El mito de ła soranedà monedara

El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:41 am

El mito de ła soranedà monedara
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=2490



Moneta, produzione di moneta e sovranità monetaria-miti e realtà
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=2817

Sono solo i falsari che stampano moneta a piacimento per pagare il loro debiti e fare nuove spese.
La moneta, in realtà, non si crea dal nulla e quella che viene chiamata impropriamente "moneta creata dal nulla" non viene creata a piacimento e messa a credito ma viene prodotta quando manca alla massa monetaria necessaria (alla sana finanza dell'economia di mercato) e viene contabilizzata come prestito da restituire a scadenza e su cui pagare gli interessi e una volta restituita, quella virtuale o elettronica si estingue e quella cartacea e metallica continua il ciclo.
I falsari che stampano moneta e usano moneta falsa o creata dal nulla sensa contabilizzarla a debito ma mettendola all'attivo senza restituirla e senza pagare interessi, di fatto rubano valore e potere di acquisto e di cambio alla moneta vera posseduta dagli altri.



Ensemense o idiozie
???
La Grande Truffa - Sovranità Monetaria - Debito Pubblico - Signoraggio
https://www.youtube.com/watch?v=y2bzdAnrtaU

L'Euro e la Sovranità Monetaria
https://www.youtube.com/watch?v=LGx6jPcCxSk

A.Farinella MMT: Cos'è il denaro e la Sovranità Monetaria
https://www.youtube.com/watch?v=Zd_eq_rSruA

Paolo Barnard: Il Debito Pubblico NON ESISTE !!
https://www.youtube.com/watch?v=gbHCrmXmotE

Paolo Barnard: Cosa succede se torniamo alla lira
https://www.youtube.com/watch?v=IUVXJDKy5D8


Margot Rendall parla di Modern Money Theory e Paolo Barnard sulla tv pubblica italiana
https://www.youtube.com/watch?v=wX8PSKcEZ4E
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:43 am

Sovranità monetaria
https://it.wikipedia.org/wiki/Sovranit%C3%A0_monetaria
In diritto costituzionale per sovranità monetaria si intende il diritto o potere da parte di un soggetto giuridico (tipicamente uno Stato) di emettere o stampare moneta in linea con le sue scelte di politica monetaria (la proprietà e/o la gestione del bene monetario e del soggetto delegato ad emettere/stampare moneta).

Questo diritto si concretizza in leggi ordinarie che impongono il corso legale, vale a dire l'accettazione coatta (con rilevanza penale) della moneta emessa da parte di tutti gli attori economici (sia persone fisiche che giuridiche) operanti nel territorio dello Stato sovrano; in aggiunta al corso forzoso e cioè l' impossibilità di richiedere il cambio del biglietto in moneta metallica. queste leggi in genere impongono il monopolio della moneta come l'unica valuta ammessa per i pagamenti, e la centralizzazione dell'emissione in unico centro decisionale ed operativo (una sola banca centrale, e una sola Zecca dello Stato).

L'emissione di moneta può essere centralizzata a valore indotto, oppure a fronte di una certa percentuale del valore emesso, che sia garantito da riserve monetarie (oro, argento, altri metalli).

Come detto normalmente la sovranità monetaria appartiene ad uno Stato tramite la sua banca centrale, aggiungendosi agli altri poteri sovrani; nel caso di unioni economiche e monetarie tra più Stati membri, come ad esempio l'Unione economica e monetaria dell'Unione europea, la sovranità monetaria dei singoli Stati afferenti passa all'Unione stessa sempre attraverso la rispettiva banca centrale e il sistema di banche centrali (nel caso dell'Eurozona è la Banca Centrale Europea (BCE) e il Sistema europeo delle banche centrali).

La proprietà della moneta -popolare, o di un'autorità- inerisce non soltanto la sfera del diritto pubblico-privato e della giustizia, ma la questione storica del denaro come mezzo necessario e sufficiente da sempre per il perseguimento di un fine-una fine qualsiasi, ed in particolare per la conclusione di finalità che arrivano oltre la pace e il benessere materiale dei singoli.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:44 am

L’Euro, la lira e il falso mito della sovranità
Lorenzo Bini Smaghi

http://www.lavoce.info/archives/19322/e ... -sovranita


Chi si oppone alla moneta unica contesta la mancanza di sovranità rispetto alle politiche monetarie ed economiche. Ciò che spesso non viene considerato è che la sovranità è un falso mito e che queste politiche sarebbero efficaci solo a determinate condizioni.

Questa tesi [Uscendo dall’euro si possono recuperare spazi di sovranità per la politica monetaria e per le altre politiche economiche. Si potrebbero così adottare misure efficaci a sostegno dei paesi membri] parte dall’ipotesi che prima dell’euro i paesi fossero pienamente sovrani nella conduzione della politica economica, in particolare quella monetaria. Questa ipotesi è certamente valida per la Germania. Rinunciando al marco, i tedeschi hanno accettato di non avere più il controllo sulla propria moneta. Per la maggior parte degli altri paesi, la sovranità monetaria era di fatto inesistente prima dell’euro, poiché mantenevano uno stretto rapporto di cambio tra le loro monete e il marco. Le decisioni delle rispettive banche centrali seguivano di pochi minuti quelle della Bundesbank. Adottando l’euro, questi paesi hanno in realtà guadagnato – e non perso – sovranità, poiché hanno ora il potere di designare un membro del Comitato direttivo della Bce. Ritornare alla situazione precedente all’euro non garantirebbe dunque a nessuno, eccetto che alla Germania, di recuperare sovranità e di poter gestire la propria moneta in modo indipendente.

