Economia

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Messaggioda Berto » ven dic 20, 2013 2:56 pm

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Sparagno, debeto, entaresi, enflasion, ... Talia, Xermagna e Ouropa
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dxNWM/edit

Enflasion
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FzMFk/edit

Scançelasion del debeto piovego soran:
a) default/bancarota/falimento, b) enflasion, c) represion finansiara, d) jubileo,
e) pagandolo on poco par volta o co la s-ciavetù o col pasajo de paronansa
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... YyVWc/edit
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Re: Economia

Messaggioda Berto » ven dic 20, 2013 2:58 pm

Svezia: la depressione economica finì abiurando le teorie di Keynes

http://www.lindipendenza.com/bylund-sve ... keynesismo


Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo Sweden’s Great Depression, apparso sul numero di Novembre 2013 del mensile The Free Market (rivista pubblicata dal Ludwig von Mises Institute), da parte di Per L. Bylund in collaborazione con Ola Nevander e Erik Gestrinius. Bylund è professore con dottorato di ricerca presso la Hankamer School of Business alla Baylor University in Texas. (Traduzione di Luca Fusari)

Durante la recente crisi finanziaria la Svezia è emersa come una delle poche economie finanziariamente sane. Tale forte posizione del Paese lo distingue dalle altre nazioni occidentali e lo rende un interessante esempio di ciò che potrebbe o dovrebbe essere fatto.

Infatti, l’economista e premio Nobel, Paul Krugman ha più volte approvato gli svedesi quale ragione del loro recente successo per come nei primi anni ’90 hanno gestito la loro depressione. In particolare, egli fa notare la nazionalizzazione di alcune banche avvenuta al momento della crisi. Egli però manca il punto focale della questione, concentrandosi esclusivamente su una selezione ristretta di misure a breve termine piuttosto che sui cambiamenti a lungo termine, e questo è il segno distintivo di ogni keynesiano, Krugman ha ragione sul fatto che la Svezia ha fatto alcune cose giuste.

Nel Settembre del 1992, la Riksbank, la banca centrale della Svezia, ha innalzato il tasso di interesse del 500% in un vano tentativo di salvare il tasso di cambio fisso della corona svedese (la valuta della Svezia). Questa drastica misura è stata presa in concomitanza con i grandi tagli alla spesa e gli aumenti delle tasse per affrontare la caduta libera dell’economia della nazione.

La crisi economica è stata il culmine di due decenni pieni di declino ed ha cambiato radicalmente la situazione politica in Svezia. Da quel momento la Svezia ha visto governi coerenti con tagli ed aumenti delle restrizioni in materia di politiche di welfare, liberalizzando i mercati e privatizzando gli ex monopoli statali. Il Paese ha istituito un nuovo complessivo incentivo strutturale nella società rendendola più favorevole al lavoro.

Il debito nazionale è sceso da quasi l’80% del PIL nel 1995 a solo il 35% nel 2010. In altre parole, il Paese è tornato con successo indietro rispetto al suo insostenibile ma famoso welfare. Nonostante il pio desiderio di Krugman, è stato questo il vero motivo del successo della Svezia a rimetterla in sesto dall’attuale crisi finanziaria.



L’ASCESA E LA CADUTA DEL WELFARE STATE SVEDESE

L’esperienza è durata un secolo, con una sua forte crescita economica dal 1870 circa fino al 1970, la quale ha letteralmente reso uno dei Paesi più poveri d’Europa il quarto più ricco al mondo. La prima metà di questo periodo di crescita è stata caratterizzata da una vasta riforma del libero mercato, la seconda metà è dovuta al suo essere rimasta al di fuori delle due guerre mondiali, beneficiando così di infrastrutture industriali intatte quando il resto dell’Europa era in rovina.

Mentre il Welfare State fu istituito ed ampliato nel corso del periodo post-bellico, esso fu generalmente costruito intorno ad istituzioni capitalistiche e quindi ha avuto un impatto limitato sulla crescita economica. Ma la situazione politica è in seguito cambiata. Gli anni ’70 e ’80 del XX° secolo hanno visto il welfare impazzire con un suo notevole ampliamento attraverso nuovi sussidi statali, l’introduzione di normative molto rigide sul mercato del lavoro, il finanziamento attivo dei settori stagnanti dell’economia, e drastici aumenti delle aliquote fiscali (con alcune aliquote marginali superiori al 100%).

Nel tentativo di nazionalizzare completamente l’economia, nel 1983 furono istituiti i löntagarfonder (“i fondi di impiego”) per “reinvestire” i profitti delle imprese private in titoli gestiti e di proprietà delle organizzazioni sindacali nazionali. Durante questo periodo, tra il 1975-1985, i disavanzi pubblici abbondarono e il debito pubblico aumentò di quasi dieci volte.

La Svezia ha visto anche elevata inflazione dei prezzi, una situazione aggravata da ripetute svalutazioni del tasso di cambio della moneta per rilanciare le esportazioni: nel 1976 del 3%, nel 1977 inizialmente del 6% e poi un ulteriore 10%, nel 1981 del 10%, e nel 1982 del 16%. Nel complesso, la rapida espansione del welfare può essere illustrata dal rapporto tra gettito fiscale finanziato e l’occupazione del settore privato, il quale passò da 0.386 nel 1970 a 1,51 nel 1990. La Svezia si stava dirigendo verso il disastro.


SPIEGANDO LA GRANDE DEPRESSIONE DELLA SVEZIA

Una spiegazione popolare del tracollo negli anni ’90 fu incolpare la deregolamentazione dei mercati finanziari che si verificarono nel mese di Novembre del 1985. Ma come la nostra ricerca (ancora in corso) suggerisce, la deregolamentazione fu un tentativo di risolvere i crescenti problemi nel finanziare la già debole e deteriorata situazione finanziaria del governo svedese.

Solamente nell’anno fiscale 1984-1985, il pagamento degli interessi sul debito nazionale svedese ammontarono al 29% delle entrate, pari alla spesa complessiva da parte del governo sulla previdenza sociale. L’insostenibile situazione finanziaria del Paese rese necessaria la deregulation. Il maggiore accesso ai mercati finanziari ha reso una situazione disperata un po’ più sostenibile.

Ma la Svezia ha poi registrato un enorme aumento del credito. I nostri numeri mostrano che il volume dei prestiti bancari alle attività non finanziarie aumentarono da 180 miliardi sul finire del 1985 a 392 miliardi alla fine del 1989, con un incremento del +117 % complessivo e del 21% all’anno. Dov’è finito tutto questo denaro? Parte di esso può essere spiegato con la deregolamentazione e dall’afflusso di fondi che ne seguì. Ma fu reso possibile dall’inflazione monetaria.


Diversi fattori erano all’opera durante il boom creditizio del 1986-1990 che si concluse con la depressione del 1990-1994. Alcuni fattori non hanno avuto alcun effetto inflazionistico o deflazionistico, ma altri fattori, in particolare quelli che si riferiscono alla politica del governo o che hanno comportato la guida politica del governo, erano fortemente inflazionistici ed abbastanza consistenti. Questi includono aumenti anticipati alle banche da parte della Riksbank (un aumento del +975% tra 1985-1989) ed acquisti di debito pubblico e di titoli (un aumento del +47% tra 1985-1987, seguito da un calo del -7 % tra 1987-1989).

La Svezia è un caso interessante da studiare. Dobbiamo seguire il suggerimento che Krugman ripetutamente pone, abbiamo molto da imparare da esso: dalla duratura epoca di crescita economica grazie al libero mercato all’ascesa e caduta del Welfare State. Il Paese scandinavo ha recentemente (ri)guadagnato forza finanziaria; la sua capacità di resistere ad una recessione globale è dovuta non ad un forte welfare, come sostiene Krugman, ma ad una riduzione di lungo periodo del welfare espansivo così tanto lodato dai keynesiani.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » sab dic 21, 2013 6:56 pm

Sti fanfaroni de talego padani li se la ciapà co l'Ouropa e l'Euro

Sindaci Lega potestano contro Bruxelles. Salvini: disobbedienza

http://www.lindipendenza.com/sindaci-le ... obbedienza

Quaranta, fra sindaci e presidenti di provincia lombardi, hanno protestato a Bruxelles “contro le tasse del governo Letta e gli assurdi vincoli imposti da questa Europa”, definita da un comunicato della Lega Nord, “serva delle banche e dei burocrati”. In segno di protesta contro “l’omicidio dei comuni del Nord” sono state esposte nella piazza antistante il Parlamento europeo bandiere e striscioni con le scritte “No Euro” e “Questo Euro ci uccide”. “I sindaci della Lega Nord – ha affermato il segretario federale, Matteo Salvini – si stanno organizzando per mettere in atto azioni di disobbedienza civile alle regole assassine di Bruxelles e allo scellerato Patto di stabilita’ che ha messo in ginocchio i nostri Comuni”.

Immagine

“Per dare un numero – ha aggiunto Salvini – nella sola Lombardia, il ‘Patto di stupidita” imposto da Roma blocca 5 miliardi di euro, congelando piu’ di 100mila posti di lavoro. Mentre l’Europa serva di banche e burocrati punta tutto su regole e rigore, infischiandosene dei cittadini, si ignora la vera emergenza di un mondo del lavoro massacrato dalle tasse romane e da norme comunitarie umilianti”. “Sarebbe meglio, prima di occuparsi delle condizioni disumane dei carcerati, pensare alle condizioni disumane in cui versano le imprese che chiudono costringendo alla disoccupazione milioni di persone”, ha concluso Salvini.

