La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » gio feb 17, 2022 11:57 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » gio feb 17, 2022 11:58 pm

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Storia della Crimea



Strategia della destabilizzazione: Intervista con Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
12 Luglio 2021

http://www.linformale.eu/strategia-dell ... -pasquale/

Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).

Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.

Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.

Nel 2014, la Russia ha occupato e annesso, illegalmente, la Crimea. A causa di questa violazione del diritto internazionale è stata sanzionata economicamente da Unione Europea e Stati Uniti d’America. In Italia, molti partiti, di destra come di sinistra, hanno contestato le sanzioni e sostenuto che Mosca sarebbe un alleato essenziale. Le ammende inflitte alla Russia danneggiano l’economia italiana? Mosca è davvero un partner fondamentale?

Come lei ha giustamente sottolineato in Italia molti partiti sia di destra che di sinistra e una considerevole parte dell’opinione pubblica esprimono un parere sostanzialmente negativo sulle sanzioni. Molti pensano che siano dannose per la nostra economia perché ritengono Mosca un partner essenziale, altri le avversano sostenendo che, oltretutto, non sono utili alla risoluzione del problema politico. Prima di analizzare la questione da un punto di vista economico volevo fare alcune considerazioni per rispondere a chi afferma che le sanzioni non servono a risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina. Le sanzioni sono state introdotte da UE e Stati Uniti in risposta all’occupazione della Crimea. Questo pacchetto di sanzioni contro la Russia è stato ulteriormente inasprito dopo l’abbattimento il 17 luglio 2014 di un volo di linea della Malaysia Airlines sui cieli del Donbas da parte di proxy russi, che provocò la morte di 298 persone tra passeggeri e personale di bordo. Come hanno fatto notare storici quali Timothy Snyder e Serhii Plokhy l’annessione russa della Crimea e la guerra ibrida in Donbas vanno letti come tentativi di destabilizzare non solo l’Ucraina ma l’intera Europa. Di fronte ad azioni gravi come queste, che minacciano le fondamenta dell’ordine internazionale, cosa avrebbero dovuto fare Stati Uniti e UE? È chiaro che l’unica risposta possibile era votare un pacchetto di sanzioni mirate visto che nessuno auspica un conflitto militare con la Russia. Ho usato il termine mirate perché c’è grande ignoranza su questo tema. Forse non molti sanno che le sanzioni non hanno mai imposto l’embargo sull’esportazione in Russia di beni di consumo. Per cui quello dei produttori italiani devastati dalle sanzioni è un mito o se preferite una fake news. A partire dall’annessione della Crimea nel 2014, le sanzioni economiche dell’UE sono mirate al settore economico, a quello energetico e a quello della difesa e colpiscono 150 persone fisiche (alti funzionari moscoviti, numerosi deputati e senatori e diversi oscuri funzionari della Crimea, guerriglieri e “ministri” delle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk) che non possono entrare in Europa e si sono viste congelare i loro beni nella UE (società, immobili, conti correnti). L’embargo riguarda anche a una ventina di entità politiche russe e separatiste e undici grandi imprese russe – cinque banche statali, tre major petrolifere a partecipazione statale e tre grandi aziende belliche di stato – che non possono ricevere prestiti o collocare strumenti finanziari presso partner europei per più di 30 giorni. Ciò a cui si riferisce l’opinione pubblica, spesso senza rendersene conto, sono le “controsanzioni”, ossia l’embargo voluto da Putin alle importazioni di numerosi prodotti alimentari europei. Ma questa contromisura russa ha danneggiato in primo luogo i consumatori della Federazione, visto che la Russia importava nel 2013 circa la metà dei prodotti alimentari che consumava, e il 40% di queste merci proveniva da Paesi europei. Prima di Natale i leader europei hanno deciso all’unanimità di estendere le sanzioni fino al 31 luglio 2021. Le misure, rinnovate due volte l’anno, hanno colpito gravemente la Russia: si stima che la sua economia sia diminuita del 6% alla fine del 2018 a causa delle sanzioni di UE e Stati Uniti. In estrema sintesi, come afferma anche uno studio dell’ISPI, le sanzioni europee non hanno colpito duramente l’export italiano. Il calo sperimentato dalle esportazioni italiane in Russia dal 2013 al 2017 è stato relativamente poco significativo rispetto al totale delle esportazioni italiane all’estero, pesando nel 2017 per circa l’1% del totale. La Russia avrebbe potuto diventare un partner economico importante per l’Italia e per gli altri paesi europei se avesse veramente realizzato quelle riforme economiche, promesse da Putin nei primi anni della sua presidenza, per sviluppare il settore manifatturiero e per modernizzare il settore energetico. Il grave problema demografico – intorno al 2050, secondo le cifre dell’ONU, la popolazione totale della Federazione sarà diminuita di ben 10 milioni assestandosi su una cifra intorno a 135 milioni (su un territorio pari a un ottavo delle terre abitate mondiali) – sembra condannare la Russia a un ruolo marginale negli scenari geopolitici futuri. È illusorio pensare che, a fronte di un calo demografico così consistente che avrà ripercussioni evidenti anche sulla forza lavoro con un settore energetico arretrato e prezzi decrescenti, petrolio e gas possano, come negli Anni Settanta, garantire la sopravvivenza della Russia. I petrol rubli possono aver arricchito le élite e riempito gli scaffali dei negozi con beni di lusso importati, ma queste trappole della ricchezza hanno avuto come costo il prolungato declino del settore manifatturiero e dei settori di esportazione non energetici.

Il presidente Putin, per il suo conservatorismo, la sua fede cristiana e i suoi metodi risoluti, è diventato un leader ammirato, talvolta in modo parossistico. Lo Zar, come viene talora chiamato, è un autentico conservatore oppure uno scaltro autocrate, che usa il nazionalismo e la religione come instrumentum regni?

A partire dalla seconda metà degli anni 2000 Putin, che nei primi anni della sua presidenza aveva rafforzato le strutture statali per cercare di frenare ogni impulso centrifugo e usato la ricchezza derivante dalle esportazioni di risorse naturali (gas e petrolio) per aumentare il tenore di vita dei russi e garantire acquiescenza popolare al suo regime, brucia la sua credibilità a livello internazionale invadendo Georgia (2008) e Ucraina (2014). L’anno di vera e propria svolta della Russia coincide con il biennio 2011-2012. Con le elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdica al principio di successione. Putin spinge alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini, ma diventano solo un rituale. Quando il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestano a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali, Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kyiv dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti. Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è fornire prove ma inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna. La UE e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolate.Ed è proprio in questa fase che il regime di Putin enfatizza sempre più il tema delle radici cristiane individuando nel pensiero del filosofo russo di fine Ottocento Ivan Ilyin le fondamenta teoriche del nuovo corso.

Ci può illustrare in cosa conistono queste fondamenta teoriche?

Ilyin, analogamemte a Marx si rifà al corpus filosofico hegeliano offrendone però una lettura di destra, sostiene che la storia sia iniziata con un peccato originale così grave da condannare l’umanità alla sofferenza. Ma il peccato originale, secondo Ilyin, non fu perpetrato dall’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata ma da Dio sull’uomo attraverso la creazione del mondo. Secondo Ilyin la patria di Dio era la Russia. La Russia era da tutelare a tutti i costi perché era l’unico territorio da cui sarebbe potuta iniziare la ricostruzione della totalità divina. Lo storico Timothy Snyder ha osservato come, nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler, il suo pensiero non si discostasse troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. Non è un caso che la Russia attuale, che lo elegge a suo ideologo, è lo stesso paese che riscrive i libri di storia riabilitando il culto di Stalin. Per Ilyin la parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. La Russia è innocente ma la sua innocenza non è osservabile nel mondo. Ilyin vede la propria nazione come virtuosa, e la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto. Rifacendosi al teorico nazista del diritto Carl Schmitt, Ilyin considera la politica l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione. La fantasia di una Russia innocente in eterno che comprende la fantasia di un redentore innocente in eterno torna utile al regime cleptocratico di Putin che la sfrutta opportunisticamente per coprire una realtà fatta di ingiustizie sociali, soprusi e incapacità di evoluzione in senso democratico. La diffamazione diventa un illecito penale, il Patriarcato Ortodosso di Mosca si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzhinsky, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.

La rivoluzione ucraina contro l’esecutivo filorusso di Viktor Yanukovych è stata descritta come un “colpo di stato” eterodiretto dagli Stati Uniti d’America e da George Soros. Si è trattato di una cospirazione o di una protesta spontanea?

Euromaidan, la rivoluzione scoppiata in Ucraina in seguito alle dimostrazioni di piazza del 21 novembre 2013 a Kyiv, è stata una rivolta spontanea contro il regime cleptocratico di Yanukovych. Pur avendo come epicentro Kyiv ha interessato l’intero Paese. La Rivoluzione, giustamente definita, della Dignità, ha testimoniato la volontà del popolo ucraino di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica e il desiderio di aprire una nuova fase, quella della rigenerazione morale. Questo ambizioso tentativo ha dovuto però fare i conti con l’ostilità di Mosca che ha cercato di fermare a ogni costo un progetto che, se vittorioso, avrebbe messo in serio pericolo il modello autocratico putiniano e fornito linfa vitale alla debole opposizione democratica russa. E infatti, cinque giorni dopo la fuga di Yanukovych avvenuta il 22 febbraio 2014, Putin ha inviato il primo contingente militare in Crimea, annettendo de facto, in data 16 marzo, la penisola ucraina alla Federazione Russa attraverso un ‘referendum’, imposto con uso della forza, brogli, intimidazioni e in violazione del Memorandum di Budapest del 1994. Ciò che è accaduto in quei 93 giorni meriterebbe di essere analizzato dettagliatamente visto che si tratta di una pagina fondamentale della Storia Europea dell’ultimo secolo.

Può fornirci ulteriori approfondimenti?

Euromaidan (Euro sta per Europa e Maidan è una parola di origine turca, entrata nel vocabolario ucraino grazie ai tatari di Crimea, che significa Piazza), neologismo apparso per la prima volta in un hashtag su Twitter il 21 novembre 2013 quando Mustafa Nayyem, giornalista ucraino di origini afghane chiede alla gente di scendere in piazza, per protestare contro la mancata firma dell’Accordo di Associazione economica tra Unione Europea e Ucraina, promessa, mai poi rigettata, dall’ex Presidente Yanukovych, è all’inizio una protesta principalmente di studenti. Accanto a loro scendono in piazza pure imprenditori e proprietari di piccoli business stremati dall’azione predatoria di Yanukovych. Per comprendere questo passaggio occorre ricordare come la Famiglia, ossia il gruppo di potere che fa capo al Presidente ucraino, attraverso l’ufficio del procuratore generale Viktor Pshonka, monitori da tempo i business più redditizi per poi impadronirsene. Grazie a questo sistema il figlio maggiore di Yanukovych, Oleksandr, un dentista, diventa in un paio di anni uno degli uomini più ricchi del Paese con un patrimonio personale superiore a 500 milioni di dollari. Dopo i primi giorni, alle proteste degli studenti si aggiungono quelle di altri componenti della società civile. Il popolo del Maidan diventa così sempre più composito ed eterogeneo.Una delle date fondamentali nella cronologia della Rivoluzione della Dignità è quella del 30 novembre 2013. La notte del 30 novembre infatti le forze di polizia attaccano violentemente gli studenti che protestano pacificamente sul Maidan. Secondo dati ufficiali sono ben 79 i manifestanti che vengono picchiati e percossi dalla Berkut, la polizia antisommossa. Le autorità, incuranti del rispetto della dignità umana, ritengono che questo sia il mezzo più efficace per disperdere una folla che credono pagata. È il punto di non ritorno. La sera del 1° dicembre la folla si raduna di nuovo in Piazza superando questa volta le 500.000 unità. E la maggior parte è mossa dal desiderio di protestare contro la violenza usata dal regime, più che dal rifiuto di firmare l’Accordo di Associazione con la UE. L’International Renaissance Foundation, ONG ucraina fondata da Soros, ha svolto un ruolo importante a sostegno della società civile durante le proteste di Euromaidan. La fondazione ha assicurato l’assistenza legale durante la crisi per attivisti civili, manifestanti e giornalisti; ha fornito cure mediche alle vittime di violenza; ha supportato canali come Hromadske TV che hanno realizzato reportage indipendenti e in diretta sugli eventi del Maidan; ha documentato casi di tortura, percosse e abusi della polizia e dei tribunali. Tutto ciò è ben diverso dal sostenere, come fanno le teorie cospirazioniste della dezinformatsiya russa, che George Soros mira a destabilizzare i paesi e rovesciare i regimi nell’Europa orientale post-comunista e nell’ex Unione Sovietica.

