Sicilia, ladri e parassiti

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Messaggioda Berto » sab lug 11, 2015 7:15 am

Sicilia, ladri e parassiti
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=1748

SICILIA: IL RECORD DELLA VERGOGNA! SARA’ LA PRIMA REGIONE A DICHIARARE “DEFAULT”? HANNO FATTO I CONTI: ECCO A QUANTO AMMONTA IL DEBITO COMPLESSIVO
http://www.grandecocomero.com/sicilia-d ... nto-banche

Oltre 7,5 miliardi di euro: Sicilia verso il default
Il resoconto dei debiti contratti dall’esecutivo regionale negli anni è allarmante: la Sicilia è a un passo dal default tecnico

Ammonta a 7 miliardi 525 milioni e 547mila euro lo stock del debito complessivo contratto dalla Regione siciliana con gli istituti di credito.

Un allarmante resoconto dei debiti contratti dall’esecutivo regionale negli anni piomba addosso alla Giunta e all’assemblea regionale proprio quando si trovano alle prese con le intricatissime questioni della legge di stabilità e soprattutto con il bilancio che il governatoreRosario Crocetta non si è ancora degnato di presentare anche se manca poco alla conclusione dell’esercizio provvisorio fissata per fine mese.

Quelli che gravano sulla Regione siciliana sono mutui accesi nel passato. Al 31 dicembre 2013 il debito si aggirava sui 5 miliardi. Successivamente, nel novembre 2014 per finanziare la spesa corrente è stato necessario un indebitamento per 606 milioni 97mila euro. L’ultimo finanziamento è stato contratto per saldare il debito della pubblica amministrazione con le imprese nel settore sanitario: un ulteriore debito da un miliardo 776 milioni 547 mila euro. A questo punto la Regione siciliana potrebbe essere costretta a contrarre un nuovo mutuo per portare il bilancio al pareggio, se le trattative con Roma, dalla quale la Sicilia attende le principali risorse a copertura del documento contabile, non dovessero nelle prossime ore andare in porto.

Oggi le opposizioni all’assemblea regionale hanno chiesto a Crocetta “un’operazione trasparenza” invitandolo a riferire in Aula sullo stato reale dei conti pubblici e dichiarare se la Sicilia sia o meno in default tecnico.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » sab lug 11, 2015 7:27 am

Dare/avere con lo Stato: indovinate un po’ chi ci guadagna… e chi perde (ano 2007)
http://www.tuttionessuno.ilduemila.com/ ... -chi-perde

A conferma che, in Italia, non tutte le Regioni sono uguali e che davvero esistono cittadini ‘di serie A’ e ‘di serie B’, sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori i dati forniti dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che ben esemplificano questa situazione di disparità.

Se è vero che diverse Regioni versano allo Stato molto più di quanto non ricevano in termini di trasferimenti, anche in questo settore non poteva mancare la proverbiale ‘eccezione che conferma la regola’. Anzi, le eccezioni. Al di là delle differenze tra Nord e Sud (anche Calabria, Basilicata, Molise e Puglia ricevono dallo Stato più di quanto non versino), lo squilibrio più notevole è quello tra le Regioni ordinarie e quelle a statuto speciale.

Vero è che queste ultime hanno maggiori competenze rispetto alle ordinarie, ma ciò non basta a giustificare la disparità di trattamento. Qualche esempio? Mentre un cittadino lombardo paga 6.894 euro di tasse (Irpef, Irpeg e Iva) e se ne vede ritornare dallo Stato 1.006 (con un saldo negativo di 5.889 euro), un valdostano, contro i 4.868 euro che versa allo Stato, ne riceve 8.066 (con un saldo positivo di 3.198 euro). Il risultato non cambia se paragoniamo il Veneto al Trentino: mentre nel primo caso ogni cittadino versa 4.166 euro e ne riceve 1.133 (saido: – 3.033 euro), sui monti trentini, a fronte dei 4.391 euro pagati, lo Stato ne restituisce 6.850 (saldo: + 2.459 euro). E’ più chiaro, adesso, perché tutti vorrebbero traslocare nelle Regioni ‘speciali’?…
...
Dulcis in fundo, concludiamo questa parte dedicata all’economia e alla finanza locale con una carrellata sull’ammontare dei principali tributi erariali (riscossi sul territorio) che ciascuna Regione ‘speciale’ e ciascuna Provincia autonoma trattiene (così come previsto dai singoli statuti). Nel caso del Trentino – Alto Adige (tabella qui a lato), abbiamo distinto le percentuali di spettanza regionale da quelle provinciali; a questo proposito, va tenuto a mente che le due Province autonome beneficiano anche di un’entrata ulteriore, più precisamente di una quota ‘non superiore ai 4/10 del gettito dell’Iva relativa all’importazione riscossa nel territorio regionale’ (che viene così ripartita: 47% alla Provincia di Trento e 53% a quella di Bolzano). Per quanto riguarda invece le altre quattro Regioni a statuto speciale (tabella sottostante), le percentuali delle imposte trattenute sono piuttosto eterogenee. Ma guardando la tabella, è inevitabile che l’occhio cada sulla terza colonna: la Regione Sicilia, infatti, trattenendosi in pratica la totalità dei tributi… fa l’en plein.
...



Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna. Pagano più tasse di tutti e ricevono meno degli altri
febbraio 1, 2013
http://www.tempi.it/lombardia-veneto-em ... aCo0fnV9dg

I cittadini del nordest versano tasse sopra la media; quando si tratta di ricevere, al di sotto. Pagano fino a 1.553 euro l’anno e ne ricevono al massimo 1.555. In Sicilia si paga 880 euro e se ne ricevono 2.595

«Pagano più tasse locali di tutti e ricevono meno degli altri». Sono i cittadini del nord-est. Lo Stato italiano non premia le regioni virtuose, scrive Italia Oggi. Quando si tratta di pagare, i cittadini di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, versano «da 1.300 a 1.553 euro l’anno pro capite in tasse», a fronte di una media nazionale di 1.230 euro. Quando si tratta, invece, di ricevere dallo Stato, «le tre regioni con l’economia più dinamica del paese, dove risiede il 32 per cento delle imprese attive e si genera il 39 per cento del Pil» arrivano a un massimo di 1.555 euro a cittadino, a fronte di una media nazionale di ben 1.972 euro.

IL PATTO DI STABILITÀ. I ritardi sul federalismo regionale hanno contribuito a mantenere una situazione dove lo Stato sfavorisce le regioni più efficienti. Per esempio, in Sicilia, regione con i conti in rosso da anni, si pagano 880 euro di tasse e si ricevono trasferimenti statali pari a 2.595 euro. «La spesa in conto capitale dal 2008 al 2011 si è ridotta del 26,5 per cento in Emilia Romagna, del 17 per cento in Lombardia e del 6,5 per cento in Veneto». Ma «le regole del patto di stabilità hanno finito per premiare le regioni tradizionalmente più propense a spendere, a scapito delle più virtuose. E così, a fronte di una media nazionale di 529,7 euro pro capite, la capacità di spesa delle tre regioni è la più bassa tra le 15 regioni a statuto ordinario (da 429 a 482 euro)».

LE PROPOSTE DELLA CNA. Per la confederazione nazionale dell’artigianato, il prossimo governo dovrà «riformare il patto di stabilità sulla base della golden rule europea che prevede l’obbligo del pareggio di bilancio per la parte corrente e una spesa per investimenti libera». Inoltre le manovre di finanza pubblica non dovranno essere «determinate per comparto (regioni, province, comuni), bensì per territorio sulla base di indici di virtuosità». Infine, bisogna completare «il processo di rilevazione dei costi standard sanitari (regioni) e dei fabbisogni standard (enti locali) e applicarli per suddividere le risorse tra i territori».
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » sab lug 11, 2015 7:30 am

Sicilia, il parlamento più costoso d’Europa: solo in caffetteria se ne vanno 800mila euro

Spesi 165 milioni di euro nel 2013 dall'Assemblea Regionale Siciliana. Contro i 68 milioni di Regione Lombardia, che ha quasi il doppio degli abitanti dell'isola. Il Piemonte si ferma a quota 62 e la Campania, che ha contenuto le uscite, è a quota 66 milioni. Ecco la lista di tutte le spese: dalle tende alla manutenzione di Palazzo Normanni, dal costo dei dipendenti in servizio a quelli in pensione. E poi le spese di rappresentanza: ogni onorevole si fa rimborsare 27 caffè al giorno
di Giuseppe Pipitone | 21 gennaio 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01 ... rno/850465

È il parlamento più antico del mondo, convocato per la prima volta da re Ruggero I addirittura nel 1097. Il 10 maggio del 1947 fu anche il primo parlamento a riunirsi nell’Italia repubblicana. Oggi, dieci secoli dopo la prima convocazione, ambisce anche a un altro primato: quello di parlamento regionale più costoso d’Europa. E forse anche del mondo intero. È l’Assemblea Regionale Siciliana, il più speciale dei consigli regionali italiani e non solo perché i suoi componenti sono gli unici, fuori da Montecitorio e Palazzo Madama, a potersi fregiare del titolo di onorevoli. A Palazzo dei Normanni, tra le scalinate percorse nei secoli da Angioini e Borbone, di onorevole c’è anche la lista della spesa.

Se il Parlamento italiano è il più costoso d’Europa, quello siciliano infatti è il parlamento regionale che costa di più non solo in Italia, ma anche nel resto del continente. Le cifre parlano da sole: nel 2013 l’Ars è costata quasi 165 milioni di euro. A poco è servita la spending review da una decina di milioni operata dal nuovo presidente Giovanni Ardizzone (nella foto): nell’ultimo bilancio varato da Palazzo dei Normanni si sottolinea che, rispetto al 2012, l’Ars ha fatto risparmiare 11.135.656 euro, per una spesa corrente di 164.077.563. Un piccolo taglio su una cifra che rimane comunque spropositata e fuori mercato, se si pensa agli appena 68 milioni di euro spesi dalla Regione Lombardia, che ha quasi il doppio degli abitanti dell’isola, al Piemonte, che si ferma a quota 62 milioni, e alla Campania che ha contenuto le uscite a quota 66 milioni.

