Economia

Re: Economia

Messaggioda Berto » lun gen 27, 2014 8:45 am

I poteri sanguisuga che impoveriscono la gente fino al tracollo

http://www.lindipendenza.com/i-poteri-s ... l-tracollo

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A proposito di crisi… Questo è il tema del momento, tutti parlano di crisi, ma un discorso chiaro sulle cause che l’hanno provocata e sul modo di uscirne non l’ho ancora sentito.

Come prima cosa bisogna specificare di quale crisi parliamo, perché le crisi sono almeno due, una internazionale provocata da (come li chiamo io) “atti di criminalità bancaria” e un’altra, tutta italiana, provocata dal gigantesco debito di questo stato.

Io voglio analizzare la seconda per capire da cosa è provocata e, di conseguenza, capire come uscirne.
La prima domanda è perché quando c’era la lira non c’erano tutti questi problemi?
Quando c’era la lira e il debito diventava talmente grande da essere insostenibile, scattava una svalutazione di proporzioni bibliche che riportava il debito nelle giuste proporzioni, ovviamente chi aveva quattro soldi messi da parte si ritrovava con un pugno di mosche, però tra interessi alti e la scala mobile che ripristinava stipendi e pensioni si riusciva a riequilibrare il sistema, c’è da dire che questo “giochino”, chiamato “svalutazione competitiva” era permesso a livello internazionale per la posizione strategica dell’Italia, per cui tutti tacevano perché faceva comodo così.

Con l’avvento dell’euro che, a differenza della lira, non è carta straccia, ma moneta sonante, il giochino della svalutazione non si può ripetere, non solo, ma con il crollo del muro di Berlino e la perdita della posizione strategica dell’Italia, ha comportato che certe “cose” non vengono più tollerate, pertanto, per rimanere nell’euro bisogna avere i conti a posto, cioè entrate, uscite e debiti devono rimanere entro certi parametri di sostenibilità.

A questo punto c’è un’altra domanda a cui rispondere… come mai abbiamo i conti così in disordine e questo debito gigantesco?
Forse un libro non basterebbe per spiegare tutto nei dettagli, cercherò comunque di sintetizzare e semplificare al massimo focalizzandomi sulle cose che ritengo più importanti.
Non so se ci avete fatto caso, ma l’Italia è lo stato dove il costo del lavoro è più alto e i lavoratori hanno le paghe più basse, è lo stato dove si pagano più tasse e i servizi sono più scadenti, dove si spende di più per le grandi e piccole opere, ma siamo quelli che ne abbiamo di meno, abbiamo il personale del pubblico impiego più numeroso, ma i servizi più lenti e scadenti, ecc. ecc..

Come mai c’è questa “discrasia” tra soldi spesi e opere e servizi?
Secondo me la risposta si trova guardando il sistema di potere che c’è in Italia, formato da tre entità: la partitocrazia (questa la conosciamo), ma anche cupole mafiose e cupole massoniche, che dominano nell’ombra.
Questo comporta che l’appalto (piccolo o grande che sia) deve andare alla “cordata” giusta, la privatizzazione del bene pubblico pure, la gestione del tal servizio alla cooperativa bianca o rossa o verde a seconda del caso, il tale fa carriera solo se è raccomandato o affiliato di qua o di la… In pratica (con le debite eccezioni che confermano la regola) non è chi offre il miglior servizio, al miglior prezzo che prende l’appalto, non è il miglior impiegato che fa carriera (ovviamente da un certo livello in su), ma quello che risponde a “certi” requisiti di affiliazione… così se i costi lievitano è un bene, perché così si mangia di più e la “cordata” ingrassa.
A questo sistema aggiungiamo una diffusa corruzione, il clientelismo e la mancanza di meritocrazia e abbiamo completato il quadro.

Un sistema del genere non ha alcuna possibilità di sopravvivenza nel mondo globalizzato, e non c’è speranza che i partiti possano cambiare questo perché significherebbe decretare la fine del proprio sistema di potere.
L’Italia è come una nave che sta affondando nel mare (dei debiti), ovviamente, per salvarla, la prima cosa da fare sarebbe tappare le falle (i buchi) e contemporaneamente pompare fuori l’acqua dalla stiva, ma mentre la spesa per i servizi ai cittadini viene continuamente tagliata, i buchi veri, quelli grossi, generati dal sistema partito-mafio-massonico non vengono toccati, così il pompare continuamente denaro dalle tasche dei cittadini riuscirà solo a ritardare (ma non a evitare) la colata a picco impoverendo ancora di più il popolo.

Infatti come fanno a tirare a campare? Aumentando le tasse, tagliando servizi (sanità, pensioni, assistenza), vendendo beni dello stato, tagliando pezzi di democrazia con la riduzione, ad esempio, dei consiglieri comunali (che costano poche centinaia di euro all’anno, ma che consentivano una buona partecipazione popolare), l’eliminazione delle province (addirittura ancora prima di modificare la costituzione)… e le proposte?
Non ce n’è una che va nel senso giusto, si parla dei costi della politica parlando delle indennità dei parlamentari che sono insignificanti rispetto al fantasmagorico giro di miliardi in appalti pilotati, in “privatizzazioni”, in servizi e inefficienze del pubblico impiego, si parla di eliminare il senato (camera delle regioni) riducendolo a una conferenza dei sindaci o poco più…, si parla di uscire dall’euro (così da consentire il giochino della svalutazione e continuare a … mangiarci sopra…) si parla di presidenzialismo e sistemi maggioritari… addirittura di “reddito di cittadinanza” e non si parla più di federalismo, di sistemi anti corruzione, di trasparenza negli appalti, di meritocrazia, di efficienza nel pubblico ecc. ecc. ovviamente perché queste cose vanno a corrodere il sistema di potere costituito.
Non solo, ma si va ad intaccare quel poco di democrazia che c’è, così il sistema si avvia verso un preoccupante totalitarismo di minoranza e, visti i precedenti dello stato italiano, il passaggio a qualcosa di peggio è breve… anzi sembra che l’irrigidimento istituzionale a cui assistiamo sia preludio per la repressione di eventuali proteste popolari…

Ad ogni modo, visto che i veri buchi dello stato italiano nessuno andrà a tapparli … quanto tempo andrà avanti questa agonia prima del fallimento?
La situazione non è rosea, perché il sistema, a causa delle ragioni che ho appena esposto, è troppo costoso e i soldi non bastano nemmeno a risanare il debito figuriamoci se ce ne sono per rilanciare l’economia, per fare un esempio l’Italia è come un’anemica a cui sono attaccate una miriade di sanguisughe che stanno succhiando l’ultimo sangue rimasto… adesso queste sanguisughe (visto che sono loro che comandano) dovrebbero decidere di rinunciare a succhiare per salvare la povera malcapitata, sapendo però che se non succhieranno dovranno soccombere loro… e perciò … non lo faranno.
Così continueranno a “ciucciare”… ma quando sarà il momento del crack?
Lo deciderà l’Europa! Quando si stancherà di acquistare il debito italiano e allora gli interessi schizzeranno improvvisamente alle stelle, parte dei titoli rimarranno invenduti e da quel momento dovremo passare dei momenti difficili, penso che la soluzione più probabile sarà l’uscita dall’euro, non so se per formare un euro dei poveri o per ritornare alla lira… staremo a vedere.

