Poledega

Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven ago 31, 2018 5:12 am

Le schiave del sesso del Califfo costrette a vivere con i carnefici in Europa
Roberto Vivaldelli

http://www.occhidellaguerra.it/rifugiat ... e-dellisis

Una donna appartenente agli yazidi mentre entra in un tempio non lontano da Baghdad in Iraq (LaPresse)

L’uomo è uno dei comandanti dello Stato islamico che ha rapito Ashwaq, le sue quattro sorelle e cinque fratelli a Sinjar, nel nord dell’Iraq, nell’estate del 2014. Una storia incredibile, raccontata in un’inchiesta dal Daily Telegraph e che testimonia le fragilità dell’Europa dell’accoglienza. Per Ashwaq Ta’lo, ragazza yazida accolta come rifugiata in Germania, non ci sono dubbi: quell’uomo barbuto, incontrato in una strada di Stoccarda, è proprio lui: il suo sequestratore ed ex miliziano dello Stato islamico.

Ashwaq Ta’lo ha 15 anni quando la sua famiglia viene sequestrata. Viene poi venduta insieme a sua sorella e ad altre giovani adolescenti ad uomo chiamato Abu Humam. Qualche mese dopo, nel 2015, riesce finalmente fuggire dai suoi rapitori e si dirige verso la Germania come rifugiata per raggiungere sua madre e altri membri della sua famiglia. Poi, lo scorso febbraio, quei giorni terribili riemergono quando viene fermata da un uomo, a Stoccarda. “Mi sono bloccata quando ho osservato attentamente la sua faccia”, ha detto a Bas News, un’agenzia curda. “Era Abu Humam, con la stessa barba spaventosa e la sua brutta faccia. Sono rimasta senza parole quando ha iniziato a parlare in tedesco, chiedendomi se ero proprio io”.
“Centinaia di miliziani dell’Isis scappati e accolti in Europa”

Come racconta il Corriere della Sera, quello di Ashwaq Ta’lo non è affatto un caso isolato. Secondo gli attivisti yazidi e siriani presenti in Germania, infatti, sarebbero almeno 60mila le ragazze che hanno trovato rifugio in Europa, dove sono arrivate per sentirsi una volta per tutte al sicuro e per lasciare alle spalle un incubo durato mesi. Purtroppo, insieme alle ragazze anche decine di terroristi dello Stato islamico sono riusciti a scappare in Europa e sono stati accolti. Alcuni hanno rubato l’identità ad altri siriani e hanno fatto richiesta di asilo nel 2015, approfittando della decisione di Angela Merkel di aprire le porte del Paese ai siriani.

Vittime e carnefici sono riusciti incredibilmente a godere degli stessi diritti. E questo è accaduto in Germania, nel cuore dell’Europa. Com’è potuto accadere un fatto simile? “In Europa sono fuggiti o rientrati almeno 900 membri di Isis”, spiega al Corriere Aghiad Al Kheder, siriano e portavoce dell’associazione Sound and Picture. Ora la speranza degli attivisti yazidi e siriani è quella di riuscire a denunciare gli ex miliziani dell’Isis e portarli a processo, magari davanti alla Corte dell’Aja, affinché paghino una volta per tutte per i crimini commessi in Iraq e in Siria.


“Comprata per 100 dollari all’asta”

Molti yazidi, in particolare le giovani donne, sono ancora prigionieri dello Stato islamico, compresa la sorella di Ashwaq. Il giorno dell’attacco dell’Isis, la ragazza è stata catturata insieme a 65 membri della sua tribù, sul confine tra Iraq e Siria. Suo padre, sua madre e alcuni parenti anziani e disabili sono riusciti a raggiungere il monte Sinjar, dove migliaia di yazidi si sono accampati, fino all’arrivo dei soccorsi.

Cinque dei fratelli di Ashwaq Ta’lo sono tuttora dispersi e si presume che sua sorella sia ancora prigioniera dei terroristi. Nel 2014 moltissime donne, come ha confermato Ashwaq, sono state portate in Iraq e vendute all’asta a Mosul: è lì che la giovane yazida viene comprata per 100 dollari da Abu Humam, il jihadista che ha rivisto anni dopo a migliaia di chilometri di distanza, a Stoccarda, in un luogo che credeva sicuro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven ago 31, 2018 7:07 pm

Perché il Le Pen svedese sta conquistando il Paese
Marzio Mian
Jimmi Akesson (Controstorie)
Ago 31, 2018

http://www.occhidellaguerra.it/perche-l ... ando-paese

Brutta perturbazione in arrivo dalla Scandinavia su Bruxelles, cioè la caduta, dopo oltre un secolo, del partito Socialdemocratico svedese. Che vorrebbe dire un colpo da ko alla già precaria stabilità politica dell’Unione, soprattutto perché la prevista disfatta del «partito-Stato» dato al massimo al 25 per cento (solo negli anni Novanta viaggiava su percentuali intorno al 45) potrebbe essere accompagnata dal balzo della destra sovranista, dal 4 per cento del 2010 al 20 per cento nelle prossime elezioni generali del 9 settembre. Bruxelles guarda a Nord con terrore perché, anche se la Svezia ha gli stessi abitanti dell’Ungheria di Viktor Orban, il suo peso politico e simbolico è di ben altro genere.
Cosa accadrebbe se si aprisse una falla anche in Scandinavia, addirittura nel Paese più progressista, bastione del multiculturalismo e dei valori universali dell’accoglienza? Infatti il governo, nonostante gli ottimi risultati sul fronte economico, con una disoccupazione praticamente inesistente, paga per non aver rinunciato, nemmeno in tempo di antiglobalismo dilagante, alla tradizionale solidarietà terzomondista del partito che fu di Olof Palme («siamo una superpotenza umanitaria», diceva solo tre anni fa il premier Stefan Lofven), accogliendo, in un Paese di soli 9.5 milioni di abitanti, più profughi di tutti gli altri membri dell’Unione europea, 600mila dal 2014, 163mila richiedenti asilo solo nel 2015.

E la situazione è sfuggita di mano. Vasti territori urbani, a Stoccolma, a Uppsala, a Malmö, soprattutto a Göteborg, sono in mano alla criminalità straniera, non accessibili alla polizia e ai giornalisti, gli stupri sono aumentati del 30 per cento in cinque anni, nelle scuole circolano ogni genere di armi, non si contano i regolamenti di conti tra bande di diversi origini etniche, numerosi gli attentati islamisti, nel 2017 un camion guidato da un affiliato Isis ha fatto cinque morti. L’ultimo caso che ha sconvolto l’opinione pubblica (e potrebbe avere un forte impatto sul voto) è stato l’incendio di decine, centinaia di auto da parte di gang d’incappucciati alla periferia di Trollhattan, città industriale nell’Ovest, già sede degli stabilimenti della Saab e oggi una delle aree più colpite dall’ondata di violenze. La debole reazione del premier – «ma cosa diavolo state facendo?» – ha fatto indignare le tute blu, da sempre zoccolo duro dei socialdemocratici.

A lungo la stampa nazionale e internazionale, quasi con imbarazzo, ha dedicato poco spazio al crescendo di attacchi alle donne nelle strade e alle violenze di matrice straniera e islamica nel Paese ritenuto la mecca dell’integrazione e della pace sociale. E fu accolto come una delle sue molte gaffe il riferimento di Donald Trump, rispetto al pericolo immigrazione, di «fare la fine della Svezia».

Il governo, sull’onda di sondaggi che manifestavano un’impennata del sentimento anti-immigrati, nel 2017 ha ridotto le quote d’ingresso a 23mila, ma non è bastato a contenere il fenomeno di Sverige Demokraterna, Democratici di Svezia, (stesso simbolo della torcia del Fronte Nazionale di Marine Le Pen), partito nato una decina d’anni fa da un nucleo dichiaratamente neo-nazi e oggi sulle stesse posizioni populiste e anti-europeiste di altri movimenti dell’Ue. In molti sondaggi stanno davanti ai liberali, i quali, come i socialdemocratici hanno dichiarato che non scenderanno mai a patti di coalizione con la destra nazionalista, poiché è chiaro che nessuno dei tre contendenti riuscirà a superare la metà dei 349 seggi necessari per un governo monocolore. L’unica via d’uscita anche in caso di una vittoria dei nazionalisti – potrebbe essere un governo di minoranza; ma un’affermazione della destra estrema nei numeri previsti, terrebbe in ostaggio qualsiasi esecutivo, anche una grande coalizione, costringendolo, come accaduto in Olanda con la «quasi vittoria» del partito anti-islamico di Gert Wilders, a una brusca virata su scelte che cambierebbero l’identità politica della Svezia e indebolirebbero ulteriormente quel che rimane del blocco europeista a Bruxelles. Una cosa appare ormai certa, che le elezioni sanciranno la crisi terminale del «modello svedese», icona della sinistra progressista internazionale: welfare dalla culla alla tomba, solidarietà, globalismo economico, neutralità militare, europeismo, pacifismo. Potrebbe subire un duro colpo anche la più ostentata delle battaglie socialdemocratiche dell’ultimo decennio, il femminismo di Stato, con punte estreme come il superamento dei generi nelle scuole e la creazione di una nuova lingua «neutrale». Il governo nelle scorse settimane, con un documento ufficiale presentato dal ministro degli Esteri Margot Wallstrom, ha addirittura annunciato l’avvio di una «nuova diplomazia femminista per esportare il modello politico di genere svedese».

Come accade per le altre forze anti-establishment nel continente, i Democratici di Svezia, sono a favore di un rapporto privilegiato con la Russia, e questo in un Paese (senza guerra da duecent’anni) che di fronte alla militarizzazione russa dell’Artico e alle tensioni sul Baltico si è recentemente espresso per un’adesione alla Nato, stringendo intanto accordi strategici con gli Stati Uniti e partecipando a diverse manovre nella regione. Il giovane leader Jimmie Akesson rifiuta il potere sovranazionale di Bruxelles, invoca l’uscita immediata dall’Unione e una politica protezionista aumentando le tariffe sui prodotti stranieri; soprattutto vuole archiviare la politica dell’accoglienza umanitaria ipotizzando la fine del mitico welfare svedese. «Seicentomila persone», dice Mats Edman, direttore di Dagens Samhälle, «significa 40 nuove municipalità di 15mila abitanti. Pensiamo a quel che serve in termini d’infrastrutture, impiego pubblico, abitazioni, scuole, ospedali, trasporti Per poter sostenere tutto ciò e continuare a godere del benessere standard svedese significa dover andare in pensione oltre i settant’anni. Oppure dobbiamo rivedere i nostri standard».


Svezia fatta a maglie - domenica si vota, e avanzano i ''democratici'', populisti, sovranisti
Maria Giovanna Maglie per Dagospia

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 182239.htm

“Guardate che cosa è successo in Svezia Chi l'avrebbe mai detto”, frase che all'inizio del 2017 costò a Donald Trump dileggio e prese in giro dei media e dei politici svedesi a non finire, con tanto di protesta dell'ambasciatore. Giocarono sul fatto che il neo presidente avesse creduto a un attentato che non c'era stato, lui si riferiva a un documentario trasmesso da Fox News su scontri tra polizia e con appello finale di alcuni poliziotti, e segnalava un pericolo inaspettato per quella nazione.

“Guardate che cosa succede in Svezia” si potrebbe dire di nuovo oggi, e si potrà dire ancora meglio subito dopo il voto di domenica prossima, 9 settembre, sul quale aleggia la minaccia dell'affermazione dei Democratici, populisti, sovranisti, anti immigrati, fautori di un referendum per uscire dall'Unione Europea, demonizzati dalle altre forze politiche, eppure in ascesa considerata irresistibile. Al 20% secondo l'ultimo sondaggio, e magari sono cifre sottostimate sia per il pregiudizio dei committenti che per l'autocensura degli elettori verso una scelta pesantemente criminalizzata.

Un pericolo che ha spinto Emmanuel Macron a intervenire dall'Eliseo, distraendosi per un minuto da Salvini e da Orban, ma anche dal fomentare la guerra in Libia, per rilasciare una intervista preoccupatissima domenica scorsa alla SVT Television svedese, nella quale spiega che guai a votare “una persona che non c'entra niente con la vostra storia e i vostri valori”’.

La persona è Jimmie Akesson, leader dei Democratici Svedesi . Le elezioni di domenica prossima sono diventate fondamentali perché aggiungono ai popoli stanchi di immigrati e intenzionati a votare governi che parlino di sovranità, confini, bandiera, interessi nazionali, anche la Svezia, che nella vulgata è sempre stata considerata campione di accoglienza; la aggiungono a un numero di Paesi ben più ampio dei cattivi di Visegrad; precedono di un mese le elezioni in Baviera che potrebbero essere un colpo mortale per Angela Merkel.’ Il tutto prima del 26 maggio del prossimo anno, in cui si vota in tutte le nazioni dell'Unione Europea.

Naturalmente se leggete il giornalone unico progressista, penserete che la colpa sia tutta del nazionalismo bianco, del risorgente fascismo, dell'estrema destra. Se fosse Invece colpa della Germania e della Francia, più la casta burocratica di Bruxelles, che, a capo dell'Unione, hanno sempre ritenuto di gestire solo i propri interessi, e per strada hanno perso tutto?