DEPREZZAMENTO DELLA MONETA

Disporre della propria moneta consentiva comunque di modificare il tasso di cambio, il che non è più possibile con l’euro. È però illusorio pensare che prima dell’euro le autorità monetarie potessero decidere autonomamente il rapporto tra le loro monete. I tassi di cambio vengono determinati in larga misura dalle forze di mercato, che possono spingere le monete su valori non in linea con i fondamentali dei rispettivi paesi. Questo è il vero motivo per cui le autorità monetarie sono spesso intervenute in passato con misure restrittive, per contrastare un deprezzamento considerato eccessivo della moneta, producendo effetti recessivi sul sistema economico. Per chi ha la memoria corta, basta esaminare l’evoluzione recente della politica monetaria nei paesi emergenti come la Turchia, il Brasile o l’India. La fuoriuscita di capitali, provocata in particolare dal cambiamento dell’impostazione della politica monetaria negli Stati Uniti, oltre alle incertezze politiche interne, ha determinato un forte deprezzamento del cambio con effetti sull’inflazione e sui rendimenti a lungo termine. Le banche centrali hanno dovuto aumentare i tassi d’interesse per arrestare l’emorragia di capitali, nonostante il rallentamento congiunturale in corso. In altri casi, tuttavia, come nel Regno Unito o in Svezia, il deprezzamento del tasso di cambio avvenuto durante la crisi è stato contenuto e non ha dato luogo ad un aumento dei tassi d’interesse.

L’ILLUSIONE DEL RITORNO AGLI ANNI ‘70

La svalutazione del cambio consente di recuperare competitività quando non dà luogo ad inflazione interna. La manovra è credibile se la banca centrale è indipendente, con un obiettivo ben definito in termini di stabilità dei prezzi. Inoltre, il mercato del lavoro deve essere sufficientemente flessibile da evitare che i salari vengano indicizzati all’inflazione importata, il che vanificherebbe gli effetti della svalutazione. La finanza pubblica deve essere infine sotto controllo, ed evitare il rischio di un avvitamento del debito.
In sintesi, una svalutazione del cambio può essere utile per far fronte a shock asimmetrici, che avvengono di rado, solo a certe condizioni. Non è efficace invece se viene usata ripetutamente per cercare di stimolare la crescita e finanziare il debito pubblico, come vorrebbe chi propone di uscire dall’euro. Esaminando con attenzione le tesi di chi in Italia chiede di uscire dall’unione monetaria, ci si accorge che l’intenzione è quella di tornare alla situazione precedente al divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro nel 1981, quando la politica monetaria veniva usata come strumento per garantire bassi tassi d’interesse ai prenditori di fondi, in particolare lo Stato. In un contesto di integrazione finanziaria, con piena mobilità dei capitali, ciò non è più possibile. L’utilizzo della moneta per finanziare gli Stati darebbe luogo a svalutazioni successive e a fughe di capitali, con il risultato di far salire i tassi d’interesse su livelli significativamente più elevati, come era il caso poco prima dell’euro. Per tornare a una situazione come quella degli anni ’70, come desidera chi vuole uscire dall’euro, bisognerebbe ripristinare i controlli sui movimenti di capitale, per impedire ai cittadini di investire all’estero e obbligarli a usare i loro risparmi solo in titoli nazionali, anche se sono più rischiosi e con minore rendimento. Bisognerebbe, inoltre, costringere il sistema bancario ad acquistare titoli di Stato, imponendo vincoli di portafoglio come quelli che venivano usati in quegli anni. Queste misure non sono compatibili con l’attuazione di un mercato integrato come quello che è stato realizzato negli ultimi 20 anni in Europa. Chi propone di uscire dall’euro, e di ripristinare le condizioni istituzionali degli anni ’70 propone in realtà che l’Italia esca dall’Unione Europea.
La decisione di adottare una moneta unica è stata presa proprio alla luce dell’esperienza degli anni ’70 e ’80, quando i paesi europei si sono accorti che il concetto di sovranità monetaria era in larga parte illusorio. All’interno di una unione economica, con piena integrazione dei mercati, le politiche monetarie si condizionano a vicenda, e il ruolo predominante viene esercitato dall’economia più grande e dalla moneta più stabile. Prima dell’euro era il marco la moneta di riferimento, anche per gli investitori internazionali. Il valore delle altre valute era influenzato dalle decisioni della Bundesbank, prese in base agli interessi tedeschi. Il sistema monetario precedente all’euro era pertanto fortemente asimmetrico, e l’onere dell’aggiustamento ricadeva esclusivamente sui paesi in disavanzo.
In sintesi, è un’illusione pensare che fuori dall’euro un paese come l’Italia riuscirebbe ad un tratto a recuperare piena sovranità monetaria, senza pagare alcun costo.

* Dal volume in libreria in questi giorni “33 False Verità sull’Europa”, Il Mulino.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:47 am

Perché quando parliamo di “tornare alla lira” dimentichiamo la storia
di Alessandro Volpi — 15 febbraio 2017

La moneta nazionale italiana è sempre stata molto debole: la sua difesa ha causato problemi, tra cui spirali inflazionistiche, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. E in alcuni casi per affrontare le crisi della lira l’Italia ha dovuto accettare limitazioni alla propria “sovranità nazionale” -tema oggi caro a chi attacca l’euro-. L’analisi di Alessandro Volpi

https://altreconomia.it/lira-non-diment ... -la-storia

Sembra affermarsi con sempre maggiore insistenza, come tema centrale del dibattito politico, un continuo richiamo alla lira, caratterizzato da una profonda nostalgia e dall’auspicio di un ritorno ad una presunta età dell’oro caratterizzata dalla presenza delle monete nazionali. Rispetto ad una simile ondata “passatista” può essere utile mettere in fila alcuni elementi suggeriti dalla storia della nostra vecchia moneta che non dovrebbero farla rimpiangere troppo.

1) La lira è stata una moneta molto debole, fatti salvi pochi fortunati momenti. Già prima della nascita della Banca d’Italia, avvenuta nel 1893, la lira italiana emessa dalla Banca nazionale si trovò spesso sull’ottovolante, a partire dal 1866, quando fu sospesa la sua convertibilità, fino alla tempesta della Banca romana. Gli affanni proseguirono con la crisi del 1921 e soprattutto con la politica mussoliniana di Quota novanta, con cui il duce tentò un improponibile e costosissimo cambio tra sterlina e lira, fissato appunto a 1 a 90, che i grandi operatori rifiutarono, mettendo l’Italia fuori dai mercati e costringendola ad avviare una dura quanto retorica fase autarchica.
Dopo la seconda guerra mondiale, le debolezze proseguirono con una sequenza micidiale di crisi; nel 1963-64, quando sulla moneta si scaricarono le tensioni sociali e politiche determinate dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, nel 1973, allorché la lira fu colpita ancora più duramente di altre divise dagli effetti del primo grande shock petrolifero, e nel 1976, anno di una delle più pesanti svalutazioni della moneta italiana. Il 13 settembre 1992 poi il governo Amato fu costretto ad annunciare l’uscita della lira dal sistema monetario europeo (SME) e ad accettare una significativa svalutazione, di fatto imposta dalla Germania. Da quel momento, fino all’entrata in vigore dell’euro, nonostante i tanti sacrifici contenuti dalle varie finanziarie, il destino della nostra moneta non si risollevò.

