Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » dom apr 27, 2014 7:32 am

Eurobond, l’ultima frontiera del delirio degli stampatori

http://www.lindipendenza.com/eurobond-l ... stampatori

di MATTEO CORSINI

Anna Maria Bernini, vice presidente vicario di Forza Italia a palazzo Madama, si è subito impegnata a diffondere il messaggio di Berlusconi in vista delle elezioni europee. Eccone un esempio: “Tutti i moderati italiani possono riconoscersi nella ricetta europea concreta e coerente di Forza Italia lanciata da Silvio Berlusconi: una UE politicamente forte, non debole come nella crisi ucraina, con una politica economica rifondata e rinnovata, la possibilità di sforare il tetto del 3 per cento e i vincoli del Fiscal Compact, e una Banca centrale che diventi un potente strumento di crescita in quanto prestatrice di ultima istanza capace di emettere eurobond”.

Non ci sono grandi elementi di novità rispetto agli ultimi mesi, ma confesso che l’emissione di Eurobond da parte della BCE non l’avevo ancora sentita. Già Tremonti, tra gli altri, aveva auspicato l’istituzione degli Eurobond come via per mutualizzare una parte del debito pubblico italiano (facendolo in sostanza pagare anche ad altri), ma le diverse varianti di Eurobond fin qui proposte prevedevano l’emissione da parte di una sorta di ministero dell’Economia o agenzia del debito a livello europeo. Sarà stato forse per semplificare le cose, ma adesso Berlusconi parla di far emettere titoli di debito direttamente alla BCE.

Il problema è che emettendo obbligazioni, la BCE ritirerebbe liquidità dal mercato, a meno che poi non consentisse alle banche acquirenti di utilizzare quegli stessi titoli come collaterale per ottenere finanziamenti dalla BCE stessa. Per di più il denaro riveniente dal collocamento sarebbe nelle disponibilità della BCE (che avrebbe acceso una passività a lungo termine a fronte della riduzione per lo stesso importo di una passività a vista), non dei governi europei. Quindi si dovrebbe poi imporre alla BCE di finanziare i governi, ma allora tanto varrebbe utilizzare la soluzione “standard” dell’emissione di titoli da parte di un’agenzia del debito europea, oppure imporre alla BCE di monetizzare tutti i debiti pubblici senza se e senza ma, evitando specchietti per le allodole di obbligazioni che non saranno mai realmente rimborsate.

Nel delirio stampatore che vede nell’aumento della quantità di moneta fiat la soluzione a gran parte dei mali europei (l’altra soluzione sarebbe far aumentare il deficit oltre il 3 per cento, non si sa fino a che limite) non credo ci si debba più meravigliare di niente, ma ho la sensazione che spesso chi parla di queste tematiche abbia una conoscenza degli aspetti tecnici meno che approssimativa. In ogni caso le presunte soluzioni sono già state sperimentate nel corso della storia, e non hanno fatto altro che rivelarsi per quello che sono: illusioni di creazione di ricchezza reale dal nulla che nascondono null’altro che redistribuzione e sono destinate a dar luogo a crisi peggiori di quella che si intenderebbe risolvere.

Comenti===============================================================================================================================


Albert Nextein
23 Aprile 2014 at 3:36 pm #
Eurobonds, se non ho capito male, è la creazione dell’acquisitore di titoli in ultima istanza.
La Bce acquisterebbe i titoli del debito di ogni singolo stato dell’unione europea ed emetterebbe Eurobonds.
Se non ho capito male.
Se è così, tra le discriminanti del mio eventuale voto europeo, sempre se ci andrò a votare, pongo la questione degli Eurobonds.
Chi perora e chiede gli Eurobonds non avrà il mio eventuale voto.


Alessandro F.
23 Aprile 2014 at 2:22 pm #
Purtroppo la litania secondo cui la stampa di denaro sarebbe fonte d ricchezza e motore della crescita economica viene ripetuta con tale ossessiva insistenza che pochi restano tra coloro che ne dubitano. La cosa più bella è far notare ai cantori della stampante di soldi come casi storici (la Repubblica di Weimar) o moderni (lo Zimbabwe) dimostrino in modo molto chiaro che stampare denaro non serve a niente. La reazione, tra i migliori, è stupita o incredula e c’è la speranza di suscitarne la curiosità intellettuale seminando qualche dubbio rispetto alla vulgata tele-giornalistica. La gran massa delle persone, confrontata con temi monetari assume l’espressione del bove al passaggio del treno. Che vittoria per i solerti indottrinatori di stato!


Giacomo Consalez
23 Aprile 2014 at 1:30 pm #
Grazie a Matteo Corsini.

Un’annotazione: c’è una prestigiosissima collana di riviste scientifiche che si chiama Nature Reviews, che pubblica delle rivisitazioni critiche dei principali lavori scientifci recentemente pubblicati in ciascun settore delle scienze della vita (Oncologia, Neuroscienze, Immunologia, Genetica etc.). Queste pubblicazioni contengono, sul lato sinistro del testo, un glossario di alcuni termini cruciali usati nell’articolo.
Una soluzione di questo genere potrebbe essere molto utile a chi economista non è per interpretare correttamente articoli di macroeconomia come questo. Un lettore “laico”, per quanti sforzi faccia non riuscirà a cogliere alcune delle finezze tecniche sopra esposte. Io, ad esempio, mi occupo di tutt’altro, dunque mi sfuggono diversi dettagli, A volte un glossario mi sarebbe d’aiuto.
Thanks for your attention :-)


Roberto Porcù
23 Aprile 2014 at 12:20 pm #
IMBROGLIONI !
L’associazione a delinquere di stampo politico-burocratico si muove traversalmente contro la moneta unica ed i vincoli di bilancio per continuare a sperperare.
Non è l’euro la fonte dei nostri mali, ma quella lira drogata da continue svalutazioni che facevano pagare a tutti i Cittadini i privilegi e le prebende di una casta parassitaria gonfiata a dismisura.
Una casta che non accetta ora di sgonfiarsi e finirà con far scoppiare l’Italia.
Ricordiamocene e facciamo pagare loro il frutto della loro condotta quando la gente deciderà di non suicidarsi più ed arriverà il momento della resa dei conti.
Dallo scoppio dell’Italia nasceranno altre entità.
Per quella che auspichiamo per il Veneto, poniamo vincoli affinché non possano accasarvisi, ad ogni livello, personaggi che siano già stati al soldo dell’Italia.
A noi servirà un lungo periodo di quarantena.


Diego Tagliabue
23 Aprile 2014 at 12:07 pm #
Eurobonds = cassa del mezzogiorno d’Europa = megaterronata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2015 10:51 am

IL BAZOOKA DI MARIO DRAGHI E LA LEZIONE DI ADAM SMITH di GERARDO COCO

http://www.miglioverde.eu/il-bazooka-di ... adam-smith

La Banca Centrale Europea ha varato il quantitative easing, lunedì 9 marzo, per una curiosa coincidenza, lo stesso giorno del 239esimo anniversario della pubblicazione della Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith. Qual è il nesso? Il nesso è che le pratiche di espansione monetaria non convenzionali risalgono addirittura ai secoli XVI-XVII e furono screditate proprio dal grande economista scozzese come concezione miracolistica dello sviluppo. La sua famosa opera può essere interpretata come una critica al Mercantilismo, ossia quella dottrina dell’interventismo economico che si tradusse in un sistema di sussidi, divieti, restrizioni, pratiche redistributive, legislazione farraginosa e il cui corollario fu un apparato pianificatore il cui sostentamento richiedeva una tassazione oppressiva e un’espansione monetaria inflazionista. Ma questo è anche il mondo attuale, una riedizione del mercantilismo in forma estrema o “neo mercantilismo” che solo gli ignoranti scambiano per neoliberismo.

Nell’arsenale programmatico mercantilista la politica monetaria era il motore principale del progresso economico. Le espansioni monetarie sbrigliate però, segnarono l’inizio delle grandi speculazioni di cui il banchiere John Law (1671-1729) fu uno dei famosi rappresentanti. Law escogitò un piano per risanare il debito pubblico della Francia basato su un istituto di emissione che doveva finanziare nel Mississippi, allora territorio francese, un progetto grandioso di sfruttamento commerciale e i cui proventi avrebbero ripagato il debito pubblico.

