origine ad un nuovo prestito diminuito della riserva e così via fino ad esaurimento dei riprestati, il cui limite espansivo è 1000 e che si ottiene moltiplicando il deposito originario di 100 per il reciproco del coefficiente di riserva pari 1/0,10. Il ciclo della crescita si completa appunto quando i depositi raggiungono 1000 rimanendo le riserve al 10%, cioè a 100. Un singolo deposito è dunque la base per decuplicare il denaro in circolazione. Ma il denaro complessivamente creato è in realtà molto di più. Infatti, il ciclo di depositi schematizzato nell’esempio va a sommarsi ad un altro identico ciclo, generato in precedenza dall’acquisto da parte della banca centrale del titolo originario di 100 emesso dallo Stato per finanziare la spesa pubblica e che poi è servito per effettuare l’operazione di mercato aperto. Sommando i due cicli di depositi o ripresti, la massa monetaria è aumentata non di 10 ma di 20 volte, cioè il denaro creato è stato di 2000 a fronte di un singolo deposito di 100. Questa metodologia di moltiplicazione del denaro si chiama sistema di riserva frazionaria, perché la crescita dei depositi è un multiplo della loro riserva. Se la banca centrale, invece di espandere, volesse ridurre il denaro in circolazione dovrebbe fare l’operazione opposta, cioè vendere titoli alle banche in cambio di denaro, riducendo così i loro depositi da destinare al prestito. Questa è l’essenza della politica monetaria: espandere e contrarre la massa monetaria e, in corrispondenza, abbassare o alzare rispettivamente il tasso di interesse.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mar apr 04, 2017 8:25 am

???

Moneta bancaria o pubblica? La Svizzera al voto per una rivoluzione monetaria (e politica)
di Enrico Grazzini
aprile 2017

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... e-politica

Altro che dittatura dell'euro! Forse la rivoluzione monetaria e bancaria globale partirà dalla Svizzera, cioè, paradossalmente, dal paese più borghese e con le maggiori banche al mondo. Infatti in Svizzera si terrà nei prossimi mesi un referendum di riforma costituzionale per passare dalla moneta bancaria alla moneta pubblica: ovvero per togliere alle banche private il potere di creare moneta sotto forma di erogazione dei crediti e per ridare invece il monopolio dell'emissione monetaria alla banca centrale. Secondo i promotori, il passaggio dalla moneta bancaria a quella pubblica eliminerà alla radice le crisi cicliche finanziarie e renderà possibile l'utilizzo della moneta per il bene comune del Paese.

L'iniziativa, iniziata nel 2015 con la raccolta di 110 mila firme, è stata avviata dal Movimento Svizzero per la Moneta Sovrana, la Vollgeld-Initiative, che l’ha denominata, in italiano ticinese, «moneta intera» (ovvero: moneta piena, legale)[1]. Le votazioni si dovrebbero tenere quest'anno e avranno un effetto in tutto il mondo. In pratica il referendum punta a ridare alla Banca Nazionale Svizzera, e quindi indirettamente allo stato, il potere di controllare la massa monetaria, togliendo alle banche commerciali l'attuale quasi completo monopolio che detengono sull'emissione di moneta.

Infatti, come vedremo, il sistema bancario in tutto il mondo ha il privilegio unico di creare moneta (digitale o scritturale) dal nulla. Generalmente si crede che le banche diano in prestito il denaro dei risparmiatori, ma è vero il contrario. Sono i prestiti delle banche che creano dal nulla nuovi depositi, cioè nuova moneta. La grande maggioranza della moneta è sotto forma di depositi bancari ed è creata dalle banche commerciali ex nihilo. Quindi si crea una espansione monetaria incontrollata.

La proposta svizzera è sotto attacco. Sono molte le critiche, soprattutto per la radicalità della proposta: alcuni rischi sono reali. Molti economisti affermano che la moneta pubblica diventerebbe in pratica oggetto di decisioni politiche e che la banca centrale perderebbe la sua indipendenza e diventerebbe uno strumento in mano al governo. I governi userebbero allora la moneta per scopi politico-elettorali, provocando inflazione (eccesso di moneta), clientelismi, corruzione e divisioni sociali.

Altri insistono sul fatto che se il referendum passasse tutte le maggiori banche del Paese lascerebbero immediatamente la Svizzera. Il dibattito sulla moneta è comunque aperto in tutto il mondo. E molti economisti autorevoli e di establishment ormai propendono per sistemi analoghi a quelli auspicati dal referendum svizzero: togliendo al sistema bancario il potere di creare moneta, si eviterebbero crisi finanziarie violente come quella globale che, partita nel 2008, dura tuttora e sta portando alla rovina anche il nostro Paese. Un esempio per tutti: Martin Wolf, prestigioso editorialista del Financial Times, si è espresso ripetutamente a favore della proposta di “narrow banking”, cioè di trasferire il potere di emissione monetaria dalle banche private alla banca centrale, e quindi in una certa misura allo stato[2]. Del resto, come vedremo meglio più avanti, il narrow banking – cioè l'impossibilità per le banche private di creare moneta - è stato auspicato sia da economisti liberali, come Fisher, Simons, Friedman, Allais, che keynésiani, come Tobin e Minsky.