In realtà la situazione è molto peggiore di come appare: fatti due conti, si scopre infatti che il parlamento siciliano costa ad ogni cittadino più del Senato e della Camera dei Deputati, che pure non brillano certo per sobrietà. Montecitorio e Palazzo Madama, infatti, costano ad ognuno di noi 27 euro e 15 centesimi (più di quanto costano insieme i parlamenti di Francia, Germania, Spagna e Inghilterra ai rispettivi cittadini), mentre ogni siciliano spende ben 33 euro all’anno per mantenere in funzione Palazzo dei Normanni, che quindi ha un costo pro capite superiore del 25 per cento rispetto al Parlamento nazionale. Gran parte delle spese dell’Ars sono dovute alle indennità dei novanta deputati che costano 20.425.000 euro all’anno. Dal 2017, ovvero dalla prossima legislatura, gli onorevoli rimarranno soltanto in settanta, nel frattempo però l’Ars continuerà a spendere altri venti milioni all’anno per previdenza e vitalizi degli ex onorevoli.

Esorbitante il costo dei dipendenti di Palazzo dei Normanni: 37.895.000 euro per quelli in servizio, più 45.580.000 euro per quelli in pensione. Sette milioni e duecentomila euro sono invece serviti nel 2013 per far funzionare i gruppi parlamentari, cifra ridotta rispetto al passato, dopo che l’inchiesta della procura di Palermo ha squarciato il velo sulle spese pazze e fuori controllo rimborsate agli onorevoli della scorsa legislatura. Oltre ai fondi per i gruppi, però, Palazzo dei Normanni spende anche tre milioni e settecentomila euro per imprecisate “collaborazioni esterne per il Consiglio di Presidenza e per le Commissioni parlamentari”. Dispendiosa anche l’attività istituzionale: 600 mila euro ai quali ne vanno aggiunti altri 150 mila per la celebrazione della prima seduta dell’Ars, più l’acquisto di generiche “pubblicazioni di carattere storico-politico- sociale”. Libri, pubblicazioni e giornali sono un vero pallino per gli onorevoli siciliani che solo di abbonamento alle agenzie di stampa spendono 585mila euro all’anno, mentre 120mila euro servono per abbonarsi a quotidiani e riviste. Abbonamenti multipli dato che altri 52 mila euro all’anno per i giornali sono inseriti anche nei 220 mila euro previsti per il funzionamento della biblioteca, dove la rilegatura dei quotidiani costa 65 mila euro, mentre la promozione culturale pesa sulle casse di Palazzo dei Normanni per 80 mila euro ogni anno.

“Questo diventerà un palazzo di vetro” disse Ardizzone insediandosi sulla poltrona più alta dell’Ars. Ma promuovere ciò che avviene dentro il palazzo di vetro vuol dire mettere mano al portafogli, dato che a bilancio ci sono 220 mila euro per “studi, ricerche, documentazione e informazione dell’Amministrazione” e 70 mila euro per la stampa degli atti parlamentari. Ben 1.295.000 euro occorrono invece per la duplicazione dei documenti: logico dunque che a bilancio siano messi anche 130 mila euro per l’acquisto di carta, 30 mila di spese postali, mentre 480 mila euro vengono girati alla Fondazione Federico II, che ha come scopo “la diffusione dell’attività istituzionale e la promozione dei beni monumentali”. Sfogliando il bilancio del parlamento siciliano sembra quasi di tornare indietro nel tempo, alla scintillante corte di Federico II, il sovrano che amava a tal punto vivere nello sfarzo, che arrivò a meritarsi l’appellativo di Stupor Mundi. Un millennio dopo, a Palazzo dei Normanni, i tempi non sembrano essere granché cambiati. Non si spiegano altrimenti i 590.000 euro spesi per l’acquisto di arredi e opere d’arte, o i 50 mila euro investiti nella confezione dei tendaggi. E che dire dei 50 mila euro messi a bilancio alla voce “facchinaggio”? Senza considerare che solo per il noleggio di automobili l’Ars ha speso 320 mila euro, mentre un nuovo bando per l’affitto di sette nuove fuoriserie è finito nei giorni scorsi nel mirino del Movimento Cinque Stelle. La voce più costosa del bilancio di Palazzo dei Normanni però è costituita dal palazzo stesso, che deve le sue origini agli arabi, autori della prima costruzione nel ontano IX secolo dopo Cristo. Sarà per questo che oggi Palazzo dei Normanni ha bisogno di continui lavori: solo nel 2013 la manutenzione ordinaria è costata due milioni di euro. Enorme invece il costo della manutenzione straordinaria: quasi sei milioni di euro, con 250 mila euro prosciugati dal riadattamento del giardino interno. È un capitolo a parte invece il costo del caffè: nel 2013 sono stati destinati alla caffetteria ben 800mila euro. Considerato il costo medio di un espresso (90 cent), diviso per il numero dei deputati (90) e per i giorni dell’anno (365) si arriva alla conclusione che ogni parlamentare regionale siciliano beve tra i 27 e 28 caffè al giorno, tutti i giorni, inclusi i festivi. Numeri che fanno di Palazzo dei Normanni non solo il Parlamento più antico e costoso d’Europa, ma probabilmente anche il più vigile e insonne.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:38 am

Mafie e briganti teroneghi
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » mar feb 26, 2019 8:38 pm

L'Ars è più cara della Casa Bianca, costa mille euro al minuto

Il dossier contro i fannulloni al parlamento siciliano fotografa una situazione preoccupante. L'Ars lavora appena 87 giorni l'anno e costa mille euro al minuto, più della Casa Bianca
Roberto Chifari - Mar, 26/02/2019

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 52609.html

Il parlamento più antico d'Europa costa tanto quanto la Casa Bianca di Washington. L'Assemblea regionale siciliana nell'anno solare 2018 ha lavorato 246 ore e 33 minuti, per un totale di 87 giorni di seduta e una media di 7,25 giorni al mese.

Un puro calcolo matematico che fotografa, però, la situazione attuale all'interno dei corridoi di palazzo dei Normanni. Si lavora poco e male e la media di ore trascorse all'interno dell'aula è di appena 20 ore e 32 minuti al mese, circa cinque ore a settimana. E se aggiungiamo le vacanze, i ponti e i periodi di stop forzato si rischia di far abbassare ancora di più la media.
Eppure mantenere l'Ars ha un costo notevole, perché considerando il costo di tutto il personale che lavora a palazzo dei Normanni e di tutti i parlamentari, la cifra che i contribuenti sono costretti a pagare ogni anno è di circa 15 milioni di euro. Insomma, ogni minuto all'Ars nel 2018 è costato mille euro. "A parte il momento della Finanziaria la sensazione è che nel resto dei mesi all'Ars non si lavorasse tanto. Il record negativo è stato registrato a maggio, con appena 4 ore e 34 minuti, peggio fa solo agosto con 4 ore e 1 minuto di lavoro. Ad eccezione dei mesi in cui in Aula sono stati analizzati i documenti finanziari, nel resto dell'anno ci sono stati mesi in cui abbiamo lavorato appena 10 ore", afferma l'onorevole Stefano Zito che ha presentato il dossier sui fannulloni all'Ars chiedendone una modifica al regolamento interno dell'Assemblea. Nel dettaglio a gennaio 2018 i deputati hanno lavorato 14 ore, a febbraio 7, a marzo 15, ad aprile il record con 66 ore all'attivo. A maggio appena 4 ore, a giugno (15), a luglio (11). Ad agosto - considerando la chiusura dei lavori per tre settimane - l'Ars si è riunita per 4 ore e un minuto. A settembre alla ripresa dei lavori appena 10 ore, ad ottobre (23 ore), a novembre (22). Infine lo scorso dicembre 29 ore.

Non va meglio analizzando il numero medio di sedute di tutte le commissioni parlamentari che lavorano 9,42 giorni a settimana. Nessuna commissione supera le due convocazioni a settimana, la più produttiva è la Commissione bilancio con 1,66 sedute a settimana. Per contro l'Ars costa più della Casa Bianca che spende circa 136 milioni di euro in un anno, mentre l'Assemblea costa 137 milioni e 500 mila euro, anche se negli anni precedenti il costo superava i 160 milioni di euro all'anno. "Dai verbali delle sedute del 2018 - spiega ancora Zito - emerge che questa Assemblea lavora mediamente 20 ore e 32 minuti al mese, anche se ci sono mesi in cui si è molto al di sotto di questa media. Non è solo questo il nostro problema perché anche i pochi disegni di legge poi, non vengono convertiti in legge. In questo modo si arreca un danno alla collettività e sono la testimonianza di quanto poco si è lavorato. Non ha importanza quanto costa l'Ars ma quanto riesca a produrre effettivamente in termini di legge".

Un immobilismo che ha provocato la paralisi del parlamento siciliano, dove si fa poco o nulla. Togliendo dal conteggio i disegni di legge obbligatori, come bilancio, variazione di bilancio, finanziaria, elezioni ex province, rimangono circa 9 disegni di legge. Troppo poco per una regione che dell'autonomia ha fatto il suo cavallo di battaglia.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » ven mar 08, 2019 2:22 am

Sicilia, Micciché: “Non taglio vitalizi come fatto alla Camera”
SICILIA 07 marzo 2019

https://tg24.sky.it/palermo/2019/03/07/ ... _link_null

È quanto ha affermato il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, che si è detto disposto a un sistema di tagli diverso. “Se l’Ars ritiene di fare così mi sfiduci”, attacca.