Scrive Smith: «L’idea di moltiplicare denaro senza limite era la vera base di quello che veniva chiamato il piano del Mississippi, forse il più stravagante progetto riguardante le attività bancarie». Si trattava di un piano di quantitative easing ante litteram: La liquidità della banca di stato, erogata in cambio di titoli del debito pubblico, fu impiegata per acquistare le azioni dell’iniziativa facendone lievitare prezzo: insomma la tipica operazione moderna bancaria di cash for trash.
L’esperimento si concluse con dei più disastrosi boom inflazionistici e collassi valutari della storia, centinaia di migliaia di persone si rovinarono e Law per salvare la pelle dovette riparare all’estero.
Law è il precursore dei banchieri centrali moderni. Supponiamo che il mondo di allora fosse stato globalizzato e interconnesso come l’attuale e impregnato della stessa cultura monetarista: le banche di altri paesi comprando i titoli tossici e monetizzandoli avrebbero avvelenato l’economia mondiale. Per fortuna in Inghilterra prevalse la cultura di Smith e quella dei successivi economisti classici rendendo il loro paese il più avanzato del mondo e, Londra, il mercato monetario e finanziario più efficiente mai esistito.
Alla base dell’universo di errori del monetarismo c’è per Smith la confusione fra denaro e capitale. «Il denaro che circola in un paese, scrive Smith, si può paragonare a una strada maestra che, pur essendo il mezzo per far circolare e trasportare al mercato tutti i prodotti, non ne produce nessuno»… «il denaro è il mezzo attraverso il quale l’intero reddito della società viene regolarmente distribuito tra tutti i suoi diversi membri… Il grande meccanismo della circolazione è completamente diverso dai beni che per suo mezzo vengono fatti circolare. Il reddito della società consiste interamente in quei beni e non dal meccanismo che li fa circolare». Ciò che crea la produzione, cioè i beni, non è il denaro ma il capitale. Per qualsiasi individuo é una verità di immediata evidenza che ciò che risparmia aggiunge al suo capitale che gli permetterà investimenti e quindi reddito per maggior consumo futuro. Ciò che vale per l’individuo vale per la società nel suo insieme. Smith scrive: «come il capitale di un individuo può essere accresciuto soltanto mediante quello che egli risparmia del suo reddito annuale, così il capitale di una collettività, che si identifica con quello di tutti gli individui che la compongono».

Per l’uomo della strada ciò che è risparmiato non è consumato.
Egli pensa che risparmiare significhi tenere per sé, mentre spendere significa distribuire agli altri. La parola risparmio, invece, non implica che ciò che è risparmiato non è consumato e nemmeno che il consumo ne sia differito ma soltanto che non viene consumato dalle stesse persone che lo risparmiano. Risparmio significa non spendere per il consumo ma spendere per i mezzi di produzione (materie prime, beni strumentali durevoli e salari) perché chi risparmia cede i propri fondi a chi li impiega come capitale nel processo produttivo trasferendo il potere di consumo a quei lavoratori che producono i nuovi mezzi di produzione. Il risparmio è dunque spesa di risorse consumate per fini di riproduzione.

Il suo mezzo di trasferimento è, ovviamente, il credito la cui funzione monetaria non è creare capitale ma di renderlo disponibile, mettendolo, per così dire, in condizione di completa attività in tutto il sistema economico. In nessun caso la sua espansione può accrescere lo stock di capitale esistente che presuppone il risparmio. E’, infine, l’aumento dello stock di capitale che aumenta la produttività e il tenore di vita.

Questa, in sintesi, la lezione “antimercantilistica” di Smith.

Le recessioni e depressioni sono quindi la conseguenza del tentativo di creare o «anticipare» capitale sulla base dell’espansione monetaria, invece che su quella del risparmio. Crea euforia, ottimismo e illusione di crescita ma alla fine si traduce sempre in investimenti rovinosi che minano l’accumulazione di capitale, la capacità di produrre, di consumare e rimborsare il credito.

La forma “eterna” dell’economia è, in fondo, quella dell’agricoltore che coltiva il campo grazie alla semente (il capitale) per ottenere il grano (la ricchezza) la cui vendita gli consente di ricostituire la semente e ottenere ogni altro bene che gli è necessario. Non si può ottenere grano senza aver prima accantonato la semente. Semente e grano sono espressi in moneta che è solo il titolo rappresentativo per farli circolare.

Ma è folle pensare di accrescere semente e grano aumentando la circolazione dei titoli che li rappresentano. Altrimenti a cosa servirebbe lavorare, produrre e risparmiare? Eppure a scorno della logica, la concezione miracolistica dello sviluppo neomercantilista ha acquistato dignità scientifica.
Finché si continuerà a credere alle assurdità, diceva Voltaire, si continueranno a commettere atrocità.
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » mer mag 27, 2015 10:31 pm

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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » ven ago 21, 2015 4:45 pm

???
Tutto quello che pensate di sapere sui soldi è sbagliato
agosto 21, 2015
Di Joseph Cox
http://www.vice.com/it/read/felix-marti ... -macro-389

Ogni summit dei vertici economici mondiali è accompagnato da proteste contro il capitalismo e il denaro. Ma mi chiedo se a volte questi manifestanti non sbaglino bersaglio—se non ci sia qualcosa di più importante del capitalismo da cambiare.

Felix Martin è bond investor e membro del think tank newyorkese Institute of New Economic Thinking. Ha scritto per il Financial Times e il New Statesman, tra il 1998 e il 2008 ha lavorato alla Banca Mondiale e in qualche modo ha anche trovato il tempo di laurearsi in Lettere antiche, Economia e Relazioni internazionali. Nel suo libro del 2013 Money, The Unathorized Biography spiegava che il modo comune di pensare ai soldi non è solo del tutto sbagliato, ma anche pericoloso. Nel libro offriva un'alternativa che aprirebbe nuovi scenari per l'economia, i governi di tutto il mondo e il capitalismo stesso.

L'abbiamo contattato per scoprire perché abbiamo tutti bisogno di cambiare il nostro modo di considerare i soldi.

Felix Martin

VICE: Ciao Felix. Cosa pensano le persone dei soldi?
Felix Martin: Direi che la maggior parte delle persone pensa che i soldi siano un oggetto tale e quale a un tavolo, una macchina o un libro—puoi possederli. Perciò, quando ho dei soldi sul conto, possiedo qualcosa. Il che va a braccetto con l'idea diffusa dell'origine dei soldi. Secondo questa idea, tanto tempo fa si usava il baratto, ma era un metodo poco efficace perché funzionava solo se qualcun altro aveva bisogno di quello che offrivi tu, e viceversa. Perciò, qualche mente brillante avrà pensato che era necessaria una cosa che tutti avrebbero accettato—anche se di per sé non serve a nulla—che funzionasse come "metodo di scambio".

Il denaro contante.
Sì, di solito d'oro o d'argento, per motivi diversi—durata, rarità eccetera. Poi, a un certo punto, qualcuno ha avuto l'idea di prestare e prendere in prestito il denaro, ed è stato l'inizio dei crediti e dei debiti. Poi, alcune istituzioni si sono specializzate in queste transazioni, e sono nate le banche. È una storia molto plausibile. Facile da credere e con una sua logica. Il problema è che è storicamente falsa, e storici e antropologi sanno da un sacco di tempo che è falsa, ma gli economisti no.

Ma cosa cambia se abbiamo un'idea sbagliata dei soldi, se comunque sappiamo usarli? È importante sapere come è andata davvero?
Assolutamente. C'è anzitutto una ragione storica. Se vuoi capire la nostra storia—come la nostra società si è evoluta, da dove viene il capitalismo e come si è creata l'attuale distribuzione della ricchezza—devi avere ben chiaro da dove viene il concetto di denaro e cosa significa oggi.

E il denaro ha un grossissimo impatto sulle nostre vite, immagino.
Sì, molti aspetti della nostra vita oggi vengono misurati in soldi. L'idea di applicare un concetto di valore monetario a tutto è ovunque. Si applica alla vita umana, a qualcuno che fa i lavori domestici—a tutti quei servizi che non erano considerati da un punto di vista economico anche solo una o due generazioni fa—e questo è un cambiamento fondamentale. Se pensi ai soldi solo come una cosa, e agli effetti dei mercati azionari come totalmente scissi da questa cosa, non puoi capire davvero cosa succede. Ecco: se vogliamo capire il nostro passato, se vogliamo capire come siamo arrivati fin qui, abbiamo bisogno di guardare le cose sotto la giusta prospettiva.

E della crisi degli scorsi anni cosa ci dici? È stata causata anche dalla nostra incapacità di comprendere come funzioni davvero il denaro?
C'è una differenza cruciale tra le crisi in cui le persone sanno perfettamente come funziona il sistema e cosa è andato storto e le crisi in cui non è così. E la crisi degli ultimi anni è un esempio del secondo tipo. Il che porta spesso al punto in cui la gente inizia a dire che il nostro sistema è sbagliato—ma questo non è vero, è un grande sistema. Ma il nostro sistema funziona solo quando le persone lo capiscono; quando qualcosa va storto, si riesce allora a identificare chi e quali istituzioni ne sono stati responsabili. E alla base della nostra incomprensione c'è un'idea sbagliata di cosa siano i soldi.

Quali sono le alternative che vengono proposte di solito?
Alcune persone pensano che dovremmo passare a qualcosa di totalmente diverso—per lo più un sistema comunista. Ci sono anche quelli che spingono per una società non basata sul denaro, ma basta ricordare la Russia sovietica per capire che non è una buona opzione. La cosa buona dei soldi è che regalano la libertà individuale: dalla gerarchia sociale, dalla gerarchia famigliare etc. E queste sono cose da incoraggiare.

Ok, ma allora ci spieghi cosa sono i soldi?
Nel Pacifico c'è un'isola che si chiama Yap. Gli esploratori che ci sono arrivati nel ventesimo secolo pensavano che ospitasse una società primitiva da un punto di vista economico, basata sul sistema del baratto. Ma hanno trovato una situazione completamente opposta. Gli abitanti avevano una valuta: il fei, una ruota di pietra, pesante e di grandi dimensioni il cui diametro poteva arrivare anche a tre metri, con un buco nel mezzo. Ma non se li scambiavano fisicamente come facciamo noi con le banconote. I debiti contratti a ogni transazione venivano appoggiati gli uni agli altri, e il bilancio pendente veniva spinto fino allo scambio successivo.