2) Questa debolezza cronica ha visto conseguenze rilevanti sui conti pubblici italiani almeno su due piani ben evidenti. In primo luogo è costata moltissimo alla Banca d’Italia che ha dovuto impiegare molte risorse per difendere il cambio della lira dagli attacchi speculativi provenienti dalle altre monete. Ogni qual volta le criticità politiche del quadro italiano o le difficoltà economiche mettevano la lira al centro delle tensioni, il governatore di Bankitalia doveva utilizzare tante risorse pubbliche per agire sul mercato dei cambi e riportare la nostra moneta in linea di galleggiamento. Ciò avvenne spesso sia durante il periodo di Guido Carli sia in quello di Carlo Azeglio Ciampi. I costi pubblici della lira debole sono stati poi particolarmente alti a causa dell’innalzamento dei tassi di interesse pagati sui titoli di stato denominati, appunto, in lire. Nel 1990 il tasso medio di interesse dei titoli di Stato sfiorava il 13 per cento, due anni più tardi nel pieno della già ricordata crisi della lira, il medesimo tasso era salito al 14 per cento con punte massime del 17,79 per i BOT annuali. Per tutti gli anni successivi, mentre il debito pubblico cresceva rapidamente, i tassi continuarono a mantenersi intorno al 10 per cento. Solo con l’avvento dell’euro, nonostante l’ulteriore impennata del nostro debito, i tassi crollarono abbattendo così una delle principali voci della spesa pubblica: nel 2004 il tasso medio dei titoli di Stato era caduto al 2,66 e persino durante la bufera degli spread del 2011 e 2012 tale tasso non si è allontanato troppo dal 3 per cento.

3) La debolezza della lira ha generato una continua svalutazione che ha prodotto a sua volta molteplici conseguenze negative a cominciare da una costante pulsione inflazionistica, destinata ad erodere il potere d’acquisto degli italiani, solo in parte compensata dalla maggiore competitività attribuita alle merci italiane dal deprezzamento della valuta nazionale. Il combinato disposto di svalutazione e inflazione ha infatti generato una cattiva distribuzione della ricchezza favorendo i settori votati all’esportazione rispetto al resto dell’economia dipendente invece dai consumi interni. Inoltre il fatto di fondare la competitività italiana quasi interamente sulla debolezza della lira ha drogato il sistema produttivo, bloccando qualsiasi ipotesi di ristrutturazione finalizzata a premiare i settori più innovativi. Inoltre, per evitare che la crisi della lira si trasformasse nel suo fallimento sono state necessarie manovre finanziarie durissime, in particolare proprio dopo la già ricordata uscita dallo SME, quando furono poste in essere due leggi finanziarie da circa 150mila miliardi di lire con un forte incremento della pressione fiscale e con la firma di accordi pesantissimi per i redditi dei lavoratori.

4) Ci sono poi due ulteriori aspetti, in parte tra loro correlati, che sono riconducibili alla debolezza della lira. Le molteplici crisi citate sono state affrontate con un forte dispendio di risorse pubbliche ma hanno avuto bisogno, sempre, di interventi esterni che hanno certamente limitato la sovranità italiana: così è avvenuto con la benevolenza degli Stati Uniti nel 1963 e con la non ostilità europea nel 1976 e nel 1992. Non è del tutto vero dunque che con la moneta nazionale il nostro Paese non subisse condizionamenti esterni. Il secondo aspetto consiste nelle continue fughe di capitali dall’Italia dettati proprio dalle incertezze della lira e dalle strategie di attrazione poste in essere dagli altri Paesi; un’emorragia che si almeno in parte arginata con l’euro. Rimpiangere i vecchi tempi andati non rappresenta, talvolta, la migliore soluzione.

* Alessandro Volpi, Università di Pisa
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:47 am

???

SOVRANITA’ MONETARIA - COS’ E’ E PERCHE’ NON L’ ABBIAMO MAI AVUTA.
03.01.2017
Per Scuola di Studi Giuridici Monetari “Giacinto Auriti”
Dott.ssa Sara Lapico


http://www.giacintoauriti.eu/notizie/15 ... taria.html

Considerata la grande confusione che vige sull’ argomento, ci corre l’ obbligo di chiarire il perché non abbiamo mai goduto di piena sovranita’ monetaria.

Né quando la moneta era d’ oro, né nella situazione italiana pre 81.

Per introdurre l ’ argomento giova muovere dalle premesse di filosofia del valore, come usava fare il Professore abruzzese.

Giacinto Auriti nelle sue preziose lezioni non mancava mai di evidenziare come, nella filosofia del valore, vi siano due grandi orientamenti.

La prima impone una scelta di tipo dualistico o aristotelico tomista, la seconda è una scelta di tipo hegeliano o monista.

Il primo orientamento porta a distinguere l’ oggetto dal soggetto, in modo da sottolineare il dominio dell’ uomo sullo strumento. Sicché in presenza di un tavolo affermeremmo : “questo sono io, quello è il tavolo”.

Nella seconda ipotesi invece l’ affermazione suonerebbe come : “io penso che questo sia un tavolo”. In una simile espressione si fa un atto di fede, in quanto è una mia decisione che determina l’ esistenza del tavolo. L’ oggetto cioè è reso immanente nel soggetto.

Orbene confondendo hegelianamente soggetto ed oggetto, si realizza il mito ovvero la personificazione dello strumento.

È chiaro che gli strumenti esistono per soddisfare un’ esigenza umana e, senza l’ uomo, essi non esisterebbero affatto.