A questo punto mi sorge spontanea una domanda: come possono i Veneti, un popolo con più di tremila anni di storia, lasciarsi cancellare (culturalmente ed economicamente) da un sistema del genere senza reagire?
Non so, questa è una cosa che non riesco proprio a capire, però so che se il popolo Veneto avesse indietro la propria libertà e indipendenza avrebbe sia la salvezza culturale che quella economica, non solo, ma l’interruzione dell’enorme flusso di denaro che parte dalle nostre tasche e va in quelle dello stato italiano costringerebbe quello stato a fare quelle riforme che senza questo blocco non farà mai.

di FRANCESCO FALEZZA
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » sab feb 01, 2014 12:29 pm

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Re: Economia

Messaggioda Berto » lun feb 03, 2014 2:38 pm

Finirà mai questa crisi infinita?

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http://www.lindipendenza.com/finira-mai ... i-infinita


di FRANCESCO FORMENTI*

Siamo un paese prossimo all’implosione economica e ci comportiamo come se fossimo in perenne crociera.

Gli organi di informazione, ben lungi dal raccontarci come stanno realmente le cose, ci propinano continuamente programmi ludici e giochi a premi con personaggi irreali e con improbabili storie, verosimilmente inventate di sana pianta, e la gente che fa? Si inchioda davanti al video tutte le sere e, spesso anche di giorno, e si dimentica dei veri problemi quotidiani.

Si passa dai programmi leggeri del pomeriggio in cui i concorrenti/attori, lustrati a nuovo per l’occasione, vincono, chi più chi meno, cifre considerevoli illudendo i cittadini di vivere nel paese di bengodi.

Ora si dovrebbero mettere i piedi ben saldi a terra per cercare di superare questa crisi, nonostante le rassicurazioni del governo sulla fine prossima di questa situazione e di un repentino ripristino della normalità e a questo punto sarebbe opportuno fare alcune considerazioni prima di dare una risposta, forse utile a risolvere, anche solo in parte, questa logorante situazione.

A tal proposito, prima di sviluppare utili considerazioni finali, vorrei sottoporre ai lettori un articolo dal titolo “La crisi che sale dal basso” a firma Uriel Fanelli che, con una semplicissima ed azzeccatissima metafora, ci spiega in parole povere come scoppiano le grandi crisi, quelle epocali:

“ Ho ricevuto una richiesta, ovvero una domanda, che recita più o meno così: ”ma se c’è la crisi e se ci sono milioni di disoccupati in Italia, perché vedo ancora ristoranti pieni e belle auto in giro? “. La domanda sotto sotto è meno stupida di quanto non sembri a prima vista, e la risposta è che… Le grandi crisi arrivano dal basso.

Provate ad immaginare una ipotetica catena alimentare. C’è l’erba che nutre la gazzella, la gazzella che nutre il leone, il leone che fa arrivare i turisti che pagano il parco naturale per mantenere tutto questo intatto. Avuta l’immagine? Mettetela da parte e andiamo a ragionare, la ritroveremo in seguito.

Partiamo dal presupposto che i 7/8 del paese vivano di rendita. Che cos’è una rendita? La rendita è una posizione tale per cui, una volta raggiunta, non occorre alcuno sforzo competitivo per essere mantenuta.

Facciamo alcuni esempi:

1. Ho comperato due appartamenti e li affitto. In tal caso, vivo perché ho comperato due case. Posizione di rendita classica.

2. Una legge dice che ogni azienda debba avere una contabilità certificata e quindi io faccio il commercialista oppure sono CNA, Conf e offro servizi di contabilità.

3. Una legge dice che la scuola è obbligatoria ed io vendo/stampo libri scolastici che le famiglie sono costrette a comperare, perché la legge impone anche il titolo dei libri senza dare scelta.

4. Una legge impone che tutti i negozi abbiano una certificazione X sugli impianti elettrici e io devo andare per forza da un elettricista abilitato a tali certificazioni.

5. Una legge impone che le auto debbano essere collaudate e testate ogni tot anni e io ho un’officina automobilistica.

6. Per essere ascoltati da una assicurazione dopo un incidente occorre che scriva un avvocato, e io faccio proprio l’avvocato e il mio lavoro è, per cospicua percentuale, di fare lettere alle assicurazioni.


Potremmo continuare all’infinito.
Ebbene, se il mondo del lavoro in sé è l’erba, questo è il primo strato di rendite, diciamo che la gazzella mangia l’erba.

Sulla gazzella poi ci sono le aziende di servizi terziari, diciamo ditte di software per commercialisti, case editrici, corsi di qualificazione per elettricisti, corsi di qualificazione per meccanici, tirocini poco pagati di giovani avvocati.

Sopra tutto c’è l’industria dei consumi di lusso, come vacanze, ristoranti, macchine costose e tutti gli indicatori coi quali voi leggete che “non vedete la crisi”. E’ il leone che mangia la gazzella.

Tutto questo va a vantaggio di chi mantiene il parco, il turista, che in cambio di tutta questa scena mette in atto le tutele che servono (leggi, tribunali, ospedali, strade, etc.) al parco per funzionare.

Ora, adesso andiamo al punto: questa crisi sta colpendo il mondo del lavoro. Si sta, cioè, seccando l’erba. Ma attenzione: siamo ancora in una prima fase.

La famiglia continua a svenarsi per pagare i collaudi all’auto – cui non può rinunciare -, a pagare i libri ai figli – ssò pezz’e core -, i negozi pagano le certificazioni agli elettricisti, i negozi pagano i commercialisti per i bilanci, e così via.

Quindi l’erba è un pochino giallina, insomma non è più un bel prato verde, ma ancora le gazzelle non muoiono di fame.

Così, voi siete come turisti che vanno al parco e si trovano i leoni, le gazzelle e un’erba che sì, è gialla e secca. Poiché loro badano ai leoni e alle gazzelle (semmai volessero vedere erba potrebbero scegliere altre mete), nessuno nota che l’erba è secca. Ci sono i leoni e ci sono le gazzelle: il parco è OK.

Allo stesso modo, quando dite che i ristoranti sembrano ancora pieni e che ci sono le code sulle autostrade per andare al mare e vedete un sacco di macchinoni, state osservando solo leoni e gazzelle. Che ancora vivono. E se guardaste anche l’erba, notereste che è gialla.

In realtà neanche le gazzelle sono quelle di prima: la verità è che voi come turisti non notate se in un giorno incontrate 100 gazzelle o ne incontrate 80. Per voi ce ne sono già abbastanza.

Così quando dite: i ristoranti sono pieni, mi viene da chiedere se avete contato i ristoranti. Forse non sono più 100, ma 80. E cambia, perché fa già –20%. Così il ristorante e la gazzella hanno una cosa in comune: quando hanno abbastanza cibo, li vedete in buona salute. Se non hanno abbastanza cibo, muoiono e non le vedete più. Così vedete ancora 80 ristoranti pieni, ma non vedete i 20 che hanno chiuso.

La crisi, cioè, viene dal basso, e quando potrete finalmente notarla perché i ristoranti da 100 sono diventati 30, ormai sarà troppo tardi.

In Italia il mondo delle rendite è enorme, e spesso si basa su consumi di base: libri scolastici, affitti, automobili, riscaldamento, casa vestiti. Nelle aziende si basa su servizi di base, contabili, burocratici, eccetera.

