Il Ceo di Uber lascia il consiglio dei consulenti di TrumpUna decisione presa per distanziare la società dal decreto sull’immigrazione del presidente
2017/02/03
http://www.lastampa.it/2017/02/03/tecno ... agina.htmlL’amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, si è dimesso come consigliere economico del presidente Donald Trump. Lo ha comunicato con un’email ai dipendenti rimbalzata sui social media.
«Oggi ho parlato brevemente con il presidente del suo ordine esecutivo sull’immigrazione e delle implicazioni per la nostra società - ha scritto Kalanick - e gli ho fatto sapere che non sono in grado di poter essere parte del suo consiglio economico. Far parte del gruppo non doveva rappresentare un endorsement del presidente o della sua agenda ma, sfortunatamente, è andata esattamente così», ha detto il Ceo di Uber oggetto di pesanti critiche online e di campagne per il boicottaggio della sua società, soprattutto dopo che la Casa Bianca ha messo al bando gli immigrati da 7 Paesi a maggioranza islamica.
Kalanick era uno dei 16 consiglieri del forum strategico che ha in calendario la sua prima riunione proprio nella giornata di oggi. Tra gli altri, nel fanno parte il Ceo di General Motors, Mary Barra, Elon Musk di Tesla e Larry Fink di Blackrock.
Uber e le tasse dei "tassisti per caso"Scritto da Dario Stevanato
Lunedì 20 Aprile 2015
http://www.giustiziafiscale.com/economi ... -per-casoqUber, multinazionale americana che fornisce da qualche anno un servizio di trasporto automobilistico attraverso un’applicazione software che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti, è come noto sbarcata anche in alcune città italiane, sollevando polemiche e dubbi in ordine al rispetto delle leggi in materia di trasporto pubblico e noleggio con conducente. Nella sua versione “UberPOP”, il servizio fornito ai clienti si basa su autisti non professionisti, cioè privati dotati di semplice licenza di guida che impiegano la propria autovettura.
Qui non mi voglio però occupare dei profili di legalità del servizio, quanto analizzarne il regime fiscale, non tanto in capo alla società di gestione del servizio stesso, cioè Uber, che pagherà le imposte – in assenza di stabili organizzazioni in altri territori - esclusivamente nello Stato di residenza (pare che la controparte contrattuale dell’utente italiano sia sita in Olanda), quanto per le ricadute sui “Fornitori dei Servizi di Trasporto” (come vengono chiamati nel sito di Uber).
Nel caso di UberPOP, si tratta come detto di privati, i quali, una volta registrati al servizio, possono decidere di quando in quando di mettersi “on line”, ed a quel punto liberamente accettare o meno le richieste di servizio pervenute. In caso di accettazione, questa viene notificata dall’applicazione al cliente, che paga il servizio all’intermediario mediante carta di credito. Uber, a propria volta, trattenuta una quota del corrispettivo (il 20%), versa la differenza sul conto corrente del Fornitore del Servizio, cioè l’autista non professionista, il quale non rilascia alcun tipo di ricevuta al cliente per il servizio di trasporto eseguito, né riceve dallo stesso alcuna somma di denaro.
Con riguardo al trattamento delle somme versate da Uber agli autisti, circola la convinzione che si tratti per essi di un mero “rimborso spese”, privo di rilevanza reddituale e dunque da non dichiarare al fisco italiano. Nel blog di Uber si legge che il servizio UberPOP appartiene alla “sharing economy” per migliorare la vita dei cittadini, permettendo inoltre “di coprire i costi della propria auto mettendo il proprio veicolo a disposizione della città e divertendosi a condividerlo con gli altri cittadini”. Questa presentazione, che fa perno sui concetti non profit di ride sharing, condivisione, economia collaborativa, e così via, non sembra però totalmente rispondente alla realtà dei fatti: gli autisti non professionisti che partecipano ad Uber sembrano infatti non tanto dei buontemponi che vogliono divertirsi nel condividere con gli altri la propria auto, quanto cittadini desiderosi di arrotondare, a tempo perso, le proprie (magari magre) entrate.