“Non sono disponibile a tagliare i vitalizi dei deputati regionali come ha fatto Fico alla Camera”. Lo ha detto Gianfranco Micciché, presidente dell'Assemblea regionale siciliana. “Sono invece disponibile - ha aggiunto - a studiare un diverso sistema di tagli, tenendo conto delle tante persone perbene che hanno dato il meglio di se stessi a questa regione. A loro sarebbero andati, con il metodo Fico, 600 euro. Se l'Ars ritiene di fare così mi sfiduci”.
Facendo riferimento agli ex parlamentari che godono del vitalizio, Micciché ha poi aggiunto: "Non posso consentire il massacro sociale di persone che hanno solo la colpa di avere servito questa terra. Peraltro si farebbe un regalo ai ladri che proprio perché rubano non hanno bisogno di vitalizi".

La replica: "Anacronistica e irresponsabile"

Sulla presa di posizione di Micciché è intervenuto anche il capogruppo del Movimento 5 Stelle all'Ars, Francesco Cappello: "Miccichè rappresenta il vero volto dell'Assemblea regionale siciliana, anacronistica e irresponsabile. Di fronte alla quotidiana e dilagante difficoltà dei siciliani di pagare le bollette e riempire il frigo, c'è ancora chi vuole salvare la ricchezza dei pochi, fatta di privilegi come il vitalizio. Micciché fa appello alla sfiducia? Ebbene, è evidente che si sta sfiduciando da solo", le sue parole.


Alberto Pento
Un parassita schifoso come la sua regione autonoma piena di ladri, di mafiosi, di farabutti.




Quanto costa l'Assemblea regionale siciliana secondo il M5s
2019/02/26

https://www.lettera43.it/it/articoli/po ... m5s/229551

Mille euro al minuto. Tanto è costata alle casse pubbliche l'attività dell'Assemblea regionale siciliana nel 2018, in rapporto alle ore lavorate in Aula e ai 15 milioni di euro pagati per le indennità dei parlamentari regionali. I dati sono contenuti in un dossier messo a punto dal gruppo parlamentare del M5s. Dall'analisi pentastellata risulta che nel 2018 i deputati eletti all'Ars hanno lavorato in Aula per soli 87 giorni: una media di 7,52 giorni al mese, pari ad appena 20 ore. Il record negativo è stato segnato nel mese di maggio, con 4 ore e 34 minuti di lavoro. È andata peggio solo ad agosto, con 4 ore e 1 minuto di lavoro.

Il M5s chiede quindi ai colleghi non solo una maggiore produttività, ma anche una modifica al regolamento interno dell'Assemblea. «A parte il momento della legge finanziaria, la sensazione è che nel resto dell'anno si lavori troppo poco», ha spiegato l'onorevole pentastellato Stefano Zito nel corso di una conferenza stampa a Palazzo dei Normanni. Su 394 decreti legge presentati, inoltre, solo 21 sono diventati legge. Da qui la proposta del M5s di modificare il regolamento introducendo il computo delle presenze e delle assenze, con un meccanismo sanzionatorio per i deputati assenteisti. Ma finora le modifiche al regolamento proposte dal M5s non sarebbero mai state prese in considerazione perché il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Micciché di Forza Italia, «non convoca la commissione regolamento», ha denunciato Elena Pagana, deputata del M5s. Per le assenze ingiustificate i pentastellati propongono sanzioni che vanno dal 2 al 10% dello stipendio.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » gio mar 21, 2019 11:36 pm

La superloggia massonica di Castelvetrano controllava tutto: e sapeva pure dell'inchiesta
21/03/2019
Franco Nicastro

https://www.lasicilia.it/news/cronaca/2 ... iesta.html

CASTELVETRANO - Nella terra di Matteo Messina Denaro si era radicato un sistema di potere che aveva come base una superloggia massonica segreta. E da lì aveva incanalato affari e interessi lungo mille rivoli politici e istituzionali che andavano dal ministero dell’Interno alla polizia, dall’Assemblea regionale ai carabinieri. Quel sistema metteva sabbia nelle indagini della magistratura, violava il segreto su intercettazioni e attività di intelligence, gestiva pacchetti di voti, posti di lavoro, carriere e un mercato di facili pensioni. E sapeva pure dell'inchiesta che oggi ha portato all'arresto di 27 persone tra cui alcuni personaggi eccellenti come l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto, eletto tra gli autonomisti del Mpa e poi transitato in Forza Italia, e l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio pure lui di Forza Italia.

È uno scenario impressionante quello descritto nelle carte di un’inchiesta della Procura di Trapani che, affondando le mani nel verminaio di Castelvetrano, con il comune sciolto per mafia, è sfociata nella raffica di arresti.

Lo Sciuto era stato vice presidente della commissione cultura nel parlamento siciliano prima di passare alla commissione regionale antimafia per svolgere, proclamava, il ruolo di «sentinella alla Regione per l’intera provincia di Trapani e per Castelvetrano». Non manca qualche rappresentante del potere locale come gli ex sindaci di Castelvetrano, Luciano Perricone e Felice Errante, e l'ex vice sindaco Vincenzo Chiofalo. E di striscio viene toccato anche Roberto Lagalla, ex rettore dell’università di Palermo e attuale assessore regionale alla Formazione: è sospettato di avere avuto un ruolo nell’assegnazione di una borsa di studio alla figlia di un lobbista di provincia.

Contribuiscono a rendere più torbido il quadro delle collusioni anche tre poliziotti: Salvatore Passanante, ispettore in servizio presso il commissariato di polizia di Castelvetrano; Salvatore Virgilio assistente capo della sezione di Trapani della Dia; Salvatore Giacobbe, in servizio presso la questura di Palermo. Erano loro a fare sapere a Lo Sciuto che era intercettato. Innescando così uno sconvolgimento nella fitta rete di relazioni e di collusioni. Fino alla conferma venuta dall’alto: a certificare che lo Sciuto era ascoltato sarebbe stato Giovannantonio Macchiarola, capo della segreteria particolare del ministro dell’Interno del tempo, Angelino Alfano.

Lo Sciuto è la figura centrale di questa inchiesta in piedi da tre anni. Nata dopo una segnalazione anonima e cresciuta sull'onda di reportage giornalistici, ha subito puntato i riflettori sulla loggia segreta alla quale facevano capo molti dei protagonisti dell’operazione «Artemesia», come l’ha chiamata la Procura diretta da Alfredo Morvillo adottando una pianta medicinale usata per operazioni di pulizia gastrica. In cambio delle «soffiate» avrebbero ottenuto favori personali oppure assunzioni all’Anfe, un ente di formazione presieduto da Paolo Genco, un altro finito nella cerchia degli indagati.

Un corposo capitolo dell’inchiesta è dedicato alle pensioni di invalidità. Sono una settantina quelle sospette concesse grazie al ruolo svolto da Rosario Orlando, già responsabile del centro medico legale dell’Inps e poi componente delle commissioni di invalidità civile. È sua figlia ad avere beneficiato, a quanto pare, della borsa di studio.

Ma il centro del sistema di potere ruotava attorno alla loggia segreta. Un intreccio occulto tra mafia e massoneria deviata sul quale aveva accesso i riflettori anche la commissione Antimafia presieduta da Rosi Bindi, che aveva portato allo scioglimento per mafia del consiglio comunale.

La loggia seguiva anche le mosse della magistratura sul sistema di potere occulto di Castelvetrano. A diffondere l’informazione che a Giovanni Lo Sciuto aveva creato il panico era stato Arturo Corso, odontotecnico e massone di Salemi. A Lo Sciuto aveva anticipato, nel novembre 2016, che la magistratura stava per emettere 23 avvisi di garanzia. E che avesse puntato sulla massoneria come snodo della rete di potere era dimostrato dal fatto che aveva censito 19 logge massoniche in provincia di Trapani e ricostruito le liste con 460 iscritti.

Queste notizie, ma anche alcune anticipazioni giornalistiche, avevano suscitato grande apprensione in Lo Sciuto. Al fratello Antonino aveva ordinato di cancellarsi dalla loggia Hypsas e al venerabile gran maestro aveva chiesto di fare scomparire il suo nome. Aveva perfetta cognizione sulla direzione dell’indagine. E a un amico confidava «Anche a Roma lo sanno».
Ma la rivelazione che lo aveva impressionato era soprattutto quella di Corso sui possibili destinatari dei provvedimenti del gip: «Tuo fratello c'è, tuo fratello c'è».



Castelvetrano, scoperta una superloggia segreta. Ai domiciliari l’ex deputato Cascio, rivelò l'indagine
Nella città di Messina Denaro, un gruppo di potere guidato dall’ex deputato regionale Lo Sciuto, arrestato pure il candidato sindaco Perricone e l’ex sindaco Errante. Indagato l'ex segretario del ministro Alfano, avrebbe svelato l'inchiesta a Cascio. Avviso di garanzia all'assessore regionale Lagalla
SALVO PALAZZOLO
21 marzo 2019

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... -222119820

Castelvetrano, la città dei misteri. Non solo attorno al superlatitante Matteo Messina Denaro. Ora, salta fuori pure una superloggia segreta formata da massoni, politici e professionisti che riusciva ad orientare le scelte del Comune, ma anche nomine e finanziamenti a livello regionale. Una loggia in grado di ottenere persino notizie riservate sulle indagini in corso della magistratura.

La notte scorsa, 27 persone sono state arrestate dai carabinieri del nucleo Investigativo di Trapani, altre dieci sono indagate a piede libero: a capo del gruppo ci sarebbe stato l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Lo Sciuto; dell'associazione segreta avrebbe fatto parte anche il candidato sindaco di Castelvetrano Luciano Perricone e l'ex sindaco Felice Errante, entrambi finiti ai domiciliari. Stessa misura cautelare per l'ex deputato di Forza Italia Francesco Cascio, accusato di aver favorito il gruppo di Lo Sciuto: avrebbe rivelato l'esistenza delle intercettazioni di Trapani dopo averlo saputo - questa l'accusa - dall'allora segretario del ministro dell'Interno Angelino Alfano, Giovannantonio Macchiarola, che è indagato per rivelazione di notizie riservate, sarà interrogato domani.