A seguito dell’invasione russa della Crimea, l’Ucraina è stata dipinta come uno Stato fascista, antisemita e russofobo. Realtà o disinformazione? L’Ucraina è una nazione che nutre sentimenti antiebraici?

Quella dell’Ucraina fascista, antisemita e russofoba è una delle più consolidate narrative della disinformazione russa. Esisteva già all’epoca della Guerra Fredda, oggi viene semplicemente attualizzata e riproposta avvalendosi del potere amplificativo delle testate online e dei social media. Farò alcune considerazioni proprio sul Maidan, definito anche da alcuni organi di informazione italiani un movimento fascista, per confutarla. Se proprio volessimo connotare politicamente Euromaidan sarebbe più corretto definirlo un movimento liberal-socialista, visto che il suo nemico è la cleptocrazia autoritaria e il suo programma centrale la giustizia sociale e lo stato di diritto. L’obiettivo che accomuna i diversi gruppi presenti sul Maidan è cacciare Yanukovych e trasformare l’Ucraina in una nazione realmente democratica. La natura del Maidan, a dispetto dell’eterogeneità dei gruppi che lo compongono, è essenzialmente civica. Spontaneità, autenticità e una certa ingenuità politica, sono le caratteristiche più evidenti di un movimento che raggruppa diverse anime e che sorge per la mancanza di una vera opposizione nel Paese. Le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto liquidare cosi, senza alcuna analisi storico-politica, ripetendo ad libitum la propaganda del Cremlino, movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. Una percentuale risibile se confrontata con i ben più ampi consensi elettorali ottenuti dalle destre xenofobe in Francia, Inghilterra, Italia e in altri Paesi europei. Che il popolo del Maidan non sia assolutamente in sintonia con Svoboda lo dimostra il fatto che alle elezioni presidenziali del Maggio 2014 otterrà un misero 1.2 %. Addirittura peggio farà Yarosh, il leader di Pravyi Sektor, movimento che dopo il Maidan si trasforma in Partito, conseguendo solo lo 0.7 %.

Ci può parlare di Pravyi Sektor? Di cosa si tratta?

Pravyi Sektor, nella fase iniziale è stata una formazione estremamente eterogenea. Nasce infatti come federazione di diversi movimenti accomunati dalla volontà di rendere la protesta più incisiva e di difendersi dagli attacchi violenti della polizia. Accanto a frange nazionaliste, seppure non in senso etnico – lo stesso Yarosh proviene dalla città industriale russofona di Dniprodzerzhynsk e si esprime in russo come la maggior parte dei militanti, a riprova di come la Russofobia sia un’altra invenzione dei media pro-Cremlino –, nelle fila di Settore Destro combattono anche diversi ebrei e ucraini non etnici, come l’armeno Serhiy Nihoyan e il bielorusso Mikhail Zhyznevsky, che passeranno tristemente alla storia come le prime vittime del Maidan. Con il Maidan abbiamo assistito per la prima volta a una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% ma nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. Storicamente l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo: i pogrom di fine Ottocento erano fatti dai russi non dagli ucraini. Anche i pogrom descritti da Isaak Babel nella famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Ugualmente l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. L’Ucraina ha subito ad opera dei nazisti persecuzioni e deportazioni paragonabili a quelle della Polonia. Nonostante ciò, anche a causa della forza mediatica dei media russi e pro-Cremlino, è molto più probabile che qualsiasi rapporto sull’estrema destra o sull’antisemitismo in Ucraina finisca sui titoli dei giornali rispetto a storie e tendenze simili in Russia o rispetto agli ampi legami di Mosca con i gruppi di estrema destra nei paesi europei. Il presunto fascismo del Maidan è il frutto di letture faziose consolidatesi nel nostro Paese per ignoranza, disonesta intellettuale o un mix di entrambe.Fortunatamente a livello internazionale la rappresentazione del nuovo governo di Kyiv come una “giunta fascista”, sostenuta da orde antisemite e intenta a compiere un genocidio contro i russofoni, ha incontrato grossi ostacoli. Eminenti personalità ebraiche ucraine hanno pubblicato annunci a tutta pagina su diversi giornali internazionali per smentire tali affermazioni e condannare l’aggressione russa. In diverse occasioni, minoranze etniche o ebraiche hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche dissociandosi da falsi gruppi etnici che rivendicavano la persecuzione.

I filorussi europei evocano, spesso, la strage di Odessa del 2014. Si è trattato di un massacro deliberato o c’è dell’altro?

La strage di Odessa del 2014 è un altro episodio su cui la propaganda russa ha insistito tantissimo per ingannare l’Occidente. Per spiegare l’accaduto e la copertura mediatica di questo tragico evento, credo sia necessaria una premessa. A parte le Repubbliche Baltiche, che conoscono perfettamente le tattiche di guerra informativa della Russia essendo state soggette al dominio sovietico, la comunità internazionale è stata piuttosto lenta nel riconoscere il pericolo rappresentato dalla disinformazione e dalla propaganda sponsorizzate dal Cremlino. È altresì vero che molte persone non si rendono neppure conto di essere ingannate dalle informazioni che ricevono da media quali RT (ex Russia Today) e non pensano di verificare ciò che questa emittente trasmette. Pensano, sovente in buona fede, che RT rappresenti una sorta di versione russa della BBC o della Deutsche Welle. Venendo allo specifico dell’incendio e degli scontri di Odessa del 2014, nel corso dei quali morirono 48 persone e di cui il maggio scorso ricorreva il settimo anniversario, è interessante sottolineare che la Russia iniziò a presentarlo come un massacro da parte dei nazionalisti ucraini quando le fiamme ancora divampavano. Questa versione dei fatti è stata diffusa in tutto il mondo nonostante diverse indagini indipendenti – Gruppo 2 maggio bipartisan; il Comitato consultivo internazionale del Consiglio d’Europa e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani – abbiano ricostruito una realtà molto diversa da quella raccontata dagli outlet pro-Cremlino. Da queste indagini si è scoperto che i primi disordini sono iniziati quando un folto gruppo di attivisti filo-russi ha attaccato una marcia pacifica a sostegno dell’unità ucraina. Da quel momento in poi, le armi sono state usate da entrambe le parti e sei persone sono decedute. Verso sera, gli attivisti filo-ucraini si sono diretti in Piazza Kulikove Pole con l’intenzione di distruggere una tendopoli allestita da attivisti filo-russi. Questi ultimi hanno risposto con colpi di arma da fuoco e bottiglie molotov dal tetto e dalle finestre del palazzo del sindacato. Tutti i rapporti indipendenti concordano sul fatto che dal momento che le bombe molotov sono state lanciate sia contro l’edificio sia dall’interno dell’edificio, è impossibile determinare la fonte dell’incendio che ha causato la morte di 42 attivisti filo-russi. I media e i politici russi sono a conoscenza dei risultati di questi rapporti ma hanno preferito offrire una copertura selettiva degli eventi sin dall’inizio. Tutti i filmati russi hanno trattato i “radicali” ucraini come gli autori delle precedenti rivolte. Nessuna menzione è stata fatta delle sparatorie e delle bottiglie molotov dall’interno del palazzo, né degli attivisti filo-ucraini che hanno rischiato la loro incolumità per salvare le persone nell’edificio. I filmati russi hanno invece mostrato un attivista filo-ucraino che sparava con una pistola contro il palazzo, senza notare che l’uomo stava rispondendo al fuoco proveniente dalle finestre dell’edificio. Due anni dopo il rapporto del Consiglio d’Europa, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che “i nazionalisti ucraini hanno spinto persone indifese nel palazzo del sindacato e le hanno bruciate vive”. Questa storia consapevolmente falsa è stata spacciata in tutto il mondo, con mostre generosamente finanziate e “testimonianze” accuratamente selezionate e portate in tournée nei paesi europei. Inoltre è risaputo che molti giovani si sono offerti volontari per combattere a fianco di proxy russi, separatisti e mercenari sostenuti dal Cremlino in Donbas citando il presunto “massacro di Odessa” come catalizzatore.

Ultima domanda: come pensa che evolverà la situazione ucraina durante la presidenza di Joe Biden?

L’evoluzione della situazione ucraina dipenderà molto dalle relazioni Mosca-Washington che sembrano al minimo storico nonostante l’incontro di metà giugno a Ginevra tra Biden e Putin. La risposta affermativa di Joe Biden alla domanda se ritenesse Putin un assassino è stata paragonata da alcuni analisti di politica internazionale all’affermazione fatta da Ronald Reagan nel marzo 1983 nella quale definiva l’URSS l’Impero del Male. Quello fu l’inizio della fine della Guerra Fredda che portò poi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il contesto odierno è molto diverso per cui mi sembra azzardato fare dei parallelismi. Biden ha un approccio diverso da quello di Trump e sembra voler recuperare un rapporto costruttivo con i principali partner europei, in primis Francia, Germania ma anche con l’Italia che, grazie al governo Draghi, ha riacquistato credibilità internazionale dopo i fallimentari, non solo in politica estera, dicasteri Conte. Il dossier ucraino è molto complesso ma sarebbe profondamente sbagliato se l’Occidente sottovalutasse l’ostentazione di muscoli russa che si è manifestata anche lo scorso aprile quando il Cremlino ha ammassato le sue forze armate ai confini orientali e meridionali dell’Ucraina. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken sembra perfettamente consapevole di questa situazione. Mi auguro che ci sia la stessa consapevolezza a Parigi e a Berlino.