Se fosse più In generale il fallimento del relativismo culturale senza nerbo, del politically correct che non vede non sente non parla, come le tre scimmiette?

La Svezia ha una duplice importanza, perché non è soltanto un Paese nel quale si sono riversati molti immigrati, è un Paese piccolo, 10 milioni di abitanti, che ha deciso di accoglierli e farne cittadini a tutti gli effetti, fallendo, ed ora si ribella a due tipi di disagi e scontri sociali: quello dei nuovi arrivati, e quello delle terze generazioni, i figli e I nipoti di coloro che sono stati accolti e che sono nati in Svezia, ma non si sono mai integrati, e sono organizzati in bande violente e aggressive contro le quali la Polizia ha pochissime armi, frutto di una deviazione politically correct

Ma ora la Svezia si ribella a tal punto che la questione dell'immigrazione e della criminalità legata all'emigrazione è al primo posto fra i temi della campagna elettorale. Ma lo è anche il tema forte di uscire dall'Unione Europea per riconquistare sovranità, scelta meno difficile che per altri in Svezia perché ha mantenuto la sua moneta, la corona, e non può subire alcuna forma di ricatto dalla BCE. Al tempo stesso proprio questa mancanza di ricattabilità può essere un elemento discriminante per altre nazioni i cui popoli stiano diventando euroscettici, perché dimostrerebbe che il problema è l'euro.

In Svezia governa una coalizione di Socialdemocratici e Verdi che invece è apertamente pro Europa e negli ultimi mesi ha aumentato la spesa pubblica e tutta la parte del welfare, a partire dalle pensioni minime. Rischia di perdere la maggioranza in Parlamento non certo per opera dell'opposizione moderata di centro-destra, composta da Partito moderato di unità, Partito di centro, Liberali e Cristiani, ma per il successo dei Democratici collocabili a destra e di un'altra formazione collocabile all'estrema sinistra, il Partito della Sinistra, si chiama così . Formule superate del tempo ma ancora in uso. vi ricordano qualcosa, vi ricordano per caso l'italia?

Si assegnano domenica 349 seggi con il metodo proporzionale in 29 circoscrizioni di differente grandezza , con la soglia di sbarramento al 4%.

Il Partito della Sinistra – secondo le previsioni sarebbe al 9,5% dei consensi – ha fatto una campagna elettorale tutta contro la Destra, polemizzando con la debolezza dei socialdemocratici, fermi nelle previsioni al 25%, mentre i loro alleati, i Verdi, stanno a un pericoloso 4%.

Il nemico di tutti, i Democratici Svedesi, nell'ultimo sondaggio sfiorano il 20%, ed è una quantità di voti spaventosa se pensate alla Svezia col sogno dell'inclusione per tutti, della società orizzontale, del benessere diffuso, che era nella visione un tempo dominante di Olof Palme.

Ora quella visione gli si è rovesciata addosso, mostrandosi in tutta la sua illusorietà. Basta pensare alla notte di Ferragosto quando, da noi è stata raccontata pochissimo, diciamo che è perché ci stavamo occupando del crollo del ponte di Genova, dalle periferie delle principali città le bande di giovani immigrati di seconda e terza generazione hanno organizzato incidenti e devastazioni, dando alle fiamme centinaia di auto, danneggiando parcheggi, grandi magazzini, il tutto senza ragioni, senza slogan, senza neanche pretesti.

Le avvisaglie naturalmente c'erano tutte, episodi ne erano accaduti a decine nell'anno precedente ma il primo ministro Stefan Löfven e’ sembrato colto di sorpresa, come colpito da un fulmine, e ha scoperto il pericolo di una guerriglia di stampo militare e di azioni coordinate nella loro brutalità e selvaggeria.

Peccato che la Svezia sia da molto tempo in cima alle classifiche internazionali di guerriglia urbana e peccato che il governo abbia minacciato querele contro i giornali e TV che in passato abbiano provato a raccontare quanto si stessero allargando le zone delle periferie urbane proibite alla polizia e alla legge.

Dan Eliasson, il capo della polizia, in persona era andato in TV a descrivere una situazione da guerra civile, aree del paese sfuggite all’autorità dello Stato, con un disperato appello ai cittadini: «Aiutateci, aiutateci!». Ai partiti di governo, che lo criticavano aspramente, aveva risposto mostrando i dati di fuga dal corpo di Polizia.

Se ne vanno perché è impossibile lavorare, si rischia la vita senza poter far nulla. In 61 aree vietate attorno alle città più grandi la polizia si è ritirata e i commissariati sono chiusi, il controllo è in mano a 200 bande, 5000 delinquenti .

E tra loro, secondo i servizi segreti, molti terroristi.

Perché stupirsi allora se il programma dei Democratici sembra l'unica via di salvezza ? Blocco delle frontiere, rimpatri forzati, interventi diretti di polizia ed esercito nelle no-go zones referendum per la Swexit, l’uscita dall’Ue.

Vedremo domenica. Ci sarebbe anche la questione del gasdotto russo, dell'accordo tra Russia e Germania, della minaccia di Putin che la Scandinavia sente fortissima, e decide quindi il riarmo massiccio. Ne parliamo nella prossima puntata.



Riprendiamo da LIBERO di oggi, 04/08/2018, a pag. 13, con il titolo La destra sovranista punta anche alla Svezia", il commento di Andrea Morigi.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=71920

Anche se perdono, i sovranisti svedesi hanno già vinto. A meno di una settimana dalle elezioni politiche che si svolgeranno domenica, i sondaggi attribuiscono il secondo posto, con il 18%, ai Democratici di Svezia di Jimmie Akesson, il Salvini di Stoccolma. Manca soltanto lui. Negli altri Paesi scandinavi, la Norvegia e la Danimarca, i partiti di destra sono già al governo o sono già stati sdoganati, come anche in Finlandia. In Olanda e in Germania, il Partito per la Libertà di Geert Wilders e Alternative fur Deutschland hanno ormai conquistato uno spazio politico. Sconfiggere la socialdemocrazia gialloblu al potere quasi ininterrottamente da sessant'anni, però, equivarrebbe a un'impresa storica.
Il partito dell'attuale primo ministro laburista Stefan Löfven guida ancora le rilevazioni con il 25% e, con quella percentuale, potrebbe essere ancora in grado di far parte dell'esecutivo o con l'appoggio della terza formazione per numero di consensi, i Moderati, guidati da Ulf Kristerssson. Quest'ultimo, tuttavia, ha già spiegato di puntare a un accordo trasversale sull'immigrazione con i socialdemocratici e i Democratici di Svezia. In quella spuria coalizione, Kristersson forte di una previsione del 17%, coltiva la speranza di essere l'ago della bilancia e perciò di formare il governo.

I TIMORI DI BRUXELLES Per l'Unione Europea, quell'ipotesi di unità nazionale è una prospettiva mostruosa, tanto che, da Parigi, si è scomodato perfino il presidente francese Emmanuel Macron, bollando Akesson come «incompatibile con i valori svedesi». Quindi, lo scenario postelettorale potrebbe vedere una scelta obbligata fra l'attuale centrosinistra e un centrodestra innestato dai Democratici di Svezia, sul modello austriaco. E sarebbe il peggior incubo per i burocrati di Bruxelles, che temono per la sopravvivenza dell'attuale assetto politico comunitario, soprattutto in vista del rinnovo del Parlamento europeo. A decidere la partita, pur senza una presenza parlamentare, è comunque l'altra forza in campo, i cittadini nati in uno Stato straniero, che vantano un'incidenza del 17% sulla popolazione, che ammonta a 7,3 milioni di persone.

LO SCONTRO ETNICO Trent'anni fa, gli immigrati erano appena i19% e la loro presenza crescente è divenuta via via sinonimo del fallimento dell'integrazione. La loro partecipazione al voto non si annuncia né compatta né omogenea. Chi accetta lo stile di vita scandinavo e il welfare state, è più propenso a scegliere fra le liste tradizionali. Nelle fasce più disagiate, invece, fra coloro che vedono gli autoctoni come un ammasso di infedeli, le urne non sono considerate un'opzione, nonostante il partito ambientalista e il partito di centro siano considerati i più vicini ai musulmani. E di poche settimane fa il rogo contemporaneo di decine di automobili in punti diversi della Svezia: una dimostrazione di forza che gli elettori non sembrano sottovalutare, a differenza dei mezzi d'informazione, che hanno sospettato che la regìa fosse da attribuire agli xenofobi a caccia di consensi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mar set 04, 2018 7:08 am

Voto in Svezia, l’ascesa della destra populista spiegata in 7 grafici
Michele Pignatelli
2018-09-05

https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2 ... d=AEAIhfkF

Le elezioni politiche che domenica chiameranno alle urne oltre sette milioni di svedesi non saranno forse il terremoto politico che qualcuno ipotizza. Segneranno però una nuova puntata nell’avanzata della destra populista in Europa, a pochi mesi dalla grande resa dei conti delle elezioni europee. Rendendo complessa, a Stoccolma, la formazione di un nuovo governo.

I sondaggi e l’avanzata dei Democratici svedesi

La destra radicale è rappresentata qui dai Democratici svedesi e ha il volto di Jimmie Åkesson, il leader non ancora 40enne che ne ha preso la guida nel 2005, sfrondando il partito – con radici neonaziste – dagli elementi più estremisti e garantendogli nel 2010 l’ingresso in Parlamento (e nel 2014 quasi il 13%). Oggi la maggior parte dei sondaggi accredita Sverigedemokraterna (Sd) di percentuali tra il 18 e il 20%, alle spalle di un Partito socialdemocratico fortemente ridimensionato (attorno al 25%, ai suoi minimi storici) e davanti ai Moderati (17%). Ma Sd, cavalcando un tema anche qui caldissimo come la crisi migratoria, potrebbe fare anche meglio: l’ultimo sondaggio di YouGov, controverso per il campione utilizzato, gli assegna addirittura il primo posto con il 24,8% dei consensi.
I SONDAGGI
Intenzioni di voto, in % degli aventi diritto (Fonte: Demoskop)

«Il problema è che i Democratici svedesi, come già nel 2014, sono sottorappresentati in alcuni sondaggi», spiega Ann-Cathrine Jungar, professore alla Södertörn University di Stoccolma e studiosa della destra radicale in Europa. In ogni caso - continua - «il panorama politico è cambiato. Non ci sono più solo due grandi partiti, i socialdemocratici e i conservatori, ce n’è un terzo che otterrà un po’ di più o di meno del 20%: e questo è un cambiamento drastico, che impatterà più di prima sulla formazione del governo».

Immigrazione e criminalità temi chiave della campagna elettorale
Il vero punto di forza di Åkesson e dei suoi è stato imporre l’agenda politica, o almeno i temi della campagna elettorale, dominata dal dibattito su immigrazione e criminalità, mentre è rimasto più sullo sfondo l’altro cavallo di battaglia di Sd: la possibile uscita di Stoccolma dalla Ue tramite referendum, già ribattezzata Svexit. A dargli una mano ha contribuito la cronaca, che ha visto negli ultimi mesi un’esplosione di episodi di violenza urbana: sparatorie, attacchi con granate, auto incendiate; in particolare nelle periferie ad alta concentrazione di immigrati dei centri più grossi, come Stoccolma, Malmö e soprattutto Göteborg, dove nella settimana di Ferragosto sono stati denunciati un centinaio di incendi di auto ad opera di gang di giovani mascherati.

L'ALLARME CRIMINALITA'
Numero di reati denunciati. Dati in migliaia (Fonte: Istituto nazionale di statistica)

«Negli anni seguiti all’ingresso in Parlamento di Sd - nota ancora Ann-Cathrin Jungar - gli altri partiti erano riluttanti a parlare dell’immigrazione e di ciò che accadeva in alcuni quartieri, perché c’era una sorta di percezione che questo avrebbe avvantaggiato i Democratici svedesi. Una svolta è stata la crisi dei rifugiati del 2015 (anno in cui la Svezia ricevette quasi 163mila richieste di asilo, ndr). Da allora sono emerse posizioni critiche sull’integrazione anche nei partiti principali, il governo ha introdotto controlli alla frontiera e i permessi residenziali da permanenti sono diventati temporanei. In definitiva, gli altri partiti hanno cominciato a parlare degli stessi temi di Sd e questo, senza impedire la crescita elettorale dei Democratici svedesi, ne ha legittimato la posizione».