Con la legge di stabilita’, ”se intendevano stabilizzare la recessione, credo ci siano riusciti”. Lo ha dichiarato il capogruppo alla Camera della Lega Nord, Giancarlo Giorgetti, durante una conferenza stampa tenuta poco prima dell’avvio dei lavori dell’Aula della Camera, che dovra’ oggi votare la fiducia posta dal governo sul maxiemendamento al ddl stabilita’. Giorgetti, insieme con i deputati leghisti Stefano Borghesi e Guido Guidesi, ha puntato il dito contro governo e maggioranza che hanno inserito nella legge di stabilita’ quelle norme di carattere ”assistenzialistico” che hanno trasformato il testo ”quasi in una legge mancia, che distribuisce milioni ad amici ed amici di amici”, ”come una vecchia Finanziaria, cioe’ con finanziamenti a pioggia per accontentare questo o quel partito”. Dalle risorse per i lavori socialmente utili per Calabria, Napoli e Palermo, alle assunzioni della Presidenza del Consiglio per la comunicazione durante il semestre europeo e la gestione dei fondi Ue: la Lega Nord ha segnalato una serie di misure definite ”marchette al Sud del Governo Letta” e che costano 632,2 milioni di euro.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » sab dic 21, 2013 7:12 pm

Europa, Lega Nord ed Indipendenza veneta

http://www.lindipendenza.com/europa-leg ... nza-veneta

di GIUSEPPE ISIDORO VIO

Nel parlamento europeo ci sono più indipendentisti di sinistra che di destra e stanno tutti nel gruppo dei Verdi – Alleanza Libera Europea (corsi, scozzesi, gallesi, vallesi, fiamminghi, catalani e lettoni) che accettano solo indipendentisti di orientamento progressista. La Lega Nord per l’indipendenza della Padania, sebbene abbia nel suo DNA delle componenti operaie di sinistra, di fatto è sempre stata un partito di destra e nel parlamento europeo si è pertanto collocata nel gruppo degli euroscettici, ossia Europa della Libertà e della Democrazia, dove c’è anche Magdi Allam, con il suo partito “Io amo l’Italia“, che porta avanti la sua personale battaglia contro l’integralismo islamico e il multiculturalismo. Essendo un musulmano convertito al cristianesimo, ossia un apostata per cui l’islam prevede la pena di morte, Allam è costantemente seguito da una scorta di sei uomini su tre auto blindate.

I partiti che sono stati invitati al Lingotto di Torino per l’insediamento di Salvini come nuovo segretario della Lega Nord (il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, il Partito per la Libertà di Geert Wilders, il Partito della Libertà Austriaco di Heinz-Christian Strache e il partito belga Interesse Fiammingo) appartengono invece al gruppo europeo NI (non iscritti). I Democratici Svedesi di Jimmie Akesson (anch’essi invitati al Lingotto e che nelle politiche del 2010 entrarono inaspettatamente nel parlamento nazionale svedese conquistando venti seggi) non sono finora mai stati presenti nel parlamento europeo. Questi partiti sono tutti di destra. Tutti difendono l’identità nazionale dei loro paesi contro l’immigrazione incontrollata, specialmente di culture incompatibili (come l’islamismo radicale) e, oltre a ciò, Interesse Fiammingo reclama anche l’indipendenza del popolo fiammingo dal Belgio, stato cui in buona parte appartiene.

Tutto porta, dunque, a pensare che, pur correndo da sola in Italia per le prossime europee, la Lega intenda poi allearsi in Europa con questi partiti. Non è chiaro però se per costituire con essi un nuovo gruppo o appoggiare il loro ingresso nel gruppo degli euroscettici, Europa della Libertà e della Democrazia, dove essa si trova tuttora. Le elezioni europee si svolgeranno il prossimo maggio 2014 e qualcuno già teme una consistente crescita degli euroscettici. Lo stesso M5S, che ha fatto dell’euroscetticismo un suo cavallo di battaglia, se darà seguito alle sue idee, affigliandosi con un gruppo europeo che glielo consenta, farà aumentare la presenza e l’impatto degli euroscettici. E’ ben vero che il Parlamento Europeo ha dei poteri limitati e che chi decide, in ultima analisi (anche se dovrebbe essere il contrario) è il Consiglio Europeo, i cui membri sono eletti dai rispettivi governi degli stati dell’UE, tuttavia esso è comunque un luogo dove si espongono idee, si propongono leggi, si dibatte e si esprimono pareri.

Si porrà dunque tra alcuni mesi la questione su cosa debba fare un indipendentista veneto o padano: astenersi o votare e, nel caso, chi? Dando fede alle recenti affermazioni di Salvini, che dice di voler lottare fino all’indipendenza della Padania, se uno è anche ideologicamente orientato a destra ed euroscettico, non ci sarebbe alcun dubbio su cosa debba fare. Tuttavia, l’idea di uscire dall’eurozona, pur essendo giusto che i cittadini si esprimano democraticamente in merito, potrebbe far storcere il naso a qualche indipendentista benché di destra. In effetti, fino a poco tempo fa il problema era solo l’Italia statalista e clientelare del centro-sud, responsabile, assieme al sistema consociativo del pentapartito, dell’enorme debito pubblico creato negli anni ’80, cui, nei ’90 e successivi, anche per il crescere degli interessi, nessun governo di destra o di sinistra è riuscito a porre rimedio.

Ciò nonostante, nell’ipotesi di una secessione dal resto dell’Italia, le regioni virtuose padane avrebbero potuto aggregarsi a pieno titolo con i paesi nord europei, avendo i conti in ordine ed economie comparabili e compatibili. Ma la secessione non c’è stata e, come aveva previsto Bossi in tempi non sospetti, con la palla ai piedi del resto d’Italia, l’euro si è rivelato deleterio anche per la Padania. Oggi, dopo che la crisi economica e l’inettitudine della classe politica e dirigente italiana hanno completato l’opera di distruzione dell’economia Padana un tempo prospera, possiamo ancora permetterci l’euro? Realmente a questo punto il problema, come un Giano bifronte, ha due facce quella di Roma ladrona e quella di Bruxelles, altrettanto ladra e pure avara. Infatti, non solo il residuo fiscale italiano (e quindi padano) per finanziare il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è a tutto vantaggio dell’Europa, ma con i trattati di stabilità e di rientro dal debito pubblico firmati dall’Italia (Fiscal Compact)* Bruxelles c’impone anche un rigore che presto sarà mortale, impedendoci di mettere in atto quei meccanismi che consentirebbero alla Padania di riprendersi economicamente.

In tale contesto, se non verranno ridiscussi i termini dei trattati europei per favorire la crescita e il rilancio economico dei paesi dell’UE, l’uscita dall’euro (e forse anche dall’Europa) non sarà più un tabù e la sua possibilità dovrà essere considerata con attenzione. In alternativa, per estirpare il male dalla radice, lo Stato Italiano dovrebbe metter in mobilità almeno 500.000 dipendenti pubblici, ridurre drasticamente il cuneo fiscale, mettendo così i soldi risparmiati nelle tasche degli italiani, e incentivarne i consumi di prodotti italiani nel mercato interno. Il nostro settore produttivo in questo modo si riprenderà, creando nuovi posti di lavoro e riassorbendo anche i dipendenti pubblici messi in mobilità, un necessario travaso di lavoratori ipergarantiti dal pubblico al privato, accompagnato da una nuova regolamentazione del mercato del lavoro che abolisca definitivamente l’obbligo del reintegro, controproducente e anacronistico.

Fatto questo, l’UE e in particolare la Germania (che giustamente non vuole sobbarcarsi il debito pubblico italiano) sarà certamente più disponibile a ridiscutere i trattati con l’Italia e consentirle deroghe. Ma lo faranno i nostri politici nazionali? Troppi sono gli interessi contrapposti e lo scenario più probabile è un lento e progressivo declino dei padani verso la miseria, ma la madre di ogni soluzione possibile per i veneti (e a seguire per gli altri padani) c’è e si chiama indipendenza che li porrebbe, rispetto all’Italia, nella stessa posizione dei tedeschi o degli austriaci una volta pagata la loro quota di debito pubblico italiano. Ai veneti (l’8% circa della popolazione, circa 5 milioni su 60 milioni d’italiani) corrisponderebbero circa 160 miliardi di euro dei 2.000 di debito pubblico complessivo.

In questi mesi che ci separano dalle elezioni europee, avremo modo di giudicare il comportamento della Lega di Salvini, tuttavia, di là da questo, è bene dire che le battaglie decisive per l’indipendenza di lombardi e veneti, indipendentemente dall’avere o meno una rappresentanza comune o distinta al parlamento europeo, si combattono al Pirellone, a Milano e a Palazzo Ferro-Fini, a Venezia, lottando per la realizzazione dei rispettivi referendum per l’indipendenza. Inoltre, pur avendo apprezzato l’attività in particolare dell’eurodeputata veneta della Lega, Mara Bizzotto, documentata anche nelle pagine de l’Indipendenza, c’è sempre il rischio che una volta conseguita la poltrona europea, Salvini & Company si rimangino ogni dichiarazione per l’indipendenza padana e si accontentino di vivacchiare ben retribuiti e spesati in quel di Bruxelles e Strasburgo.