E se le rendite in Italia sono i 7/8 della ricchezza, significa che anche distruggendo il 50% del lavoro, i pochi sopravvissuti si troveranno a mantenere la stessa catena alimentare.

Se ci pensate, immaginate che da domani l’erba sia la metà. Le gazzelle inizieranno a corre qui e là per mangiarla tutta, e non mangeranno di meno. Ma in percentuale, mangeranno molta più erba. A quel punto, l’erba non si riprodurrà più, e dopo qualche tempo, quando tutto sarà deserto e non ci sarà un filo d’erba, solo in quel momento le gazzelle cominceranno a morire.

Ma, e qui viene il bello, il parco rimarrà in piedi. Rimarrà in piedi perché quando ci saranno più gazzelle deboli per la fame, ai leoni sarà più facile la caccia. Così, inizialmente vedrete una drastica diminuzione di erba, una grossa diminuzione di gazzelle, ma il turista vedrà un bel sacco di leoni. Che bel parco!

Questa è la fase che si ottiene quando si inizia a parlare di “industria del lusso vincente” nel mezzo di una crisi. Le poche aziende forti fagocitano il mercato avendo agio di distruggere quelle deboli, che agonizzano. In questo stato, si nota un aumento di dimensione delle aziende, e persino una crescita di stipendio (perché le grandi aziende hanno i dirigenti che alzano la media).

In un paese come l’Italia, ove le rendite sono i 7/8 della ricchezza, occorreranno ancora ANNI prima che vediate i ristoranti vuoti.

A questa si aggiunge il fatto curioso che i turisti danno da mangiare ai leoni: lo stato, cioè, paga 3.600.000 stipendi ogni mese. I quali finiscono anche a sfamare i leoni ed annaffiare l’erba del parco, sfamando le gazzelle. In questa situazione, cioè, si aggiunge un fattore di inerzia, per il quale lo statale spende ancora quanto prima, e continua ad alimentare il ciclo economico.

3.600.000 famiglie che comprano libri scolastici costosissimi, che pagano automobili, eccetera, sono un bell’aiutino. Che non risolve la situazione, certo, ma se sfamano i leoni, possiamo rivendere il parco come “parco dei leoni”, e alla fine dei conti chissenefrega di gazzelle ed erba? Siamo il parco dei leoni! O meglio, la nazione del cibo biologico, del vestire bene, insomma la nazione del lusso.

Così, avete ancora dei leoni in giro, e dite “ehi, ma dov’è questa siccità? A me sembra che il parco sia bellissimo! E’ pieno di leoni.

Non vi accorgete di tutto questo perché alla fine l’erba non l’avete mai guardata, e anche le gazzelle sono belle ma insomma, voi siete al parco per vedere i leoni.

Allora voi guardate i ristoranti pieni e le code in autostrada, ma quelli non sono i disoccupati o il mondo del lavoro: quello sono gli strati superiori della catena alimentare.

Com’è una crisi che arriva ai livelli alti della catena alimentare? Allora, una crisi che ha quasi ammazzato tutta l’erba e molte gazzelle è la crisi passata dall’Irlanda.

Lavoro a pezzi, privati e PMI nella merda, indebitati sino al collo. Ma i leoni ancora forti e il parco ancora attraente.

Se osservate la Spagna, notate che crepano di fame anche i leoni, cioè banche, assicurazioni, immobiliare e terziario, e i turisti stanno calando sempre di più perché lo stato è in bancarotta.

Se osservate la Grecia, non è rimasto nulla e i turisti non vanno più a sostenere il parco perché lo stato è a pezzi. Erba, gazzelle e leoni sono morti.

L’Italia in questo momento sta per entrare in quella che io definirei “fase irlandese”, quando si sgonfiano i debiti e le aziende si piegano su sé stesse. Il governo irlandese ha reagito declassando le aziende e sistemando i debiti, il governo italiano ha reagito tassando ancora le aziende e sostenendo i debiti, cioè seminando ancora più crisi.

La terza fase è quella spagnola, è ancora in incubazione, con le banche italiane in difficoltà e l’immobiliare che comincia a mostrare il fiatone. Per ora lo stato ha prestato soldi a MPS (nel decreto spending review! ah! ah! ah!), e sull’immobiliare ha piazzato un IMU, cioè ha seminato ancora più crisi.

L’ultima fase è quella greca, in cui lo stato smetterà di essere il turista che sfama i leoni, ovvero smetterà di dare soldi. Tagli, tagli e ancora tagli, licenziamento di statali e tagli alle retribuzioni. Qui sarete nella fase greca, che si sta preannunciando con l’indebolimento dei contratti di lavoro statali.

L’Italia è ancora nella fase pre-irlandese, con due differenze:

I rimedi applicati sono peggiori dei mali
Si notano tutti i sintomi delle fasi successive, già presenti e distinti.

Quindi no, ancora per il 2012 e forse il 2013 non vedrete, sulle strade, sintomi evidentissimi di crisi. Vedrete meno gazzelle, meno erba, ma ancora molti leoni. A voler cercare potreste notare erba secca e gazzelle molto magre, ma preferite guardare i leoni.

Ma questo è dovuto ad una crisi che sale dal mondo del lavoro, ovvero dalla sua precarizzazione sale dal basso, e siccome i consumi che misurate non sono MAI stati tipici

Della working class, notate poco il loro calo.

Ma questo non significa che non ci sia crisi. Significa che voi non guardate l’erba perché misurate la ricchezza in macchine di lusso, ristoranti costosi pieni, vestiti firmati, e questi non sono i consumi della working class. Così non potete notare il crollo dei consumi che avviene alla base dell’economia.

Se misuraste il lavoro dei parrucchieri avreste notato che la working class si taglia i capelli metà volte di prima in un anno, anche meno. Se misuraste i consumi tipici notereste, anziché il numero uguale di macchine di lusso, un numero sempre più esiguo di utilitarie (un 30% in meno di immatricolazioni non si fa coi SUV, sapete? Non pesano il 30% del mercato, quelli).

Quindi il parco è in piena siccità. Per ora non lo notate quando guardate i leoni, potreste notarlo sulle gazzelle, e lo notereste di sicuro se guardaste l’erba.

Per ora, non noterete nulla.

Le fasi successive sono veloci, scoppiano in fretta (avete visto la Spagna?) e colpiscono in pochissime settimane.

Continuerete così un pochino, convinti che siete stabili, così come dicevano spagnoli e greci. Poi, improvvisamente, il botto: le banche hanno bisogno urgente di aiuto. Sono i leoni che non trovano più gazzelle, e quando andrete a vedere, scoprirete che le gazzelle sono estinte da tempo, e che l’erba non si vede più da anni. Prima direte, come gli spagnoli, che bastano 14 miliardi. Poi 40. Poi 100. Adesso siamo già a 300. Perché mano a mano che andate a cercare di salvare i leoni, prima contate quante poche gazzelle siano rimaste, e poi andate a misurare quanta erba ci sia ancora a terra. E mano a mano che risalite la catena, scoprirete danni sempre più grandi.

Sono crisi che si preparano per molti anni, ma poi scoppiano in poche settimane.

E le vedete solo se guardate l’erba. I leoni, fino all’ultimo vi sembreranno sani.”

Dalla pubblicazione dell’articolo preso in esame sono successe molte altre vicende, un governo che un giorno sì e uno no ci promette che la crisi finirà entro pochissimi mesi ed intanto aumenta l’IVA, il costo della vita ha raggiunto la soglia di sopravvivenza per tante famiglie, l’IMU è diventata un tormentone, oggi la toglie, domani la rimanda e dopodomani la rivuole.