LA CRISI DEI RIFUGIATI
Numero di richiedenti asilo. Dati in migliaia (Fonte: Istituto nazionale dei statistica)


Welfare sotto stress: un modello in crisi?
Parte rilevante della strategia vincente di Sd è, poi, secondo Jungar «dipingere l'immagine di una società in dissoluzione, con i suoi valori e i suoi modelli», a cominciare dal tanto decantato sistema di Welfare, per effetto di un’immigrazione che diventa «unica spiegazione di tutti i problemi della Svezia». Un manifesto elettorale del 2010, targato Sd, raffigurava un’anziana che, mentre si dirigeva verso un'insegna che prospettava aumenti della pensione, veniva accerchiata da donne in niqab che spingevano passeggini.
IL FLUSSO DI IMMIGRATI
Ingressi annui. Dati in migliaia


Il generoso ma dispendioso sistema di Welfare svedese vive in effetti una fase di difficoltà e tensioni, soprattutto in settori chiave come la scuola e la sanità, altri temi caldi del dibattito pre-elettorale. Sia il governo di centrosinistra che i Moderati, principale partito di opposizione, hanno pianificato per i prossimi quattro anni spese aggiuntive per 20 miliardi di corone (oltre 2 miliardi di euro) da destinare al Welfare, ma molti svedesi pensano che il sistema sia in crisi. Convinzione suffragata dalle lunghe liste di attesa in ambito sanitario o dalle cattive performance in ambito scolastico degli studenti svedesi nel confronto internazionale. Problemi che hanno anche molto a che fare con l’invecchiamento della popolazione o la mancanza di personale, ma vengono messi facilmente in relazione con l’immigrazione e i benefit concessi ai rifugiati.

Sono inoltre innegabili alcuni problemi di integrazione dell'ultima ondata di immigrati, come rivelano anche le statistiche sul lavoro, che mostrano un netto gap tra nativi svedesi e stranieri.


IL GAP OCCUPAZIONALE
Tasso di disoccupazione, in % della popolazione tra i 15 e i 74 anni (Fonte: Istituto nazionale di statistica)

Ma il sistema è davvero in crisi? «Non credo che si possa parlare di crisi - osserva ancora Ann-Cathrin Jungar -. Naturalmente il 2015 ha prodotto uno shock, il sistema è sottoposto a stress ma non si è sgretolato: questa è un'immagine che Sd vuole veicolare. La Svezia è un Paese di immigrazione, il nostro Welfare e le nostre industrie ne hanno storicamente beneficiato; naturalmente oggi ci sono questioni importanti relative a integrazione più rapida, accesso al mercato del lavoro, formazione linguistica, ma d'altro canto in alcuni centri più piccoli i rifugiati hanno anche contribuito alla sopravvivenza di scuole e negozi. Il quadro è dunque misto e più complesso. E lo stesso si può dire delle statistiche sul crimine: è più una questione culturale o sociale?»

Economia assente nella campagna elettorale

Grande assente nel dibattito politico è stato uno dei temi più tradizionali delle campagne, l’economia, che sembra godere, peraltro, di ottima salute. Il Paese è uscito meglio e più rapidamente di altri in Europa dalla crisi: il Pil registra da anni una crescita stabilmente sopra il 2%, i conti pubblici sono perfettamente in ordine, con il debito attorno al 40% del Pil; anche la disoccupazione scende.


CRESCITA SOSTENUTA
Var.% del Pil sul trimestre corrispondente dell'anno precedente (Fonte: Istituto nazionale di statistica)

Le uniche incertezze riguardano il surriscaldamento del settore immobiliare e le tensioni sulla corona, che in un anno ha perso circa il 10% sull’euro. E a pesare sulla valuta, oltre a fattori di natura squisitamente economico-finanziaria o monetaria, sono anche le incertezze politiche del dopo voto.


LE TENSIONI SULLA VALUTA
Corone svedesi per euro

Gli scenari post-voto: governo difficile
Dalle urne la Svezia uscirà con prospettive incerte. Se destra e sinistra manterranno il “cordone sanitario” che finora ha tenuto fuori dalla stanza dei bottoni i Democratici svedesi, l'unica opzione appare un fragile governo di minoranza: o una riedizione di quello attuale, guidato dai Socialdemocratici di Löfven e dai Verdi (eventualmente allargato alla Sinistra),oppure un esecutivo guidato dall'Alleanza di centrodestra. Entrambe le coalizioni viaggiano appena sopra o sotto il 40%. E i Democratici svedesi - anche se manterranno la loro vocazione di partito anti-sistema e non seguiranno le orme di altri movimenti nordici, che hanno finito per sostenere governi di centrodestra - sempre più appaiono destinati al ruolo di kingmaker, capace di influenzare scelte politiche chiave per il Paese.



Nelle urne in Svezia il rischio dell'onda anti-migranti
Redazione ANSA
(di Lorenzo Amuso)
2018/09/08

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/e ... 18b0f.html


STOCCOLMA - L'accoglienza di migranti e rifugiati è sempre stato un elemento identitario della cultura svedese. Ma l'ascesa degli Svedesi Democratici (SD), un formazione populista di destra radicale, dichiaratamente anti-immigrati, è il sintomo del diffuso malcontento che cova nel paese scandinavo. La campagna elettorale, che ha preceduto il voto di domenica per il rinnovo del Parlamento, è ruotata invariabilmente su come frenare l'arrivo di nuovi stranieri. Solo nel 2015 erano stati accolti più di 160mila nuovi migranti, un'enormità per un paese di 10 milioni di abitanti. Le limitazioni degli anni successivi non hanno evidentemente saputo arginare un sentimento diffuso di crescente esasperazione.
Sfruttato politicamente dagli Svedesi Democratici, che denunciano - con toni spesso violenti - i problemi dell'integrazione, tra segregazione residenziale e gang criminali. "Stiamo vivendo grandi difficoltà a causa dell'immigrazione, e vogliamo limitare i nuovi arrivi, come d'altronde chiediamo da tempo - ha spiegato all'ANSA Tobias, Andersson, 22enne candidato al Riksdag -. Ora però vediamo che altri partiti hanno adottato le nostre stesse politiche. Ma sono sicuro che gli svedesi preferiscano l'originale a brutte copie".
Secondo gli ultimi sondaggi uno svedese su 5 voterà gli Svedesi Democratici, destinati a diventare la seconda forza del paese.
Ma nonostante l'atteso exploit, difficilmente andranno al governo: per via delle loro passate contiguità con movimenti neo-nazisti, nessun partito sembra disponibile ad alleanze. Attorno al partito guidato dal giovane leader Jimmie Akesson è stato innalzato un "cordone sanitario", che però non sembra aver impedito agli SD di raddoppiare i consensi nel giro di quattro anni. "Al contrario è stato un bene per gli Svedesi Democratici, perché ha contribuito a renderli ancor più popolari - l'analisi del politologo Hans-Ivar Sward -. La peggior cosa che può capitare in politica è venire ignorati. Meglio essere odiati". I comizi degli SD sono spesso accompagnati dalle manifestazioni di protesta di chi li considera dei fascisti xenofobi. "Ci accusano di razzismo, ma alla fine il governo è stato costretto a fare quello che noi proponevamo già tre anni", aggiunge Andersson, alludendo alla stretta sull'immigrazione dell'ultimo triennio. Le unanime previsioni alla vigilia del voto confermano l'arretramento dei partiti tradizionali, con i due blocchi di centro-destra e centro-sinistra appaiati ma lontani dalla maggioranza. Si preannuncia un governo di minoranza, ma senza la base parlamentare per fare le riforme di cui il paese necessita: dalla modernizzazione del sistema sanitario nazionale alle politiche sulla casa. Fino a politiche migratorie. "La domanda non è più come possono gli stranieri per far parte della nostra società, o cosa dobbiamo fare noi per favorire l'integrazione", è l'allarme di Daniel Poohl, direttore della onlus Expo che si occupa di migrazioni: "C'è gente che è contro gli immigrati, contro l'idea stessa di società multiculturale". Quella promossa e difesa dai socialdemocratici del Primo ministro Stefan Lofven, destinati al peggior risultato di sempre.
Mai così incerta e polarizzata, la Svezia vota rivelando una crisi d'identità profonda quanto inaspettata. Perché la crescita economica prosegue stabile e il tasso d'occupazione è fermo al 6%, a conferma di un sistema fino ad oggi capace di assorbire più migranti di tutti in Europa (in percentuale). "Purtroppo l'aria è cambiata e temo che possa degenerare", dice preoccupato Babak Sadighi, un imprenditore iraniano fuggito durante la guerra con l'Iraq. A Stoccolma ormai da più di 35 anni, sposato con una svedese, è un esempio di successo di quella Svezia "superpotenza umanitaria". "Ma continuo a credere che oggi sia più facile per gli stranieri. Quando sono arrivato io non c'erano tanti immigrati, men che meno di successo. Oggi esistono tanti modelli di riferimento, la società è comunque più aperta".



Elezioni Svezia, come nasce l'onda anti immigrati.
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/ ... b645a.html

L'analisi del giornalista svedese Grankvist Il tema dei migranti al centro delle elezioni in Svezia. Ci ha spiegato quali sono le origini della crescita della destra anti immigrati Per Grankvist, giornalista politico svedese.



Elezioni in Svezia, primi risultati: avanzata sovranista e socialdemocratici al 25% Intimidazioni naziste in alcuni seggi
Claudio Del Frate

https://www.corriere.it/esteri/18_sette ... 528b.shtml

Avanzata del partito anti immigrati e anti Ue (ma che resta sotto il 20%), blocco di centrosinistra (socialdemocratici e verdi) che conquista complessivamente il 40,1%, calo dei socialdemocratici (al 28%, il peggior risultato di sempre) che comunque restano la prima forza politica del Paese. Il centrosinistra ( blocco di governo uscente) si ritrova in un serrato testa a testa con l’Alleanza di centrodestra. E’ questo il responso uscito dalle elezioni politiche in Svezia dove era attesa un’altra ondata di consensi a favore di movimenti sovranisti e di destra. I rilievi sugli elettori all’uscita dei seggi avevano subito segnalano per gli anti Ue una «forchetta» di consensi tra il 16 e il 19%, contro il 13% ottenuto alle consultazioni di quattro anni fa. Non si sarebbe tratteto comunque di uno «sfondamento».

I dati reali

In serata hanno cominciato ad affluire i dati relativi allo spoglio delle schede, dunque percentuali reali e non più frutto di sondaggi. A scrutinio a un passo dalla chiusura (oltre il 98% ) i socialdemocratici sono in testa con il 28,4% (-3%); la seconda piazza va ai conservatori (19,8%) e i sovranisti di Svezia Democratica (17,6%); a seguire i centristi con il 9.

Esito incerto

I seggi si erano chiusi alle 20, i sondaggi pronosticavano una avanzata della formazione sovranista e anti immigrati «Svezia democratica» guidata dalla figura emergente nel panorama politico del paese scandinavo, Jimmie Akersson; gli stessi sondaggi indicano comunque che il partito socialdemocratico avrebbe mantenuto la maggioranza relativa. Il rebus riguarda ora la possibilità di comporre una maggioranza parlamentare in grado di governare il Paese: sotto questo punto di vista l’incertezza è assoluta, dalle urne è uscita tanto la possibilità di una sorte di Grosse Koalition dei partiti tradizionali e filo europei, oppure una decisa svolta a destra della Svezia dalla quale scaturirebbe un’alleanza tra i conservatori e i sovranisti anti Ue.

Akesson: «Avremo grande peso»

«Aumentiamo i nostri seggi in Parlamento e vediamo che otterremo un’enorme influenza su ciò che accadrà in Svezia nelle prossime settimane, nei prossimi mesi e anni». Così il leader di Svezia Democratica, Jimmie Akesson, partito nazionalista, populista e anti-immigrati, secondo quanto riporta `The Guardian´. Akesson ha aggiunto di essere pronto a parlare e cooperare con tutti gli altri partiti dopo i risultati delle elezioni legislative in Svezia, che hanno visto SD attestarsi al 17,7%. Poi ha detto al leader del centrodrestra, Ulf Kristersson, di scegliere se appoggiare il suo partito o i socialdemocratici.
Intimidazioni ai seggi

Nel pomeriggio, a seggi aperti, sono stati denunciati gravi atti di intimidazione compiuti da esponenti di formazioni filo naziste. Il quotidiano Svenska Dagbladet ha riferito che membri del Movimento di resistenza nordica hanno fatto irruzione in diversi seggi e hanno cercato di fotografare elettori, schede elettorali e giornalisti i presenti. I blitz, segnalati nelle località di Boden, Ludvika e Kungalv, hanno causato forte apprensione tra gli elettori.





Francesco Birardi
Bollare la destra che si oppone all'invasione islamica come "estrema", "ultra", "xenofoba", "neofascista", "neonazista", "razzista", ecc. è il tentativo di infamare chiunque non si adegui ai dettami del pensiero unico politicamente corretto, spingendolo a vergognarsi anche solo di pensare cose del genere... E purtroppo la cosa funziona.... a questo infatti serve avere il monopolio dell'informazione, della scuola e dei media.... la fabbrica dell'opinione pubblica.




Elezioni in Svezia, l'ascesa dell'ex partito neonazi contro l'immigrazione. Per la sinistra consensi così bassi solo nel 1908
di Eleonora Bianchini | 8 settembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... 08/4605827

I socialdemocratici al potere si preparano al peggiore risultato dal 1908. I Democratici svedesi (così si chiama la formazione di destra), che nel 2014 si fermavano al 12,8 oggi sono al 20. L'aumento dei consensi del partito, che il suo leader Jimmie Åkessonha ripulito dall'immagine nazista, è scattato nel 2015, con l'arrivo di 160mila richiedenti asilo. E, nello scenario più plausibile, sarà lui l'ago della bilancia del prossimo governo

Sicurezza. Lotta alla criminalità. Welfare da non spartire con gli stranieri. Freno all’arrivo dei migranti. Tutti temi centrali per Viktor Orban in Ungheria, Matteo Salvini in Italia e Marine Le Pen in Francia, per fare qualche esempio in Europa. E che oggi sono in cima all’agenda anche nella civilissima Svezia, da anni considerata modello per l’integrazione e l’accoglienza di chi svedese non è. Stoccolma va al voto il 9 settembre: i consensi dei socialdemocratici che da decenni hanno le redini del potere si sono erosi dal 2014. Se allora il partito del premier Stefan Löfven – che guida la coalizione di governo insieme ai Verdi – era al 31, oggi si ferma al 24. Il più basso dal 1908. Dopo di loro ci sono i Moderati (conservatori) di Ulf Kristerssson, quattro anni fa al 23,3 e oggi al 19.