Storia della Crimea
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Crimea
Medioevo
Intorno all'anno 400 i Bizantini, continuatori dell'Impero romano, recuperarono il controllo della parte meridionale della penisola e lo mantennero fino al 717. Nello stesso periodo nella parte centrale della Crimea continuavano a vivere i Goti, mentre l'area settentrionale subiva le vicende della pianura sarmatica: dopo la disgregazione dell'Impero Unno, a metà del VI secolo, vi fu l'ondata dei Proto-bulgari, durante il VII secolo, e poi, alla fine dello stesso secolo, i Cazari. Nel 717 questo popolo invase l'intera Crimea e la governò per più di un secolo.
L'imperatore bizantino Teofilo riconquistò ancora una volta la costa meridionale della Crimea attorno all'840 e la inquadrò nell'Impero come "Thema Cherson" dal nome della capitale. A nord delle montagne rimanevano i Cazari, sostituiti nell'882 dai Peceneghi.
A metà del X secolo Svjatoslav I di Kiev sottomise i Goti e conquistò la parte orientale della Crimea; quest'ultima all'inizio del secolo successivo divenne parte del principato russo di Tmutarakan'. Nel 989 Vladimiro I di Kiev s'impadronì per breve tempo anche della costa bizantina ed a Cherson si convertì al cristianesimo. In seguito, tuttavia, restituì la costa meridionale ai Bizantini, che ne mantennero il controllo fino al 1091.
In tale anno i Cumani invasero la Crimea e vi si stabilirono. Durante il secolo successivo, in ogni modo, Cherson e il suo thema furono ripristinati sulla costa meridionale e durarono fino al 1204, quando Costantinopoli cadde in mani veneziane.

Il dominio genovese
Nel XIII secolo due avvenimenti mutarono l'ordine internazionale del Mar Nero e delle steppe eurasiatiche.
Innanzitutto nel 1204 la quarta crociata, guidata dai Veneziani, portò alla temporanea scomparsa dell'Impero bizantino. La costa crimaica rimase nell'area controllata da uno degli stati nati in seguito alla disgregazione dell'Impero d'Oriente, l'Impero di Trebisonda, che chiamò l'area in questione Perateia.
Qualche decennio dopo le steppe eurasiatiche furono sconvolte dall'invasione dei Mongoli, che non risparmiò la Crimea. La penisola fu invasa nel 1237 da Batu Khan, che pose fine al domino cumano, e la parte settentrionale fece parte del canato dell'Orda d'Oro per due secoli. La popolazione cumana rimase, peraltro, a vivere nella penisola e costituì la base etnica dei Tatari di Crimea.
Nel 1261, in seguito al trattato di Ninfeo, i Genovesi sostituirono i Veneziani nel controllo degli stretti del Mar Nero e nel 1266 riuscirono a conquistare alcuni porti sulla costa meridionale della Crimea per utilizzarli come basi d'appoggio per i commerci con i popoli dell'interno. Si stabilirono a Sebastopoli, Cembalo, Soldaia, Tana e soprattutto Caffa, ove stabilirono un'imponente colonia, dal carattere multietnico. L'insieme dei domini genovesi in Crimea si chiamava "Gazaria" (dal nome dei Cazari) ed ebbe fine nel 1475, ovvero ventidue anni dopo la caduta di Costantinopoli.
I Genovesi, tuttavia, non avevano conquistato tutti i territori del Thema Cherson: una parte di essi erano rimasti sotto il controllo del governatore bizantino, il quale peraltrò si dichiarò indipendente dando vita al Principato di Teodoro, che durò anch'esso fino al 1475. Bisogna infine menzionare la presenza in quest'epoca di Armeni "cerchessogai" di cui sono testimonianza numerose chiese e monasteri.


Khanato di Crimea
La Crimea nel XVII secolo

Nel frattempo le popolazioni turche che diverranno note come Tatari di Crimea, discendenti di vari popoli pervenuti in questa penisola in epoche diverse, fra cui particolare importanza avevano i Cumani, nella fase di disgregamento dell'Orda d'Oro, fondarono a partire dal 1427 un Khanato di Crimea separatista e ne offrirono la corona a Haci Giray, un mongolo discendente diretto di Gengis Khan e pretendente al trono dell'Orda d'Oro. Il canato occupava il nord della penisola e i khan risiedevano prima a Solkhat (Eski-Qirim), e a partire dall'inizio del XV secolo a Bachčysaraj.
Tra i Tatari di Crimea viveva una comunità di ebrei Caraiti, principalmente a Chufut Kale. Comunità ebraiche meno numerose e molto più antiche si trovavano anche a Derbent e Madjalis. Le città commerciali in mano ai genovesi ed il principato di Teodoro vennero conquistate dal generale turco ottomano Gedik Ahmet Pascià nel 1475 e divennero una provincia dell'Impero ottomano. Mentre i Khan di Crimea, a partire dalla stessa data, governarono come principi tributari dell'Impero Ottomano per circa tre secoli.
La provincia ottomana di Crimea, che comprendeva anche la penisola di Taman, inizialmente era un sangiaccato con capoluogo Caffa (in turco Kefe)[9]. Nel 1568 essa fu elevata ad eyalet (l'Eyālet-i Kefê) e tale rimase fino al 1774, quando fu ceduta al Khanato di Crimea..
Nella nuova provincia turca Armeni e Greci del Ponto erano ormai una minoranza di dhimmi e non ci sarebbero stati altri cristiani in Crimea fino all'arrivo dei Russi nel 1783.
Per due secoli, fino all'inizio del Settecento, il canato organizzò una significativa tratta degli schiavi con l'Impero Ottomano ed il Medio Oriente, esportando circa due milioni di schiavi razziati nelle steppe della Polonia-Lituania e della Russia.

Nel 1736, nel corso della guerra russo-turca del 1735-1739, la Crimea fu occupata e devastata dalle truppe russe al comando del feldmaresciallo Burkhard Christoph von Münnich che tuttavia dovette poi ritirarsi in Ucraina. L'anno successivo vi irruppero nuovamente le truppe russe del generale Peter Lacy, che tuttavia dovette nuovamente lasciare il campo. Vi ritornò lo stesso Lacy nell'estate del 1738 ma le devastazioni precedenti avevano reso la penisola incapace di fornire assistenza e vettovaglie alle truppe di occupazione e i russi si ritirarono per la terza volta. Il trattato di Nissa che pose fine alla guerra ebbe come conseguenza la cessione ai russi del porto di Azov, mentre il Khanato di Crimea rimase uno stato vassallo della Sublime Porta.

Alla fine della successiva guerra russo-turca del 1768-1774, i russi vincitori imposero all'Impero ottomano la pace di Küçük Kaynarca del 1774, in base alla quale il Khanato di Crimea perse il suo stato di signoria vassalla della Sublime Porta e divenne formalmente uno stato indipendente, ma di fatto entrò nella sfera di influenza della Russia. L'imperatrice Caterina II decise di concentrare gli insediamenti degli ebrei russi in Crimea per crearvi una zona-cuscinetto utile al respingimento dei turchi oltreconfine. Adottò quindi una politica bivalente nei confronti delle comunità ebraiche, di tipo repressivo per gli altri insediamenti esistenti nella sua giurisdizione territoriale, e di importante incentivo economico per le migliaia di giovani che nel XIX secolo si trasferirono in questa regione. La corona riconobbe i titoli nobiliari dei tatari autoctoni, assorbendoli nella nobiltà russa; inoltre, ebbe cura del clero islamico al quale non espropriò le terre e i relativi di superficie (waqf), riconoscendo anzi ad essi un ruolo amministrativo mediante l'Amministrazione Spirituale Maomettana della Tauride. Ciononostante, in un secolo più di 900.000 musulmani emigrarono dalla Crimea.

Infine, nel 1784, approfittando dei conflitti di potere sorti all'interno della famiglia del Khan di Crimea, le truppe russe entrarono nel Khanato a sostegno del Khan, il quale offrì loro l'intero territorio: l'annessione fu ufficialmente proclamata l'8 gennaio 1784. L'Impero ottomano reagì con molto ritardo a questa invasione dichiarando guerra alla Russia (guerra russo-turca del 1787-1792) solo il 13 agosto 1787, ma ne uscì sconfitto e con il Trattato di Iassy del 1792 la Crimea entrò definitivamente a far parte dell'impero russo.


Impero russo
Il Nido di rondine, uno dei romantici castelli costruiti dall'élite russa in Crimea.

Fra il 1802 ed il 1921 la Crimea costituì il Governatorato della Tauride dell'Impero Russo. Particolare importanza acquistò Sebastopoli quale porto della Flotta del Mar Nero.

Nel 1854-1855 la Crimea fu il principale teatro della Guerra d'Oriente, che perciò è oggi nota come "Guerra di Crimea": gli eserciti congiunti di Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna riuscirono ad espugnare la cittadella militare russa di Sebastopoli, così ponendo termine alle mire espansionistiche dell'Impero Russo verso Costantinopoli. Le truppe piemontesi si distinsero soprattutto alla battaglia della Cernaia e ciò servì ad ottenere l'appoggio anglo-francese al progetto di Unità d'Italia. La guerra devastò il tessuto economico e sociale di Crimea e i Tatari che la abitavano furono costretti ad abbandonare la loro madrepatria non solo per le conseguenze della guerra ma anche per le persecuzioni e le confische di cui furono vittime. I sopravvissuti al viaggio, alla fame e alle malattie si stabilirono nella Dobrugia, in Anatolia e in altri luoghi dell'Impero ottomano.

I Tatari di Crimea divennero una minoranza nella penisola, mentre la maggioranza di essi viveva nella diaspora. Alla fine il governo russo decise di fermare il processo, e l'agricoltura iniziò a soffrire a causa dell'abbandono delle terre fertili... (argomentazione incompiuta).

All'inizio del Novecento Jalta divenne la più elegante località balneare russa, con ville, palazzi e alberghi.


Storia della Crimea
https://www.treccani.it/enciclopedia/cr ... aliana%29/
La popolazione della Crimea è molto varia, essendo composta da rappresentanti di sette popoli diversi, e cioè Tatari, Russi, Ebrei, Zingari, Greci, Armeni e Tedeschi. I primi si dividono in due gruppi: i Nogai, i quali hanno conservato meglio di tutti il tipo fisico originario, assai vicino al tipo calmucco; e i Tatari, che, per le frequenti mescolanze con l'elemento greco, hanno assunto caratteristiche e sembianze quasi europee, con occhi grandi, non obliqui, naso diritto e ben modellato, zigomi poco sporgenti, barba folta, capelli castani. Tuttavia l'elemento russo tende a prevalere e a sostituirsi all'elemento tataro. Greci e Armeni costituivano alla seconda metà del sec. XVIII, una parte ragguardevole della popolazione della Crimea, ma, dopo l'annessione della regione alla Russia, essi emigrarono in Romania, Turchia e nel Caucaso. L'odierna popolazione della Repubblica della Crimea ammonta a 600.000 ab. circa; di essi il 25% è composto di Tatari, il 44% di Russi, il 14% di Ucraini. Avvenuto lo sfacelo dell'impero zarista, vi fu un tentativo di risveglio dei Tatari; il 5 maggio 1917 essi proclamarono la propria autonomia e procedettero all'organizzazione politica, sociale e militare del nuovo stato. La propaganda bolscevica disgregò ben presto la piccola repubblica e, dopo la partenza degli esercitì di Denikin e Wrangel, il governo di Mosca rimase padrone della situazione, vincolando la Crimea, eretta a repubblica autonoma, alla politica bolscevica.