Il presidente Napolitano è tutto lanciato a promuovere l’ennesima amnistia perché, a suo dire, le carceri sono piene e i detenuti soffrono per questo stato di promiscuità forzata e si dimentica di aver urlato ai quattro venti che il primo obbiettivo del governo sarebbe stata la riforma della legge elettorale.

Ora tutto questo, come è già stato ampiamente sottolineato nell’articolo, ci può portare solo verso una catastrofe inimmaginabile ed il movimento “Indipendenza Lombarda” si pone in prima fila per proporre soluzioni che potrebbero, se attuate, farci uscire dal pantano con meno danni possibili.

Visto che la dovolution, il federalismo fiscale, le svariate richieste di referendum, le centinaia di mozioni presentate, le dichiarazioni da ultima spiaggia e quant’altro, non hanno sortito il benchè minimo cambiamento, se non il peggioramento, ci facciamo promotori di una richiesta ai governatori delle tre regioni a presidenza leghista che consiste in:

- promuovere una campagna rivolta a sensibilizzare tutti i cittadini affinchè effettuino il pagamento di tutte le tasse alla regione di appartenenza;

- aprano un contenzioso con il governo centrale.

A questo punto la palla passa nelle mani dei governatori, ??? non possiamo sapere come la prenderanno, ma è la loro occasione per passare alla storia oppure essere ricordati, non solo con disprezzo, ma soprattutto come dei senza palle. ???

*Indipendenza Lombarda
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Re: Economia

Messaggioda Berto » mar feb 18, 2014 9:12 am

Le imprese che delocalizzano? E’ lo Stato che le incentiva…

di GIANMARCO LUCCHI

http://www.lindipendenza.com/le-imprese ... -incentiva

Le imprese italiane che delocalizzano all’estero? Solo delle approfittatrici che portano fuori il know-how per guadagnare di più e se ne sbattono di tutto il resto. Questo più o meno è il giudizio liquidatorio che molti danno del fenomeno, soprattutto se sono sostenitori del sistema centralistico romano. In realtà è proprio e nessun altro che lo Stato italico a incentivare tale fuga. Sì, avete capito bene. E, manco a dirlo, è colpa dell’assurdo fisco tricolore.

Basta leggere cosa scrive il prof. Dario Fruscio, ex senatore leghista che da qualche tempo ha lasciato definitivamente il Carroccio, sul sito “Coltiviamo il futuro” (www.italiaspa.org), edito dalla Fondazione messa in piedi dall’ex presidente della Coldiretti Sergio Marini:

“… un’impresa con sede in Italia e produzione all’estero dei propri beni è soggetta ad una pressione fiscale pari al 30% del suo reddito imponibile; altra analoga impresa nazionale con propria produzione in loco sconta un carico fiscale pari a circa l’80% del suo reddito imponibile. Fattore di forte propulsione di tale fenomeno è sicuramente da scorgere nell’area della complessa articolazione del sistema fiscale italiano. Nell’Irap, molto preponderatamente. Così stante le cose, parlare di fuga delle aziende industriali dall’Italia pare limitativo e tutt’altro che veritiero.

Più esaustivamente e più credibilmente varrebbe considerare che il fenomeno di cui trattasi, è sì di fuga, ma di una fuga indotta e alimentata da un’altra più grave e terrificante fuga: quella della politica di rimuovere il fattore incentivante delle delocalizzazioni produttive. Vale a dire, di togliere di mezzo l’Irap recuperando integralmente il relativo venir meno del gettito fiscale mediante opportuni e semplici arbitraggi sull’IRES…”.

In sostanza l’autore, con linguaggio diplomatico e professorale che gli appartiene, dice: la fuga delle aziende è incentivata dallo Stato che, grazie soprattutto all’Irap, arriva a tassare l’imponibile fin quasi all’80%, mentre per le imprese che mantengono la sede legale e il domicilio fiscale in Italia, questa tassazione scende intorno al 30%. Quindi ogni discorso sul rilancio dell’economia sono pure balle se non si toglie di mezzo l’odiata Irap, che tassa i mezzi di produzione, cioè quindi agisce a priori di qualsiasi risultato economico ottenga l’azienda. Mentre la logica sarebbe che la tassazione si spostasse sull’imponibile.
Ma siamo in Italia… e allora meglio e più facile rapinare le aziende con l’Irap. E farle crepare…
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Re: Economia

Messaggioda Berto » gio mar 27, 2014 9:23 am

Ecco perché conviene dividere l’Italia

http://www.lindipendenza.com/ecco-perch ... re-litalia

di GIUSEPPE ISIDORO VIO

L’Italia si è impegnata con l’UE a riportare il debito pubblico al 60% del Pil (fiscal compact) ripagando la quota eccedente in vent’anni dal 2015 con rate annuali pari al suo 5%, allo stato dell’arte circa 60 miliardi all’anno, ma che potrebbero diventare molti di più se la recessione continuasse in conseguenza di un ulteriore calo del Pil. Ma neanche la più rosea delle previsioni, come una crescita del Pil al 3% accompagnata da un euro più debole, farebbe cambiare la sostanza per gli italiani, se non, forse, dei drastici interventi shock quali la messa in mobilità di mezzo milione di dipendenti pubblici che però nessun governo in Italia oserebbe neppure proporre. Non bastasse, nei prossimi tre anni l’Italia dovrà pure completare il finanziamento dei 125 miliardi al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) indebitandosi per versare complessivamente nelle sue casse altri 75 miliardi di euro dopo averne già versate due rate di 25 miliardi nei primi due anni dalla sua approvazione.

Inutile perciò farsi illusioni, l’uscita dall’UE sarà forse inevitabile per l’Italia se non saranno ridiscussi i trattati europei e paradossalmente dovremo ringraziare una travolgente avanzata di euroscettici e anti euro se lo saranno. Ma permanendo nell’eurozona, con gli interessi sul debito pubblico che continuano a gravare, l’Italia dovrà ricorrere al MES e sarà mantenuta in vita a tempo indeterminato, invischiata in una spirale di prestiti che dovranno essere restituiti a scadenze prefissate, pena delle sanzioni, e tutto questo mentre assurdamente dovrà continuare a finanziare il MES in funzione del suo Pil.

Di conseguenza, a causa del debito pubblico e nel nome della stabilità, la gran parte degli italiani (i ceti medi e popolari) finirà strozzata e prosciugata di tutte le sue ricchezze a vantaggio dei creditori nazionali che detengono il 65% del debito pubblico (di cui il 25% risparmiatori e il 40% tra Banca d’Italia, banche e assicurazioni italiane) ed esteri che ne detengono il restante 35% (di cui il 5% l’Euro sistema). Un meccanismo perverso che travasa ricchezza e amplia la forbice sociale a vantaggio di élite finanziarie sempre più ricche. Da com’è ripartito il debito pubblico, si può dunque capire che a molte istituzioni nazionali e ai risparmiatori italiani (tra cui i cosiddetti bot people) non converrebbe ovviamente né un’uscita dall’euro né la ristrutturazione del debito (default) e che pertanto, anche se non rappresentano la maggioranza degli italiani, costoro opporranno una forte resistenza contro tali eventualità. Essi puntano piuttosto su una revisione dei trattati europei, in modo da dare ossigeno a quei ceti produttivi che attraverso il prelievo fiscale sono la fonte del loro reddito finanziario.

