Economia, protezionismo e globalizzazione, Trump e Svizzera

Economia, protezionismo e globalizzazione, Trump e Svizzera

Messaggioda Berto » mar mag 22, 2018 7:17 am

IN DIFESA DELL’ANARCO-CAPITALISMO, NELL’EPOCA DELLO STATALISMO MAXIMO
GUGLIELMO PIOMBINI

https://www.miglioverde.eu/in-difesa-de ... smo-maximo

Se guardiamo ai numeri oggettivi, l’Occidente non è mai stato tanto socialista come nell’attuale epoca storica. Tutti i parametri lo dimostrano in maniera incontrovertibile. La ricchezza confiscata dai governi al settore produttivo ha raggiunto un livello (in Italia, oltre il 70% degli utili) che fino a qualche decennio fa era ritenuto incompatibile con un’economia di mercato; le normative e i controlli su ogni attività umana non sono mai stati così pervasivi; la spesa pubblica e l’indebitamento hanno superato ogni record storico in molti paesi; i privilegi della classe politico-burocratica e delle clientele parassitarie non sono mai stati così smisurati. Nemmeno il più forsennato degli statalisti avrebbe potuto sperare in un successo così rapido delle proprie idee.

Di fronte a questi fatti, che spiegano il vistoso declino dell’Occidente, nulla appare più urgente che una rinnovata esplosione di pensiero radicalmente antistatalista. Ha fatto quindi benissimo la casa editrice Liberilibri di Macerata a tradurre e pubblicare, a distanza di trenta anni dalla sua prima edizione francese, L’anarco-capitalismo di Pierre Lemieux (p. 168, € 16,00). Uscito originariamente nel 1988, il libro non ha perso nulla della sua freschezza. L’economista e politologo canadese presenta l’anarco-capitalismo come la corrente di pensiero che porta alle sue logiche conseguenze i principi antistatalisti del liberalismo, fino all’estremo limite dell’anarchia: «l’anarco-capitalismo – spiega Lemieux – è la dottrina secondo la quale una società capitalista senza Stato è economicamente efficace e moralmente desiderabile» (p. 3).

L’anarco-capitalismo si distingue dal liberalismo classico perché applica, senza eccezioni, i sacrosanti principi della libera concorrenza in tutti gli ambiti, compresi quelli tradizionalmente affidati al monopolio statale come la polizia, i tribunali, la difesa nazionale, le strade, la scuola o la sanità. Nello stesso tempo si differenzia dall’anarchismo tradizionale perché difende strenuamente la proprietà privata e la libera iniziativa imprenditoriale, e accetta le disuguaglianze economiche che possono sorgere dai liberi scambi nel mercato. L’anarco-capitalismo congiunge quindi, in un’unica teoria, il laissez-faire del liberalismo con il rifiuto delle istituzioni statali dell’anarchismo.

Dopo aver ricordato i precursori, tra i quali spicca l’economista belga Gustave de Molinari, il primo teorico della libera concorrenza tra compagnie private nella produzione della sicurezza, l’autore espone nella prima parte del libro le idee economiche dell’anarco-capitalismo, basate sul principio dell’ordine spontaneo e sulla critica alla teoria dei beni pubblici. Nella seconda parte affronta le basi filosofiche, facendo riferimento alle opere di Ayn Rand, Robert Nozick (i quali però sono un po’ fuori posto, dato che non sono anarco-capitalisti ma sostenitori dello Stato minimo), Murray N. Rothbard e Lysander Spooner. La parte finale del libro è invece riservata al dibattito delle idee, con le critiche liberali e le repliche anarco-capitaliste.

Il ripensamento di Pierre Lemieux
Nella nuova prefazione all’edizione italiana, Lemieux riconosce che rispetto al tempo in cui uscì la prima edizione del libro la situazione è peggiorata, e che l’ideale anarco-capitalista non ha perso il suo fascino: «Lo stato rimane il principale problema. Con l’aumento della sorveglianza, esso rappresenta una minaccia ben più grande rispetto a venticinque anni fa … Contro i nostri Stati mostruosi, è sempre vero, come scrivevo nel 1988, che “l’anarco-capitalismo rimane una dottrina di immenso potere attrattivo, perché impone un ripensamento radicale delle teorie collettiviste, stataliste ed egalitariste che tanto hanno caratterizzato il XX secolo”» (p. XI, XV).
Lemieux non è però più tanto convinto che le soluzioni proposte dagli anarco-capitalisti siano praticabili. Da un lato teme che una società priva di un apparato militare statale corra il rischio di diventare preda degli Stati più forti; dall’altro lato sospetta che la sicurezza sia un monopolio naturale (come pensava Nozick), e che l’anarchia sia quindi destinata a sfociare, presto o tardi, nella creazione di un nuovo Stato. Aggiunge che, sul piano storico, gli esempi di società che hanno fatto a meno di un potere politico centralizzato, come l’Irlanda e l’Islanda medievali, sono poco numerosi e non particolarmente brillanti.

L’argomento che Lemieux ritiene più forte contro l’anarchia è a suo avviso quello suggerito dall’economista della Public Choice Mancur Olson. Di recente anche Nicola Iannello, nella sua introduzione al libro di Murray N. Rothbard Potere e mercato (IBL, 2017), ha suggerito ai libertari di non prendere sottogamba le riflessioni di Mancur Olson, il quale si è chiesto come mai i casi di anarchia di successo sono così rari nella storia umana.

L’inefficienza dell’anarchia secondo Mancur Olson
Mancur Olson prende come esempio la Cina degli anni ’20, un’epoca di anarchia in cui il potere centrale si era liquefatto e nelle campagne imperversavano molte bande di briganti. Piuttosto che rimanere esposti ai saccheggi dei banditi, i contadini preferivano sottomettersi ai “signori della guerra”, militari che possedevano piccoli eserciti e che si proclamavano sovrani delle province che conquistavano. I signori della guerra vittoriosi tassavano duramente i contadini e non potevano rivendicare alcun tipo di legittimazione politica, eppure i cinesi che lavoravano nei campi li accoglievano con sollievo. Perché?
Secondo Olson dietro l’atteggiamento dei contadini cinesi c’è una logica razionale. Se si deve scegliere tra due mali, è meglio farsi rapinare da un unico predone stanziale (il governante) piuttosto che da tanti predoni nomadi. Infatti, in una situazione anarchica, i banditi nomadi saccheggiano più che possono e massacrano tutti quelli che resistono. Non hanno alcun interesse a limitarsi nell’uso della violenza, perché sanno che quello che uno non ruba, lo ruberà l’altro bandito che passerà dopo. Bisogna dunque saccheggiare tutto e subito, ma questo rende impossibile l’accumulazione e l’investimento produttivo del capitale.
Le cose però cambiano quando uno di questo predoni sconfigge tutti i propri rivali all’interno di un certo territorio e si proclama “sovrano”. Divenuto un bandito stanziale, cambierà anche il suo atteggiamento nei confronti delle vittime. I suoi furti avverranno sotto forma di tassazione regolare piuttosto che come saccheggio episodico. Se dunque un bandito nomade diventa stanziale e decide di rubare attraverso una tassazione regolare, proclamando di avere il monopolio del furto nel suo dominio, ne segue che i ceti produttivi saranno incentivati, nonostante l’esazione, a lavorare, a risparmiare e a investire. Il bandito stanziale infatti, se è ragionevole, prenderà solo una parte del reddito sotto forma di tasse, perché così facendo stimolerà i sudditi a produrre di più, e potrà quindi estorcere un più elevato ammontare di reddito in futuro.
Se il bandito sedentario monopolizza con successo il furto nel proprio dominio, le sue vittime non devono preoccuparsi del furto da parte di altri. Se egli ruba solo attraverso una tassazione regolare, i suoi sudditi sanno che, dopo aver pagato il tributo, ciò che rimane della propria produzione resta di loro proprietà. Questo aumenta notevolmente l’incentivo a risparmiare e a investire. Inoltre, poiché tutte le vittime del bandito stanziale costituiscono per lui delle fonti di entrate fiscali, egli sarà incentivato a impedire che altri uccidano o mutilino i suoi sudditi. Infine, poiché i signori della guerra si appropriano, sotto forma di tassa-furto, di una parte notevole della produzione totale, ciò fornirà loro un incentivo a provvedere a lavori di irrigazione o altri beni pubblici che possano aumentare il reddito tassabile.
«Il capo di una banda nomade – scrive Olson – è spinto, quasi fosse guidato da una mano invisibile, a stabilirsi in un posto e ad autonominarsi capo del governo; l’aumento consistente nella produzione, a seguito dell’instaurarsi di un ordine pacifico, garantisce al bandito che governa stabilmente un’entrata superiore a quella che avrebbe ottenuto se non avesse instaurato alcun tipo di governo» (Mancur Olson, Logica delle Istituzioni, Edizioni di Comunità, 1994, p. 48). L’emergere dei re, dei faraoni e degli imperatori, con un ruolo così rilevante nella storia umana, si spiega dunque con l’incentivo a sostituire il banditismo nomade con un furto fiscale sistematico e regolare. La pace di un dittatore razionale ed egoista, conclude Olson, è migliore dell’anarchia.