Da noi, in Italia, un referendum come quello svizzero è improponibile, per il semplice fatto che non abbiamo più una nostra moneta e non abbiamo una banca centrale autonoma e indipendente. Bankitalia è ormai associata e subordinata alla Banca Centrale Europea. Tuttavia il referendum svizzero pone dei problemi profondi e induce a riflessioni molto interessanti sulla moneta e le politiche monetarie.

Occorre sottolineare che la moneta fiscale, promossa da Micromega e dal compianto Luciano Gallino ed entrata finalmente nel programma politico di governo dei 5 Stelle, ha alcuni aspetti di somiglianza rispetto al progetto svizzero, anche se l'iniziativa italiana è differente e assai più limitata[3]. Comunque, con la moneta fiscale, lo stato italiano avrebbe la possibilità di immettere liquidità nell'economia reale, avrebbe dunque un ruolo attivo e propositivo in campo monetario. La differenza fondamentale è che la moneta fiscale italiana non toglierebbe alcuna prerogativa alle banche, diversamente che in Svizzera. E la differenza non è ovviamente da poco.

Un fatto è tuttavia certo: se lo stato italiano riuscisse a immettere moneta gratuita (cioè senza debito bancario) nella situazione attuale di trappola della liquidità e di contrazione del credito bancario, potrebbe rilanciare l'economia e l'occupazione (e lo stesso sistema bancario, oberato da crediti insoluti). Lo stato deve quindi avere un ruolo nel governo della moneta, che non può essere lasciato esclusivamente nelle mani del sistema finanziario.

Moneta pubblica e moneta bancaria

L’esito del voto popolare svizzero è incerto ma il successo è possibile. Apparentemente la consultazione popolare riguarda una complicata questione di tecnica monetaria; ma se il referendum – a cui si oppongono il governo, l'associazione delle banche svizzere e la maggior parte dei partiti – venisse approvato, si tratterebbe di una rivoluzione non solo in campo economico ma anche politico. Una rivoluzione non violenta resa possibile dalla democrazia diretta tipica del regime politico svizzero. Una rivoluzione che si espanderebbe in tutto il mondo.

Si tratterebbe di un primo ma decisivo passo di moneta pubblica (anche se in realtà la piccola Islanda ha già preso una decisione analoga). Se passasse il referendum costituzionale, la Banca Centrale potrebbe non solo emettere tutta la moneta, sia quella cartacea che quella elettronica, ma potrebbe anche distribuirla gratuitamente (ovvero senza interessi, a differenza delle banche), in base ai criteri fissati dal Parlamento, per le spese pubbliche, per le energie sostenibili, il riassetto del territorio, le infrastrutture materiali e immateriali – scuola, sanità, previdenza, ecc -, per diminuire le tasse o per aumentare direttamente il reddito delle famiglie, o anche per un reddito garantito. O per prestarlo alle banche e alle aziende private, ma dietro interesse.

Le banche invece non potrebbero più creare moneta: tornerebbero a fare il loro antico e tradizionale mestiere, cioè diventerebbero intermediari finanziari nel senso proprio del termine – così come viene descritta l'attività bancaria nei libri di testo -. Si occuperebbero di raccogliere i risparmi delle famiglie per riversarlo nell’economia sotto forma di prestiti e investimenti. Tornerebbero a essere quelle che erano prima della moneta elettronica: dei semplici intermediari tra risparmio e investimenti (“narrow banking”).

Le banche creano moneta dal nulla. Ma creano anche debito.

Ma come fanno le banche a creare moneta dal nulla? Gran parte della moneta, in particolare quella elettronica che utilizziamo per le transazioni di maggiore importo – per esempio per comprare la casa, per l'auto, per finanziare gli impianti industriali, l'acquisto di terreni e immobili, o per gli stipendi, o quant'altro -, è emessa dal sistema bancario privato sotto forma di credito (debito per il cliente) in vista del profitto, costituito dagli interessi. Nei suoi documenti ufficiali, un istituto prestigioso come la Banca d'Inghilterra spiega che la moneta che utilizziamo normalmente è moneta bancaria elettronica (o moneta scritturale) per il 95%[4]. Solo una parte secondaria, il 5-10% circa, è costituita da monete e contanti emessi dall'istituto centrale e utilizzati normalmente per le spese correnti. Questo significa che il controllo della massa monetaria sfugge alla Banca Centrale.