Tuttavia, nell’interesse della gran parte degli italiani esiste anche un’altra possibilità che aveva ventilato persino Grillo, ipotizzando una suddivisione dell’Italia in quattro o cinque macroregioni, idea non tanto peregrina, se a ognuna di loro venisse data totale indipendenza fiscale da Roma. Nel senso che tutte le tasse rimangono in loco, niente più si dà né si riceve dal centro (è così eliminato il fondo perequativo regionale) e ogni macroregione si accolla l’onere di sostenere interamente l’apparato pubblico gravante sul suo territorio (versando le pensioni ai residenti e gli stipendi agli statali).

Se, infatti, l’Italia fosse divisa in macroregioni fiscalmente indipendenti, ciascuna delle quali si accollasse la quota di debito pubblico proporzionale al numero dei suoi abitanti, sarebbe assai più facile per l’Italia aggredire tale debito. Alcune macroregioni sarebbero in grado di ripagare la loro quota in tempi rapidi (il che non potrebbero mai fare rimanendo legate alle altre) e per l’UE sarebbe allora un problema minore aiutare quelle che non ce la farebbero da sole attraverso i fondi strutturali e d’investimento o con il MES, finanziato dagli stati dell’Eurozona.

Per i veneti (l’8% circa della popolazione, poco meno di 5 milioni su quasi 60 milioni di abitanti lo Stato italiano) la quota da accollarsi corrisponderebbe grosso modo a 160 miliardi di euro (sui 2.000 e più di debito pubblico complessivo) che essi potrebbero estinguere in massimo otto anni anziché in venti, dato che il residuo fiscale che già versano a Roma è di 20 miliardi di euro l’anno. Se al Veneto fosse aggregato l’intero nord est, non cambierebbe di tanto la sostanza, anche se, come regioni autonome, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia continuassero ad avere gli attuali vantaggi fiscali.

Con questa logica, ad esempio, la Lombardia potrebbe accollarsi il nord ovest (Piemonte, Val d’Aosta e Liguria) l’Emilia-Romagna il centro nord (Toscana, Marche e Sardegna) il Lazio il centro (Umbria, Abruzzo e Molise) e la Campania il sud (Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia). Chissà che i nostri politici, nel prendere in esame la riforma del Titolo V della Costituzione, non tengano conto anche di questa possibilità, valutando quale sarebbe la suddivisione più conveniente. Sarebbe una dimostrazione di buon senso, pur essendo il cambiamento ventilato piuttosto radicale. In sostanza, mentre ora, con difficoltà non più sostenibili, sono solo le regioni virtuose e produttive italiane ad accollarsi i problemi di quelle sprecone e improduttive, presentando all’UE un’Italia fiscalmente divisa (anche se non politicamente) il peso di sostenere queste ultime sarebbe ridistribuito sull’intera UE o sull’Eurozona.

Già ora, il Veneto, la locomotiva del nord est che garantiva un residuo fiscale annuo di venti miliardi di euro circa alle casse romane, sta arrancando, essendo stata sfruttata e vessata dallo Stato italiano al punto da averne compromesso il suo funzionamento. Il tessuto economico delle PMI venete, funestato da uno stillicidio costante d’imprenditori che si uccidono, si è progressivamente deteriorato per la fuga di capitali e imprese e per una disoccupazione che con velocità inusitata sta ripiombando il Veneto negli anni cinquanta. Dividere l’Italia conviene a tutti gli italiani e soprattutto ai nostri figli e alle future generazioni.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » gio apr 24, 2014 6:13 pm

La causa principale della crisi è il sistema creditizio

http://www.lindipendenza.com/la-causa-p ... creditizio

di THORSTEN POLLEIT

I dati economici suggeriscono che le grandi economie di tutto il mondo – Stati Uniti, Europa e Giappone – stiano uscendo dalle crisi finanziarie. La produzione è in aumento, lo “stress” del mercato finanziario è diminuito ai livelli pre-crisi, gli spread creditizi sono in calo e, forse più importante, i prezzi delle azioni continuano a salire. Tuttavia, questi sviluppi ci suggeriscono davvero che è in corso una sana ripresa economica? In realtà, dovremmo prendere per buona questa storia della ripresa? Per rispondere a questa domanda occorre una solida teoria economica. Perché non si può dare un senso ad un qualsiasi dato senza impiegare una teoria; un’interpretazione dei dati senza una teoria è semplicemente impossibile.

La scuola austriaca d’economia, come prescrisse Ludwig von Mises (1881-1973), fornisce una teoria economicamente solida. Si basa sulla logica dell’azione umana, un asioma inconfutabilmente vero. Mises definì prasseologia la sua ricostruzione dell’economia lungo le linee della logica dell’azione umana. C’è molto da imparare, soprattutto in vista degli attuali sviluppi economici in tutto il mondo.

Un’analisi prasseologica rivela che la causa principale della recente crisi finanziaria ed economica può essere ritrovata nel sistema monetario creditizio, o denaro fiat. In un tale sistema monetario, le banche commerciali, con l’aiuto delle banche centrali, continuano ad espandere lo stock di moneta attraverso l’estensione del credito, il quale non è sostenuto da risparmi reali. E’ esattamente qui che risiede il problema.

La creazione di nuovo denaro fiat attraverso l’espansione del credito bancario, sopprime artificialmente i tassi di interesse. Questo, a sua volta, mette in moto un boom artificiale. Tuttavia, prima o poi il boom deve giungere al termine: è un esito inevitabile del sistema monetario creditizio che il boom prima o poi si traduca in un bust.

Ama il Boom, Ingiuria il Bust

È un dato di fatto, però, che la gente ami il boom. Sembra portare prosperità. Aumenta i profitti delle imprese, porta nuove opportunità di lavoro, crea redditi più elevati ed aumenta i prezzi degli asset (come ad esempio le azioni ed i prezzi degli immobili). Il boom fa sentire bene imprenditori, lavoratori e politici.

Vale l’opposto con il bust. Fa sentire male le persone, in quanto è in genere un’esperienza piuttosto deludente. Riporta le persone coi piedi per terra. Rivela gli investimenti improduttivi delle imprese, causa perdite aziendali, riduce l’occupazione e il reddito, e semina terrore tra coloro che detengono asset. I governi finiscono sotto pressione poiché le entrate fiscali iniziano a diminuire.

Quello di cui spesso la gente non si rende conto, tuttavia, è che il boom stesso rappresenta il periodo in cui si generano i problemi: è durante il boom che le risorse scarse vengono sprecate, con conseguente emersione di investimenti improduttivi. Ed è il bust che li corregge e riporta l’economia verso l’equilibrio.

In questo contesto possiamo capire che cosa rappresenta l’attuale ripresa economica: nella migliore delle ipotesi mette in moto un’altra ripresa artificiale, un boom, alimentato da tassi di interesse artificialmente soppressi e da un aumento dello stock di moneta fiat.

La struttura produttiva e occupazionale che si forma in questo ambiente di tassi di interesse artificialmente soppressi ed interferenze di mercato da parte del governo, puo’ essere sostenuta solo se i tassi di interesse vengono ridotti a livelli sempre più bassi. Questo, a sua volta, genera una dinamica disastrosa.