In carcere sono finiti invece tre poliziotti, Salvatore Passannante, Salvatore Virgilio (in servizio alla Dia di Trapani) e Salvatore Giacobbe. Erano loro a fare sapere a Lo Sciuto che era intercettato. Innescando così uno sconvolgimento nella fitta rete di relazioni e di collusioni. Fino alla conferma venuta dall'alto: a certificare che lo Sciuto era ascoltato sarebbe stato Macchiarola.

Un avviso di garanzia è stato notificato all'ex rettore di Palermo Roberto Lagalla, oggi assessore regionale all'Istruzione: secondo la ricostruzione della procura di Trapani avrebbe avuto un ruolo nella concessione di una borsa di studio alla figlia di uno dei professionisti arrestati. E adesso è indagato per abuso d'ufficio.
Castelvetrano, scoperta una superloggia segreta. Ai domiciliari l’ex deputato Cascio, rivelò l'indagine

Giovanni Lo Sciuto

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L'inchiesta coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, dall'aggiunto Maurizio Agnello e dai sostituti Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani è stata chiamata "Artemesia" (una pianta medicinale usata per operazioni di pulizia gastrica) e descrive "un'associazione a delinquere segreta" attorno a Giovanni Lo Sciuto, che nel 1998 un esposto anonimo indicava come finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro. All'epoca, le indagini dissero che era in società con la sorella e il cognato del superboss, ma non emerse altro e il caso venne archiviato. Nel 2012, il medico di Castelvetrano era diventato deputato regionale con il movimento per le autonomie, poi dopo una parentesi nell'Ncd l'arrivo in Forza Italia. Lo Sciuto aveva lasciato la commissione Lavoro per entrare nella commissione Antimafia, con tanto di proclama: "Cercherò di essere la sentinella alla Regione per l'intera provincia di Trapani e per Castelvetrano in particolare".
La loggia
L'impegno antimafia era solo una facciata, Lo Sciuto avrebbe avuto a cuore soprattutto il suo bacino elettorale, da ampliare attraverso una serie di affari gestiti con il "gruppo occulto": fra i componenti, i massoni Giuseppe Berlino (ex consigliere comunale di Castelvetrano) e Gaspare Magro (commercialista) - entrambi finiti in carcere - nonché il vice sindaco della città, Vincenzo Chiofalo, ai domiciliari. Controllavano nomine, facevano segnalazioni e raccomandazioni, avrebbero imposto persino quattro assessori massoni nella giunta Errante. Gli inquirenti parlano di un "controllo generalizzato e penetrante delle scelte politiche e amministrative". Non solo al Comune, ma anche al parco archeologico di Selinunte, all'Inps di Trapani e persino alla Regione, dove Berlino avrebbe ricevuto gli appoggi giusti per entrare nella segreteria tecnica dell'assessore ai Beni culturali. Lo Sciuto avrebbe controllato pure finanziamenti regionali e soprattutto un fiume di pensioni di invalidità, sono 70 quelle al vaglio degli inquirenti.

L'ex deputato regionale sarebbe riuscito a pilotarne tante, grazie a "uno stabile accordo corruttivo", dicono i magistrati, con Rosario Orlando, già responsabile del centro medico legale dell'Inps e poi componente delle commissioni di invalidità civile. La figlia di Orlando avrebbe beneficiato di una borsa di studio, per questa vicenda è indagato l'assessore regionale Lagalla.

Un altro grande elettore dell'esponente politico era Paolo Genco, presidente dell'ente di formazione professionale Anfe, pure lui è finito in manette: avrebbe fornito sostegno economico e assunzioni, in cambio Lo Sciuto si sarebbe prodigato per l'approvazione di delibere e progetti di legge regionali riguardanti l'Anfe. Un intreccio occulto tra mafia e massoneria deviata sul quale aveva accesso i riflettori anche la commissione Antimafia presieduta da Rosi Bindi, che aveva portato allo scioglimento per mafia del consiglio comunale.

Accuse e nomi
I reati contestati dalla procura di Trapani vanno dalla corruzione alla concussione, dal traffico di influenze illecite al peculato alla truffa aggravata, alla falsità materiale, alla rivelazione di segreto d'ufficio, al favoreggiamento, all'abuso d'ufficio, all'associazione a delinquere segreta finalizzata ad interferire con la pubblica amministrazione (la violazione della cosiddetta legge Anselmi). Per gli stessi reati sono stati notificati anche cinque obblighi di dimora, una misura interdittiva e quattro avvisi di garanzia.

I nomi degli arrestati: Giovanni Lo Sciuto, Paolo Genco, Gaspare Magro, Giuseppe Angileri, Isidoro Calcara, Salvatore Passanante, Salvatore Virgilio, Salvatore Giacobbe, Rosario Orlando e Giuseppe Berlino.

Vanno ai domiciliari: Maria Luisa Mortillaro, Vincenzo Giammarinaro, Francesco Cascio, Adelina Barba, Sebastiano Genna, Giovanna Di Liberto, Giuseppe Cammareri, Vincenza Daniela Lentini, Gaetano Salerno, Antonio Di Giorgio, Alessio Cammisa, Antonietta Barresi, Francesco Messina Denaro, Vincenzo Chiofalo, Tommaso Geraci, Felice Errante, Luciano Perricone.

L'obbligo di dimora è stato imposto a Valentina Li Causi, Filippo Daniele Clemente, Arturo Corso, Gaetano Bacchi e Zina Maria Biondo. Una misura interdittiva è stata notificata a Giorgio Saluto.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » gio set 19, 2019 7:36 pm

Allarme conti pubblici in Sicilia, buco da un miliardo: la Regione valuta il blocco della spesa
18 settembre 2019

https://sicilia.gazzettadelsud.it/artic ... M.facebook

E’ allarme conti pubblici in Sicilia: teatri, associazioni anti-racket, enti e fondazioni non riceveranno i fondi che aspettavano quest’anno e anche per l'anno prossimo non ci sono certezze.

In cassa la Regione in questo momento ha solo le risorse per coprire le obbligazioni dei capitoli di bilancio finanziati con l’ultima manovra, ma non ha fondi per nuove norme di spesa: tant'è che con una lettera il governatore Nello Musumeci ha chiesto al presidente dell’Assemblea siciliana, Gianfranco Miccichè, di «congelare» i finanziamenti previsti nel 'collegato', da mesi al vaglio delle commissioni parlamentari, per i quali occorrevano 40 milioni. E si ipotizza, addirittura, di bloccare la spesa se la Corte dei conti dovesse confermare il maggiore disavanzo per 1 miliardo di euro, di cui 400 milioni scoperti in piena estate.

Il responso dei giudici contabili è atteso per la metà di ottobre, intanto il dipartimento Economia lavora alla nuova manovra, che sarà di tagli. Anche drastici. In base al decreto legislativo 118 del 2011 sull'armonizzazione del sistema contabile, la Regione dovrà coprire il maggiore disavanzo nell’esercizio corrente ma questo provocherebbe il default; probabile che il governo si avvalga della possibilità di spalmare il disavanzo sul triennio, ma anche in questo caso saranno necessari sforbiciate e sacrifici notevoli, compreso, anche se non c'è alcun sentore al momento, l'incremento dell’addizionale Irpef, dell’aliquota Irap per le imprese e delle imposte su concessioni e autorizzazioni.

«Questa vicenda finanziaria non si può iscrivere al mio governo - sbotta il presidente Nello Musumeci - Nessuno può dire io non c'entro, riguarda i governi degli ultimi trent'anni, centrodestra e centrosinistra». E accusa il precedente governo Crocetta: «Se nel 2015 avesse fatto il proprio dovere spalmando l'intero disavanzo in trent'anni noi oggi non avremmo ulteriormente appesantito il bilancio della Regione».

Al momento, il disavanzo definitivo accertato è pari a 7,3 miliardi di euro, un miliardo in più rispetto a quello dell’anno scorso. Dei 7,3 mld, 6,286 miliardi sono già stati spalmati in gran parte nei bilanci dei prossimi trent'anni. Rimane il miliardo di euro che non può essere redistribuito nel trentennio ma va coperto entro la fine della legislatura. Una cifra che potrebbe però raggiungere dimensioni monstre.

Il governo Musumeci ha affidato a una società l’analisi dei residui attivi e passivi di tutti i bilanci della Regione degli ultimi trent'anni «per avere un quadro definitivo rispetto all’obiettivo di fare un’operazione verità sui conti». Si teme che in realtà il disavanzo, per via della montagna di residui attivi e passivi con i quali in passato venivano «drogati» i bilanci, sia ben superiore. «Speriamo in una corale mobilitazione per tirare fuori la Sicilia dal baratro in cui altri l’hanno costretta - dice Musumeci - E invece qui qualcuno vuol tentare il gioco maldestro di farsi una verginità politica. Qualcuno da carnefice vuol far finta di diventare vittima. Sapevo che il popolo siciliano ha nel codice genetico l’innata vocazione alla teatralità ma questo significa seminare sbigottimento e incertezza tra la gente. Forse ho fatto fin troppo il presidente istituzionale, sono cattolico ma ho due sole guance. Da ora non faccio più sconti a nessuno».

«Ad oggi è escluso un aumento dell’addizionale Irpef». Dice l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, in merito alla prossima manovra di bilancio.

Se la sezioni riunite della Corte dei conti dovesse dare parere positivo alla delibera della commissione paritetica, il governo Musumeci potrà spalmare in dieci anni il maggiore disavanzo pari a circa 1 miliardo di euro. La commissione, infatti, ha dato l’ok alla spalmatura decennale e ha trasmesso la delibera alla Corte per il parere.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » dom set 22, 2019 8:15 pm

Il “Banco delle due Sicilie”: quando il Sud era il motore ricco dell’Europa
di Vincenzo Roberto Cassaro
21 Ottobre 2018


https://www.ilsicilia.it/il-banco-delle ... hMXbPwhLbc


L'economia nella Sicilia nel meridione pre-unitari

Più o meno tutti, almeno una volta nella vita, a parte qualche rara eccezione, abbiamo cercato di far passare un’affermazione falsa come un’affermazione vera, in che modo? Molto spesso ripetendo quella falsità fino allo svenimento, un metodo talmente efficace, che alla fine anche noi stessi, crediamo, ideatori e autori della menzogna, che quest’ultima corrisponda alla verità.