Le banche private creano dal nulla circa il 90% e oltre della moneta grazie al fatto che, per legge, esse sono tenute a mantenere solo un rapporto frazionario fra i depositi e i crediti che erogano. La riserva frazionaria è la percentuale dei depositi bancari che la banca è tenuta a detenere presso la banca centrale sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili. In Europa questo rapporto è del 2%. Quindi per ogni prestito che la banca eroga, la banca deve versare solamente il 2% dei depositi alla Banca Centrale come riserva prudenziale in caso di crisi di liquidità. Versando due euro, potenzialmente la banca può creare 100 euro sotto forma di credito.

Le banche non hanno perciò bisogno di fondi per erogare credito (a parte il 2% di cui sopra)[5]. Questo è dovuto al fatto i depositi bancari sono giuridicamente privilegiati da parte dello Stato: infatti lo stato ha concesso ai prestiti delle banche lo status di moneta legale con cui le persone possono effettuare i pagamenti e saldare i debiti. Lo stato e la banca centrale hanno quindi ceduto alle banche private la possibilità di “stampare” moneta. Nessun'altra società finanziaria o industriale ha il potere di creare moneta dal nulla: solo le banche hanno una potestà monetaria pienamente legalizzata e i conseguenti profitti di signoraggio.

La moneta-credito erogata dalle banche diventa per contro, dal lato del cliente, moneta-debito, ovvero moneta che deve essere ripagata con interesse. Ma la crescita incessante dei debiti uccide l'economia reale. Le economie capitaliste contemporanee sono sempre più ammalate di debiti. Uno stato e una società fortemente indebitati sono esposti a crisi finanziarie e diventano schiavi del debito. La creazione di nuova moneta-debito appare come un parassita che dissangua l'economia. Da qui si possono interpretare le teorie sulla cosiddetta “stagnazione secolare”: a causa della moneta-debito, della crescita dei debiti e della speculazione sui debiti (soprattutto sui debiti di stato), le economie entrano in depressione, crescono poco o vanno in crisi.

La Banca Centrale può tentare di determinare indirettamente il tasso di crescita (o di decrescita) dei crediti bancari – e quindi della moneta – fissando il tasso ufficiale di interesse, ovvero il prezzo dei suoi prestiti alle banche. Tuttavia in ultima istanza sono le decisioni che le singole banche prendono per aumentare i loro profitti a determinare la massa monetaria. Quando l'economia è in espansione, le banche concedono facilmente i crediti, quando scoppia la bolla, allora il sistema bancario contrae immediatamente la moneta. La creazione di moneta privata bancaria comporta quindi come conseguenza cicli di speculazione, inflazione, crisi, deflazione, disoccupazione, e così via.

Il Chicago Plan e le teorie alternative sulla moneta

Con il referendum la situazione si rovescerebbe. Il Movimento svizzero per la moneta sovrana propone che una banca possa erogare solo crediti non superiori ai depositi propri o ai soldi presi a prestito da altre banche; così non può creare nuova moneta. Secondo i promotori, questo impedirebbe la formazione delle bolle speculative dovuto a flussi eccessivi di crediti.

Il referendum fa già tremare l'associazione delle banche elvetiche perché sancirebbe il ritorno al sistema monetario classico – dove la sovranità monetaria appartiene allo stato - e toglierebbe loro il privilegio di creare moneta dal nulla. Tuttavia sono ormai molti gli economisti che vogliono sottrarre alle banche il potere di stampare moneta secondo la loro volontà.

Le teorie di riforma monetaria e bancaria risalgono agli anni della Grande Crisi del 1929 e del New Deal. Negli anni Trenta alcuni economisti, tra cui il più famoso del tempo, Irving Fisher, elaborarono il cosiddetto Chicago Plan per il presidente Franklin Delano Roosevelt con l'obiettivo di risolvere alla radice il problema della crisi finanziaria abolendo il sistema di riserva frazionaria[6]. Ma Roosevelt bocciò il piano, considerandolo evidentemente troppo radicale, e in pratica lo segretò. Tuttavia il Chicago Plan riappare in forme inedite ancora oggi, in Svizzera e soprattutto nel mondo anglosassone. Nel 2012 Jaromir Benes and Michael Kumhof del FMI hanno presentato lo studio Chicago Plan Revisited, asserendo che se si fosse tolto alle banche il potere di creare moneta grazie al meccanismo della riserva frazionaria la crisi globale del 2008 non si sarebbe verificata.

La società di revisione e consulenza KPMG, sulle orme degli studi della Bank of England, ha analizzato i sistemi monetari alternativi e i dibattiti sulle riforme monetarie in US, UK, Svizzera, Olanda, Islanda[7]. Nel mondo anglosassone iniziative come PositiveMoney, e altre auspicano una riforma democratica della moneta[8]. New Economic Foundation e CBS Copenhagen Business School hanno calcolato che il signoraggio sulla moneta da parte delle banche svizzere tra il 2007 e il 2015 ha generato profitti per 34,8 miliardi di franchi[9]. Sono soldi che sarebbero invece potuti essere incassati dalla Banca Nazionale Svizzera, e poi quindi girati allo Stato ed essere utilizzati per migliorare i servizi pubblici o diminuire le tasse ai cittadini e alle imprese. O per distribuire ai cittadini svizzeri un dividendo annuale.

