Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:50 pm

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Gli USA di Biden e la Cina



S'infiamma la tensione al largo di Taiwan: gli Usa inviano la portaerei Roosevelt
New York, 24 gen 11:26 - (Agenzia Nova)

https://www.agenzianova.com/a/600d4cb41 ... -roosevelt

Gli Stati Uniti hanno inviato nel la portaerei Uss Theodore Roosevelt nel Mar Cinese Meridionale dopo che ieri una flotta di 13 aerei militari di Pechino è entrata nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Lo rende noto in un comunicato il Comando delle forze Usa per l’Indo-Pacifico, spiegando che il gruppo d’attacco della Roosevelt “è in dispiegamento programmato verso la Settima flotta Usa per assicurare la libertà dei mari” e sta conducendo “operazioni di sicurezza marittima, che includono missioni di volo, esercitazioni navali e addestramento coordinato tra unità di superficie e unità aeree”. Le autorità militari statunitensi non precisano se la mossa sia legata alla dimostrazione di forza della Cina, ma l’invio della portaerei nell’area sembra in ogni caso mandare un implicito messaggio alla Cina a pochi gironi dall’inaugurazione del mandato del nuovo presidente Joe Biden. La Roosevelt, come mostrato dalle immagini satellitari, è già transitata ieri attraverso il Canale di Bashi, tra Taiwan e le Filippine, potenzialmente alla portata dei missili anti-nave cinesi Yj-12, di cui alcuni degli aerei che hanno sorvolato ieri lo spazio aereo di Taiwan sono dotati.

“La pressione militare esercitata dalla Repubblica popolare cinese su Taiwan minaccia la pace regionale e la stabilità”, ha scritto nelle scorse ore il dipartimento di Stato Usa in un comunicato diramato dopo che ieri otto bombardieri e quattro caccia cinesi sono entrati nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan, un'incursione attentamente "monitorata" dall'aviazione di Taipei. Pechino considera Taiwan parte del proprio territorio e, negli ultimi mesi, ha assunto un atteggiamento sempre più assertivo con le proprie forze aeree e navali. Tuttavia, è la prima volta che all'incursione partecipano bombardieri e un numero così ampio di velivoli militari. “Gli Stati Uniti guardano con preoccupazione ai tentativi in corso del Partito comunista cinese di intimidire i suoi vicini, inclusa Taiwan. Invitiamo Pechino a cessare la sua pressione militare, diplomatica ed economica nei confronti di Taiwan, e a impegnarsi invece in un dialogo serio con i rappresentanti democraticamente eletti di Taiwan”, si legge nel comunicato della diplomazia statunitense.

“Sosteniamo tutti i nostri amici e alleati che portano avanti i valori condivisi di prosperità e sicurezza nella regione dell’Indo-Pacifico e continueremo a favorire una risoluzione pacifica alle questioni dello Stretto, coerente con i desideri e i migliori interessi del popolo taiwanese. Gli Stati Uniti tengono fede ai propri impegni di lunga data e continueranno ad aiutare Taiwan a mantenere una sufficiente capacità di autodifesa. Il nostro impegno verso Taiwan è solido e roccioso, e contribuisce al mantenimento della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan e nella regione”, conclude Washington. (Nys)




Navi USA nello Stretto di Taiwan, “l’ultima mossa disperata di Trump
31 dicembre 2020

https://sicurezzainternazionale.luiss.i ... ata-trump/

Due navi dell’Esercito statunitense, i cacciatorpediniere lanciamissili USS John S. McCain e USS Curtis Wilbur, hanno solcato lo Stretto di Taiwan, il 31 dicembre, attirando critiche da parte della Cina che ha protestato contro quello che è stato il 13esimo attraversamento di tali acque da parte di navi statunitensi nel 2020 e che ha inviato le proprie forze aeree e marittime a seguire e controllare la due imbarcazioni lungo tutto il loro tragitto.

Il quotidiano cinese Global Times ha sottolineato che, nonostante si sia trattato del 13 attraversamento dello Stretto di Taiwan dall’inizio del 2020 da parte di imbarcazioni militari statunitensi, è raro che la Marina di Washington invii formazioni composte da due imbarcazioni in questo tipo di operazione nello Stretto di Taiwan. Secondo esperti citati dalla testata, si è trattato “dell’ultima mossa distruttiva e disperata” dell’attuale amministrazione in carica statunitense guidata dal presidente uscente, Donald Trump, prima della sua conclusione, attesa per il prossimo 20 gennaio. Mentre il passaggio di un’imbarcazione ha spesso avuto un valore simbolico, quello di due navi avrebbe incrementato il livello della provocazione e potrebbe essere un segnale rispetto alle intenzioni di Trump prima che finisca il suo mandato.

Il portavoce del Ministero della Difesa cinese, Wu Qian, ha messo in guardia gli Stati Uniti rispetto alla questione di Taiwan, ribadendo che l’isola rappresenta un interesse centrale per la Cina e che non è loro concesso utilizzare scappatoie a riguardo. Wu ha specificato che le azioni delle navi statunitensi abbiano inviato un segnale erroneo alle forze indipendentiste taiwanesi mettendo gravemente in pericolo la pace e la stabilità dello Stretto di Taiwan. Il portavoce ha infine aggiunto che l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) mantiene sempre alta l’allerta delle proprie forze e che è pronto a rispondere a tutte le minacce e le provocazioni, proteggendo risolutamente la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della Cina.

La Marina statunitense ha affermato che si è trattato di un’operazione di routine nel rispetto della legge internazionale e che il transito delle sue navi abbia dimostrato l’impegno di Washington per un Indo-Pacifico libero e aperto. Gli USA hanno quindi dichiarato che il proprio Esercito continuerà a volare e navigare ovunque la legge internazionale lo consenta.

L’ultimo episodio in cui un’imbarcazione militare statunitense aveva attraversato lo Stretto di Taiwan risale allo scorso 19 dicembre, quando il cacciatorpediniere lanciamissili statunitense USS Mustin, che appartiene alla settima flotta pacifica degli USA e ha la propria base in Giappone, aveva attraversato lo Stretto di Taiwan. Il giorno dopo, le stesse acque erano state quindi solcate dalla portaerei cinese Shandong, la più nuova della flotta di Pechino, e da altre 4 navi da guerra dell’EPL, destando preoccupazione da parte delle autorità taiwanesi, che avevano, a loro volta, inviato 6 navi e 8 aerei militari a monitorare gli spostamenti del gruppo di imbarcazioni dell’EPL.

Dall’ascesa dell’attuale leader del governo di Taiwan, Tsai Ing-wen, a capo del Partito Progressista Democratico (PDD), nel 2016, Pechino ha tagliato i ponti con le istituzioni dell’isola in quanto Tsai, rieletta con un’ampia maggioranza alle ultime elezioni sull’isola lo scorso 11 gennaio, ha sempre rifiutato di riconoscere il principio “una sola Cina”. In base a quest’ultimo, Taiwan e la Cina continentale formano un solo Paese di cui l’isola sarebbe una provincia sotto il governo della Repubblica Popolare Cinese (RPC) di Pechino. Tuttavia, a Taipei, è presente un esecutivo autonomo e l’isola si definisce la Repubblica di Cina (ROC), sostenendo di essere un’entità statale separata dalla RPC.

Il governo di Pechino, da parte sua, ha più volte affermato di voler risolvere la questione di Taiwan, che rappresenta la sua maggiore problematica dal punto di vista territoriale e diplomatico e non ha escluso la possibilità di farlo utilizzando la forza. Nel caso in cui ciò avvenisse Taipei è pronta ad adottare il cosiddetto “Concetto di Difesa Generale”, elaborato dall’ammiraglio Lee Hsi-min, una strategia difensiva che si baserebbe sullo sfruttamento di vantaggi asimmetrici nell’evenienza di un’invasione cinese su larga scala e che si fonda su tre pilastri: protezione delle forze armate, battaglie decisive nelle zone costiere e distruzione del nemico al suo approdo nelle spiagge.

Al momento, a livello internazionale, il governo di Taipei è impegnato ad intensificare i propri rapporti con gli USA, suo maggior fornitore d’armi da difesa, l’unico tipo di strumentazione che Washington può commerciare con Taiwan. Dall’inizio del proprio incarico, l’amministrazione Trump ha adottato più iniziative volte ad intensificare i legami tra Washington e Taipei, nonostante, dal primo gennaio 1979, gli USA abbiano riconosciuto ufficialmente il governo della Repubblica Popolare Cinese (RPC) di Pechino, rinunciando a riconoscere la legittimità del governo di Taiwan.

Tra le iniziative più significative, il 16 marzo 2018, gli USA hanno approvato il Taiwan Travel Act che consente e incoraggia visite di alto livello tra Stati Uniti e Taiwan e ,nello stesso anno, hanno aperto a Taipei l’American Institute in Taiwan (AIT), che funge da loro ambasciata de facto sull’isola. Nel 2020, Washington ha poi organizzato due visite di alto livello condotte a Taipei dal sottosegretario per gli Affari Economici degli USA, Keith Krach, e dal segretario alla Salute e ai Servizi Umani degli Stati Uniti, Alex Azar. Oltre a questo, Taipei e Washington starebbero preparando la propria versione delle “Nuove Vie della Seta”, il grande progetto infrastrutturale e d’investimenti lanciato dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013. Lo scorso 30 settembre, le parti hanno annunciato il cosiddetto “Framework to Strengthen Infrastructure Finance and Market Building Cooperation”, una piattaforma per promuovere attraverso i rispettivi settori pubblico e privato progetti infrastrutturali ed energetici nella regione dell’Indo-Pacifico e in America.


Vi racconto la guerra marittima fra Usa e Cina
Giuseppe Gagliano
1 gennaio 2021

https://www.startmag.it/mondo/vi-raccon ... sa-e-cina/


Il rafforzamento della partnership militare con il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e le Filippine deve essere letto proprio come un rinnovato interesse da parte degli Stati Uniti del ruolo fondamentale della potenza navale anti Cina. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

Partiamo da una premessa che dovrebbe essere del tutto ovvia sotto il profilo strategico. Qualsiasi strategia marittima, sia quella inglese – dal Settecento alla seconda guerra mondiale – sia quella americana, è necessariamente una strategia di lungo periodo e quindi richiede investimenti a lungo termine termine cercando là dove è possibile di anticipare le sfide future. Si pensi a tale proposito alle portaerei nucleari della classe Gerald Ford la cui prima serie dovrebbe essere posta in essere il prossimo anno.

Se gli Stati Uniti hanno deciso di investire cospicue risorse nel contesto della proiezione di potenza marittima questo dipende dalla necessità di consolidare la propria potenza navale, consolidamento possibile sia grazie al potere economico e finanziario di cui dispongono almeno fino ad oggi sia grazie all’innovazione tecnologica (pensiamo per esempio sia al fatto che gli Usa sono l’unica nazione che costruisce catapulte per le portaerei flat deck sia al fatto che con la nuova classe di portaerei Ford la Marina si doterà di catapulte elettromagnetiche che saranno in grado di aumentare di circa un terzo le attuali capacità delle catapulte).

Naturalmente investimenti così cospicui sul fronte delle portaerei non sono certamente casuali poiché queste svolgono un ruolo fondamentale di deterrenza tradizionale – sia nel senso di essere in grado di minacciare un intervento armato in caso di crisi – sia di deterrenza nucleare dal momento che gli aerei che partono dalle portaerei – essendo dotati di armi nucleari seppure a basso potenziale – svolgono un ruolo di deterrenza di grande rilevanza. Insomma la portaaerei consente l’uso di una dissuasione graduale o flessibile.

Ma affinché la potenza navale statunitense si possa effettivamente consolidare – soprattutto nel contesto dell’Indo-Pacifico e quindi in funzione di contenimento anticinese – oggi come ieri (alludiamo alla guerra fredda) vanno rafforzate le infrastrutture militari americane presenti negli snodi strategici chiave a livello globale che consentono di esercitare in modo efficace la sua potenza navale.

Il rafforzamento della partnership militare con il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e le Filippine deve essere letto proprio come un rinnovato interesse da parte americana del ruolo fondamentale della potenza navale.

Ebbene proprio l’insieme di tutte queste ragioni non possono che indurre a definire gli Stati Uniti una vera e propria propria talassocrazia moderna.

Non è un caso d’altra parte che l’amministrazione Obama abbia rivolto la propria attenzione verso l’Asia orientale e meridionale partendo dalla constatazione che proprio in questi contesti geopolitici si giochi il futuro del mondo.

Infatti, sul fronte della competizione economica con la Cina, il Trans-Pacific Partnership (TPP) è stato firmato nel 2016, trattato al quale hanno aderito – tra gli altri – Brunei, Giappone, Malesia, Singapore, Vietnam escludendo tuttavia la Cina. Barack Obama ha esplicitato il suo programma sulla politica estera, denominato The Obama Doctrine, rifiutando l’isolazionismo e sostenendo il multilateralismo.

In altri termini Obama ha perseguito esplicitamente la tradizione del realismo incarnato da Bush “senior” e da Scowcroft: gli interventi militari, troppo spesso sostenuti dal Dipartimento di Stato, dal Pentagono e dai think tank, dovrebbero essere usati solo dove l’America è sotto una minaccia imminente e diretta.

In un contesto in cui i pericoli maggiori sono ora climatici, finanziari o nucleari, spetta agli alleati degli Stati Uniti assumersi la loro parte del fardello comune. Pur concordando sul fatto che il rapporto con la Cina sarà il più critico di tutti, il suo programma politico sottolinea che tutto dipenderà dalla capacità di Pechino di assumersi le proprie responsabilità internazionali in un ambiente pacifico. Se non lo facesse e si lasciasse conquistare dal nazionalismo, l’America dovrà essere risoluta e porre in essere tutte le iniziative volte a rafforzare il proprio multilateralismo in funzione di contenimento anticinese.

È molto probabile quindi che l’attuale presidente gli Stati Uniti Biden porterà avanti una strategia di questo natura.