Dalla padella dell’anarchia alla brace del totalitarismo
L’analisi di Mancur Olson sembra molto logica e convincente, ma ha dei limiti. Innanzitutto i benefici della legge e ordine compaiono solo se il monopolista della violenza ha di fronte a sé un lungo orizzonte temporale. Ciò implica che siano stati risolti i problemi riguardanti la stabilità e la legittimità del suo dominio. Se il governante teme di perdere in ogni momento il potere perché i rivali e i sudditi lo vedono come un usurpatore privo di legittimità, allora possono instaurarsi quei micidiali meccanismi di paranoia e paura reciproca tra governante e governati, così ben analizzati da Guglielmo Ferrero, che portano al terrorismo di Stato.
Si tratta della tragica logica perversa di tutti i governi rivoluzionari, i quali, essendo nati dalla distruzione improvvisa della legalità precedente, sono condannati a vivere in un clima di terrore. Di fronte all’opinione pubblica non hanno titoli che li legittimino ad esercitare il comando, e proprio per ciò sono psicologicamente sospettosi, diffidenti, insicuri, e questo li induce ad esercitare un controllo poliziesco sui governanti. A dispetto delle conclusioni di Olson, è probabile che i 170 milioni di civili inermi assassinati dai propri governi nel corso del XX secolo avrebbero preferito vivere in una condizione di anarchia, esposti alle rapine di qualche predone, piuttosto che sotto l’ordine di uno Stato totalitario.

Se Olson ha ragione, la democrazia è inferiore all’autocrazia
Olson sostiene che, grazie al diritto di voto e alla possibilità di cambiare il governo, in democrazia i cittadini possono proteggersi con maggior successo dalle rapine fiscali dei governanti. Questa affermazione, tuttavia, è in contraddizione con la sua analisi precedente. Infatti, se il problema dell’anarchia è il breve orizzonte temporale dei banditi nomadi, i quali sono spinti a saccheggiare tutto il più rapidamente possibile per non lasciare “avanzi” ai banditi che verranno dopo, lo stesso accade con i politici eletti, ai quali conviene trarre il massimo profitto dalla propria carica entro i quattro-cinque anno del proprio mandato. Le conclusioni di Olson finiscono, suo malgrado, per confermare quelle di Hans-Hermann Hoppe sulla superiore efficienza del governo “privato” di un re rispetto al governo “pubblico” democratico.
Infatti, mentre un monarca è paragonabile a un padrone di casa che ci tiene alla manutenzione e al decoro della sua proprietà, i governanti democratici assomigliano a un gruppo di inquilini con lo sfratto esecutivo a cui non interessa la valorizzazione del bene comune. Che importa a loro se diminuisce la ricchezza nazionale e se, di conseguenza, diminuiscono le entrate fiscali? L’importante è arricchirsi in fretta attraverso il saccheggio del bene pubblico, tanto è probabile che, fra poco tempo, saranno altri a governare.

Le implicazioni anti-democratiche dell’analisi di Olson sono state colte anche da Riccardo Viale: «In queste situazioni la democrazia sembra risultare inferiore all’autocrazia (di tipo oligarchico): si forma un mix perverso di aliquote marginali sempre più elevate e progressive (mentre all’autocrate interessa non elevarle troppo per non deprimere e disincentivare il produttore e risparmiatore), di inefficienza del sistema delle infrastrutture e servizi pubblici (l’autocrate ha, invece, interesse a fare funzionare il sistema, per aumentare le sue entrate e non è condizionato dal mercato della politica che produce posti di lavoro fittizi e nessun controllo sanzionatorio sull’efficienza) ed assenza di vincoli, costituzionali o parlamentari, del bilancio (all’autocrate preme, invece, non lasciare le finanze dissestate ai membri della sua stirpe che governeranno dopo di lui)» (Introduzione a Mancur Olson, Logica delle istituzioni, p. XXI).
Storicamente, questo spiega perché le monarchie tradizionali vantassero livelli di esazione fiscale, spesa pubblica, debito pubblico, inflazione, burocrazia, molto inferiori rispetto alle democrazie attuali. La stessa “logica delle istituzioni” che porta Olson a condannare l’anarchia dovrebbe portarlo a giudicare molto negativamente anche la democrazia.

L’anarco-capitalismo non è semplicemente anarchico
Olson ha dimostrato che, in linea di massima, per i sudditi è meglio vivere sotto la “protezione” e l’ordine garantiti da un bandito stanziale monopolista della violenza, piuttosto che in un territorio esposto al saccheggio imprevedibile di numerosi predoni o signori della guerra. Questa conclusione, in ogni caso, è ben lontana dall’essere un’accettabile giustificazione del potere statale. Il bandito stanziale rimane un bandito anche dopo che ha sconfitto tutti i suoi rivali. I suoi scopi e le sue intenzioni non sono cambiate, quindi non c’è ragione per modificare la valutazione morale nei suoi confronti. La sua imposizione fiscale, come riconosce lo stesso Olson, rimane pur sempre una forma odiosa di sfruttamento che può arrivare a livelli anche molto elevati, come conferma la storia dei dispotismi asiatici. Perché allora, viene da chiedersi, le persone dovrebbero essere contente di farsi dominare e sfruttare da un unico bandito, solo perché è più moderato ed efficiente nella spogliazione? Olson non prende in considerazione una terza possibilità, quella in cui la società civile si arma per difendersi da qualunque tipo di predone, nomade o stanziale che sia.

Una società anarco-capitalista senza predazioni, spogliazioni o tassazioni, fondata esclusivamente su rapporti contrattuali e volontari, non è semplicemente una società “anarchica”. È una società molto più sofisticata sul piano culturale e istituzionale. Il termine anarco-capitalista è particolarmente felice dal punto di vista descrittivo perché mette in luce i due caratteri inseparabili di questa società: l’assenza di un potere statale centralizzato (l’anarchia) e una cultura diffusa che consideri sacri e inviolabili i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà (il capitalismo). Il primo è l’aspetto puramente negativo e materiale, il secondo è l’aspetto positivo e culturale. Non basta l’assenza di uno Stato per avere una società anarco-capitalista, perché occorre anche una cultura “borghese” e liberale tra la popolazione. Una società senza Stato, quindi, non è di per sé una società di mercato.
La Somalia in cui spadroneggiano le corti islamiche è anarchica perché manca di un governo centrale, ma non è affatto anarco-capitalista perché del tutto carente nel suo, ben più rilevante, elemento “sovrastrutturale”: una cultura favorevole alla proprietà privata e alla libertà individuale. Per questa ragione la Svizzera od Hong Kong, pur avendo un governo statale, sono più vicine all’ideale anarco-capitalista della Somalia o della Cina degli anni ’20 dilaniata dai signori della guerra. Una società in preda alla guerra civile in cui diverse fazioni si contendono con le armi il potere assoluto è una società temporaneamente anarchica, ma culturalmente non ha nulla in comune con una società anarco-capitalista.