Il referendum in Svizzera

Con il successo del referendum, secondo i promotori si tornerebbe alla situazione di normalità costituzionale. Il Movimento per la Moneta Sovrana denuncia che la creazione di moneta da parte delle banche private è contro l’articolo 99 della Costituzione, secondo il quale “il settore monetario compete alla Confederazione”.

Nel 1891, con la creazione della Banca Centrale, lo stato svizzero vietò (come era avvenuto negli altri paesi) alle banche private di stampare banconote, cioè moneta privata. Lo statuto della Banca Nazionale Svizzera le attribuì il monopolio dell’emissione della moneta. Tuttavia, con l’avvento dell’economia moderna e della prevalenza della moneta bancaria elettronica – che prima era nettamente minoritaria -, tale prerogativa non è più rispettata.

I promotori della consultazione affermano allora che “oggi dobbiamo vietare alle banche anche di stampare il denaro elettronico. Solo la Banca Nazionale deve poter creare moneta”. Il problema è che il denaro creato dalle banche private finisce investito prevalentemente nei mercati immobiliari e in quelli finanziari. Solo una parte di gran lunga minoritaria arriva all’economia reale, alle aziende dove si crea la vera ricchezza, cioè posti di lavoro, prodotti e servizi. Il risultato è che aumentano i prezzi delle case e degli asset finanziari, fino a quando non scoppiano le bolle.

Con la vittoria di Vollgeld-Initiative, le decisioni sulla quantità di moneta cartacea ed elettronica da emettere toccherebbero alla banca centrale. La Banca nazionale avrebbe il mandato di provvedere affinché non si crei né una stretta creditizia né un eccesso di denaro in circolazione. E dovrebbe salvaguardare l'interesse generale. Le banche potrebbero prestare solo il denaro che hanno raccolto. I normali correntisti non correrebbero più il pericolo di vedere svanire i loro soldi in avventure finanziarie; i loro risparmi sarebbero garantiti direttamente e totalmente dalla banca centrale. Soprattutto, i rischi di squilibri monetari e di nuove crisi finanziarie si ridurrebbero notevolmente. E lo stato non dovrebbe più spendere i soldi dei contribuenti per salvare le banche private in crisi.

La rivoluzione monetaria non è impossibile, perché in Svizzera i sondaggi sono positivi e indicano che la maggioranza dei cittadini voterebbe a favore. Una cosa è certa: il referendum è sostenuto da soggetti che vanno al di là delle divisioni politiche tradizionali. I promotori del progetto sono originari dei cantoni tedeschi, sono piuttosto conservatori e liberali, e hanno una ispirazione monetarista che punta alla stabilità della moneta. Ma l'idea di ridurre l'influenza delle banche e di affidare alla Banca Nazionale Svizzera la responsabilità della crescita economica può attirare anche molti elettori di sinistra, più numerosi nella parte francofona.

La Moneta Fiscale in Italia

Recentemente il Movimento 5 Stelle ha accolto la nostra proposta di emettere la moneta fiscale, e questa si pone obiettivi parzialmente analoghi, anche se più modesti e meno radicali, di quella proposti dalla Vollgeld-Initiative. Il compianto Luciano Gallino è stato l'unico grande intellettuale italiano che ha avuto l'intelligenza e il coraggio di promuovere un progetto innovativo come il fiscal money. Nella sua prefazione all'eBook edito da Micromega nel 2015, "Per una moneta fiscale gratuita" Gallino ha spiegato che gli autori “osano proporre nientemeno che, allo scopo di combattere la disoccupazione e la stagnazione produttiva in corso, lo stato si decida a fare in piccolo qualcosa che le banche private fanno da generazioni in misura immensamente più grande: creare denaro dal nulla”[10]. Se la BCE non riesce a immettere liquidità all'economia reale, deve intervenire lo stato.

La moneta fiscale consiste in pratica in un Titolo di Sconto Fiscale (TSF) emesso dallo stato e valido per "pagare le tasse" dopo due anni dall'emissione. I TSF verrebbero distribuiti gratuitamente (sottolineo: gratuitamente, ovvero senza produrre debiti) a famiglie, imprese e amministrazioni pubbliche. La moneta fiscale non è alternativa all'euro ma è semplicemente un titolo di stato negoziabile – come i Bot e i Btp – denominato in euro e pienamente convertibile in euro. Non è quindi una moneta alternativa.

Il governo italiano dovrebbe emettere i TSF in misura massiccia, ovvero per miliardi di euro. I TSF, esattamente come i Bot e i Cct, potranno essere ceduti subito sul mercato finanziario in cambio di euro: così incrementano subito la capacità di spesa dell'economia. La distribuzione gratuita di TSF aumenterà la domanda e, grazie alla crescita della domanda aggregata, riprenderanno i consumi e gli investimenti pubblici e privati. Il PIL crescerà e quindi diminuirà il rapporto debito/PIL.