Cina. Il Libro Bianco prevede l’annessione di Taiwan. Ma gli Usa si mettono di mezzo
Giuseppe Gagliano
31 luglio 2019

https://www.notiziegeopolitiche.net/cin ... -di-mezzo/

Nel programma di politica estera del Libro Bianco, aggiornato con cadenza anche se non regolare, Pechino ha nuovamente sottolineato la necessità che la Repubblica di Cina, cioè Taiwan, ritorni alla Repubblica Popolare Cinese anche attraverso l’uso offensivo dello strumento militare. Ebbene, il sostegno militare che gli Stati Uniti hanno offerto a Taiwan e che è andato via via crescendo, soprattutto grazie all’amministrazione Trump, non fa altro che rendere verosimile da parte della Cina l’impiego di un’offensiva militare volta a riannettere l’isola.
Infatti sia la foto pubblicata da parte dell’Esercito popolare sul suo sito ufficiale del caccia Stealth cinese, noto come J-20, sia il fatto che dopo la pubblicazione del documento strategico della difesa cinese la Settimana Flotta Usa abbia inviato l’incrociatore lanciamissili Uss Antietam per svolgere attività di libera navigazione lungo lo Stretto di Taiwan, dimostrano come l’equilibrio politico-militare Usa e Cina continui a essere precario.
Non pochi analisti militari e di politica internazionale statunitensi ritengono l’obiettivo di annettere Taiwan alla Cina potrebbe essere conseguito su lungo periodo. Al di là del divario evidente tra la marina americana e quella cinese, numerose sono le variabili che potrebbero ostacolare o ritardare il conseguimento di questo obiettivo a cominciare dalla guerra economica con gli Stati Uniti o dalla stabilità o coesione interna del Partito Comunista Cinese. La necessità da parte della Cina di annettere Taiwan nasce da un lato da una politica estera di stampo nazionalista, e l’unificazione rientra nel più ampio progetto cinese di unità nazionale, ma dall’altro lato ha origine da esigenze di politica interna, poiché se questo obiettivo fosse conseguito la autorevolezza e la credibilità dell’attuale leader cinese sarebbero indiscutibili. Non è certo un caso che, fra i principali analisti cinesi, una delle ragioni di conflitto principali a medio lungo termine tra Stati Uniti e Cina riguarderà certamente Taiwan. Come indicato da Manlio Graziano, la ragione principale della volontà annessionistica cinese consiste nella possibilità di privare gli Stati Uniti di una fondamentale portaerei collocata difronte alle proprie coste, e quindi l’annessione di Taiwan consentirebbe alla Cina il controllo del Mar Cinese ed altresì un’adeguata proiezione di potenza verso il Pacifico. Da questo punto di vista Taiwan, come sottolineato da uno dei più noti studiosi di geopolitica, Nicholas Spykman, costituisce la chiave del Mediterraneo asiatico.
Tuttavia non c’è dubbio che il principale ostacolo per raggiungere un traguardo così ambizioso è rappresentato dalla presenza militare americana e nipponica. Uno degli scenari possibili ipotizzati dagli analisti internazionali prevede che in caso di aggressione da parte cinese gli Stati Uniti non si tirerebbero certamente indietro, come dimostra d’altra parte il fatto che nel dicembre del 2017 il presidente americano ha siglato un accordo con Taiwan noto come “National Defense Authorization Act”, il quale prevede mutua assistenza nel contesto del Sea power e come si evince dal fatto che Taipei nel 2018 ha firmato con gli Usa il “Taiwan Travel Act”, che promuove la collaborazione con i funzionari americani di alto livello in ambito sia civile che militare. Più recentemente, nel giugno del 2019, il segretario alla Difesa Patrick Shahanan ha sottolineato che gli Stati Uniti intendono rafforzare il loro sostegno militare a Taiwan con una spesa che si aggirerebbe intorno a due miliardi di dollari, sostegno approvato a luglio. D’altronde, sotto il profilo storico, gli Stati Uniti hanno cominciato a fornire armi a Taiwan già dal 1979 attraverso il “Taiwan Relations Act”, durante l’amministrazione di Jimmy Carter, che esplicitamente prevedeva l’intervento militare americano in caso di minaccia alla sicurezza di Taiwan.
Ebbene, una delle condizioni indispensabili affinché la Cina possa affrontare in modo adeguato sul piano militare gli Stati Uniti nell’eventualità di una offensiva militare ai danni di Taiwan è certamente la trasformazione e la modernizzazione della marina militare. Non a caso nel giro di breve tempo la marina cinese ha sviluppato sia una progettualità militare difensiva che offensiva, che dovrebbe consentirle non solo di tutelare la difesa costiera ma anche di attuare un’adeguata proiezione di potenza negli oceani sulla falsariga di quanto già attuato dalla marina sovietica. Proprio per questo gli investimenti che la Cina sta attuando nella costruzione di portaerei sta a dimostrare la consapevolezza dell’importanza sempre più rilevante che sta acquisendo il potere marittimo,o “sea power”, nella strategia militare cinese. Naturalmente il rafforzamento del dispositivo marittimo consente alla Cina di salvaguardare anche le vie di comunicazione marittima sia a livello commerciale che attraversano l’Africa, l’Oceano indiano, lo stretto di Malacca e naturalmente il Mare Cinese Meridionale, in particolare le isole Spratly, ricche di giacimenti petroliferi, sulle quali la Cina nel giugno del 2015 ha costruito una pista d’atterraggio.
In quest’ottica dobbiamo leggere la strategia marittima cinese volta ad avere infrastrutture militari oltremare come quella di Gibuti in Africa, o infrastrutture portuali come quelle di Gwadar in Pakistan, la quale si trova in una posizione strategica a metà strada tra Medio Oriente, l’Asia centrale e l’Asia del sud, e che proprio per questo costituisce lo snodo fondamentale del China-Pakistan Economic Corridor.
Proprio in questi giorni, e si protrarranno fino al 2 agosto, la Cina sta procedendo con esercitazioni navali nelle acque attorno a Taiwan, sia nord e quindi nello stretto che separa i due paesi, sia a sud-ovest. Nell’area è stato alzato il livello d’allerta, ma è certo che l’iniziativa ha un valore espressamente politico, oltre che dimostrativo.
In altri termini,la strategia della Belt and Road Initiative (Nuova Via della seta) implica da parte cinese un incremento del suo impegno sia nell’Oceano Indiano che nel Pacifico e quindi la modernizzazione della marina militare diventa una condizione fondamentale perché questo ambizioso progetto possa compiersi.




Il "Grande Reset" Usa-Cina: Xi Jinping diffida Biden dal proseguire sulla via di Trump
26 gennaio 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... -di-trump/

Xi Jinping non ha pronunciato un discorso da “guerra fredda”: ha attaccato il corso dell’amministrazione Trump e intimato a Biden di non proseguire su quella via, ma ha proposto un “grande reset” delle relazioni Usa-Cina, fondato su multilateralismo e coesistenza. E, sentendosi forte (avanti nella ripresa dell’economia e accordo con l’Ue), ha tracciato le sue linee rosse (la non ingerenza) e usato argomenti molto consonanti con quelli cari alle élites globaliste. Il leader cinese sostiene il ritorno, dopo la “parentesi” Trump, a quel mix di multilateralismo e globalizzazione economica che ha fatto le fortune della Cina. Multilateralismo che però per l’Occidente può trasformarsi in un abbraccio mortale con il regime di Pechino

Miele per le orecchie delle élites di Davos e un avvertimento all’amministrazione Biden, appena insediatasi. Questa la cifra dell’intervento, in videoconferenza, del presidente cinese Xi Jinping al World Economic Forum. Riecheggiando il suo intervento del 2017, che pochi giorni prima dell’insediamento del presidente Trump mandò in brodo di giuggiole le cancellierie europee e i progressisti nostrani, ha messo in guardia da una nuova Guerra Fredda e si è – di nuovo – presentato come alfiere della globalizzazione economica. Il duplice messaggio recapitato a Washington è che Pechino è pronta alla de-escalation, alla normalizzazione dei rapporti, e vedremo su quali basi, ma che in caso contrario non cambierà certo la sua rotta sotto la pressione delle critiche occidentali.

Nel fissare i suoi paletti per un ritorno alla normalità (in primis la non ingerenza), il presidente cinese ha parlato da una posizione di forza, che gli deriva da una economia più avanti nella ripresa (nel 2020 la Cina è stata il maggiore beneficiario di investimenti diretti); dall’avere in mano un accordo di principio con l’Unione europea sugli investimenti reciproci, siglato poco prima dell’insediamento di Biden; e dalle divisioni interne al suo principale rivale.

Rivolgendosi evidentemente alla Washington oggi Democratica, ma riferendosi ai passati quattro anni di presidenza Trump, Xi ha esortato ad “abbandonare il pregiudizio ideologico” e una pericolosa “mentalità da Guerra Fredda”. Non devono preoccupare le “differenze” (“ogni Paese è unico per storia, cultura, e sistema sociale” e “nessuno è migliore”, “non esistono due foglie identiche”), “ciò che genera allarme è arroganza, pregiudizio e odio”. “Il confronto ci condurrà in un vicolo cieco”, ha insistito Xi, elencando le politiche che gli Stati Uniti devono evitare: “costruire piccoli circoli” (il riferimento è all’alleanza delle democrazie di cui si parla), “respingere, minacciare o intimidire gli altri”, “imporre il decoupling o sanzioni”, “creare isolamento o alienazione”. “Il forte non dovrebbe bullizzare il debole”, “le decisioni non dovrebbero essere prese mostrando i muscoli o agitando un grosso pugno”. Il che, detto dal leader cinese, fa abbastanza sorridere… Comunque, ha avvertito Xi, queste politiche alimenteranno le divisioni e spingeranno verso il “confronto”. A cui, è sottinteso, la Cina non si sottrarrà.

Quindi, ecco le due parole magiche suggerite all’amministrazione Biden per il “grande reset”: la prima è multilateralismo. È l’architrave di tutto il discorso di Xi, tanto da dargli il titolo (“Let the Torch of Multilateralism Light up Humanity’s Way Forward”), e guarda caso è nella bocca di tutti a Washington come principale linea di rottura di Biden rispetto alla presidenza Trump, fondata sull’odiato “unilateralismo”. Un convinto ritorno al multilateralismo è infatti anche nelle intenzioni dell’amministrazione Biden ed è propedeutico, nelle parole del presidente cinese, al secondo principio chiave suggerito: coesistenza.

Ma su quali basi? Ovviamente, quelle più congeniali a Pechino, sia dal punto di vista economico (globalizzazione) che politico (non ingerenza negli affari interni).

Xi ha esortato ad abbattere le barriere commerciali, a rafforzare le organizzazioni e i consessi, G20 in primis, per la governance economica globale, a “rimanere fedeli al diritto internazionale e alle regole internazionali piuttosto che cercare la supremazia”. Un chiaro avvertimento a Biden, con una sfumatura beffarda: non fare il “suprematista”… Ha promesso di “liberare il potenziale dell’enorme mercato cinese e dell’enorme domanda interna”. Dolce e invitante melodia per i poteri economici in ascolto e per i leader europei, che vi trovano conferme agli impegni presi da Xi nel recente accordo.

La rimarcata centralità, nel discorso del leader cinese, di organizzazioni quali WHO e WTO, dell’Accordo di Parigi e di consessi multilaterali come il G20, suggeriscono anche i temi sui quali Pechino vede la possibilità di una cooperazione win-win con gli Usa: Covid, commercio, clima. Mentre dove ci sono differenze politiche, come sui diritti umani, le situazioni dello Xinjiang e di Hong Kong, o lo status di Taiwan, l’invito è di “non intromettersi negli affari interni degli altri Paesi”. “Antagonismo e confronto, sia esso sotto forma di guerra fredda, guerra calda, guerra commerciale o guerra tecnologica, alla fine danneggerebbero gli interessi di tutti i Paesi, il benessere di tutti”.

Il discorso di Xi si chiude con i toni universalistici e lo slogan irenico tanto caro al leader che da qualche anno sembrano annunciare l’avvento del “secolo cinese”:

“C’è solo un’unica Terra e un unico futuro condiviso per l’umanità… Uniamo le nostre mani e lasciamo che il multilateralismo illumini la nostra strada verso una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.

Un multilateralismo, però, che può trasformarsi per l’Occidente in un abbraccio letale con il regime cinese.

L’obiettivo della leadership di Pechino nell’approcciare l’amministrazione Biden è infatti quello di ripristinare quell’inerzia nell’ordine globale, che prima della presidenza Trump stava garantendo alla Cina di ridurre molto velocemente il gap con l’Occidente – a danno delle classi medie, delle capacità manifatturiere e della stabilità politico-sociale di quest’ultimo – e di lanciare la sua sfida alla leadership Usa. “Coesistenza” significa questo per Pechino: avere la garanzia di poter continuare a lucrare sulle falle e sui bug del sistema e che l’Occidente, Stati Uniti in primis, non oppongano resistenza alla sua ascesa, all’ineluttabilità di quello che viene già definito “secolo cinese”, destinato a dare all’umanità un “futuro condiviso” ma all’insegna dell’egemonia del Dragone.

A questo scopo, la stabilità delle catene di approvigionamento e lo status quo nella globalizzazione economica – la prima messa in crisi dalla pandemia, il secondo dall’amministrazione Trump – restano interessi vitali per Pechino, tanto che Xi esorta a “non usare la pandemia come pretesto per la de-globalizzazione e il decoupling“. Per dedicargli un passaggio così esplicito il decoupling dev’essere temuto dalla leadership cinese come una minaccia concreta alle proprie ambizioni. E quindi, si conferma un’arma con cui l’Occidente può ancora far male, infliggere danni.

Quanto più Pechino riuscirà a tornare allo status quo ante Trump, quindi, tanto più sarà funzionale al suo disegno egemonico.

Quale sarà la risposta della nuova amministrazione Usa?

Come ha fatto notare Gordon Chang, le prime parole del presidente Biden nei confronti di Xi Jinping, poche ore dopo il suo giuramento, sono state un “affettuoso ricordo”, un tono ben lontano da quello usato in campagna elettorale, quando ebbe a definirlo “thug”, un delinquente, per non apparire meno duro del suo avversario agli occhi degli elettori.

“When I was with Xi Jinping – and I was on the Tibetan plateau with him – and he asked me in a private dinner, he and I, and we each had an interpreter, he said, ‘Can you define America for me?’, and I said yes and I meant it. I said I can do it in one word: possibilities. We believe anything is possible if we set our mind to it, unlike any other country in the world”.

Tradotto: tutto è possibile, anche una governance globale condivisa Usa-Cina, se solo lo vogliamo…

Che colga o meno nel segno la nostra interpretazione, come ha chiosato il South China Morning Post, “il riferimento di Biden al leader cinese sotto forma di ricordo, e privo di commenti negativi sui conflitti bilaterali, segna un cambio di tono dopo quattro anni di crescenti tensioni tra l’amministrazione dell’ex presidente Trump e Pechino”.

Dalle prime parole sembra che Biden voglia riservare per sé, nel suo rapporto con Xi Jinping, il ruolo di “poliziotto buono”, lasciando ai suoi collaboratori, dal segretario di Stato in giù, recitare la parte dei “poliziotti cattivi”.