Quelli cresciuti di più, invece, sono i Democratici svedesi (Sd). Di democratico oggi c’è il nome, perché la base di ieri era neonazista. Se nel 2014 si fermavano al 12,8 oggi i sondaggi li danno al 20, alcuni anche al 23. Il loro leader Jimmie Åkesson, che con queste elezioni si candida per la quarta volta alle politiche, dal 2012 ha introdotto la “tolleranza zero” nei confronti delle frange neonazi del suo partito, che ha eliminato. Anche se c’è chi crede sia stata solo una profonda operazione di restyling e posizionamento. Le origini del partito, ricorda The Local, “affondavano nel movimento fascista Bevara Sverige svenskt (“Manteniamo la Svezia svedese”)” ma negli ultimi anni ha “preso le distanze dai gruppi razzisti attivi negli anni ’90”. Per Åkesson, che ha definito l’ideologia nazista “razzista, imperialista e violenta”, è chiaro che solo chi è democratico può entrare in Sd. Favorevole all’uscita dall’Unione europea e contro il diritto di asilo, nel 2009, in un editoriale sul quotidiano Aftonbladet ha parlato dei i musulmani come della “più grande minaccia dall’estero dopo la seconda guerra mondiale”. Motivi per cui il presidente francese Macron non considera il leader di Sd “conforme ai nostri valori” e per nostri intende europei.

L’ascesa dei populisti di Åkesson è iniziata nel 2015, quando nel paese sono arrivati oltre 160mila richiedenti asilo

Il nodo immigrazione – Ma quanto pesano realmente i crimini compiuti dagli stranieri sulla popolazione? L’agenzia del Ministero della Giustizia che si occupa di criminalità (Swedish National Council for Crime Prevention) conferma di non avere statistiche basate sulla nazionalità perché nel corso degli anni sono state considerate discriminatorie. L’ultima risale al 2005. “Le uniche statistiche che si occupano di criminalità e distinguono la provenienza sono quelle dei detenuti”, spiega a ilfattoquotidiano.it Henrik Tham, docente del dipartimento di Criminologia dell’Università di Stoccolma. E da allora a oggi la situazione immigrazione in Svezia è cambiata radicalmente. Il 17% della popolazione – 9,9 milioni, dei quali 7,3 andranno al voto – sono stranieri. L’ascesa dei populisti di Åkesson è iniziata nel 2015, quando nel paese sono arrivati oltre 160mila richiedenti asilo. Oggi in Svezia su mille abitanti 23,4 sono rifugiati. Per dare un’idea, in Germania sono 8,1 e in Italia 2,4. “La Svezia, in proporzione alla popolazione, ha accolto più richiedenti asilo di ogni altro Paese europeo negli ultimi anni. Quando tutti gli altri hanno chiuso le frontiere – continua Tham – i rifugiati sono venuti in Svezia che, alla fine ha deciso di chiudere le frontiere”.

I numeri dell’immigrazione si sentono soprattutto nelle periferie delle città, dove discriminazione, reati e lotte tra i clan sono in aumento. In un paese dove, ha ricordato Die Zeit, ci sono 61 “zone fragili”, ovvero “aree in cui circa 500mila immigrati vivono per lo più isolati dal resto della popolazione”, i socialisti perdono consensi soprattutto tra la classe operaia, perché non hanno saputo dare risposte efficaci ai loro elettori a fronte delle difficoltà di gestione dell’immigrazione. L’arrivo dei rifugiati ha creato difficoltà anche all’interno del sistema scolastico – tanti dei migranti arrivati erano minori non accompagnati – e accentuato problemi già esistenti, come la mancanza di personale ospedaliero e di soluzioni abitative. E secondo il politologo dell’Università di Stoccolma Andreas Johansson Heinö, l’aumento dei consensi nei confronti dell’Sd è dovuta alla sfiducia nei partiti tradizionali e al desiderio di un “cambio di rotta”. “Immigrazione e criminalità vanno sempre assieme nella propaganda di Sd – continua Tham -. A loro interessa di più sottolineare che stupri e molestie sessuali siano collegati ai richiedenti asilo anziché puntare a ridurre reati e criminalità di cui sono responsabili gli svedesi“. La conseguenza è che “generalmente le persone credono che la criminalità sia più diffusa di quanto lo sia in realtà”. È vero che le denunce sono aumentate negli ultimi anni, specifica Tham, “ma questo è dovuto in gran parte a frodi online“.

I socialisti perdono consensi soprattutto tra la classe operaia

Lo scenario post voto – A sfidarsi alle elezioni sono essenzialmente due alleanze: quella rosso-verde attualmente in carica e quella di centro-destra guidata dai Moderati. Nessuno dei due blocchi include i Democratici Svedesi – da cui tutte le formazioni politiche finora hanno preso le distanze – che però possono diventare l’ago della bilancia (e secondo partito) perché nessuno dei due blocchi raggiungerà la maggioranza parlamentare. Lo scenario più quotato è la vittoria dell’alleanza di centro-destra, verso la quale Sd potrà astenersi. Nel sistema svedese, infatti, un governo di minoranza può rimanere in carica fino a quando non sorga una maggioranza tra i partiti opposizione, quindi un voto di astensione è considerato di sostegno passivo e non contrario. Al contrario, Sd voterebbe contro l’alleanza di centrosinistra, facendo decadere così l’ipotesi di un nuovo governo a guida socialdemocratica. E in cambio del loro appoggio al centrodestra i Democratici svedesi, che formalmente rimarranno fuori dai negoziati dei partiti, chiederanno regole più stringenti sull’immigrazione.



Svezia senza una maggioranza. L'estrema destra anti migranti sfiora il 18%
Sergio Rame - Dom, 09/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sve ... 73739.html

Socialdemocratici primi ma è il peggior risultato da un secolo. Avanza ancora la destra estrema di Akesson: "Svezia democratica" incassa il 17,7% ed è testa a testa con il centrodestra

I socialdemocratici ai minimi storici restano il primo partito, l'estrema destra avanza ma non sfonda, crescono i piccoli partiti: è questo il quadro che emerge dalle elezioni in Svezia.

Il partito del premier Stefan Lofven avrebbero ottenuto il peggiore dato dal 1908, ma in grado comunque di garantirgli la permanenza alla guida del governo. Non c'è però stato l'exploit della destra sovranista, euroscettica e anti immigrati: gli "Svedesi democratici" non sfondano e si fermano al 17,7% mentre guadagnano consensi gli ex comunisti di Sinistra che arriverebbero al 8,1%, raddoppiando quasi i propri voti.

Il 38% degli svedesi ha deciso solo all'ultimo per chi votare. Addirittura il 41% ha detto di aver cambiato partito dalle ultime elezioni nel 2014. In molti hanno così deciso di voltare le spalle ai socialdemocratici perché, malgrado una crescita economica stabile e un tasso di disoccupazione sotto il 6%, l'emergenza immigrazione, l'alto tasso di criminalità e e il crescere dell'insicurezza ha pesato e non poco. Da settimane gli occhi dei media internazionali erano, infatti, puntati sulle elezioni legislative svedesi. A interessare analisti e opinionisti è il risultato del partito di estrema destra "Svedesi democratici", cartina da tornasole del malessere di una Unione europea fiaccata dalle divisioni interne e dall'incapacità di gestire l'emergenza sbarchi nel Mar Mediterraneo. Prendendo tra il 16,3% e il 19,2%, il partito anti immigrazione di Jimmie Akesson ha incassato un risultato rilevante ma di gran lunga sotto i pronostici che lo davano intorno al 25%. Resta, comunque, un significativo balzo in avanti se si considera che alle precedenti elezioni gli "Svedesi democratici" avevano ottenuto il 12,9% delle preferenze. A premiare Akesson è stata una campagna elettorale quasi interamente "giocata" sull'immigrazione dopo l'ondata dei 400mila rifugiati accolti dal 2012

A vincere questa tornata elettorale sono, ancora una volta, i socialdemocratici che portano a casa tra il 28,1% dei consensi. Con circa 5 punti percentuali in meno rispetto a quattro anni fa, segnano però il loro peggior risultato da un secolo. A livello di coalizione, i socialdemocratici e gli alleati, Verdi e Sinistra, sarebbero attorno al 39,4% contro il 39,4%, della coalizione di centrodestra guidata dai Moderati. Di certo queste elezioni lasciano in una grande incertezza il Paese scandinavo che proprio i socialdemocratici hanno forgiato in un simbolo di accoglienza e generoso welfare. A livello di coalizione, il partito di governo e i suoi due alleati, Verdi e Sinistra, sarebbero attorno al 40,6% contro il 40,2%, della coalizione di centro-destra guidata dai Moderati. Insomma, non c'è una maggioranza, e quindi o si arriva a un governissimo dei filo-europei o qualcuno dovrà dialogare con la destra radicale malgrado la conventio ad excludendum professata alla vigilia del voto.



Svezia, anche gli immigrati votano l'ultradestra
Renato Zuccheri - Mar, 11/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sve ... 74515.html

Secondo le statistiche ufficiali, più dell'11% dei nati all'estero sostiene il partito Svezia Democratica
In Svezia la destra radicale cresce e i dati del partito Svezia Democratica sono chiari.

Il 17% ottenuto dal movimento di Jimmie Akesson è eloquente: pur senza sfondare oltre il 20% dei consensi, l'estrema destra ha praticamente quadruplicato i consensi. Un aumento di voto che, nella maggior parte dei casi, è stato dovuto al tema dell'immigrazione, particolarmente sentito in una Svezia che sembra si sia bruscamente risvegliata dal sogno di Stoccolma di un Paese melting pot.

Ma se si pensa che il discorso di Akesson abbia avuto un tono esclusivamente razzista, si commette un errore. Perché, come spiega il quotidiano spagnolo El Confidencial, tra i sostenitori del partito di destra ci sono anche gli stessi immigrati. Se infatti molti sono preoccupati dall'ascesa del partito e temono che il Paese non sia più adatto a loro, ci sono altri stranieri, in Svezia, che non la pensano così. Come è avvenuto ad esempio a Rinkeby, uno dei sobborghi periferici di Stoccolma. Quartiere che, come ricordava L'Espresso, ha il 95% di residenti costituito da immigrati di prima o seconda generazione.

In questo distretto di Stoccolma, i dati delle elezioni del 2014 parlavano di un 3% della popolazione che aveva votato l'estrema destra. Tuttavia, secondo un recente studio dell'ufficio di statistica nazionale, sembra che addirittura l'11,3% dei nati all'estero sosterrebbe la formazione di estrema destra. Una notizia che sembra contraddire radicalmente l'immagine data dai media del partito svedese, ma che in realtà mostra un'altra faccia della medaglia del tema dell'immigrazione.

Secondo molti analisti, il motivo di questa ascesa dell'estrema destra fra gli immigrati di prima e seconda generazioni dei ghetti di Stoccolma è dovuta al fatto che questi quartieri diventa ogni giorno più invivibili. Come ha spiegato Mattias Karlsson, uno dei leader di Sd, "sono le loro macchine a bruciare, le scuole dei loro figli che si trasformano in caos".

A temere per la loro incolumità sono soprattutto i cristiani mediorientali che si sono trasferiti negli anni nelle periferie delle città svedesi. L'arrivo di nuovi immigrati, generalmente di fede musulmana, sta infatti creando un certo malcontento nella popolazione, che teme di essere di nuovo nel mirino dei gruppi estremisti. Ma ci sono anche altri immigrati che sono preoccupati proprio perché l'arrivo di nuove migliaia di persone sta devastando il modello svedese.

L'esempio più eclatante, ormai divenuto un simbolo degli immigrati contrarti ad altri immigrati, è Nima Gholam Ali Pour. Nato in Iran e arrivato in Svezia da bambino come rifugiato nel 1987, adesso è uno dei più ferrei sostenitori del blocco dell'arrivo di nuovi rifugiati. Anche lui, come altri, teme che l'arrivo di migliaia di immigrati possa rompere l'incantesimo della Svezia come patria scelta da molti nel corso degli anni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom set 09, 2018 7:51 pm

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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom set 09, 2018 7:57 pm

L'allarme di Geert Wilders: "Gli islamici arrivano per dominarci"
Renato Zuccheri - Dom, 09/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lal ... 73614.html

Il politico olandese, al forum di Cernobbio, parla di immigrazione, Europa e del suo fronte unico da Salvini a Le Pen

Geert Wilders, leader dell'ultradestra olandese, torna a far parlare di sé dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, dove ha incontrato anche il vicepremier Matteo Salvini.

