Alberto Pento
Qualcuno racconta che i confini, le frontiere, magari protette da recinzioni, da muri o mura e da poliziotti o soldati armati, e il protezionismo economico non servono a nulla e che danneggiano l'economia e la società ... allora io mi chiedo, ma se ciò fosse vero perché la Svizzerra che è un piccolo paese europeo ben delimitato da confini, barriere, recinzioni, muri, dogane, soldati e poliziotti perché è il paese più prospero e dove la gente europea è più felice?
https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_svizzeraLa Svizzera ha un'economia molto sviluppata. Infatti, pur essendo solo 38° al mondo per PIL, ha il quarto PIL pro capite più alto, pari a 78.881$ nel 2012. La sua economia, data anche la conformazione del territorio e la scarsità di risorse naturali, è prevalentemente concentrata sul settore dei servizi, in particolare quelli finanziari.
La Svizzera, regno del protezionismo01 luglio 2003
http://www.swissinfo.ch/ita/la-svizzera ... mo/3387392C'è da restare perplessi per le enormi differenze di prezzi tra la Svizzera e i paesi vicini
(Keystone)
Poco invidiabile primato per la Svizzera, che si conferma quale Paese più caro d’Europa.
Secondo il Segretariato di Stato dell’economia (Seco), le ragioni sono legate a un livello insufficiente della concorrenza e una giungla di regolamenti.
Il ministro dell’economia Joseph Deiss ha partecipato martedì ad una conferenza del Seco consacrata alla presentazione di quattro studi sul tema: “la Svizzera: un’isola di prezzi elevati”. Dai rapporti risulta un tasso di concorrenza largamente insufficiente.
Insalata doppiamente cara
La Svizzera resta il paese più caro d’Europa. La differenza rispetto ai paesi dell’Unione europea è addirittura del 30% per quel che riguarda i prezzi al consumo.
Ad esempio, un insalata nei supermercati svizzeri costa mediamente 2.90 franchi, mentre in Germania 1.50 franchi. Praticamente la metà.
“Per anni abbiamo giustificato questa differenza invocando il buon funzionamento dei nostri servizi pubblici, la qualità dei nostri prodotti ed il livello dei salari”, ha dichiarato Joseph Deiss. “Ora questi argomenti non valgono più”.
Tutti questi fattori, che determinano il livello di vita dei cittadini, sono infatti ormai simili a quelli che si ritrovano all’estero, ha aggiunto.
Troppo protezionismo
Il ministro democristiano ha dunque rilevato come, contrariamente alle apparenze, l’alto costo di beni e servizi in Svizzera si spiega soprattutto con una struttura economica fortemente protezionista.
Per raggiungere un livello dei prezzi meno elevato, gli autori degli studi propongono una maggiore integrazione nell’Unione europea, delle liberalizzazioni delle infrastrutture pubbliche e l’intensificazione della concorrenza nei settori protetti.
Un punto di vista condiviso da Joseph Deiss, secondo il quale si dovranno aprire sia settori pubblici che privati, “pur se i cartelli appartengono un po’ al folclore del nostro paese”.
L’esempio delle comunicazioni
La liberalizzazione delle telecomunicazioni ha prodotto gli effetti positivi sperati, ha rilevato il ministro. Egli ritiene che ora toccherà pure ai settori dell’elettricità, dell’agricoltura e della salute.
Sono molte le speranze riposte nella revisione della legge sui cartelli. “Vogliamo ricondurre la Svizzera verso una vera economia di mercato”, ha dichiarato Deiss. Più concorrenza potrebbe restituire un certo vigore alla crescita economica nazionale.
Svizzera sempre in vetta
In febbraio sono stati pubblicati gli ultimi risultati del programma di statistiche europeo Eurostat. Dati del 2001 che confermavano la Svizzera quale paese più caro d’Europa con un indice di 139 punti.
Norvegia (125) e Danimarca (124) seguivano la Confederazione, mentre la media dei paesi dell’Unione europea si situava a 100. Dal 1990, data della creazione di questo confronto internazionale, la Svizzera ha sempre occupato la poco invidiabile prima posizione.
Secondo uno studio del Seco, in Svizzera si potrebbero risparmiare 19 miliardi di franchi all'anno se la concorrenza fra i produttori di beni di consumo non fosse intralciata.