Ciò detto, la tesi secondo cui gli autisti riceverebbero dei meri “rimborsi spesi” non tassabili mi sembra tutta da verificare. Anzitutto, perché non mi pare esservi un rimborso delle spese di diretta imputazione, sia pure calcolate con criteri forfettari. Il riferimento alle tabelle ACI, che Uber dichiara di utilizzare per “rimborsare” gli autisti, comporta la riconversione del corrispettivo pagato dal cliente, che si basa anche sulla durata della corsa in minuti, in una traduzione in termini di distanza percorsa. Inoltre il rimborso chilometrico dipende dal tipo di auto, mentre le tariffe praticate ai clienti di UberPOP non dipendono dal mezzo utilizzato. E ancora, le tariffe Aci si basano su un utilizzo anno della singola auto pari a 15 mila Km, e andrebbe allora verificato se nel rimborso erogato da Uber il parametro della percorrenza effettiva annua sia tenuto in considerazione. Sarebbe poi da chiedersi perché mai qualcuno dovrebbe andare in giro con la propria auto per portare passeggeri da una destinazione all’altra, senza la prospettiva di un sia pur minimo guadagno (certo resta sempre l’ipotesi del divertimento e della condivisione).
Ma poniamo pure che sia possibile riscontrare una perfetta corrispondenza tra quanto “girato” da Uber all’autista privato per la corsa effettuata e le tabelle Aci sui costi chilometrici riferite al tipo di auto utilizzata. Basterebbe questa circostanza ad escludere la natura reddituale di quanto percepito, differenziando la posizione degli autisti privati da quella dei lavoratori autonomi, o anche dei dipendenti che utilizzano la propria auto per trasferte all’interno del Comune, ricevendo rimborsi chilometrici imponibili?
Tanto per cominciare, mi sembra abbastanza chiaro che l’attività esercitata dall’autista privato si inserisce in un assetto oneroso e sinallagmatico, e non in un “ufficio gratuito” o in un’attività ludica, di condivisione disinteressata della propria auto col resto della cittadinanza. Con il “rimborso”, i Fornitori del Servizio di Trasporto (come vengono chiamati nel sito di Uber) ricevono una somma che va a remunerare non solo le spese di diretta imputazione relative alla corsa (come il carburante), ma altresì le altre spese fisse legate al possesso e al mantenimento della vettura, e al tempo dedicato alla prestazione del servizio. Spese che altrimenti determinerebbero un depauperamento patrimoniale, e che sarebbero comunque sostenute da colui che, non dimentichiamolo, dispone di un’autovettura per le proprie esigenze e finalità private e familiari. Il “rimborso” erogato da Uber reintegra dunque l’autista da spese e costi che altrimenti ridurrebbero il suo patrimonio, e che sarebbero comunque in buona parte ugualmente sostenute. Il che mi sembra differenzi questa situazione rispetto a quella di chi, per svolgere un certo incarico, riceve soltanto il ristoro di spese che in assenza di quell'incarico non avrebbe patito (come accade per i puri rimborsi di spese non accessori o collaterali a un compenso imponibile, come ad esempio quelli dei conferenzieri cui vengano rimborsate le sole spese vive di viaggio).
D’altra parte, in presenza di un’attività astrattamente produttiva di reddito, non rileva che i proventi siano appena sufficienti a coprire i costi sostenuti, che sarebbe comunque onere del contribuente documentare e dimostrare. Non mi sorprenderebbe, dunque, se l’Amministrazione finanziaria ritenesse integrata la fattispecie di cui all’art. 67 lettera i) del Tuir, sulla tassabilità dei “redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” (i servizi di trasporto rilevano quali attività commerciali a mente dell’art. 2195 c.c.), o di cui alla lettera l), sui redditi derivanti “dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, redditi che “sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione” (art. 71 comma 2 del Tuir).
Del resto l’Agenzia delle Entrate ritiene tassabili anche i rimborsi spese e le reintegrazioni patrimoniali percepite dagli amministratori di sostegno, che svolgono un “munus” pubblico in regime di gratuità (art. 379 c.c.). Figuriamoci dunque quale potrà essere l’atteggiamento nei confronti di un pagamento a forfait a fronte di un’attività onerosa. Mi sbaglierò, ma non credo che gli autisti di UberPOP possano dormire sonni tranquilli contando sulla qualifica delle somme ricevute in termini di “rimborsi spese” intassabili, soprattutto se le cifre in gioco diventassero complessivamente importanti.