Caos e stabilità sociale
Una delle critiche più frequenti all’anarco-capitalismo, ripetuta anche da Pierre Lemieux nella prefazione, è che una società in cui le funzioni di protezione sono svolte da diverse compagnie private in competizione tra loro sarebbe intrinsecamente instabile e caotica, e che dai loro interminabili scontri violenti alla fine ne emergerebbe una che diventerebbe lo Stato. Anche questa affermazione, tuttavia, non tiene conto del fatto che la stabilità o l’instabilità di un certo assetto politico non dipende dalle sue caratteristiche istituzionali, ma dalle convinzioni sociali prevalenti. Quale che sia la forma di governo, una società è politicamente stabile quando il potere gode di legittimazione; è invece caotica e instabile quando il potere non è legittimato agli occhi dell’opinione pubblica.
Come ha spiegato Guglielmo Ferrero nella sua analisi sulla legittimità, il potere non vive, non agisce e non si impone mai per la sua sola forza. Al contrario, deve sempre armonizzarsi con i costumi, gli usi, la religione, i valori e gli interessi materiali e morali più diffusi. Il potere legittimo è dunque il complesso delle strutture coercitive che operano in sintonia con la cultura dominante e con ciò che la morale pubblica definisce giusto. Finché tale corrispondenza tra istituzioni politiche e cultura permane, la società è stabile. Se invece tale corrispondenza viene a mancare, sorge la diffidenza, la paura, il conflitto e, nei casi limite, il terrore (Guglielmo Ferrero, Potere, 1942).
Un monarca per diritto divino o una dittatura golpista e autoritaria non riuscirebbero a governare senza contestazioni e violenze gli attuali paesi occidentali, nei quali solo i governi eletti a suffragio universale vengono considerati legittimi. Di converso, una democrazia avrebbe grosse difficoltà a mantenere l’ordine pacifico in una società in cui prevale una cultura politica non democratica: basti pensare alla Repubblica tedesca di Weimar, oppure a tutte le democrazie “fallite” nei paesi del Terzo Mondo. Ma per le stesse ragioni, nessun governo riuscirebbe a governare stabilmente una società composta in grande maggioranza da anarchici individualisti, dato che la sua pretesa di monopolizzare l’uso della forza e di tassare la popolazione susciterebbe vaste ribellioni.
Supponiamo infatti, come esperimento mentale, che la stragrande maggioranza degli abitanti di un paese si convertano alla filosofia politica libertaria di Murray N. Rothbard. A quel punto un governo che si ostinasse a imporre in via monopolistica i suoi servizi di protezione o d’altro genere sarebbe visto come un racket mafioso, e le sue imposizioni fiscali sarebbero respinte da tutti come oltraggiose. Solo le agenzie private di protezione e i tribunali di arbitrato che rispettano i diritti di proprietà, senza esigere tributi non volontari, godrebbero del rispetto e della legittimazione per compiere atti di coercizione come incriminazioni, arresti, perquisizioni.
Le probabilità dell’anarco-capitalismo
Per queste ragioni l’anarco-capitalismo non è “impossibile”, come sostengono i suoi critici. Se la legittimità del potere, e quindi la stabilità e l’ordine sociale, dipendono dalla corrispondenza tra le istituzioni e la cultura sottostante, allora una società anarco-capitalista sarà stabile, ordinata e non conflittuale se abitata da persone che pongono come valore sociale supremo il principio libertario di non aggressione, secondo cui nessun uomo o gruppo di uomini può dare inizio all’uso della violenza contro gli individui pacifici.
Naturalmente un mutamento troppo rapido in direzione dell’anarco-capitalismo, non accompagnato dalla persuasione, potrebbe essere controproducente, come aveva già osservato l’americano Benjamin Tucker più di un secolo fa: «Se il governo venisse soppresso da un giorno all’altro, noi assisteremmo probabilmente ad una serie di conflitti violenti per la conquista della terra e delle altre cose, risultandone forse una reazione con un possibile ritorno alla tirannia. Ma se tale abolizione si svolgerà gradatamente, estendendosi da un campo all’altro dell’attività sociale e con una progressiva diffusione fra le masse della verità sociale, nessun serio conflitto ne potrà allora risultare» (Benjamin R. Tucker, Instead of a Book, p. 329).
Il filosofo Michael Huemer è convinto che prima o poi questa società sarà realizzata, perché intravede nel cammino dell’umanità uno sviluppo intellettuale coerente con un movimento nella direzione dell’anarco-capitalismo, attraverso il progressivo riconoscimento dell’assioma libertario di non aggressione. La condanna universale della tassazione, in quanto istituzione violenta che autorizza alcuni individui ad espropriare con la forza i frutti del lavoro altrui, potrebbe avere una portata storica analoga alla messa la bando della schiavitù. Se riteniamo che l’umanità possa progredire intellettualmente e moralmente, allora l’avvento dell’anarco-capitalismo è non solo possibile, ma anche probabile.
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2020 10:30 am

Liberalismo e globalizzazione hanno fallito
Enzo Trentin
2019/03

https://www.vicenzareport.it/2019/03/li ... no-fallito

Vicenza – Su 196 Stati sovrani al mondo, una buona metà sono impegnati a imporsi sanzioni economiche a vicenda: si tratta di un nuovo tipo di guerra in cui la finanza è l’arma più potente, i proiettili non vengono sparati, le istituzioni finanziarie sono gli obiettivi e quasi tutti sono a rischio. Guerre commerciali, restrizioni finanziarie e attacchi informatici rappresentano un deterrente almeno uguale rispetto a bombe intelligenti, esplosioni e droni senza pilota. L’insuccesso è la versione liberal di “The End of History”.

Il liberalismo e la globalizzazione hanno decisamente fallito. Era una presunzione totalmente sbagliata. Lo stesso vale per l’ideologia dei “diritti umani”; nessuno crede più in questa ipocrita menzogna neo-imperialista a doppio standard. Disfatta anche per la “crescita economica infinita” o per la “classe media globale” o la “società civile”, e collasso pure per il “Postmodernismo” e “l’Illuminismo”. In futuro non è possibile la continuità per tutto questo. Ci stiamo avvicinando a un momento di grande discontinuità.

Questo non vuol dire che il futuro sarà con certezza nostro, ma la verità è che non sarà come lo conosciamo ora. «Le luci si stanno spegnendo in tutta Europa; non le vedremo accese di nuovo in tutta la nostra vita.» scriveva Edward Grey, Segretario per gli Affari Esteri della Gran Bretagna dal 1905 al 1916, alla vigilia della Grande Guerra. Il futuro è ancora una volta aperto. Quando non esisteranno più le attuali regole, nessuno sarà preparato per il passo successivo. I globalisti e i liberal non avranno futuro. Ma può darsi che anche noi non ne abbiamo.

Quello che possiamo prevedere con una certa sicurezza è che ci sarà un crollo dell’attuale sistema occidentale; non sappiamo esattamente quando, ma ci sarà. E prima che questo succeda un compito per quelle forze politiche che non si riconoscono nell’attuale sistema partitocratico dovrà essere quello di prefigurare una nuova architettura istituzionale.

Buckminster Fuller – per esempio – ispirò l’umanità e la spinse a dare uno sguardo omnicomprensivo al mondo finito in cui viviamo e alle possibilità infinite per migliorare gli standard di vita all’interno di esso. E una delle cose su cui i rinnovatori dovrebbero riflettere per agire. Questo è un suo suggerimento: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.»