Breve storia della Crimea
Andreej Zubov
Andreej Zubov, dottore in scienze storiche, docente universitario russo, redattore responsabile di “La storia della Russia nel XX secolo”.

https://www.culturacattolica.it/cultura ... lla-crimea

Come è noto, la Crimea è all’origine della tragedia nell’Ucraina. All’inizio di marzo la società russa e il popolo della Crimea hanno esultato mentre il presidente Vladimir Putin pronunciava magniloquenti parole sulla nave della Crimea ritornata per sempre nel porto russo.
“La Crimea è sempre stata ed è ritornata ad essere russa”. Queste parole furono replicate come uno scongiuro.
Ma la riannessione di una provincia altrui, anche con pretesti che possono apparire giusti, non può mai passare in modo silenzioso e tranquillo. Fra occupanti e occupati sorgono conflitti che poi si prolungano per decine di anni e costano milioni di vittime. Pensiamo al conflitto fra la Germania e la Francia, fra l’Austria e la Serbia per la Bosnia. Il Donbass è il proseguimento diretto della politica russa nei confronti dell’Ucraina, soltanto che il risultato è apparso molto più sanguinoso. Valeva la pena iniziare con la Crimea?
Se la Crimea fosse sempre stata nostra e fosse stata perfidamente sottratta all’Ucraina come “un cesto di patate”, la questione sarebbe chiusa, l’ingiustizia si doveva riparare. Sarebbe doveroso uscire senza il gioco dei gentili “uomini verdi” e raggiungere la giustizia attraverso le istanze internazionali. La Crimea poteva porre il problema di separarsi dall’Ucraina, come la Scozia dall’Inghilterra e la Catalogna dalla Spagna.
Certamente se in Crimea fosse avvenuto il genocidio del popolo russo sarebbe entrata in vigore la risoluzione n° 2625 del 1970 sul diritto dei popoli all’auto-determinazione. Ma in Crimea, fin da quando fu unita all’Ucraina, non si verificò alcun genocidio. Da parte dei cittadini ucraini non venne effettuato alcun assassinio di russi, non fu intrapresa alcuna iniziativa volta a esiliare i cittadini russi in luoghi impossibili a vivere, non fu impedita la difesa delle famiglie e la nascita dei figli; si verificarono certi problemi con la lingua russa nella sfera ufficiale, ma credo che si possa riconoscere che fra una debole discriminazione linguistica e il genocidio esiste un’immensa distanza.
Se la separazione della Crimea e l’unificazione alla Russia non si può spiegare con il genocidio, ci sono forse degli altri argomenti storici indubitabili? Portiamo 3 argomenti: 1) la Crimea è sempre stata russa; 2) la Crimea è stata innaffiata dal sangue russo in molte guerre; 3) la Crimea è stata assegnata all’Ucraina illegalmente. Cerchiamo di spiegarci.
Nell’antichità e nel Medioevo la penisola di Crimea fu governata da molti regimi; sulla sua terra si mescolarono molti popoli, la Russia allora non esisteva ancora e i Rus’ e gli slavi erano, in Crimea, in piccola quantità. Nel secolo XI a Taman (oggi Kuban’) esisteva il principato di Tmutarakan, governato dai Rurikovic’. Probabilmente governavano una certa parte della Crimea orientale ed erano vassalli di Costantinopoli. I tempi antichi testimoniano piuttosto in favore di Kiev che in favore di Mosca. Infatti allora Mosca non era neppure ricordata mentre Kiev era “madre delle città russe”, tant’è che proprio a Kiev ospitava la sede suprema dei Rurikovic’
In seguito, furono Bisanzio, i mongoli e l’Orda aurea a dirigere la Crimea. Nella seconda metà del secolo XIII Costantinopoli consegnò ai genovesi il litorale meridionale, da loro venne fondato il capitanato Gotskij. Nell’estate del 1475 l’impero osmano sottomise la Crimea. Nella parte stepposa della penisola e a Priazov gli osmani conservarono il canato vassallico della Crimea; il litorale meridionale lo inclusero direttamente nella propria dipendenza. La popolazione della Crimea allora era molto eterogenea; vi erano non pochi greci, italiani, armeni, ebrei e slavi. La popolazione della steppa era soprattutto mongolica, la popolazione sui monti e in riva al mare era europea. La lingua comune un po’ alla volta divenne “crimeo-tatara”. Nella penisola fianco a fianco vivevano musulmani, cristiani di varie denominazioni ed ebrei. Ma questo mondo strano divenne russo non prima del 1783.
Proprio in quell’anno la Crimea venne inclusa nell’impero russo. La conquista del canato crimeo da parte della Russia non avvenne senza spargimento di sangue. La popolazione indigena della Crimea, a causa dell’emigrazione nella Turchia che aveva la stessa religione, e a causa della ferocia del governo russo, alla fine del secolo XIV diminuì di 5 volte. Il principe Potemkin così interpretò gli accordi con la Turchia nel 1874 sul diritto di difendere coloro che avevano la stessa fede: con la violenza trasferì i cristiani della Crimea sulle terre del Mar Nero settentrionale. Molti di questi passarono all’Islam per evitare la deportazione. Ancora nel 1930 in molte popolazioni crimeo-tatare esistevano due cimiteri, uno funzionante musulmano e uno chiuso cristiano, e i vecchi spiegavano ai giovani: dobbiamo occuparci di ambedue, nel cimitero cristiano sono sepolti i nostri antenati.
Il governo russo in Crimea, per la popolazione indigena, non fu un beneficio; le comunità musulmane furono private della proprietà sull’acqua e sulla terra, proprietà che passò al governo o agli uomini di corte. Da possessori gli abitanti indigeni divennero affittuari. Durante i 100 anni di dominio russo, da Caterina II ad Alessandro II complessivamente dalla Crimea emigrarono 900.000 musulmani.
Al loro posto giunsero i cristiani dell’impero osmano, greci, bulgari, armeni. Dalla Russia, dalla Germania e dall’Austria giunsero i colonialisti. I proprietari della terra venivano trasferiti in terre abbandonate di agricoltori e di contadini della grande Russia.
Simile situazione vigeva in Abkazia e sul litorale caucasico della Russia: nel secolo XIX la popolazione musulmana, soffrendo per il giogo religioso e per la mancanza di libertà, emigrò nell’impero osmano e si immischiò con i cristiani di origine varia (dalla Anatolia, dai Balcani e da altre provincie dell’impero russo). In Crimea nel 1795 i tatari rappresentavano l’87,6% della popolazione; nel 1897 il 35,6%, nel 1920 il 25% e nel 1939 il 19,4%.
Inoltre dobbiamo tener presente che l’Impero russo dei secoli XVIII, XIX e l’attuale Russia non avevano lo stesso governo. Nell’Impero non entravano soltanto i territori dell’attuale Russia, ma anche buona parte dei territori dell’Ucraina, Bielorussia, Kasakistan, Caucaso, governi baltici, perfino la Polonia e la Finlandia. E tutti i popoli, in modo eguale, consideravano propria la terra della Crimea e la irrigarono con il proprio sudore ed il proprio sangue. Durante la guerra di Crimea (1853-1856) nell’Armata russa erano forse pochi gli ucraini, i bielorussi, i georgiani, tedeschi e polacchi?
L’Impero russo era un paese di molti popoli e l’attuale Federazione russa non può pretendere di avere certe terre solo per il motivo che un tempo facevano parte dell’Impero dei Romanov. I bolscevichi rifiutarono di essere la successione dell’Impero russo, dichiararono di voler fondare un nuovo stato di operai e contadini, suddivisero l’Impero dei territori da loro conquistati in stati formalmente indipendenti, uniti apparentemente in un libero legame.
Essi cambiarono diverse volte i confini di questi stati. L’URSS staccò dalla propria costituzione il Kazakistan e la Kirgizia, in seguito la Carelia-finnica; alla Bielorussia consegnarono le provincie di Vitebsk e Mogila, in seguito l’URSS si aggregò la Carelia e nel 1954 consegnò all’Ucraina la Crimea. Tutte queste manipolazioni, giuridicamente approvate, non tenevano conto della volontà della gente che occupava queste terre. La consegna della Crimea all’Ucraina fu, più o meno, legittima come tutte le altre attività dei bolscevichi riguardo a paesi loro sottomessi.
L’importante è un’altra cosa: sebbene i confini nell’URSS non fossero convenzionali, dopo la caduta dell’URSS furono confermati da accordi internazionali e proclamati indipendenti dalla Federazione russa nel dicembre 1991. Riconosciuti in tutto il mondo dall’accordo bieloiez’skoe, dal grande accordo della Russia con l’Ucraina nel 1997. Così furono definiti i confini e l’appartenenza della Crimea all’Ucraina. A parte il numero formale degli anni di potere, l’Impero russo come quello osmano sono un altro mondo. Ma anche sotto questo aspetto l’Impero osmano comandò la Crimea per 3 secoli, mentre l’Impero russo per 134 anni. Il governo sovietico del quale la Federazione russa si è dichiarata come continuatrice ha diretto la Crimea dal 1920 al 1954, 34 anni, mentre l’Ucraina sovietica e l’attuale Ucraina 60 anni (1954-2014).
Sotto il potere sovietico furono compiuti una moltitudine di crimini contro il popolo originale crimeo-tataro e tutti gli altri popoli della Crimea, compresi i russi. Dopo aver conquistato la Crimea nel 1920 i bolscevichi compirono una carneficina degli appartenenti alla Guardia Bianca che non erano usciti con il generale Vrangel e di altri cittadini legati ai bianchi. Allora perirono circa 60.000 persone. La fame provocata dai bolscevichi negli anni 1921-1922 costò la vita ad altri 80.000 uomini, in gran parte tatari-crimei.
La collettivizzazione dei territori portò alla morte e alla deportazione ancora di decine di migliaia di persone di tutte le nazionalità. Nell’agosto 1941 dalla Crimea furono espatriati con la forza 63.000 tedeschi, e nel gennaio-febbraio 1942 700 italiani, lontani discendenti dei genovesi medioevali. Nel maggio-agosto 1944 dalla Crimea furono espulsi tutti i crimeo-tatari (191.000), i greci (15.040), i bulgari (12.242), gli armeni (9.600), turchi e persiani (3.650). Molti perirono lungo il trasferimento e morirono per le tristi condizioni di vita dove furono deportati.
La popolazione della Crimea si ridusse di 3 volte, nel 1939 nella penisola vivevano 1.126.000 abitanti, nel settembre 1944 379.000. In seguito la Crimea di nuovo cominciò a ripopolarsi, nelle case vuote si stabilirono i veterani della guerra, gli ufficiali ell’ex-esercito sovietico, l’NKVD, e operatori politici. La composizione della popolazione di Crimea mutò drammaticamente. Tutti i gruppi etnici-storici scomparvero. Soltanto nel 1980 incominciarono a ritornare gli scacciati rimasti vivi, i loro figli e i loro nipoti. Ma la loro terra e le loro case furono assegnate ad altre persone. Fra i residenti e i ritornati sorsero terribili conflitti.
Ed ecco “La Crimea è nostra”. Da questo è nata la guerra in Ucraina, mentre la Russia impetuosamente si è trasformata in un paese degradato. Esiste una soluzione? Sì, ma a mio avviso essa esige il rifiuto delle pretese di dirigere questo paese e ritornare alla volontà delle persone che ci vivono, volontà che deve stabilire il proprio destino.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 5:50 am

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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 5:50 am

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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 5:50 am

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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 9:22 am

11)
Il Donbass e le altre aree secessioniste filo russe dell'Ucraina



Ucraina, è l’ora delle bombe: s’infiamma il Donbass, colpito anche un asilo. Biden: invasione imminente
Flavio Pompetti
17 febbraio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/ucrai ... 10888.html

La parete dell’aula dell’asilo di Stanytsia Luhanska, al confine orientale dell’Ucraina nel Donbass, ha le allegre decorazioni di un edificio che ospita bambini in giovane età: caricature di personaggi dei fumetti stampate in rosso su uno sfondo giallo; il dipinto di una scena tropicale con una giungla contornata da palme, e un elefante e un serpente in bella vista. Ma in un angolo della stanza ha fatto irruzione la guerra. Al lato del murale c’è ora uno squarcio rotondo, quello causato dai colpi di mortaio che hanno centrato il palazzo ieri mattina. La follia degli adulti ha fatto irruzione nella stanza con la violenza dei proiettili che hanno abbattuto parte del muro esterno.