Mentre giurava come 46esimo presidente degli Stati Uniti, il regime di Pechino annunciava sanzioni individuali nei confronti di 28 funzionari dell’amministrazione Trump e loro famigliari, tra cui l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton – non un trumpiano. Non si hanno ancora notizie di contromisure allo studio dell’amministrazione Biden, ma una portavoce del consiglio di sicurezza nazionale ha criticato le sanzioni cinesi come “una mossa controproducente e cinica”.

Poche ore prima, il Dipartimento di Stato, ancora guidato da Pompeo, aveva ufficialmente dichiarato di considerare genocidio e crimini contro l’umanità la repressione condotta dalla Repubblica Popolare Cinese, sotto la direzione e il controllo del Partito Comunista cinese, contro gli uiguri e altre minoranze nello Xinjiang. Una dichiarazione carica di conseguenze, probabilmente costata a Pompeo le sanzioni cinesi, rimaste al momento senza riposta.

A Pechino, però, non dovrebbe essere sfuggito che nella sua audizione di conferma al Senato, il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha detto di condividere la dichiarazione del suo predecessore e che lui stesso l’avrebbe adottata (“questo sarebbe anche il mio giudizio”). Dunque, a rigor di logica, anche lui dovrebbe incorrere nelle stesse sanzioni.

Ma non è l’unica linea di continuità con le politiche dell’amministrazione Trump che Blinken ha tracciato nel corso della sua audizione in Senato.

Blinken ha riconosciuto che l’ex presidente Trump “ha visto giusto nell’adottare un approccio più duro con la Cina”. “Non sono molto d’accordo con il modo in cui ha affrontato la questione in diversi aspetti, ma il principio di base era quello giusto e penso che sia molto utile per la nostra politica estera”, ha aggiunto.

Il nuovo segretario di Stato ha inoltre elogiato il ruolo dell’amministrazione Trump negli “Accordi di Abramo”, con i quali sono stati normalizzati i rapporti di Israele con alcuni importanti Paesi arabi, e nell’accordo tra Serbia e Kosovo. “Penso che ci siano un certo numero di cose, da dove mi sono seduto, che l’amministrazione Trump ha fatto oltre i nostri confini che applaudirei”.

Un riconoscimento che potrebbe sorprendere, se pensate al livello di scontro interno raggiunto nella politica Usa e alle accuse vomitate dai Democratici contro l’amministrazione Trump per qualsiasi cosa facesse. Non era proprio tutto da buttare, dunque. E forse, richiederebbe qualche rivalutazione e approfondimento in più dei nostri cosiddetti “esperti”, negli ultimi quattro anni intenti a fare da megafono acritico alle sirene che da oltreoceano si stracciavano le vesti, sostenendo che fosse tutto sbagliato e in preda al caos.

Ancora più rilevante, per un clintoniano come Blinken, aver riconosciuto che le precedenti strategie ottimistiche nei confronti della Cina erano fallaci.

“C’era un ampio consenso sul fatto che la liberalizzazione economica in Cina avrebbe portato alla liberalizzazione politica – questo non è accaduto. Non c’è dubbio che la Cina pone agli Stati Uniti la sfida più significativa di ogni altra nazione al mondo”.

Per uno della scuola clintoniana, che su quel nesso causale ha basato la sua apertura a Pechino, culminata con l’ingresso nel WTO nel 2001, un’ammissione non da poco.

Blinken ha anche dichiarato di sostenere l’appoggio diplomatico e militare a Taiwan, nel mirino di Pechino, ha messo in dubbio il futuro di Hong Kong come centro finanziario globale, e ha riecheggiato il presidente Trump nel criticare la Cina per aver ingannato il mondo circa l’origine del virus, contribuendo a diffondere il contagio. Ma ha detto di vedere anche aspetti di cooperazione nella relazione con la Cina, sui cambiamenti climatici e altri temi di interesse comune.

Dunque, la domanda ora è: nell’approccio dell’amministrazione Biden verso la Cina dobbiamo aspettarci una continuità, e in che dosi, con l’amministrazione Trump?

Sembrerebbe di sì dalle parole di Blinken, ma la risposta è più complicata.

Bisogna innanzitutto considerare che il nuovo segretario di Stato parlava al Senato, in occasione della sua audizione di conferma, quindi si trattava di non offrire ai Repubblicani pretesti per rallentare e ostacolare la sua nomina. Come si sa, al Congresso esiste un consenso bipartisan per un approccio più duro nei confronti di Pechino e Blinken non è uno sprovveduto, si rende conto che in ogni caso le politiche della precedente amministrazione rappresentano anche una opportunità, una leva negoziale per la nuova. Se Pechino vuole una de-escalation, un reset nelle sue relazioni con gli Usa, qualcosa dovrà concedere.

Nell’elaborare la sua strategia verso la Cina, l’amministrazione Biden dovrà tenere conto di due dati politici che al momento non appaiono reversibili. Come detto, al Congresso esiste un consenso bipartisan per la linea dura. E non solo sui diritti umani, ma anche nella politica commerciale e nella difesa.

Un consenso che rispecchia – e questo è il secondo dato – un sentiment anti-cinese molto forte, forse maggioritario nel Paese, a cui il presidente Trump ha dato pieno sfogo e rappresentanza politica. E che quindi non è destinato a rientrare nei prossimi anni.

Dunque, questo fronte non potrà essere lasciato scoperto dall’amministrazione Biden. Un semplice ritorno al passato con Pechino, come se la presidenza Trump non fosse mai esistita, è impensabile.

Non è detto però che ciò si traduca nella formalizzazione di una nuova “Guerra Fredda”, verso cui stava andando la precedente amministrazione. Con i media a favore e il pieno controllo della narrazione, la contrapposizione potrebbe restare delimitata nell’ambito dei diritti umani. Spunterà fuori ogni tanto qualche rapporto sugli uiguri o su Hong Kong e fioccherà qualche sanzione individuale. Solletico, mentre in altri campi il confronto potrebbe lasciare posto alla competizione e alla cooperazione.

Per usare le parole di Blinken: “Ci sono crescenti aspetti antagonistici nel rapporto [con la Cina], alcuni certamente competitivi e altri ancora cooperativi, quando è nel nostro reciproco interesse”.

Ci sono almeno tre motivi per cui, al di là delle intenzioni, la strategia dell’amministrazione Biden con la Cina può fallire, facendo scivolare le relazioni su una inerzia simile a quella pre-Trump, favorevole a Pechino.

Primo, il feticcio del multilateralismo, che già in passato si è spesso rivelato fine a se stesso, non un mezzo, e che la leadership cinese ha dimostrato di saper giocare a suo totale vantaggio, acquisendo un’influenza sempre maggiore nelle organizzazioni internazionali; muovendosi abilmente tra le pieghe e le imperfezioni di regole e accordi; guadagnando tempo con una strategia negoziale simile a una “tela di Penelope”.

Secondo, l’Europa, e in particolare la Germania, anello debole. Uno dei principali obiettivi dichiarati dell’amministrazione Biden è recuperare il rapporto con gli alleati europei, per costituire un fronte compatto che possa negoziare e competere più efficacemente con la Cina. Ottimo proposito. Peccato che il Vecchio Continente sia affamato di investimenti e l’economia tedesca troppo esposta alla Cina.

Biden chiederà all’Ue, e in particolare a Berlino, di superare il suo approccio mercantile alle relazioni con Pechino. Ma con il CAI questo approccio è stato appena ribadito. Mentre l’amministrazione Trump stava ponendo i tedeschi davanti ad un bivio (o noi o loro), il ritorno ad un approccio amichevole e paziente rischia di convincerli di poter continuare a “scroccare” la protezione Usa senza rinunciare alla loro proiezione strategica a oriente.

Insomma, i cinesi possono trascinare i negoziati per vent’anni e nel frattempo dividere il fronte, come hanno già dimostrato di saper fare.

Terzo, l’influenza globale degli Stati Uniti è direttamente proporzionale alla loro potenza economica e militare. Ma purtroppo, le politiche dei Democratici non sono più quelle di Clinton, che arrivava dopo Reagan. Le loro ricette economiche e sociali, influenzate dalla identity politics e dall’ideologia dei cambiamenti climatici, rischiano di deprimere l’economia e appesantire il debito federale, minando dall’interno la loro leadership.

Il tratto “filo-cinese” dell’amministrazione Biden, volente o nolente il ritorno alla politica dell’engagement che aveva contraddistinto soprattutto il primo mandato di Obama, potrebbe quindi restare sotto traccia, nascosto dietro una narrazione – per convenienze interne e complicità dei media – ostile a Pechino.

Ma dietro di essa, alla prova dei fatti l’impostazione dell’amministrazione Trump potrebbe venire capovolta: dal confronto alla coesistenza con la Cina (che è bene ricordarlo, dopo Kennedy i Democratici avevano sposato anche con l’Urss) e, al contrario, dal contenimento al confronto con la Russia.



Biden Secretary of State Pick Caught on Hunter’s Laptop, Linked To Chinese Funding
John B. Wells News
PATRICK HOWLEY
January 26, 2021

https://johnbwellsnews.com/biden-secret ... e-funding/

Tony Blinken, the Biden administration’s nominee for Secretary of State, managed a Joe Biden project that received millions of anonymous Chinese donor dollars. Blinken appeared a handful of times in emails found on Hunter Biden’s laptop agreeing to advise Hunter Biden when Hunter worked at the scandal-plagued firm Rosemont Seneca Partners. The Obama State Department set up a meeting between Hunter and Blinken which was postponed, and the two met two months later in 2015.

Hunter Biden coordinated introductions between Blinken and his associates, and Blinken was named in an email in connection to a shady prospective deal involving the federal government and Amtrak, a company that previously had Hunter Biden on its board. NATIONAL FILE, which obtained most of the contents of Hunter’s laptop, features the most relevant Tony Blinken-Hunter Biden emails below.

Will these issues complicate Blinken’s bid to become Joe Biden’s Secretary of State? Blinken sat for his confirmation hearing, where he counted neocon support including from Lindsey Graham. But Blinken has yet to be confirmed by the Senate. Blinken’s nomination heads to the Senate Foreign Relations Committee Monday with a confirmation vote this week. Blinken’s link to Biden’s China dealings is especially concerning.

Blinken served as managing director of the Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement, founded in 2018 at the University of Pennsylvania by Joe Biden ahead of his presidential run. National Legal and Policy Center (NLPC) submitted a complaint obtained by NATIONAL FILE highlighting the organization’s China funding.

“NLPC filed a major complaint with the Department of Education earlier this year demanding that the University of Pennsylvania and its Penn Biden Center disclose the identity of $22 million in anonymous Chinese donations since 2017, including a single eye-popping donation of $14.5 million given on May 29, 2018, shortly after the opening of the Biden Center in Washington, DC,” NLPC stated.

“If Joe Biden and Tony Blinken don’t explain their cozy relationship with Communist China through the Biden Center, any FBI background investigation and Senate confirmation hearing must get to the bottom of this secret money connection,” NLPC Chairman Peter Flaherty stated.

“Not surprisingly, the Penn Biden Center has yet to criticize Communist China for its pandemic coverup for the coronavirus, co-hosting Penn’s China Research Symposium earlier this year where the keynote speaker was China’s top diplomat in New York. Yet, it has no qualms publicly attacking NATO allies Hungary and Poland for taking strong efforts to control the spread of the virus as being undemocratic even though US governors have exercised similar emergency powers,” NLPC counsel Paul Kamenar stated.

Hunter Biden Received An Email About An Amtrak Deal In 2017 That Named Blinken
Blinken wrote to Hunter agreeing to a meeting with a Hunter associate, October 3, 2012
November 2012, Hunter tried to set up a meeting for his associate with Blinken

Meeting in May 2015: The Obama State Department actually SETS UP the meeting for Hunter with Blinken at the State Department. This meeting reportedly did not occur supposedly due to Beau Biden’s death, even though Beau died three days after the meeting was scheduled, but Hunter met with Blinken in July 2015.


Tradotto con http://www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)


La scelta di Biden come Segretario di Stato è stata catturata sul portatile di Hunter, collegato a finanziamenti cinesi
John B. Wells News
PATRICK HOWLEY
26 gennaio 2021

https://johnbwellsnews.com/biden-secret ... e-funding/

Tony Blinken, il candidato a Segretario di Stato dell'amministrazione Biden, ha gestito un progetto di Joe Biden che ha ricevuto milioni di dollari da donatori cinesi anonimi. Blinken è apparso una manciata di volte nelle e-mail trovate sul portatile di Hunter Biden, accettando di consigliare Hunter Biden quando Hunter lavorava presso la società scandalistica Rosemont Seneca Partners. Il Dipartimento di Stato di Obama ha organizzato un incontro tra Hunter e Blinken che è stato rinviato, e i due si sono incontrati due mesi dopo nel 2015.

Hunter Biden ha coordinato le presentazioni tra Blinken e i suoi associati, e Blinken è stato nominato in una e-mail in relazione a un losco accordo prospettico che coinvolge il governo federale e Amtrak, una società che in precedenza aveva Hunter Biden nel suo consiglio. NATIONAL FILE, che ha ottenuto la maggior parte del contenuto del portatile di Hunter, presenta le email più rilevanti di Tony Blinken-Hunter Biden qui sotto.

Questi problemi complicheranno l'offerta di Blinken di diventare Segretario di Stato di Joe Biden? Blinken si è seduto per la sua udienza di conferma, dove ha contato il sostegno dei neocon, compreso quello di Lindsey Graham. Ma Blinken deve ancora essere confermato dal Senato. La nomina di Blinken si dirige verso il Comitato per le Relazioni Estere del Senato lunedì con un voto di conferma questa settimana. Il legame di Blinken con i rapporti con la Cina di Biden è particolarmente preoccupante.

Blinken è stato amministratore delegato del Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement, fondato nel 2018 all'Università della Pennsylvania da Joe Biden prima della sua corsa presidenziale. Il National Legal and Policy Center (NLPC) ha presentato una denuncia ottenuta da NATIONAL FILE evidenziando i finanziamenti alla Cina dell'organizzazione.

"NLPC ha presentato un'importante denuncia al Dipartimento dell'Istruzione all'inizio di quest'anno, chiedendo che l'Università della Pennsylvania e il suo Penn Biden Center rivelino l'identità di 22 milioni di dollari in donazioni cinesi anonime dal 2017, compresa una singola donazione a sorpresa di 14,5 milioni di dollari data il 29 maggio 2018, poco dopo l'apertura del Biden Center a Washington, DC", ha dichiarato NLPC.