Le emissioni di Tsf potrebbero partire da un livello di circa il 2-3% del PIL annuo - più o meno 30-40 miliardi di euro - e saranno calibrate in tre anni in modo da assicurare alti livelli di occupazione senza produrre un'inflazione superiore al 3-4%, né scompensi nei saldi commerciali esteri. L'aumento della domanda farà crescere il PIL in misura più che proporzionale rispetto all'emissione di TSF, intorno al 3-4%[11].

Nel periodo che va dall'emissione dei TSF alla loro scadenza entrerà infatti in funzione il moltiplicatore del reddito, il cui valore è superiore a uno a causa del sottoutilizzo delle risorse e di tassi d'interesse tendenti allo zero, come nella situazione attuale. A due anni dall'emissione dei TSF la crescita del PIL darà luogo a nuovo gettito fiscale così da compensare il costo dei TSF e da non aumentare il deficit. La manovra, essendo basata su titoli di Stato, è perfettamente in linea con i Trattati europei poiché in campo fiscale ciascuno Stato è sovrano.

La moneta fiscale ha tre caratteristiche fondamentali che la rendono diversa dalla moneta bancaria: a) è emessa e distribuita dallo Stato e non dalle banche private; b) è una moneta nazionale e non una moneta prodotta dalle banche internazionali (come l'euro); c) è una moneta-credito (ovvero distribuita gratuitamente) e non una moneta-debito. Grazie a questo titolo/moneta, lo stato potrebbe combattere l'austerità dell'euro, rilanciare i consumi, gli investimenti e l'occupazione senza aumentare il debito pubblico. E senza rompere le regole dell'eurozona.

Questo progetto è innovativo ma è l'unico fattibile in tempi brevi per uscire da una drammatica crisi sociale ed economica. Non sembra esistano alternative concrete altrettanto efficaci.

NOTE[1] http://www.iniziativa-moneta-intera.ch/

[2] Martin Wolf, (2014). “Strip private banks of their power to create money”, Financial Times, London.

[3] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.

[4] Bank of England. (2014). Money creation in the modern economy. Bank of England, Quarterly Bulleting, 2014, Q1.

[5] In teoria la banca centrale, attraverso l'obbligo delle riserve frazionarie e il cosiddetto moltiplicatore monetario,(M) pari al reciproco del tasso di riserva. (M= 1/R), potrebbe controllare matematicamente l'ammontare totale dei prestiti bancari; in pratica però questo non avviene. La Banca d'Inghilterra indica chiaramente (Money creation in the modern economy., già citato) che le banche centrali intervengono sempre alla bisogna per colmare le riserve quando le banche non possono rispettare gli impegni, in modo da non farle fallire. Quindi nei fatti non è la banca centrale che fissa la riserva frazionaria ma, al contrario, è essa che interviene se una banca è in deficit. L'obbligo di riserva non costituisce perciò un limite invalicabile per le banche commerciali e non consente di controllare la massa monetaria.

[6] Vedi “Chicago Plan” su Wikipedia. “The Chicago Plan Revisited”, report del FMI, 2012, scritto da Jaromir Benes e Michael Kumhof. riprende il piano originario e giunge alla conclusione che la crisi globale del 2008 sarebbe stata evitata se il potere di emissione monetaria fosse stato riservato alla Banca Centrale.

[7] KPMG. (2016). Money Issuance: alternative monetary systems.

[8] Positive Money – http://www.positivemoney.org – in UK e altre organizzazioni simili lavorano per una riforma monetaria. Per una lista accurata vedi: http://internationalmoneyreform.org/

[9] New Economics Foundation Making Money From Making Money. Seigniorage In The Modern Economy

[10] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.

[11] Vedi Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, Guido Ortona MF – Milano Finanza “Per stimolare ìl pìl senza aumentare il debito occorre creare un mercato degli sconti tributari” 7 marzo 2017




SOLDI A PROVA DI CRISI E 300 MILIARDI! COME FUNZIONA?

http://www.iniziativa-moneta-intera.ch/info-in-3-minuti

Funziona, facendo emettere alla Banca Nazionale Svizzera non soltanto i soldi di carta, ma anche tutta la moneta bancaria. Attualmente la moneta bancaria sui nostri conti viene creata esclusivamente dalle banche e non é valuta legale. Una lacuna legislativa con gravi conseguenze.