La cosa davvero incredibile era che un fei era caduto in mare ed era affondato. Perciò, anche se non c'era un oggetto monetario da vedere, c'era l'idea di valuta—la relazione soggiacente tra crediti e debiti tra le persone. I soldi sono questo; non una cosa o un oggetto, ma una serie di idee che rendono possibili i commerci.

Non è un po' come i lingotti d'oro che ci sono nelle banche? L'oro per cui una banconota funziona come una sorta di cambiale?
Non c'è oro nelle nostre banche. Alcune banche inglesi hanno cominciato come oreficerie, ma la storia della banca moderna non nasce così. È tutto nato con i commercianti, che accumulavano crediti e debiti e poi se li passavano. Il denaro non ha niente a che fare con un oggetto fisico. È esattamente lo stesso di quello che succede alle borse finanziarie, a Wall Street per esempio. Non è più una questione di soldi veri, ma di informazioni che passano sugli schermi. Quello che succede è che dei titoli finanziari vengono manipolati e scambiati—e i titoli sono dei "pagherò".

E in ultimo, cosa ne pensi di BitCoin? È davvero una valuta rivoluzionaria come pensano molti?
I difensori di BitCoin proclamano che sia la prima valuta privata e virtuale. La verità è che tutto il denaro è virtuale, perché il denaro—a differenza delle monete e delle banconote usate per tenere traccia degli spostamenti di denaro—è un insieme di idee e di relazioni. Per quanto riguarda la parte del "privato" le banche commerciali non appartengono allo stato—sono private.

Grazie, Felix.
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » gio mag 12, 2016 4:45 am

Dracme veneteghe
viewtopic.php?f=43&t=600
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » ven giu 03, 2016 3:25 pm

BITCOIN & CRIPTOVALUTE, IL DENARO NON PUÒ ESSERE UN’ENTITA MATEMATICA

di GERARDO COCO

http://www.miglioverde.eu/bitcoin-cript ... matematica

Le monete digitali, o criptovalute, permettono di effettuare pagamenti online direttamente da un soggetto ad un altro, in modo anonimo, senza passare attraverso il sistema bancario e sono gestite collettivamente dal network degli utilizzatori (i nodi della rete). Sono il risultato di una formidabile tecnologia, la blockchain, un database progettato per fare transazioni e assimilabile a un estratto conto pubblico che conferma e convalida tutte le transazioni. L’intero network conosce il saldo di ogni portafoglio digitale esistente e invalida qualsiasi tentativo di manipolazione. Sono frazionabili all’infinito e quindi utilizzabili per ogni tipo di pagamento. La quantità delle cripto valute, predeterminata da un algoritmo che ne riproduce la scarsità, non può essere inflazionata. Ciò che resta da capire è se impulsi magnetici, ossia «non cose» possano costituire il fondamento di un sistema monetario di un’economia complessa.
Circa due secoli fa, l’uomo d’affari ed economista David Ricardo (1772-1823) fece questo ragionamento. Supponiamo, scrisse, che in un mercato chiuso circoli un milione di monete d’oro e che ciascuna moneta contenga cento grani d’oro fino. Data una certa velocità di circolazione e una certa quantità di merci si avrà un certo livello di prezzi. Supponiamo, ora, che il governo tolga da ogni moneta 10 grani. Allora ogni moneta non conterrà che 90 grani ma malgrado ciò, il livello dei prezzi (cioè il valore della moneta) non sarà alterato se lo stesso numero di monete resta in circolazione. Il governo può continuare a togliere oro dalle monete 20, 30 grani e così via, finché tutto l’oro è tolto e le monete diventano semplici gettoni senza “valore intrinseco”: se la quantità non è aumentata, la capacità di acquisto della moneta gettone sarà la stessa di quella della moneta aurea. Si conclude quindi che anche se la moneta è formata da una sostanza priva di qualsiasi utilità diretta, essa conserva valore (cioè capacità di acquisto rispetto alle merci), purché sia emessa in quantità limitata. Quindi, in base a questo ragionamento anche «gettoni magnetici» come le criptovalute prodotte dai computer, sarebbero denaro.
Molti, tra cui i creatori delle monete digitali, hanno preso alla lettera questo celebre esempio, trascurando che nel sistema ricardiano l’oro non scompare affatto perché il valore dei sostituti monetari (i gettoni), affinché non si inflazioni, deve essere sempre equivalente a quello della quantità d’oro che essi sostituiscono nella circolazione. L’esempio fu solo un tentativo pedagogico di spiegare il nocciolo della teoria quantitativa (per mantenere il valore di una moneta bisogna limitarne la quantità) e convincere della convenienza a usare sostituti monetari al posto dell’oro, troppo costoso a prodursi per la circolazione interna. È l’essenza del Gold Exchange Standard, ideato proprio da Ricardo e durato fino al 1971. In questo sistema l’oro è il mezzo di pagamento internazionale (e l’argento moneta sussidiaria), serve a saldare i deficit commerciali e presuppone necessariamente un rapporto di conversione con i sostituti monetari di cui impedisce emissioni arbitrarie.

Se si fossero ricordati di tutto questo, i creatori delle monete digitali avrebbero evitato clamorosi errori il primo dei quali è di averne fissato unilateralmente e a priori la quantità con un algoritmo. Nella realtà il denaro non può essere una quantità fissa. Ricardo, infatti, parla di quantità limitata, non fissa e fa riferimento a un livello di prezzi e a una velocità. Se chiamiamo P il livello dei prezzi, M la quantità di moneta, V la sua velocità e Q la quantità di merci prodotte, l’equazione P=MV/Q, che esprime la teoria quantitativa nella sua forma più semplificata, può essere risolta solo dal mercato non da un algoritmo. Altrimenti si cade nell’errore dei pianificatori che, «regolamentando», ottengono risultati opposti a quelli desiderati.

Se l’offerta monetaria resta fissa, il valore dipende ovviamente dalla domanda e se c’è un’aspettativa di rialzo, si arriva al paradosso di far apprezzare le valute digitali come quadri d’autore o come francobolli rari come infatti è accaduto dal 2010 al 2013 quando i bitcoin si sono rivalutati 20.000 volte. Chi li ha acquistati ha fatto un investimento speculativo. Bene. Ma allora non si tratta di denaro che è numerario e unità di conto la cui caratteristica è la stabilità non la volatilità.
Accortisi dell’errore gli analisti hanno cercato di modificare l’algoritmo in modo da far coincidere domanda e offerta. Altro ma stesso errore. La domanda aggregata consiste delle domande di milioni e milioni di individui che vengono riadattate costantemente in risposta alle continue mutazioni dell’economia, degli stili di vita e della tecnologia. Pensare di calcolarla matematicamente è una follia collettivista.
Quanto al problema del credito non è stato neppure sfiorato. Le valute digitali possono andar bene per micro pagamenti ma non per un’economia creditizia dove le transazioni non sono regolate a pronti. I periodi di produzione non coincidono con quelli delle vendite, l’attività economica è caratterizzata da fluttuazioni, irregolarità e sfasature temporali tra spese e redditi che solo il credito, che non è una quantità fissa, può colmare e stabilizzare.
Il denaro non può essere una «non cosa» o un’entità matematica. Il valore dell’oro può essere calcolato in termini di petrolio e viceversa, in quanto entrambe sono merci che hanno un valore indipendente. Per misurare valori bisogna possedere valore. Come il metro è l’unità di lunghezza che misura ogni altra lunghezza e il kilogrammo è l’unità di misura del peso, la ricchezza deve essere misurata da un’unità di ricchezza.
Ora qual è il valore hanno le criptovalute? E’ il derivato di dollari, euro, yen, sterline con cui si acquistano ma che non hanno valore indipendente in quanto rappresentano debiti di terzi. Che valore avrebbero, infatti, le monete digitali se le valute da cui derivano perdessero valore? La risposta è ovvia: quello dell’oro (o dell’argento), monete reali, le uniche a sopravvivere a un olocausto monetario grazie al loro valore indipendente.
E allora il futuro possibile e desiderabile delle monete digitali non può che essere quello di ancorarle all’oro e all’argento e farle circolare come loro sostituti. La convertibilità conferirebbe loro il valore di cui oggi sono prive, stabilizzandole immediatamente e trasformandole da «non cose» in «certificati informatici» rappresentativi dei preziosi. Hackers e perfino impulsi elettromagnetici di un’esplosione atomica potrebbero annullare la memoria dei computer ma non l’oro e l’argento custoditi nei depositi. Il credito poggerebbe su una base indipendente di ricchezza e non sui debiti.
Si tornerebbe al sistema ricardiano, ma reso più efficiente dalla tecnologia esistente e con la quale si potrebbe finalmente realizzare un sistema di pagamenti alternativo, decentrato, senza frizioni, solvibile e globale. Gli anni delle banche centrali e del sistema bancario tradizionale potrebbero essere davvero contati.
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » mar giu 14, 2016 11:01 am

Bitcoin, moneta o cavallo di troia dello Stato?

http://www.lindipendenza.com/bitcoin-mo ... r-lo-stato

Immagine

di GERARDO COCO

Dopo i bitcoin creati da un anonimo nel 2009 è stato un profluvio di cripto valute: Litecoin, Namecoin, PPcoin, Terracoin, Ixcoin, Devcoin, Freicoin ecc. il cui mercato è arrivato a superare dieci miliardi di dollari. Un risultato che ha aperto l’orizzonte su un nuovo mondo di transazioni basato su una moneta universale, decentralizzata, democratica, non manipolabile, indipendente da banche centrali, indicatori macroeconomici, anonima e soprattutto immune dalle esazioni arbitrarie dei governi. Tuttavia dopo molto battage pubblicitario c’è ancora incertezza circa la loro identità. Si tratta di denaro o qualcos’altro? Quale sarà la loro evoluzione? Vediamo di scoprirlo.