"Se Joe Biden e Tony Blinken non spiegano il loro rapporto accogliente con la Cina comunista attraverso il Biden Center, qualsiasi indagine di fondo dell'FBI e l'udienza di conferma del Senato devono andare in fondo a questa connessione segreta di denaro", ha dichiarato il presidente della NLPC Peter Flaherty.

"Non sorprende che il Penn Biden Center non abbia ancora criticato la Cina comunista per la sua copertura della pandemia del coronavirus, ospitando all'inizio di quest'anno il China Research Symposium della Penn, dove l'oratore principale era il più alto diplomatico della Cina a New York. Eppure, non si fa scrupoli ad attaccare pubblicamente gli alleati della NATO, Ungheria e Polonia, per aver preso forti sforzi per controllare la diffusione del virus, come se fosse antidemocratico, anche se i governatori degli Stati Uniti hanno esercitato simili poteri di emergenza", ha dichiarato il consulente NLPC Paul Kamenar.

Hunter Biden ha ricevuto una e-mail su un affare Amtrak nel 2017 che nominava Blinken
Blinken ha scritto a Hunter accettando un incontro con un socio di Hunter, 3 ottobre 2012
Novembre 2012, Hunter ha cercato di organizzare un incontro per il suo socio con Blinken

Incontro nel maggio 2015: Il Dipartimento di Stato di Obama ha effettivamente organizzato l'incontro di Hunter con Blinken al Dipartimento di Stato. Questo incontro non si è verificato presumibilmente a causa della morte di Beau Biden, anche se Beau è morto tre giorni dopo che l'incontro era stato programmato, ma Hunter ha incontrato Blinken nel luglio 2015.



La Cina avverte Biden su Tibet e Hong Kong: "Ci sono linee rosse che non vanno superate"
Gaia Cesare
03/02/2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1612336380

Pechino: ora cooperazione. Washington: ipotesi Emanuel nuovo ambasciatore

«Coesistenza pacifica», «cooperazione vantaggiosa per entrambi», «senza conflitto, senza scontro», ma con il «rispetto reciproco».

Per la prima volta dall'insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca il 20 gennaio, Pechino dice la sua sulle future relazioni con gli Stati Uniti. Lo fa tramite Yang Jiechi, componente dell'Ufficio politico del Partito comunista cinese e direttore dell'Ufficio della Commissione Esteri del Comitato centrale del Pcc, fino a qui l'esponente di maggior spicco a trattare il tema del rapporto con Washington, finito sull'orlo di una nuova Guerra Fredda anche a causa del coronavirus, che l'ex presidente Usa Donald Trump ha sempre definito il «virus cinese». I toni del rappresentante di Pechino suonano all'apparenza concilianti, anche se critici sul passato, come si addice a una nuova ripartenza: «Speriamo che gli Usa superino la vecchia mentalità del gioco a somma zero, della rivalità tra grandi potenze e lavorino con la Cina per mantenere le relazioni sul giusto binario», spiega Yang Yechi.

Ma se Pechino si mostra fiduciosa e sottolinea il «momento cruciale» per ricostruire i rapporti e «cooperare» dopo le «politiche sbagliate» dell'era di Donald Trump, le premesse di un futuro scontro ci sono tutte. Tramite il suo rappresentante, la Cina mette subito in chiaro che ci sono alcune «linee rosse» che non dovranno e non potranno essere superate. Quei «confini» da non oltrepassare hanno un nome, anzi tre: Hong Kong, Tibet e Xinjiang. Ma hanno soprattutto un significato. La Cina non intende accettare lezioni sui diritti umani nell'ex colonia britannica, dove un'onda democratica spinge per maggiori libertà e meno repressione. Pechino vuole continuare a governare con il pugno di ferro in Tibet come fa da 50 anni e non vuole interferenze nella provincia autonoma dello Xinjiang dove secondo l'ex segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, contro la minoranza musulmana degli uiguri è in corso «un genocidio». «Gli Stati Uniti devono smettere di interferire su Hong Kong, il Tibet, lo Xinjiang e su altre questioni che riguardano la sovranità e l'integrità territoriale della Cina - ha insistito Yang Jiechi - e smettere di contenere il nostro sviluppo intromettendosi negli affari interni». Solo così le relazioni Stati Uniti-Cina potranno muoversi lungo un «prevedibile e costruttivo sentiero di sviluppo». Senza dimenticare lo scontro commerciale e la guerra delle spie: basta «tormentare gli studenti cinesi, limitare i media cinesi, chiudere gli Istituti Confucio e soffocare le aziende cinesi».

Serviranno questi proclami a migliorare il rapporto con gli Stati Uniti? Il neopresidente Joe Biden non sembra voler ammorbidire la linea dura del suo predecessore né in campo commerciale né a livello politico, in nome della difesa dei principi democratici e dei diritti umani. Presto dovrà nominare il nuovo ambasciatore statunitense in Cina. Si fa il nome di Rahm Emanuel, ex sindaco di Chicago ed ex capo di Gabinetto di Barack Obama. Di lui si sa che è un combattente dalla lingua affilata, avvezzo allo scontro con i democratici progressisti. Potrebbe essere il perfetto profilo per Pechino.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:51 pm

I cinesi strapazzano la delegazione di Biden con gli argomenti anti-americani del progressismo Usa
Federico Punzi
20 Mar 2021

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... sismo-usa/

Settimana difficile per la politica estera Usa. Dopo lo scambio a distanza Biden-Putin, di cui abbiamo parlato ieri, lo scontro ravvicinato, a favore di telecamere, tra le delegazioni cinese e americana ad Anchorage, Alaska.

Fino ad oggi ci siamo chiesti che cosa intendesse fare l’amministrazione Biden con la Cina: prevarranno gli elementi di continuità con l’amministrazione Trump, quindi sostanzialmente la linea del confronto, come molti pensano, o invece prenderà piede un tentativo di re-engagement, un reset nelle relazioni con Pechino? Noi di Atlantico tendiamo ancora per questa seconda ipotesi (ribadiamo: non una certezza, una ipotesi) per una serie di fattori su cui torneremo. Ma non ci siamo ancora chiesti se Pechino vuole davvero tornare allo status quo ante Trump, se vuole questa “normalizzazione”, o se invece non abbia aperto anch’essa una nuova fase e, nonostante gli appelli a Washington perché receda dalle politiche della precedente amministrazione, non abbia alcuna intenzione di tornare indietro.

I colloqui di Anchorage – il primo faccia a faccia Usa-Cina ad alto livello della presidenza Biden – ci hanno aperto gli occhi proprio su questo secondo quesito. La risposta è tutt’altro che scontata. D’altra parte, già nei mesi scorsi, nel mezzo della pandemia, avevamo notato un salto di qualità nell’aggressività dell’approccio di Pechino: invece di stare sulla difensiva, era passata all’attacco, nella propaganda sul coronavirus come dal punto di vista economico e persino militare. Sui dossier che considera “affari interni”, come Hong Hong, Xinjiang e Taiwan, ma anche attaccando i suoi vicini (India e Australia) e bullizzando alcuni Paesi europei.

La diplomazia Usa aveva preparato il terreno per rimettere in riga la Cina ad Anchorage, ma si è trovata davanti una Cina tutt’altro che disposta a farsi rimettere in riga, determinata anzi a sfidare apertamente l’autorità di Washington come garante e guida dell’ordine internazionale – e persino le regole di tale ordine.

Secondo l’accordo fra le parti, lo speech introduttivo delle due delegazioni, alla presenza di giornalisti e telecamere, sarebbe dovuto durare 2 minuti, ma è accaduto che dopo gli interventi iniziali del segretario di Stato Blinken (2:27) e del consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan (2:17) hanno preso la parola Yang Jiechi, a capo della Commissione Affari esteri del Partito comunista e braccio destro del presidente Xi Jinping per la politica estera, tenendola per oltre 16 minuti, e il ministro degli esteri Wang Yi, per 4.

I due diplomatici cinesi non si sono limitati alle solite accuse di ingerenza negli affari interni cinesi, citando le nuove sanzioni Usa per la stretta su Hong Kong (“non il modo in cui si dovrebbero accogliere i propri ospiti”), o a respingere altre accuse nei loro confronti (gli Usa sono “campioni di attacchi cibernetici”). Hanno approfittato di questi 20 minuti davanti alla stampa per lanciare un duro atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti, un attacco frontale alla loro pretesa di guidare l’ordine internazionale e parlare a nome degli altri Paesi (“non rappresentano l’opinione pubblica mondiale”), ma anche alla loro credibilità come faro di democrazia e diritti umani, con riferimenti espliciti ai problemi interni dell’America.

“Credo che la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo non riconosca i valori universali sostenuti dagli Stati Uniti, né che le opinioni degli Stati Uniti possano rappresentare l’opinione pubblica internazionale”, ha detto Yang. Rincarando la dose: “Questi Paesi non riconoscono che le regole stabilite da un ristretto numero di persone possano servire come base per l’ordine internazionale”.

“È importante per gli Stati Uniti cambiare la loro immagine e finirla di promuovere la loro democrazia nel resto del mondo. Molte persone negli Stati Uniti in realtà hanno poca fiducia nella democrazia Usa”.

Alle critiche americane per le violazioni dei diritti umani in Cina, Yang ha risposto osservando che gli Stati Uniti hanno a loro volta profondi problemi di diritti umani ed esortandoli a fare progressi:

“Speriamo che gli Stati Uniti faranno meglio sui diritti umani. La Cina ha compiuto progressi costanti e il fatto è che ci sono molti problemi negli Stati Uniti per quanto riguarda i diritti umani, cosa che è ammessa anche dagli Stati Uniti stessi. (…) E le sfide che gli Stati Uniti devono affrontare in materia di diritti umani sono profonde. Non sono emerse solo negli ultimi quattro anni, come Black Lives Matter. Non è emerso solo di recente”.

A questo punto, i giornalisti avrebbero dovuto lasciare la sala, ma il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha chiesto loro di fermarsi per ascoltare la sua replica. Dopo aver fatto notare la violazione del protocollo da parte cinese, è entrato nel merito. E ha spiegato, sottolineando le differenze tra regimi autoritari e democrazie, che tratto distintivo della democrazia americana è “riconoscere le nostre imperfezioni, riconoscere che non siamo perfetti, commettiamo errori, facciamo passi indietro. Ma quello che abbiamo fatto nel corso della nostra storia è affrontare queste sfide apertamente, pubblicamente, in modo trasparente, non cercando di ignorarle, non cercando di fingere che non esistano, non cercando di nasconderle sotto un tappeto. E a volte è doloroso, a volte è brutto, ma ogni volta ne siamo usciti più forti, migliori, più uniti come Paese”.

Quindi Blinken ha concluso la sua replica citando Biden, quando da vicepresidente disse all’allora vicepresidente Xi: “Non è mai una buona scommessa scommettere contro l’America. E questo è vero anche oggi”.

Dopo la risposta americana ai giornalisti è stato chiesto di lasciare la sala, ma Yang si è rivolto direttamente alle telecamere, invitandole ad “aspettare”, ed è stato ancora più esplicito nel criticare l’approccio iniziale della controparte e nel sottolineare la debolezza della posizione americana:

“Bene, è stato un mio errore. Quando sono entrato in questa stanza avrei dovuto ricordare agli Stati Uniti di prestare attenzione al loro tono nei nostri rispettivi speech di apertura, ma non l’ho fatto. La parte cinese si è sentita obbligata a fare questo discorso a causa del tono della parte americana. Non era forse intenzione degli Stati Uniti – a giudicare da cosa, e dal modo in cui avete fatto il vostro speech di apertura – parlare alla Cina con tono di superiorità, da una posizione di forza? Quindi, tutto questo è stato pianificato ed orchestrato con cura, con tutti i preparativi in atto? È in questo modo che speravate di condurre questo dialogo?”

“Quindi – ha incalzato Yang – lasciatemi dire qui che, di fronte alla parte cinese, gli Stati Uniti non hanno la qualifica per parlare alla Cina da una posizione di forza. E non l’avevano nemmeno venti o trent’anni fa, perché non è questo il modo di trattare con il popolo cinese”.

Ora, la questione non è stabilire chi abbia prevalso nel match a favore di telecamere, ma interpretare quello che è accaduto. La buona notizia è che il segretario Blinken ha tenuto botta, decidendo di replicare e soprattutto con la battuta “non è mai una buona scommessa scommettere contro l’America”, anche se come vedremo non sono mancati passaggi di estrema debolezza. La cattiva notizia però è che ciò che è accaduto è potuto accadere perché la Cina si sente forte a tal punto, e ritiene la leadership Usa debole a tal punto, da mandare una sua delegazione su suolo americano con il preciso intento di umiliare i padroni di casa.

Tanto che già poche ore dopo, lo scambio veniva sfruttato da Pechino per la sua propaganda interna: oltre 400 milioni le visualizzazioni sul social Weibo e un fiume di meme sulle dure parole di Yang Jiechi all’indirizzo della delegazione Usa. Emblematico il tweet del direttore del Global Times Hu Xijin:

“Cina e Stati Uniti non si sono mai incolpati a vicenda in modo così aperto e aspro. È la dimostrazione che l’era in cui gli Stati Uniti possono fingere di avere abbastanza potere e parlare con superiorità alla Cina è finita. Devono trattare Pechino in modo equo e rispettoso.”

A prescindere da come Blinken abbia rintuzzato, a inquietare dovrebbe essere il fatto che i cinesi hanno osato tanto giocando fuori casa. D’altra parte, non è che la delegazione Usa fosse arrivata all’incontro per esprimere toni concilianti e i cinesi questo l’avevano capito: le sanzioni individuali varate da Washington pochi giorni prima, il segretario di Stato che poche ore prima aveva ventilato l’ipotesi di un boicottaggio dei Giochi olimpici invernali di Pechino nel 2022, erano segnali fin troppo chiari. E infatti lo speech d’apertura di Blinken non è stato un tenero benvenuto, ma una reprimenda: ha prima spiegato che gli Stati Uniti intendono “rafforzare l’ordine internazionale basato su regole”, senza il quale il mondo sarebbe “molto più violento e instabile”, e ha poi accusato la Cina, con le sue azioni nello Xinjiang, a Hong Kong e nei confronti di Taiwan, così come con i suoi attacchi informatici e la coercizione economica verso gli alleati degli Stati Uniti, di “minacciare l’ordine basato su regole che mantiene la stabilità globale”. Ecco perché “non sono solo questioni interne, e perché ci sentiamo in obbligo di sollevare questi problemi qui oggi”.