Coloro che non sono insoddisfatti dell’attuale stato di cose (gli indipendentisti, o i federalisti, giusto per citarne solo due) dovrebbero proporsi: prima ipotizziamo un nuovo assetto istituzionale (e qui non vale la giustificazione sinora sentita: «basta copiare un sistema che funziona»), perché finito questo compito, dopo si dovrà cercare il consenso della popolazione alla quale vogliono rivolgersi.

Gli innovatori che trascurano questa operazione aprioristica, probabilmente non hanno letto “Non pensare all’elefante” di George Lakoff, che ci insegna come le persone non votano secondo ragione, ma secondo emozione valoriale. Non votano per il proprio interesse, ma per i valori in cui si identificano. Un voto in cambio di un desiderio, un voto in cambio di un’identità. Il marketing elettorale per convincere gli elettori dovrebbe limitarsi a trasferire nelle loro coscienze i loro stessi modelli di vita. Una cosa che certo indipendentismo d’oggidì non ha ancora interiorizzato.

Il domani è già iniziato. E loro non ci saranno nell’era futura; a meno che non diventino lungimiranti e creativi. Perciò dovrebbero essere preparati, per questo, nel migliore dei modi. Dopo di loro chi si assumerà la vera responsabilità del nuovo soggetto istituzionale di questa o quell’area geografica, di questo o quel popolo? Su quanto sono più o meno d’accordo? E su ciò che è sbagliato? Allo stato attuale le loro idee su come uscire da questo disastro sono ancora piuttosto vaghe. Non sono d’accordo su ciò che è bene fare. E questo può diventare un problema serio.

Marco Giannini è un ex attivista del M5S che nel gennaio 2017 se n’è andato sbattendo la porta. Attraverso il suo antico blog, ormai abbandonato, aveva diffuso nel 2011 dei piani di lavoro che comprendevano:

Finanza, Welfare, e sviluppo economico:

Banca centrale pubblica e prestatore di ultima istanza.
Nazionalizzazione della CARIGE o di una qualsiasi banca in difficoltà trasformandola nella nuova BC.
Azione legale per ottenere l’oro che i privati di Bankitalia stanno cercando di estorcere allo Stato italiano.
Separazione tra banche commerciali e di investimento.
Lotta senza quartiere all’evasione in primis a quella di banche, multinazionali e criminalità che rappresenta i 2/3 di quella totale, e di cui nessuno parla.
Lotta alla corruzione.
Riduzione IVA al 20% per stimolare i consumi.
Sensibile riduzione delle accise sulla benzina.
Salario orario minimo (dove è finito?!) e che risulti tra il 40% e il 60% del salario orario mediano provinciale (tra 5 e 7 euro l’ora).
Acqua pubblica (più che Welfare, è un diritto).

Sprechi ed etica:

Riduzione spesa per la voce “amministrativa” in favore di tecnologia, sicurezza interna, scuola, ricerca, Università.
Stop alle partecipate (carrozzoni), alle SPA pubbliche.
Divieto dell’acquisizione di azioni di banche da parte dei partiti e delle loro fondazioni.
Riduzione spese parassitarie in Consolati e Ambasciate.
Reale abolizione delle province, accorpamento dei piccoli comuni quando ciò è compatibile con la sicurezza (sanitaria, idrogeologica ecc).
Riduzione delle filiere parassitarie (ad esempio nel settore ittico) con beneficio per marittimi e imprese locali.
Contravvenzioni del CDS proporzionali al reddito per quanto riguarda le infrazioni che non mettono in pericolo l’incolumità dei cittadini.
Test della cocaina ai Parlamentari.
Divieto dei doppi incarichi (amministratore locale e Parlamentare ad esempio).
Tetto massimo sui manager (massimo 12 volte il dipendente di più basso livello contrattuale come all’estero).

Sanità:

Aumento della spesa sanitaria in macchinari ad esempio TAC e Risonanza.
Centralizzazione delle spese ospedaliere in forniture.
Riduzione dei costi dei ticket.

Sviluppo e sicurezza:

Fermo NO alla TAV (fondamentale non cedere a Salvini su questo).
Potenziamento del trasporto pubblico.
Ristrutturazione dell’esistente e creazione di nuove infrastrutture (scuole, ospedali, ponti, strade).
Idrogeologico, messa in sicurezza del territorio e acquisizione degli strumenti più evoluti per la prevenzione dei disastri.
Nuovi parchi naturali con ricaduta sui locali.
Stimolazione fiscale per il G-Local.

Riforme Costituzionali:

Legge elettorale in Costituzione.
Abolizione pareggio di bilancio in Costituzione.
Semi-presidenzialismo alla francese.

Era un programma “ambizioso” che coniugava Stato, mercato e lotta agli sprechi, che naturalmente può essere accettato in parte, in toto, o decisamente rifiutato; ma almeno aveva il pregio di offrire un’idea di ciò che si voleva realizzare. Al contrario, gli indipendentisti veneti che grosso modo sono suddivisi i due schieramenti non producono alcuna proposta in tal senso, e dichiarano: «basta copiare un sistema che funziona.»

Tuttavia la parte che considera la partecipazione alle elezioni come un legittimare l’italico status quo, non si scompone neppure a fare qualche ipotesi come per esempio: Iva con aliquote del 2-4-8% (come in Svizzera), una flat tax sui redditi al 10%, una imposta sulla sostanza (come in Svizzera) che sarebbe in pratica una patrimoniale (che sostituirebbe tutte quelle esistenti, e l’imposta di successione).

Mentre la parte che intende partecipare alle amministrative del prossimo maggio e alle regionali del 2020 non dice se vuole, materializzare i suggerimenti della Commissione di Venezia, che è un organo consultivo del Consiglio d’Europa; e porta appunto ufficialmente il nome di “Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto”; dove i componenti sono soggetti indipendenti provenienti da diverse nazioni, esperti in diritto costituzionale.

Sul fronte dell’indipendentismo veneto (quello che gli osservatori sono concordi nel considerare il più effervescente) ci si gingilla ancora sul residuo fiscale della Regione, che non è più di 21 miliardi di euro, poiché nel 2018 è sceso a 15 e mezzo. Mentre sono deboli o inesistenti i collegamenti internazionali che non possono essere solo quelli tra indipendentisti, ma anche con altri Stati.

Si cerca di imitare il modus operandi del poco efficace indipendentismo catalano che con tutta l’autonomia che ha avuto, unita ai benefit di cui disponeva, dopo decenni ha sortito solo il consenso di circa il 47% dell’elettorato, mentre i suoi esponenti politici più rappresentativi, sono sprofondati nella corruzione.

Insomma, ci sono dei sedicenti indipendentisti veneti che con il loro operato rimandano alla mente Tomasi di Lampedusa, che ne “Il Gattopardo”» fa pronunciare da Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.». E nessuno sembra conoscere Fritz Kern, autore di “Kingship and Law in the Middle Ages”, laddove scriveva: «Per noi, la legge ha bisogno di un unico attributo per assumere validità: deve, direttamente o indirettamente, essere sancita dallo Stato. Nel Medio Evo, invece, diversi attributi tutti insieme erano essenziali: la legge medievale doveva essere “antica” legge e doveva essere “buona” legge […] Se la legge non era antica e buona legge, non era legge per nulla, anche se era formalmente promulgata dallo Stato. La legge era, nei fatti, consuetudine. Usanza da tempo immemore, testimoniata dalla gente più anziana e più credibile; la leges partum […] Dove noi moderni abbiamo eretto tre altari separati, alla Legge, alla Politica, e alla Coscienza, e facciamo sacrifici ad ognuno di loro quale divinità sovrana, per la mente medievale regnava suprema la dea della Giustizia, con solo Dio e Fede al di sopra di lei, e nessuno al suo pari.»



Alberto Pento
Interessante riflessione.

Condivisibile a parte il finale dove si dice che nel Medioevo, almeno in Europa, sopra la Giustizia si poneva Dio e la Fede che poi per Dio si intendeva e si intende l'idolo dei cristiani, comunque manipolabile e ingannabile a piacimento.