Senza gli attuali freni alla concorrenza, i prezzi diminuirebbero in media dell'8% e le esportazioni svizzere costerebbero fino a dieci miliardi in meno.
Sempre secondo il Seco, il settore alberghiero sarà confrontato con una domanda sempre più bassa, se i prezzi resteranno ai livelli attuali.
IL PROTEZIONISMO È UNA ARMA A DOPPIO TAGLIO: IL CASO SVIZZEROvenerdì 13 giugno 2014
http://www.gravita-zero.org/2014/06/il- ... o-tag.htmlNel Canton Ticino in Svizzera, su Teleticino e Rsi, l’equivalente svizzero della Rai, fino a fine ottobre andrà in onda una controversa pubblicità contro le delocalizzazioni in Italia. Il messaggio lanciato nello spot è quello di “non annaffiare il giardino straniero, o perlomeno italiano”.
"INVESTIRE NEL GIARDINO DEL VICINO PUÒ ESSERE PERICOLOSO"
L’ iniziativa è stata ideata da varie associazioni professionali svizzere e punta il dito contro i “padroncini italiani”. Lo spot è in italiano, la lingua ufficiale del Canton Ticino, e mostra un uomo che dal suo giardino sta distrattamente annaffiando non il suo prato, ma quello del vicino che è ben più verde. Il messaggio implicito dello spot è che accanto a lui abita un italiano che ha un giardino più bello. “Ogni goccia che cade lontano, rende il vostro prato meno verde. Investire nel giardino del vicino può essere pericoloso”, si sente in questo spot che prende di mira gli italiani. A un certo punto l’uomo viene colpito da una pallonata in faccia che lo stende. Il video finisce con queste parole: “Nutriamo il nostro territorio, lavoriamo con imprese locali”.
Ad aver ideato lo spot sono l’Associazione interprofessionale di controllo, la Società svizzera impresari costruttori Sezione Ticino, l’Unione Associazioni dell’Edilizia e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino.
Ne ha parlato con toni accesi il Fatto Quotidiano.
Tuttavia la Svizzera non può dimenticare che un tessuto sociale come l'Italia (dove solo in Piemonte coesistono oltre 60.000 realtà di impresa, spesso multinazionali) si scontra con appena 6000 imprese locali. La svizzera è il regno del protezionismo? Non siamo noi a giudicare, ma un articolo pubblicato su Swissinfo.ch non lascia dubbi: "La Svizzera regno del protezionismo"
Abbiamo rivolto la questione a Walter Caputo, economista.
Il recente spot svizzero, che invita a privilegiare le aziende locali con l'ashtag #primainostri, (
http://www.primainostri.ch) sta facendo molto discutere. Certo, le “aziende locali” potrebbero anche non essere svizzere, ma italiane ad esempio; tuttavia il primo istinto è pensare che la Svizzera stia attuando una politica protezionistica. Protezionismo significa limitare al minimo le importazioni (al limite eliminarle) ed agevolare al massimo le esportazioni.
Una politica protezionistica può essere sorretta da una serie di motivazioni economiche, fra le quali proteggere le imprese nazionali dalla concorrenza straniera, salvaguardare l’occupazione ed evitare che i debiti dello Stato verso l’estero crescano. Sono noti, nella letteratura economica, anche gli svantaggi del protezionismo. Gli altri paesi possono non essere d’accordo con una politica che danneggi le loro esportazioni, quindi potrebbero adottare strategie di ritorsione. Inoltre il paese che intende “chiudersi” al commercio internazionale potrebbe non essere in grado di farlo a causa della carenza di alcune materie prime, oppure per mancanza di know-how di produzione.
Tuttavia c’è un elemento contro il protezionismo dai più ignorato. L’economista liberista Pascal Salin, in “Liberismo, libertà, democrazia” (Di Renzo Editore 2008) evidenzia che la volontà di un determinato governo di chiudere le frontiere commerciali limita la libertà dei singoli individui di esercitare la pratica del commercio. Egli scrive testualmente: “La storia ci insegna che non ha senso obbligare i popoli a sviluppare rapporti commerciali, perché un aspetto fondamentale della libertà degli individui è quello di agire, di contrattare, di scambiarsi beni, merci”. La libertà va tutelata: se i cittadini vogliono commerciare con l’estero devono essere lasciati liberi di farlo. Se non intendono sviluppare rapporti commerciali con l’estero, non li si deve obbligare.