La tecnologia dei Bitcoin è stata denominata Gold 2.0 perché ha tentato di replicare un gold standard digitale. Analogamente alla produzione del metallo e a differenza delle valute legali, la loro l’emissione è costosa perché richiede un’estrazione digitale (mining) che comporta investimenti in hardware e software; la quantità è fissata da un algoritmo che ne riproduce la scarsità e al pari dell’oro sono frazionabili. Avrebbero addirittura una caratteristica superiore: quella di essere trasferiti all’istante e stoccabili senza costi. Tuttavia, per quanto avanzata, la tecnologia non è riuscita a dar loro la proprietà più importante dell’oro: il valore intrinseco, senza il quale il metallo, una volta coniato, non avrebbe mai potuto espletare la sua funzione monetaria per 3000 anni. Il valore intrinseco di un bene è la sua utilità indipendentemente dall’uso per cui è impiegato. Prima di diventare denaro, l’oro era richiesto come bene commerciale e questa è stata la condizione necessaria del suo successivo utilizzo monetario. Per lo stesso motivo le sigarette, avendo già un valore in sé, fungevano da denaro nei campi di concentramento. Le valute legali, invece, benché prive di valore in sé, circolano in forza del prelievo fiscale autoritario, che conferisce loro, per così dire un valore intrinseco negativo.

Su cosa si basa allora il valore dei bitcoin? Si basa unicamente sull’aspettativa dell’aumento del prezzo. E finché resterà questa convinzione il loro prezzo aumenterà. Ma questa è la caratteristica di un investimento speculativo, non del denaro. Il denaro autentico mantiene il valore stabile per misurare quello di tutti gli altri beni: è un numerario. Ai tempi di Plinio il prezzo di una buona tunica era un’oncia d’oro. Nel 1700 un vestito di qualità si comprava sempre con un’oncia che, pressappoco, è anche il prezzo di un abito odierno. I bitcoin subiscono forti oscillazioni e anche se il trend è al rialzo, una brusca svolta nella psicologia degli utilizzatori potrebbe farli implodere come avviene per i titoli troppo speculativi, quando, una volta passato l’entusiasmo febbrile ci si accorge di colpo che il loro valore intrinseco, il rendimento, è nullo. Nel giro di un mese il prezzo dei bitcoin è passato da 400 a 1500 dollari. Ora supponiamo che il preventivo della riparazione di un’auto fosse stato di 2 bitcoin quando erano quotati 400. Se il pagamento fosse avvenuto quando quotava 1500, il proprietario dell’auto avrebbe subito una perdita notevole e il meccanico, un profitto cospicuo. Ma potrebbe succedere anche il contrario. Una moneta con queste caratteristiche non può fungere da numerario la cui funzione è di non alterare la posizione economica dei contraenti.

Ma c’è dell’altro. Coloro che sostengono che nel futuro sulle caratteristiche dei bitcoin si possa edificare un sistema monetario integrato e alternativo, trascurano altri fatti importanti.

Primo. una moneta non serve solo a fare circolare beni e servizi finali, ma anche i beni capitali necessari a creare i primi. I beni capitali richiedono cospicui investimenti che non si finanziano con il contante ma con il credito che a sua volta richiede l’applicazione dell’interesse. Ora il tasso di interesse, che è la differenza tra moneta a pronti e moneta a termine, non si può determinare con una moneta di valore fortemente instabile. Se il creditore non ha la sicurezza di ricevere in futuro una somma certa e compensata da un premio, non investe in prestiti ma: o tesoreggia, nell’aspettativa di un rialzo del valore della moneta, oppure la spende subito, nell’aspettativa di un ribasso.

Secondo. Ipotizziamo pure che il valore dei bitcoin rimanga stabile permettendo di realizzare un sistema monetario integrato. Esso dovrà per forza dotarsi di attività bancaria per la raccolta di risparmio e del concomitante servizio del credito. Ora, come potrebbe essere garantita l’attività bancaria con un’offerta monetaria fissata da un algoritmo? Gli inventori dei bitcoin sembrano aver dimenticato che l’attività economica non è caratterizzata da un flusso perpetuo di redditi ma da fluttuazioni stagionali, flussi e riflussi e il credito è necessario per stabilizzare queste irregolarità livellandone gli sbalzi. Siccome i periodi di produzione non coincidono con quelli delle vendite e le transazioni non possono essere regolate a pronti, in assenza di credito, si dovrebbe fare scorta di contante per colmare le sfasature temporali tra spese e redditi. Con una domanda crescente di contante e un’offerta inelastica si avrebbe scarsità di denaro fino a fare crollare il commercio e causare deflazione nei prezzi e nei profitti. Insomma una depressione. Proprio al fine di prevenire questo fenomeno inevitabile, gli emittenti dovrebbero incorporare nella loro tecnologia digitale anche la funzione del credito per rendere lo stock monetario elastico espandendone, almeno temporaneamente, la quantità. Ma così facendo rimuoverebbero il principio stesso posto a base della loro invenzione: la fissità della offerta di moneta. Cosicché, loro malgrado, finirebbero per riprodurre e far uso, in forma digitale, dello stesso arsenale degli strumenti di politica monetaria del sistema tradizionale. E all’uso potrebbe seguire l’abuso.

Naturalmente questa ipotesi è teorica: i promotori non riuscirebbero mai a realizzare un simile progetto poiché i padroni dell’economia, governi e banche, non lo permetterebbero. Così la sperimentazione per il sogno legittimo, onesto e libertario di realizzare una moneta universale prodotta dal mercato e non alterata dal potere politico potrebbe essere servita solo come test per realizzare quello dei padroni: il controllo sistematico e la spoliazione periodica dei sudditi. Gli individui e le imprese, sudditi e servi dell’economia, una volta privati del contante fisico non avrebbero più scampo. Eliminato dalla circolazione e dichiarato fuori legge il contante, ogni transazione non digitale sarebbe considerata crimine mentre il controllo monetario assoluto rafforzerebbe il monopolio dei padroni consentendo loro di espandersi in modo sempre più arbitrario attraverso debiti e spesa pubblica le cui incontinenti necessità sarebbero finanziate, in frazioni di secondo, con prelievi di massa dai portafogli elettronici dei sudditi che servirebbero anche a controllarne minuziosamente la loro vita economica. Tutte le entrate e uscite sarebbero monitorate in tempo reale rendendo le dichiarazioni dei redditi superflue. La moneta digitale sarebbe costantemente inflazionata svalutando in proporzione lavoro e risparmio dei sudditi.

Negli ultimi decenni il sistema dei pagamenti nazionali e internazionale è stato informatizzato, standardizzato e armonizzato rendendolo più efficiente. Ma il mondo è forse migliorato? E’ diventato più prospero, più produttivo, più sicuro? Perché dunque la società senza contante dovrebbe essere migliore? Più la moneta sarà digitale, più il mondo sarà tirannico. Che qualcuno smentisca queste previsioni e ci dica che questo non sarà il futuro dei bitcoin. Perché se lo fosse, a occhio e croce, assomiglia a un incubo.

TRATTO DA: http://www.leoniblog.it
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Re: Skei - besi e la soranetà de batar skei o moneda