Anche nel Medioevo gli uomini erano più o meno come quelli di oggi, con un sacco di magagne, pieni di difetti, viziosi, furbi, spesso ingiusti, prepotenti, ladri, truffatori, miscredenti, idolatri e eretici, ... non è che gli uomini di ieri fossero migliori di quelli di oggi, tesi tutta da dimostrare.

Affermare che gli uomini del Medioevo erano migliori di quelli di oggi è una generalizzazione che implica e induce a ritenere che vi sia una regola generale e universale per la quale il passato è sempre migliore del presente e del futuro, in tutto e per tutto quindi anche gli uomini; il che è un assurdo poiché ciò contrasta con il buon senso, con la ragionevolezza, con la logica e con l'esperienza della vita che ogni uomo può fare.




Scrive Trentin:

...
Era un programma “ambizioso” che coniugava Stato, mercato e lotta agli sprechi, che naturalmente può essere accettato in parte, in toto, o decisamente rifiutato; ma almeno aveva il pregio di offrire un’idea di ciò che si voleva realizzare. Al contrario, gli indipendentisti veneti che grosso modo sono suddivisi i due schieramenti non producono alcuna proposta in tal senso, e dichiarano: «basta copiare un sistema che funziona.»

Tuttavia la parte che considera la partecipazione alle elezioni come un legittimare l’italico status quo, non si scompone neppure a fare qualche ipotesi come per esempio: Iva con aliquote del 2-4-8% (come in Svizzera), una flat tax sui redditi al 10%, una imposta sulla sostanza (come in Svizzera) che sarebbe in pratica una patrimoniale (che sostituirebbe tutte quelle esistenti, e l’imposta di successione).

Mentre la parte che intende partecipare alle amministrative del prossimo maggio e alle regionali del 2020 non dice se vuole, materializzare i suggerimenti della Commissione di Venezia, che è un organo consultivo del Consiglio d’Europa; e porta appunto ufficialmente il nome di “Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto”; dove i componenti sono soggetti indipendenti provenienti da diverse nazioni, esperti in diritto costituzionale.

Sul fronte dell’indipendentismo veneto (quello che gli osservatori sono concordi nel considerare il più effervescente) ci si gingilla ancora sul residuo fiscale della Regione, che non è più di 21 miliardi di euro, poiché nel 2018 è sceso a 15 e mezzo. Mentre sono deboli o inesistenti i collegamenti internazionali che non possono essere solo quelli tra indipendentisti, ma anche con altri Stati.

Si cerca di imitare il modus operandi del poco efficace indipendentismo catalano che con tutta l’autonomia che ha avuto, unita ai benefit di cui disponeva, dopo decenni ha sortito solo il consenso di circa il 47% dell’elettorato, mentre i suoi esponenti politici più rappresentativi, sono sprofondati nella corruzione.

Insomma, ci sono dei sedicenti indipendentisti veneti che con il loro operato rimandano alla mente Tomasi di Lampedusa, che ne “Il Gattopardo”» fa pronunciare da Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.». E nessuno sembra conoscere Fritz Kern, autore di “Kingship and Law in the Middle Ages”, laddove scriveva: «Per noi, la legge ha bisogno di un unico attributo per assumere validità: deve, direttamente o indirettamente, essere sancita dallo Stato. Nel Medio Evo, invece, diversi attributi tutti insieme erano essenziali: la legge medievale doveva essere “antica” legge e doveva essere “buona” legge […] Se la legge non era antica e buona legge, non era legge per nulla, anche se era formalmente promulgata dallo Stato. La legge era, nei fatti, consuetudine. Usanza da tempo immemore, testimoniata dalla gente più anziana e più credibile; la leges partum […] Dove noi moderni abbiamo eretto tre altari separati, alla Legge, alla Politica, e alla Coscienza, e facciamo sacrifici ad ognuno di loro quale divinità sovrana, per la mente medievale regnava suprema la dea della Giustizia, con solo Dio e Fede al di sopra di lei, e nessuno al suo pari.»
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2020 10:30 am

La lettera di ArcelorMittal ai commissari Ilva: ecco perché ce ne andiamo - Zingaretti apre a un nuovo scudo


https://www.ilsole24ore.com/art/la-lett ... GE-sEhRoVw


Sull'immunità, il provvedimento legislativo adottato, appunto la soppressione avvenuta col dl Imprese - con i Cinque Stelle che hanno fatto pressione per la cancellazione della norma portandosi dietro il resto della maggioranza -, «rende impossibile, fattualmente e giuridicamente, attuare il piano ambientale in conformità alle relative scadenze, nonché al contempo proseguire l'attività produttiva e gestire lo stabilimento di Taranto come previsto dal contratto, nel rispetto dell'applicabile normativa amministrativa e penale».

Facendo poi presente che numerosi responsabili operativi dell'area a caldo della fabbrica (quella che comprende parchi minerali, cokerie, altiforni e acciaierie) si sarebbero rifiutati di lavorare sapendo che la protezione legale non c'è più, ArcelorMittal scrive ai commissari che a questo punto «è necessario ed inevitabile chiudere l'intera area a caldo dello stabilimento di Taranto (a cui le misure del piano ambientale si applicano prevalentemente) e interrompere la produzione, con conseguente impossibilità sopravvenuta di eseguire il contratto».

Altoforno 2.
È l'impianto teatro di un incidente mortale a giugno 2015. La Procura lo sequestrò allora senza facoltà d'uso, il Governo intervenne subito con un decreto legge che permise la continuità dell'impianto a fronte di lavori di messa a norma da farsi in un tempo da concordare con l'autorità giudiziaria, e scattò così la facoltà d'uso. Ma la scorsa estate la Procura ha ripristinato il vecchio sequestro del 2015 sull'altoforno perché è emerso che non tutti i lavori di sicurezza prescritti sono stati effettuati.

Con un ricorso al Tribunale del Riesame, l'Ilva è però riuscita a ottenere nuovamente a settembre la facoltà d'uso. Tuttavia, sul fatto che si possano eseguire i lavori nei tempi fissati, ArcelorMittal scrive ai commissari: «Nonostante le indimostrate dichiarazioni contenute nella vostra lettera del 30 ottobre, gli organi competenti non hanno confermato in alcun modo che la presentazione dei progetti e dei cronoprogrammi relativi all'esecuzione della prescrizione entro il 13 novembre sia sufficiente per ottemperare all'ordinanza. Allo stato, quindi, Afo 2 dovrebbe essere spento».

Sul punto specifico, però, fonti vicine a Ilva hanno spiegato che questo aspetto è già stato chiarito. I termini, si afferma, si riferiscono alla presentazione della progettazione degli interventi e dell'analisi di rischio, adempimenti che le autorità contano di fare anche in anticipo sulle scadenze.
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2020 10:31 am

Cosa dovrebbe fare l'Europa per non farsi inghiottire dalla Cina
Federico Giuliani
5 dicembre 2019

https://it.insideover.com/politica/le-l ... W41vOdgPVQ

All’inizio di quest’anno l’Unione europea ha definito la Cina un “rivale sistemico”. Lo scorso marzo, prima che Xi Jinping visitasse l’Italia, Bruxelles lanciò un chiaro avvertimento a tutti i Paesi membri Ue, Roma in primis. La Commissione europea chiarì con una comunicazione che gli Stati del blocco che non avessero perseguito un approccio unitario nei confronti di Pechino sarebbero stati rimproverati. Al di là del caso italiano – siamo stati i primi del G7 a firmare un Memorandum d’intesa con il Dragone per partecipare alla Nuova via della Seta – l’Ue temeva e teme tutt’ora che il governo cinese possa mettere in crisi l’intero sistema economico del Vecchio Continente, anche se in buona parte lo ha già fatto nel corso degli ultimi due decenni. Il protezionismo europeo, se così possiamo definirlo, arriva troppo tardi, quando i peggiori danni sono già stati fatti. In ogni caso, è interessante dare un’occhiata a un articolo del Financial Times che suggerisce all’Europa alcune lezioni da imparare dalla Cina per affrontare al meglio la rivalità con il gigante asiatico.