“Airbnb e Uber trattengano e versino le tasse”Proposta di legge bipartisan alla Camera: aliquota del 10% per la sharing economy
http://www.lastampa.it/2016/02/29/itali ... agina.htmlLa notizia è che l’Italia potrebbe presto avere una legge sulla «sharing economy». E i colossi dell’economia della condivisione plaudono. Mercoledì 2 marzo un gruppo bipartisan di parlamentari presenterà una proposta alla Camera. Tra i firmatari ci sono Veronica Tentori e altri sei esponenti del Pd, Antonio Palmieri (Fi), Ivan Catalano (Gruppo Misto), Adriana Galgano e Stefano Quintarelli di Scelta civica.
Il nodo del fisco
La bozza spiega che la finalità è quella di «riconoscere e valorizzare» l’economia della condivisione, di «promuoverne lo sviluppo» e di definire «strumenti atti a garantire la trasparenza, l’equità fiscale, la leale concorrenza e la tutela dei consumatori». Ma il passaggio chiave è l’articolo 5, quello che si propone di intervenire sulla fiscalità. I parlamentari chiedono che a tal proposito le piattaforme agiscano da sostituti d’imposta per i redditi generati dagli utenti con un’aliquota fissa del 10% su tutte le transazioni. Significa che Airbnb tratterà le tasse e le verserà direttamente all’erario per conto dell’utente-proprietario della casa.
Soglie e percentuali
La proposta di legge prevede inoltre la soglia 10 mila euro annui come discrimine tra «chi svolge una microattività non professionale ad integrazione del reddito» e chi invece «opera a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti». Chi sta sotto paga il 10% con la formula della cedolare secca (fatta salva la no tax area). Chi supera la cifra versa l’aliquota corrispondente al cumulo con gli altri redditi.
Spetterà invece all’Autorità per la concorrenza e il mercato regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme della «sharing economy». Sarà inoltre istituito un registro elettronico nazionale delle piattaforme. Per iscriversi app e siti avranno bisogno del via libera dell’Autorità al documento con le policy.
Uber riapre?
«L’auspicio è che le istituzioni tengano in considerazione anche chi condivide i propri beni in maniera occasionale e si impegnino in una progressiva semplificazione delle procedure», commentano da Airbnb. Il modello potrebbe essere quello di Parigi, dove la piattaforma versa la tassa di soggiorno. E anche Uber, l’app che consente di diventare autisti, spera di poter tornare a fornire ai clienti italiani il servizio Uber Pop, bloccato il 25 maggio scorso dal tribunale di Milano.
A questi prezzi, questo povero autosta lavoratore non guadagna nulla, lavora un giorno intero gratis unicamente per le spese, chi ci guadagna è solo UBER il lavoratore in oggetto è meno di uno schiavo.http://www.sicurauto.it/news/quanto-si- ... r-pop.htmlUna giornata intera al volante per le strade di Torino. Ecco quanto guadagna realmente un driver di Uber Pop
Quanto si guadagna in un giorno con Uber Pop?
UberPop, il servizio che permette a un automobilista iscritto alla piattaforma di offrire un passaggio con la propria auto in cambio di una piccola somma è attivo a Torino. Tra critiche e approvazioni, l'app californiana continua la sua espansione annunciata in nome di una mobilità sostenibile e alternativa, anche se è ancora considerata fuorilegge per via del profitto che ne trarrebbe il conducente. Un giornalista è diventato autista Uber per documentare la giornata tipo di un driver UberPop, dimostrando che molta gente richiede un passaggio a Uber ma anche che a fine giornata, dopo 8 ore passate al volante, non può certo dire di avere le tasche (o meglio il conto) piene di soldi. Ecco come si diventa autisti di UberPop e quanto si guadagna realmente.