Restano i segni del singolo istante che può rovesciare gli equilibri dell’infanzia: i mattoni caduti e i calcinacci sono ora mischiati sul pavimento ai palloni di plastica e ai blocchi colorati con i quali i bambini giocavano fino al giorno prima. La polvere copre gli hula hoop e una scaletta di corda. L’unica fotografia disponibile del bombardamento non mostra persone all’interno della scuola, ma l’esercito ucraino che l’ha diffusa dice che i bambini erano presenti al momento dell’attacco, anche se nessuno di loro è rimasto ferito. Sappiamo però che l’esplosione che ha colpito l’edificio è stata accompagnata da scariche di artiglieria che hanno allarmato i diecimila abitanti del paese, e li hanno costretti a trovare rifugio negli scantinati delle proprie abitazioni. L’incubo che ha tormentato le notti di tanti ucraini negli ultimi mesi ha ora una prima, terrificante istantanea che descrive un futuro possibile per il paese. La scena si è ripetuta in un liceo nella città di Vrubvoka dove tre studenti sono rimasti feriti.

IL CONFINE

La matrice dell’attacco non è chiara. I russi dicono che sono stati gli stessi ucraini ad iniziare schermaglie armate lungo il confine e che l’incidente è dovuto alla eccessiva e immotivata militarizzazione dei loro vicini. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha chiesto ai paesi membri della Nato di scoraggiare nuovi balzi di tensione da parte del governo di Kiev. Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba incolpa invece la Russia per la «severa violazione» dell’accordo di non proliferazione armata che vige nella regione. Gli scambi armati lungo la linea di confine orientale sono all’ordine del giorno: l’Osce ne ha contati 500 in una sola notte. Dalla riunione della Nato a Bruxelles il ministro della Difesa Lloyd Austin definisce l’episodio «preoccupante», e lo inquadra nella strategia del “falso attacco” che secondo l’intelligence statunitense servirebbe ai russi per giustificare un’eventuale violazione della frontiera del paese. Il presidente degli Usa Biden ha ripetuto ieri che l’invasione è imminente e potrebbe partire in qualsiasi momento. Intanto, «l’Unione Europea condanna fermamente la notizia del bombardamento di un asilo a Stanytsia Luhanska: l’attacco indiscriminato di infrastrutture civili è totalmente inaccettabile e rappresenta una chiara violazione del cessate il fuoco e degli accordi di Minsk» ha detto l’Alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell.

L’ESPULSIONE

Comunque sia andata, si è trattato con ogni probabilità di un’azione dimostrativa, un monito esplicito e crudele che aggiunge la forza grafica di una foto alle minacce che da tre mesi aleggiano sulla testa dei civili ucraini. Altrettanto simbolica è stata l’espulsione ieri del viceambasciatore Usa, Bart Gorman, da Mosca. Il diplomatico aveva lasciato il paese la settimana scorsa, ma aveva ancora in tasca le credenziali necessarie per il ritorno. Ieri i suoi documenti sono stati invalidati dal governo russo, nello stesso giorno in cui il capo di Gorman, l’ambasciatore John Sullivan, riceveva la replica scritta alla proposta di mediazione che l’amministrazione Biden aveva presentato a Putin a fine gennaio.


Le bombe nel Donbass e l'allarme degli Usa: "Invasione imminente". Ma Blinken propone un summit con Mosca
Colpi di mortaio nel Donbass, accuse reciproche tra ribelli e Kiev, così come tra l'Occidente e Mosca, cancellano i timidi segnali di de-escalation intravisti nei giorni scorsi.

Valeria Robecco
18 Febbraio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1645183274

New York. Colpi di mortaio nel Donbass, accuse reciproche tra ribelli e Kiev, così come tra l'Occidente e Mosca, cancellano i timidi segnali di de-escalation intravisti nei giorni scorsi e allontanano la soluzione diplomatica alla crisi ucraina, che ora sembra sempre più esplosiva. Il rischio di un'invasione russa è «molto elevato», e un attacco è possibile «nei prossimi giorni», ha avvertito il presidente Joe Biden, precisando come gli Usa abbiano «ragione di credere» che Mosca stia preparando un'operazione sotto «falsa bandiera». Secondo l'Osce ci sono state 500 esplosioni nella notte, principalmente nell'Oblast di Lugansk. Ma «dopo le 11.20 di mattina abbiamo registrato circa 30 esplosioni, quindi potrebbe sembrare che la tensione si sia allentata», ha spiegato il capo della missione di monitoraggio dell'agenzia, Yaar Halit Çevik. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha bollato come «una provocazione» i nuovi bombardamenti nel Donbass e ha ribadito che «l'Ucraina non rinuncerà mai alla Nato», condizione posta dalla Russia per porre fine alla crisi. Dal canto suo il Cremlino ha rovesciato le accuse, parlando a sua volta di «provocazioni» sul terreno: nel Donbass «la tensione è in aumento» e potrebbe «incendiarsi in ogni momento», ha avvertito. E se da una parte Mosca ha annunciato che prosegue il ritiro delle sue forze dalla Crimea, la Casa Bianca ha rivelato che ha al contrario aggiunto «7.000 militari» ai confini.

Intanto, proprio ieri, la Russia ha espulso il vice ambasciatore degli Stati Uniti nella capitale, Bart Gorman, mossa immediatamente definita «ingiustificata» da Washington. Mentre a Bruxelles si è tenuto un Consiglio Ue informale sulla crisi ucraina con i leader europei, al Palazzo di Vetro di New York si è riunito nuovamente il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, a cui all'ultimo momento ha deciso di partecipare di persona anche il segretario di stato americano Antony Blinken prima della conferenza sulla sicurezza oggi a Monaco. «L'obiettivo degli Stati Uniti non è iniziare una guerra, ma evitarla», ha detto il titolare di Foggy Bottom, esortando la Russia ad «abbandonare il percorso di guerra» e sottolineando che «la diplomazia è l'unica via responsabile per risolvere la crisi».

A questo proposito, Blinken ha inviato una lettera al ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov «proponendo di vederci in Europa la settimana prossima». «Mosca dica al mondo e lo dica in modo chiaro che non vuole invadere l'Ucraina, e poi lo dimostri mandando a casa le truppe e sedendosi ai tavoli negoziali», ha aggiunto. Il segretario di Stato ha avvertito che «la Russia potrebbe inventare attacchi terroristici, inscenare attacchi con droni contro i civili, un attacco con armi chimiche, rivelare false fosse comuni. Potrebbe teatralmente convocare riunioni di emergenza per rispondere a operazioni sotto falsa bandiera» e poi cominciare l'attacco. E «gli obiettivi sono già stati identificati e mappati».

Il vice ministro degli Esteri di Mosca Sergey Vershinin, da parte sua, ha accusato Kiev di aver violato ripetutamente gli accordi di Minsk, a partire dal cessate il fuoco. «L'Ucraina rifiuta ostinatamente di attuare le disposizioni degli accordi e i suoi rappresentanti continuano a trovare nuove scuse - ha proseguito - Purtroppo, dopo 7 anni, l'attuazione non sembra che sia nei piani di Kiev».

Nel frattempo, il ministero degli Esteri ha reso noto che Mosca chiede agli Usa il ritiro di tutte le forze e le armi dal sud-est dell'Europa e dai Baltici, aggiungendo che Washington non ha risposto alla loro domanda di riportare in patria le armi nucleari e astenersi da un'ulteriore distribuzione di tali armamenti fuori dai suoi confini. Nelle 11 pagine di riposte sulle proposte di sicurezza degli Usa, Mosca si è detta «pronta al dialogo» con l'Occidente, sottolineando però che «le linee rosse e gli interessi strategici» sul fronte della sicurezza che aveva posto «sono stati ignorati» e «questo è inaccettabile». La Russia ha offerto a Washington una cooperazione per realizzare «una nuova equazione della sicurezza», ma «dovrà reagire, anche attraverso misure tecniche e militari, in mancanza di una disponibilità degli Stati Uniti a discutere delle garanzie alla propria sicurezza», ha continuato il ministero.

Intanto, Zelensky ha affermato che il suo Paese non ha bisogno di militari stranieri sul suo territorio per difendersi da una possibile invasione russa, perché la loro presenza provocherebbe «una destabilizzazione in tutto il mondo»: «Non vorremmo creare un altro motivo per la Russia di dire che noi qui abbiamo delle basi straniere e che loro hanno bisogno di difendersi».



Putin ha dato ordine di mettere subito a disposizione dei cittadini del Donbass che arriveranno in Russia, una somma di 10.000 rubli. Gli sfollati saranno centinaia e centinaia.

Marinella Mondaini
18 febbraio 2022

https://www.facebook.com/fausto.fulcane ... 1204986441

Alla tv russa mostrano le foto dei bambini già raccolti e pronti a salire negli autobus in partenza per Rostov sul Don, dove già si trova il capo della Protezione Civile della Federazione Russia. I bambini sono 225, gli autobus, scortati dalla polizia, tenteranno di arrivare in Russia. Fra loro molti bambini rimasti orfani.
Purtroppo la guerra sembra essere in pieno corso. Nel Donbass sono arrivati i sabotatori , un gruppo di sabotatori ucraini ha cercato oggi di far saltare i serbatoi con l’ammoniaca nella fabbrica di Donezk, "Stirol", dove è rimasto ferito il custode, inoltre ci sono stati 3 tentativi di atti terroristici.
Poco fa un grande scoppio nel centro di Donetsk a pochi metri dagli edifici del governo della Repubblica di Donetsk - è stata fatta saltare in aria l’automobile di un dirigente della milizia popolare. La parte sud della repubblica di Donezk è sotto il fuoco dell'artiglieria pesante.
Il Dipartimento di stato americano ha già detto che queste notizie sono tutte fake !!
Il capo della Milizia Popolare di Donezk, Eduard Basurin, ha fatto un appello alla comunità internazionale e alle strutture votate a garantire la pace, perché diano una valutazione critica e onesta deagli atti criminali commessi dalla parte ucraina!
I diplomatici russi hanno trasmesso all’ONU i dati sui crimini di guerra di KIEV.
Perché è l’Ucraina che ha attaccato il Donbass, mentre in Italia viene detto il contrario, senza vergogna!
Appello ai mezzi d'informazione italiani, basta menzogne! Mettetevi una mano sulla coscienza!



Alberto Pento
Falso, non è l'Ucraina che ha attaccato il Donbass perché il Donbass è parte dell'Ucraina. Caso mai l'Ucraina lo ha difeso dai separatisti filo Russia di Putin.