Per tali ragioni, è da valutare positivamente la dichiarazione del Presidente onorario d’Indipendenza Veneta, Alessio Morosin, che recentemente ha escluso ogni possibilità che tale movimento possa concorrere a elezioni europee o politiche. E’, invece, importante che concorra per le regionali, dove può fattivamente contribuire all’indipendenza dei veneti, e anche alle comunali, dove si è visto che molte maggioranze leghiste con liste civiche hanno appoggiato l’iniziativa referendaria d’Indipendenza Veneta. A riguardo è bene notare che le cosiddette liste civiche, benché in parte costituite da tronconi di partiti nazionali, che localmente tendono a frammentarsi entrando in più di queste liste per corrispondere a esigenze e personalità che esprimono i territori, sono di fatto avulse dai partiti nazionali, cui non rispondono e, almeno in Veneto, sono spesso sensibili ai temi dell’autonomia e dell’indipendenza. Centocinquanta comuni variamente amministrati e quattro province venete, su iniziativa di Indipendenza Veneta, hanno, infatti, approvato e sostengono l’attuazione di un referendum per chiedere ai cittadini veneti se vogliono l’indipendenza della loro regione dall’Italia.

In conclusione, la Lega Nord per le europee punterà a raccogliere i voti degli elettori di destra contrari al multiculturalismo, degli euroscettici e degli elettori della galassia indipendentista-federalista-autonomista-regionalista. I primi sono il suo bacino di raccolta più sicuro (da qui l’alleanza con i partiti europei similari invitati all’incoronazione di Salvini) sui secondi dovrà affrontare la concorrenza storica del M5S e ora anche di Forza Italia, mentre dei terzi avrà probabilmente solo il voto di quelli orientati a destra. Non avendo una valida alternativa alla Lega, la posizione degli indipendentisti di centro-sinistra è, infatti, molto difficile, controbattuti tra l’indipendentismo e le loro idee progressiste in termini d’immigrazione, omosessuali, welfare ed Europa.

E’ perciò un peccato che non esista alcun partito padano indipendentista e progressista nel gruppo Alleanza Libera Europea, dove questi elettori disorientati possano far convergere il loro voto indipendentista (gli indipendentisti fiamminghi, ad esempio, sono presenti in Europa anche in questo gruppo, con Nuova alleanza Fiamminga, partito di centro-destra moderato) ma quest’assenza non è più colpa della Lega Nord. In passato, infatti, durante la fase secessionista del leghismo, nel cosiddetto “Parlamento Padano” erano rappresentate correnti che spaziavano dall’estrema destra all’estrema sinistra e questo fatto può aver condizionato la nascita di un indipendentismo padano progressista avulso dalla Lega, dopo che questa si spostò decisamente a destra, enfatizzando l’etnonazionalismo contro il multiculturalismo e l’antistatalismo libertario come reazione alla pesante tassazione vessatoria romanocentrica.

* Ecco gli impegni europei dell’Italia nei prossimi anni: versare contributi al MES (125 miliardi in 5 anni), ripagare il debito (40-50 miliardi l’anno) e al tempo stesso mantenere il pareggio di bilancio, oltre a rispettare anche altri parametri.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » ven gen 03, 2014 9:35 pm

Portogallo, il governo decide il “prelievo forzoso” su tutte le pensioni

http://www.lindipendenza.com/portogallo ... e-pensioni

di MARIETTO CERNEAZ

Si comincia, l’apripista lo fa un paese dei PIIGS, di quelli i cui conti sono traballanti da un po’ e che la Troika tiene sotto’occhio. il Portogallo. Il governo lusitano, infatti, effettuerà un prelievo forzoso dalle pensioni – private e pubbliche – per colmare il deficit di bilancio causato dalla bocciatura della Corte Costituzionale dei tagli delle pensioni dei funzionari pubblici, decisione giunta poco tempo fa.

La scelta di una misura alternativa da 388 milioni di euro era necessaria per raggiungere l’obbiettivo del 4% nel rapporto deficit-Pil del 2013, condizione necessaria per lo sblocco della tranche da 2,7 miliardi di euro prevista dal piano di aiuti della “Troika” (Ue, Bce ed Fmi). Il governo ha difeso il provvedimento – che prevede una tassazione straordinaria per le pensioni oltre una certa soglia – affermando che eviterà un aumento delle tasse che avrebbe messo a rischio la ripresa economica: l’opposizione e i sindacati hanno protestato contro una “misura immorale” che colpisce il potere d’acquisto delle famiglie.

Dalla Grecia fino a Cipro, per passare ora dal Portogallo è tutto un fiorire di proposte a dir poco “impopolari”, che la dicono lunga sullo “stato dell’Unione”. Per il momento, si gira intorno all’Italia, ma c’è già chi ha scritto che – oltre alle tasse introdotte dagli ultimi tre governi – lo spettro del prelievo forzoso (magari sui conti correnti, come già accaduto nel 1992) aleggia sull’Italia.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » lun gen 06, 2014 10:55 am

Hoppe sulla crisi: piccoli Stati indipendenti, buona moneta, meno tasse

http://www.lindipendenza.com/hoppe-megl ... meno-tasse

Wiwo: Professor Hans Hermann Hoppe, attualmente interventi statali nell’economia hanno certe conseguenze. Molti cittadini desiderano più Stato e meno mercato. Lei come lo spiega?

Hoppe: La storia mostra che le crisi alimentano la crescita dello Stato. Questo diventa particolarmente evidente con guerre o attacchi terroristici. I governi sfruttano quelle crisi, per atteggiarsi come risolutori di crisi. Questo vale anche per la crisi finanziaria. Ha dato a governi e banche centrali un’ottima occasione per intervenire in modo ancora più massiccio nell’economia. I rappresentanti dello Stato sono riusciti a riversare la colpa della crisi sul capitalismo, i mercati e la cupidigia.

Wiwo: L’economia mondiale non sarebbe, senza gli interventi delle banche centrali o dei governi in forma di iniezioni di liquidità e programmi di congiuntura, precipitata in una profonda depressione come negli anni ’30?

Hoppe: È una falsa credenza, secondo la quale governi e banche centrali potrebbero aiutare, con programmi, l’economia a rimettersi in piedi. Programmi “congiunturali” c’erano già negli anni ’30 negli USA, ma la grande depressione finì appena dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni precedenti, la disoccupazione negli USA non scese mai oltre il 15%. Le banche fecero incetta di denaro della banca centrale, anziché concedere prestiti. Una cosa simile accade oggi. Il denaro non raggiunge i mercati dei prodotti reali e i prezzi salgono di poco. Questo non significa, però, che non ci sia inflazione. Basta vedere lo sviluppo dei mercati azionari, per rendersi conto di dove confluisca il denaro. L’inflazione è nei mercati finanziari.

Wiwo: Il rialzo dei mercati azionari è anche una conseguenza degli interessi reali negativi, che rendono poco attrattivo il risparmio…

Hoppe: … e in questo modo mettono in pericolo il nostro benessere. Un’economia può crescere solo se gli uomini risparmiano di più e consumano di meno. Senza risparmi non ci sono investimenti di portata.

Wiwo: Perché?

Hoppe: Le faccio un esempio semplice. Si immagini Robinson Crusoe e Venerdì sulla loro isola solitaria. Se Robinson pesca dei pesci e non li consuma subito, ma li dà a Venerdì, quest’ultimo può mangiare per alcuni giorni e investire il suo tempo a finire di tessere una nuova rete. Con questa rete Venerdì può pescare pesci, per mangiarli e ridarne una parte a Robinson. Entrambi stanno meglio di prima. Cosa succede, però, se Robinson non risparmia, bensì mangia da solo tutti i pesci e dà a Venerdì un certificato, che egli potrà riscuotere in pesci? Quando vorrà riscuotere, Venerdì si renderà conto che non ci sono più pesci. Dovrà procurarsi da solo e velocemente del cibo e non avrà tempo di finire la nuova rete, che rimane una rovina d’investimento, un investimento sbagliato insomma. Il tenore di vita di Robinson e Venerdì cala.

Wiwo: Cosa ha a che fare tutto ciò con la nostra situazione attuale?

Hoppe: Qualcosa di simile accade nelle nostre macroeconomie. La creazione di credito dal nulla comprime artificialmente gli interessi verso il basso e scatena investimenti, che non hanno una contropartita in risparmi. A causa degli interessi bassi si risparmia poco e si consuma sempre di più, così come Robinson non risparmia, bensì mangia tutti i pesci. Il consumo incrementato toglie risorse agli investimenti, i progetti non possono essere portati a compimento, le banche tagliano i crediti, i progetti vengono liquidati, l’economia precipita nella crisi.

Wiwo: Questo significa che siamo minacciati dal prossimo crash?

Hoppe: Le banche centrali cercano di porre un termine alla crisi con ancora più crediti e più denaro, sebbene essa sia sorta da troppo denaro e troppo credito. Quindi il prossimo crash sarà ancora più violento del precedente.

Wiwo: I guardiani della moneta promettono di frenare la liquidità, prima che la situazione sia compromessa.

Hoppe: Può essere possibile, teoricamente. Le banche centrali potrebbero ridurre la quantità di denaro, vendendo titoli di Stato. Solo che nella pratica ciò non è mai accaduto. Infatti ciò contraddice la strategia delle banche centrali, di tenere gli interessi più bassi possibili…

Wiwo: …e di creare inflazione?