Messaggioda Berto » mar giu 14, 2016 11:02 am

CARO COCO, SUI BITCOIN SBAGLI ANCOR DI PIÙ DI QUEL CHE PENSAVO

di GIOVANNI BIRINDELLI


http://www.miglioverde.eu/caro-coco-sui ... el-pensavo

In questo articolo replico alla risposta[1] di Gerardo Coco al mio articolo[2] in cui, a mia volta, commentavo la sua critica[3] alle criptomonete. Dal punto di vista dei contenuti, questa mia ultima risposta non aggiunge quasi nulla al mio articolo precedente: il suo unico scopo è dimostrare che la replica di Coco in molti casi evita di rispondere agli argomenti sollevati e che, nei non frequenti casi in cui risponde con argomenti, questi sono sbagliati.
1. Esempio di Ricardo/libero mercato del denaro. «[L’articolo di Birindelli] è incentrato sulla teoria quantitativa a cui nel mio articolo ho dedicato solo tre righe in riferimento a un celebre esempio di David Ricardo che Birindelli non deve aver capito, visto come ci ha ricamato sopra».
A parte il fatto che Coco dedica alla teoria quantitativa della moneta una buona metà del suo primo articolo[4], in relazione all’esempio di Ricardo io sostenevo:
1. che quell’esempio assume per ipotesi il monopolio statale del denaro;
2. che senza questa ipotesi l’esempio non regge;
3. che questa ipotesi non ha alcuna ragione di esistere in generale e
4. in particolare, essa non ha ragione di esistere nel caso di un’analisi delle criptomonete, dato che queste sono state pensate per operare in un contesto di libero mercato del denaro.
Nella sua risposta, Coco dice che non ho capito l’esempio di Ricardo senza spiegare perché e soprattutto evita di rispondere al mio argomento.
• 2. Teoria quantitativa della moneta. «In nome dei Bitcoin Birindelli critica la teoria quantitativa della moneta e non si accorge che è la teoria su cui si basano i Bitcoin, ma applicata nel modo più estremo e pedestre. [In realtà egli, senza accorgersene] sostiene la teoria quantitativa nella forma più bislacca. […] Gli ricordo che Mises non critica la teoria quantitativa; ne critica la versione “meccanica”, quella che assume la diretta proporzionalità [fra aumento della quantità di moneta e] aumento dei prezzi. […] L’inflazione è l’aumento di quantità monetaria. Ecco la teoria quantitativa»!
Coco ha ragione a ricordare che gli austriaci non criticano la teoria quantitativa della moneta ma la sua versione “meccanica”, quella che assume la diretta proporzionalità fra aumento della quantità di moneta e aumento dei prezzi.
Ora, la teoria quantitativa della moneta che gli austriaci non criticano (ma anzi difendono) è quella che, ricorrendo al metodo prasseologico, studia i diversi effetti economici di un aumento della quantità di moneta. Fra questi effetti (ma non è affatto l’unico) c’è la tendenziale (ma non necessaria) perdita del potere d’acquisto della moneta (sulla confusione che Coco fa fra perdita di potere d’acquisto della moneta e aumento del “livello dei prezzi” tornerò dopo).
La teoria quantitativa che gli austriaci criticano è quella che, prescindendo dal metodo prasseologico, dalla teoria del capitale e quindi dagli effetti che l’aumento della quantità di moneta ha sui prezzi relativi e sulla struttura produttiva, propone una relazione “meccanica” diretta fra aumento della quantità di moneta e aumento del “livello dei prezzi”. In altri termini, essi criticano la teoria quantitativa della moneta per come è espressa dalla formula di Fisher MV=PQ e quindi per come essa è intesa da Coco quando nel suo primo articolo scrive: «l’equazione P=MV/Q, […] esprime la teoria quantitativa nella sua forma più semplificata».
Dato che nel mio articolo io criticavo esplicitamente la teoria quantitativa per come la intende Coco, cioè quella espressa dalla formula di Fisher (la teoria quantitativa nella sua forma “meccanica”), non c’è differenza fra la mia posizione e quella degli austriaci. In altre parole, non sono io a sostenere la teoria quantitativa della moneta nella sua forma più «bislacca»: è Coco a farlo. È lui che, nel suo primo articolo, identifica la teoria quantitativa della moneta con l’equazione di Fisher (che, se la matematica non è un’opinione, implica oggettivamente una relazione “meccanica” diretta fra quantità di moneta e “livello dei prezzi”), non io. Nel mio articolo io ho criticato duramente la teoria quantitativa così intesa.
D’altro canto, Coco fa confusione e si contraddice: se nel suo primo articolo egli adotta la versione “meccanica” della teoria quantitativa, nel secondo, citando Mises, sembra criticare la stessa versione “meccanica” che ha difeso nel suo primo articolo; allo stesso tempo, tuttavia, egli continua a difendere i concetti che stanno alla base dell’equazione di Fisher (come la “velocità di circolazione della moneta, V” e il “livello dei prezzi, P”) e che oggettivamente (il primo quando è utilizzato come variabile indipendente in un’equazione che vuole spiegare i prezzi, il secondo sempre) non hanno alcun senso economico (vedi articolo precedente[5] e oltre in questo[6]).
Date le contraddizioni di Coco, è tecnicamente impossibile capire quale versione della teoria quantitativa egli sostenga: se quella “austriaca” che sembra difendere in modo contradditorio nel suo secondo articolo o quella “meccanica” che difende esplicitamente nel suo primo articolo. Naturalmente, avere una posizione diversa da quella degli austriaci non è sbagliato a priori. Tuttavia, prima di invalidare gli argomenti degli austriaci, è necessario affrontarli e discuterli, e questo, di nuovo, è esattamente quello che Coco evita accuratamente di fare. Infatti, come vedremo al punto seguente, egli ha accuratamente evitato di affrontare e discutere gli argomenti di Rothbard, che dimostrano l’assurdità logica di concetti quali il “livello di prezzi” e la “velocità di circolazione” della moneta nella formula di Fisher.
Inoltre, nel mio articolo[7] facevo notare (riprendendo un ragionamento di Rothbard) che l’equazione di Fisher, che Coco adotta come espressione della teoria quantitativa della moneta, oltre a essere una tautologia che non spiega nulla, è in contrasto con la teoria soggettiva del valore in quanto assume che ci possa essere (e che in effetti ci sia) scambio a parità di valore economico (cosa che come sappiamo, per la teoria soggettiva del valore, è tecnicamente impossibile). La dimostrazione matematica che l’equazione di Fisher è una tautologia che non spiega nulla e quella economica che essa è in contraddizione con la teoria soggettiva del valore, sono altri due dei molti argomenti a cui Coco evita accuratamente di rispondere.
3. “Velocità di circolazione” della moneta e “livello dei prezzi”. «Birindelli scrive che anche i concetti di “valore intrinseco”, di “velocità di circolazione” e di “livello dei prezzi” non hanno alcun senso economico. Allora cos’è che per Birindelli ha senso se tutti gli elementi che formano la dinamica economica per lui non contano? […] Se il “livello dei prezzi” è per lui un concetto senza senso allora lo è pure quello del potere d’acquisto, cioè del valore della moneta».
Sul “valore intrinseco” torno al punto successivo, dove dimostrerò che Coco o non conosce la teoria soggettiva del valore (cioè la base, il punto di partenza della scienza economica intesa nel suo complesso come lo studio dell’azione umana) oppure, se la conosce, non la ha capita.
La risposta di Coco su “velocità di circolazione” e “livello dei prezzi” è, insieme a quello sul “valore intrinseco”, uno dei due punti più sorprendenti della sua risposta. Nel suo primo articolo, come abbiamo visto, lui difende la teoria quantitativa per come essa è espressa dalla formula MV=PQ (formula di Fisher) e quindi nella sua versione “meccanica”. Nel mio articolo, io sintetizzo l’argomento di Rothbard in base al quale non solo questa formula, ma due dei suoi termini (V, “velocita di circolazione” della moneta e P, “livello dei prezzi”) non hanno alcun senso economico. L’argomento di Rothbard è matematico, non economico. Le formule «buttate a caso» sono quelle di Rothbard, non le mie: sono quelle che Rothbard usa per dimostrare che l’equazione a cui è ricorso Coco (e alcuni dei termini che vi sono inclusi) non hanno alcun senso economico. Quindi il suo affermare che «Birindelli ragiona a forza di citazioni e formule buttate a caso» è una cosa che non gli fa onore, né come interlocutore, né come economista.
Rothbard (che era un matematico peraltro) trova fuorviante l’uso della matematica in economia, ma qui è costretto a usare questo strumento per dimostrare che quella formula e quei concetti (V, P), oltre a non avere alcun senso economico, sono anche delle impossibilità matematiche. In particolare, come ho spiegato in maggiore dettaglio nel mio primo articolo (punto 5), la “velocità di circolazione, V” della moneta, non essendo una variabile indipendentemente definibile, non può logicamente essere usata in una formula come variabile indipendente (cioè come essa viene usata nella formula di Fisher e come Coco la assume essere quando afferma: «data una velocità di circolazione della moneta V, … »).
D’altro canto, il “livello dei prezzi, P”, essendo una media che richiede, al denominatore, la somma di grandezze non omogenee (p. es. un cappello e due etti di zucchero), non ha alcun senso perché non può essere fatta matematicamente. Infatti, a causa del fatto che ciò richiederebbe di addizionare quantità non omogenee fra loro, «non può mai essere fatta una media dei prezzi di merci eterogenee» (Rothbard); «la mancanza di omogeneità rende quella [che è necessario fare per arrivare al “livello dei prezzi” P] una somma impossibile» (Huerta de Soto).