Il politico olandese ha parlato al Corriere della Sera della sua idea di Europa. Un continente che, a suo dire, deve avere una "cultura dominante" in cui bisogna contrastare quella che Wilders definisce "l'islamizzazione". "Devi avere una cultura dominante. Sono contro la Ue e l’idea di uno stato sopranazionale che ci toglie l’identità. Il problema dell’islamizzazione è esistenziale. Quelli non vogliono integrarsi. Sono qui non per assimilarsi, ma per dominare e soggiogare. E guardi, la popolazione africana passerà da un miliardo e mezzo a più del doppio in questo secolo e almeno un terzo di loro vorrà venire in Europa".

Sfide importanti, in cui il politico olandese ritiene che i Paesi del continente debbano cooperare ma senza unirsi politicamente. È il progetto della sua Europa. "Io sono per cooperare, ma non in un’unione politica. Il mio partito ha sostenuto un governo di minoranza del premier attuale, Mark Rutte, per due anni. L’accordo era che avremmo avuto una politica migratoria più dura, ma quando Rutte è andato a Bruxelles non gliel'hanno permesso. Non abbiamo più le chiavi della porta di casa nostra".

Ed è un'idea che condivide con il premier ungherese Viktor Orban, attuale leader politico del gruppo di Visegrad e considerato il campione di tutti i movimenti euroscettici. E con le elezioni europee del 2019 alle porte, il fronte sovranista di tutto il continente cerca sinergie per mostrarsi compatto di fronte alla tornata elettorale che può decidere il destino dell'Unione europea e in cui l'immigrazione sarà un tema centrale del dibattito. "È una lotta per la sovranità, l’identità e contro l’immigrazione di massa. Alcuni di noi sono anti-Ue, altri sono critici dell’Europa. Ma tutti siamo per l’identità nazionale e contro l’islamizzazione", ha ribadito Wilders.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mer set 12, 2018 6:18 am

La Croazia scivola verso l'estrema destra
di Gigi Riva 28 agosto 2018

http://m.espresso.repubblica.it/plus/ar ... 0829104444

Il cantante urla nel microfono: «Za dom». E il pubblico in visibilio, tra uno sventolio di bandiere a scacchi bianco-rosse risponde: «Spremni!». È l’attacco di una canzone diventata quasi un inno, «per la patria, pronti!». Non poteva scegliere luogo più simbolico Marko Perkovic Thompson, 51 anni, per il concerto nell’anniversario dell’operazione “Oluja” (Tempesta) con cui nell’agosto 1995 i croati si ripresero la Krajina cacciando duecentomila serbi e trascinandosi il sospetto di aver commesso crimini di guerra.

Siamo a Glina, paese di poco meno di diecimila abitanti vicino al confine con la Bosnia, dove tra il maggio e l’agosto del 1941 durante il governo filonazista del “poglavnik” (la guida, il duce) Ante Pavelic, gli ustascia uccisero circa duemila serbi e una parte della mattanza fu compiuta dal comandante Mirko Puk all’interno della chiesa ortodossa.

Nella terra dove la storia è un eterno presente tornano i simboli di un passato nefasto. «Za dom, spremni!» è l’inizio di “Bojna Cavoglave” (Il battaglione di Cavoglave) dal nome del villaggio nell’entroterra di Sebenico dove Perkovic è nato. Ma è anche la parola d’ordine ustascia, bandita in epoca titina, riesplosa come simbolo identitario nella contemporaneità. Con qualche imbarazzo per il governo di destra e per la presidenta della Croazia Kolinda Grabar-Kitarovic (la ricorderete entusiasta tifosa sugli spalti russi durante le partite della sua rappresentativa al mondiale). Una commissione di esperti incaricata di vagliare se il motto debba essere messo all’indice è arrivata a una conclusione salomonica: in alcune circostanze sì, in altre no. Sulla scia di una tesi benevola per la quale risalirebbe a un’antica tradizione locale, una sorta di saluto dei tempi che furono. Insomma, tradizione.

Nessun dubbio sul significato che gli attribuiscono Marko Perkovic e le sue centinaia di migliaia di fan. Il cantante è più noto come Thompson per il nome del vecchio fucile mitragliatore con cui ha combattuto la guerra del 1991. Si dichiara “cattolico di rito romano”, autocertificazione neutra altrove ma significativa dove la religione è stata spesso usata a fini bellici, e anche a Glina si è presentato sul palco con un vistoso medaglione a croce.

I testi dei suoi brani sono così inequivocabili che i suoi concerti sono stati vietati in mezza Europa, dalla Germania all’Olanda, dall’Austria alla Slovenia, e persino in alcuni comuni istriani come Pola. E tuttavia è clamoroso il successo, in questa estate 2018, della sua tournée culminata con la presenza, il 16 luglio scorso, sul bus scoperto della squadra di calcio e poi sul palco della piazza Ban Jelacic a Zagabria dove è stato celebrato davanti, si calcola, a 700 mila spettatori, il secondo posto ai Mondiali di Mosca.

Lo hanno voluto gli stessi atleti, peraltro abituati a caricarsi nello spogliatoio ascoltando i suoi cd, per quella commistione tra sport, spettacolo, politica e guerra che alimenta il nazionalismo croato (e nel mese della competizione in Russia il ministro della Difesa Damir Krsticevic ha fatto mandare in onda in televisione un ossessivo spot per accomunare calciatori e soldati). Tanto più in un piccolo Paese di quattro milioni di abitanti, orgoglioso di un’indipendenza relativamente recente e desideroso di esibire le proprie eccellenze a dimostrazione di una supposta superiorità genetica.

Non a caso su quel palco sono stati invitati, naturalmente in divisa da calciatori, gli ufficiali del conflitto di 27 anni fa. Con la sincerità che si può permettere, un generale in pensione, Josip Stimac, uno degli eroi della secessione, non ha dovuto fare uno sforzo troppo impegnativo di memoria per enumerare: «Lunedì 16 luglio è stato il quarto giorno più importante nella storia della Croazia, dopo quelli dell’indipendenza nel 1991, dell’operazione Oluja nel 1995 e dell’assoluzione in appello del comandante Ante Gotovina, che era accusato di crimini di guerra, da parte del tribunale dell’Aja nel 2012».

Alimentato dal vento che soffia in tutto il continente, aiutato dal mito calcistico del Davide che abbatte Golia («Abbiamo sconfitto l’Argentina, la Russia e l’Inghilterra!»), il sovranismo torna con un vigore ancora più accentuato nel luogo dove riapparve, dopo una lunga parentesi internazionalista, per riproporre un modello che ha fatto scuola in Europa dove pure è attecchito.

Il grafico delle alterne fortune di “Thompson” è l’esatta misura del salire e scendere della febbre: molto popolare negli anni post-bellici, in ribasso tanto da dover ripiegare sul melodico e abbandonare il rock nazional-muscolare agli albori del nuovo Millennio (coinciso con le episodiche vittorie elettorali del centrosinistra), in auge come non mai ora che la destra, il partito Hdz, Unione democratica croata, del defunto padre della patria Franjo Tudjman si è ripresa il potere.

L’esuberante presidente Kolinda Grabar-Kitarovic, 50 anni, figlia di un salumiere di Fiume, è la perfetta incarnazione del revival sciovinista e del resto fin da ragazza dell’Hdz aveva sposato la causa. È sotto il suo mandato che stanno ricomparendo copiosi, mai del tutto sommersi, pensieri tesi a dilavare le macchie più indigeste di un passato non sempre limpido (eufemismo). Interpretazioni riduzioniste della Shoah, in particolare sul funzionamento del campo di sterminio di Jasenovac, compaiono sulla stampa e persino su accreditate riviste storiche. Mentre la stessa presidente nel corso di una visita in Argentina ha definito gli emigrati che là scapparono dopo il 1945 «persone in cerca di uno spazio di libertà in cui dare testimonianza del proprio patriottismo e sottolineare le legittime richieste di libertà per il popolo croato e la patria»: erano invece, quasi tutti dignitari e gerarchi ustascia.

Svolte energiche che hanno finito con l’alzare a livelli mai raggiunti negli ultimi anni la temperatura dello scontro con la Serbia e che hanno toccato il diapason proprio nei giorni delle commemorazioni per l’Operazione Oluja dell’agosto 1995. Il presidente di Belgrado, Aleksandar Vucic, in un discorso tenuto a Backa Palanka, in Vojvodina, ha definito l’operazione «un crimine di guerra di pulizia etnica che non può essere dimenticato, giustificato, né tantomeno celebrato». E ha poi rincarato: «Non ci sarà mai più un’altra Oluja per il fatto di essere serbi. Hitler voleva un mondo senza ebrei, i croati hanno voluto una Croazia senza serbi perché dal loro punto di vista minacciavano l’essenza della nazionalità croata». Kolinda Grabar-Kitarovic ha cercato, in risposta di abbassare i toni: «Ciò che ha detto Vucic non cambierà la storia e il presente. Non vedo come potremo mai metterci d’accordo sul passato, ciò nonostante dobbiamo lavorare per raggiungere l’obiettivo comune di una vita migliore per tutti».

Sarebbe auspicabile, ma la congiuntura non è favorevole. Nonostante il boom turistico di quest’estate, favorito dalla pubblicità indiretta causata dai successi sportivi (più 6 per cento di arrivi rispetto all’anno scorso), l’economia croata arranca. Come confermano i dati: disoccupazione al 12 per cento (la peggiore dopo Grecia e Spagna), salario medio 750 euro, molti giovani laureati costretti a cercare fortuna all’estero che depauperano il patrimonio di intelligenza. C

ifre che hanno generato sconforto e diffidenza diffusa nei confronti dell’Europa dopo le illusioni create dall’ingresso nell’Unione. Zagabria è stata l’ultima capitale accolta nel seno di Bruxelles il primo luglio 2013, cinque anni fa quando già, ad essere obiettivi, era in calo il consenso verso un’istituzione sotto attacco del populismo montante. Chiosa Tomislav Jakic, che fu consigliere per la politica estera di Stipe Mesic, presidente di centrosinistra fino al 2010: «Siamo entrati in Europa per dimenticarci subito dopo dei valori europei. Il vento nazionalista soffia forte e io non vedo al momento alcun leader di sinistra capace di contrastare questa tendenza, persino più acuta rispetto ai tempi di Tudjman. Il quale, bene o male, stava cercando una pacificazione di tipo franchista. La nuova classe al potere vorrebbe invece azzerare gli spazi di democrazia, cancellare l’opposizione». Una sconfortata confessione d’impotenza davanti a un sentimento collettivo di paura, benzina per la chiusura tribale. E che apparenta, di fatto se non di diritto, Zagabria ai vicini Paesi del gruppo di Visegrad ad esempio sul tema dei migranti, pure loro uno spauracchio per chi vuole difendere la “purezza etnica” ora che la rotta balcanica, chiusa sul lato Serbia-Ungheria, segue la linea occidentale della Bosnia per approdare in Croazia.

La sbornia collettiva del mondiale di calcio è stata il salutare momento di “circenses” che un popolo intero, in mezzo alle difficoltà, si aspettava per dimenticare, per condividere una festa collettiva. Il governo ne ha tratto dei benefici momentanei che potrebbero risultare effimeri ora che il settembre del ripensamento allontanerà le cicale e sarà di nuovo il tempo delle formiche.

Sul fatto che l’euforia di un consenso al potere tanto largo possa durare è molto scettico Ivan Srsen, giovane intellettuale ed editore: «Domani è un altro giorno e chi non ha lavoro - cioè tanti, troppi - si sveglierà con la testa pesante e il suo problema irrisolto. I ricchi restano ricchi e i poveri restano poveri, la forbice tra le due categorie si allarga sempre di più. È un problema non solo nostro ma di tutta la regione. Teniamoci i bei momenti sportivi che abbiamo vissuto, ma apriamo gli occhi davanti alla realtà. Senza nascondere le nostre magagne sotto il tappeto del calcio».


Alberto Pento
È la vita che reagisce alle ideologie e alle politiche di morte. È la naturale conseguenza, la logica reazione al razzismo globalista e internazicomunista che calpesta e nega i diritti (i valori e i doveri) umani e civili dei cittadini nativi o indigeni delle varie comunità etno-nazionali o paesi dell'Europa.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mer set 12, 2018 6:22 am

Sorpasso dell’estrema destra nella ex Germania est, allarme per Merkel
07 Settembre 2018
L'Afd vola nei sondaggi e diventa primo partito, superando la Cdu. E sulle connivenze con i neonazisti per i fatti di Chemnitz arriva anche l'inaspettata copertura dei servizi segreti

dalla nostra corrispondente TONIA MASTROBUONI

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... 22-S1.6-T1

BERLINO - È arrivato il temutissimo sorpasso: nella vecchia Germania est l'Afd è diventato il primo partito. Secondo un sondaggio Infratest-Dimap per la Welt, la destra populista raggiunge ormai il 27% dei consensi, contro il 23% della Cdu. La Linke, tradizionalmente forte perché 'nipotina' del vecchio partito socialista della Ddr, è al 18% e la Spd è solo quarta con il 15% dei consensi. Una batosta, per la forza politica...