Quello che la delegazione Usa non si aspettava è che i cinesi avessero preparato una controffensiva così a 360 gradi a favore di telecamere, non limitandosi a difendersi dalle accuse americane, ma mettendo in discussione l’autorità stessa degli Stati Uniti di dare lezioni agli altri e di stabilire le regole dell’ordine internazionale. E si è trattato di un errore di valutazione di Blinken non prevedere che la controparte cinese potesse essersi preparata a rispondere per le rime, offrendo ai cinesi l’occasione per una strigliata senza precedenti ad una delegazione Usa di così alto livello davanti alla stampa.

La replica del segretario di Stato, inoltre, è sembrata troppo sulla difensiva, di fatto accettando che i presunti “peccati” dell’America fossero sul tavolo, oggetto di discussione. Cosa ha risposto Blinken a Yang quando ha accusato gli Stati Uniti di essere un Paese razzista che viola i diritti umani? “Però ammettiamo i nostri errori e ci stiamo migliorando”… E nemmeno una parola sulle responsabilità criminali di Pechino nella diffusione del coronavirus, sul cover-up, la censura e il rifiuto di cooperare nelle indagini sulle origini del virus.

La conferma che a indebolire gli Stati Uniti (e l’Occidente) di fronte ai suoi rivali strategici è il progressismo nella sua deriva woke, la vergogna di sé, l’autodafè espressi nella cancel culture. È questa purtroppo l’ideologia quasi ufficiale oggi in America, che si sta rivelando un’ottima arma in mano ai regimi autoritari per attribuire agli Stati Uniti ogni nefandezza e, così facendo, cercare di porsi sul loro stesso piano. Se per anni non fai che spiegare quanto l’America sia cattiva, la sua storia piena di efferatezze e sopraffazioni, se racconti la bufala del “razzismo sistemico”, puoi aspettarti che il tuo avversario userà questi argomenti woke contro di te, quando gli rimprovererai il trattamento riservato agli uiguri. La fiducia in se stessi, la consapevolezza dei traguardi della propria civiltà, è una risorsa strategica nelle relazioni internazionali.

Infine, sul piano più squisitamente politico, Yang ha smascherato il bluff con cui Blinken ha cercato di irretire la controparte cinese.

Il fulcro della nuova strategia dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina, e principale fattore di discontinuità rivendicato rispetto alla presidenza Trump, è il recupero del rapporto con gli alleati. Il segretario di Stato ha vantato una nuova, più stretta e rinvigorita collaborazione con gli alleati, sottolineando che nelle chiamate con “quasi 100 controparti”, e nelle sue prime visite, citando quelle in Giappone e Corea del Sud, “devo dirvelo”, “ho sentito profonda soddisfazione per il ritorno degli Stati Uniti, per il fatto che ci siamo impegnati nuovamente con i nostri alleati e partner. E ho sentito anche profonda preoccupazione per alcune delle azioni che il vostro governo ha intrapreso”.

Se Blinken ha voluto intendere che è pronto a stringersi una sorta di cordone sanitario intorno alla Cina, nel caso in cui non si comporti bene, la delegazione cinese non ci è cascata minimamente. In realtà, il coinvolgimento di alleati e partner in una strategia comune verso Pechino è ancora poco più che un’intenzione e Yang ha avuto gioco facile a prendersene gioco. Non esiste ancora, e non sappiamo dire se mai esisterà, un fronte compatto di democrazie decise a contrapporsi all’ascesa della Cina, a fare gioco di squadra per affrontare le singole sfide poste dalle politiche sempre più aggressive di Pechino. Forse su questo l’intesa con Londra è solida, il discorso con Australia, Giappone e Corea del Sud è più avanzato, ma certamente è molto indietro con l’Europa continentale, che ha una posizione molto più ambigua. E l’accordo sugli investimenti Ue-Cina siglato pochi giorni prima dell’insediamento di Biden è un segnale in questo senso: l’Ue vuole trattare in autonomia, senza tutori, giocare la sua partita. Di recente, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza, sia la cancelliera tedesca Merkel che il presidente francese Macron hanno declinato in modo esplicito l’invito di Washington a “fare gruppo” nel trattare con Pechino.

Dunque, per tutti questi motivi, lo speech iniziale e anche le repliche della delegazione Usa ad Anchorage sono stati ingenui. Nelle relazioni internazionali si usa spesso il motto “speak softly and carry a big stick“. In questo caso, gli uomini del presidente Biden, Blinken e Sullivan, si sono mossi all’insegna di un pericoloso “speak harshly and carry a small stick”.



RUSSIA-CINA Yan Xuetong: Biden sta formando ‘una coalizione contro la Cina e la Russia’
Vladimir Rozanskij
24/03/2021

http://www.asianews.it/notizie-it/Yan-X ... 52688.html


I commenti dopo l’incontro dei ministri degli Esteri Sergej Lavrov e Wang Yi a Guilin. Cooperazione fra Mosca e Pechino su Iran, Corea del Nord, Afghanistan. Sospetto l’appoggio dell’occidente a Naval’nyj, opposizione bielorussa, la piazza di Hong Kong. Collaborazione economica e strategica contro il dollaro. No ad un’alleanza militare. Putin e Xi Jinping stanno stilando una dichiarazione comune.

Mosca (AsiaNews) – “Sembra che stia formando una coalizione diretta allo stesso tempo contro la Cina e contro la Russia”: è quanto ha dichiarato ieri Yan Xuetong, in un’intervista alla Nezavisimaja Gazeta. Yan è Il direttore dell’Istituto Cinese per le relazioni internazionali e commentava l’incontro avvenuto ieri fra i ministri degli Esteri di Russia e Cina, Sergej Lavrov e Wang Yi nella città cinese di Guilin(Guangxi).

L’arrivo del ministro russo in Cina, subito dopo l’incontro dei diplomatici cinesi ed americani in Alaska, suggerisce in effetti che Mosca e Pechino abbiano deciso di coordinare le proprie reazioni di fronte alla sfida lanciata da Washington alle due superpotenze nello stesso tempo.

A Pechino si sono ormai convinti che i rapporti con la nuova amministrazione Usa saranno ancora più complicati che con quella di Donald Trump. Per questo i cinesi avrebbero deciso di rafforzare la cooperazione con la Russia nella sfera economica e sulle questioni più scottanti, come il dossier nucleare sull’Iran, la Corea del Nord e l’Afghanistan.

La scelta di Guilin, invece della capitale, può apparire sorprendente per un incontro ai vertici delle diplomazie, nonostante i meravigliosi paesaggi offerti dalla città. Oltre a fare propaganda al turismo, la scelta potrebbe riguardare proprio la delicatezza delle trattative, che suggeriscono maggiore riservatezza.

Nell’intervista alla Nezavisimaja Gazeta, Yan Xuetong ha osservato che “il presidente Biden, dopo l’insediamento, ha deciso di comunicare più spesso con i suoi alleati. Ha promosso il summit con i leader di Giappone, Australia e India nel formato Quad (“il quartetto”), i suoi diplomatici hanno condotto trattative con la Corea del Sud e il Giappone, e il segretario di Stato Blinken è volato a Bruxelles per gli incontri con la Nato e l’Unione Europea”.

Secondo Yan, la visita di Lavrov ha lo scopo di “rafforzare il coordinamento strategico con la Cina, che peraltro non ha intenzione di trasformare l’America in un nemico a tutto campo. La Cina vorrebbe tornare alle condizioni precedenti di rispetto reciproco”. Neanche la Russia avrebbe intenzione di rompere definitivamente le relazioni con gli occidentali, nonostante le ripetute dichiarazioni di Lavrov sulla “fine dei rapporti” tra Russia e Unione Europea.

Mosca e Pechino temono che la loro politica interna subisca le ingerenze americane, con tentativi di fomentare delle “rivoluzioni dei fiori” tramite il sostegno a movimenti di opposizione, come quello di Naval’nyj in Russia (e delle donne bielorusse), o ai moti di piazza di Hong-Kong.

Sulla Nezavisimaja Gazeta è apparso anche il commento di un esperto russo, Aleksej Maslov, direttore dell’Istituto per l’Estremo Oriente dell’Accademia delle Scienze, secondo il quale “ci sono questioni che la Cina può sperare di risolvere solo con l’aiuto della Russia”. Uno di questi sarebbe l’indebolimento della forza economica del dollaro e la “de-dollarizzazione” dei due Paesi, fattore citato più volte dallo stesso Lavrov. “In questo la Cina non può farcela senza la Russia, considerando il livello delle relazioni commerciali tra i due, che superano i 100 miliardi di dollari”, ha detto Maslov.

L’incontro di Guilin prepara le possibili celebrazioni dei 20 anni dall’Accordo di base tra Russia e Cina, che fu sottoscritto il 16 luglio 2001. Parlando alla stampa cinese, Lavrov ha annunciato che i presidenti Putin e Xi Jinping stanno stilando una dichiarazione comune per il ventennio dell’Accordo, anche se ha smentito le ipotesi di un “accordo militare” tra i due Paesi, che sarebbe l’inizio di una nuova era di confronto con l’Occidente.


Il presidente Usa vuole un rapporto in 90 giorni sull'origine del virus. La Cina: questa è calunnia
Biden non molla su Wuhan. Ira di Pechino: "Ora basta"
28 Maggio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1622183670

Occhi di nuovo puntati sulla Cina. Dopo che il presidente americano Joe Biden ha ordinato all'intelligence di «raddoppiare» gli sforzi per indagare sulle origini della pandemia, anche il Senato ha dato un mandato agli 007, approvando una legge ad hoc per declassificare le informazioni sull'origine del Covid-19. La nuova norma autorizza la divulgazione di «ogni possibile informazione relativa al potenziale collegamento tra l'istituto di virologia di Wuhan e l'origine del coronavirus». Biden ha concesso novanta giorni per avere un rapporto dall'intelligence, che avrà l'assistenza dei laboratori nazionali degli Usa. «Gli Stati Uniti - ha affermato il leader della Casa Bianca - continueranno anche a lavorare con partner affini in tutto il mondo per spingere la Cina a partecipare a un'indagine internazionale completa, trasparente e basata su prove e per fornire accesso a tutti i dati e le prove rilevanti». Biden pretende che il governo cinese debba rispondere a «domande specifiche». E, sempre entro 90 giorni, la legge approvata dal Senato prevede che le informazioni raccolte siano divulgate. «Il popolo americano ha il diritto di essere informato sulle origini del Covid - ha detto in aula uno dei senatori sponsor della legge -, ha il diritto di sapere come questa terribile pandemia abbia devastato il mondo e il nostro Paese, come sia iniziata e quale sia il ruolo della Cina». La legge chiede in particolare che vengano divulgate le informazioni riguardo all'attività del laboratorio di Wuhan, dei programmi di ricerca per l'esercito cinese e le notizie relative ai ricercatori cinesi che sarebbero stati ricoverati nell'autunno del 2019 con sintomi riconducibili al Covid.

Un primo tentativo di analisi sulle origini del coronavirus era stato effettuato dalla presidenza Usa all'inizio del 2020: «Ho chiesto al Cdc (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) di accedere alla Cina per conoscere il virus e poterlo combattere in modo più efficace», ha detto Biden, osservando tuttavia che «il mancato coinvolgimento dei nostri ispettori sul campo in quei primi mesi ostacolerà sempre qualsiasi indagine sull'origine del Covid-19».

Dopo la decisione di Washington, anche Facebook ha deciso di interrompere la censura ai post che speculavano sull'origine del coronavirus, mettendo il laboratorio di Wuhan nel mirino. «Alla luce delle indagini in corso sull'origine del Covid e dopo consultazioni con i nostri esperti di salute pubblica, non rimuoveremo più dalle nostre piattaforme le affermazioni che il Covid è stato generato in laboratorio», ha dichiarato il colosso del social media.

Da Pechino arrivano, nel frattempo, un immediato e secco no a qualsiasi nuova indagine e un'accusa alla «storia oscura» dell'intelligence americana. «Gli Stati Uniti non si preoccupano affatto dei fatti e della verità», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian. Gli Usa «vogliono usare la pandemia per lo stigma, la manipolazione politica e la calunnia». La Cina, ha aggiunto Zhao, sostiene il lavoro dell'Organizzazione mondiale della sanità, e le indagini condotte a Wuhan a inizio 2021 - in base alle quali viene ritenuto «estremamente improbabile» una fuga del virus da un laboratorio - sono «autorevoli».

La chiusura netta di Pechino alla proposta di Biden è stata accompagnata, nelle stesse ore, da un nuovo giro di vite su Hong Kong, dove la polizia ha vietato per il secondo anno consecutivo la veglia annuale di commemorazione per le vittime della strage di piazza Tiananmen del 4 giugno 1989. Il Parlamento della città, inoltre, ha approvato con 40 voti favorevoli e solo due contrari - in assenza di parlamentari di opposizione - la riforma del sistema elettorale della città, che riserva le cariche governative ai soli «patrioti», cioè i fedelissimi del partito comunista.




Rapporto degli Stati Uniti ritiene plausibile che il Covid-19 sia fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan
9 giugno 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -di-wuhan/

Un articolo di Michael R. Gordon e Warren P. Strobel pubblicato sul The Wall Street Journal di martedì 8 giugno 2021 ha rivelato informazioni su un rapporto stilato da un laboratorio di ricerca americano, il Lawrence Livermore National Laboratory, sulla possibilità che il virus fosse fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan.

Di seguito riportiamo la traduzione dell’articolo del Wall Street Journal.
Il rapporto sul laboratorio di Whuan del 2020 è stato utilizzato dal Dipartimento di Stato nella sua indagine durante l’amministrazione Trump

Un rapporto sulle origini del Covid-19 redatto da un laboratorio del governo degli Stati Uniti ha concluso che l’ipotesi che il virus sia fuoriuscito da un laboratorio cinese a Wuhan è plausibile e merita ulteriori indagini, secondo persone che hanno familiarità con questo documento riservato.

Lo studio è stato preparato nel maggio 2020 dal Lawrence Livermore National Laboratory in California ed è stato utilizzato dal Dipartimento di Stato americano quando ha condotto un’indagine sulle origini della pandemia durante gli ultimi mesi dell’Amministrazione Trump.

Sta attirando il nuovo interesse del Congresso ora che il presidente Biden ha ordinato che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti gli riferiscano entro poche settimane su come è comparso il virus. Biden ha detto che l’intelligence degli Stati Uniti si è concentrata su due scenari: se il Coronavirus sia scaturito dal contatto umano con un animale infetto oppure da un incidente di laboratorio.

Persone che hanno familiarità con lo studio hanno detto che è stato preparato dalla “Divisione Z” del Lawrence Livermore, che è il suo “braccio di intelligence“. Il Lawrence Livermore ha una notevole esperienza in questioni biologiche. La sua valutazione si è basata sull’analisi genomica del virus SARS-COV-2, che causa il COVID-19.