COME SI DIVENTA DRIVER POP
Ora che Uber ha abbassato le tariffe delle corse per avvicinarle ai costi chilometrici delle tabelle ACI, quello che taxi e Comuni lo definivano un illecito "profitto" dei conducenti è ridotto all'osso. Un giornalista de La Stampa ha verificato quanto realmente può portare nelle tasche di un privato una giornata intera dedicata a portare in giro i clienti di UberPop. L'esperienza non è esente dal rischio di essere beccati dai vigili, infatti bisogna rispettare scrupolosamente le indicazioni di Uber per non incorrere nelle stesse multe e sequestri di Milano e Genova. Prima di entrare in servizio, il giornalista racconta la sua iscrizione avvenuta in circa 24 ore. "Abbiamo caricato su una piattaforma on line dati e documenti. - afferma il giornalista - Abbiamo anche giurato di non avere conti in sospeso con la giustizia. Per ora si fidano, ma entro due settimane dovremo fornire i certificati del Tribunale." Poi il giorno seguente si passa al colloquio con il personale di Uber Italia. "Ci siamo ritrovati con altre quindici persone in un hotel di piazza Massaua, periferia Ovest di Torino. Ci hanno accolto tre ragazzi di 25 anni. Ci hanno catechizzato per un'ora e fornito uno smartphone. In meno di ventiquattr'ore siamo diventati «autisti»".
9 CORSE IN 8 ORE
Così' è iniziata l'esperienza da conducente di UberPop per un giorno, percorrendo a bordo di un'Alfa Romeo Giulietta circa 100 chilometri per rispondere alle chiamate di utenti italiani e stranieri che chiedevano un passaggio. "La prima chiamata arriva alle 9,10. Ci siamo appena seduti in macchina e c'è già qualcuno che ha bisogno di noi. Si chiama Giulio e deve andare al Politecnico." La Giulietta impiega 22 minuti per percorrere 7 chilometri e la corsa viene pagata direttamente tramite l'app con carta di credito (9 euro). "La seconda chiamata arriva alle 10 ma poi il cliente non si presenta", ecco uno degli inconvenienti rischiosi, come telefonare a chi ha prenotato la corsa ma ha cambiato idea e non sapeva come annullarla. Poi la giornata continua e il racconto del giornalista anche: "Dopo un quarto d'ora, il telefono s'illumina: un signore ha bisogno di un passaggio in Tribunale." Dopo poco arriva la quarta richiesta "si chiama Florent, è un gallerista parigino, in città per Artissima. Parte dal centro per andare all'aeroporto di Caselle: 16 chilometri in venti minuti, costo 13 euro. Con il taxi sarebbero stati 35 o 40 euro", secondo il giornalista. La giornata di lavoro suddivisa da 2 pause di mezz'ora prosegue fino alle 18 dopo e si conclude dopo aver dato il passaggio a 23 persone, di cui solo 2 over40 e solo 4 italiane.
LE ISTRUZIONI PER NON COMMETTERE ERRORI
Durante il servizio il giornalista racconta di aver caricato alcuni passeggeri a bordo strada proprio nelle vicinanze di alcuni taxi in attesa di clienti (vedi l'immagine in alto tratta dal servizio). La preoccupazione di avere qualche grattacapo c'è, ecco perché durante il colloquio Uber consiglia di seguire scrupolosamente alcune indicazioni, come accertarsi dell'identità della persona prima di farla salire e non telefonare ai clienti. Il giornalista, infatti, racconta che: "Al corso, i ragazzi di Uber raccomandano di rispondere ad almeno il 90% delle chiamate, di non telefonare al cliente a meno che non sia necessario, e di essere prudenti: «Quando credete di aver individuato il passeggero chiedetegli come si chiama. Solo a quel punto fatelo salire. Non date troppo nell'occhio»". Anche se di vigili il neo autista Uber non ne incontra e i tassisti non mostrano evidenti segnali di aver individuato un concorrente, le precauzioni non sono mai troppe: "È meglio se fate sedere i passeggeri accanto a voi" avrebbe consigliato Uber agli aspiranti driver Pop. E tra i tanti clienti salta fuori un francese che vuole pagare in contati. Un pericoloso passo falso dal quale il giornalista si tiene a debita distanza poiché potrebbe anche essere una trappola dei vigili per cogliere il conducente in flagranza. Tra l'altro, specifica il giornalista, "in auto non avvengono scambi di denaro o transazioni". Uber preleva direttamente il costo della corsa dalla carta di credito del cliente e ogni settimana paga il driver con un bonifico. E qui arriva il momento di fare due conti sui soldi che il conducente ha guadagnato in una giornata con UberPop.