Hoppe: Le banche centrali cercano di salvare il sistema del denaro cartaceo con tutti i mezzi. Temo che il passo successivo sarà l’eliminazione dell’ancora esistente competizione delle monete fiat attraverso una centralizzazione bancaria e del denaro. Alla fine ci potrebbe essere una sorta di banca centrale globale con una moneta comunitaria globale, nella quale confluirebbero Euro, Dollaro e Yen. Liberata dalla competizione con altre monete, questa banca avrebbe ancora più margine di gioco per l’inflazione. La crisi non finirebbe, bensì ritornerebbe a livello globale e con tutta veemenza.

Wiwo: Alcuni economisti esigono di legare le mani alle banche centrali e di introdurre di nuovo il Gold Standard.

Hoppe: Governi e banche centrali faranno resistenza. Tutti i monopolisti statali monetari e le banche centrali non hanno interesse a perdere il loro potere. Quindi reputo come non realistico un ritorno volontario al Gold Standard.

Wiwo: Che dire della Cina, il Paese che vorrebbe stabilire lo Yuan come moneta-guida?

Hoppe: Per la Cina sarebbe un’abile mossa di scacchi, garantire la copertura dello Yuan con l’oro, scalzando dal trono il Dollaro. Con uno Yuan coperto dall’oro i giorni dell’egemonia americana e del Dollaro sarebbero contati. Per questo l’occidente farà di tutto per impedirlo.

Wiwo: In Europa i governi e la banca centrale si sono posti al di sopra della legge e del diritto per il salvataggio dell’Euro, senza che ci sia stato un grido d’allarme dei cittadini in Germania.

Hoppe: I Tedeschi si lasciano dettare dall’America ciò che devono fare o lasciare. L’America ha interesse che l’Euro rimanga, perché è una concorrenza più comoda di una con 17 monete. Per far valere i propri interessi con pressione politica, l’America si deve rivolgere a una sola banca centrale: la BCE.

Wiwo: Il salvataggio dell’Euro e la crescente cessione di competenze a Buxelles suscitano malessere nella popolazione. Le élite politiche hanno sovraffaticato la disponibilità d’integrazione dei cittadini?

Hoppe: Gli Stati hanno generalmente la tendenza a centralizzare il loro potere. In Europa la cessione di competenze a Bruxelles dovrebbe eliminare la concorrenza dei Paesi tra loro. Il sogno degli statalisti è uno Stato mondiale con tasse e regole uniformi, che toglie ai cittadini la possibilità di migliorare il proprio tenore di vita, emigrando. I cittadini riconoscono che l’Unione Europea, in fondo, è un apparato globale di distribuzione. Questo fomenta il malcontento e attizza l’invidia dei popoli l’uno contro l’altro.

Wiwo: cosa si può fare contro?

Hoppe: Per la libertà sarebbe la cosa migliore, che l’Europa si dividesse in tanti piccoli Stati. Questo vale anche per la Germania. Più è piccola l’espansione territoriale di uno Stato, più facile è emigrare e più gentile deve essere lo Stato verso i suoi cittadini, per mantenere quelli produttivi.

Wiwo: Lei vuole un ritorno ai piccoli Stati ottocenteschi?

Hoppe: Guardi lo sviluppo economico-culturale. Nel XIX° secolo quella che oggi è la Germania era la regione-guida dell’Europa. Le più grandi performance culturali nacquero in un periodo, in cui non c’era un grande Stato centrale. I piccoli territori erano in un’intensa concorrenza tra loro. Ognuno voleva avere le migliori biblioteche, teatri e università. Questo portò avanti lo sviluppo culturale e intellettuale molto di più che, per esempio, in Francia, all’epoca già centralizzata. Lì si concentrava tutto a Parigi, mentre il resto del Paese affondava nel buio culturale.

Wiwo: Ma il commercio libero rischia, con secessioni e mini-Stati, di rimanere per strada.

Hoppe: Al contrario: piccoli Stati devono spingere il commercio. Il loro mercato non è abbastanza grande e loro troppo poco diversificati, per vivere in modo autarchico. Se non commerciano liberamente tra loro, muoiono in una settimana. Al contrario, un grande Stato come gli USA può approvigionarsi da solo e quindi non sono dipendenti dallo scambio con altri Stati. Oltretutto, piccoli Stati sovrani non possono scaricare le proprie colpe (e i propri debiti) sugli altri, quando qualcosa non funziona. Nella UE Bruxelles viene fatta responsabile per tutti i malfunzionamenti possibili. In piccoli Stati indipendenti risponderebbero i governi stessi per i malfunzionamenti nei propri Paesi. Questo ha un effetto pacificatore dei popoli tra loro.

Wiwo: Piccoli Stati avrebbero monete proprie. Sarebbe la fine dell’integrazione dei mercati finanziari.

Hoppe: Piccoli Stati non possono permettersi monete proprie, perché questo farebbe salire i costi per le transazioni. Punterebbero a una moneta comune, indipendente e non influenzata dai singoli governi. Con grande probabilità si accorderebbero su moneta solida come oro o argento, il cui valore verrebbe stabilito dal mercato. Piccoli Stati portano a meno Stato e più mercato nel sistema monetario.

Wiwo: Se l’Europa diventasse un agglomerato di piccoli Stati, non avrebbe economicamente nulla da dire in un contesto internazionale di Paesi grandi.

Hoppe: Come fanno, allora, Svizzera, Liechtenstein, Montecarlo e Singapore a essere più avanti di tutti gli altri? La mia impressione è che questi Paesi siano più benestanti della Germania e che i Tedeschi erano più benestanti prima di invischiarsi nell’avventura dell’Euro. Dovremmo allontanarci dalla rappresentazione, secondo cui l’economia avverrebbe tra Stati. L’economia avviene tra uomini e imprese, che producono qui e là. Non concorrono Stati con altri Stati, bensì imprese con altre imprese. Non la grandezza di uno Stato ne determina il benessere, bensì la capacità dei propri cittadini.

Wiwo: Indipendentemente dal numero dei territori sovrani si pone la domanda, di quanto Stato ha bisogno una società. Liberali classici esigono uno Stato da guardiano notturno, che si limiti alla garanzia di libertà, proprietà e pace. Lei non vuole più alcun Stato. Perché?

Hoppe: I liberali classici sottovalutano la tendenza espansiva, inerente allo Stato. Chi stabilisce, poi, quanti poliziotti, giudici e soldati – pagati con le tasse – ci sarebbero? Nel mercato, basato sul libero scambio e pagamento di beni e prestazioni, la risposta è semplice: viene prodotto tanto latte quanto viene richiesto e venduto al prezzo, che i consumatori sono disposti a pagare. Il governo di uno Stato, però, risponderà alla domanda “quanto” in questo modo: più soldi abbiamo, più possiamo fare. Potendo costringere i cittadini a pagare tasse, il governo pretenderà sempre più soldi e fornirà servizi sempre più scadenti. L’idea di uno Stato minimale è una costruzione concettualmente sbagliata. Stati minimali non possono mai rimanere minimali.

Wiwo: Ma chi dovrebbe proteggere la proprietà e garantire il diritto, se non lo Stato?

Hoppe: Se lo Stato protegge la proprietà con poliziotti, allora riscuote tasse per questo. Le tasse, però, sono un esproprio. Lo Stato diventa, così, un espropriante protettore della proprietà. E uno Stato che vuole garantire legge e ordine, ma può emanare leggi, è un tutore della legge che viola la legge.

Wiwo: A chi vuole affidare il compito di tutelate diritto e proprietà?

Hoppe: Le imprese dovrebbero assumersi quei compiti, capaci e che competerebbero sul mercato così come per tutti gli altri beni e prestazioni. Ogni società è contraddistinta da conflitti di proprietà, ma non deve essere lo Stato a risolverli. Si immagini una società senza Stato. In un ordine naturale di quel genere ogni persona è da considerare innanzitutto come proprietaria di tutte le cose, che lei controlla. Chi afferma il contrario, deve dimostrarlo. In una società simile i conflitti vengono appianati da autorità naturali. In comunità di paese queste sono persone, rispettate da tutti. Esse fungono da giudici. Se sorgono conflitti tra persone di comunità differenti, che si rivolgono a giudici differenti, allora il conflitto è da appianarsi sul livello successivo. L’importante è che nessun giudice abbia il monopolio del diritto.

Wiwo: suona piuttosto irrealistico…

Hoppe: … ma non lo è. Guardiamo un po’ come vengono appianati oggi i conflitti, che superano i confini. A livello internazionale regna una sorta di anarchia del diritto, dato che non c’è uno Stato mondiale regolatore. Cosa fanno i cittadini del triangolo di Basel, quindi Tedeschi, Francesi e Svizzeri, se sorgono conflitti tra loro? Ognuno si può rivolgere inizialmente alla propria giurisdizione. Se non si trova un accordo, vengono chiamati arbitri indipendenti, che emettono un verdetto. Si arriva per questo a più conflitti tra i cittadini di questa regione che tra quello di Düsseldorf e Colonia? Non ne ho mai sentito parlare. Questo dimostra che è possibile risolvere pacificamente vertenze interpersonali, senza che lo Stato sia monopolista del diritto.

Wiwo: Un sistema di diritto senza Stato potrebbe potrebbe superare l’immaginazione della maggior parte dei cittadini.