Ora, invece di rispondere ai due argomenti matematici di Rothbard e di De Soto, quelli che dimostrano come oggettivamente la “velocità di circolazione della moneta, V” e il “livello dei prezzi, P” (e quindi la formula MV=PQ a cui Coco ricorre per esprimere la teoria quantitativa della moneta) non hanno alcun senso economico né matematico, Coco ancora una volta evita accuratamente di rispondere: «formule buttate a caso».
In particolare, in relazione al “livello dei prezzi”, invece di rispondere agli argomenti di Rothbard, Coco va per un’altra strada che lo porta a fare una confusione grossolana fra “livello dei prezzi” e potere d’acquisto della moneta. Il “livello dei prezzi”, cioè la media P, è un concetto senza alcun senso economico per il motivo che abbiamo appena discusso: non può mai essere fatta una media dei prezzi di merci eterogenee. Al contrario, il potere d’acquisto della moneta non richiede alcuna media di prezzi di merci eterogenee. In altre parole, un conto è dire che la moneta può comprare meno zucchero e cappelli dell’anno scorso in quanto il prezzo del primo nel negozio X è salito del 10% e quello dei secondi nel negozio Y del 5%, e una cosa completamente diversa (e senza alcun senso logico) è dire che la moneta può comprare meno zucchero e cappelli perché “P” (la media dei prezzi) si è alzata. Mises scrive: «Una madre di famiglia giudiziosa sa molto di più dei cambiamenti dei prezzi dei beni che fanno parte della sua economia domestica di quanto le medie statistiche possano dire […] Nella vita pratica nessuno si lascia prendere in giro dagli indici statistici. Nessuno crede alla finzione che essi debbano essere considerati come misurazioni.»[8] In altre parole, nella vita pratica nessuno si lascia prendere in giro da “P”.
Il fatto che Coco faccia confusione fra “livello dei prezzi, P” e potere d’acquisto della moneta è indice, fra le altre cose, del fatto che egli adotta un approccio macroeconomico completamente distaccato dall’azione umana e dalla realtà economica. Questo tra l’altro è evidente quando identifica aggregati macroeconomici senza senso (V, P) con «tutti gli elementi che formano la dinamica economica». La “dinamica economica” è formata dagli scambi individuali e alla base di questi c’è l’azione umana che la teoria soggettiva del valore, che come vedremo Coco non ha capito, aiuta a studiare.
In relazione alla “velocità di circolazione della moneta”, per evitare di rispondere all’argomento matematico di Rothbard, Coco fa una divagazione che lo porta a saltare di palo in frasca discutendo di stock di moneta e di credito. Risponderò quindi a queste obiezioni oltre.
4. Moneta: «E cos’è per Birindelli la moneta? Perché nel suo saggio di 5000 parole non ce lo rivela mai».
Falso. Nel mio primo articolo definivo la moneta come la merce più commerciabile: «Dato che il denaro è una merce come tutte le altre (solo che, rispetto alle altre, è la più commerciabile), esso può essere qualunque cosa o “non cosa” a cui le persone attribuiscano valore per le ragioni più varie che a molti possono sembrare assurde, incomprensibili e perfino delle superstizioni (qui non voglio assolutamente dire che non ci siano motivi razionali e concreti per dare valore a Bitcoin: farò un breve cenno a questo più avanti).» Quello che Coco non riesce a concepire è che, quando l’oro è aggredito, ulteriormente aggredibile, tassato, manipolato[9], tracciato, un’altra merce può diventare quella più commerciabile. Se ci fosse libero mercato nel settore del denaro e se lo stato non avesse il potere di confiscarlo e di limitarne l’uso nei modi più diversi, allora i vantaggi delle criptomonete sarebbero “solo” la loro sicurezza, la loro economicità, la loro facilità d’uso, la loro efficienza e queste potrebbero essere facilmente combinate al valore dell’oro come suggerisce Coco nel suo articolo e come peraltro alcuni hanno già tentato di fare. Tuttavia, dato che siamo in un assetto socialista in cui lo stato ha il monopolio legale della moneta (e quindi, fra le altre cose, impedisce all’oro di apprezzarsi come farebbe se potesse fungere anche come mezzo di pagamento); in cui esso può appropriarsi di qualunque valore fisico o monetario in senso tradizionale; in cui può abolire perfino il contante e può violare la privacy delle persone tracciando ogni acquisto che esse fanno; dato che siamo in questa situazione, le due caratteristiche fondamentali di Bitcoin e delle altre criptomonete (quella di garantire l’anonimato e quella di essere una forma di denaro non aggredibile dallo stato) diventano una parte fondamentale della loro domanda, e quindi del loro valore. Durante la crisi di Cipro il valore di Bitcoin è aumentato vertiginosamente e chi aveva Bitcoin ha evitato il prelievo forzoso del 40% e rotti sul conto corrente e non è rimasto bloccato dalla chiusura delle banche. In Ucraina oggi c’è il blocco dei bonifici verso l’estero: provi Coco a fare tre trasferimenti dall’Ucraina verso l’Italia: uno in oro, uno in denaro fiat, l’altro in Bitcoin e poi mi sappia dire quale dei tre è riuscito a fare.
5. “Valore intrinseco” e teoria soggettiva del valore. «Infine anche il valore intrinseco per Birindelli non ha senso economico. Eppure è uno dei capisaldi di Mises. Ma siccome anche questo concetto invalida i bitcoin, lo elimina. Nei campi di concentramento le sigarette circolavano come moneta proprio perché avevano un valore indipendente (precedente direbbe Mises), cioè un’utilità o valore intrinseco indipendente dall’uso monetario a cui erano adibite. Come mai non usavano pezzetti di carta in quantità fissa»?
In questo passaggio davvero sorprendente Coco mostra di non conoscere, o quantomeno di non aver capito, la teoria soggettiva del valore. Egli infatti fa una confusione grossolana fra “valore intrinseco” e valore indipendente dall’uso monetario.
L’oro ha valore indipendente dall’uso monetario in quanto, per esempio, ha valore come metallo per la fabbricazione di gioielli. Nel momento in cui l’oro diventa anche denaro la sua domanda aumenta (viene richiesto non solo per fabbricare gioielli ma anche come mezzo di scambio) e quindi aumenta il suo valore. Il punto fondamentale è che, anche prima di diventare mezzo di scambio, l’oro non ha, né hai mai avuto, alcun “valore intrinseco”. La teoria soggettiva del valore infatti insegna che il valore non sta nelle cose (come Coco assume quando parla di “valore intrinseco” e quando scrive che una “non cosa” non può essere denaro) ma nelle persone, cioè nel fatto che i singoli individui sono disposti a privarsi volontariamente di beni di loro proprietà per ottenere in cambio quelle cose (o “non cose”) qualsiasi queste siano, e qualsiasi siano le loro ragioni per farlo (per questo si chiama teoria soggettiva del valore). Anche prima di diventare denaro, l’oro aveva valore perché qualcuno era disposto a scambiare pecore con monili: se questo qualcuno, per le sue ragioni, non fosse stato disposto a questo scambio, l’oro sarebbe stato solo un metallo giallo senza più valore di quanto ne abbia il granito di uno scoglio. Il solo parlare di “valore intrinseco”, cioè di un valore che esisterebbe nelle cose e non nelle persone, vuol dire rinnegare la teoria soggettiva del valore, e quindi la scienza economica.
Nello specifico, il fatto che nei campi di concentramento le sigarette avessero un’utilità indipendente dall’uso monetario a cui erano adibite è vero, ed è pacifico. Per i motivi appena discussi, questo tuttavia non vuole dire affatto che avessero “valore intrinseco”! Esse avevano valore perché qualcuno, in quei campi di concentramento, fumava ed era disposto a scambiare beni e servizi contro sigarette. Se le persone recluse nel campo (e i loro carcerieri) fossero state tutte non fumatrici (e avessero avuto la certezza di non potersi salvare) le sigarette non avrebbero avuto alcun valore (proprio perché esse non hanno alcun “valore intrinseco”) e quindi non avrebbero potuto fungere da mezzo di scambio: i pezzetti di carta di cui parla Coco sarebbero stati più utili a questo scopo in quanto avrebbero avuto più valore economico. Dato che Coco non ha capito la teoria soggettiva del valore, non mi stupisce che egli non abbia capito (assumendo che li abbia letti) i testi degli austriaci, che si contraddica continuamente, che faccia confusione, che non capisca Bitcoin e che non riusciamo a comunicare.
• 6. Credito. «Lo sa Birindelli che sotto Natale o altre feste comandate la velocità [della moneta] può triplicare? Una quantità di moneta fissa provocherebbe depressione dei prezzi e delle vendite nei periodi in cui la gente vende e spende di più. Per evitarla si dovrebbe ricorrere a forme di credito [cioè a] un potere d’acquisto aggiuntivo che invaliderebbe il principio stesso della quantità fissa. Birindelli non sa come funziona praticamente l’economia. Altrimenti non avrebbe sorvolato sul credito, l’aspetto cruciale di tutta la faccenda a cui nell’articolo ho dedicato un paragrafo. Ma siccome invalidava il suo “assoluto monetario” lo ha ignorato. Senza il credito c’è solo il bazar dei micropagamenti, non l’economia complessa».