La Germania ha un problema. Ed è l'islam, non il nazismo
Lorenza Formicola
04-09-2018

http://lanuovabq.it/it/la-germania-ha-u ... il-nazismo

Si fa un gran parlare di Germania, e a leggere gli editoriali pare che siano tornati i nazisti. La Germania ha sì un problema, ma non il nazismo di ritorno. Il problema è l'arrivo di un'immigrazione islamica che non si integra e fa impennare gli omicidi. E' contro questo nuovo disordine che i tedeschi protestano a Chemnitz, dopo l'ennesimo delitto.

La manifestazione di Chemnitz

Si fa un gran parlare ultimamente di Germania, e a leggere gli editoriali sulla stampa internazionale pare che siano tornati i nazisti. È questo il vero problema che i media hanno estrapolato dalle manifestazioni che si stanno susseguendo in casa Merkel. Per recuperare un resoconto più lucido ed equilibrato di quanto sta avvenendo nei confini tedeschi bisogna, invece, sfogliare il Financial Times.

Nella terza più grande città della Sassonia, a Chemnitz, da giorni, si susseguono manifestazioni e scontri. La goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno da tempo è stato l’omicidio di un trentacinquenne tedesco per mano di due immigrati musulmani richiedenti asilo. La morte dell’uomo identificato come Daniel H., avvenuta nel centro cittadino domenica scorsa, ha così divelto gli argini. E gli scontri si sono fatti subito talmente prepotenti da lasciare la polizia incapace di fermare la violenza dilagante. Tra l’insofferenza, la disillusione e il senso di abbandono della popolazione verso i politici locali e nazionali della CDU, criticati aspramente per la loro ipocrisia e le politiche su immigrazione e sicurezza, è viva l’istantanea di un Paese che se non è già in pieno clima da guerra civile, respira un’amara aria di tempesta.

Se, infatti, la stampa continua a ridurre i fatti a populismo, xenofobia e fake news, Chemnitz, è diventata nel frattempo il simbolo del malessere dell’intero Paese. E quando giovedì il primo ministro della Sassonia e stella nascente dell’Unione Cristiano Democratica (CDU) di Angela Merkel, Kretschmer, è andato proprio a Chemnitz per tenere un comizio e dimostrare attenzione ai problemi manifestati, sapeva di star entrando nella tana del leone, ma forse non aveva compreso quale fosse l’entità della situazione. È così che, completamente impreparato a fischi, grida e contestazioni in una città in ebollizione tra rabbia e dolore, ha dovuto lasciarla con la coda tra le gambe. “La Merkel parla di mantenere il diritto e l’ordine, ma la gente viene massacrata nelle strade. Se le cose continuano così, stiamo andando verso una guerra civile”, gridavano i manifestanti come ha fatto notare proprio il principale giornale economico-finanziario della City.

D’altronde le tensioni latenti sull’immigrazione, l’identità, la razza e la religione hanno intorbidito la Germania da quando la cancelliera ha inaugurato la politica delle porte aperte lasciando entrare oltre un milione di immigrati. I problemi che hanno iniziato a manifestarsi entro i confini nazionali hanno portato all’ascesa di Alternativa per la Germania (AfD), il partito di destra che ha guadagnato 92 seggi parlamentari nelle elezioni dell’anno scorso e che adesso, nonostante sia una forza politica nuova e giovane, è il più grande partito di opposizione al Bundestag. E le tensioni che le urne hanno manifestato per la prima volta lo scorso anno, adesso sono esplose al punto da trasformare una città in un campo di battaglia.

Mai come oggi infatti ci si domanda se la Germania ha davvero un problema con l’islam importato e se sarà capace di sopravvivergli. Quesiti che sono al centro delle proteste e del dibattito pubblico, ma non politico, come denuncia anche Politico. Che, allo stesso tempo, condanna l’incapacità del governo di tenere a bada l’estrema destra e i neo-nazisti e di non autocelebrarsi a dovere sull’età dell’oro che in realtà starebbe vivendo la Germania. “A chi dovrebbe essere consentito entrare?”, si chiedevano allo Spiegel, in copertina, la scorsa settimana. Mentre la copertina di questa settimana, dedicata alla Sassonia, lo stato teatro dell’omicidio e degli scontri, recita: “Quando la destra prende il potere”.

Thilo Sarrazin, ex funzionario della Bundesbank, ha scritto “Hostile Takeover” con l’intendo di interpretare il disagio della Germania per l'afflusso di rifugiati con una previsione di ciò che spetterà all’Europa. Nel descrivere l'islam come “un'ideologia della violenza mascherata da religione”, Sarrazin sostiene che se l'Europa non intraprenderà azioni tempestive per fermare la migrazione musulmana verso l'Ue, la società europea alla fine sarà annichilita fino alla distruzione. Il volume ha debuttato al numero uno della classifica dei bestseller tedeschi.

Sulle stesse frequenze ha deciso di sintonizzarsi anche Marco Wanderwitz, segretario di Stato del ministero dell'interno che in queste ore ha dichiarato, “per troppo tempo non abbiamo riconosciuto la dimensione del problema o non eravamo disposti a farlo”. Qualcuno potrebbe domandare dell'opportunità di sovrapporre sempre rifugiati e immigrati all'islam. Ebbene la Germania che oggi protesta, lamenta proprio l'incompatibilità con l'islam importato. Persino sulle pagine di Politico, nel commentare la cronaca di questi giorni, si sono resi conto che il problema è tutto là e hanno aperto il pezzo con una domanda per loro retorica, “può la Germania sopravvivere all'islam?” Per non parlare, poi, del legame con l'epidemia di violenze sessuali. E' ormai noto che i carnefici rivendicano l'opportunità dei loro gesti sostenendo che le “donne bianche e occidentali meritano di essere violentate”: è la visione islamica del mondo a parlare.

E sebbene i media continuino a decantare la sicurezza tedesca, l’impennata di crimini violenti perpetrati da rifugiati e le percentuali di stupri ed omicidi stanno sconvolgendo il Paese. Peculiarità di casa Merkel è, per esempio, la crisi di stupri. Il rapporto trimestrale, pubblicato il 16 gennaio dall'ufficio federale della polizia criminale tedesca (BKA), dimostra che i 'zuwanderer' (richiedenti asilo, rifugiati, immigrati clandestini) hanno commesso esattamente 3466 reati sessuali nei primi mesi del 2017, circa tredici al giorno. Ma per avere un quadro completo occorrerà aspettare il secondo trimestre del 2018. Nel frattempo quel che è certo è che nel 2016 i migranti hanno commesso 3404 reati sessuali; nel 2015, 1683; nel 2014, 949 reati sessuali e nel 2013, 599, circa due al giorno. A giugno, lo stupro e l'omicidio di una ragazza di 14 anni, presumibilmente per mano di un richiedente asilo iracheno, hanno fatto infuriare la nazione. Detto ciò, il direttore della Criminal Police Association (Bund Deutscher Kriminalbeamter, BDK), Andrè Schulz, stima che addirittura fino al 90% dei reati sessuali commessi in Germania non compaiono nelle statistiche ufficiali. “Esiste un rigido ordine da parte delle autorità di non denunciare i crimini commessi dai rifugiati”, ha detto alla Bild un alto funzionario della polizia di Francoforte.

A gennaio è stato pubblicato un importante studio che ha rappresentato uno dei primi tentativi di misurare l'effetto che l'ondata di rifugiati del 2015 e del 2016 in Germania e il reale aumento, o meno, di crimini violenti. Condotto da Christian Pfeiffer, Dirk Baier e Soeren Kliem dell'Università di Scienze Applicate di Zurigo, lo studio commissionato dal governo utilizza materiale proveniente dal quarto stato più popoloso della Germania, la Bassa Sassonia.

I ricercatori hanno richiesto dati che riguardavano specificamente i richiedenti asilo che erano arrivati nel 2015 e 2016. La polizia di Stato - in linea con il tabù del “non denunciare” - non aveva pubblicato tali statistiche, e si è scoperto allora per la prima volta che i richiedenti asilo avevano invertito la tendenza alla diminuzione di crimini violenti in Bassa Sassonia. E mentre era stata segnalata una diminuzione del 21,9% tra il 2007 e il 2014, le percentuali si sono ribaltate nel 2016 con un incremento di “violenza” del 10,4%. Lo studio ha rivelato che il 92,1% dei casi era da attribuire “ai nuovi arrivati”. Tra il 2014 e il 2016, la percentuale di reati violenti risolti e attribuiti ai richiedenti asilo è aumentata al 13,3% dal 4,3% - una quota sproporzionatamente alta rispetto alla popolazione straniera dello stato.

E se il governo tedesco avesse ammesso questa cruda realtà, fa notare Bloomberg, “la punizione politica della Merkel per la sua generosità verso i rifugiati avrebbe potuto essere più dura e l'AfD avrebbe potuto fare ancora meglio”. Le agenzie governative tedesche non erano attrezzate a far fronte a un simile afflusso di richiedenti asilo e la società tedesca ne sta oggi pagando il prezzo. L'anno scorso i rifugiati erano sospettati di circa il 15% degli omicidi in Germania, secondo le statistiche ufficiali, e ciò sebbene rappresentino solo il 2% della popolazione.

Molti dei sospettati, tra cui l'iracheno accusato di aver pugnalato la vittima di Chemnitz e il terrorista dei mercatini di Natale di Berlino nel 2016, godono di uno status di immigrati classificato come duldung, o "tollerato". Ciò significa che, nonostante le domande di asilo vengano negate, il governo permette di rimanere in Germania. Sarebbero oggi circa 170.000 gli immigranti duldung in Germania. Altre 350.000 persone risiedono nel paese senza alcuno stato di immigrazione ufficiale e molti di loro sono in attesa di una sentenza su una domanda di asilo.

I critici affermano che la presenza di così tanti immigrati senza il diritto di rimanere nel paese dimostra che il sistema di asilo tedesco sia una messainscena. E come se non bastasse il giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung ha rivelato uno studio secondo il quale su oltre 280mila immigrati partecipanti ad un “corso di integrazione” promosso nel 2017 in Germania, il 52% non ha superato i requisiti minimi di conoscenza della lingua, cultura e valori tedeschi. E, allora, è vero o no che la Germania ha un problema con l’immigrazione islamica?



Merkel superata a destra. AfD primo partito all'Est (con schiaffo degli 007)
Daniel Mosseri - Sab, 08/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 73116.html

Populisti avanti nell'ex Ddr. Chemnitz, smentita la Cancelliera: "Nessuna caccia allo straniero"

Berlino È solo un sondaggio ma a Berlino fa molta paura: con il 27% delle intenzioni di voto, Alternative für Deutschlad (AfD) è il primo partito nei Länder dell'ex Germania Est.

La formazione anti-immigrati ed euroscettica supera di 4 punti il partito cristiano democratico (Cdu) di Angela Merkel. Speculare, benché meno inaspettata, la situazione sul fianco sinistro dello schieramento politico: la sinistra social-comunista (Die Linke) naviga al 18% contro il 15% dei socialdemocratici. Su scala nazionale il sondaggio è meno drammatico ma comunque punitivo per la große Koalition al potere dal 2013: la Cdu si confermerebbe primo partito con il 29% dei voti, seguita dalla Spd a quota 18%. I pilastri del potere di Angela Merkel, in altre parole, si stanno sgretolando a conferma di un trend affermatosi di prepotenza alle elezioni legislative di un anno fa. Il grande abbraccio fra centrodestra e centrosinistra non convince più i tedeschi, pronti a lasciare il primo a favore di AfD indicata come il terzo partito tedesco con il 16% dei consensi e il secondo a favore dei Verdi, (14%).

Neppure la Germania del lavoro per (quasi) tutti e di uno stato generoso per prestazioni sociali sfugge dunque alla montata di formazioni politiche contrarie all'immigrazione anche Die Linke sta aggiustando il tiro in questo senso e all'integrazione europea. La legislatura è iniziata da poco e in teoria Angela Merkel e i suoi alleati di centrosinistra hanno ancora tre anni abbondanti per riconquistare il consenso in libera uscita. Le elezioni per i Parlamenti dei Länder lavorano però nella direzione contraria: a ottobre si vota in Baviera, dove i cristiano sociali alleati della cancelleria saranno obbligati ad aprire alla sinistra oppure proprio ad AfD per restare al governo; fra un anno, poi, si vota in Sassonia, cuore pulsante della destra tedesca, dove l'ostilità verso il governo federale, la stampa, e l'Europa raggiungono il loro massimo.