L’emissione della moneta é da sempre stata un’importante questione pubblica e una fonte di reddito statale. Per secoli i cantoni hanno pagato parte delle loro spese coniando moneta propria. Nel 1848 il diritto di coniatura passò alla Confederazione. Da allora esiste il franco svizzero. Circa dal 1870 le banche scoprirono però la redditizia emissione propria di moneta e stamparono sempre più banconote incontrollatamente. Per questo motivo l’elettorato svizzero proibì alle banche la stampa di banconote e trasferì il diritto di stampare banconote alla Confederazione, la quale fondò la Banca Nazionale Svizzera (BNS). Una saggia decisione. Dal 1907 quindi la BNS presta le banconote alle banche, e annualmente fluiscono così tra 1 e 2,5 miliardi d’interessi nella cassa pubblica. Se in futuro la Banca Nazionale creasse anche tutta la moneta bancaria e, come la moneta, la mettesse in circolazione senza debito, cioè senza prestarla, noi cittadini e cittadine avremo a disposizione ulteriormente circa 300 miliardi.


MA I SOLDI NON PROVENGONO TUTTI DALLA BANCA NAZIONALE?

No, la BNS crea, per il nostro utilizzo, solo i soldi contanti. Questi costituiscono però soltanto il 10% dei soldi esistenti, mentre il 90% sono moneta bancaria sui nostri conti. Sono in molti a non sapere da dove questi soldi provengono. In realtà sono le banche che li creano, tramite crediti o investimenti. Ciò non avviene principalmente inoltrando i soldi dei risparmiatori, bensì le banche creano nuova moneta bancaria, - per così dire dal “niente”, cioè senza che prima questi soldi esistessero. Un buon affare.

Per tutti coloro che stentano a crederci, ecco alcune cifre ufficiali: dal 2003 al 2012 la massa monetaria (quantità di soldi in circolazione) ammontava a ca. 340 miliardi di franchi. Di questi, 40 miliardi provenivano dalla Banca Nazionale, mentre i rimanenti 300 miliardi furono emessi dalle banche come moneta bancaria.

Noi cittadini e cittadine abbiamo così lasciato alle banche un’importante fonte di reddito statale. Abbiamo dimenticano di adattare la costituzione. Oggigiorno il monopolio sulla banconota del 1891 non è più sufficiente, è invece urgentemente necessario ampliarlo anche alla moneta bancaria.


COSA VUOLE L’INIZIATIVA PER UNA MONETA INTERA?

La moneta intera è moneta a pieno titolo e garantita dalla legge. Teniamo in mano giornalmente soldi di questo tipo, sotto forma di moneta e banconote. Anche la moneta bancaria deve diventare moneta della Banca Nazionale a pieno titolo:
1. Solo la BNS emette, in futuro, moneta bancaria quale mezzo di pagamento legale.
2. Le banche non possono più creare moneta bancaria propria, ma solamente prestare i soldi che vengono messi a loro disposizione dai risparmiatori, dagli investitori e dalla BNS.
3. Nuova moneta intera viene di norma messa in circolazione attraverso pagamenti senza debito della BNS allo stato, ai cantoni, o ai cittadini e le cittadine.
4. Tramite la trasformazione della moneta bancaria in moneta intera vengono creati ca. 300 miliardi di franchi di reddito supplementare – completamente senza alzare le tasse e senza programmi di austerità.
5. La BNS ha il compito di regolare la massa monetaria in modo che il valore della moneta e quindi i prezzi restino stabili e non si creino bolle finanziarie.

COSA FACCIAMO CON I 300 MILIARDI ?

Su questo il testo di costituzione dell’iniziativa non dice niente. Si tratta solamente di assicurarsi i redditi dalla produzione di moneta, e non di distribuirli. Più tardi il parlamento o il popolo potranno decidere in quale misura i 300 miliardi fluiranno in prestazioni statali, sgravi fiscali, oppure in pagamenti diretti a tutti i cittadini e le cittadine. Rallegriamoci! Progetti che finora non erano finanziabili diventeranno possibili. Sarebbe ragionevole estinguere il debito statale di ca. 200 miliardi, così ogni anno avremmo a disposizione 5 miliardi d’interessi risparmiati. Sarebbe un nuovo record mondiale: il primo paese al mondo senza debiti.


INIZIATIVA “MONETA INTERA” IN SVIZZERA. LA GENTE NON SA CHI CREA IL DENARO
di RIVO CORTONESI

https://www.miglioverde.eu/iniziativa-m ... -la-moneta

Uno studio condotto su di un campione di più di 23’000 persone in 20 paesi dimostra che solo una piccola percentuale della popolazione sa che le banche private/commerciali creano denaro digitale dai nostri conti. Dal grafico allegato si vede come alla domanda: “Chi pensi che crei più del 95% della moneta in circolazione?”, il 31% in media ha risposto che non lo sa, il 20% ha risposto che è creato dalle banche private/commerciali, il 27% dalle banche centrali e il 22% dai governi.