Boom e Bust come Conseguenza del Denaro Fiat

Suddetta dinamica disastrosa conduce alla ricomparsa del ciclo boom/bust. Fu Mises, nel suo Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel del 1912, che scoprì le conseguenze delle ripetute iniezioni di denaro creato attraverso l’espansione del credito:

Il movimento ondulatorio che interessa il sistema economico, il ripetersi di periodi di boom che sono seguiti da periodi di depressione, è il risultato inevitabile dei tentativi, ripetuti più e più volte, di abbassare il tasso di interesse lordo mediante l’espansione del credito.
Nel tentativo di sfuggire al malessere causato dall’espansione della moneta fiat, la gente finisce per sostenere la stessa politica a dosi maggiori: è d’accordo, e addirittura richiede, una politica monetaria più allentata, destinata a superare gli attuali ostacoli economici (e politici).

Mentre non ci dovrebbero essere dubbi sugli esiti di queste azioni, resta ancora una grande incertezza: non si può dire nulla in anticipo sui tempi del boom e del bust.

Lo scoppio della prossima crisi dipenderà da condizioni particolari che non possono essere previste in anticipo su una base scientifica. La tempistica del bust non può essere calcolata con una formula. Tale calcolo è al di là della scienza economica .

Tuttavia, la scuola austriaca offre ad imprenditori ed investitori preziose conoscenze che altre teorie non possono offrire: fintanto che il sistema monetario fiat rimane al suo posto, le economie ed i mercati finanziari rimarranno afflitti da cicli boom/bust ricorrenti.

Per di più, la teoria austriaca fornisce l’intuizione preziosa secondo cui il sistema monetario fiat, ad un certo punto, raggiungerà il suo limite: la politica di creare boom artificiali non può andare avanti per sempre. Mises lo disse in poche parole:

“Non vi è alcun mezzo per evitare il collasso finale di un boom causato dall’espansione del credito. L’alternativa è se la crisi debba arrivare prima come risultato di un abbandono volontario di un’ulteriore espansione del credito, o successivamente, come catastrofe totale del sistema valutario.”

In questo senso la ripresa congiunturale in atto, fortemente alimentata dalle politiche delle banche centrali che hanno tenuto artificilmente bassi i tassi di interesse, sta gettando i semi del prossimo bust – che potrebbe tradursi in un malessere superiore a quello osservato nel 2008 e nel 2009.

Una cosa è certa: le banche centrali continuano a lavorare con successo verso il rafforzamento della prossimo bust.

Traduzione di Francesco Simoncelli
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Re: Economia

Messaggioda Berto » gio mag 15, 2014 6:41 am

Crescita in Italia, a marzo nuovo record del debito pubblico

http://www.lindipendenza.com/crescita-i ... o-pubblico

Continua a crescere il debito pubblico italiano. A marzo, secondo quanto si legge nel Supplemento al Bollettino statistico “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” di Bankitalia, il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato in marzo di 12,8 miliardi, raggiungendo un nuovo massimo a 2.120 miliardi.

L’incremento del debito è stato inferiore al fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (17,8 miliardi), per effetto, spiega Bankitalia, principalmente del decremento di 2,7 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (pari a fine marzo a 62,1 miliardi; 45,9 a marzo del 2013); l’emissione di titoli sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei BTP indicizzati all’inflazione (BTPi) hanno complessivamente contenuto l’incremento del debito per 2,3 miliardi.

Le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari in marzo a 27,6 miliardi, con un incremento del 5,8 per cento rispetto al valore registrato nello stesso mese del 2013 (26 miliardi). “Tenendo conto di una disomogeneità nella contabilizzazione di alcuni incassi, le entrate sono state solo lievemente superiori a quelle dello scorso anno”, spiega la Banca d’Italia. Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 13,6 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 0,9 miliardi e quello degli Enti di previdenza è aumentato di 0,1 miliardi.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » ven dic 19, 2014 8:32 am

La crisi del rublo per la popolazione russa

Acquisti maniacali per evitare gli effetti dell'inflazione, e le banche rischiano il collasso

http://www.panorama.it/economia/crisi-r ... ione-russa

I mercati vincono. Sempre. Anche in Russia, dove persino un presidente-zar onnipotente e senza scrupoli come Vladimir Putin non è riuscito a fermare l'improvviso (ma abbondantemente previsto) collasso del rublo. Nelle ultime tre settimane la valuta nazionale russa ha perso il 40 per cento del suo valore rispetto al dollaro. Il 15 per cento tra l'inizio della settimana e oggi: il rialzo del tasso di interesse di riferimento dal 10,5 al 17 per cento pensato per salvare il rublo e convincere gli investitori a non abbandonare il paese approvato all'inizio della settimana non ha ottenuto alcun effetto.

La progressiva diminuzione del prezzo del petrolio al barile sommata all'effetto delle sanzioni con cui l'Occidente ha scelto di punire l'aggressività russa in Ucraina hanno fatto precipitare il paese in un tunnel che ha come unico sbocco la recessione.

I motivi della corsa agli acquisti

La popolazione è impazzita. Ormai dovrebbero averlo capito tutti che Putin non è in grado di sistemare le cose, e per evitare il peggio, vale a dire che i risparmi vengano polverizzati da svalutazione e inflazione, si assaltano le banche e si acquista di tutto, dai beni di prima necessità alle automobili, dagli abiti all'arredamento, senza dimenticare la valuta straniera.

Ora dopo ora aumentano gli scaffali vuoti dei centri commerciali, e prima della fine della settimana anche tanti concessionari potrebbero rimanere senza nulla (o quasi) da vendere. Questo perché i loro distributori hanno smesso di rifornirli, e i potenziali clienti potrebbero smettere di comprare se le tariffe fossero nuovamente ritoccate verso l'alto. Quando brand come Ikea e Apple hanno annunciato un aggiustamento dei prezzi dei vari prodotti per allinearli al nuovo valore del rublo, file interminabili si sono materializzate nella maggior parte dei punti vendita del paese. Il re di iPhone e iPad è stato addirittura costretto a sospendere le vendite online per l'eccessivo numero di richieste ricevute.

Le conseguenze del collasso del rublo

La situazione è gravissima: se la corsa al rublo non verrà fermata, il sistema finanziario del paese crollerà. Il vero problema è che la maggior parte della popolazione una situazione simile l'ha già vissuta. Nel 1998, quando la crisi finanziaria che aveva colpito l'Asia un anno prima iniziò a diffondersi nel resto del mondo, la Russia non aveva ancora finito di affrontare le difficoltà politiche, sociali ed economiche legate al crollo dell'URSS. "Industria e servizi erano allo sfascio, i capitali fuggivano all'estero, e il prezzo dell'unica fonte di introiti rimasta ala Russia, l'energia, scendeva drasticamente". Per evitare il crollo del rublo il Cremlino ne legò il valore al dollaro, anche se in maniera semi-rigida. Quando però non fu più in grado di mantenere la valuta nazionale all'interno della fascia prestabilita, quest'ultima venne svalutata e i risparmi dell'intera nazione si volatilizzarono. L'inflazione raggiunse il valore record dell'84 per cento, il prezzo dei generi alimentari raddoppiò, tanti stipendi non vennero più pagati, e il 30 per cento del paese si ritrovò povero.