Un contesto particolare

Il titolo del pezzo è emblematico: “L’Ue deve imparare a vedere le sue peculiarità come punti di forza piuttosto che di debolezza”. In altre parole, l’Europa non deve vergognarsi di essere ciò che è, né deve nascondere le proprie caratteristiche. Anzi, è proprio su queste ultime che dovrebbe costruire una nuova immagine di sé per poter competere con il colosso americano e il Dragone cinese. Il contesto internazionale, inoltre, è favorevole al Vecchio Continente, visto che gli Stati Uniti sono del tutto indifferenti alla sopravvivenza dell’attuale ordine globale basato sulle regole; Washington pensa solo per sé, fedele alla linea “America First” di Donald Trump, e l’Europa è lasciata a se stessa. La Cina sta invece costruendo una rete economica con la quale spera di ideare un sistema che la ponga al centro di un nuovo equilibrio, mediante un reticolato che si snoderà lungo l’Asia centrale fino a toccare l’Africa e l’Europa. Pechino sta cercando di attirare all’interno della propria sfera d’influenza più Paesi possibili, molti dei quali sono pronti a voltare le spalle all’Europa. Insomma, l’Unione Europea deve reagire per difendere i propri interessi.


Imitare la Cina per tenerle testa

Per far questo, l’Europa deve muoversi in due direzioni: da una parte dovrà essere brava a diventare nuovamente un polo di attrazione per i Paesi terzi attratti dalla Cina, mentre dall’altra sarà chiamata a proiettare la propria influenza su di loro. Al fine di riuscire in questa complicata impresa, l’Ue potrebbe imitare il rivale cinese innanzitutto articolando una visione per il futuro concreta e accattivante (per intenderci, qualcosa di simile alla Belt and Road Initiative). Gli Stati membri dell’Europa dovrebbero quindi concordare un progetto altrettanto ambizioso, unire il continente e spostarsi nella medesima direzione. A proposito di unire l’Europa, proprio come la Cina, l’Ue dovrebbe sviluppare maggiormente le infrastrutture di trasporto puntando sulla creazione di un vero mercato unico, dove i consumatori avranno le stesse scelte indipendentemente da dove si troveranno. Bruxelles è invitata a concedere qualcosa in più ai Paesi dell’Europa sud-orientale e applicare norme comuni per il commercio di merci. I soggetti che decideranno di non allinearsi con l’Ue dovranno poi aspettarsi di affrontare le barriere con cui l’Europa proteggerà i suoi valori e interessi. In conclusione, l’Europa deve imparare a essere orgogliosa delle proprie particolarità, come la severa concorrenza e le regole sulla privacy, anziché invidiare i monopolisti della tecnologia americana o l’assidua ricerca dei dati cinesi. Già, perché le particolarità non sono punti deboli ma di forza.
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2020 10:31 am

Donald Trump spinge verso la "deglobalizzazione": ecco cosa cambia
Roberto Vivaldelli
15 febbraio 2020

https://it.insideover.com/politica/trum ... bEnLdDon1U

Con il crollo dell’Unione sovietica e la fine della Guerra fredda, a partire dal novembre 1989, le istituzioni economiche, le regole e i principi dell’ordine liberale occidentale vennero di fatto estesi all’interno sistema internazionale, costituendo quel mercato globale che prese il nome di globalizzazione. Dal punto di vista politico, in quel periodo gli Stati Uniti si affacciarono sul mondo con la possibilità di esercitare un potere e un’influenza senza precedenti. Con la sconfitta dell’Unione sovietica e la fine dell’era bipolare, infatti, i politici americani hanno cominciato a sognare di modellare il globo a immagine e somiglianza dell’unica superpotenza rimasta: si trattava della globalizzazione, espressione dell’ordine liberale internazionale. Una visione ottimista del futuro ben espressa da Francis Fukuyama nella riflessione formulata nel saggio The End of History?, pubblicato su The National Interest nell’estate 1989, nel quale il liberalismo, agli occhi dell’illustre politologo, appariva come l’unico possibile vincitore e meta finale dell’evoluzione storica dell’uomo e della società.

L’opinione diffusa era che gli Stati nazionali, a causa di questa interdipendenza economica e del nuovo mercato globale, erano “superati”. Dopotutto, la presenza di un’unica grande superpotenza (gli Stati Uniti) faceva pensare che l’epoca del realismo politico e dei conflitti era destinata al dimenticatoio. Tuttavia, questa concezione del mondo ben presto entrò in crisi. Prima con gli attentati alle Torri gemelle del 2001; poi con la grande crisi economica del 2007-2008. La vittoria di Donald Trump e il referendum sulla Brexit del 2016, fecero crescere la convinzione che si stava delineando una nuova era di “deglobalizzazione”.


Verso la deglobalizzazione

Come riporta Il Foglio, secondo un rapporto della Bank of America, che contiene anche un sondaggio che ha rilevato le decisioni di investimento di 3mila aziende nel mondo, per la prima volta viene ipotizzata la nuova traiettoria della “supply chain” che si sta gradualmente spostando dalla Cina verso il sud est asiatico e l’India e talvolta prende la via del “ritorno” verso il nord America. L’attuale assetto geografico delle catene produttive, che si è formato negli ultimi trent’anni con lo spostamento di impianti e posti di lavoro dai paesi occidentali ai paesi emergenti, si sta, dunque, modificando e questo è anche un effetto della politica estera del presidente americano Donald Trump.

Sarebbe in atto, una netta inversione di rotta, dopo oltre trent’anni. Tant’è che gli economisti americani prevedono “una lunga pausa nella globalizzazione” e, in rottura con il passato, sostengono che il mondo “è entrato in una fase senza precedenti durante la quale le catene di approvvigionamento vengono portate a casa, avvicinate ai consumatori o reindirizzate ad alleati strategici”. Questo potrebbe creare “una miriade di opportunità per le aree geografiche verso le quali viene reindirizzata la produzione”. Secondo il rapporto, “Gli Stati Uniti potrebbero essere un beneficiario significativo di questo processo, mentre le imprese cinesi sono forse maggiormente a rischio”.


Il coronavirus e la deglobalizzazione

Come ha spiegato l’ex ministro delle finanze Giulio Tremonti, il nuovo coronavirus, più che un impatto economico, che sarà più o meno intenso e lungo, avrà un forte “impatto psicologico”. “Per un glorioso trentennio – spiega in un’intervista rilasciata a Italia Oggi – con la globalizzazione, un mondo artificiale, fantasmagorico e felice si è sovrapposto a quello reale. Si è pensato che fosse la fine della storia, il principio di una nuova geografia”. E ora, il nuovo virus, che si sta diffondendo in tutto il mondo, ma che ha il suo epicentro in Cina “segna il ritorno della natura, il passaggio dall’artificiale al reale, come reale è appunto un virus”. Così, la globalizzazione è messa in crisi.

Secondo il Financial Times, la diffusione dell’epidemia equivale a un esperimento di deglobalizzazione. “Si stanno ponendo barriere non per arrestare i flussi commerciali e migratori ma per ostacolare la diffusione dell’infezione” scrive il Ft. Gli effetti economici, tuttavia, sono simili: catene di approvvigionamento in difficoltà, minore fiducia delle imprese e meno commercio internazionale”.




Chissà se le ONG ci stanno portando o ci porteranno quanto prima il corona virus dalla Libia?
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6600705674



Il coronavirus non è una normale e semplice influenza
viewtopic.php?f=162&t=2899
https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 5219499257
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun giu 29, 2020 1:03 pm

La vittoria di Trump: le aziende Usa riportano "a casa" i profitti esteri
Federico Giuliani
23 giugno 2020

https://it.insideover.com/economia/la-v ... steri.html

Donald Trump aveva fatto una promessa: grazie alla Tax law i profitti realizzati all’estero dalle società americane – cifre esorbitanti, nell’ordine di trilioni di dollari – sarebbero tornati “a casa” e avrebbero ridato vigore all’economia degli Stati Uniti. La legge fiscale a cui si riferiva il presidente Usa è diventata realtà nel 2017. Da quel momento in poi, come mostrano i grafici del Dipartimento del Commercio statunitense, gli utili delle filiali estere rimpatriati dalle aziende Usa per trimestre sono aumentati vistosamente.