IL RESOCONTO DELLA GIORNATA
Le 8 ore di guida per portare a termine 9 corse si fanno sentire a fine giornata, tant'è che gli effetti sul fisico sono l'unica evidenza lampante del resoconto giornaliero, poiché di soldi ancora non ce ne sono sul conto (come detto Uber li accredita ogni settimana). Facendo qualche considerazione, però, non sembra che il conducente UberPop abbia tratto chissà quale profitto. Anzi, se è stato bravo a tenere uno stile di guida parsimonioso, forse può anche coprire il costo dell'auto per il servizio offerto. A fine giornata il giornalista considera un incasso di 61 euro, dal qual bisogna sottrarre circa 12 euro come commissione a Uber Italia. Tra qualche giorno, quindi, al giornalista saranno accreditati circa 48 euro sulla sua carta di credito, ma intanto ha speso 11 euro di gasolio per percorrere 100 chilometri.
E' DIFFICILE ARRICCHIRSI CON UN RIMBORSO SPESE
Ne consegue che per ogni chilometro percorso l'autista Uber Pop incasserà 0,48 euro, che sono praticamente gli stessi soldi che le tabelle ACI attribuiscono al costo chilometrico (circa 0.5 euro) di un'Alfa Giulietta 1.6 JTD m-2 da 105 cv Euro 5 (la nostra prova su strada) che percorre 15 mila chilometri l'anno, quale rimborso spese. Allora vi riproponiamo una dichiarazione estratta da una recente intervista di SicurAUTO a Benedetta Arese Lucini, general manager Uber Italia, sulle sanzioni e sul presunto profitto illecito dei conducenti, tanto temuto da taxi e Comuni: "Mi sembra si colpisca con una sanzione davvero dura persone che danno il loro contributo alla mobilità di città sempre più intasate. Persone che lo fanno per sostenere i costi di gestione della propria auto in un momento economicamente difficile. Se gli utenti di Uber sono persone che magari la macchina non la possiedono, i driver di UberPop sono persone che la devono possedere per lavoro e per le necessità della propria famiglia."
???
Inchiesta: chi ha ragione su Uberda Paolo Morelli -
18/02/2017
http://www.thelastreporter.com/inchiest ... ne-su-uberUber è legale o no? C’è una guerra in atto alla app statunitense, sia in Italia che all’estero, ma proviamo a capire come stanno le cose.
Per parlare di Uber è necessario iniziare dalla fine. Ieri, a Torino, si è svolta la manifestazione nazionale dei tassisti contro Uber, che si è conclusa con un’audizione presso l’Authority dei Trasporti, accompagnata, però, da un tentativo di sfondamento da parte dei manifestanti e da episodi poco entusiasmanti anche nei confronti dei media. Uber, dal canto suo, non è rimasta a guardare, e mentre i tassisti scioperavano, ieri, ha abbassato le tariffe del 20%.
Gli atti intimidatori.
Chi se la passa peggio, però, sono gli autisti di Uber, che spesso vivono nel terrore, mentre alla manager di Uber Italia, Benedetta Arese Lucini, è stata assegnata una scorta a seguito delle numerose minacce ricevute. Prima di andare ad analizzare come stanno le cose, è necessario tenere bene a mente la violenza verbale e fisica operata dagli oppositori di Uber – che in molti casi sono tassisti.
La sentenza di Genova.
Verso la fine di gennaio, a Genova sono stati fermati 5 autisti di Uber, ai quali è stata ritirata la patente e sequestrata l’auto. I vigili urbani hanno contestato la violazione dell’articolo 86 del Codice stradale, che disciplina il “servizio di piazza”, cioè il servizio di trasporto operato dai taxi con regolare licenza. Gli autisti, assistiti dai legali di Uber, hanno fatto ricorso al Giudice di pace e hanno vinto. Uber non compie un servizio di piazza, le patenti sono state restituite, così come le auto, e le sanzioni sono state annullate in quanto non c’è esercizio abusivo della professione.