Hoppe: Perché? In fondo sono idee facilmente comprensibili, che sono state scacciate dai fautori del potere statale nel corso dei secoli. È stato un errore evoluzionistico, quello di sostituire la libertà degli uomini per la scelta di legiferazione e di applicazione del diritto con un monopolio statale del diritto, cosicché in seguito a elezioni generalistico-universali andassero al potere dei bifolchi, che sfruttassero poi il potere legiferatore a loro dato, per arricchirsi della proprietà di coloro che avessero più di loro. Al contrario un capoclan, che viene eletto volontariamente come mediatore per controversie, potrebbe essere un uomo ricco, che non ha motivo di mirare alla proprietà altrui. Altrimenti non verrebbe eletto come moderatore.

Wiwo: Come vuole impedire, in un mondo senza ordinamento statale, che i diritti alla libertà come quello all’incolumità vengano calpestati?

Hoppe: Le faccio una controdomanda: al presente vengono impedite quelle infrazioni dall’esistenza degli Stati? No. Ci saranno sempre zone in cui avvengono omicidi colposi e volontari, fino a quando gli uomini saranno uomini. Gli Stati hanno migliorato in qualche modo la situazione? Ho i miei dubbi in proposito. Anche gli Stati vengono condotti da uomini. Ma, a differenza delle comunità senza Stato, i capi di Stato hanno il monopolio – anche se temporaneo – del potere. Ciò non le rende peggiori di quanto lo sarebbero già? Gli uomini non sono angeli, bensì portano spesso qualcosa di maligno sullo scudo. Perciò la miglior difesa della libertà è quella di non procurare a nessuno un monopolio. Non si materializzano esseri angelici, appena c’è un monopolio.

Wiwo: Ammettiamo che noi la seguissimo e affidassimo i classici compiti dello Stato, come la tutela della proprietà e la giurisprudenza a organizzazioni private. Non ci troveremmo di fronte al problema, che anche in queste organizzazioni personaggi loschi prenderebbero il comando e formerebbero un cartello a danno dei cittadini?

Hoppe: Il pericolo che si arrivi a questo è minimo. Cartelli possono sopravvivere a lungo termine solo se lo Stato li protegge. Imprese formano cartelli, per spartirsi il mercato. Di questo approfittano i membri più deboli del cartello. Al contrario, quelli più forti possono assicurarsi grosse fette di mercato fuori dal cartello. Non appena se ne rendono conto, il cartello si disgrega.

Wiwo: Fino a quel momento, però, i fratelli del cartello sfruttano i cittadini.

Hoppe: Adesso che fa, lei si suicida per paura della morte? Se lei affida il compito allo Stato, esso ha dall’inizio un monopolio, di cui può abusare, per limitare la libertà dei cittadini.

Wiwo: Come pensa di trattare il problema delle esternalità in una società privata e senza Stato? Chi dovrebbe occuparsi, per esempio, che l’artefice di danni ambientali si sobbarchi anche i costi?

Hoppe: Il problema è facile da risolvere. Basta dare a chi è stato danneggiato il diritto di fare causa. Così esso può citare in giudizio il danneggiatore e chiedere il risarcimento dei danni. Nel XIX° secolo era usuale, che i cittadini citassero in giudizio le imprese, se queste avessero danneggiato le loro proprietà (dei cittadini) con danni ambientali. Più tardi lo Stato ha limitato questo diritto, per proteggere determinati settori industriali. È decisivo il fatto che il diritto a fare causa venga chiaramente ordinato. Il principio di base deve recitare: chi arriva primo ha la proprietà. Per esempio: se un’impresa fa uno stabilimento con elevata emissione di agenti inquinanti vicino a un centro abitato già esistente, gli abitanti hanno diritto di fare causa all’impresa. È un principio semplice, che capiscono anche i bambini. In America, al tempo dei cercatori d’oro, si svilupparono, senza partecipazione dello Stato, criteri, secondo i quali i cercatori d’oro delimitavano il proprio terreno. All’epoca c’erano persone, che registravano le cause. Ciò significa: questioni di proprietà si possono risolvere senza lo Stato.

Wiwo: lei, però, non può organizzare la difesa del Paese senza lo Stato. Nessuno può essere escluso dalla sicurezza, che un esercito garantisce. Quindi c’è bisogno dello Stato, per far partecipare i cittadini, con le tasse, ai costi dell’esercito.

Hoppe: Chi Le dice che tutti i cittadini vogliano essere difesi? Viviamo in un mondo della scarsità. Denaro, che viene speso per la difesa del territorio, non è più disponibile per altri scopi. Alcuni uomini non vogliono affatto essere difesi, bensì volano più volentieri, con i loro soldi, in vacanza alle Hawaii. In caso di attacco dall’esterno, probabilmente essi prenderebbero la decisione di lasciare il Paese e non avrebbero bisogno della difesa di un esercito. Lo Stato non ha alcun diritto di costringerli al finanziamento di forze armate tramite tasse. In una società senza Stato, gli uomini possono, se vogliono, formare piccole unità come le comunità di paese e difendersi da soli o ingaggiare servizi di sicurezza privati. Avrebbero la libertà di decidere da soli, per cosa spendere o loro soldi.

*Traduzione di Diego Tagliabue. Intervista della Wirtschaftswoche con il libertario e anarcocapitalista Hans-Hermann Hoppe
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Re: Economia

Messaggioda Berto » lun gen 06, 2014 12:52 pm

E’ in Europa, ma la Romania ha il costo del lavoro della Cina
http://www.lindipendenza.com/e-in-europ ... della-cina

Immagine
http://www.lindipendenza.com/wp-content ... omania.jpg


di GIULIO ARRIGHINI*

Leggo l’altra mattina una notizia dalle agenzie economiche. Leggo e rileggo ma è tutto vero. Guardiamo insieme: “Lo stipendio minimo obbligatorio netto in Romania è stato fissato, in seguita a una delibera del governo, a 189,5 euro, in aumento di 11,1 euro rispetto allo scorso anno. Questo valore corrisponde a un orario di lavoro complessivo di 168 ore lavorative alla settimana, con un costo minimo di un’ora di lavoro che è pari a 1,11 euro. Dall’aumento dello stipendio minimo obbligatorio beneficeranno 804.225 dipendenti romeni di cui 238.143 del settore pubblico e 566.112 del settore privato. Dal primo gennaio sono state aumentate anche le pensioni del 3,76 per cento e il livello medio della pensione in Romania si attesta cosi a 176,15 euro”.

La prima considerazione è che ciascuno a casa proprio può fare quel che vuole. La seconda è che non si può portare nell’area dell’euro un paese la cui competitività sul costo del lavoro è pari a quella della Cina senza immaginare che a casa nostra crolli tutto il sistema delle imprese, del manifatturiero, del made in.

E’ tutta una colossale presa per il sedere. I romeni vengono a lavorare in Italia a frotte per guadagnare quella che possiamo definire una fortuna, e le imprese vanno in Romania per guadagnare la loro fortuna, rivendendo sul nostro mercato un prodotto con un ricarico di base di almeno il 200 per cento. Possiamo dire che questo sia liberismo? Possiamo definirlo libero mercato? Quale alibi hanno i sindacati nel rivendicare i diritti dei nostri lavoratori davanti alla schiavitù persistente di un’ex regime comunista? Quali bandiere rosse vanno a sventolare in piazza quando a massacrare le fabbriche sono i costi del lavoro cinesi in Europa dentro il mercato della moneta unica? Ciascuno a casa propria faccia ciò che vuole ma aprire le porte al flusso di concorrenza senza il dazio della tutela della persona umana, del valore del lavoro, pari allo zero, in testa l’Europa delle grandi libertà, dove si vuole andare a parare?

Questo euro sì è il motore dell’autodistruzione. La parificazione forzata e obbligatoria di un mercato squilibrato, può generare giustizia sociale o innesca piuttosto le ragioni di una povertà più diffusa e livellante? E’ sparita la classe operaia, è sparito il ceto medio, è la sparita la forza lavoro intellettuale. A Grenoble, raccontava un amico professore che insegna lassù letteratura italiana, le generazioni di cittadini italiani stanno cambiando. Sono cambiate. Gli immigrati erano i pugliesi muratori, i coratini, i baresi, quelli che lavoravano di spatola e cazzuola. Oggi emigra il Nord laureato, i nostri giovani che da Milano o dalle università del Nord prendono la strada del Nord Europa per sopravvivere. I neuroni del Nord se li stanno accaparrando i centri scientifici francesi, svizzeri. Uno dei direttori scientifici a Grenoble di uno dei più grandi centri di ricerca dopo il Cern di Ginevra, è un promettente scienziato lombardo. Ma noi siamo nell’euro, e la Romania è la terra promessa che risolleva le sorti delle imprese. A 1,11 euro l’ora.

*Segretario Indipendenza Lombarda
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Re: Economia

Messaggioda Berto » ven gen 10, 2014 10:32 pm

Fassina, il figlio di una cultura fallita, che parla di fallimenti

http://www.lindipendenza.com/fassina-il ... fallimenti

di MATTEO CORSINI

Stefano Fassina, dimissionario viceministro dell’Economia in quota PD (sottosezione “giovani turchi”), pare non avere (ancora) digerito il fatto che Matteo Renzi sia diventato segretario del suo partito: “Il lavoro si crea con politiche macroeconomiche di sostegno della domanda aggregata, favorendo investimenti e consumi interni. E’ deprimente il ritorno dell’ossessione sull’articolo 18 e sulle regole dopo i conclamati fallimenti della ricetta neoliberista. I rottamatori dovrebbero rottamare anche i falliti paradigmi culturali ancora cari agli interessi più forti.”