Gli scienziati analizzano la composizione genetica dei virus per cercare di determinare come si sono evoluti e diffusi nella popolazione. I sostenitori di entrambe le tesi nel dibattito sulle origini del COVID-19 hanno citato tali analisi per cercare di dimostrare la loro ipotesi.

Una portavoce del Lawrence Livermore ha rifiutato di commentare il rapporto, che rimane segreto.

Si dice che la valutazione sia stata tra i primi sforzi del governo degli Stati Uniti per esplorare seriamente l’ipotesi che il virus sia trapelato dall’Istituto cinese di virologia di Wuhan insieme all’ipotesi dominante che il virus si sia diffuso naturalmente dagli animali agli uomini. Anche se alcuni scienziati di spicco hanno chiesto un’indagine più completa sull’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio negli ultimi mesi, molti scienziati insistono ancora sul fatto che una diffusione naturale rimanga la spiegazione più probabile.

Il governo cinese ha ripetutamente negato che il virus sia fuoriuscito da un laboratorio cinese e ha detto che sta cooperando pienamente negli sforzi internazionali per trovare le origini della pandemia. Molti scienziati e funzionari di altri paesi contestano che Pechino abbia fornito sufficiente accesso e trasparenza nell’indagine. L’Istituto di virologia di Wuhan ha anch’esso negato che il virus sia fuoriuscito dalle sue strutture e ha detto (falsamente, n.d.r.) che nessuno del suo personale è risultato positivo al COVID-19.

Una persona che ha letto il documento, che è datato 27 maggio 2020, ha affermato che tale rapporto è una solida base per ulteriori indagini sulla possibilità che il virus sia fuoriuscito dal laboratorio.

Lo studio ha anche avuto una grande influenza sull’indagine del Dipartimento di Stato americano sulle origini del COVID-19. I funzionari del Dipartimento di Stato hanno ricevuto lo studio alla fine di ottobre 2020 e hanno chiesto ulteriori informazioni, secondo la linea temporale del Bureau of Arms Control, Verification, and Compliance presso lo stesso Dipartimento di Stato, che è stata verificata dal Wall Street Journal.

Lo studio è importante perché proviene da un laboratorio americano rinomato e perché differisce dall’opinione dominante, dalla primavera del 2020, secondo cui il virus “quasi certamente” è stato trasmesso agli esseri umani attraverso un animale infetto, ha detto un ex funzionario coinvolto nell’inchiesta del Dipartimento di Stato.

I risultati del Dipartimento di Stato, che sono stati verificati dalle agenzie di intelligence degli Stati Uniti, sono stati resi pubblici in un documento informativo del 15 gennaio 2021 che ha elencato una serie di ragioni circostanziali secondo cui l’epidemia di COVID-19 potrebbe aver avuto origine come conseguenza di un incidente di laboratorio. Essi includono l’affermazione che “il governo degli Stati Uniti ha ragione di credere che diversi ricercatori all’interno del WIV si siano ammalati nell’autunno 2019” con sintomi che erano coerenti con il COVID-19 o un’influenza stagionale.

Leggi anche: “Le informazioni sul personale malato al laboratorio di Wuhan alimentano il dibattito sull’origine del Covid-19”

Il WSJ ha riferito il mese scorso che questa affermazione era basata, almeno in parte, su un rapporto di intelligence degli Stati Uniti, secondo cui nel novembre del 2019 almeno tre ricercatori del WIV si ammalarono a tal punto da ricorrere a cure ospedaliere.

La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha detto che le informazioni sui tre ricercatori provenivano da un ente straniero e che sono necessarie ulteriori conferme. I funzionari dell’amministrazione Biden hanno anche notato che il documento informativo del Dipartimento di Stato del 15 gennaio riconosce che il governo degli Stati Uniti non sa esattamente “dove, quando e come” il virus sia stato trasmesso per la prima volta agli esseri umani.

L’esistenza dello studio del Lawrence Livermore è stata riportata dal Sinclair Broadcast Group il mese scorso ed è stato notato in un recente articolo di Vanity Fair.

Nella sua dichiarazione del 26 maggio, che chiedeva una nuova indagine dell’intelligence, Biden non ha fatto riferimento al rapporto classificato del Lawrence Livermore, ma ha detto che i laboratori nazionali degli Stati Uniti, supervisionati dal Dipartimento dell’Energia, avrebbero affiancato il lavoro delle agenzie di intelligence.

Dopo i primi rapporti pubblici sullo studio del Lawrence Livermore, i Repubblicani della commissione Energia e Commercio della Camera – che stanno conducendo le loro indagini sulle origini del COVID-19 – hanno scritto al direttore del laboratorio, la dottoressa Kimberly Budil, chiedendo un briefing riservato sulla questione.

Il Segretario di Stato Antony Blinken ha detto in una recente intervista ad Axios che è stata trasmessa su HBO Max che gli Stati Uniti hanno bisogno di andare fino in fondo a ciò che è successo per prevenire o mitigare gli effetti di future pandemie.

Il governo cinese, ha aggiunto, non ha fornito accesso od informazioni sufficienti per far progredire le indagini internazionali sulle origini del COVID-19.

“Quello che il governo non ha fatto nei primi giorni e che ancora non ha fatto è darci la trasparenza di cui abbiamo bisogno”, ha detto il signor Blinken ad Axios.




Pipistrelli vivi in un laboratorio di Wuhan: il video che imbarazza l'Oms
Francesca Galici
14 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/pi ... 54779.html

Un video girato nell'istituto di virologia di Wuhan mostra pipistrelli vivi tenuti in gabbia e potrebbe mettere in imbarazzo l'Oms sul coronavirus
Pipistrelli vivi in un laboratorio di Wuhan: il video che imbarazza l'Oms

Un nuovo video imbarazza l'Oms. Ritrae alcuni pipistrelli vivi tenuti in gabbia in un laboratorio di Wuhan, città che il mondo ha imparato a conoscere un anno e mezzo fa perché si ritiene che da qui sia partita la pandemia di coronavirus. Il breve filmato è stato girato all'interno della struttura e diffuso in esclusiva di Sky News Australia. Questo video sembra smentire quanto dichiarato fin qui dall'Oms, che ha sempre bollato come "complottistica" la tesi di una fuga del virus da un laboratorio della metropoli.

È giusto precisare che il video, realizzato dall'Accademia cinese delle scienze in occasione dell'avvio del nuovo laboratorio di biosicurezza di livello 4, è stato registrato nel maggio del 2017 e non a ridosso dello scoppio dell'epidemia mondiale di coronavirus. Il fulcro del filmato sono le disposizioni di sicurezza da attuare nel caso in cui fosse accaduto un "incidente" all'interno del laboratorio. Sempre nel video, si dice che che ci sono stati "intensi scontri" con il governo francese durante la costruzione del laboratorio. La clip mostra uno degli scienziati dell'istituto di virologia che nutre alcuni pipistrelli in gabbia con un verme. La presenza degli animali all'interno del laboratorio, quindi, è certificata dal filmato del 2017 ma nei rapporti stilati dall'Oms, che indaga sull'origine della pandemia, non è stata fatta menzione ai pipistrelli all'interno dell'Istituto di virologia di Wuhan, se non in un allegato: "Il locale per gli animali nella struttura P4 può gestire una varietà di specie, compreso il lavoro sui primati con SARS-CoV-2".

Il video riapre la questione sulla possibilità che il coronavirus derivi da una manipolazione genetica e/o da una fuga dal laboratorio di Wuhan. Lo zoologo Peter Daszak, che fa parte del team che indaga sull'origine della pandemia, ha affermato che "è una cospirazione suggerire che i pipistrelli fossero allevati nell'Istituto di virologia di Wuhan". In un altro tweet, postato l'11 dicembre 2020, lo stesso dichiarava: "Questa è una teoria del complotto ampiamente diffusa. Non hanno pipistrelli vivi o morti al loro interno. Non ci sono prove da nessuna parte che ciò sia accaduto. È un errore che spero venga corretto". Nelle ultime settimane, però, Peter Daszak ha parzialmente modificato le sue affermazioni, ammettendo che l'Istituto potrebbe aver ospitato pipistrelli e di non aver formalizzato richieste specifiche relative al tema.




Le "3 frecce" di Biden: così intende contenere l'avanzata della Cina
Federico Giuliani
14 giugno 2021

https://it.insideover.com/politica/le-t ... -cina.html

L’ultimo G7 rappresenta soltanto la punta dell’iceberg, la parte visibile di una strategia di contenimento americana nei confronti della Cina tanto necessaria quanto impellente. Gli Stati Uniti sono tornati, ha rimarcato per l’ennesima volta il presidente democratico Joe Biden. Il “ritorno” sulla scena di Washington significa che l’America non lascerà più carta bianca a nessun rivale sistemico. In nessuna questione di politica estera.

Considerando che i funzionari statunitensi considerano Cina e Russia i principali competitor del Paese, – che a spaventare particolarmente la Casa Bianca è Pechino, grazie alla sua enorme mole economica e alla sfida di governance da essa incarnata -, va da sé che i maggiori sforzi di Biden sono tutti incanalati in una precisa tattica di respingimento, volta a silenziare proprio l’ascesa globale del Dragone.

Il G7, dicevamo, è soltanto la classica ciliegina sulla torta. In quel di Cardis Bay, in Cornovaglia, l’erede di Donald Trump ha dato l’impressione di voler essere a capo delle democrazie liberali più importanti del pianeta, chiamate a unirsi per fornire una valida alternativa alla Cina e alle altre autocrazie. Il richiamo delle vecchie alleanze, la riesumazione del multilateralismo in salsa americana e la riattivazione delle tradizionali relazioni diplomatiche con il Vecchio Continente, sono le principali leve attivate da Washington per cercare di bloccare l’avanzata di Pechino in Europa. E altrove?

La carta taiwanese

Se il G7 è servito per risolvere la pratica europea, in che modo gli Stati Uniti conterranno la Cina nel resto del mondo? L’altro scenario caldissimo, se vogliamo più che del contesto europeo, fa rima con Asia. Scendendo nei dettagli, è il cortile di casa cinese a trovarsi nell’occhio del ciclone. Washington sa bene che la Cina sta cercando – e lo farà sempre di più in futuro – di espandere la propria influenza in questa regione strategica. Per infastidire le manovre cinesi, Biden ha dimostrato di poter e voler usare un’altra leva efficace: Taiwan. Il presidente democratico dovrà però stare ben attento a non superare certe linee rosse, a meno di non volersi trovare imbrigliato in un conflitto.

In ogni caso, il portavoce dell’ufficio presidenziale della “provincia ribelle”, Xavier Chang, ha spiegato che l’isola e i membri del G7 condividono gli stessi valori fondamentali, come democrazia, libertà e diritti umani. “Taiwan aderirà sicuramente al suo ruolo di membro responsabile della regione e difenderà anche con fermezza il sistema democratico e salvaguarderà i valori universali condivisi”, ha aggiunto Chang, sottolineando come Taipei continuerà ad approfondire la sua partenership con gli Stati del G7. Nel frattempo Stati Uniti e Taiwan rafforzeranno ulteriormente le loro relazioni, e anche il Giappone ha risposto presente inviando al governo taiwanese ingenti dosi di vaccino anti Covid.


Regioni “periferiche”

Da un punto di vista del soft power, gli Stati Uniti devono recuperare terreno in America Latina e Africa. Già, perché anche queste regioni – seppur perifericamente rispetto ad Asia ed Europa – rientrano nel braccio di ferro sino-americano. Per quanto riguarda l’area latinoamericana, in generale Biden ha dato la sensazione, almeno a parole, di capovolgere la linea politica attuata da Trump (attenzione solo al blocco dell’immigrazione e poco altro). Il punto è che ci sono Paesi, vedi il Cile, ormai entrati in orbita cinese. Basta dare un’occhiata al successo d’immagine derivante dalla recentissima diplomazia dei vaccini promossa da Pechino. Per quanto riguarda l’Africa, le potenze occidentali si stanno organizzando per garantire un’adeguata alternativa ai Paesi attirati dalla Belt and Road cinese. Non a caso, nel corso dell’ultimo G7, Biden ha messo sul tavolo l’idea di proporre una Via della Seta a stelle e strisce, denominata Building Back Better. Vedremo se e come entrerà in funzione.
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Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:51 pm

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Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:52 pm

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Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:53 pm

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Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:53 pm

15) l'economia e la finanza della banda Biden Biden



Il Green New Deal di AOC: tra assistenzialismo ed ecologismo radicale, altro che sogno, sarebbe l'incubo americano

Graziano Davoli
15 Feb 2019

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... americano/

Ultimamente l’universo Dem statunitense è diventato un mondo meraviglioso: pseudo nativi, ultra ecologisti e presunti nostalgici dei bei tempi che furono (quando l’asinello, nel profondo sud, si concedeva lunghi giri di valzer con i cappucci bianchi del KKK).

Roba da far ribollire di invidia J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis.

All’appello, chiaramente, non può mancare lo zoccolo dura socialista dell’asinello. I nostalgici del tanto rimpianto e sospirato New Deal, che vedono in Bernie Sanders il loro Cimabue e in Alexandria Ocasio-Cortez il loro Giotto.

Ovviamente il paragone non è causale, dal momento che i lampi di genio della seconda arrivano a superare di gran lunga quelli del primo.

Il Green New Deal è sempre stato una battaglia cara ai Democratici della seconda metà del secolo scorso. Si tratta di un provvedimento che oscilla a metà tra l’ecologismo radicale e l’assistenzialismo socialista più puro. Ovviamente la stellina del firmamento liberal, l’idolo dei millenials, non poteva esimersi dall’avanzare una sua proposta.

Una proposta che sembra scaturita dalle menti di Ted Kaczynski, Alfonso Pecoraro Scanio e Jeremy Corbyn. Una follia esilarante, un paradosso da commedia dell’arte messo nero su bianco.

Ovviamente, sul versante ecologista, la Cortez punta a contrastare il tanto temuto riscaldamento globale. Come? Semplice, portando gli Stati Uniti al 100 per cento di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, ovviamente eolico e solare. Quali sarebbero i grandi “nemici” della nostra indomita pasionaria? Ovviamente le flatulenze delle mucche (c’è proprio scritto “farting cows”) e gli aeroplani, due pericolosi avversari dei quali bisogna sbarazzarsi assolutamente. Di come AOC abbia intenzione di liberarsi dei tanto odiati bovini ancora non è dato sapere nulla, per quanto riguarda gli aeroplani invece abbiamo già una “soluzione”. Espandere il trasporto ad alta velocità per rendere inutile il trasporto aereo “espandendo in maniera massiccia la produzione di veicoli elettrici, costruendo stazioni di ricarica ovunque, costruendo ferrovie ad alta velocità in una scala in cui i viaggi aerei smetteranno di essere necessari”. Non è chiaro cos’abbia in mente per coloro che intendono, dall’Europa o dal Medio Oriente o chissà dove, fare un viaggio negli States o per lavoro o per piacere. Costruirà rotaie e binari sull’Atlantico? Ancora non ci è dato saperlo, ma sicuramente la nostra non avrà lasciato nulla in balia del caso!