Allora fu necessario ricorrere all'intervento dell'esercito (guidato da Putin, nominato dall'allora presidente Boris Yeltsin capo dei Servizi di Sicurezza Federali) per ripristinare l'ordine. Oggi la popolazione dice di voler comprare beni durevoli proprio per evitare di vedere le proprie risorse volatilizzarsi. Ma così facendo rischia di auto-costringersi a uno scambio di beni simile a quello di un'economia di baratto.

Svalutazione e propaganda

Non si contano gli annunci e le previsioni secondo cui "se si riuscisse a evitare il collasso delle banche e recuperare la fiducia degli investitori, allora...", oppure "la perdita di valore del rublo è temporanea, e il governo ha già approvato un piano per ristabilizzare il valore della valuta nazionale, ma bisognerà fare qualche sacrificio per metterlo in pratica". Ma questo collasso improvviso ha tolto credibilità a qualsiasi messaggio di propaganda. Se poi Barack Obama chiudesse davvero la settimana approvando nuove sanzioni contro la Russia, Putin sarebbe spacciato. Il problema è che con lui cadrebbe l'intero paese. Se così fosse, saranno in tanti a pagare un prezzo troppo alto per l'aggressività di Putin, in Russia ma anche in Occidente, dove prima o poi bisognerà iniziare a pensare da un lato a come gestire l'esposizione nei confronti di Mosca (Francia Italia, ad esempio, vantano, rispettivamente, crediti per 42,7 e 27,6 miliardi di dollari). Dall'altro a come aiutare quello che nel frattempo sarà diventato un ex feudo di Putin a rimettersi in piedi.

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La crisi russa fa tremare la Germania

I debiti di Mosca verso Berlino valgono oltre 20 miliardi di euro, un decimo del totale: il crollo del rublo ha avuto pesanti ripercussioni sul made in Germany

http://www.lastampa.it/2014/12/18/ester ... agina.html

Vale solo il tre per cento dell’export della “Cina d’Europa”, ma è un partner cruciale per molti nomi grossi dell’industria tedesca, che risentono già da mesi della crisi politica con Mosca e cominciano ora a mandare chiari segnali di allarme rispetto al rischio bancarotta della Russia. Per moltissime banche e istituzioni finanziarie straniere sarebbe un incubo senza fine. Basti pensare che secondo la banca centrale russa entro dicembre del 2015 aziende e banche devono restituire all’estero 208 miliardi di crediti. Un decimo, 20,8 miliardi, soltanto alla Germania.

Nelle ultime settimane è stato soprattutto il crollo del rublo a compromettere il flusso delle merci “made in Germany” verso il Paese di Vladimir Putin, ma il calo di profitti registrato da alcune aziende russe anche a causa delle sanzioni occidentali sta scoraggiando molte partnership, come riporta il quotidiano finanziario Handelsblatt. Kabi, controllata del colosso farmaceutico Fresenius, ha appena disdetto, ad esempio, un contratto con la moscovita Binnopharm. Ma anche i giganti tedeschi dell’auto e della chimica risentono della crisi russa. Stefan Bielmeier, capoeconomista della DZ Bank, ricorda che “la Russia è un mercato importante per l’industria dei macchinari e per l’automotive”.

Il re della chimica Basf e il produttore di tir Man hanno già ammesso cali di fatturato; Volkswagen, che ha un impianto a Kaluga, lamenta negli ultimi mesi una contrazione degli introiti dei marchi del gruppo del 20 per cento; cali simili hanno riguardato anche Bmw, che ha visto il giro d’affari calare del 16 per cento tra gennaio e novembre. E Mercedes, l’unica in controtendenza che sta aumentando le vendite, è costretta ora a subire rincari fino al 9 per cento di alcuni modelli a causa della caduta del rublo.

Ma anche le aziende di media grandezza soffrono la crisi russa: l’azienda farmaceutica Stada sta registrando una caduta del fatturato in Russia a causa del rublo in picchiata, esattamente come il produttore di macchine agricole Claas. E nell’ultima indagine di DZ Bank sulle medie imprese, un quarto ha dichiarato di sentirsi “lievemente colpito” dalle tensioni con Mosca, mentre 4 per cento denuncia “pesanti conseguenze” a causa delle sanzioni e della crisi economica e finanziaria russa.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » ven dic 26, 2014 10:35 pm

Ci sono le premesse (per tempi neri)

http://www.life.it/1/ci-sono-le-premess ... mment-9458

di Eugenio Benetazzo

L’Italia in questo momento non è in grado di reggere ad uno shock esogeno, significa che se si dovesse verificare un evento di portata sistemica improvviso ed inatteso (stile il crash Lehman o un altro attacco speculativo al debito italiano), le finanze pubbliche del Paese produrrebbero fenomeni di insolvenza parziale e disagi di natura economica su numerosi compartimenti dipartimentali. Tra nove mesi non si riuscirà più a contenere la popolazione, adesso bisogna avere il coraggio di espletare il male per conseguire il bene, iniziando ad esempio a sospendere temporaneamente i diritti costituzionali su molti ambiti della vita di tutti i giorni. Sta riuscendo il malcontento popolare nei confronti dell’euro, visto come unica causa della situazione odierna: da una parte Salvini come futuro leader della nuova destra nazionale e dall’altra Grillo con il M5S, entrambi stanno riprendendo ad alimentare il sentiment antieuropeista. Sembrava che con il voto di Maggio, il tutto fosse stato definitavamente sdoganato, invece il rischio che il consenso nei confronti della moneta unica degeneri è oggi più che mai ritornato in auge. Per la cronaca si può uscire dall’euro, basta uscire dall’Unione Europea, due mesi fa la Scozia puntava proprio a questo e gli organismi sovranazionali avevano allertato su questa possibile eventualità.

Vuoi riprenderti la tua vecchia moneta, noi non te lo possiamo impedire se con un atto di sovranità popolare questo diverrà esigibile, tuttavia a quel punto la nazione in questione dovrà anche abbandonare tutte le reti di protezione e tutela che l’Europa ha in questi anni messo a regime: si va dalla protezione dei risparmi alla certezza degli approvvigionamenti energetici. Il Paese che se ne esce dall’Unione a quel punto si può scordare di far entrare i suoi prodotti e merci svalutate all’interno dell’Unione senza pagare pegno, leggasi dazi doganali sulle merci. Quando lo hanno fatto capire alla Scozia, abbiamo visto come si è risolto il tutto. Nessuno in questo momento può avere la presunzione di garantire che uscire dall’Unione Europea sia meglio che restarvi, di certo questo tipo di assunto conviene a chi non ha niente da perdere. Meglio stare in compagnia di altri colossi economici che soli contro il resto del mondo. Questo è infatti il vero pericolo, continuare ad alimentare tensioni sui mercati finanziari per incapacità nella gestione della comunicazione sul piano politico che istituzionale. Da questa estate hanno ripreso ad intensificarsi le esportazioni di valuta e di capitali verso lidi considerati più sicuri e confortanti (oltre settanta miliardi negli ultimi tre mesi). La Camusso che continua con il mantra “serve la patrimoniale “non fa altro che alimentare, con queste infelici esternazioni, l’emorragia di capitali e risorse finanziarie.