La prossima settimana sarà pubblicata la motivazione, che comunque non fa Giurisprudenza (quindi non influisce ufficialmente sull’interpretazione della Legge) ma è sicuramente da tenere in considerazione nell’ottica della regolamentazione del mercato. Semmai, a Uber potrebbe essere contestata una violazione dell’articolo 85, che disciplina il noleggio auto con conducente (NCC) e si distingue dal servizio di piazza e può ricevere prenotazioni solo nella propria autorimessa, dove le auto “scariche” hanno l’obbligo di stazionare. Quello che preoccupa, e che non va dimenticato, è la minaccia di Valerio Giacopinelli, socio della Cooperativa Radio Taxi: «Questa sentenza avrà delle conseguenze. E nel futuro potrebbero verificarsi problemi di ordine pubblico che coinvolgeranno non soltanto la nostra categoria ma anche gli autisti Ncc». Un’affermazione grave, soprattutto alla luce di quanto accaduto ieri a Torino.
La differenza tra taxi e NCC.
Intanto, però, è necessario fare chiarezza. La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 13 febbraio 2014, ha stabilito una netta differenza tra i due servizi: le corsie preferenziali e gli “stalli”, cioè i luoghi di stazionamento pubblico delle auto, sono accessibili esclusivamente ai taxi. Questi ultimi operano un “servizio di piazza”, che è così definito: «il vettore si mette a disposizione di un’utenza indifferenziata (individuale o piccoli gruppi) con lo scopo di soddisfarne le esigenze di trasporto». Quello che si contesta di più, però, è il nuovo servizio di Uber, Uber Pop.
Come funziona UberPop.
Attraverso il portale di Uber, è possibile registrarsi e chiedere di diventare un autista Uber Pop. Ci sono requisiti precisi, tra cui la fedina penale pulita e un’auto di proprietà non più vecchia di 8 anni. Il servizio è molto simile a quello dei taxi, ma parte da un concetto diverso: con Uber Pop non porti a casa uno stipendio ma ti paghi le spese dell’auto. Come ha raccontato Andrea Rossi su La Stampa, un’intera giornata di “lavoro” per Uber Pop, al netto del carburante e del 25% riservato a Uber, fa guadagnare all’autista circa 40 euro. È chiaro che con una cifra del genere non è possibile portare a casa uno stipendio sensato, a meno di non restare in giro tutti i giorni, ma questo andrebbe a contravvenire lo spirito originario del servizio, cioè il «pagarsi le spese».
L’utente scarica la app e si registra, seleziona il percorso e indica la propria posizione di partenza, la prima auto nei paraggi disponibile accetta il passaggio, sempre tramite la app, e si presenta all’appuntamento. Il percorso e il prezzo sono stabiliti a priori e si paga con carta di credito, tutto in automatico, non c’è alcuno scambio di contanti. Le tariffe sono inferiori a quelle dei taxi, ed è il motivo principale per cui questi ultimi accusano Uber di concorrenza sleale. Le associazioni di taxisti, infatti, denunciano che i loro prezzi sono influenzati dalla tassazione al 55%.
E con l’assicurazione come la mettiamo?
Dal punto di vista assicurativo, gli autisti di Uber sono in regola. Come spiegano da una filiale torinese di un grande gruppo assicurativo: «la polizza copre automaticamente tutti i passeggeri, siano essi amici, parenti o sconosciuti. Essendo un’auto privata, in caso di incidente non siamo tenuti a sapere chi fossero le persone a bordo. Il problema normativo non c’è, sicuramente si pone un problema deontologico, anche perché i tassisti hanno un tipo di polizza diverso che costa molto di più di una normale RCA». Con UberPop, l’utente chiede un passaggio e paga un “rimborso” a chi lo accompagna, è un po’ come pagare la benzina a un amico che ti accompagna l’aeroporto, ma Uber è un’azienda.