Il Green New Deal firmato AOC cerca, ovviamente, di combattere anche le “ingiustizie sistemiche” (un concetto che starebbe a significare un po’di tutto e un bel niente allo stesso tempo, ma questo è un altro paio di maniche). In questo senso la Cortez ha previsto un programma di sussidi (e te pareva!) come ad esempio: congedi parentali e medici, ferie pagate, pensionamenti adeguati (ma esattamente cosa significa?), ma soprattutto “sicurezza economica per tutti coloro che non sono in grado o non vogliono lavorare”. Esattamente, anche per coloro che “non vogliono” lavorare, in pratica una versione più sfacciata di quello che doveva essere, in origine, il reddito di cittadinanza di pentastellata memoria. AOC si è giustificata affermando che “si tratta di massicci investimenti nella nostra economia e nella nostra società, non nella spesa”. Anche in questo caso, una simile giustificazione significa tutto e niente, facendo uno sforzo possiamo però sospettare che la nostra giovane stellina pianifichi di ammazzare di tasse le imprese americane per permettere ai suoi bellissimi e giovanissimi followers di trascorrere le giornate sul divano a grattarsi la pancia.

“Sarebbe fantastico per la cosiddetta ‘carbon footprint’ eliminare definitivamente tutti gli aerei, le auto, le mucche, il petrolio, il gas e l’esercito, anche se nessun altro Paese farebbe lo stesso. Geniale!” Ha twittato Donald Trump.
Insomma, la situazione è grave ma non seria.




JOE BIDEN: "LA NOSTRA PRIORITÀ: CONCEDERE AIUTI FINANZIARI ALLE IMPRESE DI PROPRIETÀ DI NERI, LATINI, ASIATICI, INDIANI E DONNE"
12 gennaio 2021

https://www.islamnograzie.com/joe-biden ... i-e-donne/

In un annuncio altamente controverso e discriminatorio domenica, il democratico Joe Biden ha proclamato che la sua amministrazione darà la priorità agli aiuti economici finanziati dai pagatori fiscali per le imprese in base alla razza e al genere.

“Il nostro focus sarà sulle piccole imprese di Main Street che non sono ricche e ben collegate, che stanno affrontando reali difficoltà economiche senza colpa propria”, ha detto Biden in un video discorso sceneggiato dai suoi gestori che è stato pubblicato sull’account Twitter di transizione ufficiale della sua amministrazione. “La nostra priorità saranno le piccole imprese di proprietà di neri, latino, asiatici e nativi americani, le imprese di proprietà femminile e infine l’accesso paritario alle risorse necessarie per riaprire e ricostruire.”

“Ma faremo uno sforzo concertato per aiutare le piccole imprese delle comunità a basso reddito nelle grandi città, nelle piccole città, nelle comunità rurali che hanno affrontato barriere sistemiche ai soccorsi”, ha continuato. “Pensa alla mamma e al proprietario pop con un paio di dipendenti che non possono prendere il telefono e chiamare un banchiere, che non ha un avvocato, un contabile, per aiutarli attraverso questo complicato processo per sapere se sono persino qualificati o chi semplicemente non sapeva dove questo sollievo è disponibile in primo luogo.”

Affermando che abbiamo attraversato questo “quando abbiamo riportato Detroit in ginocchio”, Biden ha concluso: “E come abbiamo visto nel rapporto sul lavoro di questa mattina, ristoranti, bar e industria dell’ospitalità sono stati sbattuti da questo virus. Dirigeremo verso quelle aziende e altre che sono state così duramente colpite, colpite più duramente. Dobbiamo loro quel sostegno per aiutarli a superare l’altra parte di questa crisi.

La nuova amministrazione di sinistra di Joe Biden sta lavorando sodo per coprire la sua lunga storia di commenti razzisti e discriminatori nei confronti delle minoranze. Anche la rivista di sinistra New Yorker ha sbattuto alcuni dei suoi numerosi reati, che concludono “lo rendono inadatto alla riabilitazione”,

Joe Biden una volta chiamò… Barack Obama “il primo tipo di afroamericano tradizionale che è articolato, luminoso e pulito”. Zio Joe ha descritto i criminali afro-americani come “predatori” troppo sociopatici per riabilitarsi – e i senatori suprematisti bianchi sono suoi amici.

Invece di offrirsi di dare denaro dei contribuenti alle imprese di proprietà delle minoranze per tagliare la burocrazia, Joe Biden dovrebbe tagliare le normative come ha fatto il presidente Trump, che ha dato potere alle piccole imprese prima che i blocchi le distruggessero.






Usa, le scelte di Joe Biden: la Casa Bianca assomiglia sempre di più ad una succursale del colosso finanziario Blackrock
Mauro Del Corno
8 gennaio 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... k/6058964/


Si moltiplicano le nomine di finanzieri nelle posizione chiave della nuova Casa Bianca. Intanto si scopre che negli ultimi due anni il nuovo segretario al Tesoro Janet Yellen ha incassato 7 milioni di euro grazie ai suoi interventi alle convention delle principali banche e fondi speculativi del mondo. La contiguità tra Wall Street e Casa Bianca non è una novità ma nel 2016 costò l'elezione a Hillary Clinton

E tre! Cresce la pattuglia degli ex dirigenti del colosso finanziario Blackrock che andranno ad occupare posizioni chiave nel nuovo governo statunitense guidato da Joe Biden. L’ultimo ad aggiungersi alla squadra è Micheal Pyle che dovrebbe andare a ricoprire la carica di capo economista del team della vice presidente Kamala Harris. Al momento Pyle è responsabile delle strategie globali di investimento di Blackrock, il fondo più grande al mondo con asset gestiti per 7mila miliardi di dollari e partecipazioni praticamente in tutte le multinazionali finanziarie o industriali del mondo. Pyle raggiunge Brian Deese, ex responsabile degli investimenti sostenibili della “roccia nera”, che diventerà direttore dei consiglieri economici di Joe Biden, e Wally Adeyemo, ex responsabile dello staff di Blackrock che assumerà la carica di vice segretario al Tesoro, con una responsabilità diretta per quanto riguarda i temi di regolamentazione finanziaria. Deese non è una figura nuova nei corridoi di Washington, avendo lavorato per l’amministrazione Obama prima di approdare alla finanza. Il suo ruolo di responsabile degli investimenti sostenibili non è privo di ombre. Blackrock è stata spesso criticata perché, a fronte di sbandieratissime dichiarazioni pro ambiente, non ha quasi mai agito concretamente per orientare in questa direzione le strategie delle numerosissime aziende di cui è azionista, tra cui diverse compagnie petrolifere.

Blackrock è un soggetto particolarmente attivo nello stabilire stretti legami con Washington. L’attuale amministratore delegato Larry Fink era ad esmepio in pole position per diventare segretario del Tesoro, se Hillary Clinton avesse vinto le elezioni del 2016. Per spingere la sua candidatura Fink aveva assunto una lunga serie di ex funzionari dell’amministrazione Obama. Formalmente le nomine decise da Biden non sono state spinte direttamente da Balckrock ma sono molti gli osservatori a Washington che fanno notare come il colosso finanziario avrà uomini di fiducia nelle posizioni chiave quando si tratterà di decidere su materie come le regolamentazione della finanza. Blackrock ha trascorso anni a fare una fortissima azione di lobbying contro l’inasprimento delle norme in questo settore.

E Janet Yellen incassa 7 milioni da Wall Street – Quella delle porte girevoli tra Wall Street e Casa Bianca non è certo una novità. Giusto per stare ai casi più recenti il segretario al Tesoro (il nostro ministro dell’economia, ndr) dell’amministrazione Bush, Henry Paulson era l’amministratore delegato di Goldman Sachs. Quello di Barack Obama, Timothy Gheithner è oggi presidente di Warburg Pincus, multinazionale del private equity. A ricoprire la carica nell’amministrazione Joe Biden sarà l’ex presidente della Federal Reserve Janet Yellen. Yellen è una stimata economista di scuola keynesiana ma all’atto della nomina si è scoperto che negli ultimi due anni ha incassato qualcosa come 7,2 milioni di dollari sotto forma di compensi per i suoi interventi agli incontri di multinazionali e grandi banche. Dal solo hedge fund Citadel ha ricevuto un assegno di oltre 800mila dollari, con il colosso bancario Citi ha guadagnato un milione di euro. Dal 2018 Yellen ha tenuto conferenze anche per Goldman Sachs, Ubs, Credit Suisse, Barclays, Google. Il nuovo segretario di Stato scelto da Biden, Antony J. Blinken, ha guadagnato 1,2 milioni grazie a consulenze per Facebook, Boieng oltre che per il fondo statunitense Blackstone e per la banca d’affari francese Lazard.

Sbagliando non si impara – Politicamente parlando Joe Biden non sembra, per ora, voler fare tesoro degli errori del passato. Entrando alla Casa Bianca Barak Obama ha lasciato sull’uscio le idee che avevano animato la sua campagna elettorale: più vicino alla gente e più lontano da Wall Street. Da presidente ha attinto al mondo della finanza a piene mani, ha inserito nel suo staff consiglieri di Bill Clinton che avevano promosso la deregolamentazione finanziaria, ha salvato le banche, scelta quasi obbligata. Ma ha fatto poco per le persone che da quelle stesse banche si vedevano portar via la casa. Questo approccio “Wall Street friendly” ha finito per caratterizzare il partito democratico nell’immaginario degli elettri. Secondo più di un osservatore è stata la mancanza di volontà nel recidere questo legame che è costato la presidenza ad Hillary Clinton e che ha spianato la strada verso lo studio ovale a Donald Trump. Trump che, una volta eletto, ha poi a sua volta pescato la gran parte dei suoi collaboratori dal mondo della finanza e delle grandi corporation.







È ufficiale: Biden nomina Janet Yellen segretaria al Tesoro Usa
30 novembre 2020

https://www.ilsole24ore.com/art/e-uffic ... sa-ADCrZU5

La squadra del presidente eletto
Prende forma ufficialmente il team economico del presidente eletto: ad aiutare l’ex presidentessa della Fed il vicesegretario Adewale “Wally” Adeyemo; a capo dell’ufficio bilancio l’amministratrice delegata del think tank progressista Center for American Progress, Neera Tanden, contestata però da diversi senatori repubblicani. Manca ancora una nomina: quella del consigliere economico del presidente
Da Psaki a Bedingfield: tutte donne alla comunicazione per Biden
Prende forma ufficialmente il team economico del presidente eletto: ad aiutare l’ex presidentessa della Fed il vicesegretario Adewale “Wally” Adeyemo; a capo dell’ufficio bilancio l’amministratrice delegata del think tank progressista Center for American Progress, Neera Tanden, contestata però da diversi senatori repubblicani. Manca ancora una nomina: quella del consigliere economico del presidente

Conferma di Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve come segretaria al Tesoro, coadiuvata come vicesegretario da Adewale “Wally” Adeyemo, afroamericano nato in Nigeria e attualmente presidente della Fondazione Obama a Chicago. E ancora Neera Tanden, avvocatessa e amministratrice delegata del think tank progressista Center for American Progress, a capo dell'ufficio bilancio, e l'economista dell'università di Princeton Cecilia Rouse, che guiderà il Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca (Cea, Council of Economic Advisers). Questi i quattro nomi più significativi scelti dal presidente eletto statunitense Joe Biden per guidare i dicasteri economici del futuro governo da lui presieduto, a cui si dovrebbero aggiungere anche due consiglieri economici della sua campagna presidenziale, Jared Bernstein e Heather Boushey, contattati dal presidente eletto per diventare membri della Cea. «Mentre ci mettiamo al lavoro per controllare il virus, questo è il team che fornirà un sollievo economico immediato al popolo americano durante questa crisi economica e ci aiuterà a ricostruire la nostra economia meglio che mai», ha detto Biden in una dichiarazione.

Le nomine dovranno comunque essere confermate anche dal Senato Usa, e soprattutto quella della Tanden potrebbe essere contestata: già prima della sua nomina ufficiale, infatti, diversi esponenti repubblicani hanno espresso il loro dissenso. Drew Brandewie, assistente del senatore repubblicano del Texas John Cornyn, ha dichiarato su Twitter che Tanden «ha zero possibilità di essere confermata», mentre un altro aiutante ha detto che i repubblicani al Senato bloccheranno sicuramente la Tanden, che è considerata «troppo progressista».

Il nodo non risolto: il consigliere economico

Inoltre, manca ancora un tassello fondamentale alla squadra economica di Joe Biden: quello del consigliere economico del presidente che guiderà il National Economic Council della Casa Bianca, di fatto una 'war room' in cui si realizza la politica economica dell'amministrazione. Il nome in pole position da tempo era quello di Brian Deese, 42 anni, già vice consigliere economico di Barack Obama che aiutò in particolare nel salvataggio del settore dell'industria dell'auto dopo la crisi del 2007-2008. Ma l'attuale ruolo di Deese come manager di BlackRock , la più grande società di investimento al mondo, lo rende inviso alla sinistra del partito democratico. Così l'altro nome circolato negli ultimi giorni era quello di Roger Ferguoson, economista afroamericano che è stato vice presidente della Fed.

Yellen, presidentessa Fed dal 2014 al 2018

Per la segreteria del Tesoro, due settimane fa Biden aveva detto di aver preso una decisione, fornendo ai giornalisti un indizio: la persona scelta come segretario al Tesoro «è qualcuno che, credo, sarà accettato da tutti gli elementi del partito democratico, dai progressisti ai moderati»; l'ala più liberal del partito, infatti, ha approvato i passi compiuti da Yellen sull'ambiente, come l'idea di tassare le emissioni di anidride carbonica per combattere il cambiamento climatico. E Yellen ha già rilasciato, attraverso Twitter, una prima dichiarazione: «Come paese ci troviamo ad affrontare grandi sfide. Per il rilancio serve ripristinare il sogno americano, ovvero una società in cui ognuno può esprimere e raggiungere il proprio potenziale e sognare in grande per i figli. Come segretario al Tesoro, lavorerò per ripristinare questo sogno per tutti».