Qui ci sono diverse considerazioni. In primo luogo, il fatto che a seguito di un aumento della domanda di moneta ci sia un aumento del suo potere d’acquisto (quello che Coco chiama una «depressione dei prezzi») è un fatto sano a) perché permette alla quantità di moneta fissa di essere ottimale in ogni situazione (vedi punto successivo, oltre che mio articolo precedente) e b) perché l’aumento del potere d’acquisto della moneta (quella che sbagliando sui giornali viene chiamata “deflazione”) non solo rende le persone più ricche ma permette al processo spontaneo di mercato di auto-correggersi e così di continuare a creare crescita economica sostenibile. In America’s Great Depression e Man Economy and State Rothbard scrive pagine illuminanti su questo che sfortunatamente non posso citare perché in questo momento sono in viaggio. Quindi questa «depressione dei prezzi» non dovrebbe affatto essere «evitata» come suggerisce Coco (e come oggi tentano disperatamente di fare le banche centrali), tantomeno con l’espansione artificiale della quantità di denaro e del credito. Tralasciando di discutere qui la questione dell’espansione della quantità di denaro (l’affronterò al punto successivo), concentriamoci sul credito. A proposito del credito occorre distinguere un aspetto tecnico relativo ai Bitcoin e un aspetto economico relativo alla funzione del credito nella crescita economica. Al primo aspetto farò cenno qui, al secondo nel punto successivo. Coco afferma a) che Bitcoin sarebbe incompatibile col mercato del credito e b) che, data questa incompatibilità, io avrei «sorvolato» sull’aspetto del credito. La prima affermazione è logicamente ed empiricamente falsa. È logicamente falsa non solo perché non c’è alcuna ragione per cui Tizio non possa prestare a Caio, dietro pagamento di un tasso d’interesse, una certa somma di Bitcoin, ma anche perché non c’è alcuna ragione per cui nel tempo non possano svilupparsi strumenti complessi del credito basato su Bitcoin. È empiricamente falsa perché già esistono piattaforme per il credito in Bitcoin (www.btcjam.com è una di queste), ed è grazie a queste piattaforme che, come ho affermato nel mio primo articolo, Bitcoin consente al circa 75% delle persone che nel mondo ieri non avevano accesso al credito di avervi accesso. La seconda affermazione è empiricamente falsa perché quello che ho scritto qui lo ho scritto anche nel mio primo articolo (non è mia abitudine “svicolare”). Tra l’altro, vi ho riportato il link a btcjam la cui esistenza di per sé contraddice quello che sostiene Coco e quindi rende inutili altre spiegazioni, peraltro ovvie.
• 7. Domanda di denaro e depressione come risultato dell’insufficienza di credito. «[Nel dire che ogni quantità fissa di denaro è ottimale Rothbard si sbaglia] Perché? Birindelli non lo sa e glielo dico io. [L’argomento di Rothbard vale] in teoria. Ma nella realtà il potere di acquisto si aggiusta con un ritardo temporale durante il quale la gente resta senza denaro e, in mancanza, come sopra detto, bisogna ricorrere a strumenti creditizi [che con le criptomonete non potrebbero esserci: falso, come abbiamo visto, n.d.r.]. Quello che Mises voleva sottolineare è che un’economia ha più bisogno di produzione piuttosto che di denaro; tuttavia più produzione ha anche bisogno di più denaro nella forma di credito altrimenti si verifica depressione».
A parte le fondamentali questioni economiche relative alla creazione di strumenti creditizi per venire incontro all’aumento della domanda di denaro (sulle quali arriveremo fra poco), non c’è alcuna ragione di supporre, come fa Coco, che il ricorso a strumenti creditizi possa essere più veloce dell’aggiustamento dei prezzi. In effetti, ci sono diverse ragioni per ritenere il contrario. Fra queste c’è il fatto che i prezzi si definiscono istantaneamente nelle azioni di scambio e si propagano (in molti casi altrettanto istantaneamente) attraverso di esse. Gli strumenti creditizi, a cui peraltro ha accesso solo un ristretto numero di soggetti, spesso vanno individuati, richiesti, studiati, concordati, sottoscritti, concessi, ecc. In altre parole, non c’è alcuna ragione valida per cui ciò che è valido in teoria (il fatto che, come dice Rothbard, ogni quantità di moneta è ottimale ed è resa tale dal mercato attraverso variazioni della sua domanda e quindi del suo potere d’acquisto) non sia valido anche in pratica. Di certo, col denaro fiat a corso forzoso e con la sua continua e schizofrenica espansione da parte di chi ne detiene il monopolio legale, questo processo di mercato oggi è difficilmente osservabile. Questo tuttavia non vuole affatto dire che in condizioni di libero mercato non avvenga necessariamente. Una delle ragioni fondamentali della superiorità del mercato rispetto a un sistema collettivista sta proprio nell’efficienza e velocità con la quale i prezzi veicolano le informazioni. A parte queste considerazioni, l’affermazione che «più produzione ha bisogno […] di più denaro nella forma di credito altrimenti si verifica depressione» è ambigua e si presta a interpretazioni molto pericolose. La crescita economica sostenibile ha bisogno di maggiore risparmio, e quindi di minore consumo (e, come abbiamo visto, nulla impedisce di risparmiare e prestare Bitcoin ad altri). La Scuola Austriaca di economia dimostra che la crisi economica (e nel lungo periodo la depressione) è il risultato dell’espansione artificiale del denaro e del credito, e quindi di maggiore credito non derivante da maggior risparmio. Se col termine «più denaro nella forma di credito» Coco si riferisse a maggior risparmio, allora questa sua affermazione non porrebbe alcun problema. Tuttavia, per avere maggiore risparmio (e quindi credito sostenibile) non occorre affatto (e anzi dovrebbe essere evitata accuratamente) un’espansione della quantità di moneta: maggiore risparmio si può avere tranquillamente con una quantità di moneta fissa, tanto più con una il cui potere d’acquisto sale grazie alle forze di mercato. Ma questo è esattamente il punto che Coco contesta. Addirittura egli sostiene che «[per evitare la «depressione dei prezzi»] si dovrebbe ricorrere a forme di credito [cioè a] un potere d’acquisto aggiuntivo». Quindi par di capire che egli sia a favore di un’espansione artificiale del denaro e del credito per andare incontro alla maggiore domanda di denaro ed evitare la depressione. Tuttavia, come dimostrano gli austriaci, l’espansione artificiale del denaro e del credito è esattamente ciò che nel lungo periodo, attraverso le distorsioni della struttura produttiva, crea la depressione.
• 8. Quantità di moneta fissa e Bitcoin. «Nel mio articolo ho affermato che fissare a priori il mezzo di trasferimento della ricchezza, la moneta, è un errore clamoroso. Solo i monopolisti fissano a priori, non il mercato».
A questo ‘argomento’ ho già risposto sopra (oltre che nel mio primo articolo). Per le ragioni dette (che Coco riconosce essere valide solo in teoria ma non in pratica) Rothbard ha ragione e Coco ha torto: qualunque quantità fissa di moneta è ottimale e compatibile con la crescita economica sostenibile di lungo periodo. Quindi anche se, per assurdo, esistesse una sola criptomoneta e la quantità di questa fosse stabilita a priori da chi la ha creata, questa quantità sarebbe necessariamente ottimale. Tuttavia, nel caso specifico delle criptomonete, e al di là di queste considerazioni, in questo passaggio Coco mostra non solo di non aver proprio capito le criptomonete ma anche di avere le idee piuttosto confuse su cosa sia un «monopolio». In primo luogo, di criptomonete ce ne sono a centinaia: nuove ne vengono fuori ogni giorno. Esse sono fra loro in competizione di mercato. Come ho argomentato nel mio primo articolo (altro argomento a cui Coco ha evitato di rispondere), il creatore di una di queste numerose criptomonete (poniamo Bitcoin) che fissa arbitrariamente la sua quantità (21 milioni in questo caso) non è diverso, in sostanza, dal costruttore di un albergo che decide arbitrariamente il numero di stanze che quell’albergo deve avere. È forse il costruttore di quell’albergo un “monopolista”? È forse egli un “regolatore”? Certo! Egli è “monopolista” e “regolatore” del suo albergo; e, in una società libera (quindi non in Italia), fissa il numero di stanze che vuole. Dato che ci sono centinaia di altri alberghi, che altri ne vengono costruiti continuamente e che non c’è alcun limite a costruirne altri ancora, egli non è monopolista del “mercato degli alberghi”. Anche se lo fosse, nel limite in cui questo suo monopolio fosse economico e non legale (cioè nei limiti in cui fosse dovuto al fatto che egli è più bravo, più fortunato, che offre condizioni migliori, che è più efficiente, e non al fatto che ha aggredito o minacciato di aggredire qualcuno), in questo suo essere monopolista del settore degli alberghi non ci sarebbe niente che fosse in contrasto con la competizione di mercato correttamente intesa. Quindi questa frase di Coco secondo cui i creatori di criptomonete, nel momento in cui fissano la quantità della loro moneta sarebbero dei “monopolisti” e si comporterebbero come dei “regolatori”, non ha alcun senso logico né economico. Quello che lui considera essere un «errore clamoroso» dei creatori delle criptomonete non è altro che un’azione imprenditoriale logica e razionale, perfettamente in sintonia con la teoria economica della Scuola Austriaca.
• 9. Volatilità di Bitcoin. «Birindelli sorvola sul fatto che il valore dei bitcoin crolli o vada in bolla, come si trattasse di cosa di secondaria importanza. Non può esistere la contabilità senza un numerario stabile e affidabile. Immaginiamo che un’impresa produca con profitto. Se contabilizzasse i valori con un numerario che subisce un crollo di valore, fallirebbe all’istante. Nel caso invece di un’impresa che producesse in perdita, distruggendo quindi ricchezza, un improvviso rialzo del valore del numerario la renderebbe florida, spingendola ad aumentare la scala delle operazioni che distruggono ricchezza. Quindi, una moneta, ossia un numerario inaffidabile, penalizza le imprese produttive e premia quelle improduttive, proprio quello che accade, oggi, su scala gigantesca nell’economia governata da un sistema monetario inaffidabile. E’ così che si ragiona Birindelli, non a forza di citazioni e formule buttate a caso».