Sullo stesso concetto si fonda un altro notissimo servizio di car pooling, Bla Bla Car. In questo caso, però, non si sono sollevate proteste, anche perché Bla Bla Car è dedicato principalmente a tragitti extraurbani percorsi da privati che, per dividere le spese, trovano, attraverso il sito web, persone che devono percorrere tragitti simili e che contribuiscono a coprire i costi del viaggio. Inoltre, gli autisti di Bla Bla Car non attendono chiamate, si tratta di privati cittadini che “chiedono” se qualche altro utente abbia bisogno di un passaggio per andare verso una certa direzione, quindi il meccanismo è inverso. Anche in questo caso, comunque, l’assicurazione copre i passeggeri senza problemi. Tornando a Uber, poi, l’azienda garantisce la copertura assicurativa per tutti i danni non coperti dall’assicurazione privata dell’auto.
Ok, ma il Codice della strada?
Stando al Giudice di pace di Genova, Uber non viola la norma che disciplina il servizio di taxi «Il nodo della questione – spiega un avvocato torinese specializzato nel Codice della strada – sta nel numero di passaggi che una persona dà. Se la cosa è occasionale non ci sono problemi, però se vado a promozionare questi passaggi posso violare delle norme di carattere amministrativo». Dove sta il limite tra il car pooling (cioè i passaggi dati a seguito di un rimborso) e il servizio taxi? È questo il nodo da sciogliere. «Fare pubblicità e mettere in piedi un’azienda basata su queste attività – continua l’avvocato – viola regole di carattere amministrativo, perché Uber non si interfaccia con l’amministrazione che regola il trasporto». In questo momento gli autisti di Uber non possono essere sanzionati perché mancano le norme. L’azienda, però, deve interfacciarsi con l’amministrazione pubblica per chiarire la propria posizione, cosa che sta, in effetti, facendo.
Il Ministero dei Trasporti dovrà decidere se Uber può esercitare senza autorizzazioni o se deve richiederle. Nel momento in cui, però, il servizio dovesse essere dichiarato illegale, lo Stato dovrà sanzionare anche gli utenti che utilizzano la app, perché se il servizio è illegale allora ne è illegale il suo utilizzo. Una prospettiva poco praticabile (si possono controllare tutti gli smartphone?). Uber ha evidenziato un problema nel settore del trasporto italiano, già emerso in occasione delle liberalizzazioni delle licenze ai taxi. «Il mercato non è libero – conclude l’avvocato – perché le licenze sono contingentate e concesse dai comuni, in questo settore non si può parlare di libera concorrenza, perché per Legge non è prevista».
L’authority dei trasporti.
Andrea Camanzi è il Presidente dell’Autorità di regolazione dei Trasporti, istituita nel 2013, che ha sede a Torino. È il luogo in cui ieri sono state audite le sigle sindacali, che hanno fatto saltare il banco non appena Camanzi ha nominato Uber. Per i taxisti, Uber è illegale e non va nemmeno convocato, ma l’intenzione dell’authority è quella di sentire tutti gli attori del mercato, per poi fornire un rapporto dettagliato al Ministero, che agirà di conseguenza.
«Il tema della legittimità della piattaforma – ha dichiarato Andrea Camanzi a fine gennaio – dipende da come questa soluzione tecnologica viene utilizzata. Se essa viene adoperata come piattaforma di prenotazione, è necessario armonizzare la legislazione vigente con l’avvento delle nuove tecnologie. Diverso il caso di servizi, come Uber Pop, in cui si offrono trasporto di cortesia per finalità semi-commerciali. In questa circostanza è evidente che si pone un problema di sicurezza che dev’essere garantita al cittadino». Il Ministro dei Trasporti Maurizio Lupi si è più volte espresso contro Uber, dichiarandolo illegale e «da contrastare».
Libera concorrenza in libero Stato.
La questione è un’altra: bisogna davvero contrastare Uber? Il Ministero rischia di trovarsi di fronte a un bivio di ben altra caratura. Si può aprire alla libera concorrenza nel settore del trasporto pubblico non di linea? O meglio: si possono liberalizzare le licenze dei taxi? Finora, la risposta – anche dei precedenti governi – è stata più no che sì. Di fatto, si tratta di un settore – al pari delle sigarette o delle tabaccherie – dove la libera concorrenza non è prevista.