Le bambinesche diatribe di questi giorni tra lui e il segretario sono l’ennesima prova. Quello di Fassina è peraltro un sentimento piuttosto diffuso tra tutti coloro che prima che esistesse il PD erano nei DS (e, per i meno giovani, PDS e PCI). Fassina è fautore di ricette keynesian-sinistrorse, e la cosa non deve neppure stupire. Ecco, quindi, il richiamo al sostegno alla domanda aggregata, che è un must keynesiano. A prescindere da ciò che si pensa circa l’opportunità che lo Stato favorisca (se così si vuol dire) la crescita di consumi e investimenti (personalmente credo, per esempio, che sarebbe meglio che evitasse di interferire con la domanda e l’offerta di mercato e abbandonasse l’idea di dover redistribuire la ricchezza), per come è stato costruito il concetto di Pil il “sostegno” alla domanda può essere dato abbassando le tasse oppure aumentando la spesa pubblica. In Italia si è a lungo praticata la seconda via, anche perché generalmente favorisce la conquista del consenso politico molto di più della riduzione delle tasse.

E’ evidente, tuttavia, che la situazione disastrata della finanza pubblica non consente di aumentare la spesa; quanto meno non consente di farlo in modo massiccio, dato che di regalie a destra e a manca continuano a esserne fatte, generalmente mascherate in emendamenti a provvedimenti legislativi che nulla avrebbero a che fare con le voci di spesa istituite/incrementate. E’ altrettanto evidente che la riduzione delle tasse, di per sé sacrosanta, può essere effettuata in misura percepibile (la riduzione del cuneo fiscale posta in essere con la recente legge di stabilità lascerà ai più fortunati 17 euro al mese in più, ed è evidente che si tratta di una cosa ridicola) dai cosiddetti contribuenti solo se si taglia con il machete la spesa pubblica. Invece il governo, al di là dei proclami, resta appeso alla speranza che diminuisca il costo del debito pubblico, una variabile sulla quale sarebbe bene non fare troppo affidamento e che non dipende direttamente da ciò che fa o non fa l’esecutivo, tranne (temporaneamente) nel caso in cui venga dichiarato il default.

D’altra parte alcuni membri del governo e della maggioranza che lo sostiene, tra i quali Fassina (?), non sono molto ben disposti nei confronti dell’idea di tagliare la spesa con il machete. E dato che essere contrari in toto è ormai una posizione politicamente indifendibile, solitamente parlano di tagliare solo non meglio specificati “sprechi”. Lo ripeto: non ci si deve stupire, soprattutto constatando il linguaggio tardocomunista con il quale tirano in ballo una altrettanto non meglio specificata “ricetta neoliberista” che sarebbe stata applicata in Italia (quando?) e avrebbe fallito. Sentire parlare di “falliti paradigmi culturali” certi signori, come Fassina, che ancora non si vergognano (quanto meno quando vanno in Europa) a definirsi socialisti (e che probabilmente sentono battere forte il cuore quando vedono una falce e un martello) è abbastanza deprimente, a mio avviso.


Comenti ==============================================================================================================================


Dino
10 Gennaio 2014 at 12:26 pm #
Non sono più di tanto sorpreso dal fatto che si facciano delle obiezioni a quelle che sono, probabilmente, le uniche cose sensate che siano mai state dette da un membro del PD.
Trovo scorretto associare l’analisi economica con l’ideologia politca: non si va da nessuna parte. Il concetto espresso da Fassina non è di sicuro farina del suo sacco e neanche appartiene al suo bagaglio culturale di ex comunista.
E’ un pensiero espresso da molte altre persone che hanno un minimo di cognizione di causa su come si possa salvare la libera impresa in una nazione in crisi. Se non è lo Stato che ha le potenzialità di poter far qualcosa chi dovrebbe farlo allora? Lo Spirito Santo? Se la memoria non mi inganna ricordo che doveva essere tutto risolto dal sig. Mario Monti che nel 2005 ricevette il premio della Friedrich August von Hayek Foundation. Ma, per carità, sbaglio anche io ad associare l’economia all’ideologia.

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pippogigi
10 Gennaio 2014 at 12:59 pm #
Se ho ben capito lei sostiene che solo lo Stato potrebbe salvare la libera impresa. Questo mi pare molto errato e vent’anni di disastri economici dovrebbero essere d’insegnamento.
Il supporto statale spesso finisce alle grandi aziende, ricordo che il 90% del gettito fiscale proviene dalle piccole e medie imprese, quelle grandi vanno avanti solo con i ricchi contributi statali ed altre operazioni di elusione ed evasione fiscale.
Proviamo invece a ribaltare la situazione e gestire lo Stato come dovrebbe essere gestito.
Per prima cosa una bassa tassazione sulle piccole e medie imprese, sui dipendenti, regole fiscali certe che non cambino ogni momento, studi di settore usati non per fare cassa ma per concordato preventivo: ci si accorda con il fisco su quanto pagare e per 5 anni un azienda è certa di non avere controlli.
Un altro problema è che le banche non fanno le banche: che se ne nazionalizzi un paio e si ricominci a fare credito alle aziende, magari solo con l’analisi dei business plan e non richiedendo ampie garanzie patrimoniali.
Ecco che allora le aziende si salverebbero da sole, avrebbero di nuovo credito, la possibilità di investire e rinnovarsi e praticare prezzi più bassi, la diminuita tassazione sulle buste paga farebbe ripartire i consumi, con essi le vendite e con esse le riassunzioni e l’apertura di nuove aziende.
Come si vede l’unica soluzione è “meno Stato” e non “più Stato”. I politici da quest’orecchio ci sentono poco, a loro piace avere risorse da distribuire, apparire come i babbi natale che assumono, fanno ed in cambio chiedono solo il voto…..
Infine ricordo a tutti una frase che disse Ringo Starr negli anni sessanta “tutto quello che lo Stato tocca si trasforma in mer**”, praticamente l’opposto del tocco di Re Mida….e non potrebbe essere altrimenti in qualunque azienda che assuma non in base alle capacità ma in base alle raccomandazioni (i capaci non ne hanno bisogno), le parentele, le amicizie, che consideri sullo stesso piano ua laurea ottenuta in un esamificio o in un ateneo prestigioso ed impegnativo, in base a concorsi truccati.

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Dino
10 Gennaio 2014 at 3:13 pm #
Posso ben capire che quando si nomina la parola “stato” ai più vien l’orticaria: è una reazione umana e comprensibile dal momento che lo stato italiano, nel corso degli anni, è diventato sinonimo di parassitismo, assistenzialismo, clientelismo, nepotismo ecc….
Bene, però quando io parlo di finanza funzionale non mi riferisco alla ormai defunta Italia bensì, dal momento che sono Veneto, mi riferisco al progetto della futura Repubblica Veneta. Il concetto di finanza “funzionale” lo associo ad un modello di stato altrettanto “funzionale”, di sicuro non è quell’incubo dal quale molti di noi vogliono giustamente fuggire.
Quandi lei dice che per rilanciare l’economia, oltre ad un drastico taglio delle tasse, è necessario nazionalizzare delle banche per ridare credito alle imprese implicitamente ammette un intervento di tipo statale. Anzi, secondo me, la nazionalizzazione degli istituti di credito è una teoria dal sapore molto marxista… Le banche private sono istituzioni pro-cicliche, cioè prestano denaro quando le cose vanno bene mentre quando vanno male chiudono i rubinetti. Il problema quindi resta sempre a monte, cioè il crollo della domanda aggregata, la spirale deflattiva, la disoccupazione e la conseguente agonia della libera impresa. Solo uno stato sano ed efficiente può attuare delle misure “tampone” durante questi momenti di difficoltà: attraverso drastici tagli della tassazione e attraversi interventi mirati e “chirurgici” di rilancio dell’impresa ovvero investimenti infrastrutturali e sui servizi e la riqualificazione della forza lavoro nullafacente (cioè i cassaintegrati). Come vede non sto parlando delle fallimentari politiche stataliste dell’Italia, la finanza funzionale è una teoria diametralmente opposta a quelle esperienze passate. Sono convinto che una piccola ed efficiente comunità, come potrebbe essere la Repubblica Veneta, possa programmare il suo rilancio economico attraverso questo tipo di politica economica.
Le parole di Fassina riportate nell’articolo, come ripeto, non sono farina del suo sacco, e non sono neanche sciocchezze: il problema è che si sta riferendo al Paese sbagliato, cioè l’Italia. E questo è un problema che in Veneto stiamo cercando di risolvere.