La visione hegeliana confonde ribaltandola tale ordine dando origine al mito.

È cosi’ che si viene ad attribuire ad un oggetto caratteristiche umane.

Si pensi ad esempio all’ uso improprio del termine “moneta sovrana”. È chiaro che sovrano puo’ essere solo una persona, non certo uno strumento, eppure tale espressione è divenuta termine corrente.

Questa è una sottile strategia di dominio volta a ingannare il pensiero umano, a ridurre l’ io al non -io per arrivare a confondere il tuo col mio.

È cosi’ che nasce la societa’ senza contenuto umano il fantasma giuridico, nel quale non è dato sapere CHI godra’ i frutti di una certa attivita’.

Non a caso nascono le società per azioni, le societa’ anonime, lo Stato costituzionale ecc…

Cio’ che ne deriva è la spersonalizzazione della società, visione del tutto contrapposta rispetto alla nostra tradizione giuridica derivante dal diritto romano.

“societas sunt homines qui ibi sunt”

ovvero la società siamo noi, questa era l’ espressione dei glossatori romani.

Lo svuotamento di umanità ha reso labile, perché indeterminabile, il destinatario dell' interesse sociale.

La conseguenza è che i componenti delle varie società non sono piu’ i cittadini ma chi detiene il potere politico.

Tale strategia è estremamente perniciosa per il fatto che fa assurgere al primo posto lo strumento e al secondo l’ uomo, con la conseguenza di un ribaltamento dei valori, e dell’ esclusione dei cittadini dalla società. Tagliati fuori dai benefici sociali i cittadini diventano meri strumenti nelle mani delle elites.

Chi oggi non vede come sull’ altare del “sacrificio economico” tutto sia secondario? il nostro futuro, i nostri risparmi, la nostra serenità.

L’ etica è pertanto ridotta a derivato dell’ economia e il solo sacrificio ammesso è quello economico.

In questo modo non si realizza il servire ma il “servirsi”.

Argomentando che quando la moneta era d’ oro avevamo sovranità è errato. Come ben sappiamo infatti la rarita’ dell’ oro non era controllabile, e questo pone l’ essere umano a dipendere da un oggetto.

Situazione che ovviamente non è condivisibile.

È sempre l’ uomo a determinare l’ utilizzo dello strumento, è una questione ontologica.

Non ha senso alcuno porre l’ uomo in balia di uno strumento.

Questa è la grave deformazione di valori avvenuta con l’ idealismo tedesco.

Lo stesso si puo’ dire della situazione ante ’81.

È infatti incontrovertibile il fatto che il tesoro corrispondesse interessi a Bankitalia, ponendo lo stato italiano (fantasma giuridico) in sudditanza rispetto al sistema bancario.

Qui ne conveniamo vi era maggiore possibilità di dirigere le scelte politiche monetarie, ma pur sempre in un certo limite.

La sovranita’ era in capo allo Stato costituzionale, ente privo di contenuto umano.

Secondo la tradizione del nostro diritto romano la scelta corretta, sarebbe stata di individuare una persona umana investita della capacita’ di in PIENO DOMINIO dello strumento moneta.

Essere sovrani significa non fare dipendere da altri le proprie decisioni, non comprimere i propri diritti, in nome di una “stabilita” imposta da qualche fantasma.

Ricordiamo in piena lira l’ esperienza dello SME e, a livello piu’ alto del FMI anonima struttura che aveva la capacita’ di assorbire il maggior valore (e dunque oro e valuta) , che un paese aderente fosse venuto a maturare grazie al commercio internazionale.

In conclusione la sovranita’ monetaria per essere piena e vera deve avere come titolare l’ uomo, ecco la ragione per la quale il Professore Auriti non si stancava mai di dire: “Moneta al popolo”.



Terremoto e sovranità monetaria: le lacrime di coccodrillo non servono

Gianluca Ferrara
Saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... no/3000208


Presidente Renzi perché non spiega a sua moglie Agnese e a tutti gli italiani che piangono i morti del terremoto che, il nostro paese, non ha più diritto alla sovranità monetaria? Cioè a quella caratteristica che dovrebbe essere il fondamento di ogni Stato.
Una sovranità monetaria che noi italiani abbiamo perso nel 1981 (cioè a inizio della controrivoluzione neoliberista di cui lei n’è un inconsapevole epigone) dopo il famigerato divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Prima di quella data allorquando i titoli di Stato messi in vendita dal Tesoro restavano invenduti la Banca d’Italia si impegnava ad acquistarli.
Svolgeva un ruolo di “prestatore di ultima istanza” e questo garantiva la vendita di tutti i titoli e di non far lievitare i tassi d’interesse. Quel divorzio segnò la fase iniziale del percorso che poi ci ha condotti all’euro, una moneta gestita da banchieri che senza alcun mandato democratico decidono se fare l’elemosina agli Stati.

Una perdita (o meglio una ruberia) che ci ha resi prigionieri di quel debito che è stato brandito come una clava appuntita per poter depauperare diritti come istruzione, sanità e sicurezza. Il debito pubblico italiano non è dovuto come ripetuto dalla menzogna dalle élite che noi siamo dei Piigs ma proprio alla perdita di sovranità monetaria. Il debito pubblico lievitò a partire da quel 1981, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. I recenti dati del Fmi ci dicono che negli ultimi 20 anni abbiamo avuto un avanzo primario negativo soltanto in due anni. Siamo stati ancor più rigorosi dei tanto idolatrati tedeschi.

Qual è la correlazione tra terremoto e sovranità monetaria? Con la sovranità monetaria si potrebbe effettuare un piano di investimenti per rendere tutto il territorio sicuro dal punto di vista sismico. Un ausilio concreto ai troppi che vivono in case insicure. Un investimento statale che potrebbe determinare un moltiplicatore economico e garantire lavoro ai tanti che si suicidano perché non ne hanno. Ma non solo. Si potrebbero innalzare argini per evitare i prossimi morti che arriveranno puntuali alle prossime piogge e inondazioni invernali. Si potrebbero coibentare case ed evitare enormi sprechi di energia, quell’energia che poi ci rubiamo partecipando a guerre imperialiste che seminano morte e terrorismo.