L’anno scorso, però, l’Antitrust si era espresso a favore di Uber e dei servizi di NCC, in quanto le «nuove app» migliorano l’incontro tra domanda e offerta nel settore dei trasporti non di linea, ma ammoniva dicendo che fosse necessario «eliminare le distorsioni concorrenziali nel settore degli autoservizi di trasporto pubblico, causate dall’esclusione dei taxi e del servizio di Noleggio auto con conducente dall’applicazione delle norme di liberalizzazione». Il problema va oltre Uber, lo Stato ha una grana molto più grossa, che riguarda le liberalizzazioni.
Il ddl Concorrenza.
Come ha ben ricostruito Formiche.net, è ora in discussione un disegno di legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere portato tra due giorni in Consiglio dei Ministri. Nella bozza, che coinvolge principalmente il Ministero dello Sviluppo Economico, ci sarebbe una modifica che farebbe tirare un sospiro di sollievo a Uber: verrebbe infatti abrogato l’obbligo per le vetture NCC di ricevere prenotazioni solo presso l’autorimessa, sanando di fatto il limbo creato dalla app di Uber Pop, che consente di prenotare via smartphone (anche perché, per Uber Pop, l’autorimessa non esiste).
Secondo quanto dichiarato a Formiche.net da Francesco Artusa, presidente dell’Associazione NCC, il ddl andrebbe ad abrogare alcune norme introdotte dalla precedente riforma semplificando leggermente la vita agli NCC, ma sarebbe comunque insufficiente. «Si creino leggi differenti per i due comparti – ha spiegato – perché non è possibile che una categoria possa dettare legge sul regolamento della sua categoria concorrente». Probabile, quindi, che il Governo intervenga, in prima battuta, non per legalizzare o punire Uber, quanto per cercare di liberalizzare il comparto del trasporto, recependo quindi le indicazioni dell’Antitrust.
Federica_Guidi
Qualche esempio estero.
Uber Francia ha denunciato il governo francese alla Corte europea di Bruxelles. I nostri vicini di casa hanno intrapreso proteste simili a quelle italiane ma il Ministero dei Trasporti ha fatto approvare una legge per mettere fuorilegge Uber in tutta la Francia, sebbene Uber Pop stia continuando le proprie attività. Se Bruxelles dovesse esprimersi a favore di Uber, potrebbero esserci ricadute anche sugli altri stati membri, inclusa l’Italia.
Caos anche in Canada, dove il governo si sta muovendo per contestare a Uber l’esercizio abusivo del servizio taxi. In India, invece, Uber ha da poco introdotto un pulsante per le chiamate di emergenza a seguito di un presunto stupro, avvenuto a dicembre 2014, ai danni di una donna di Nuova Delhi, da parte di un autista di Uber Pop.
Il cliente ha sempre ragione?
In generale, assistiamo a una guerra contro l’azienda statunitense, mossa prima di tutto dai tassisti (comprensibile), ma che spesso trova impreparati i governi. Uber ha sollevato una questione importante: è normale che nel trasporto pubblico non di linea non ci sia libera concorrenza? Per gli utenti, sembra proprio di no. La situazione, che sta degenerando, impone un intervento preciso dello Stato, non per reprimere Uber ma per aggiornare la Legge ed eliminare questo enorme vuoto normativo, regolarizzando il crescente fenomeno della sharing economy, cioé la condivisione di un bene proprio con altri che ne usufruiscono, a cominciare dai trasporti. Al momento, quindi, non si può dare ragione né a Uber né ai tassisti, sebbene l’utenza abbia già scelto da che parte stare, e questo non può essere ignorato.
UBER pop è una forma di caporalato che aggira le legislazioni sul lavoro dipendente e su quello indipendente delle Partite Iva, andrebbe reso illegale per violazione di una molteplicità di leggi e per concorrenza slealehttps://it.wikipedia.org/wiki/Caporalato https://it.wikipedia.org/wiki/Concorrenza_sleale