È incredibile ma la nostra mente funziona così, pertanto la percezione che possiamo avere della realtà può variare molto in base a come essa viene raccontata. Ecco, similmente, questa tecnica comunicativa è stata utilizzata dalla propaganda e dalla retorica politica piemontese dopo l’unità d’Italia, facendo passare il messaggio che il Regno meridionale, oppresso dai Borbone, fosse una terra povera e arretrata e che il Settentrione si sarebbe impegnato per il suo sviluppo. Infatti non è casuale che oggi molti meridionali hanno perso, almeno in parte, la coscienza del proprio passato.

Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più ricco e all’avanguardia d’Italia e tra i più floridi in Europa. Uno degli indicatori di questa ricchezza ci proviene dal sistema bancario meridionale preunitario.

A Napoli nel 1539 fu fondato il “Monte di Pietà”, un istituto che aveva il compito di fornire prestiti a tasso zero a favore di coloro che si trovavano in una situazione di povertà, come garanzia si richiedeva un pegno. Dopo aver iniziato a svolgere attività bancaria e di deposito, nel 1584 l’istituto divenne un Banco. Così tra il ‘500 e il ‘600 a Napoli vennero fondati ben otto istituti bancari pubblici: il già citato “Banco di Pietà”(1539), il “Monte e Banco dei Poveri”(1563), il “Banco della Santissima Annunziata”(1587), il “Banco di Santa Maria del Popolo”(1589), il “Banco dello Spirito Santo”(1590), il “Banco di Sant’Eligio”(1592), il “Banco di San Giacomo e Vittoria”(1597) e il “Banco del Santissimo Salvatore”(1640), quest’ultimo, l’unico Banco a non essere legato ad istituti caritatevoli e assistenziali.

Siamo di fronte a un sistema bancario che pochi altri Stati dell’epoca potevano vantare. Alcuni importanti cambiamenti arrivano nel 1794, quando Ferdinando IV di Borbone istituisce il “Banco Nazionale di Napoli”, il quale aveva il compito di coordinare e controllare l’attività degli otto Banchi napoletani.

Nel 1806 il re Giuseppe Bonaparte rivoluzionerà l’assetto bancario del regno, infatti egli farà chiudere due Banchi, quello “del Popolo” e quello “del Salvatore”, inoltre creerà il “Banco dei Privati” che assorbirà i Banchi “della Pietà”, “dei Poveri”, di “Sant’Eligio” e dello “Spirito Santo”, infine il “Banco di San Giacomo” cambierà nome in “Banco di Corte”, con il compito di custodire e gestire il tesoro dello Stato.

Sarà invece il re Gioacchino Murat a mutare profondamente il sistema bancario meridionale attraverso la fondazione del “Banco delle Due Sicilie”, articolato in due rami, la “Cassa dei Privati” e la “Cassa di Corte”. Nel 1844 fu fondata la “Cassa di Corte” a Palermo e nel 1846 la “Cassa di Corte” a Messina, tre anni più tardi esse saranno fuse nel “Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro”. Ricordiamo che nel 1858 fu fondata la “Cassa di Corte” a Bari e nel 1860 la “Cassa di Corte” a Reggio Calabria e a Chieti. Insomma un apparato bancario veramente articolato e possente, a tal punto che nel 1860 il “Banco delle Due Sicilie” potrà vantare una ricchezza intorno ai 440 milioni di lire in monete d’oro, invece la ricchezza monetaria di tutti gli altri Stati italiani messi insieme non arrivava ad un valore di 230 milioni di lire, oltretutto una parte in cartamoneta.

Dopo il “sacco garibaldino”, quel poco che rimaneva del “Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro” fu confluito nel nuovo istituto “Banco di Sicilia”mentre il “Banco delle Due Sicilie” fu convertito in “Banco di Napoli” e venne amministrato da funzionari piemontesi, oltretutto avrà il compito, per 65 anni, di emettere moneta nel nuovo “Regno d’Italia”, fino a quando tale funzione sarà assunta nel 1926 dalla “Banca d’Italia”.

Quindi, già con lo sbarco di Garibaldi, il sistema bancario meridionale iniziò a subire danni irreparabili, per poi essere smembrato a partire dall’Unità d’Italia. Non è un caso se oggi il “Banco di Sicilia” è di proprietà di “Unicredit”, una banca milanese, e il “Banco di Napoli” di “Intesa-San Paolo”, un istituto di credito torinese.

Dal 1861 si assistette a un’enorme trasferimento di capitali dal meridione al settentrione e il processo fu anche incredibilmente veloce e spietato, infatti dopo qualche decennio dall’unificazione, di quel florido mondo bancario, costruito attraverso i secoli, non rimaneva che qualche traccia, gran parte ormai era stato sotterrato dalle macerie dell’opportunismo e della Storia e anche dal tentativo, in gran parte riuscito, di cancellare la memoria collettiva di quello che un tempo era uno dei sistemi bancari più ricchi d’Europa, quello del Regno delle Due Sicilie.



Le radici storiche del sottosviluppo meridionale
di Marzia Ippolito

https://www.marxismo.net/index.php/teor ... eridionale


Nel 1861 il divario economico tra il Nord e il Sud è per lo più inesistente. Nonostante alcune differenze non determinanti infatti, il Regno di Napoli e quello piemontese sono in una situazione strutturalmente omogenea.1 L’inizio di tale divaricazione si può far risalire al 1881 quando il tasso di crescita industriale del Meridione inizia a differenziarsi progressivamente da quello della media nazionale. Fino al 1901, con l’esclusione di Napoli, solo i centri minerari della Sicilia sono ancora vicini alla media italiana, dieci anni dopo il processo di divaricazione è ancora più accentuato. La parziale industrializzazione del Nord-Ovest e l’arretratezza relativa del Meridione sembrerebbero quindi sviluppi relativamente recenti. Pensiamo che la dinamica che si realizzò nel Mezzogiorno dopo l’unificazione sia stata quella di un sottosviluppo funzionale al Settentrione per lo sviluppo ulteriore del capitalismo italiano. La discussione sul piano economico del processo che si innescò nel Meridione d’Italia è indubbiamente ancora oggi molto accesa. Questo studio si è imposto recentemente quando, a partire dagli anni ’50 del Novecento, si individuò la necessità di analizzare le origini delle lotte contadine che durante l’unificazione agitavano le campagne meridionali, in un ambito più generale che comprendesse tanto le trasformazioni politiche della società meridionale, quanto le sue dinamiche nel contesto economicamente dato.
A complicare il dibattito è intervenuta anche una certa impostazione nuovista che si impose soprattutto in reazione allo sviluppo unilineare dei processi storici così come teorizzato da Stalin. La schematicità e la rigidità di tale concezione, che altro non faceva se non rendere dogmatico lo strumento del materialismo storico di Marx, hanno spogliato di scientificità l’analisi marxista rendendo inutilizzabile questo strumento per comprendere l’evoluzione di un’area come il Mezzogiorno. Questo è stato uno degli aspetti prevalenti che ha lasciato spazio alle teorie terzomondiste alla Gunder Frank,2 o ad altri che, con l’intento di rifuggire dello schematismo staliniano sono, in parte, ricaduti in un altro, quello di leggere i processi storici prevalentemente attraverso la lente della sovrastruttura politica e sociale, mettendo dunque in subordine ad essa le modifiche che intercorrono nella struttura economica.