Secondo i promotori della Vollgeld Iniziativa “90% des Schweizer Frankens wird von privaten Banken geschöpft und in Umlauf gebracht” cioè a dire “il 90% dei Franchi Svizzeri è creato dalle Banche private e messo in circolazione”. Già quest’anno potremmo essere chiamati al voto sull’Iniziativa Moneta Intera, perché a febbraio ci sarà l’incontro tra i promotori e la Commissione degli Stati per la presentazione dell’iniziativa. Sarà co-invitata anche la Banca Nazionale Svizzera.

Poiché l’opinione pubblica deve essere tempestivamente informata per formarsi un’opinione e per resistere a una campagna di terrore sul larga scala di gruppi di pressione, annuncio che nei prossimi mesi “I LIBERISTI” ticinesi organizzeranno sul tema un incontro all’USI (Università della Svizzera Italiana) o da un’altra parte (ma sempre a Lugano), se ci sarà negata l’aula magna dell’Università.



ANCHE IN SVIZZERA LA CONFUSIONE MONETARIA REGNA SOVRANA
di MATTEO CORSINI

https://www.miglioverde.eu/124986-2

In Svizzera il Movimento per la Moneta Sovrana ha raccolto le 100mila firme necessarie per indire un referendum. L’iniziativa referendaria prevede il divieto alle banche di creare denaro mediante il noto sistema della riserva frazionaria. I proponenti ritengono che l’attuale sistema violi l’articolo 99 della Costituzione federale, in base al quale “il settore monetario compete alla Confederazione”. Il Movimento per la Moneta Sovrana ritiene pertanto che “oggi dobbiamo vietare alle banche anche di stampare denaro elettronico. Solo la Banca Nazionale deve poter creare denaro”.

Proporre il superamento della moltiplicazione dei depositi da parte delle banche commerciali è un fine di per sé condivisibile, ma temo che il problema non sarebbe risolto limitando la possibilità di creare moneta alla Banca centrale.
In un altro passaggio, i proponenti il referendum sostengono che “se i depositi dei risparmiatori fossero insufficienti per la concessione dei crediti, la Banca Nazionale può mettere a disposizione prestiti al sistema bancario”.

Come spesso accade, chi fa riferimento alla sovranità monetaria non ha le idee ben chiare sui veri problemi dei sistemi monetari fiat. Tali problemi non sono riconducibili solo al fatto che alle banche commerciali è data la possibilità, mediante il sistema della riserva frazionaria, di creare denaro dal nulla; parte del problema origina dalla concessione alla banca centrale del potere monopolistico di emettere base monetaria, anche questa creata dal nulla, nella quantità che essa ritenga necessaria.
Il fatto stesso che il Movimento per la Moneta Sovrana ritenga che se i depositi dei risparmiatori fossero “insufficienti” per la concessione di crediti la Banca Nazionale potrebbe creare nuovo denaro, dovrebbe rendere evidente che il problema non verrebbe affatto risolto.
Chi dovrebbe stabilire cosa costituisce “insufficienza”? Suppongo la stessa Banca Nazionale. Ed è evidente che la decisione sarebbe inevitabilmente arbitraria.
La quantità di moneta non è mai insufficiente in un sistema di mercato in cui i prezzi possano fluttuare liberamente in funzione della domanda e dell’offerta. A partire dal prezzo del denaro, ossia il tasso di interesse.
Se si vuole evitare che il denaro sia “manipolato”, è necessario che la sua emissione non sia demandata a un monopolista, men che meno che sia possibile determinarne la quantità ad libitum.
Nessun bene che non sia caratterizzato da scarsità può avere un valore di scambio, e nessun bene che possa essere riprodotto in qualsivoglia quantità senza alcuno sforzo può essere scarso. Per completare l’opera dovrebbe anche essere rimosso il corso forzoso, lasciando alle parti di un contratto stabilire quale mezzo di pagamento utilizzare.
In sostanza, il denaro dovrebbe tornare a essere il mezzo generale di scambio originato da un ordine spontaneo, nel quale la sovranità di scegliere quale bene utilizzare per regolare gli scambi appartiene ai singoli, non a uno Stato o a una banca centrale. Ovviamente questo non è ciò che auspicano i sovranisti, in Svizzera come altrove.
Ed è per questo che quella da loro prospettata non rappresenta affatto una soluzione ai problemi dei sistemi monetari attuali.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » ven giu 09, 2017 9:52 pm

IL “SOVRANISTA” E COMUNISTA PADANO HA COME MODELLO IL VENEZUELA
di MATTEO CORSINI
09/06/2017

https://www.miglioverde.eu/il-sovranist ... -venezuela

In materie economiche il sovranista Matteo Salvini è consigliato da persone che ritengono che l’Italia abbia accumulato debito pubblico per colpa del “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro, avvenuto nel 1981. Prima di allora la Banca d’Italia monetizzava di fatto quella parte di debito pubblico non assorbita dal mercato, il che distorceva al ribasso i tassi di interesse sul debito.