Più di 300 bilioni di dollari nei primi tre mesi del 2018, oltre 200 bilioni nel secondo, più di 100 nel terzo e, di nuovo, poco più di 200 bilioni nell’ultimo trimestre. Non sappiamo l’utilizzo finale di questi soldi, ovvero se il denaro rientrato è stato impiegato per pagare stipendi, dividendi, interessi o fare investimenti. Il trend è comunque positivo e si è mantenuto costante anche nel 2019 e nel primo trimestre del 2020, nonostante (o, sarebbe meglio dire: “grazie”alla) la pandemia di Covid.

Tra il gennaio e il marzo 2020, sottolinea il Wall Street Journal, le società statunitensi hanno “portato a casa” la bellezza di 124,2 miliardi di dollari derivanti da profitti realizzati oltreoceano. Si tratta del più alto livello mai registrato dopo l’entrata in vigore della Tax law del 2017.


I soldi tornano “a casa”

Proprio come aveva preannunciato Trump, i soldi sono rientrati negli Stati Uniti. Quest’anno abbiamo avuto il boom mentre il nuovo coronavirus stava affossando la Cina e il resto del mondo. Tali rimpatri, scrive ancora il Wall Street Journal, sono un chiaro segno di “quante aziende potrebbero aver avuto bisogno di denaro nelle loro operazioni negli Stati Uniti”.

Dall’altro lato, l’ingresso di così tanti capitali in territorio americano equivale, per l’attuale amministrazione, a una vera e propria boccata d’ossigeno. Poco importa se, come sostengono alcuni analisti, le società volevano solo mettersi al riparo da eventuali rischi, infischiandosene degli Stati Uniti. Se è vero che le prossime elezioni presidenziali si giocheranno per lo più sull’economia (anche se temi come l’identità continueranno ad avere un ruolo cruciale), Donald Trump può trasformare questa notizia in un successo.

Calcolatrice alla mano, le aziende Usa hanno realizzato 115 miliardi di profitti stranieri nel primo trimestre del 2020, riportandone a Washingon, come detto, 124,2 miliardi. Il che significa che questi profitti non sono stati reinvestiti all’estero. Basti pensare che nel quarto trimestre del 2019 le stesse società avevano portato negli Usa il 60% dei loro profitti esteri, reinvestendo il restante oltre confine.


La Tax law del 2017

Che cosa c’entra Trump con tutto ciò? Molto più di quanto non si possa pensare. È vero che la tendenza è stata accelerata dal nuovo coronavirus. Ma è indubbio il ruolo giocato dalla Tax law approvata nel 2017. Da quando il Congresso ha reso il rimpatrio di denaro un evento indolore ed esente da imposte, le società statunitensi hanno iniziato a trasferire ingenti somme di denaro ai rispettivi quartier generali situati negli Stati Uniti.

Moltissime big company, come Facebook, United Technologies Corp., e Raytheon hanno approfittato dei vantaggi legislativi, facendo rientrare miliardi di dollari in America. “Le modifiche alla legislazione fiscale del 2017 hanno semplificato il rimpatrio degli utili stranieri negli Stati Uniti – ha spiegato un portavoce di una grande azienda al Wall Street Journal – abbiamo continuato a rimpatriare periodicamente contanti negli Stati Uniti, incluso lo scorso trimestre, in linea con i nostri piani a lungo termine”.

Prima che entrasse in vigore la Tax law, le società Usa dovevano fare i conti con un’aliquota dell’imposta pari al 35% degli utili guadagnati in tutto il mondo; pagavano le tasse estere ma non erano obbligate a coprire la differenza tra quelle tariffe e la tariffa americana. Risultato: quasi tutte le società “parcheggiavano” migliaia di miliardi di dollari nelle filiali all’estero. Con Trump la musica è cambiata.
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun gen 04, 2021 8:13 am

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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun gen 04, 2021 8:15 am

Covid, Disney licenzia 28.000 dipendenti a causa della pandemia
Mercoledì 30 Settembre 2020

https://www.ilmessaggero.it/economia/ne ... 93184.html

La Walt Disney Company taglierà la sua forza lavoro di 28.000 dipendenti, come ha riferito la CNBC citando la lettera del presidente di Disney Parks, Experiences and Products Josh D'Amaro ai dipendenti dei parchi a tema. Circa due terzi dei dipendenti in procinto di essere licenziati sono lavoratori part-time, ma non è stato specificato quali parchi a tema saranno colpiti da questa misura e in che misura.

Coronavirus Usa, 1.200 dollari arrivati all'85% degli americani: così funziona l'helicopter money di Trump

«Negli ultimi mesi, il nostro team di gestione ha lavorato instancabilmente per evitare di dover separare nessuno dall'azienda. Abbiamo tagliato le spese, sospeso i progetti di capitale, licenziato i membri del cast pur continuando a pagare i benefici e modificato le nostre operazioni per funzionare in modo efficiente per quanto possibile, tuttavia, semplicemente non possiamo mantenere in modo responsabile tutto il personale mentre operiamo con una capacità così limitata», ha scritto D'Amaro.

«Per quanto sia straziante intraprendere questa azione, questa è l'unica opzione fattibile che abbiamo alla luce dell'impatto prolungato di Covid-19 sulla nostra attività», ha aggiunto. I funzionari Disney hanno affermato che la società fornirà pacchetti di licenziamento per i dipendenti, se del caso, e offrirà anche altri servizi per aiutare i lavoratori con l'inserimento lavorativo. Il segmento dei parchi, delle esperienze e dei prodotti di consumo è fondamentale per il modello di business di Disney. Solo lo scorso anno, il settore ha rappresentato circa il 37% del fatturato totale dell'azienda di 69,9 miliardi di dollari.

L'annuncio a sorpresa del taglio di 28.000 dipendenti nei suoi parchi divertimento fa calare i titoli Disney a Wall Street, dove arriva a perdere il 2%. Il taglio mostra, secondo gli investitori, come il settore dei viaggi e dell'intrattenimento sarà il più lento a riprendersi dalla crisi del coronavirus.
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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun gen 04, 2021 8:15 am

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Re: Economia, protesionixmo e globałixasion, Trump e Xvisara

Messaggioda Berto » lun gen 04, 2021 8:15 am

Trump vieta gli investimenti in 31 aziende cinesi
(ANSA) - NEW YORK, 12 NOV - 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... 46301.html

Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che vieta agli americani di investire in 31 società cinesi che secondo gli Stati Uniti aiutano l'esercito della Cina. Lo riporta il Wall Street Journal, sottolineando che l'ordine entrerà in vigore l'11 gennaio e prevede la vendita delle azioni o partecipazioni in queste aziende entro il novembre 2021.












La Cina sta uccidendo gli americani con il fentanyl, e lo fa deliberatamente
Gordon G. Chang
25 ottobre 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/16687 ... Q.facebook

Il fentanyl viene spesso inviato per posta negli Stati Uniti, il che significa che lo Stato cinese, tramite il Servizio postale nazionale cinese, è il distributore. L'U.S. Customs and Border Protection (CBP), l'autorità doganale statunitense, ha scoperto che il 13 per cento dei pacchi provenienti dalla Cina contiene qualche merce di contrabbando, tra cui il fentanyl e altre sostanze letali. Nella foto: Il 24 giugno 2019, un funzionario dell'U.S. Customs and Border Protection esegue insieme a un cane un'ispezione nella struttura del servizio postale, situata presso l'Aeroporto John F. Kennedy di New York. (Foto di Johannes Eisele /AFP via Getty Images)

"Non invoco alcun tipo di complotto, credo solo ai semplici fatti: il fentanyl e il Covid sono arrivati entrambi dalla Cina e beneficiano della morte di molte migliaia di americani", ha osservato Tucker Carlson nella sua trasmissione del 16 ottobre.