Le trasformazioni dell’economia del Sud preunitario

La transizione economica dal sistema feudale al capitalismo al Sud inizia a realizzarsi nella seconda metà del Settecento. Per tutto il XVII e XVIII secolo continuano ad esistere alcuni residui feudali, seppure evidenti siano i segnali del suo declino. L’annona, giusto per fare un esempio rappresentativo, altro non è se non il controllo dei prezzi dei cereali attraverso l’impossibilità di poter commerciare con l’estero. Si tratta di uno strumento utilizzato dai governi che ha la doppia funzione di impedire lo svilupparsi di carestie e di sedare proteste popolari. Tuttavia, malgrado l’annona, il commercio del grano inizia a svilupparsi tra la fine del XVIII e i primissimi anni del XIX secolo rendendo ancora più fragili i pilastri fondanti del feudalesimo, tanto che “nonostante queste cose il grano si incetta, si trasporta e circola tra noi dove bisogna ed i particolari vi trovano il loro profitto” 3.
Le dinamiche che si realizzano al Sud vanno lette insieme a quelle che più complessivamente avvengono nel contesto internazionale. Dalla seconda metà del Cinquecento agli inizi dell’Ottocento la scoperta delle riserve d’oro e d’argento nel Nuovo Continente ha dato un ulteriore colpo alla rigidità insita nel sistema feudale. La diminuzione del valore della moneta permette la nascita di un fenomeno del tutto nuovo per l’epoca, quello dell’inflazione, di cui il ceto medio nascente, quello non a reddito fisso o non necessariamente proveniente da rendite, si giova. Questa dinamica, seppur in modi e gradi diversi da quella che si realizza ben prima in Inghilterra, ha un’eco anche nel Mezzogiorno del nostro paese e in special modo in alcune aree, come quella siciliana e quella intorno all’aggregato urbano della città di Napoli. È in primo luogo in queste aree che si assiste ad una prima sconosciuta dinamicità di mercanti, usurai, fittavoli e contadini.
In Sicilia questo processo è limpido. Nei primi anni del XIX secolo la nascente borghesia utilizza i propri capitali, acquisiti con movimenti speculativi dovuti alla svalutazione della moneta e all’inflazione, per prendere in fitto i feudi della nobiltà. Comincia a partire da questo periodo una visibile divaricazione tra ceto nobile improduttivo e la nascente borghesia produttiva.
I nobili, potendo ricavare una lauta rendita dal fitto delle proprie terre, si spostano nelle città, lasciando nelle mani dei fittavoli i rischi della conduzione dell’attività contadina. La figura del gabellotto siciliano inizia ad imporsi in questo contesto: egli incarna integralmente le caratteristiche di quella borghesia produttiva e avida che, nella necessità di far profitto, sarà obbligata a investire capitali, allargare la produzione e migliorare le capacità del mercato interno di assorbire le proprie merci. Il fenomeno di cui discutiamo non è peculiare della Sicilia, esempi si ritrovano anche nel Sud continentale, e su questi ritorneremo a breve.
Il gabellotto, che si costituisce come nuovo signore del feudo, appesantisce rispetto al passato gli obblighi dei propri coloni in termini di aumento del pagamento delle prestazioni in denaro (già in passato esistenti, anche se in misura trascurabile) e di restringimento dei loro diritti consuetudinari (con la recinzione delle terre). In breve i contadini si proletarizzano, diventano braccianti, si impoveriscono, dato che il loro salario non è adeguato ai cambiamenti dei prezzi, e vengono espropriati del contatto diretto che avevano con i mezzi di produzione. Diversamente dal passato, quando i contadini lavoravano sempre la stessa terra e vendevano le proprie merci nella stessa piazza conservandone parte per l’autoconsumo, i nuovi braccianti sono costretti dalla loro miseria a spostarsi di latifondo in latifondo vendendo la propria forza lavoro al miglior offerente, non solo nelle campagne ma spesso emigrando anche nelle città. Lenin, parlando della Russia, descrive un fenomeno molto simile a quello che avviene nel Mezzogiorno d’Italia.4
Fenomeno parallelo a quello dell’immiserimento dei braccianti è quello del decadimento della nobiltà. Le generazioni successive alla prima di landlords, oramai urbanizzatesi, perdono progressivamente il contatto con il proprio feudo, iniziano ad indebitarsi lasciando il terreno sgombro ai gabellotti per potersi imporre economicamente. Si realizza quindi un fenomeno di concentrazione della ricchezza così come descritto da Marx nel Capitale.5
Come anticipavamo, il sorgere di figure quali mercanti, fittavoli e usurai non è tipico della Sicilia, anche nel Sud continentale assistiamo a profonde trasformazioni già tra la fine del XVIII e primi anni del XIX secolo. In Puglia, ad esempio, si sviluppa una borghesia strettamente legata al commercio con l’estero, in special modo orientato all’esportazione dell’olio, oltre che, grazie ad un primissimo sviluppo della manifattura, al commercio della seta, almeno fino al 1805.
Parliamo chiaramente di un capitalismo che si sviluppa e che cresce tra mille contraddizioni ed in una situazione di generale arretratezza. Fuori dalla Sicilia, e con l’eccezione di alcune zone della Puglia, dell’area urbana di Napoli e Salerno che vedono la diffusione delle prime industrie e manifatture, il Sud nel suo complesso segue uno sviluppo squilibrato. Si pensi alle zone periferiche della Campania o della Basilicata dove l’autoconsumo e rapporti residuali di tipo feudale continuarono a resistere anche a causa della maggiore debolezza della borghesia locale.
A dare il colpo mortale alle residualità del feudalesimo nel Sud continentale accorre la legislazione napoleonica del 1806. Le modifiche che intercorrono nella legislazione del Sud sono una conferma indiretta dei cambiamenti della struttura economica, ne evidenziano le aspirazioni e ne tracciano i nuovi obiettivi, eliminando gli steccati organici imposti dal feudalesimo per il suo successivo sviluppo. Si pensi che nel caso della Sicilia alla fine del Settecento si calcola che la superficie legalmente posseduta a titolo privato, ossia quella non soggetta ai vincoli feudali, non supera il 10% del totale, solo quarant’anni dopo, le risultanze catastali segnalano che la proprietà privata nei termini configurati dal diritto moderno del codice napoleonico produce circa il 90% del reddito imponibile, mentre il 9-10% era di proprietà ecclesiastica e demaniale.
L’occupazione inglese in Sicilia e quella francese nel Sud continentale innesca sì un processo di industrializ-zazione maggiore di quello del passato, ma ad un prezzo molto alto. Il Meridione dai primi anni dell’Ottocento subisce la sottomissione al capitale straniero, la stessa che poi conobbe con il capitale settentrionale dopo l’unità, che determinerà l’impossibilità per la borghesia meridionale di poter continuare il suo programma di defi-nitiva emancipazione. Nei fatti assistiamo ad un processo di sviluppo diseguale e combinato6 in cui arretratezza ed elementi avanzati convivono.7

Le differenze tra il Nord e il Sud preunitario8

Senza la volontà di ricadere in una certa letteratura neoborbonica e rigettando la visione idilliaca e crociana del processo unitario, possiamo aggiungere importanti elementi al dibattito sull’origine del divario. Tra gli altri, alcuni aspetti sono centrali nell’analisi dell’evoluzione economica: l’urbanizzazione, il livello dei salari, la produttività, gli andamenti demografici e, per finire, lo sviluppo del settore industriale.
Partendo dal tasso di urbanizzazione notiamo che nel 1861 l’urbanizzazione del Sud sarebbe più che doppia di quella del Settentrione. Leggendo i dati dal 1800 al 1860, emerge che il tasso di urbanizzazione del Nord cala dal 17,5 al 16,2%. Nel Regno di Napoli nello stesso arco temporale il salto è dal 37,2 al 35,7%.
Anche sul piano dei salari, urbani e rurali, prima dell’unificazione non esistono differenze rilevanti. I grafici riportati qui sotto sono relativi ai saggi salariali dal 1700 al momento dell’unificazione italiana.
Nord e Sud sono differenti rispetto al popolamento, maggiore al Settentrione che nel Mezzogiorno. A partire dal 1300 la densità demografica del Sud è sempre inferiore di 10-15 abitanti per chilometro quadrato, è però possibile che mentre la produttività della terra fosse superiore al Nord, al Sud fosse più alta la produttività del lavoro.9 La produttività dell’agricoltura siciliana infatti, secondo quanto riporta Sonnino,10 fino al momento dell’unità è superiore a quella della Toscana ed è tra le più alte d’Italia.
Escludendo il settore agricolo, l’Italia preunitaria è un paese industrialmente di dimensioni modeste, arretrata se paragonata ai centri industriali europei, e che registra dei ritmi di sviluppo lenti. Con questo non si intende che la manifattura sia inesistente, tanto che nel Settentrione e nel Meridione preunitario esistono sia dei centri manifatturieri rilevanti ma anche opifici sparsi nelle campagne e nelle città che lavorano prodotti finiti (come telerie e pannilana). Tra questi i più importanti centri industriali nascono il più delle volte sotto l’egida dei poteri pubblici. Questo è il caso tanto delle manifatture meridionali
come il setificio di San Leucio, le porcellane di Capodimonte, le ferriere calabresi di Mongiana o il cantiere di Castellammare, ma anche di manifatture settentrionali come quella auroserica di Milano. Napoli e Genova sono i due più importanti centri metallurgici italiani.
Concentrandoci sulla struttura economica meridionale rileviamo che nonostante la crisi della seta siciliana i-niziata nel 1805 e prima ricordata, la manifattura si sviluppa sin dal Settecento in altre aree del Sud. È il caso della Calabria che produce sete che vengono esportate in Brasile e negli Stati Uniti.
Il settore metalmeccanico, quello cotoniero, cartaio e della cantieristica sono il cuore del settore industriale meridionale; il dato aggregato ci dice che il 51% degli operai impiegati nell’industria sono occupati nel Meridione. Nel comparto cotoniero nella sola Salerno sono presenti un terzo dei fusi utilizzati a Milano; la città di Napoli può contare su due grandi cantieri arsenali che occupano 3.400 operai su 6.650 presenti nel settore in tutt’Italia.
Sul versante delle industrie estrattive, infine, la Sicilia produce, nella prima metà dell’Ottocento, il 90% della produzione mondiale di zolfo ed è presente un avvio interessante nel settore chimico.
L’industria del Meridione si va formando, come già accennato, sotto la protezione dello Stato borbonico che si coadiuva nel 1823-24 di una tariffa che ha l’obiettivo di difendere l’industria interna e di attirare capitali dall’estero. Potremmo mettere in rilievo lo sviluppo in questi anni di una manifattura su piccola e media scala a Napoli, nel Principato di Citra o anche in Calabria e in Terra di Lavoro.
La ricostruzione dello scheletro industriale nel Sud preunitario svela una fotografia che, anche al netto delle esagerazioni alla Zitara,11 che con numeri e grafici arriva a conclusioni unilaterali, segnala la presenza di una certa complessità strutturale. Di contraltare si tratta anche di un quadro più composito di quanto non voglia trasmettere una certa letteratura che rende il territorio meridionale piatto, privo della diversificazione economica qui descritta.12 Il Sud era omogeneo strutturalmente a quanto esisteva nel quadro nazionale, così come è anche consultabile dai lavori dell’Ufficio Ricerche Storiche, i dati più affidabili a nostra disposizione. La divergenza economica si realizzò dopo e fu figlia della necessità di un ulteriore sviluppo del capitalismo italiano.