Neppure la cronaca lavora a favore del governo. Con un'intervista alla Bild, il numero uno dei servizi di sicurezza interna (BfV), Hans-Georg Maassen, ha fatto sapere che i video circolati negli ultimi giorni con le presunte violenze di gruppi di hooligan e neonazisti contro gli immigrati per le strade di Chemnitz potrebbero «non essere autentici». Teatro dell'omicidio di un tedesco attribuito a due giovani profughi mediorientali, Chemnitz è diventata il simbolo della divisione fra la destra xenofoba sostenuta da AfD e un centro-sinistra sensibile ai temi dell'accoglienza e dell'antifascismo militante. Maassen è stato accusato da sinistra di connivenza con l'ultradestra ma le sue parole hanno provocato anche la reazione di alcuni giornalisti testimoni dei disordini degli ultimi giorni nella città sassone. Il ministro federale degli Interni Horst Seehofer ha fatto sapere di non avere ricevuto nessun rapporto dal BfV sui fatti di Chemnitz. Seehofer è però anche il leader del partito cristiano sociale bavarese. A Maassen il ministro ha riconfermato la propria fiducia. Il capo del BfV ha comunque messo in difficoltà la cancelliera, espostasi a inizio settimana contro le violenze di strada a danni degli stranieri. Ai giornalisti, il portavoce della Bundeskanzlerin, Steffen Seibert, ha detto che Maassen non hai mai informato il governo su possibili fake news in cirolazione riguardo ai fatti di Chemnitz.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab ott 13, 2018 9:15 am

L'allarme di Geert Wilders: "Gli islamici arrivano per dominarci"
Renato Zuccheri - Dom, 09/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lal ... 73614.html

Il politico olandese, al forum di Cernobbio, parla di immigrazione, Europa e del suo fronte unico da Salvini a Le Pen

Geert Wilders, leader dell'ultradestra olandese, torna a far parlare di sé dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, dove ha incontrato anche il vicepremier Matteo Salvini.

Il politico olandese ha parlato al Corriere della Sera della sua idea di Europa. Un continente che, a suo dire, deve avere una "cultura dominante" in cui bisogna contrastare quella che Wilders definisce "l'islamizzazione". "Devi avere una cultura dominante. Sono contro la Ue e l’idea di uno stato sopranazionale che ci toglie l’identità. Il problema dell’islamizzazione è esistenziale. Quelli non vogliono integrarsi. Sono qui non per assimilarsi, ma per dominare e soggiogare. E guardi, la popolazione africana passerà da un miliardo e mezzo a più del doppio in questo secolo e almeno un terzo di loro vorrà venire in Europa".

Sfide importanti, in cui il politico olandese ritiene che i Paesi del continente debbano cooperare ma senza unirsi politicamente. È il progetto della sua Europa. "Io sono per cooperare, ma non in un’unione politica. Il mio partito ha sostenuto un governo di minoranza del premier attuale, Mark Rutte, per due anni. L’accordo era che avremmo avuto una politica migratoria più dura, ma quando Rutte è andato a Bruxelles non gliel'hanno permesso. Non abbiamo più le chiavi della porta di casa nostra".

Ed è un'idea che condivide con il premier ungherese Viktor Orban, attuale leader politico del gruppo di Visegrad e considerato il campione di tutti i movimenti euroscettici. E con le elezioni europee del 2019 alle porte, il fronte sovranista di tutto il continente cerca sinergie per mostrarsi compatto di fronte alla tornata elettorale che può decidere il destino dell'Unione europea e in cui l'immigrazione sarà un tema centrale del dibattito. "È una lotta per la sovranità, l’identità e contro l’immigrazione di massa. Alcuni di noi sono anti-Ue, altri sono critici dell’Europa. Ma tutti siamo per l’identità nazionale e contro l’islamizzazione", ha ribadito Wilders.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab ott 13, 2018 9:15 am

L'Europa e il mondo stanno svoltando a destra e liberandosi del social nazi comunismo
viewtopic.php?f=117&t=2798



Il voto che fa tremare Angela Merkel
Eugenia Fiore Lorenzo Vita
13/10/2018

http://www.occhidellaguerra.it/baviera- ... oto-merkel

La vera partita sul futuro dell’Unione europea (e sulla Merkel) si gioca domenica in Germania. Più precisamente in Baviera – più grande Land per estensione e importanza economica del Paese – dove il 14 ottobre nove milioni di elettori voteranno per eleggere i loro rappresentanti in Parlamento.

In Baviera la Csu – che al Bundestag va a braccetto con la Cdu di Angela Merkel – si è costruita una storia di successi elettorali. Fatta eccezione per una pausa di cinque anni, il partito ha espresso dal 1957 il proprio governatore e ha potuto contare sulla maggioranza assoluta nel parlamento di Monaco per più di 50 anni. Ma domani, le cose potrebbero cambiare. E il vento del Sud della Baviera potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione.


Cosa dicono i sondaggi

Secondo gli ultimi sondaggi, la Csu continuerebbe a essere il primo partito della regione: ma passerebbe dal 47% delle precedenti elezioni a un misero 33%. Un record negativo per il partito del governatore Markus Söder , che sarà costretto a cercare alleati per riuscire a formare un esecutivo che abbia una tenuta più o meno stabile.

Ma chi potrebbe essere la seconda gamba del governo del Land? Stando ai sondaggi, il problema non è di poco conto. Le ultime rilevazioni danno un’ascesa dei Verdi (al 18%). Ma nella regione avanza, o meglio galoppa, l’euroscettica e populista Afd (Alternativa per la Germania) data tra il 10 e il 14%. Segue lo Spd con un possibile 11%, a pari merito con l’altro partito di destra: i Freie Wähler. Partito da non sottovalutare quello degli “Elettori liberi” perché anch’esso euroscettico, profondamente critico sulla politica migratoria e ampiamente conservatore: insomma, l’Afd non è l’unica destra “radicale” in Baviera.

Si sa, i sondaggi non sono mai in grado di rivelare perfettamente le idee degli elettori. Nel segreto dell’urna le cose cambiano. E molte volte i voti “di pancia” si sono rivelati in qualche modo esagerati dalle agenzie di stampa o, al contrario, sottostimati.

Proprio per questo motivo, c’è chi dice che in realtà i Verdi, che pure vivono un periodo di forte crescita in tutta la Germania, non sfonderanno, come invece dicono i sondaggi. Ma, di contro, c’è anche chi dice che molti elettori dell’Afd non dichiarano pubblicamente di votare il partito dell’ultradestra. E questo sarebbe un grosso problema non solo per la Csu, ma anche per la tenuta del governo di Angela Merkel.


Un terremoto a Berlino

Un cambio di programma nella regione equivarrebbe a un vero e proprio terremoto a Berlino. Negli ultimi tempi, infatti, la Csu di Horst Seehofer è stata protagonista di ripetuti scontri con la Cdu per le divergenze sulla questione immigrazione. Scontri che hanno messo a rischio più di una volta la tenuta del governo nel quale la Csu ricopre ben tre incarichi ministeriali (Interno, Trasporti, Cooperazione economica e sviluppo).

E dal momento che queste elezioni in Baviera potrebbero trasformarsi in una sorta di referendum sull’immigrazione, è chiaro che il voto di domenica può dare un colpo durissimo alla Grosse Koalition. Specialmente se a fare man bassa di voti dovesse essere l’Afd e soprattutto se dovesse crollare il partito che garantisce la tenuta del governo tedesco.


Le possibili conseguenze

In caso di tonfo della Csu, a Monaco potrebbero cadere delle teste. Ed è chiaro che una di queste sarà quella del ministro dell’Interno Seehofer. Che a quel punto potrebbe anche subire una sfiducia del partito. Ma le conseguenze dell’eventuale crollo del partito cristiano-sociale potrebbero essere ulteriori e colpire la cancelliera sotto vari fronti.

Innanzitutto, in caso di caduta di Seehofer, si creerebbe un vuoto di potere interno al partito gemello della Cdu. Chi ne prenderà il suo posto? Se la Csu decidesse di ristrutturarsi scegliendo una linea moderata di stampo merkeliano, tutto sommato a Berlino il terremoto potrebbe avere conseguenze meno gravi. Ma se la Csu decidesse di intraprendere una forte virata a destra per strappare consensi all’Afd e agli Elettori liberi, allora potrebbe anche essere complicato mantenere in vita la Grande Coalizione.

E se è la Grande Coalizione, ovvero la Merkel, il vero obiettivo di questo voto in Baviera, allora le conseguenze potrebbero riversarsi anche all’interno del suo partito.

Come spiega Maria Giovanna Maglie su Dagospia, “un crollo della Csu potrebbe essere l’occasione che aspettano gli avversari della cancelliera all’interno del partito per poterla accompagnare alla porta. Ci sono personaggi come il ministro della Salute, Jens Spahn, che contesta ferocemente la politica filo Islam, o quello dell’Agricoltura, l’anti-abortista militante Julia Klöckner, c’è un nucleo forte di conservatori che non hanno mai accettato dopo il crollo delle elezioni dell’anno scorso la nuova riproposizione della Große Koalition”. Quali sono i loro modelli di riferimento? L’Austria di Sebastian Kurz o la Repubblica Ceca. E sono in molti a Berlino e a Bruxelles a tremare. Perché se vira a destra anche la Germania, vira a destra tutta l’Europa.

C’è già chi parla di “democrazia sotto pressione”, come per esempio il presidente del Bundestag, Wolfgang Schauble, che in un’intervista a Repubblica commenta le “difficili” previsioni di domenica. Insomma, se la Csu perde in Baviera è come se alla Merkel venisse amputato il braccio destro. E se è già stato deciso che in futuro il ménage con la Afd non s’ha da fare, allora, cosa succederà?




Baviera: crollo Csu, sorpresa Verdi al 18%. E in Parlamento entra la destra di Afd
Prime proiezioni alla chiusura delle urne per le elezioni statali nel grande Land, da sempre governato dai cristianosociali che per la prima volta perdono la maggioranza
dalla nostra inviata TONIA MASTROBUONI
14 ottobre 2018

https://www.repubblica.it/esteri/2018/1 ... -208949708


MONACO - È ufficiale: se le prime proiezioni saranno confermate, la CSU avrà perso la maggioranza e dovrà rinunciare per la seconda volta nella storia del dopoguerra al governo monocolore in Baviera. Secondo i primi dati raggiunge il 35,5% e perde oltre dodici punti rispetto a 4 anni fa. Molti pronostici parlano dunque di una cosiddetta "coalizione bavarese": se i Freiheitlichen Waehler, il partito conservatore locale, dovesse essere confermato all'11,5%, la Csu cercherà un'alleanza con loro. Se non bastassero i seggi, eventualmente con la stampella dei liberali della Fdp, che nelle prime proiezioni raggiungono il 5%. Con la "coalizione bavarese", l'attuale governatore della Baviera, Markus Soeder (Csu) spera di salvare la sua poltrona. Poco fa ha parlato di una "sconfitta" ma ha detto che la Csu ha comunque "una responsabilità di governo".

Ma la vera star della giornata sono i Verdi, che raggiungono un risultato storico: il 18,3%: alle ultime elezioni avevano raggiunto l'8,5%. L'Afd arriva all'11% e si assicura l'ingresso nel parlamentino regionale. Bruciante, invece, la sconfitta della Spd che dimezza letteralmente i voti: dal 20,6% crollano al 10, rispetto al 2013.

Volker Bouffier, governatore cristianodemocratico dell'Assia e fedelissimo di Angela Merkel, lo ha detto a chiare lettere in un'intervista apparsa stamane sulla Welt: "la Csu non ha aiutato molto la reputazione dell'alleanza Cdu/Csu". La Baviera, per molte ragioni, potrebbe essere un'elezione cruciale. Per i destini della regione più ricca della Germania, ma anche per quella del governo di Angela Merkel.

Soprattutto, per la seconda volta nella storia, la Csu ha perso la maggioranza assoluta dei voti. Proprio a causa di quel Horst Seehofer che era riuscito a riconquistarla nella scorsa legislatura. Molti imputano al ministro dell'Interno ed ex governatore del Land il pessimo risultato della Csu, a causa di una politica aggressiva sui profughi che avrebbe regalato una valanga di voti all'Afd e spaventato molti elettori che potrebbero preferire oggi ai cristianosociali un partito conservatore come i Freien Waehler che non ha mai trasformato la questione migratoria in un'ossessione.

Uno che ha sempre cercato di scaricare le colpe della debacle della Csu su di Seehofer è stato, fino a una settimana fa, il governatore della Baviera, Markus Soeder, suo storico rivale. Ma secondo Bild i due avrebbero deciso un patto di ferro per rimanere aggrappati alle loro poltrone. Un patto che potrebbe subire tuttavia l'assalto del capogruppo del PPE, Manfred Weber. L'esponente dell'ala moderata del partito potrebbe porre la questione della leadership del partito sin da domattina.

Secondo qualcuno anche il successo dei Verdi sarebbe imputabile, in parte, ad elettori inorriditi dalle parole d'ordine di Seehofer e del governatore della Baviera Markus Soeder contro i profughi. Anche se una parte consistente del voto ambientalista potrebbe arrivare dalla Spd, che oggi rischia un'altra, storica sconfitta.

Le ipotesi di governo
Tra le possibili coalizioni, a Monaco si parla soprattutto di Csu/Freie Waehler/Fdp, un'alleanza tra le due forze conservatrici conservatori e la Fdp. Le differenze tra i due partiti sono minime, e le possibilità di accordarsi su temi centrali sarebbero maggiori. Soprattutto, è una combinazione che garantirebbe a Soeder la sopravvivenza alla guida della Baviera. Ma l'ipotesi di cui sono maggiormente innamorati i politologi di mezza Germania è quella tra Csu e Verdi.