Certo non serve la sovranità monetaria per capire che, nonostante quei giornali che aizzano la guerra tra poveri, i veri sciacalli non sono gli immigrati ma quei costruttori che sovente sono legati a partiti politici che controllano la gestione degli appalti sul nostro territorio pattugliato da mafie e massonerie locali. Un governo serio renderebbe possibile una commissione, uno studio territoriale su tutte quelle ricostruzioni fittizie che hanno arricchito imprese che hanno ricevuto fondi per “rendere sicure” scuole, abitazioni e ospedali utilizzando materiali scadenti. Un governo serio saprebbe identificare e punire i colpevoli con determinazione.

Le lacrime di sua moglie e dei tanti connazionali purtroppo non restituiranno i bambini ai propri genitori e non fermeranno i prossimi crolli che uccideranno nuovi innocenti che vivono in un paese vecchio a cui servirebbero nuovi investimenti vietati dal fanatismo economico imposto dall’Europa. Presidente Renzi, avrà il coraggio di spiegarlo agli italiani e alle italiane, ai quali, a differenza di sua moglie, non è stata mai data la possibilità di sceglierla neppure come deputato?
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 9:51 am

LA SOLUZIONE NON È IL RITORNO ALLA SOVRANITÀ MONETARIA
di MATTEO CORSINI

http://www.miglioverde.eu/la-soluzione- ... -monetaria


Marcello Minenna, già dirigente in Consob e, per poche settimane, assessore al Bilancio a Roma nella giunta Raggi, ora insegna alla Londo School of Economics. Minenna appartiene a quelli che definirei “eurocritici”, persone di cui per lo più non condivido i punti di vista, ma che preferisco di gran lunga agli europeisti “senza se e senza ma”.

In un articolo pubblicato sul Corriere Economia, Minenna fa alcune ipotesi circa un argomento tabù per i suddetti “europeisti senza se e senza ma”: l’uscita dell’Italia dall’eurozona. A parte non condividere l’idea di tornare alla sovranità monetaria revocando anche il cosiddetto “divorzio” in essere dal 1981 tra Banca d’Italia e Tesoro, alcuni passaggi di Minenna sono, a mio parere, contraddittori.

Per esempio, nel caso del “Securities Market Programme” (SMP) nell’ambito del quale la Bce acquistò titoli di Paesi in difficoltà nel periodo 2010-2012, Minenna afferma: “Mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, questo programma di acquisti ha trasferito 10 miliardi di euro alla Bce (di cui la quota maggiore alla Bundesbank) sotto forma di cedole pagate sui titoli coinvolti nel programma”. Successivamente, però, riferendosi al Quantitative Easing, pare avere un’opinione diversa: “I titoli di Stato comprati dalla Banca d’Italia nel Quantitative Easing dovrebbero essere consolidati in modo definitivo nell’attivo della Bce”.

In pratica, prima lamenta il fatto che gli utili derivanti da interessi sui titoli di Stato comprati nell’ambito del SMP beneficiano in primo luogo la Germania che, tramite la Bundesbank, detiene la maggior quota di partecipazione al capitale della Bce. Salvo poi lamentarsi che, nell’ambito del QE, la maggior parte dei titoli di Stato italiani rimane sul bilancio della Banca d’Italia, perché i tedeschi non volevano una piena condivisione dei rischi. Nel caso del QE, gli utili derivanti dai titoli di Stato italiani comprati dalla Banca d’Italia tornano in gran parte al Tesoro, il che equivale, di fatto, a una monetizzazione del debito: neppure questo accontenta Minenna?

Per finire, Minenna lamenta l’introduzione delle Clausole di azione collettiva (Cac) a partire dal 2013 sui titoli emessi con durata superiore a un anno. “Nell’autunno 2012, l’accordo sull’Esm ha imposto clausole di azione collettiva (Cac) sulle nuove emissioni di titoli di Stato; perciò, una minoranza degli obbligazionisti può bloccare la ridenominazione del debito in valuta nazionale”. Generalmente l’argomentazione usata contro le Cac è di segno opposto, ossia che una maggioranza (che, a seconda delle modifiche da apportare ai titoli, va dai due terzi al 75%) può imporre alla minoranza la ristrutturazione dei titoli.

In ogni caso, se davvero lo Stato arrivasse a utilizzare le Cac suppongo che i possessori dei titoli in questione sarebbero da tempo quasi esclusivamente intermediari finanziari italiani, che ben difficilmente si opporrebbero ai voleri del Tesoro. Per di più, quando uno Stato ristruttura il debito generalmente non va tanto per il sottile. Quindi dubito che le Cac sarebbero un problema per via di minoranze “riottose”. L’euro è indubbiamente una costruzione monetaria con diversi problemi, ma i rimedi proposti da chi vorrebbe riportare a Roma la sovranità monetaria sono a mio parere peggiori del male. Gli Stati dovrebbero uscire dalla produzione e gestione della moneta.


RIDUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO: NON ESISTONO VIE INDOLORI
di MATTEO CORSINI

http://www.miglioverde.eu/riduzione-del ... e-indolori

Leggo sempre con interesse le proposte che promettono di ridurre il debito pubblico in modo indolore, o quasi. Lo faccio per individuarne i punti deboli, perché credo che non esista una via indolore alla riduzione del debito. Di qualsiasi debito si tratti. Potrà essere indolore per qualcuno, ma non per tutti.

Michele Fratianni e Paolo Savona potrebbero essere definiti “risolutori seriali”, avendo avanzato diverse proposte nel corso del tempo. “La nostra proposta si cala nel solco della letteratura economica che va indietro nel tempo e tiene conto dei progressi tecnologici registrati ai giorni nostri.
Essa consiste nel dividere le banche che raccolgono moneta (money bank) da quelle che concedono credito (credit bank) al fine di annullare i rischi e oneri di gestione delle insolvenze che gravano sui depositi e di concentrare l’attività delle banche nella valutazione del merito per concedere credito al fine di ridurre le sofferenze.
Nella nostra proposta il credito non sarebbe più finanziato da depositi ma da capitale e obbligazioni.”
La premessa sembra interessante, perché, a prima vista, parrebbe comportare il superamento del sistema della riserva frazionaria. Non credo sarebbe necessario separare le banche dei due tipi: sarebbe sufficiente imporre un requisito di riserva pari al 100 per cento sui depositi a vista.