"La situazione peggiora". Perché la crisi in Ucraina sembra precipitare
Autore Lorenzo Vita
18 febbraio 2022

https://it.insideover.com/guerra/la-sit ... itare.html

Scatta l’allarme sulle regioni orientali dell’Ucraina. Sia da parte di Kiev che di Mosca e delle repubbliche separatiste si segnalano violazioni del cessate-il-fuoco sia nel Donbass che a Luhansk. I leader delle repubbliche secessioniste hanno chiesto ai cittadini di prepararsi a imbracciare le armi e ordinato l’evacuazione dei civili dalle linee del fronte verso la Russia. La situazione, come ripetono ormai tutte le parti in campo, sembra precipitare rapidamente. E dopo gli spiragli che si erano aperti nei giorni scorsi, ora sembra di nuovo calare il buio sull’Ucraina. Come ricorda Axios, l’evacuazione dei civili per ordine di una forza separatista filorussa ricorda quanto avvenne già nella guerra in Georgia del 2008, nel conflitto per l’Ossezia del Sud.


Le ultime inquietanti dichiarazioni

Difficile comprendere quali siano le cause che hanno portato a questo peggioramento della situazione. Difficile perché entrambe le parti, cioè Russia e Stati Uniti, si accusano vicendevolmente di avere provocato l’aumento delle tensioni.

Washington segnala da diverse settimane l’imminenza di un’invasione russa e la possibilità che Mosca possa sfruttare un qualsiasi pretesto per intervenire con le proprie forze armate già disposte lungo il confine ucraino. Alle immagini inviate dal Cremlino che mostravano il ritiro di alcune guarnigioni dal territorio ucraino, hanno fatto seguito le continue smentite da parte atlantica, europea e statunitense. E le parole del segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, e del presidente Joe Biden hanno confermato la linea di pensiero dell’amministrazione democratica sul fato che non vi fossero in realtà segnali di una vera de-escalation. Lo stesso ambasciatore degli Stati Uniti per l’Osce, Michael Carpenter, ha segnalato che in base alle informazioni dell’intelligence “stimiamo che Mosca abbia probabilmente ammassato tra 169.000 e 190.000 effettivi in Ucraina e nelle vicinanze rispetto ai circa 100.000 del 30 gennaio”. Il fatto che Carpenter abbia specificato “in Ucraina” indica che il Pentagono e i servizi Usa includono anche eventuali forze russe presenti in Donbass e a Luhanks. Accusa che dal Cremlino smentiscono.

Vladimir Putin, negli ultimi giorni, ha parlato di quanto avveniva in Donbass come di un “genocidio” e ha accusato il governo di Kiev di aver violato gli Accordi di Minsk sulle garanzie nei confronti delle autoproclamate repubbliche separatiste. E anche oggi Putin ha parlato in conferenza stampa di “sistematiche e massicce violazioni dei diritti umani” nel Donbass e “discriminazioni della popolazione russofona”. Il segnale, giunto dopo la richiesta della Duma russa di riconoscere le due repubbliche, ha fatto comprendere l’intenzione del Cremlino di avere già scelto l’ultima leva contrattuale: quella delle forze filorusse in Ucraina. Un nodo mai sciolto dall’inizio del conflitto e che adesso riaffiora con ferocia in attesa di una risoluzione delle tensioni che eviti uno scenario di guerra su larga scala: perché quella latente e più silenziosa non è mai finita dal 2014.


Il negoziato si fa sempre più stretto

L’impressione è che in questo momento le vie per un negoziato tra Russia e Occidente siano sempre più strette. Mosca, anche nelle ultime uscite pubbliche dei suoi ministri e dello stesso presidente, ha preteso garanzie di sicurezza che in questo momento né Washington né le cancellerie europee sembrano in grado di fornire. L’asticella si sta alzando sempre di più. E quanto affermato ieri in sede Onu dalle autorità russe, e cioè il ritiro delle forze statunitensi dal Baltico e dall’Europa centro-orientale, appariva come un segnale di irrigidimento rispetto alle reali possibilità di un accordo. Il presidente russo, anche oggi, ha sottolineato che secondo lui l’Europa e gli Stati Uniti comunque imporranno sanzioni anche senza un conflitto, semplicemente con un pretesto. E queste affermazioni appaiono come una sorta di ulteriore messaggio che il negoziato non stia andando nella giusta direzione.

D’altro canto, anche da parte degli Stati Uniti non sono mai giunte aperture di credito pubbliche nei confronti della Russia, a parte il rilancio di una telefonata tra Biden e Putin e un incontro che dovrebbe avvenire la prossima settimana tra Blinken e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Vertice che a questo punto potrebbe apparire decisivo per provare a abbassare le tensioni o per certificare l’innesco di un conflitto in cui le forze russe potrebbero sì intervenire ma circoscrivendo le operazioni alle sole repubbliche separatiste. E la minaccia di una guerra, sempre più prossima, potrebbe essere un’ultima arma negoziale.

Nelle prossime ore, l’attenzione su ulteriori mosse da parte dell’Occidente e della Russia e dei loro leader. Putin supervisionerà le manovre russe con i testi dei missili balistici insieme al bielorusso Aleksandr Lukashenko. La Casa Bianca invece ha reso noto che Biden avrà nel pomeriggio (ora di Washington) un incontro virtuale “con i leader transatlantici”.

Se questo è il momento di trovare una soluzione, forse il segnale potrebbe arrivare proprio dal pericolo di una guerra che si fa sempre più imminente. Quasi a indicare un’accelerazione prima che si arrivi allo scenario che nessuno vorrebbe realizzare.



La guerra dell'Ucraina orientale o guerra del Donbass, inizialmente indicata come rivolta (o crisi) dell'Ucraina orientale, è un conflitto in corso che ha avuto inizio il 6 aprile 2014, quando alcuni manifestanti armati, secondo le testimonianze, si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi dell'Ucraina orientale, ossia nelle regioni di Donec'k, Luhans'k e Charkiv.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Donbass

I separatisti chiesero un referendum riguardo allo status delle loro regioni all'interno dell'Ucraina[17] i quali si tennero l'11 maggio 2014.[18] Intanto, dal 6 aprile, sono state due le repubbliche che si sono proclamate indipendenti: la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk.
Tra il 22 e il 25 agosto, l'artiglieria russa, il suo personale e un convoglio umanitario sono stati segnalati da ufficiali della NATO per aver attraversato il confine in territorio ucraino, senza il permesso del governo locale. Sconfinamenti si sono verificati sia in zone sotto il controllo delle forze filo-russe sia nelle aree che non erano sotto il loro controllo, come ad esempio la parte sud-orientale dell'Oblast' di Donec'k, nei pressi di Novoazovs'k.
Questi eventi hanno seguito il bombardamento sulle posizioni ucraine dal lato russo del confine riportato nel corso del mese precedente. Il capo del Servizio di sicurezza dell'Ucraina (SBU) Valentyn Nalyvajčenko ha detto che gli eventi del 22 agosto sono stati un'invasione diretta da parte della Russia in Ucraina e funzionari occidentali ed ucraini hanno descritto questi eventi come un'"invasione furtiva" dell'Ucraina da parte della Russia.


Aereo malese abbattuto in Ucraina, dalle intercettazioni contatti tra russi e ribelli Donbass
14 novembre 2019
https://www.rainews.it/archivio-rainews ... 620f0.html
Stretti legami tra la Russia e i ribelli del Donbass sono testimoniati da nuove intercettazioni telefoniche tra funzionari russi e alcuni leader separatisti. Le conversazioni sono state pubblicate oggi dal Team investigativo internazionale a guida olandese (Jit) sulla tragedia del Boeing malese abbattuto nei cieli del Donbass in guerra nell'estate del 2014. Le telefonate risalgono alle settimane precedenti alla sciagura in cui morirono 298 persone. L'aereo fu abbattuto da un missile di fabbricazione russa.
Il volo Malaysia Airlines 17 MH17 era in servizio il 17 luglio 2014 fra Amsterdam, Paesi Bassi, e Kuala Lumpur, Malaysia e venne abbattuto da un missile terra-aria mentre sorvolava la zona orientale dell'Ucraina. Tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio rimasero uccisi nell'incidente.

Il volo Malaysia Airlines 17 (MH17/MAS17) era un volo di linea operato dalla Malaysia Airlines in servizio il 17 luglio 2014 fra Amsterdam, Paesi Bassi, e Kuala Lumpur, Malaysia, che venne abbattuto da un missile terra-aria Buk, un sistema in quel momento impiegato sia nelle forze armate russe che in quelle ucraine, mentre sorvolava la zona orientale dell'Ucraina. Tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio rimasero uccisi nell'incidente.

https://it.wikipedia.org/wiki/Volo_Malaysia_Airlines_17



Chi sono i ribelli filo-russi?
Il Post
20 luglio 2014

https://www.ilpost.it/2014/07/20/ribell ... i-ucraina/

Secondo fonti dell’intelligence statunitense e secondo il governo ucraino, il volo MH17, un aereo di linea precipitato in Ucraina con 298 persone a bordo, è stato abbattuto dai ribelli filo-russi (qui potete leggere il liveblog con tutti gli aggiornamenti). Di certo c’è che i rottami dell’aereo sono caduti in un’area controllata dai filo-russi e che diversi miliziani armati sorvegliano la zona del disastro: si sa anche che gli stessi miliziani, tra la sera di sabato 19 e la mattina di domenica 20, hanno recuperato numerosi corpi dei passeggeri mentre impedivano agli osservatori dell’OSCE di iniziare le indagini. È meno chiaro chi siano esattamente questi ribelli e quanta parte dell’Ucraina stiano occupando.

Quello che è successo fino ad oggi, in breve
Lo scorso inverno in Ucraina diverse proteste di piazza hanno portato all’allontanamento dal potere del presidente filo-russo Viktor Yanukovich (il Parlamento ucraino ha votato poi formalmente la sfiducia). Nei giorni successivi la Russia ha cominciato a inviare truppe senza insegne identificative a occupare la penisola di Crimea, una repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina dove una parte consistente della popolazione è di lingua russa. Dopo un contestato referendum la cui validità non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale, la Crimea è stata annessa alla Federazione Russa. Negli stessi giorni nelle regioni orientali dell’Ucraina sono cominciate una serie di proteste filo-russe e contro il nuovo governo ucraino. In queste zone una cospicua minoranza della popolazione è di lingua russa. Non è chiaro quanto siano state spontanee le manifestazioni e quale sia stato il ruolo della Russia nelle proteste che ne sono seguite. A marzo gli scontri tra filo-russi ed esercito ucraino sono diventati sempre più violenti: ad aprile diversi uomini armati hanno cominciato ad assaltare un numero sempre maggiore di palazzi governativi e di stazioni della polizia ucraina in diverse zone dell’Ucraina orientale.

Le due repubbliche
Nel corso del mese di aprile i manifestanti si sono organizzati con una struttura gerarchica di tipo militare e hanno proclamato la nascita di due repubbliche autonome: la Repubblica Popolare di Donetsk, fondata il 7 aprile, e la Repubblica Popolare di Lugansk, fondata il 27 aprile. A maggio queste due repubbliche si sono unite nella “Federazione della Nuova Russia”, che reclama gran parte dei territori dell’Ucraina orientale. In realtà gli uomini delle due repubbliche e della federazione controllavano un territorio non molto esteso, grossomodo simile a quello delle regioni di Donetsk e Luhansk: un’area grande all’incirca come Veneto e Lombardia e con una popolazione di circa sei milioni di abitanti.