Da anni, il regime cinese spinge il fentanyl negli Stati Uniti.

Secondo i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, lo scorso anno, negli Stati Uniti, le morti per overdose hanno raggiunto la cifra record di 70.980 vittime. Di questi decessi, 36.650 sono stati causati da oppioidi sintetici come il fentanyl. Anche le morti per cocaina e metanfetamina sono aumentate, soprattutto perché queste sostanze sono state mescolate con il fentanyl.

Come osservato da Vanda Felbab-Brown della Brookings Institution, in una pubblicazione del luglio scorso: si tratta della "epidemia di droga più letale nella storia degli Stati Uniti".

Non c'è alcun dubbio in merito alla provenienza di questa droga. "Dal 2013, la Cina è la principale fonte del fentanyl che ha inondato il mercato illegale statunitense di stupefacenti – o degli agenti precursori da cui viene prodotto il fentanyl, spesso in Messico", riporta Felbab-Brown.

Un rapporto di intelligence della Drug Enforcement Administration (DEA), pubblicato a gennaio, giunge alla stessa conclusione in merito alla fonte del letale fentanyl.

Qualche anno fa, un ex funzionario della sicurezza nazionale americana mi disse che in Cina, le bande lavorano nei laboratori sui composti di fentanyl per creare più dipendenza da questo oppioide sintetico. Inoltre, i chimici cinesi modificano costantemente le formule per evitare il rilevamento al confine americano.

In breve, il regime cinese sta uccidendo gli americani con il fentanyl. E lo fa deliberatamente. Carlson aveva ragione a parlare di intenzionalità.

Dietro insistenti pressioni dell'amministrazione Trump, Pechino ha annunciato nell'aprile 2019 il divieto di produzione, di vendita e di esportazione senza autorizzazione di sostanze a base del principio attivo del fentanyl.

Tale divieto, ovviamente, è stato un passo nella giusta direzione, ma gli analisti hanno rilevato che le nuove regole sono difficili da applicare. "La sfida dell'applicazione", afferma il documento della Brookings, "è formidabile poiché le industrie chimiche e farmaceutiche cinesi coinvolgono decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di impianti, e la Cina non dispone di adeguate capacità di ispezione e di monitoraggio".

Ciò implica che in Cina le bande criminali possono operare nell'ombra. Questa prospettiva è altamente opinabile.

Per prima cosa, il Partito Comunista, attraverso le proprie cellule, controlla qualsiasi attività di rilievo.

Inoltre, il governo centrale cinese gestisce quello che è senza dubbio il sistema di controllo sociale più sofisticato al mondo. Utilizzando grandi quantità di dati e l'intelligenza artificiale, decine di migliaia di osservatori del governo sorvegliano 1,4 miliardi di persone con circa 626 milioni di telecamere di sorveglianza e decine di milioni di monitor posizionati nei quartieri e quadri del Partito Comunista. Pechino esercita un rigoroso controllo sul sistema bancario ed è immediatamente a conoscenza dei trasferimenti di denaro.

Le bande cinesi sono grandi e ampiamente ramificate. Nello Stato cinese semi-totalitario non è possibile per tali organizzazioni criminali operare all'insaputa del Partito Comunista. E se il Partito in qualche modo disconosce l'esistenza di una particolare banda è perché ha deciso che sia così.

Inoltre, il fentanyl non può lasciare il Paese passando inosservato, poiché teoricamente tutte le merci spedite vengono esaminate prima di abbandonare il suolo cinese. Jonathan Bass, CEO dell'azienda importatrice PTM Images, ha detto al Gatestone che le autorità ispezionano e sigillano ogni container che lascia la Cina. Il fentanyl viene spesso inviato per posta negli Stati Uniti, il che significa che lo Stato cinese, tramite il Servizio postale nazionale cinese, è il distributore. Il volume del traffico postale di questo oppioide sintetico è elevato.

Quanto elevato? L'U.S. Customs and Border Protection (CBP), l'autorità doganale statunitense, sulla base dei dati forniti dalle sue ispezioni "a sorpresa" nell'ambito dell'Operazione Mega Flex, ha scoperto che il 13 per cento dei pacchi provenienti dalla Cina contiene qualche merce di contrabbando, tra cui il fentanyl e altre sostanze letali. Il servizio postale cinese deve sapere che è diventato, tra le altre cose, il corriere della droga più attivo al mondo.

Spacciare droga è un piccolo prezzo da pagare per raggiungere la grandezza nazionale, secondo i funzionari cinesi. Come ha asserito al sottoscritto Cleo Paskal della Foundation for Defense of Democracies, con sede a Washington, D.C., sono ossessionati dal "comprehensive national power" (CNP). Lo misurano meticolosamente, lo studiano a fondo e confrontano costantemente le classifiche della Cina con quelle di altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti.

I funzionari cinesi non si fermeranno davanti a nulla per accrescere il potere relativo del loro regime. Ci sono due modi per farlo, osserva Paskal: accrescere il CNP della Cina e ridurre quello degli altri Paesi. La Cina sta tentando maliziosamente di ridurre il comprehensive national power dell'America con il fentanyl. Non ci può essere altra spiegazione del fatto che Pechino consente alle organizzazioni criminali di operare indisturbate.

Il regime, di conseguenza, utilizza la criminalità come strumento della politica di Stato. "Nessuno di quelli che conosco della comunità delle forze dell'ordine mette in dubbio per un istante che i servizi cinesi sappiano esattamente cosa sta accadendo, dato il loro controllo interno totale", mi ha detto l'ex funzionario di sicurezza. "L'ipotesi è che Pechino ne sia a conoscenza, lo approvi e ne tragga profitto."

Il regime ha adottato la dottrina della "Guerra senza restrizioni", spiegata nel 1999 in un libro dal titolo omonimo, scritto da Qiao Liang e Wang Xiangsui. La tesi degli autori, entrambi colonnelli dell'aeronautica militare cinese, è che la Cina non dovrebbe essere vincolata da alcuna regola o accordo nel suo tentativo di annientare gli Stati Uniti.

Il regime cinese è sempre stato caratterizzato dalla malvagità. Mao Zedong, fondatore della Repubblica Popolare Cinese, ha creato una società all'insegna dell'"uccidi o sarai ucciso" e i suoi valori sono disumani.

La combinazione dell'inesorabile desiderio della Cina di accrescere la propria forza relativa e la convinzione che nessuna tattica sia al di fuori dei limiti consentiti indica che Pechino considera il fentanyl un'arma.

Alla fine del 2017, mi trovavo a passare insieme a un amico davanti a una chiesa di Severna Park, nell'Anne Arundel County, in Maryland. Lì, vidi ragazze e ragazzi vestiti di nero scendere i gradini della locale agenzia di pompe funebri. Le ragazze erano in lacrime, aggrappate l'una all'altra; e i ragazzi fissavano il vuoto con sguardo assente. Poi arrivarono i genitori, ancora sotto shock.

"Lo sappiamo entrambi", disse il mio amico. "Qualcuno sta seppellendo il proprio figlio e qualcun altro – in Cina – conta i soldi."

Quelle brave persone di Anne Arundel – e tutti gli altri americani – sono sotto attacco. Gli aggressori sono cinesi, la loro spada è il fentanyl e i decessi scaturiscono dalla malvagità nella capitale cinese.

Il mio amico di recente mi ha lasciato un messaggio. "C'è ancora", ha scritto, "qualche vecchio eroinomane, ma non conosco alcun vecchio tossicomane da fentanyl."

Gordon G. Chang è l'autore di "The Coming Collapse of China", è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e membro del suo comitato consultivo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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