Lo Stato unitario e lo sviluppo del capitalismo italiano

Al momento dell’unificazione il Sud ha tutti gli elementi per potersi ulteriormente trasformare, possiede un credito pubblico relativamente solido, una rete industriale seppur frammentata, una buona ricchezza monetaria e un demanio significativo.
I primi accenni della Questione meridionale sono rintracciabili tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 dell’Ottocento,13 negli anni ’90 il divario diventa un dato strutturale e caratterizzante del capitalismo italiano. In premessa vale la pena sottolineare che lo sviluppo economico non è mai un processo uniforme, peculiarità di quello italiano infatti non è tanto l’ampiezza del fenomeno, che è comunque elevata e che si approfondisce in alcune epoche storiche (gli anni della crisi del 1881-91 e quelli del fascismo), ma la sua persistenza nel tempo che non vede quasi mai eventi di convergenza economica.
La distribuzione della ricchezza è profondamente mutata nel 1887, quando il Sud inizia a diventare un vero e proprio mercato per il capitalismo italiano. Si materializza il bisogno di raggruppare i capitali disponibili per poter permettere una poderosa industrializzazione nel Settentrione, tant’è che la politica economica e quella doganale adottate dall’Italia unita sono tutte orientate a questo scopo. Il 1887 non è un anno come un altro nello sviluppo della divergenza italiana. In quell’anno si entra nella fase protezionista. Già alla fine degli anni ’70 la tariffa doganale permette un primo delineamento delle industrie settentrionali che poi vedono la loro solida affermazione nella tariffa del 1887. “La tariffa doganale del 15 luglio 1887 operò una rivoluzione profonda in tutta la economia nazionale. Basterebbe indicare gli spostamenti avvenuti in alcune voci per intendere l’ampiezza della protezione accordata. I tessuti di cotone e di lana ebbero una protezione superiore a quella di quasi tutti gli altri Stati d’Europa; la industria del ferro ottenne per molti prodotti tariffe addirittura proibitive. Così moltissime altre industrie. Gli effetti di questa politica doganale nell’economia interna non sono misurabili; ma non si può negare che il vantaggio enorme fu limitato, sopra tutto in un primo periodo, ad alcune regioni, e che, viceversa, tutto il resto della penisola e le isole funzionarono alla stessa guisa che funzionano le colonie in generale, come un mercato di consumo, assicurando ultra profitti enormi. Al contrario i paesi meridionali ebbero un colpo mortale: videro limitato il campo della esportazione, e, nello stesso tempo, dovettero acquistare i prodotti industriali a prezzi molto elevati.”14
Il Sud si trasforma in un mercato di conquista anche per la debolezza della borghesia meridionale, certo più isolata e emarginata di quella del Nord. L’unificazione italiana, anche se a guida piemontese, viene individuata dalla borghesia meridionale come l’unica strada percorribile per poter difendere i propri interessi economici. È in primo luogo per la loro debolezza e capitolazione che si realizza il saccheggio del Sud, una razzia che accelera l’accumulazione di capitali al Nord del paese.
Nel 1864 Bixio presenta alla Camera il progetto di chiusura del cantiere di Castellammare e dell’Arsenale di Napoli a cui seguono i primi licenziamenti. Sempre in quegli anni la stessa sorte tocca anche alle Officine Ferroviarie di Pietrarsa e alla Fonderia e Fabbrica d’Armi di Mongiana che sono prima declassate e poi chiuse, nel caso dello stabilimento calabro il passaggio intermedio fu la cessione al Credito Mobiliare settentrionale.15
Il processo di centralizzazione del capitale al Settentrione avviene anche attraverso l’attacco al Banco di Napoli. Subito dopo l’unificazione d’Italia il Banco di Napoli e quello Nazionale non hanno differenze significative, cosa che cambia dopo i primi anni post-unitari. Il saccheggio di oro e la strozzatura del credito industriale al Sud sono utilizzati per poter sostenere l’industrializzazione del Nord. Il corso forzoso16 dal 1866 al 1883, l’impossibilità, almeno nei primi anni dall’unità di poter aprire filiali nel Settentrione, e l’esclusiva concessa al Banco per il credito fondiario, danno la misura di quanto l’intervento dello Stato abbia inciso politicamente nella determinazione dello sviluppo del capitalismo italiano.
Rispetto la politica fiscale il Sud versa 100 milioni all’anno in più della sua quota e si stima che le regioni me-ridionali hanno ricevuto dallo Stato, nei primi quarant’anni dopo l’unità, molto meno di quanto sborsano, in que-sto contesto va inserito anche il pagamento del debito sardo, molto maggiore di quello dell’ex Regno di Napoli che contribuisce, nel quadro generale descritto, all’aumento del drenaggio di denaro dal Sud al Nord.
Una volta determinata la dicotomia di sviluppo e sottosviluppo dopo l’unità d’Italia, i capitali iniziano a dirigersi sempre più massicciamente nei luoghi più altamente remunerativi determinando, oltre che una centralizzazione di capitali, anche una fuga di forza-lavoro. La prima massiccia emigrazione dal Sud infatti avviene proprio dopo il 1886 quando, mentre l’emigrazione dal Nord cresce del doppio quella dal Sud si decuplica.17
Non possiamo essere in accordo con chi sostiene che il processo unitario abbia assolto il compito dell’accumulazione primitiva,18 sostenere questa tesi significherebbe assumere che, prima del 1861, il capitalismo non si era ancora imposto come sistema economico prevalente. Anche Marx affermò che in Italia, ben prima che altrove, vennero meno alcuni tratti specifici della società feudale.19 L’unità d’Italia piuttosto fu la risultante politica della necessità economica di espandere ulteriormente la produzione. In questo disegno il Sud è stato costretto al sottosviluppo, un sottosviluppo permanente o, come l’abbiamo definito, funzionale, senza il quale sarebbe stato impossibile il raggiungimento di tale obiettivo. Richiamare l’attenzione sull’origine della divergenza economica tra il Nord e il Sud ci permette inoltre di mettere nel giusto angolo della storia tutte quelle supposte teorie che si rifanno ad una certa inferiorità antropologica del popolo del Sud, additato di lassismo e rozzezza. Quella che viene definita come incapacità infatti è solo l’espressione più gretta di un’oppressione materiale alla quale fu assoggettata la popolazione meridionale. Il punto è che la borghesia italiana era arrivata in ritardo sulla scena storica, era troppo debole e il ricorso esclusivo ad una politica liberista, così come avvenne in altri paesi, sarebbe stato insufficiente. Serviva l’intervento dello Stato unitario, e le scelte di politica fiscale, doganale, economica e industriale che esso adottò furono dei passaggi fondamentali per l’allargamento della produzione. La permanenza di tale sottosviluppo è un fenomeno che tutt’ora sussiste perché implicito nel sistema di produzione capitalista. Proprio perché uno è funzione dell’altro, il sottosviluppo a cui è costretto il Meridione cesserà solo con l’estinzione del capitalismo.

Note

1. C. Ciccarelli e S. Fenoaltea, Attraverso la lente d’ingrandimento: aspetti provinciali della crescita industriale nell’Italia postunitaria, Banca d’Italia, 2010.

2. Gunder Frank (1929-2005) prese parte al dibattito che nacque in America Latina intorno gli anni ’50 nella Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi e che discusse e formulò la teoria della dipendenza. Per i sostenitori di tale concezione il capitalismo è portatore di diseguaglianze sociali ed economiche che costringono permanentemente i paesi sottosviluppati alla povertà. L’economia mondiale, loro sostengono, obbligherebbe i paesi periferici alla produzione di materie prime, con basso valore aggiunto e a basso costo, imponendo loro di importare dai paesi centrali merci ad alto valore aggiunto, dando vita dunque ad uno scambio diseguale. Indubbiamente lo scambio diseguale è un aspetto determinante, come vedremo, anche nel Mezzogiorno d’Italia. Il limite fondamentale di tale teoria risiede però nell’assenza del ruolo giocato dalla componente combinata degli scambi. Basta considerare l’ascesa economica della Cina, giusto per fare l’esempio più rilevante e a noi contemporaneo, per comprendere come un paese sottosviluppato possa industrializzarsi, passando dalla cosiddetta periferia al centro. Esiste dunque un problema di illeggibilità dei processi storici attraverso la lente della dipendenza, che pecca di meccanicismo ed eccessivo determinismo. Per ulteriori approfondimenti su Gunder Frank si legga Capitalismo e sottosviluppo in America Latina, Einaudi, Torino, 1969.

3. P. Balsamo, Memorie economiche, Reale Stamperia, 1803, pag. 56.

4. “La liberazione di una parte dei produttori dai mezzi di produzione presuppone necessariamente il passaggio di questi ultimi in altre mani, la loro trasformazione in capitale; presuppone, quindi, che i nuovi possessori di questi mezzi di produzione producano sotto forma di merci i prodotti che prima servivano al consumo del produttore stesso, che cioè estendano il mercato interno; (…) la diminuzione del benessere del contadino patriarcale, la cui economia era in passato un’economia naturale, è pienamente conciliabile con l’aumento dei suoi mezzi monetari, giacché quanto più questo contadino si rovina, tanto più è costretto a ricorrere alla vendita della sua forza-lavoro e tanto maggiore è la parte dei mezzi di sostentamento (anche se esigui) ch’egli deve acquistare sul mercato”, in V. I. Lenin, Lo sviluppo del capitalismo, Editori Riuniti, Roma, 1972, pag. 41.

5. “L’accumulazione e la concentrazione ad essa concomitante non soltanto sono disseminate su molti punti, ma l’aumento dei capitali operanti s’incrocia con la formazione di capitali nuovi e con la scissione di capitali vecchi. Se quindi da un lato l’accumulazione si presenta come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro, dall’altro si presenta come ripulsione reciproca di molti capitali individuali.” in K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma, 1994, pag. 685.

6. La legge dello sviluppo ineguale e combinato viene trattata per la prima volta da Trotskij nella Storia della Rivoluzione russa, in seguito ripresa da Novack ed altri esponenti del movimento che si richiamava alla Quarta Internazionale.