Proseguono Fratianni e Savona: “Nella nostra proposta, i risparmiatori sposterebbero i loro depositi su basi volontarie presso una nuova istituzione statale, la banca-moneta, la quale li custodirebbe nella catena telematica blockchain attivabile solo da parte dei titolari per effettuare pagamenti con un semplice click dal telefonino o dal computer, senza che forze a questi esterne possano usarle per altri fini. La banca moneta collateralizzerebbe i depositi con debito pubblico e, di conseguenza, l’ammontare dei depositi entrerebbe nel calcolo di tale debito come una posta attiva, ossia in senso riduttivo.”

Tralascio di riportare tutti i pregi della proposta secondo i suoi autori, concentrandomi invece su ciò che non funziona. A non funzionare è la trasformazione di una passività in un’attività. Supponiamo che i risparmiatori spostino volontariamente 800 miliardi (somma ipotizzata dagli autori, pari all’ammontare dei depositi attualmente garantibili dal fondo di tutela). Supponiamo anche che questo non provochi il default dell’intero sistema bancario, cosa che in realtà avverrebbe, perché buona parte di quegli 800 miliardi oggi sono utilizzati per fare credito, essendo in essere un sistema a riserva frazionaria.

Collateralizzare i depositi presso la banca statale con debito pubblico significa che questa dovrebbe comprare titoli di Stato per 800 miliardi. Ciò significherebbe togliere dal mercato 800 miliardi di titoli. Essendo la banca di proprietà statale, nel bilancio consolidato dello Stato sarebbe come ridurre le passività rappresentate da titoli di 800 miliardi.

C’è un problema, però: i soldi utilizzati per comprare quei titoli sono dei depositanti, i quali ne restano proprietari. Quindi o non diminuisce il debito in titoli, o si considerano passività quei depositi. L’utilizzo della blockchain potrebbe sembrare un tentativo degli autori per rendere i depositi immuni dalle mire statali in caso di “necessità”. Ma ciò sarebbe possibile solo si trattasse di una blockchain simile a quella su cui è basato il bitcoin.
Se, al contrario, si trattasse di una blockchain simile a quelle che stanno sviluppando diverse banche, i soldi dei depositanti sarebbero sempre soggetti al rischio che l’amministratore del sistema (qualcuno, come me, pensa allo Stato?) li renda oggetto delle proprie “attenzioni”.
In definitiva, non ci sarebbe nessuna reale riduzione del debito. Trovo comunque condivisibili le parole di Fratianni e Savona quando concludono che, “come per gli altri progetti avanzati, il presupposto è che la politica ponga fine irreversibilmente all’aumento della spesa pubblica in deficit, per non trovarsi sempre di fronte alla necessità si aumentare le tasse a seguito di aumenti di spesa, con effetti deflazionistici che peggiorano il rapporto debito pubblico/pil”.


LA SPESA PUBBLICA NON CREA RICCHEZZA, MA AL SOLE 24 ORE MICA CI ARRIVANO
di MATTEO CORSINI

http://www.miglioverde.eu/la-spesa-pubb ... i-arrivano

“Eppure una possibilità per sbloccare la situazione ci sarebbe, con un beneficio per l’economia. Come? Costringere le autorità europee a fare per la Difesa quello che non si è fatto per il terremoto, a escludere cioè quel 2% di spesa militare dal computo di bilancio che va formare i livelli massimi del 2% nel rapporto Deficit/Pil. Ed ecco che avremmo una manovra di stimolo molto forte. Aggiungere un 2% del Pil in spese militari non vuole dire in spese guerrafondaie, ma messa a punto di certe basi, nuovi acquisti per ammodernare le flotte o ristrutturazioni delle caserme. Se così fosse la richiesta Usa non sarebbe peregrina”. Mario Platero, corrispondente da New York per il Sole 24 Ore, propone una soluzione per conciliare l’aumento di spesa pubblica per la difesa che gli Stati Uniti chiedono ai Paesi dell’Unione europea e il rispetto delle regole del Trattato Ue in materia di deficit pubblico.
A parte il fatto che il limite al deficit non è il 2, ma il 3% del Pil (suppongo si tratti di un refuso o di una svista), non è escludendo una voce di spesa che viene meno l’esigenza di finanziare la spesa medesima.

E il finanziamento della spesa pubblica può avvenire solo mediante tassazione o debito, che equivale a tassazione futura, sia essa esplicita o implicita (mediante inflazione).

Supporre che sia possibile modificare la realtà dei fatti mediante una convenzione politica significa, semplicemente, voler credere che sia possibile creare ricchezza dal nulla. Se fosse possibile, avremmo trovato nella spesa pubblica la via alla prosperità.
In effetti una certa lettura del keynesismo (che probabilmente lo stesso Keynes non condividerebbe) parecchio in voga in Italia continua da decenni a vedere nella spesa pubblica il modo per far crescere l’economia. Oggi la si chiama flessibilità, ma la sostanza è sempre la stessa.
Peccato che la crescita del Pil, quando c’è, sia effimera, mentre la corrispondente crescita del debito pubblico tenda a essere permanente. E non basta stabilire politicamente che una spesa in deficit non sia deficit per cambiare la realtà.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » dom feb 19, 2017 10:33 am

???

In caso di uscita dall’euro la lira si rivaluterebbe – Lo studio di Fitoussi
febbraio 21, 2017 Silenzi e Falsità Lascia un commento

http://www.silenziefalsita.it/2017/02/2 ... talia-lira

In caso di uscita dall’euro l’Italia sarebbe il Paese che sopporterebbe meglio il trauma, la lira si rivaluterebbe dell’1% e la gestione del debito pubblico non sarebbe a rischio.

Uno studio dell’istituto di ricerca francese Ofce condotto dall’economista Jean-Paul Fitoussi smonta quanto affermato dai media per anni: se dovessimo abbandonare la moneta unica non sarebbe un disastro per il nostro Paese.