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Giuseppe d'Aritmaticea
10 Gennaio 2014 at 6:06 pm #
Credo che la spiegazione di Dino sia valida e nel contempo dia ragione a pippogigi: nella situazione attuale è assurdo anche solo pensare che strutture ormai mafiosizzate possano giovare. In futuro, quello che noi auspichiamo, la funzione dello Stato, in quanto struttura al servizio della collettività e volta al bene comune, potrà e dovrà essere quella pensata da Dino.
Dibattito produttivo, articolato e interessante, comunque. Finalmente…

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maboba
10 Gennaio 2014 at 10:47 am #
Non c’è niente da fare. Finchè nel potere statale e parastatale (media, magistratura, alta burocrazia etc.) rimarranno incistati coloro che si sono abbeverati (e però si sono pasciuti abbondantemente approfittando delle libertà di questo sistema occidentale) dell’ideologia marxista-leninista negli anni 60-70 saranno problemi per tutti ad uscire da questa crisi. Leggi, loro stesura e applicazione sono purtroppo nelle mani degli epigoni di uno statalismo fallimentare, dissipatore e finanche ladro, ma in Italia ancora troppo popolare non solo fra i politici purtroppo. Basti pensare al referendum sull’acqua, al perdurare di discorsi come “ridistribuire la ricchezza” etc. che servono solo a mascherare la difesa dei privilegi delle varie caste pubbliche, della “nomenclatura” di infausta memoria.

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Giuseppe d'Aritmaticea
10 Gennaio 2014 at 10:18 am #
In molti commenti su questo sito viene a evidenziarsi la consapevolezza che i coglioni marxisti, dopo aver rifiutato l’occasione loro offerta dalla possibile ristrutturazione federale dello Stato italiano, che sarebbe andata a loro principale vantaggio, tra l’altro, ora si approssimano a far accadere quel che successe venticinque anni fa nell’Unione sovietica, cioè nel loro Stato ideale e criminale: l’implosione, che avverrà presumibilmente più per opera loro che per l’efficacia delle azioni politiche degli indipendentisti/autonomisti e simili. Sarebbe stato bello vedere una tensione di pensiero in tal senso fra vecchio e nuovo, fra idealità e interessi di truppa: dovremo invece accontentarci del solo mortale calo di tensione da parte degli epigoni stortignaccoli di Stalin e Togliatti. Che anche questo si sappia.

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pippogigi
10 Gennaio 2014 at 9:42 am #
A gente come Fassina basterebbe ricordare che se le dottrine keynesiane, quelle con il moltiplicatore fiscale per cui 1 euro di tasse si trasforma in 1,5 o oltre di PIL, quelle della spesa pubblica finanziata con le tasse, non importa se spesa improduttiva, fossero giuste in italia tutti sarebbero ricchissimi.
Un esempio pratico: nel calcolare il PIl l’equazione è la seguente Y=C+I+G+(X-M), dove Y è il Pil, C i consumi finali, G la spesa pubblica, I gli investimenti, X e M esportazioni ed importazioni. Come si vede compare la spesa pubblica, ma la spesa pubblica è finanziata con tasse.
Non mi metto a fare una lezione di macroeconomia ma l’assurdità è che una Regione piena di industrie e servizi e che paga molte tasse (per esempio la Lombardia) ed una regione in cui è predominante la sfera pubblica e che paga poche tasse (quindi riceve soldi pubblici attraverso i trasferimenti o gli stipendi ai dipendenti pubblici, per esempio al Calabria)per assurdo per potrebbero avere lo stesso PIL.
Il limite di Keynes è di non tener conto sia della curva di Laffer (elaborata molto dopo) sia degli sprechi del settore pubblico.
Se due stati hanno la medesima tassazione e spendono la stessa cifra per costruire una strada per Keynes il risultato è analogo. Però se nella realtà il primo Stato completa la strada ed è quindi utilizzabile, mentre il secondo non la finisce (l’opera è costata di più, manca l’ultima galleria, l’ultimo viadotto) non è la stessa cosa.
Quindi tassare pesantemente il settore privato per creare posti di lavoro pubblici finti, con gente che passa il tempo a chiaccherare o timbrare il cartellino per poi uscire e farsi una passeggiata non è la stessa cosa che avere una bassa tassazione e permettere all’artigiano di produrre, vendere (la gente poco tassata può comperare) e magari assumere apprendisti che producano anch’essi.

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Giuseppe d'Aritmaticea
10 Gennaio 2014 at 10:34 am #
Bravo! Spiegazione molto chiara, anche se ovviamente parziale (lo dico per quelli che vanno a caccia del pelo nell’uovo per deviare e frammentare). Avanti così. Bravo!

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Federico Lanzalotta
10 Gennaio 2014 at 9:41 am #
“Lo Stato interferisce con la domanda e l’offerta di mercato e abbandonasse l’idea di dover redistribuire la ricchezza”
ma come può abbandonare simili idee un COMUNISTA di provata fede come Fassina?
Quelli sono i pilastri del pensiero comunista-statalista ed abbandonarli significherebbe decretare la propria fine.

REPLY
FrancescoL
10 Gennaio 2014 at 5:52 pm #
sono d’accordo al 110%, gente come Fassina non cambierà mai, la soluzione è cambiare noi, andandocene fisicamente o economicamente da questo schifo di paese.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Economia

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2014 10:53 pm

I numeri del fallimento italiano. E dicono che c’è la ripresa

http://www.lindipendenza.com/i-numeri-d ... la-ripresa

Ecco in sintesi i dati pubblicati da Wall Street Italia sulla situazione in Italia. Li riportiamo senza alcun commento, quelli li lasciamo ai lettori.

- Ammortizzatori: 80 miliardi erogati dall’Inps dall’inizio della crisi tra cassa integrazione e indennità di disoccupazione; a giugno, richiesta Cig in aumento + 1,7% rispetto a maggio e in calo -4,9% su giugno 2012 (fonte: Inps);

- Benzina: da gennaio a luglio 2013 i consumi di benzina sono calati -6,3%, per cui il gettito fiscale (accise e imposte) e’ sceso -2,9%. Considerando i primi sette mesi del 2013, i consumi petroliferi sono complessivamente scesi del 7,3% rispetto allo stesso periodo del 2012 (fonte: Unione Petrolifera);

- Cassa integrazione: nel complesso sono state autorizzate 704 milioni di ore nel periodo gennaio-agosto 2013 (fonte Inps); ad agosto Cig +12,4%. Salgono straordinaria e in deroga;

- Chiusura aziende: per la crisi, tra il 2008 e il 2012 hanno chiuso circa 9mila imprese storiche, con più di 50 anni di attività. Si tratta di 1 impresa storica su 4 (fonte: Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza);

- Competitività: Italia al 49° posto nel mondo, battuta anche da Lituania e Barbados (fonte: World Economic Forum);

- Consumi: nel periodo 2012-13 contrazione record dei consumi di -7,8% (fonte: Federconsumatori). Cio’ equivale ad una caduta complessiva della spesa delle famiglie (vedi sotto “Spesa famiglie”) di circa 56 miliardi di euro; a Natale 2013, i consumi delle famiglie italiane sono crollati -8.0% rispetto al 2012 (fonte: Codacons);

- Credito alle imprese: secondo la Bce nel luglio 2013 contrazione di -3,7%, superiore a quella registrata a giugno (-3,2%) e maggio (-3,1%). Prestiti bancari fino a 12 mesi, quelli piu’ adatti a finanziare il capitale circolante delle imprese: -4,0%. In fumo 60 miliardi di prestiti solo nel 2012;

- Debito aggregato di Stato, famiglie, imprese e banche: 400% del Pil, circa 6.000 miliardi;

- Debito pubblico: nuovo record a ottobre, a quota 2.085 miliardi di euro. Lo rende noto la Banca d’Italia nel supplemento al bollettino statistico di finanza pubblica. A settembre il debito delle pubbliche amministrazioni era stato pari a 2.068 miliardi. Gli interessi pagati dal Tesoro sono stati 86,7 miliardi nel 2012. Secondo le previsioni il debito pubblico salirà al 130,8% del Pil nel primo trimestre 2014, rispetto al 123,8% del primo trimestre 2012;

- Deficit/Pil: 2,9% nel 2013. Peggioramento ciclo economico Imu, Iva, Tares, Cassa integrazione in deroga lo portano ben oltre la soglia del 3%. Per la Bce ci sono rischi crescenti su obiettivi deficit 2013, peggiora disavanzo, con sostegni a banche e rimborso debiti PA;

- Depositi: nelle banche italiane in totale sono scesi nel luglio 2013 a 1.110 miliardi di euro contro i 1.116 miliardi di giugno. I depositi delle famiglie sono stabili a 918,5 miliardi, quelli delle società sono scesi da 198,4 a 191,6 miliardi (fonte: Bce);

- Disoccupazione: a luglio 2013 si attesta al 12% (fonte Istat). Disoccupazione giovanile balza al nuovo record negativo storico: 39,5%. Le domande di disoccupazione e mobilita’ sono salite +19,8% nei primi 7 mesi del 2013 (fonte Inps). Nell’Eurozona per il 2013 le stime confermano una disoccupazione al 12,3%, e per il 2014 al 12,4% (fonte Bce);

- Entrate tributarie: Le entrate tributarie nei primi 10 mesi dell’anno si sono attestate a 307,859 miliardi di euro, in calo di circa 1,4 miliardi rispetto ai 309,301 miliardi di euro dello stesso periodo del 2012. A ottobre sono state pari a 29,266 miliardi di euro, in lieve ribasso rispetto ai 29,601 miliardi dello stesso mese del 2012.