Né le due repubbliche né la federazione sono state riconosciute da alcuno stato, anche se nei loro territori si sono tenuti dei referendum sull’indipendenza molto contestati (non erano presenti osservatori internazionali). Non è chiaro quanto i leader delle due repubbliche abbiano il controllo dei loro territori e quanto siano in grado di amministrarli, svolgendo le funzioni di cui di solito si occupano i governi civili. A quanto pare le formazioni ribelli sono composte da diversi gruppi, tra cui molti sono ucraini di lingua russa, ma molti altri sono cittadini russi. Questi gruppi sono spesso ben armati grazie agli equipaggiamenti sottratti all’esercito ucraino. Molti esperti, però, ritengono che le armi migliori e più avanzate siano state fornite direttamente dalla Russia.

Ma chi sono i ribelli?
Si calcola che, al momento, i ribelli filo-russi possano contare su 10-20 mila uomini armati che hanno le provenienze più disparate. Alcuni dei leader e dei personaggi più importanti tra i ribelli arrivano dalla “Repubblica di Donetsk”, un’organizzazione separatista fondata nel 2005 e nel 2007 dichiarata un’organizzazione terroristica dal governo ucraino. Negli ultimi mesi, però, sono comparsi molti personaggi che fino a poche settimane prima erano quasi del tutto sconosciuti all’opinione pubblica ucraina. Uno di questi è Denis Pushilin, un politico dell’Ucraina orientale di 33 anni che per breve tempo è stato presidente della Repubblica Popolare di Donetsk (a maggio si è dimesso ed è fuggito in Russia). Una figura di grande importanza al momento sembra essere Pavel Gubarev, 31 anni, anche lui nato in Ucraina orientale e ora Governatore del Popolo della Repubblica di Donetsk.

Ma tra coloro che animano le milizie filo-russe ci sono anche personaggi più misteriosi, che sembrano usciti da un romanzo di spionaggio. Uno di questi è Igor Strelkov (pseudonimo di Igor Girkin), un cittadino russo che attualmente è al comando delle Milizie Popolari del Donbass, la principale formazione armata dei ribelli. A quanto pare, Strelkov è un ex colonnello dei servizi segreti russi e avrebbe avuto un ruolo anche nell’annessione della Crimea. Strelkov non è l’unico straniero ad aver un ruolo nelle milizie filo-russe. Secondo diverse fonti migliaia di ultra-nazionalisti ed ex-veterani russi combattono nell’Ucraina orientale. Accanto a loro ci sono numerosi volontari provenienti dalla Cecenia, dalle repubbliche di Ossezia e Abcasia e da altre zone del Caucaso. Ci sono anche numerosi cosacchi del Don, molti dei quali di nazionalità russa. Uno di loro è il protagonista di un’intercettazione radio (non si sa ancora con certezza se autentica o meno) in cui alcuni ribelli parlano dell’abbattimento del volo MH17.

Non è chiaro quanto queste formazioni molto eterogenee rispondano ai loro capi e nemmeno quanto rispondano alla Russia, anche se sembra certo che in più di un’occasione hanno ricevuto un aiuto proprio da parte del governo russo. I ribelli sono dotati per esempio di armi molto avanzate, alcune delle quali probabilmente sequestrate all’esercito ucraino, altre fornite dalla Russia (ci sono molte prove di passaggi di armi e veicoli pesanti attraverso il confine russo verso le zone controllate dai ribelli). Tra queste armi, secondo alcune fonti dell’intelligence, potrebbero esserci anche i lanciamissili Buk, il tipo di arma ritenuto da molti responsabile dell’abbattimento del volo MH17.

Com’è la situazione oggi?
Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio ci sono stati una serie di scontri tra l’esercito ucraino e i ribelli in gran parte causati dai tentativi dei ribelli di ingrandire il territorio sotto il loro controllo. Ci sono stati anche molti attacchi, non particolarmente intensi ed estesi, dell’esercito ucraino verso le basi in mano ai filo-russi. L’offensiva dell’esercito ucraino è diventata più decisa dopo l’elezione del nuovo presidente ucraino Petro Porošenko del 25 maggio scorso.

Nell’ultimo mese, dopo aver proclamato un cessate il fuoco unilaterale, l’esercito ucraino ha ulteriormente intensificato gli attacchi, utilizzando spesso aerei e artiglieria, mentre l’appoggio russo ai ribelli sembra che sia diminuito. I primi giorni di luglio l’esercito ucraino è riuscito a conquistare Sloviansk, città della regione di Donetsk considerata per diversi mesi la roccaforte del separatismo filo-russo in Ucraina oreintale. Nelle ultime settimane il territorio controllato dai filo-russi si è ristretto sempre di più. Secondo le ultime notizie, gran parte dei filo-russi si sarebbe concentrato a Donetsk e avrebbe cominciato a fortificare la città.



Il presidente americano: "Mosca ha deciso, finché non attacca trattiamo"
Biden contro Putin: "Cerca un pretesto per fare la guerra". Draghi: "Via il gas dalle sanzioni"
Valeria Robecco
19 Febbraio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1645256753

New York - La situazione nel Donbass è sempre più tesa, Joe Biden torna a sentire gli alleati e poi parla dalla Casa Bianca sottolineando che «nonostante i tentativi della Russia di dividerci, siamo rimasti uniti, Usa e alleati europei sono in sintonia» sulla crisi. «Abbiamo motivo di credere che Mosca intenda attaccare l'Ucraina nelle prossime settimane o nei prossimi giorni», ha proseguito il presidente americano, dicendosi «convinto che Putin abbia preso la decisione di invadere». Ma «può ancora scegliere la diplomazia, non è troppo tardi». Intanto, gli Stati Uniti avvertono che la Russia ha concentrato fino a 190.000 militari «dentro e vicino» all'Ucraina, un numero di truppe significativamente più alto di quanto precedentemente noto. «Stimiamo che Mosca abbia probabilmente tra i 169.000 e i 190.000 soldati, rispetto ai circa 100.000 del 30 gennaio», ha avvertito l'ambasciatore presso l'Osce, Michael Carpenter. Mentre a Monaco si è tenuta la prima giornata del vertice sulla sicurezza, a cui hanno partecipato anche la vice presidente Kamala Harris e il segretario di stato Antony Blinken, ieri Biden è tornato a fare il punto sulla crisi ucraina in videoconferenza con gli alleati, tra cui il premier Mario Draghi, il presidente canadese Justin Trudeau, il francese Emmanuel Macron, il primo ministro britannico Boris Johnson, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente polacco Andrzey Duda e quello rumeno Klaus Johannis. Oltre al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Ue Charles Michel. «Insieme abbiamo espresso profonda preoccupazione per il continuo ammassamento di forze russe, si sono impegnati a continuare a perseguire la diplomazia per allentare le tensioni garantendo al contempo la disponibilità a imporre costi economici rapidi e coordinati a Mosca se dovesse scegliere un ulteriore conflitto», ha fatto sapere la Casa Bianca. «La Russia ha creato false provocazioni in Ucraina nelle ultime 24-48 ore», ha detto da parte sua Blinken a Monaco. «Anche se facciamo tutto il possibile per percorrere una via diplomatica e per la soluzione dei problemi mi preoccupo molto del fatto che questa non sia la strada imboccata dal Cremlino», ha aggiunto il titolare di Foggy Bottom, che giovedì prossimo incontrerà il collega Serghiei Lavrov. Harris, a margine della conferenza in Baviera, ha visto il segretariogenerale della Nato, il quale ha spiegato che «gli Stati Uniti continuano a dimostrare la solidarietà transatlantica a parole e nei fatti, consultandosi con tutti gli alleati ad ogni passo, e con più truppe, navi e aerei in Europa». Draghi, invece, aveva già parlato giovedì con Biden, anche in vista del suo viaggio a breve a Mosca («su richiesta di Putin», ha specificato), dove intende contribuire a portare «tutti allo stesso tavolo». Il premier ha ribadito ieri «l'unità della Nato senza sfumature» e «la posizione ferma» di fronte ad un attacco russo, ma ha auspicato che le eventuali sanzioni siano «efficaci e sostenibili», escludendo l'energia, ovvero il gas, che penalizzerebbe in modo particolare l'Italia. «Stiamo discutendo con l'Ue le sanzioni, e abbiamo fatto presente il nostro punto di vista, ossia che devono essere concentrate su settori ristretti, senza comprendere l'energia, e devono essere proporzionate», ha spiegato. Secondo il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, la Russia sta mettendo in pericolo la sicurezza dell'Europa con «richieste risalenti guerra fredda», e deve dimostrare «seri sforzi di riduzione dell'escalation». Mentre il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres si è detto «estremamente preoccupato delle speculazioni su una possibile guerra in Europa». «Io non credo che si arriverà al conflitto, ma se accedesse le conseguenze sarebbero catastrofiche», ha proseguito a Monaco, affermando che «la situazione attuale è più complessa di quella che esisteva durante la guerra fredda». Il leader del Palazzo di Vetro ha invitato tutte le parti a stare molto attente alla propria retorica: «Le posizioni pubbliche dovrebbero avere l'obiettivo di ridurre le tensioni non di alimentarle». Oggi, intanto, è in programma una riunione sulla crisi dei ministri degli Esteri del G7, mentre tra i leader è in programma un summit virtuale giovedì prossimo.



"Fra russi e ucraini rischia di finire in maniera molto dolorosa"
Le pagine profetiche di Aleksandr Solzhenitsyn, l'uomo che sconfisse l'Unione Sovietica. "La previsione del marxismo per cui il nazionalismo sarebbe svanito non si è avverata"
Giulio Meotti
18 febbraio 2022

https://meotti.substack.com/p/fra-russi ... source=url

Cinquant’anni fa Aleksandr Solzhenitsyn, l’autore di Arcipelago Gulag e a mio avviso il più grande scrittore del Novecento, intuì che non sarebbe finita bene fra russi e ucraini. “Le cose andranno in maniera molto dolorosa". Il settimanale francese L’Express ha appena ripubblicato quelle pagine tratte da libri, conferenze e articoli. Testi importanti perché, come scrive Vladimir Fédorovski nel libro Poutine de A à Z, “il presidente russo ha fatto sua la visione di Solzhenitsyn sull’Ucraina”. Testi profetici che dimostrano che Putin ha sia ragione che torto. Solzhenitsyn, contro il panglossismo occidentale, ci ricorda anche che la storia è terribilmente tragica.