Spiega Marcello Bussi su Milano Finanza:

“Se l’Italia uscisse dall’euro, la nuova lira si svaluterebbe del 30 per cento, avverte Mediobanca . Una disgrazia per l’inflazione, che salirebbe alle stelle, l’unanime commento. Ma qualcuno pensa che invece la valuta italica rimarrebbe stabile. Più precisamente, si rivaluterebbe dell’1%. Nemmeno Matteo Salvini avrebbe il coraggio di spararla così grossa. Eppure questo è il risultato di uno studio autorevolissimo prodotto dall’Ofce, l’Osservatorio francese della congiuntura economica. Per chi non lo sapesse, l’Ofce è stato fondato nel 1981 dall’allora premier Raymonde Barre, finanziato dallo Stato francese e affiliato alla mitologica università di Sciences Po, dove si forma una parte consistente dell’élite transalpina. Per vent’anni ne è stato presidente l’economista Jean-Paul Fitoussi, che attualmente è direttore della ricerca. Insomma, quanto di più lontano da Marine Le Pen. E dal punto di vista accademico tutte le carte sono più che in regola”.

L’Italia, emerge dalla ricerca francese, “non corre nessun rischio di andare in default nel caso di uscita dall’euro. E, una volta esauriti gli effetti speculativi a brevissimo termine, la lira si rivaluterebbe dell’1% sull’euro”.

In conclusione, l’uscita dall’euro andrebbe a vantaggio delle imprese italiane, e a danno delle esportazioni tedesche:

“Rispetto al marco tedesco, quindi, la lira perderebbe il 13%, un bel toccasana per le imprese esportatrici senza dover tagliare ulteriormente i salari. E nei confronti del franco francese la lira si rivaluterebbe addirittura del 10%. Rispetto alla dracma greca si rafforzerebbe del 37% rendendo super economiche le vacanze in terra ellenica e del 9% nei confronti della peseta spagnola. Certo, sarebbero più cari del 14% i soggiorni ad Amsterdam. Ma è davvero niente rispetto alle catastrofiche previsioni di iper inflazione e bancarotta fatte dalla stragrande maggioranza degli economisti. Le conclusioni dell’Ofce vanno quindi contro il senso comune, ma l’istituto di ricerca ha un prestigio tale che non ha bisogno di farsi pubblicità sparandole grosse”.


Alberto Pento
E il debito pubblico? Quali paesi dell'Europa e del mondo acquisterebbero ancora titoli di stato italiani?
Quanto salirebbero gli interessi e quindi la quota di debito da pagare per interessi e a quanto aumenterebbe la tassazione o di quanto si rrdurrebbe la disponibilità per la spesa pubblica e per la riduzione del capitale del debito?
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mar feb 21, 2017 8:44 pm

???

Ritorno alla Lira: vantaggi e svantaggi
Livio Spadaro
11 Marzo 2016 - 20 Settembre 2017

https://www.money.it/Ritorno-alla-Lira- ... -svantaggi

Si continua ad invocare il ritorno alla lira. Ma quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi?

Negli ultimi anni è cresciuto il sentiment anti-Euro ed anti-Eurozona in molti dei Paesi membri dell’Unione, a causa dell’impoverimento dei Paesi periferici e delle politiche di austerity adottate dalla Troika che hanno messo in ginocchio diversi Stati del Vecchio Continente.

In Italia si è discusso e si continua a discutere se il ritorno alla Lira possa essere un’ancora di salvezza per il Bel Paese facendolo così tornare ad avere un’economia florida basata sull’industria e sulla produzione manifatturiera.

Il dilemma è crescente, vista la nascita negli ultimi anni di partiti e movimenti anti-Euro come il Movimento 5 Stelle e del crescente consenso anche in gruppi politici già esistenti, come ad esempio la Lega.

Italia: perché il ritorno alla Lira?

Il crescente scetticismo verso l’Euro e l’Unione Europea di diversi Paesi, soprattutto quelli “periferici”, ha fatto tornare di moda negli ultimi anni un argomento molto delicato.

In Italia, così come in Spagna, Portogallo e Grecia, ci si è chiesto se il ritorno alle valute nazionali sia un modo per risollevare la crescita economica dei Paesi. In Italia soprattutto, il dibattito negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso, visto il crescente sentiment anti-Euro tra i cittadini italiani.

Molti invocano il ritorno alla Lira per cercare di risollevare le sorti del Bel Paese, ma cosa succederebbe se davvero l’Italia tornasse alla moneta originale? Il discorso è ovviamente molto esteso e articolato poiché le variabili in gioco sono molte e di difficile prevedibilità.


Ritorno alla Lira: come uscire dall’Euro?

Difficilmente l’Italia uscirà per volontà propria dall’Eurozona, è invece più credibile un’uscita dovuta alla disgregazione dell’area Euro, minacciata da choc esterni e interni di intensità maggiore rispetto alla crisi greca.

Partendo dal presupposto che quindi la zona Euro si disgregherà per il semplice fatto di essere un’Area Valutaria Ottimale (AVO) si cercherà di capire cosa accadrebbe perciò in questo caso (sorvolando su eventuali default a catena dei Paesi che renderebbe l’analisi molto complicata).

I vantaggi del ritorno alla Lira

Moneta svalutata e inflazione gestibile
L’Italia esce dall’Euro e torna alla Lira in un contesto in cui l’Eurozona non esiste più. Il primo effetto è ovviamente l’innalzamento dell’inflazione dovuto al ritorno di una moneta fortemente svalutata e di una crescita del PIL che nel medio periodo torna e in maniera più consistente di adesso.

Questo perché, con il ritorno alla Lira svalutata a livelli congrui per l’economia, riparte l’industria che può così esportare molto più di quanto faccia adesso e tornare ad avere così un contributo positivo netto dalla domanda estera sulla bilancia commerciale italiana (cosa che adesso, nonostante la svalutazione dell’Euro, non avviene).

E’ vero che si pagherebbe di più per i materiali di produzione, visto che ora si avrebbe una moneta svalutata di parecchio, ma è vero anche che con una classe dirigente capace si farebbe in modo di evitare il peggio.

I politici potrebbero ad esempio liberalizzare il mercato, aumentando la concorrenza e alimentando l’abbassamento dei prezzi. Tornando alla moneta originaria poi, lo Stato può far leva sul tasso di cambio decidendo di svalutare e rivalutare la moneta a seconda delle necessità, cosa che ora non accade.