In altre regioni e città è caduto da tempo il tabù dell'alleanza tra conservatori e ambientalisti - si pensi all'"Autoland", Baden-Wuerttenberg, sede di Daimler e Porsche e cuore dell'industria automobilistica tedesca, dove un governatore verde, Kretschmer, governa da un paio di anni con la Cdu. Anche se in Baviera ci sono ancora molte resistenze (il capogruppo Thomas Kreutzer continua ad escludere un'alleanza del genere), la Csu si è già seduta al tavolo con gli ambientalisti, per provare un'intesa. A Berlino, durante i negoziati per il Merkel IV con la coalizione Giamaica, lo scorso inverno (fallita per il no dei Liberali e non per screzi tra Csu e Verdi). In ogni caso, se in Baviera dovesse emergere un'alleanza tra cristianosociali e il partito della giovane e carismatica Katharina Schulze, sarebbe il segnale definitivo che i Verdi hanno raggiunto il centro dello spettro politico.

Il vento su Berlino
Quanto ai riflessi su Berlino del voto in Baviera: stamane non è un caso che sia venuto allo scoperto anche Volker Bouffier: a Berlino quasi nessuno pensa ormai che un disastro della Csu in Baviera possa compromettere seriamente la cancelliera. Forse Seehofer sarà sacrificato per consentire alla Csu di scaricare le colpe su qualcuno (così come non è affatto scontata la rielezione di Soeder).

Ma se invece dovesse cadere il governatore dell'Assia, alle elezioni che si svolgeranno tra due settimane nel Land di Wiesbaden e Francoforte, Merkel potrebbe finire nella bufera, al congresso della Cdu di dicembre. E la cancelliera, che ha detto di non voler separare il ruolo di capa del governo da quella di presidente della Cdu, potrebbe essere invece costretta a rinunciare alla poltrona di numero uno del partito.


Le elezioni in Baviera, più seguite del solito
2018/10/14

https://www.ilpost.it/2018/10/14/elezioni-baviera

Oggi si è votato in Baviera, una delle regioni più ricche, popolose e importanti della Germania. Questo rende rilevante qualsiasi elezione in Baviera, ma quelle di quest’anno sono state particolarmente osservate per due ragioni. La prima è che l’Unione Cristiano-Sociale (CSU), il partito conservatore bavarese storico alleato della CDU di Merkel, rischia di non ottenere la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento locale, e sarebbe un evento rarissimo. La seconda è che il leader della CSU è Horst Seehofer, attuale ministro dell’Interno tedesco, al centro di molte questioni – su tutte l’immigrazione – che riguardano da vicino l’Italia e l’Europa (per esempio quella sui cosiddetti migranti “dublinati”).

Secondo i primi exit poll, la CSU avrebbe effettivamente perso moltissimi voti, a favore probabilmente della destra radicale di AfD, che entra per la prima volta nel parlamento regionale. Il secondo partito più votato è stato probabilmente quello dei Verdi, dati al 19 per cento. I socialdemocratici sono invece dati intorno al 10 per cento. Per i risultati definitivi si dovrà attendere la serata di domenica.

La Baviera è il secondo stato più popoloso della Germania, con 12,5 milioni di abitanti e 9 milioni di elettori (il primo è il Nordrhein-Westfalen, quello di Düsseldorf e di Colonia). Come superficie è il più grande, e da solo copre il 20 per cento di tutto il territorio tedesco. È anche uno stato ricco, dove hanno sede alcune delle società più importanti della Germania, come BMW e Siemens. Per cinquant’anni la Baviera è stata, più di ogni altra regione della Germania, un luogo di grande stabilità elettorale. Dal 1962, i conservatori dell’Unione Cristiano-Sociale (CSU) hanno perso solo una volta la maggioranza assoluta: nel 2008, per ritrovarla poi nel 2013.

La CSU avrà comunque la maggioranza relativa, salvo sorprese clamorose: dovrà però governare insieme a un altro partito, e fare i conti con un indebolimento probabilmente mai così grave.

Cosa dicevano i sondaggi
I sondaggi avevano predetto che la CSU avrebbe ottenuto comunque la maggioranza relativa, ma che salvo sorprese clamorose avrebbe dovuto governare insieme a un altro partito, e fare i conti con un indebolimento probabilmente mai così grave.

Il partito che continua a guadagnare punti nei sondaggi è quello dei Verdi, che viene stimato al secondo posto con circa il 18 per cento. L’AfD, terzo partito in Germania per numero di parlamentari, in Baviera è dato al 13 per cento circa (nel 2013 non aveva partecipato alle elezioni). I socialdemocratici della SPD sono all’11 per cento mentre i Freie Wähler, un partito locale conservatore e tradizionalista, sono quasi al 10 per cento. I liberali dell’FDP e la sinistra sono invece molto bassi e distanziati rispetto agli altri.

Uno degli ultimi sondaggi pubblicati su Spiegel Online.

Verdi e Freie Wähler
In Baviera i Verdi sono guidati da Ludwig Hartmann, 40 anni, e da Katharina Schulze, 33 anni. Lei ha attirato in particolare l’attenzione dei media: è giovane, carismatica, fa cose divertenti per farsi notare (lo scorso febbraio durante il carnevale si è vestita da Daenerys Targaryen di Game of Thrones dicendo che a ottobre avrebbe conquistato la politica bavarese per mettere fine alla maggioranza della CSU), sta portando avanti una campagna elettorale molto vivace ed è esplicitamente antifascista: «Mai più guerra, mai più fascismi», ripete spesso. «Essere antifascista non significa essere un’estremista di sinistra», ha anche spiegato.

Nelle elezioni regionali bavaresi del 2013 i Verdi avevano ottenuto solo il 9,4 per cento dei voti. Negli ultimi sondaggi hanno praticamente raddoppiato il loro consenso e questo sembra riflettere una tendenza che supera i confini della Baviera. Anche in Assia, dove si terranno le elezioni regionali a fine mese, i Verdi sono in crescita e anche lì sono dati al 18 per cento. Nella campagna elettorale per la Baviera i Verdi hanno mantenuto un atteggiamento piuttosto equilibrato verso il partito al governo, la CSU, cercando di alternare critiche e aperture.

In Italia tendiamo ad associare automaticamente i Verdi all’estrema sinistra, ma in Europa non è così: in generale si può affermare che stanno portando avanti una visione europeista, liberale e di apertura sui temi dell’immigrazione (in un’intervista sulla Stampa di venerdì 12 ottobre Schulze ha parlato non di «gestire», ma di «costruire l’integrazione (…) la CSU ha reso sempre più difficile la concessione di permessi di lavoro, e quindi è cresciuto il numero di coloro che stanno qui ma sono disoccupati»).

Katharina Schulze e Ludwig Hartmann, Monaco, 11 ottobre 2018 (Philipp Guelland/Getty Images)

Il secondo partito con cui teoricamente la CSU potrebbe allearsi sono i Freie Wähler guidati da Hubert Aiwanger, 47 anni. Fuori dalla Germania meridionale non li conosce quasi nessuno; in Baviera e nel Baden-Württemberg governano a livello comunale, così come in Sassonia. Sono considerati conservatori e, poiché sono principalmente attivi a livello locale, non hanno mai avuto un unico programma condiviso e ben definito. Chiedono asili nido gratuiti e meno contratti a tempo determinato, come l’SPD; si oppongono alla costruzione di una terza pista all’aeroporto di Monaco, come i Verdi; vogliono limitare il ricongiungimento familiare per i rifugiati e facilitare il rimpatrio degli immigrati, come la CSU; vogliono introdurre lo studio delle tradizioni locali nelle scuole, promuovere i dialetti e preservare i costumi.

In realtà la loro strategia, semplificando, è affermare che sono come la CSU, ma solo più ragionevoli. Molti elettori dell’Unione Cristiano-Sociale troverebbero umiliante la formazione di un governo insieme ai Freie Wähler, mentre Aiwanger ha comunque già stabilito una condizione senza la quale il suo partito non potrebbe mai entrare in una coalizione: no alla terza pista all’aeroporto di Monaco.

È anche grazie ai Freie Wähler se l’AfD in Baviera, almeno nei sondaggi, non ha ancora raggiunto la forza che ha in altri stati; molti potenziali elettori dell’AfD potrebbero aver scelto di votare per loro, scrive lo Spiegel. Allo stesso tempo, l’ascesa del partito di estrema destra AfD è la più forte minaccia per i Freie Wähler. Entrambi hanno comunque raccolto i voti degli scontenti della CSU. Negli ultimi anni a livello nazionale i leader della CSU sono stati critici nei confronti delle politiche di apertura ai migranti adottate da Merkel e questo ha causato anche una recente crisi di governo. La CSU, in teoria, avrebbe dovuto essere un’efficace barriera al populismo anti-migranti dell’AfD. Le cose però sono andate diversamente: alle ultime elezioni generali la CSU in Baviera ha perso il 10 per cento dei voti e AfD ha ottenuto il 12,6 per cento, una crescita dell’8 per cento rispetto al suo risultato del 2013.

Sui social network, in questi giorni, circola molto un video che mostra il candidato dell’AfD Andreas Winhart mentre parla dei richiedenti asilo che sono malati di HIV, scabbia e tubercolosi. Oltre ai soliti argomenti razzisti, la strategia dell’AfD per la campagna elettorale in Baviera è stata quella di attaccare la CSU definendo inverosimile il suo spostamento a destra sui migranti, mentre loro avranno il coraggio di andare fino in fondo senza mediazioni: «L’AfD mantiene ciò che la CSU promette», è uno degli slogan di queste settimane. Hanno anche affermato che Franz Josef Strauß, uno dei fondatori della CSU e ex presidente della Baviera, voterebbe AfD se fosse ancora vivo.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab ott 20, 2018 8:05 pm

Macedonia, il parlamento dice sì al cambio del nome
Manuel Glauco Matetich - Sab, 20/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/mac ... 90600.html

La maggioranza del parlamento della Macedonia ha votato a favore del processo di cambio del nome del paese in Repubblica della Macedonia del Nord. Nelle prossime settimane inizierà l’iter legislativo per la modifica costituzionale, con il beneplacito della vicina Grecia

La Macedonia è sempre più vicina al cambio definitivo del proprio nome. Nella giornata di ieri, il parlamento macedone si è espresso favorevole al voto per iniziare il lungo processo legislativo di modifica del nome del paese da Macedonia in Repubblica della Macedonia del Nord.

Il voto parlamentare ha visto più di due terzi dei deputati (all’incirca 80 su 120) a favore del processo di modifica della Costituzione come proposto dal governo in carica. "Una grande giornata per la democrazia a Skopje!", ha scritto sul proprio profilo twitter Johannes Hahn, commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l'allargamento nella Commissione Juncker. “Mi congratulo con tutti coloro che hanno deciso di proseguire lungo il sentiero dell’Unione europea. Mi aspetto che la libera scelta di tutti i parlamentari sia pienamente rispettata, specialmente di coloro che hanno attraversato il corridoio questa sera. Abbiamo bisogno di statismo, non di giochi di società.” La posizione dell’europarlamentare è chiara e propositiva, e vede quest’occasione di cambio nome come la possibilità di avvicinare il paese balcanico all’asse dei paesi occidentali, sottraendolo all’influenza storica di Mosca.

La polemica sul nome della Macedonia ha origine nell'indipendenza dell’ex Repubblica jugoslava nel 1991. La Grecia, infatti, ritiene che il nome del vicino paese balcanico non possa essere utilizzato da un altro stato. Atene ha motivato il proprio rifiuto al nome adottato da Skopje per ragioni storiche e culturali. Il nome Macedonia sembra appartenere, e identificare, una provincia settentrionale di una regione dell’antica Grecia, contigua alla città di Salonicco.

L’intesa del cambio del nome del paese macedone era stato già raggiunto pochi mesi fa tra Zoran Zaev, premier della Macedonia, e il suo omologo greco Alexis Tsipras. L’intesa prevedeva infatti di modificare il nome della Macedonia in Repubblica della Macedonia settentrionale, garantendo la revoca del veto di Atene all’adesione di Skopje all’Unione europea e al Patto atlantico.

L’approvazione parlamentare di ieri sull’avvio dell’iter costituzionale di cambio del nome è stata fortemente contestata dall’opposizione politica rappresentata dal partito Vmro-Dpmne, astenutosi dal recente voto al referendum popolare dello scorso 30 settembre. La forte astensione dei cittadini macedoni (pari a circa due terzi dei votanti), nell’esprimere la propria opinione sull’accordo tra Macedonia e Grecia, ha complicato notevolmente l’ottenimento del consenso del Parlamento alla proposta governativa sul cambio del nome del paese. Il premier Zaev ha definito che il referendum di pochi giorni fa aveva soltanto un carattere “consultivo” senza alcuna soglia minima di partecipazione popolare per la convalida, come invece sostenuto dall’opposizione politica, che lo ha definito un vero e proprio flop.

La strada per la piena affermazione del nuovo nome della Macedonia è ancora in salita. Gli emendamenti che incorporeranno il cambio del nome in Costituzione dovranno essere nuovamente ratificati dal Parlamento e poi dalla Grecia. In merito alla questione si è espresso poche ore fa anche il leader greco Alexis Tsipras che ha ammonito i deputati macedoni ad approvare la proposta costituzionale: "Vorrei incoraggiare i nostri vicini a muoversi con determinazione per ratificare l'accordo perché non ci saranno altre opportunità”.
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