Se ci fosse veramente la dipartita dall’Unione Europea per volontà o isteria popolare a quel punto anche chi detiene investimenti immobiliari sarebbe profondamente penalizzato in quanto la disponibilità di denaro per sostenere la domanda di case sarebbe svalutata con la stessa proporzione con cui si è perduto potere di acquisto nei confronti dei paesi confinanti. In vero in tre anni, con tre diversi governi, non si è fatto niente per modificare strutturalmente la competitività sul mercato del lavoro e la convenienza del fare impresa in Italia. Si vuole dare la colpa all’Europa di quello che sta accadendo, ma se non ci fosse stata l’Europa nel 2012, metà delle banche italiane sarebbe fallita, portandosi dietro la ristrutturazione sul debito pubblico che tradotto avrebbe significato un cut-off sui BTP che gli italiani avevano in portafoglio. La classe dirigente e quella politica sono stati a guardare, inventandosi manovre di lifting politico o di contenimento emotivo (Renzi docet). Solo un colpo di stato adesso può cambiare radicalmente il Paese e consentirgli di invertire la rotta per il default sempre più concreto nei prossimi 24 mesi. Tra nove mesi l’Italia non la tieni più, è come una pentola a pressione in cui la valvola si è rotta o non funziona. Ti devi aspettare una reazione improvvisa, non pianificata, di fuoriuscita sociale in stile Piazza Tienamen o caduta del muro di Berlino.

Proprio come nel 2001 a Buenos Aires in Argentina, quando la popolazione improvvisamente occupò le piazze e vie principali della capitale al grido di “el pueblo no se va” per cacciare il governo disastroso di Carlos Menem e Ferdinando de La Rua, rei di aver condotto il paese nel baratro finanziario. Alti esponenti della polizia italiana me lo hanno confidato in più di un occasione: 300/500 dimostranti li riescono a contenere e disperdere senza difficoltà. Ma se arrivassero a sorpresa in 10.000 a Piazza Colonna a Roma, con la stessa rabbia (giustificata) e tensione di quelli che hanno manifestato contro il centro di accoglienza di Tor Sapienza, allora i primi che non si schierano e battono in ritirata sarebbero proprio i poliziotti. Potete immaginare a quel punto che quelli dentro a Montecitorio avranno con grande presunzione spiacevoli conseguenze. Allora ti devi chiedere che tipo di Italia erediteremo. In questi ultimi sei mesi ho visto la parte migliore dell’Italia che si è organizzata per abbandonarlo quanto prima: sono piccoli imprenditori, professionisti, artigiani, pensionati, laureati con lode accademica, lavoratori autonomi. Un fiume di italiani che vuole sopravvivere e cerca rifugio in Spagna, Svizzera, Germania, Inghilterra, Australia, Malta, Dubai, Brasile, Bulgaria, Canada e cosi via. Continuo a dirlo: i prossimi cinque anni saranno ben peggiori di quelli appena trascorsi. Tanto peggiori.

Tratto da http://www.eugeniobenetazzo.com/italy-f ... ad-of-ruin
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Re: Economia

Messaggioda Berto » gio gen 29, 2015 8:40 am

Tsipras in soli 2 giorni taglia auto blu,privilegi,scorte,voli di stato e ministri.Ricordiamolo a Renzi!

http://jedasupport.altervista.org/blog/ ... 4472656250

Sono bastati 2 giorni a Tsipras per tagliare auto blu,privilegi,ministri,voli di stato pranzi e cene..La spending review di Renzi invece richiede 1000 giorni. Ovviamente i media italiani non danno la notizia,altrimenti che figura ci fa il nostro premier?

La dieta di Tsipras. Il suo governo riduce i ministri da 19 a 11 e taglia auto blu, segreterie, telefonini, agenti di scorta, aerei di Stato, pranzi, cene e spegne lampadine dimenticate accese. Una spending review da record in soli tre giorni che però non addolcisce il «nein» Merkel ad altri sconti sul debito di Atene: «Non hanno risarcimenti sino al 2020 e i tassi sono già bassissimi»

Il governo prêt-à-porter di Alexis Tsipras è pronto: dal voto alla poltrona in tre giorni. Da far impazzire di gioia i manager più esigenti. Tre giorni. Un record di efficienza, ma anche di potenziali risparmi. I ministri si riducono da 19 a 11, tra loro nessuna donna. La dieta dovrebbe coinvolgere auto blu, segreterie, pr, lampadine dimenticate accese, telefonini, agenti di scorta, aerei di Stato, pranzi e cene. Il primo governo di sinistra anti austerità dell’Unione europea parte con produttività e spending review.

I creditori internazionali, però, devono accontentarsi. Per loro le belle novità finiscono qui perché nel governo sono entrati proprio i due falchi anti austerità che più temevano: Yannis Dragasakis e Yanis Varoufakis. I due «Giovanni» riceveranno già venerdì Jeroen Dijsselbloem, il capo dell’Eurogruppo, per cominciare a discutere sugli impegni presi dai precedenti governi di Atene in cambio dei 240 miliardi ricevuti in prestito. Dragasakis è vice premier con delega all’economia. Sarà il ministro delle spese. Ex tesserato comunista ha ipotizzato un’inchiesta penale su chi ha firmato gli accordi con la troika. È stato il suo braccio destro, Euclid Tsakalotos, ad aprire ieri le ostilità: «Nessuno può pensare che potremo pagare tutto quel debito. È impossibile». Immediata la replica da Berlino dove la cancelliera Angela Merkel ha ribadito il «nein» ad altri sconti sul debito di Atene. «Non hanno risarcimenti sino al 2020 — ha ricordato — e i tassi sono già bassissimi».

L’altro Giovanni, Varoufakis, ha una personalità scoppiettante. Ieri si è presentato al giuramento (laico) con un chiodo alla Fonzie e la camicia fuori dai pantaloni. Sul suo blog aveva appena scritto: «Mi suggeriscono di chiudere questa pagina, ma non ci penso nemmeno». Fresco ministro, tra le bianche colonne neoclassiche del palazzo presidenziale, Varoufakis è stato assediato dai giornalisti. Cosa dirà domani al capo dell’Eurogruppo? «Niente». Come niente? «Domani niente, perché lo vedrò venerdì». Poi alle telecamere italiane di Sky: «L’euro deve essere riformato. Non è stato pensato per sostenere una grave crisi finanziaria. Il risultato è che anche l’Italia sta soffrendo non solo per via della crisi». Quindi al Corriere della Sera Preoccupato? «Solo di diventare un politico, per questo ho in tasca la lettera di dimissioni». «Marxista libertario», «economista per caso», Varoufakis è originale anche nel vezzo di togliere una «n» e cambiare il nome da Yannis a Yanis. Professore di economia in Texas era già stato consigliere di governo all’epoca della crisi, ma aveva lasciato l’incarico in contrasto con la decisione di indebitarsi invece di fallire. E’ suo il copyright di alcune delle critiche più dure all’austerità.

Da tortura («waterboarding fiscale») a «anche un bambino capisce che le condizioni imposte — dalla troika, ndr — sono criminali». Per lui, che ha firmato libri anche con il keynesiano Usa James Galbraith, «l’Europa ha perso la sua anima» e il nuovo governo greco «è l’ultima possibilità che resta» per ritrovarla. ???

Nell’esecutivo di Alexis Tsipras, professori, «scravattati», blogger, tutti contestano le politiche dominanti sin qui in Europa e sono pronti a restare spesso in minoranza. Ieri il primo esempio quando a Bruxelles l’invito a nuove sanzioni alla Russia per l’emergenza ucraina non ha avuto l’assenso greco. «Atene avrà modo di spiegare la sua posizione» dice una nota imbarazzata del Consiglio europeo.
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