Spesso invece le cose vanno nella direzione opposta. Se un governo intende proteggere un’industria nascente, stabilisce e impone dazi doganali o contingenti all’importazione. Addirittura un governo può essere capace di mantenere in vita un’azienda ormai decotta contro l’opinione di tutti coloro che ritengono sia il caso di smettere di sperperare denaro pubblico per entità commerciali senza futuro. In tali casi si ignora il concetto di specializzazione. Se un Paese non è in grado di produrre determinati beni o servizi, vorrà dire che li acquisterà da altri e si specializzerà in ciò che sa fare meglio e a costi bassi.
Talvolta un governo può imporre determinati comportamenti in maniera più sottile. Ad esempio, come sta succedendo in Svizzera, potrebbe utilizzare una strategia di persuasione, per convincere i cittadini svizzeri a rivolgersi innanzitutto ad aziende svizzere. Oppure se un governo ritiene che le aziende vendano troppo poco all’estero, può incentivarle fiscalmente affinché le esportazioni crescano. Anche questa azione non rispetta la libertà dei singoli cittadini.
È molto sentito dalle persone il rischio che l’Europa soccomba di fronte alla concorrenza dei Paesi Emergenti. In maniera analoga si può pensare alla concorrenza fra aziende italiane ed aziende svizzere. Secondo Pascal Salin occorre innanzitutto introdurre un nuovo concetto di concorrenza. Non quella classica di aziende concorrenti in quanto producono lo stesso tipo di bene o di servizio, ma concorrenza in senso più ampio, nel senso che tutte le aziende “concorrono” per disporre di una parte del reddito degli stessi consumatori.
In questa ottica, i consumatori sono una massa indistinta (non si può più distinguere l'italiano dallo svizzero) e lo stesso vale per le imprese. La torta è una sola e tutti ne desiderano una fetta. Allora occorre superare i nazionalismi e pensare in maniera sovranazionale o globale: il mercato deve essere accessibile a tutti e le regole devono essere le stesse, a prescindere dalla nazionalità degli imprenditori.
Il Ticino al voto per lasciare fuori i frontalieri: "Prima i nostri"Il 25 settembre in canton Ticino si voterà per la legge anti-frontalieri: l'obiettivo è tutelare i lavoratori autoctoni e prevenire il dumping salariale
Ivan Francese - Lun, 05/09/2016
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tic ... 03096.htmlL'idea di fondo è semplice. Sconfiggere il fenomeno dei frontalieri in Ticino varando una misura di legge che imponga ai datori di lavoro di dare la precedenza ai connazionali, nelle assunzioni, rispetto agli stranieri.
Questa la proposta alla base dell'iniziativa dei partiti svizzeri Lega dei Ticinesi e Udc. Il prossimo 25 settembre in Ticino si terrà un referendum costituzionale per decidere se bocciare o promuovere "la salvaguardia dell'identità ticinese, contro l'immigrazione di massa e il dumping salariale". La polemica contro i 62mila frontalieri (i lavoratori italiani che ogni giorno sconfinano in Svizzera per lavorare, ndr) che ogni giorno passano il confine arrivando soprattutto dalle province di Como e di Varese ha ormai assunto i toni di una crociata: basti pensare che lo slogan del comitato per il sì alla legge, ripreso anche dal nome del sito internet, è "prima i nostri".
Già nel 2014 un altro referendum aveva sancito l'approvazione di contingenti per limitare il numero dei lavoratori stranieri: "Promuoviamo un’iniziativa costituzionale che ponga rimedio all’attuale mancanza di protezione per i salariati ticinesi — spiegano i promotori — Non è una battaglia partitica ma una lotta trasversale per sostenere la nostra identità e i nostri diritti; che vuole proteggerci dal dumping salariale in atto grazie al continuo aumento dei frontalieri".
Frontalieri che, naturalmente, sono saliti sulle barricate. Nato su Facebook, il "Gruppo frontalieri Ticino" ha annunciato uno sciopero per il 22, 23 e 24 settembre: l'astensione dal lavoro ha lo scopo di mostrare ai ticinesi quanto peso abbiano i lavoratori stranieri sul mercato dell'occupazione locale.