"Arcipelago Gulag", parte 5, capitolo 2 (scritto nel 1968 e pubblicato nel 1974)

Mi duole scrivere questo poiché sia l'Ucraina, che la Russia sono fuse nel mio sangue, nel mio cuore e nei miei pensieri. Ma i frequenti contatti amichevoli con gli ucraini nei campi di lavoro mi hanno mostrato quanto doloroso rancore essi nutrono. La nostra generazione non potrà evitare di pagare per gli errori commessi dai nostri padri. Marcare il territorio con il piede e gridare: "Questo è mio" è l'opzione più semplice. È molto più difficile dire: "Chi vuole viverci, ci viva!". Sorprendentemente, la previsione del marxismo secondo cui il nazionalismo sta svanendo non si è avverata. Al contrario, in un periodo di ricerca nucleare e di cybernetica, è per qualche motivo fiorito. E il tempo, che ci piaccia o no, di rimborsare tutte le cambiali dell’autodeterminazione e dell’indipendenza sta arrivando, fatelo voi stessi piuttosto che aspettare di essere bruciati sul rogo, annegati in un fiume o decapitati. Dobbiamo dimostrare che siamo una grande nazione non per la vastità del nostro territorio o per il numero dei popoli di cui ci prendiamo cura, ma per la grandezza delle nostre azioni. E con la profondità dei solchi tracciati dall’aratro che avremo lasciato dopo che quelle terre che non vogliono stare con noi si staccheranno. Con l'Ucraina, le cose andranno in modo estremamente doloroso. Ma bisogna capire il grado di tensione che essi provano. Se per secoli è stato impossibile risolvere questo problema, ora sta a noi mostrare buon senso. Dobbiamo lasciare loro la responsabilità della decisione: federalisti o separatisti, a seconda di chi vincerà. Non cedere sarebbe folle e crudele. Più accomodanti, pazienti, coerenti ci mostreremo adesso, più speranza ci sarà in futuro di ripristinare l'unità. Lasciate che vivano questa nuova situazione, lasciate che provino. Presto capiranno che non tutti i problemi possono essere risolti attraverso la secessione. (Dato che in diverse regioni dell'Ucraina c'è una percentuale diversa di coloro che si considerano ucraini, coloro che si considerano russi e coloro che non si sentono né l’uno né l’altro, ci saranno molte difficoltà lì. Forse sarà necessario disporre un referendum in ogni regione e quindi garantire un trattamento preferenziale e poco invasivo per quelli che vogliono la secessione. Non tutta l'Ucraina nei suoi attuali confini sovietici è davvero Ucraina. Alcune regioni sulla riva sinistra del fiume Dnepr chiaramente propendono di più verso la Russia. Quanto alla Crimea, la decisione di Kruscev di consegnarla all’Ucraina è stata totalmente arbitraria. E che dire della Rutenia Carpatica? Anche questa servirà da test: mentre chiederanno giustizia per se stessi, come potranno gli ucraini essere carpazi russi?

Conferenza all’Harvard Ukrainian Research Institute (1981)

Sono assolutamente d'accordo sul fatto che il problema russo-ucraino è uno dei principali temi dell’attualità e, certamente, di cruciale importanza per i nostri popoli. Eppure, mi sembra che la passione fanatica e il conseguente clima incandescente che ne deriva siano dannosi per la causa. Ho più volte affermato e sto ribadendo qui e ora che nessuno può essere trattenuto con la forza, nessuna delle due parti deve ricorrere alla coercizione verso l'altra o verso la propria stessa parte, che rappresenti l’intero popolo o una qualsiasi piccola minoranza, laddove ogni minoranza contiene, a sua volta, una propria minoranza. In ogni caso l'opinione della popolazione locale deve essere riconosciuta e messa in pratica. Così, tutte le questioni possono essere veramente risolte solo dalla popolazione locale piuttosto che tramite le lontane argomentazioni avanzate nei circoli di emigrati, le cui percezioni sono distorte. (…) Trovo che questa feroce intolleranza nella discussione del problema russo-ucraino (fatale per entrambe le nazioni e vantaggiosa solo per i loro nemici), particolarmente dolorosa perché io stesso sono di origine mista russo-ucraina, sono cresciuto sotto l'influenza congiunta di entrambe queste culture e non ho mai visto né vedo tutt’ora alcun antagonismo tra di loro. Ho più volte scritto e parlato in pubblico dell’Ucraina e della sua gente e della tragedia della carestia ucraina; Ho molti vecchi amici in Ucraina; Ho sempre saputo che la sofferenza dei russi e degli ucraini era in entrambi i casi causata dal comunismo. Nel mio cuore, non c'è posto per un conflitto russo-ucraino, e se, Dio non voglia, le cose arriveranno alle estreme conseguenze, posso dire che mai, in nessun caso, né io né i miei figli ci uniremo a uno scontro russo-ucraino, non importa in che modo alcune teste calde possano spingerci gli uni contro gli altri.

"Ricostruire la Russia", 1990

Separare l’Ucraina oggi significa spaccare milioni di famiglie e di persone: basti pensare quanto è mista la popolazione; ci sono intere regioni [in Ucraina] con una popolazione prevalentemente russa; quante persone ci sono che hanno difficoltà a scegliere a quale delle due nazionalità appartenere; quante persone ci sono di origine mista; quanti matrimoni misti ci sono (a proposito, nessuno ha finora pensato a loro come misti). Nella popolazione in generale non c’è alcun accenno di intolleranza tra ucraini e russi. Naturalmente, qualora il popolo ucraino dovesse davvero decidere per la secessione, nessuno avrebbe il coraggio di trattenerlo con la forza. Ma questo territorio è molto vario ed è solo la popolazione locale che può decidere il destino del proprio paese, della propria regione, mentre qualsiasi minoranza etnica che si è formata di recente su questo territorio deve essere trattata con la stessa non-violenza.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 9:22 am

Il conflitto fa le prime vittime, sono due soldati dell'esercito ucraino. Erano pre-registrate le denunce dei due comandanti dei ribelli
Donbass, colpi di mortaio contro il ministro. La gaffe sui video dei due leader filo-russi

Roberto Fabbri
20 Febbraio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1645335155

Se non fosse una tragedia (e lo è, assolutamente) quella che sta cominciando a consumarsi nel Donbass sarebbe una farsa. La collaudata tradizione russa di diffondere disinformazione per giustificare azioni militari altrimenti ingiustificabili ha raggiunto ieri livelli straordinari, ma al tempo stesso è inciampata in una figuraccia quasi senza precedenti. È successo infatti che i due video con cui i leader delle amministrazioni russe di occupazione nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e di Lugansk ordinavano la mobilitazione generale e l'evacuazione di centinaia di migliaia di civili per sfuggire a presunte aggressioni delle forze armate ucraine erano stati registrati con due giorni d'anticipo.

È stato un errore grossolano a consentire di scoprire l'altrettanto grossolano inganno: Denis Pushilin e Leonid Pesachnyk hanno postato su Telegram i loro accorati messaggi nei quali si rivolgevano ai loro concittadini (chiamandoli «compagni» e «amici») denunciando presunte «concentrazioni di personale e attrezzature pesanti lungo la linea di contatto» e dicendo «Oggi, 18 febbraio». Peccato che nessuno li avesse informati che Telegram registra date e orari, e che da queste registrazioni sia così emerso che i video erano stati pre-registrati ben due giorni prima, mercoledì 16. Ciò significa che la drammatica escalation a cui stiamo assistendo in queste ore era stata pianificata in anticipo dai russi, e che chi li accusa di essere alla ricerca di pretesti per attaccare l'Ucraina ha fondate ragioni.

Nel suo video pre-registrato mercoledì scorso, Pushilin annuncia dunque la mobilitazione per «oggi 18 febbraio» e si appella con toni drammatici «a chi sa tenere un'arma», proibendo ufficialmente agli uomini tra i 18 e i 55 anni di lasciare la «repubblica» secessionista. Sempre il 18 febbraio treni e autobus cominciano a trasferire oltre il confine russo, nella regione di Rostov sul Don, migliaia di civili ai quali è stato fatto credere che gli ucraini stiano per avviare un'aggressione militare su larga scala per riconquistare i territori perduti nel 2014. E il presidente russo Vladimir Putin dà sollecito ordine affinché vengano allestiti ricoveri per i compatrioti minacciati, dichiarando che «la situazione sta peggiorando».

Quest'ultima affermazione è, di fatto, l'unica vera. Il piano russo per la costruzione di un casus belli che giustifichi un attacco che il Cremlino continua a ribadire di non volere è infatti ormai in pieno svolgimento. Scoppiano autobombe a Donetsk, cadono «missili ucraini oltre un chilometro al di là del confine», vengono compiuti misteriosi sabotaggi ai danni di un gasdotto a Lugansk. Non bastasse, l'agenzia ufficiale russa Tass s'incarica di denunciare meticolosamente una lista di ben 31 violazioni in 24 ore del regime di cessate il fuoco all'interno della «repubblica di Lugansk»: responsabili ne sarebbero naturalmente gli ucraini, in preda si suppone a una smania demente di provocare continuamente un nemico strapotente che ha schierato oltre 150mila uomini in assetto di guerra ai suoi confini.

Di fatto, almeno nel Donbass la guerra è già cominciata. Ne sono purtroppo protagonisti, oltre alle decine di migliaia di «profughi» russi già arrivati a Rostov, militari di entrambi gli schieramenti. Nel caos generato da accuse incrociate di attacchi e bombardamenti veri e presunti ai due lati del fronte, già si contano nuove vittime di un conflitto che in questi otto anni, in realtà, non si è mai fermato, trasformando la zona di confine nell'Ucraina orientale nel terreno in cui si combatte in mezzo a civili inermi una «guerra a bassa intensità» (14mila morti a oggi). L'esercito ucraino denuncia due suoi caduti, e colpi di mortaio sono stati esplosi presso Novo Lugansk nella zona del fronte dove si trovava in visita il ministro ucraino dell'Interno Denys Monastyrsky: un avvertimento fin troppo chiaro ai vertici politici di Kiev.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 9:22 am

Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russia
https://www.facebook.com/profile.php?id=100078666805876
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000


Violazione dei diritti umani, civili e politici del popolo ucraino dell'Ucraina e degli ucraini in Crimea e nel Donbass che sono territori dell'Ucraina;
mediante demonizzazione calunniosa e interpretazioni menzognere della storia,
terrorismo e violenza politoca della minoranza russofila in Ucraina, in Crimea e nel Donbass
e successiva criminale aggressione con invasione e occupazione militare che ha causato e che sta causando distruzione e stragi.

Con il sostegno demenziale e irresponsabile
inizialmente della Lega di Salvini, del Consiglio regionale veneto di Zaia e della minoranza venetista venezianista indipendentista che continua vergognosamente a tutt'oggi.

Venetismo venezianista indipendentista che ha ingannato e continua a ingannare i veneti con la sua propaganda menzognera sulla storia del Veneto e i suoi dogmi fideistici e che viola i diritti umani, civili e politici dei veneti, della maggioranza dei veneti che si vuole italiana sia pure con una forte autonomia, più o meno allo stesso modo adoperato dalla minoranza russofila nel Donbass e in Ucraina (questa con l'aggravante del sostegno politico e militare della Russia nazifascista e imperialista di Putin che ha prodotto il terrorismo, la guerra civile e l'aggressione fisica con stupro dell'intera Ucraina);
venetismo religiosamente idolatra e falsamente cristiano che è anche vergognosamente e demenzialmente, fortemente antisemita e antisraeliano.

Io veneto non provo più alcuna simpatia, alcun sentimento di fratellanza e di amore per questa minoranza demenziale e la sua malvagia deriva contro i diritti umani, civili e politici della maggioranza dei veneti, degli ucraini, e degli ebrei di Israele.


Non avrei mai pensato 30 anni fa, quando ho aderito a questo movimento indipendentista, per simpatia etnica, all'oscuro della storia e sulla base della fiducia credendo a quello che mi si raccontava, illudendomi alla fraternità e alla veridicità del racconto ....

I conflitti e la violenza in Ucraina, in Crimea e nel Donbass sono iniziati con l'avvento di Putin al potere in Russia e del Risveglio nazi nazionalista, fascio zarista e imperialista della Grande Russia, a spese dei popoli russi, degli ex paesi liberatisi dall'URSS con il suo crollo e delle aree in precedenza dominio dell'Impero russo degli Zar.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 9:22 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria

Messaggioda Berto » ven feb 18, 2022 9:22 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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