- Evasione: Nel 2013 5mila evasori totali e 17,5 miliardi nascosti. Secondo le stime elaborate dall’Istat l’imponibile sottratto al fisco si aggira ogni anno attorno ai 275 miliardi di euro;

- Export: a ottobre 2013 si registra una diminuzione sia dell’export (-0,5%) sia, in misura più rilevante, dell’import (-2,6%). (fonte: Istat); a ottobre 2013, il saldo commerciale è pari a +4,1 miliardi, superiore a quello registrato a ottobre 2012 (+2,3 miliardi). Al netto dell’energia, l’attivo è di 8,9 miliardi. Nei primi dieci mesi dell’anno, l’avanzo commerciale raggiunge i 23,7 miliardi e, al netto dei prodotti energetici, è pari a quasi 70 miliardi.

- Fabbisogno dello stato: sulla base dei dati preliminari del mese di dicembre, il fabbisogno annuo del settore statale del 2013 si attesta a 79,7 miliardi, che si confrontano con i 49,5 del 2012.

- Fallimenti: nel primo semestre 2013 si sono registrate 6.500 nuove procedure fallimentari, in aumento +5,9% rispetto allo scorso anno;

- Felicità: Italia depressa, il ‘fu-Belpaese’ è 45° nella classifica mondiale, stando al secondo Rapporto sulla Felicità dell’Onu;

- Fiducia aziende: l’indice composito sale da 79,8 di luglio a 82,2 di agosto.

- Fiducia consumatori: torna ai livelli massimi da due anni. Il clima di fiducia dei consumatori aumenta, ad agosto, a 98,3 da 97,4 del mese di luglio.

- Gettito Iva: nel periodo gennaio/aprile 2013 tra le imposte indirette prosegue l’andamento negativo dell’IVA (-7,8%) per effetto della flessione registrata dalla componente relativa agli scambi interni (-4,7%) e di quella relativa alle importazioni da Paesi extra UE (-21,4%) che risentono fortemente del deterioramento del ciclo economico;

- Immobiliare: nel primo trimestre 2013 l’indice dei prezzi delle abitazioni ha registrato una diminuzione dell’1,2% rispetto al trimestre precedente e del 5,7% nei confronti dello stesso periodo del 2012 (fonte: Istat);

- Inflazione. Nel 2013 in Italia il tasso d’inflazione medio annuo è stato pari all’1,2%, in decisa diminuzione rispetto al 3% del 2012. Si tratta del dato più basso dal 2009.

- Insolvenze bancarie: quelle in capo alle imprese italiane hanno sfiorato a maggio 2012 gli 84 miliardi di euro (precisamente 83,691 miliardi);

- Lavoro: Lavoro: 6 milioni in cerca e 7 su 10 temono di perderlo (fonti: Istat e Coldiretti);

- Manifattura: l’indice Pmi è salito a 51,3 punti ad agosto, dai 50,4 del mese precedente, segnando il livello massimo da 27 mesi a questa parte. Secondo Markit alla base dell’espansione della produzione c’è stato un incremento dei nuovi ordini, il più marcato in oltre due anni, in particolare dall’estero.

- Neet: 2,2 milioni nella fascia fino agli under 30, ragazzi che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, i totalmente inattivi sono il 36%;

- partite Iva: crollate -400.000 (-6,7%) dal 2008 (fonte Cgia Mestre);

- poveri: per la crisi sono raddoppiati dal 2007 al 2012 a quasi 5 milioni (fonte Istat);

- Prezzi produzione: l’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è aumentato a luglio dello 0,1% rispetto al mese precedente e diminuito dello 0,9% nei confronti di luglio 2012. Lo ha comunicato l’Istat.

- Pil: il Prodotto interno lordo dell’Italia, ovvero la ricchezza complessiva del paese, alla fine del 2012 era di 2.013,263 miliardi di dollari (dati Ocse) o 1.565,916 miliardi di euro (fonte: relazione del governo al Parlamento – 31 marzo 2013). Nel secondo trimestre il Pil Italia è stato confermato in contrazione -0,2% dopo il -0,6% nei primi tre mesi dell’anno. Comparando il secondo trimestre del 2013 con gli stessi mesi dell’anno precedente il calo è -2,0% (fonte: Eurostat). S&P ha abbassato la sua previsione di crescita 2013 per l’Italia, a -1,9% rispetto al -1,4% previsto a marzo 2013 e al +0,5% stimato a dicembre 2011. L’ultima previsione dell’Istat per il 2013 e’ -2,1%. Il Fmi ha tagliato le stime del pil Italia 2013 a -1,8%. Anche l’Ocse prevede una contrazione di -1,8%, unico paese in recessione del G7. Nel 2012 il Pil ha subito una contrazione di -2,4%. E un crollo senza precedenti di -8,8% dall’inizio della crisi nel secondo trimestre del 2007 (fonte Eurostat);

- Potere d’acquisto delle famiglie: -2,4% su base annua, -94 miliardi dall’inizio della crisi, circa 4mila euro in meno per nucleo;

- Povertà. Nel 2012 la povertà assoluta ha colpito il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5% al 6,4%). E’ quanto emerge dal quarto Rapporto sulla Coesione sociale presentato da Inps, Istat e ministero del Lavoro.

- Precariato: contratti atipici per il 53% dei giovani (dato Ocse);

- Produzione industriale: crollata -17,8% negli ultimi dieci anni. La produzione industriale e’ calata -1,1% a luglio 2013 e -4,3% rispetto a luglio 2012 (fonte Istat);

- Reddito famiglie: nel 2013 e’ tornato ai livelli di 25 anni fa, oggi 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988 (fonte: Confcommercio);

- Ricchezza: dall’inizio della crisi nel secondo trimestre del 2007 il pil e’ crollato -8,8% (fonte: Eurostat), pari a una perdita di oltre 150 miliardi di euro. L’Italia comunque e’ il paese piu’ ricco in Europa per via del patrimonio immobiliare dei cittadini ma tra quelli a minor reddito e con il piu’ alto tasso di poverta’: la ricchezza netta pro-capite, pari a 108.700 euro, supera di poco quella dei francesi (104.100 euro) e dei tedeschi (95.500 euro) (Fonte Bce-Bankitalia);

- Servizi: il fatturato delle aziende che operano nel settore servizi (80% del Pil Italia) nel secondo trimestre 2013 risulta in calo -2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; l’indice Pmi relativo alle imprese dei servizi in Italia resta sotto i 50 punti (che indica contrazione): 48,8 ad agosto (fonte: Markit);

- Sofferenze bancarie: in totale sono passate dai 115,8 miliardi di agosto 2012 al nuovo record di 141,8 miliardi di agosto 2013 (+22,4%) in aumento di 25,9 miliardi (Fonte: Centro studi Unimpresa, su dati Bankitalia);

- Spesa famiglie:: prosegue il calo della spesa delle famiglie italiane, nel secondo trimestre del 2013 si contrae -3,2%, e per i beni durevoli -7,1% (fonte: Istat);

- Tasse: 262 scadenze per i cittadini italiani dall’Irpef, all’Iva, all’Irap, etc. Il livello eccessivo di tassazione provoca un effetto negativo, noto come curva Laffer e non e’ compatibile con la crescita;

- Spesa pubblica: in 15 anni è salita +69% a 727 miliardi. Rispetto a una ricchezza di 1.565 miliardi di euro, lo stato spende il 48% del pil. E con gli interessi sul debito pubblico supera il 52%;

- Vendite al dettaglio: in calo a giugno 2013 -3% su base annua, -0,2%. Nel trimestre aprile-giugno 2013 l’indice è calato -0,3%.

FONTE ORIGINALE: wallstreetitalia.com
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Re: Economia

Messaggioda Berto » dom gen 26, 2014 9:31 pm

Sto economista (?economista?) el se ga dexmentegà ke se pol redur la spexa piovega e el costo de li spreki e de li parasidi, altro ke tornar a la lira e a la soranetà nasional taliana par poder xvalutar o stanpar skei par conprar titoli de stato da vendarghe a la xente come fumo ... :

http://www.claudioborghi.com
http://www.youtube.com/watch?v=gu7IY7VveHs#t=809

Ke fanfaron!


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“Basta euro tour”: un manuale e sette tappe con Salvini e il prof. Borghi

http://www.lindipendenza.com/basta-euro ... rof-borghi

Immagine

Un manuale in 31 punti e sette tappe, da Firenze a Bergamo, per spiegare perche’ “uscire dall’euro conviene”. Prendera’ il via domenica dalla citta’ amministrata da Matteo Renzi il ‘Basta euro tour’ organizzato dalla Lega Nord in vista delle europee. Protagonista, insieme al segretario federale Matteo Salvini, Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Universita’ Cattolica di Milano. Noto per le sue posizioni euro-critiche, Borghi era intervenuto anche al congresso federale del Movimento il 15 dicembre. Dopo Firenze (appuntamento domenica alle 10:30 all’Auditorium al Duomo in via de’ Cerretani) le prossime tappe saranno a Milano il 22, a Torino il 15 marzo, a Padova il 23, a Genova il 5 aprile, a Bologna il 19 e a Bergamo il 26. Durante gli incontri sara’ distribuito un librettino ‘Basta euro, come uscire dall’incubo: 31 domande, 31 risposte, la verita’ che nessuno ti dice’. ???

Comento===============================================================================================================================

Giacomo
11 Febbraio 2014 at 5:44 pm #
Io da padano voglio più Europa, più Lombardia, e soprattutto meno italia….Mi sembra che posizioni come queste invece faranno ottenere “più italia” e basta, cavalcando il peggior nazziunalismo all’amatriciana…ma alla lega 2.0 del trio Tosi-Maroni-Salvini, coi loro compari di estrema destra pare che “più italia” vada benissimo.
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