Salgono produzione industriale ed export
La produzione industriale così ripartirebbe, causando non pochi problemi a chi invece ha beneficiato dell’Euro, come ad esempio la Germania che ha preventivamente sussidiato le imprese avvantaggiandosi in un secondo momento e diventando così leader indiscussa delle esportazioni in Europa a scapito di Paesi come proprio l’Italia che era il secondo Paese del Vecchio Continente per produzione industriale.

La bilancia commerciale italiana beneficerebbe dal ritorno alla Lira. Dall’ultima proiezione dell’Istat sul PIL del Bel Paese è emerso che la domanda netta estera ha dato un apporto negativo alla crescita del PIL mentre l’istituto di statistica si aspetta che per quest’anno il maggior apporto venga dalla spesa interna.

Potrebbe migliorare la distribuzione dei salari
Questo perché la bassa inflazione dovrebbe spingere la spesa dei consumatori, cosa vera nel breve ma non nel medio-lungo periodo. Con il ritorno alla Lira, i salari nominali crescono ma il potere d’acquisto scende (la moneta vale meno).

Mentre con l’ingresso dell’Euro le quote salariali sono tornata pari a quelle degli anni ‘60, nel periodo ‘70-’90 più l’inflazione scendeva e più scendevano le quote dei salari. Questo perché la moneta valeva di più e di conseguenza impattava sui salari mentre i prezzi salivano.

L’ingresso nell’Euro ha compromesso la distribuzione della ricchezza cosa che, invece, quando l’Italia poteva decidere indipendentemente la propria politica economica non accadeva.

Aumenta l’occupazione
Lo Stato, se lasciato agire (premettendo di avere una buona classe dirigente) può contrastare il fenomeno inflattivo incidendo sui prezzi (nel breve questa è la parte dolorosa che si vedrà più in là) o incentivando l’aumento dei salari o ancora facendo leva sulla produzione di moneta.

Rimanendo nell’ambito dell’occupazione, con la disgregazione dell’Euro dovrebbe salire. La Germania con l’enorme surplus commerciale che ha, vedrà il Marco rivalutarsi mentre gli Stati vicini cominceranno a svalutare la moneta il più possibile per rilanciare, come detto prima, l’export. Di conseguenza, aumenta l’export, aumenta la produttività, le aziende crescono e aumenta l’occupazione.

Gli svantaggi del ritorno alla Lira

Il problema del debito pubblico e dei tassi di interesse
Il debito pubblico invece, con una buona gestione politica dovrebbe migliorare. L’inflazione fa in modo che la moneta valga di meno e che quindi che il valore dei debiti si riduca.

Il rapporto debito/PIL dovrebbe scendere per effetto dell’aumento delle esportazioni e dell’aumento della spesa interna delle fasce medio-alte di lavoratori. Lo Stato inoltre non avrebbe più le mani legate negli adattamenti di politica economica e potrebbe ridurre in parte la spesa pubblica a fronte però di una minore imposizione fiscale sulle imprese permettendo a queste ultime di essere rilanciate e così di innescare i meccanismi descritti sopra.

Il problema vero è rappresentato dai tassi di interesse. Con una disgregazione dell’area Euro i tassi di interesse dell’Italia volerebbero, visto che l’ingresso nell’Eurozona ha permesso invece che si tenessero bassi dando modo allo Stato italiano di potersi finanziare (senza poi spendere come meglio crede i finanziamenti ma questo è un altro discorso).

Lo Stato quindi non riuscirebbe a finanziarsi e potrebbe avere problemi nel ripagare i tassi di interesse sul debito. La cosa che può controbilanciare questo fatto è, oltre a fare tutto ciò descritto prima, attrarre gli investimenti.

Se l’Italia tornasse alla Lira, con uno scenario descritto prima di moneta ipersvalutata, è molto probabile che investitori esteri puntino all’Italia visti i vantaggi derivanti dalla Lira svalutata e dalla qualità della produzione.

Con l’aumentare degli investimenti, della spesa dei consumatori e del saldo della bilancia commerciale, lo Stato potrebbe fare a meno di spingere la spesa pubblica, concentrandosi a ripagare il debito pubblico (purtroppo nel breve potrebbe essere costretto ad alzare la tassazione sui consumi almeno fino a quando non migliorano i tassi di interesse).

Bisogna avere una classe politica capace
Nel complesso un ritorno alla Lira sembra vantaggioso anche se non indolore. Nel breve termine il caos generato dalla disgregazione dell’Euro renderebbe di difficile digestione il ritorno alle valute nazionali.

Alla base di uno scenario di uscita dalla moneta unica c’è quello di avere una classe dirigente che sappia affrontare il caos iniziale, mettendo a punto manovre di politica economica volte a cogliere l’opportunità del ritorno alla moneta nazionale. Alla luce di quanto fatto dalla classe politica negli ultimi 20-30 anni, resta difficile pensare che la classe dirigente italiana sappia gestire un’uscita dell’Italia dall’Euro.

Attualmente, il ritorno alla Lira sembra l’unica alternativa all’Euro dato che tendenzialmente si sta già spingendo per un ritorno alle monete nazionali visto che la moneta unica ha apportato pochissimi benefici (tranne che per la Germania) a chi ne è entrato a far parte e viste le politiche monetarie (al momento inefficaci) della BCE.
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mer feb 22, 2017 7:37 pm

Frottole e illusioni sul tema del signoraggio
http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf
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Re: El mito de ła soranedà monedara

Messaggioda Berto » mer feb 22, 2017 8:46 pm

La crixi economega de ła Greça
viewtopic.php?f=94&t=1590

Altro che colpa della Germania:

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_eco ... lla_Grecia
La crisi economica della Grecia è parte della crisi del debito sovrano europeo. La crisi inizia ufficialmente nell'autunno del 2009, quando il neo primo ministro George Papandreou rivela pubblicamente che i bilanci economici inviati dai precedenti governi greci all'Unione europea erano stati falsificati con l'obiettivo di garantire l'ingresso della Grecia nella Zona Euro.
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