7. “Il corso reale della storia, il passaggio da un sistema sociale a un altro o da un livello di organizzazione sociale all’altro, è di gran lunga più complicato, eterogeneo e contraddittorio di quanto appaia in qualsiasi schema storico generale. Lo schema storico delle strutture sociali universali (…) è un’astrazione indispensabile e razionale che corrisponde alle realtà essenziali dello sviluppo e serve ad orientare l’indagine. Ma non può sostituirsi direttamente all’analisi di ogni settore concreto dell’umanità. (…) Nella storia si mescolano sia la regolarità che l’irregolarità. La regolarità è fondamentalmente determinata dal carattere e dallo sviluppo delle forze produttive e dal modo di produrre i mezzi dell’esistenza. Tuttavia, questo determinismo basilare non si manifesta nello sviluppo effettivo della società in modo semplice, diretto e uniforme, bensì in forme estremamente complesse, tortuose ed eterogenee”, in La legge dello sviluppo ineguale e combinato di G. Novack, testo accompagnatorio all’Introduzione alla teoria economica marxista di E. Mandel, Erre emme edizioni, Roma, 1994, pag. 141.

8. I dati si riferiscono allo studio di V. Daniele e P. Malanima, Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), 2007.

9. “In teoria non si può neppure escludere che il Sud fosse inizialmente più produttivo, e che quindi la crescita della Ptf (produttività totale dei fattori) nel Nord rifletta un processo di convergenza (…). Ancora alla fine del XIX secolo, i contadini meridionali producevano un terzo in più di quelli settentrionali, mentre nel 1951 la produttività era superiore del 40% nel Nord.” G. Federico, Ma l’agricoltura meridionale era davvero arretrata?, Rivista di Politica Economica, III-IV, 2007, pag. 320 e pag. 323.

10. S. Sonnino, Condizioni generali dei contadini in Sicilia, in Caizzi, Nuova antologia, Edizioni di Comunità, Milano, 1962, pag. 217.

11. Nicola Zitara (1927-2010) è stato uno studioso meridionalista. Nonostante si definisse marxista, nei suoi scritti non mancano eccessive esaltazioni dei Borbone, dipinti come una guida illuminata animata da una visione progressista, indirizzata ad un graduale miglioramento del Mezzogiorno interrotto dall’unificazione. Dalle sue tesi emerge una visione semplicistica del processo unitario, per cui il Nord sarebbe stato salvato dalla bancarotta economica grazie alla conquista del Mezzogiorno. L’estremismo delle sue tesi lo spingono a sostenere l’inconciliabilità degli interessi del proletariato meridionale con quello settentrionale. Per approfondire le sue ipotesi si legga N. Zitara, L’invenzione del Mezzogiorno, una storia finanziaria, Jaca book, Milano, 2011.

12. Si guardi per approfondimenti dettagliati lo studio di S. Fenoaltea e C. Ciccarelli, Banca d’Italia, La produzione industriale delle regioni d’Italia, 1861-1913: una ricostruzione quantitativa, 2014.

13. Secondo alcuni, tra cui P. Villari e G. Fortunato, sono questi gli anni nei quali nasce la Questione meridionale.

14. F. Nitti, Nord e Sud, Roux e Viarengo editori, Torino, 1900, pag. 157-158.

15. “Insieme Napoli e Castellammare hanno poco più della metà del personale di Spezia e Venezia; ma si fa a gara nel diminuire il numero dei lavori affidati loro perché sia più chiara la loro inutilità. E nello stesso tempo che si lasciano decadere i cantieri di Napoli e di Castellammare (…) si danno grosse commissioni all’industria privata creata artificialmente in Liguria e a Livorno. Le navi complete, costruite per conto della marina dell’Italia nel ventennio 1879-1898, sono state affidate per 31 milioni a case della Liguria, per 56 milioni a case di Livorno, per 11 milioni a case dell’Italia meridionale. (…) I miliardi spesi per l’esercito e per la marina, tutti o quasi, in uno stesso territorio, hanno determinato la prima grande formazione di capitali in alcune regioni e hanno permesso, come in quasi tutta l’Italia settentrionale, la formazione della grande industria.” Ibidem pag. 96.

16. Il corso forzoso rappresenta la non convertibilità della moneta cartacea in moneta metallica aurea e servì per diminuire la circolazione di quest’ultima. Nel 1866 dei sei istituti bancari presenti in Italia solo due erano pubblici, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, quelli anche con maggiori riserve d’oro.

17. N. Zitara, L’unità d’Italia: nascita di una colonia, Jaca Book, Milano, 1976, pag. 58.

18. Rosario Romeo nel suo Risorgimento e capitalismo utilizza il concetto di accumulazione primitiva per argomentare che il processo unitario italiano fu inevitabile nelle modalità in cui si presentò. Isolandola dal contesto marxista in cui era inserita, lo storico liberale, utilizza quindi in modo utilitaristico il concetto di accumulazione primitiva per dimostrare che i “sacrifici” imposti all’agricoltura, specialmente quella meridionale, attraverso il drenaggio di risorse, la compressione dei consumi e l’aumento dello sfruttamento dei contadini furono necessari per permettere lo sviluppo industriale del paese e per inserire l’Italia nell’alveo dei paesi europei maggiormente progrediti.

19. “In Italia (…) la produzione capitalistica si sviluppa prima che altrove (e) anche il dissolvimento dei rapporti di servitù della gleba ha luogo prima che altrove. Quivi il servo della gleba viene emancipato prima di essersi assicurato un diritto di usucapione sulla terra. Quindi la sua emancipazione lo trasforma subito in proletario eslege, che per di più trova pronti i nuovi padroni nelle città, tramandate nella maggior parte fin dall’età romana. Quando la rivoluzione del mercato mondiale dopo la fine del secolo XV distrusse la supremazia commerciale dell’Italia settentrionale, sorse un movimento in direzione opposta. Gli operai delle città furono spinti in massa nelle campagne e vi dettero un impulso mai veduto alla piccola coltura, condotta sul tipo dell’orticoltura”. K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma, 1994, nota 189, pag. 780.


Alberto Pento
Questa visione delle cose non mi convince minimamente, stride in ogni sua argomentazione.
La tesi secondo la quale la Sicilia e il Regno delle Due Sicilie sarebbe stata un'area progredita, sviluppata, economicamente e industrialmente avanzata e ricca fino all'arrivo dello Stato italiano che l'avrebbe spogliata, depredata e impoverita al punto da impedire ogni futura rinascita, ripresa e sviluppo non sta assolutamente in piedi e contrasta fortemente con quanto invece è accaduto altrove come in Veneto e in Friuli che erano un'area ancora più immiserita dall'Unità statuale italiana, con l'aggiunta della tremenda distruzione della Prima guerra mondiale che sono diventate tra le aree civilmente ed economicamente più sviluppate della penisola.
Questo contrasto emerge anche con altri paesi dell'Europa come l'Austria e la Germania che distrutte dall'ultima guerra si sono ripresi al punto da diventare il motore economico del continente.
Anche il confronto con l'area israelo palestinese ci dice molto; se poi si pensa a tutti i finanziamenti a fondo perduto come la Cassa del Mezzogiorno si capisce che le cose non stanno proprio come ci raccolta questo articolo.
La natura laboriosa, industriosa, civile e responsabile di un popolo riemerge sempre ovunque dopo ogni tragedia, dopo ogni epidemia, ogni guerra, ogni terremoto, ogni alluvione, ogni disgrazia, ogni sfortuna.
Se nel Regno delle Due Sicilie ciò non è accaduto vuol dire soltanto che le cose non stavano così.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 9:25 pm

Una “fabbrica” di falsi invalidi: denunciati medici e dipendenti pubblici a Palermo
La Stampa
14 gennaio 2020

https://www.lastampa.it/cronaca/2020/01 ... VfZ7XfCNk0

PALERMO. Ciechi in grado di leggere le lettere prese dalla cassetta delle poste, persone incapaci di camminare da sole che guidavano l'auto, individui con l'indennità d'accompagnamento beccati a esibirsi in balli di gruppo: sono i falsi invalidi che hanno beneficiato illecitamente di indennità previdenziali o assistenziali grazie a un'organizzazione, scoperta dalla Guardia di Finanza, che operava nel Palermitano e si occupava, in cambio di denaro, di tutta la trafila per ottenere il sussidio. Due sono le persone arrestate e decine quelle indagate.

Denunciati medici e dipendenti pubblici
La truffa all'Inps è stata scoperta dagli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo al termine di un'inchiesta coordinata dalla procura che ha portato il Gip a emettere due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di un 57enne di Terrasini e un 49enne di Camporeale con le accuse di concorso in truffa ai danni dello Stato, truffa aggravata per il conseguimento di contributi pubblici, falsità ideologica e traffico di influenze illecite. La denuncia è invece scattata per diversi soggetti tra dipendenti pubblici, medici generici e specialisti, componenti delle commissione mediche Asl e responsabili dei Caf.

L’organizzazione
Secondo quanto ricostruito dai finanzieri, i due arrestati erano al vertice dell'organizzazione, che si avvaleva di una serie di collaboratori e complici, e avevano messo in piedi un sistema talmente rodato negli anni che erano diventati una sorta di punto di riferimento per chi volesse ottenere le indebite prestazioni previdenziali. Ai procacciatori di clienti spettava il compito di trovare, tra coloro che sembravano più bisognosi e disponibili a chiedere un aiuto, le persone disposte a partecipare alla truffa. Una volta individuati, i soggetti venivano indirizzati verso i medici compiacenti che firmavano i certificati con le false patologie per richiedere le indennità.

Sequestrati 100mila euro

Ma non solo: gli stessi medici, in alcuni casi, attestavano formalmente l'intrasportabilità dei soggetti in modo da evitare la visita collegiale e ottenere la visita a domicilio, dove “preparavano” i falsi invalidi sui comportamenti da tenere nella visita di controllo. Una volta che tutto l'iter si era concluso e il falso invalido aveva ottenuto i benefici previsti dalla legge, l'organizzazione andava all'incasso con un tariffario prestabilito: generalmente un anno di indennità, pari agli arretrati erogati dall'Inps. Con lo stesso provvedimento d'arresto, il gip ha disposto anche il sequestro di 100mila euro.
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