In primo luogo, nel mio articolo non ho affatto evitato di toccare l’argomento della volatilità di Bitcoin. Infatti ho scritto: «la domanda [di Bitcoin] sta crescendo e con essa, naturalmente, il prezzo. Non certo in modo lineare e senza scossoni: è una tecnologia troppo nuova, troppo dirompente e dalle potenzialità troppo enormi (ricordiamoci che è una moneta globale ed è ancora in larghissima parte sconosciuta) perché il prezzo possa fin da subito seguire la stessa dinamica di quello di una moneta di mercato matura. Tuttavia non c’è niente di assurdo nel fatto che si apprezzi. Qualunque moneta sana tende ad apprezzarsi». Quindi, sebbene io sia molto contento del fatto che Bitcoin si stia apprezzando (oggi siamo a 683 dollari per 1 Bitcoin: nel 2009 se non mi sbaglio eravamo attorno a 0,05 dollari per 1 Bitcoin o giù di lì), non solo non ho trascurato di discutere la volatilità di Bitcoin, ma ho riconosciuto che, in relazione all’uso di Bitcoin come numerario, essa è un problema (almeno su questo, in parte, sono d’accordo con Coco).
La volatilità di Bitcoin ha diverse cause, alcune endogene, altre esogene. Fra le prime c’è il fatto che si tratta di una moneta nuova che deve ancora trovare il suo equilibrio dinamico in termini di valore; il fatto che è in grandissima parte una moneta sconosciuta (e che, grazie a coloro che non la conoscono, specie nella stampa mainstream, viene dipinta come “il denaro della criminalità”); il fatto che gli scambi sul mercato valutario sono ancora talmente ristretti che un ordine di acquisto o di vendita di proporzioni anche relativamente modeste può creare forti oscillazioni del prezzo. Tutte queste cause endogene tendono a ridursi nel tempo. In altre parole, diamo tempo al tempo e vedremo che la parte di volatilità di Bitcoin provocata da questi fattori tenderà a ridursi. Il discorso è diverso per le cause esogene di volatilità. Fra queste c’è il fatto che dall’altra parte c’è il monopolio legale del denaro da parte di uno stato in continua espansione: le aziende non possono pagare le loro tasse in Bitcoin; in molti casi gli impiegati (non solo quelli pubblici ma anche quelli privati) non possono scegliere di essere pagati in Bitcoin; in molti paesi l’uso di Bitcoin è illegale (ricordiamoci che Bitcoin è una moneta globale e quindi che il suo prezzo risente anche della legislazione avversa in altri paesi: p.es. Cina e Russia): questo non impedisce gli scambi in Bitcoin ma quelli nei mercati valutari con altre monete fiat, il che aiuta a mantenere le piccole dimensioni degli scambi su quei mercati e quindi contribuisce positivamente alla volatilità del prezzo; e altre. In sostanza, una buona parte della volatilità di Bitcoin (non tutta) è dovuta al fatto che lo stato ricorre alla forza per difendere i propri privilegi nel settore del denaro. Incolpare Bitcoin per questa parte di volatilità sarebbe come incolpare Uber Pop per il fatto che in paesi come l’Italia o la Francia è stato costretto a chiudere (ma a differenza di Uber Pop, Bitcoin, sebbene possa essere ostacolato dallo stato, non può essere da questo costretto a chiudere). C’è tuttavia un passaggio, nella frase di Coco qui riportata, che di nuovo stupisce (per usare un eufemismo). Posto che la volatilità è un problema in relazione alla funzione di numerario, affermare che «un numerario inaffidabile, penalizza le imprese produttive e premia quelle improduttive» è vero allo stesso modo in cui è vero l’inverso. Coco ha fatto il caso di un’impresa che produce con profitto e che contabilizza i suoi guadagni in una moneta il cui valore diminuisce rapidamente e in misura consistente. In questo caso la volatilità la penalizzerebbe. Tuttavia, per le stesse ragioni, una volatilità in senso inverso la premierebbe. E lo stesso nel caso delle imprese improduttive: queste sarebbero premiate da un rapido e consistente crollo della moneta, tuttavia sarebbero penalizzate da un suo rapido e consistente apprezzamento. Guardare solo un lato delle cose, quello che fa più comodo al proprio argomento, e trascurare di menzionare l’altro, non è esattamente un approccio che definirei scientifico.
• 10. La domanda retorica. «Coloro che la pensano diversamente [da me] si pongano la domanda: posti di fronte alla scelta tra un portafoglio di “impulsi magnetici” e uno di once d’oro, quale sceglierebbero»?
Con questa domanda, che vuole essere retorica, Coco dimostra semplicemente di non aver capito le due caratteristiche fondamentali delle criptomonete (vedi punto 4 sopra):
• a) quella di garantire l’anonimato di chi le utilizza, e quindi la sua privacy (i portafogli e tutte le transazioni sono totalmente trasparenti, ma con semplici accorgimenti è possibile garantire l’anonimato di chi è il titolare dei diversi portafogli e di tutte le transazioni);
• b) quella di non essere aggredibili dallo stato, e quindi di non essere confiscabili, tassabili, “congelabili”, di non dover essere dichiarate, ecc.
La domanda di Coco può essere opportunamente formulata in quest’altro modo: «Ricordandosi che nel 1933 negli USA Roosevelt rese un crimine possedere oro e lo confiscò per intero; tenendo presente che l’oro oggi è aggredito ed è ulteriormente aggredibile dallo stato, nel senso che il suo possesso è o può essere ulteriormente tassato (sia in via ordinaria, attraverso le tasse di successione o sul capital gain per esempio, sia in via straordinaria, attraverso le cosiddette “tasse patrimoniali”, per esempio); tenendo presente che l’espansione monetaria senza precedenti (e concertata) da parte delle banche centrali sta portando molti altri paesi, fra cui l’Italia, a una situazione di tracollo finanziario che rende probabili questi prelievi fiscali straordinari anche sull’oro; tenendo conto del fatto che oggi l’oro non può essere usato come mezzo di pagamento; tenendo conto del fatto che, avendo accesso alle cassette di sicurezza e potendole bloccare a suo piacimento, lo stato può impedire in ogni momento per qualunque ragione a qualunque individuo di disporre liberamente del suo oro; e d’altra parte tenendo conto del fatto che Bitcon è una forma di denaro non aggredibile dallo stato, che toglie allo stato la capacità di “bloccare finanziariamente” ogni persona con un clic; che può essere usato senza limiti come mezzo di pagamento; che può essere trasferito da una parte all’altra del pianeta istantaneamente praticamente senza costi di transazione; che garantisce l’anonimato di chi lo possiede e di chi lo usa; tenuto conto di tutto questo, posto di fronte alla scelta tra un portafoglio di Bitcoin e uno di once d’oro, oggi quale dei due sceglieresti»?
Posta in questi termini, questa domanda smette di essere retorica, nel senso che ci sono pro e contro per una parte e per l’altra (i pro di detenere oro non li ho discussi perché erano impliciti nella domanda retorica di Coco) e il mix dei due strumenti dipende dalle inclinazioni di ciascuno. Come ho scritto a un amico dopo la pubblicazione del mio primo articolo di risposta a Coco, se ci fosse libero mercato del denaro l’oro probabilmente continuerebbe a essere il denaro migliore, e (data l’efficienza della blockchain) non mi stupirei se una criptomoneta ancorata all’oro (o più di una) emergesse come numerario. Affermai questo già nel 2013 alla conferenza Interlibertarians di Lugano, in cui dissi che «Bitcoin non è nata sostituendosi al denaro fiat. Lo sostituirà, prima di quanto si pensi. O forse lo sostituiranno altre monete digitali, magari basate sull’oro fisico, al cui ritorno potrebbero quindi aprire la strada.»[10] Tuttavia, in un regime di socialismo monetario come quello attuale, Bitcoin e simili sono le uniche possibili forme di denaro onesto non aggredibili dallo stato e in grado di proteggere la privacy delle persone. Il problema di Coco è che non riesce a capire queste due caratteristiche fondamentali di Bitcoin che, nella situazione di oggi, sono cruciali. Proprio perché l’oro è fisico deve stare da qualche parte, in qualche paese, e quindi è legalmente aggredibile dallo stato. Tant’è che quando hanno provato a creare una moneta digitale ancorata all’oro fisico (e-gold) gli stati l’hanno fatta chiudere allo stesso modo in cui hanno fatto chiudere Uber Pop. Di nuovo, nella sua risposta Coco ha evitato accuratamente di rispondere a questo argomento, o anche solo di prendere in considerazione queste due caratteristiche fondamentali delle criptomonete.
Conclusioni
In conclusione, confermo parola per parola quello che ho scritto nel mio articolo precedente. Non lo faccio per partito preso, per difendere a priori le mie tesi, perché «non tollero critiche» né, tantomeno, «in nome di Bitcoin». I tentativi da parte di Coco di screditare la mia persona («dogmatico», «mistico», «ideologo»[11]) invece che di rispondere ai miei argomenti non mi sfiorano minimamente. Non solo perché spesso questi tentativi discreditano chi li fa, ma anche perché so di essere una persona che è sempre pronta a mettere in discussione le proprie convinzioni quando trova argomenti contrari validi e interlocutori solidi che affrontano gli argomenti della controparte in modo coerente invece di “dribblarli”. Lo ho dimostrato in più occasioni e ne è rimasta testimonianza scritta. Ed è una mia caratteristica che mi è riconosciuta da diverse persone che mi conoscono e che stimo. Tuttavia non ho trovato questi argomenti e questo tipo di interlocutore in Gerardo Coco. Quindi continuo a pensare, con ancora maggior convinzione di prima, che l’analisi che egli fa delle criptomonete e gli argomenti economici che porta a sostegno della sua tesi, sono fondamentalmente sbagliati (e in effetti ancora più sbagliati di quello
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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