Si trattava di una forma di tassazione ancorché non fosse esplicita, perché trasferiva ricchezza reale dai risparmiatori allo Stato e, quindi, ai consumatori netti di tasse. Secondo Salvini e i suoi consiglieri la via per risolvere il problema del debito pubblico è il ritorno al passato. Stando a quanto ha dichiarato al Sole 24Ore, se andasse al governo, tra le altre cose, farebbe così: “Rinegozierei i trattati monetari trasformando la Banca d’Italia in prestatore di ultima istanza e Istituto pubblico di emissione e poi via Fiscal compact e patto di stabilità”.
In altri termini, via libera a qualsiasi importo di spesa pubblica, monetizzata dalla Banca d’Italia, in nome di una riacquisita sovranità monetaria.
Ovviamente non sarebbe una soluzione e non sarebbe neppure un pasto gratis. Se qualcuno crede che sia meglio che lo sfascio totale arrivi prima che poi, allora credo che dovrebbe votare per questo signore. Dando però prima un’occhiata a come vanno le cose, almeno in termini monetari, in alcuni Paesi che praticano questo sovranismo, per esempio il Venezuela.
E regolandosi di conseguenza per mettere al riparo i propri eventuali risparmi, prima di andare alle urne.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » sab giu 10, 2017 9:26 pm

KRUGMAN, IL MINISTRO IDEALE PER UN GOVERNO A 5 STELLE
di MATTEO CORSINI
10/06/2017

https://www.miglioverde.eu/krugman-mini ... o-5-stelle

Più leggo interviste a Luigi Di Maio, più mi convinco che il ministro dell’Economia ideale in un governo M5S sarebbe Paul Krugman. Il quale, probabilmente, non accetterebbe l’incarico, perché si tratta di un movimento comunque fuori dal mainstream. Un po’ come è successo in Francia, quando Marine Le Pen ha fatto sue alcune sciocchezze economiche e un gruppo di premi Nobel (padri o padrini di tali sciocchezze) ha protestato, senza chiedersi se non fosse il caso di mettere in discussione le proposizioni e non chi le condivideva.

Alla giornalista che gli ricordava i numeri evocati dal governatore della Banca d’Italia in merito all’avanzo primario e alla riduzione del rapporto debito/Pil (peraltro un esercizio da studente di prima media, a maggior ragione se non si dice come raggiungere un certo avanzo primario), Di Maio ha risposto: “Surplus primario significa che le entrate dello Stato superano le uscite se da queste ultime si toglie la spesa per interessi. Un Paese vicino al 12% di disoccupazione ufficiale (il dato reale è molto più alto) non può permettersi di sottrarre risorse all’economia per altri 10 anni a un ritmo del 4% del Pil ogni anno. L’Italia è in surplus primario da 25 anni e abbiamo visto i risultati. La teoria economica dominante che crede nell’“austerità espansiva” è in profonda crisi e ha fallito nel rispondere alla crisi iniziata nel 2008. Serve un nuovo approccio: il rapporto debito/Pil si abbatte se cresce il Pil. Torniamo a investire nei settori produttivi, ad esempio con una banca pubblica d’investimento, e sosteniamo i redditi più bassi. In questo modo il debito si ripagherà da sé producendo crescita dell’occupazione e dell’economia. L’austerità è una medicina che sta uccidendo il paziente Italia.”

Questo è Krugmanismo irpino allo stato puro. Posto che l’austerità di cui tanti (stra)parlano non è nei numeri, quanto meno a livello di riduzione della spesa pubblica, la “banca pubblica d’investimento” suona tanto come un baraccone pronto a finanziare i progetti cari al preponente (magari selezionati tramite consultazione sulla piattaforma del signor Casaleggio). Ma se la banca è pubblica, pubblico è anche il debito che emette. Finora la storia dimostra che i cosiddetti investimenti pubblici non si sono mai ripagati da soli, prove ne sia che il debito è cresciuto molto più del Pil. Sarà stata solo sfortuna?
Risparmiandovi il passaggio sul reddito di cittadinanza, nel quale Di Maio cerca di correggere il tiro per allinearsi ai pronunciamenti di un noto esperto di economia, Papa Francesco, ecco cosa pensa il giovane pentastellato in merito alle liberalizzazioni: “Sulle liberalizzazioni siamo favorevoli, a patto che non si traducano in privatizzazioni di fatto. Vedremo caso per caso dove intervenire, ma si tratta di un altro tema prioritario.”
Ora, può darsi il caso in cui ci sia una privatizzazione senza che vi sia una liberalizzazione, il che si traduce nel passaggio da un monopolio (od oligopolio) pubblico a uno privato. Ma se una qualsiasi attività deve essere liberalizzata, non si può prescindere dal fatto che vi operino soggetti privati in concorrenza. Altrimenti non avrebbe senso parlare di liberalizzazione.
Per quanto possa apparire arduo, nel passaggio da Princeton ad Avellino perfino le sciocchezze di Krugman riescono a essere peggiorate.
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