Yellen, 74 anni, laureatasi in Economia alla Brown University nel 1967, vanta un dottorato a Yale (1971, unica donna di quella classe) sotto la guida del premio Nobel James Tobin. Professoressa emerita dell'Università della California Berkeley, all'attivo ha una lunga storia alla Banca centrale statunitense, di cui è stata vicepresidente e, infine, presidente per quattro anni (2014-2018), dopo aver guidato la Fed di San Francisco durante la crisi finanziaria, creandosi la fama di “colomba” sulle politiche monetarie. Lavorando alla Fed, nel 1977, conobbe il futuro marito, l'economista premio Nobel George Akerlof.



"Agire in grande" per superare la crisi, dice Janet Yellen
19 gennaio 2021

https://www.agi.it/economia/news/2021-0 ... -11083687/

AGI - Bisogna "agire in grande" sul fronte degli stimoli fiscali per far sì che la crisi economica innescata dalla pandemia duri il meno possibile. Janet Yellen, nominata del presidente eletto dagli Stati Uniti Joe Biden come Segretario al Tesoro, ha esortato i senatori, che dovranno ratificare la nomina, a fare presto ad approvare il pacchetto da quasi 2.000 miliardi di aiuti e stimoli all'economia.

"Né il presidente eletto, né io, proponiamo questo pacchetto di aiuti senza considerare il peso del debito del paese. Ma in questo momento, con i tassi di interesse ai minimi storici, la cosa più intelligente che possiamo fare è agire in grande", ha detto l'ex presidente della Federal Reserve, alla Commissione Finanze del Senato. "Credo - ha aggiunto - che i benefici supereranno di gran lunga i costi, soprattutto se ci preoccupiamo di aiutare le persone", ha aggiunto.


Come è composto il pacchetto di aiuti

Il pacchetto di aiuti proposto comprende 415 miliardi di dollari per sostenere la risposta degli Stati Uniti al virus e il lancio dei vaccini Covid-19, circa 1.000 miliardi di dollari in aiuti diretti alle famiglie e circa 440 miliardi di dollari per le piccole imprese e le comunità particolarmente colpite dalla pandemia. Molti americani dovrebbero ricevere pagamenti di 1.400 dollari, in aggiunta agli assegni da 600 dollari approvati dal Congresso il mese scorso in un disegno di legge contro la pandemia. Nel pacchetto dovrebbe entrare anche l'incremento da 300 a 400 dollari a settimana dell'assicurazione supplementare contro la disoccupazione estesa fino a settembre.

L'attacco a Trump
Yellen ha poi attaccato Donald Trump su dollaro e politica fiscale. L'ex presidente Fed ha smontato la tesi del presidente americano - che domani passerà il testimone a Biden - che ha spesso chiesto un dollaro più debole per aumentare le esportazioni statunitensi. La politica monetaria deve essere definita dal mercato e non è vero che un dollaro debole sia un vantaggio, ha affermato. Yellen ha poi criticato Trump per aver abbassato le tasse ai ricchi e alle grandi corporation. "Una parte di questi tagli - ha promesso - saranno aboliti".

Gli Stati Uniti, ha evidenziato, devono opporsi ai tentativi di altri paesi di manipolare artificialmente i valori delle valute per ottenere un vantaggio commerciale aggiungendo che l'obiettivo di utilizzare i tassi di cambio per il vantaggio commerciale e' "inaccettabile". Yellen ha poi detto che la Cina e' il piu' importante concorrente strategico degli Stati Uniti e l'amministrazione Biden dovra' reprimere le "pratiche abusive, sleali e illegali" della Cina.




Usa, i banchieri Yellen e Powell: la vera "coppia" che piace ai mercati
20 gennaio 2021

https://www.affaritaliani.it/economia/u ... 17812.html

Il giuramento da quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti di Joe Biden è stato salutato con un nuovo record del Nasdaq e dello S&P 500 a Wall Street e da una buona intonazione del Dow Jones. Per i mercati c’è una sorta di congiuntura astrale perfetta che spinge gli investitori a continuare a scommettere ancora senza preoccupazioni sui titoli del Nyse, nonostante le alte valutazioni raggiunte.

Ieri, agli ingredienti market-friendly di una politica fiscale ultraespansiva della nuova amministrazione di cui Biden ha appena dato un assaggio con il varo del nuovo piano anti-Covid da 1.900 miliardi di dollari, di un approccio meno conflittuale nelle relazioni internazionali da parte del successore di Trump, di uno scenario di uscita dalla pandemia di coronavirus grazie ai vaccini e di una presa democratica sul Congresso, si è aggiunto l’arrivo al Tesoro (ieri si è svolta l’audizione davanti al Comitato finanze del Senato, che deve approvare la sua nomina) dell’ex presidente della Federal Reserve Janet Yellen.

Una figura carismatica per i mercati, la persona migliore e più qualificata, hanno spiegato molti operatori, per vendere il piano democratico nell'attuale contesto altamente bipartisan alla luce del suo impeccabile curriculum, del focus sulla disoccupazione e dell'esemplare gestione della banca centrale più influente al mondo.

Quella Fed che durante il mandato di Barack Obama ha aiutato il primo presidente afroamericano della storia a stelle e strice a tirare fuori gli States dalla terribile crisi del 2008 e ha posto le basi per l’espansione degli ultimi anni.

Ebbene, Yellen ha subito fatto capire che i 1.900 miliardi di Biden sono solo un assaggio della leva fiscale che la nuova amministrazione intende azionare con forza per sostenere salari e occupazione, approfittando dei tassi d’interesse che a questi livelli consentono di tenere sotto controllo l’esplosione del debito americano salito a quota 21.600 miliardi. Musica per le orecchie degli investitori che hanno ricevuto anche conferme dell’aumento della spesa per investimenti infrastrutturali, volano innesca-crescita e gettito come antidoto per riportare su un percorso di sostenibilità il debito.

Ma solo in un secondo momento: ora non è tempo di azioni restrittive. Le priorità sono “sconfiggere la pandemia, dare sollievo alle persone” e sostenere l’economia traghettandola fuori dalla pandemia. Con i tassi di interesse ai minimi storici, la cosa più intelligente è “act big”, appunto agire con aggressività perché il costo dell’inazione sarebbe superiore.

Insomma, per gli investitori la Yellen sarà la perfetta interprete esecutrice della Bidenomics che prevede anche grandi investimenti nell’economia verde e il sostegno da parte di Washington del “buy american” per la manifattura a stelle e strisce.

Dall’altra parte, nel governare le politiche economiche, come contraltare sulla politica monetaria la Yellen avrà il suo successore alla Federal Reserve, un altro autorevole banchiere centrale. Quel Jerome Powell che ha saputo limitare, agendo tempestivamente, le conseguenze negative dell’epidemia sull’economia americana soprattutto nella prima fase (negazionista) di gestione del virus da parte dell’ex inquilino della Casa Bianca Trump.

Quando ci sono sia lo stimolo fiscale sia la politica monetaria sui tassi, leve che cantano la stessa canzone suggerendo maggior cooperazione tra Fed e Tesoro, per il mercato è la condizione perfetta.


Sono gli stessi aiuti che aveva proposto e chiesto Trump nelle scorse settimane.
Solo che a Trump gliene hanno concessi la metà.

Trump ha infine firmato la legge sugli aiuti economici anti COVID-19 che aveva bloccato per giorni
28 dicembre 2021

https://www.ilpost.it/2020/12/28/trump- ... economici/

Domenica, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato la legge che permetterà di distribuire aiuti economici a milioni di persone in difficoltà a causa dell’epidemia da coronavirus. La legge era stata approvata dal Congresso il 21 dicembre dopo lunghe trattative tra Democratici e Repubblicani, ma Trump si era poi rifiutato di firmarla: aveva detto che i 600 dollari di aiuti previsti per milioni di persone erano troppo pochi e aveva chiesto che il Congresso li alzasse a 2.000 dollari a persona (una richiesta respinta dal suo stesso partito).

Altro ritardo nella firma della legge avrebbe creato grossi problemi, perché milioni di persone avrebbero perso i sussidi di disoccupazione che la legge ha esteso e in tantissimi avrebbero rischiato di perdere la casa: la legge ha infatti prorogato anche una moratoria sugli sfratti che sarebbe altrimenti scaduta il 31 dicembre. Gli aiuti erano inoltre legati al budget federale per il prossimo anno: se la legge non fosse stata firmata, da martedì sarebbe cominciata la chiusura parziale del governo (il cosiddetto shutdown).

Trump, che è in vacanza in Florida, non ha spiegato come mai abbia improvvisamente cambiato idea sulla legge e la Casa Bianca non ha dato spiegazioni. I giornali statunitensi scrivono che il partito Repubblicano stava facendo molta pressione su Trump affinché firmasse la legge e Trump in un comunicato diffuso dopo la firma ha detto di aver chiesto al Congresso di continuare a lavorare sulla legge per aumentare gli aiuti economici.

Gino Quarelo
"Yellen ha poi criticato Trump per aver abbassato le tasse ai ricchi e alle grandi corporation. "Una parte di questi tagli - ha promesso - saranno aboliti".
Gli Stati Uniti, ha evidenziato, devono opporsi ai tentativi di altri paesi di manipolare artificialmente i valori delle valute per ottenere un vantaggio commerciale aggiungendo che l'obiettivo di utilizzare i tassi di cambio per il vantaggio commerciale e' "inaccettabile". Yellen ha poi detto che la Cina e' il piu' importante concorrente strategico degli Stati Uniti e l'amministrazione Biden dovra' reprimere le "pratiche abusive, sleali e illegali" della Cina."
Quando Trump l'ha piantata dura alla Cina tutti a dargli contro, adesso che c'è il duo Biden/Yellen che continua la politica di Trump contro le prepotenze e le slealtà cinesi allora va bene
.

https://it.wikipedia.org/wiki/Steven_Mnuchin




Joe Biden nomina all'agricoltura "Mr Monsanto": preoccupati i piccoli agricoltori
Valentina Dirindin
20 Gennaio 2021

https://www.dissapore.com/notizie/joe-b ... ricoltori/

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden farà il suo discorso di insediamento oggi al Campidoglio, ma alcune delle sue scelte fanno già discutere, come quella di nominare come Segretario dell’Agricoltura Joe Vislack, da alcuni soprannominato “Mr Monsanto” a causa della sua indulgenza nei confronti delle grandi aziende agricole industriali.

Il politico americano, ex governatore dell’Iowa e tra i principali sostenitori di Biden, aveva già ricoperto questo incarico dal 2009 al 2017 nell’amministrazione di Barack Obama, e in quell’occasione era stato contestato anche per il mancato appoggio ai piccoli agricoltori afroamericani, che oggi esprimono preoccupazione.

Anche i gruppi di politica agricola e ambientale lo hanno in passato preso di mira, indicando come prova della sua vicinanza all’industria agricola, ad esempio, la fusione (avvenuta durante il suo mandato) di Monsanto e Bayer. I sostenitori della sicurezza alimentare e del lavoro hanno anche criticato la sua decisione in qualità di segretario di consentire un aumento significativo della velocità delle linee di macellazione negli stabilimenti di pollame, aumentando il rischio di lesioni ai lavoratori e affidando ai dipendenti del confezionamento della carne alcune delle funzioni precedentemente svolte dagli ispettori governativi.

“Se il passato è un prologo, abbiamo forti preoccupazioni che continuerà a fare gli interessi dell’industria”, ha affermato Zach Corrigan, un avvocato senior presso Food & Water Watch, un gruppo di controllo dei consumatori e dell’ambiente, che si oppone alla nomina di Vilsack.

Una nomina che, se confermata, arriva in un momento non facile per gli agricoltori americani, che stanno già subendo le conseguenze delle guerre commerciali di Trump e degli effetti della pandemia di Coronavirus. Nonostante questo, c’è anche da notare che il presidente uscente ha ancora dominato nelle aree fortemente rurali nelle elezioni del 2020, dunque il compito dell’amministrazione Biden si fa ancora più difficile. Per questo, alcuni democratici temono che Vilsack non sia la figura ideale per ottenere consensi nell’America rurale.


https://it.wikipedia.org/wiki/Tom_Vilsack



Dichiarazioni del membro della commissione Oversigt and Reform della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano James Comer (R-Ky.) sugli ordini esecutivi del presidente Biden
L'Osservatore Repubblicano
21 gennaio 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 3455736406

Distruggere le piccole imprese nella burocrazia
“Il presidente Biden sta segnalando l'inizio di un regime di burocrazia normativa sulle piccole imprese americane. Le riforme normative del presidente Trump hanno contribuito a lanciare il più grande boom di posti di lavoro e crescita economica nei tempi moderni. Metterli da parte e decretare ulteriori intrusioni da parte del governo non farà che aumentare le nuove barriere alla creazione di posti di lavoro per i lavoratori americani e danneggiare le piccole imprese che lottano per riprendersi dalla pandemia. Le normative governative non necessarie impongono oneri schiaccianti e non fanno altro che rallentare l'innovazione e la ripresa. Il presidente Trump ha creato la migliore economia del mondo limitando le normative burocratiche e il presidente Biden dovrebbe cercare di partire da questo successo invece di cancellarlo. Il governo non sa cosa è meglio per il popolo, il popolo americano lo sa. "

Annullamento dell'oleodotto Keystone XL
“Il progetto Keystone XL ha attraversato un decennio di approfondite revisioni ambientali ed era destinato a creare migliaia di buoni posti di lavoro fornendo energia a prezzi accessibili per tutti gli americani. La decisione del presidente Biden di abolire l'iniziativa sta mettendo da parte anni di processo ambientale a favore di un programma radicale che uccide il lavoro. Ora è il momento di dare la priorità alle infrastrutture critiche che mantengano forte la produzione energetica americana, i lavoratori americani impiegati e la nostra economia resiliente per gli anni a venire ".

Rientrare nell'accordo di Parigi
“L'accordo di Parigi è sempre stato un disastro per gli Stati Uniti. La decisione del presidente Biden di rientrare nell'accordo di Parigi svantaggia gli Stati Uniti a beneficio esclusivo dei nostri avversari. Questo lascerà gli americani a sostenere i costi di bollette energetiche più alte, salari più bassi, meno posti di lavoro e una produzione economica squallida, mentre paesi come la Cina si divertono e traggono vantaggio dalla nostra caduta. Gli Stati Uniti hanno dimostrato di poter far crescere la nostra economia e i settori energetici riducendo allo stesso tempo le emissioni di carbonio. Invece di ricongiungersi a un accordo imperfetto, l'America dovrebbe continuare a innovare e sfruttare il nostro pieno potenziale energetico per creare un'offerta più pulita, economica e diversificata ".

Consentire agli immigrati illegali di diluire la rappresentanza degli americani al Congresso
“I cittadini americani meritano un'adeguata rappresentanza al Congresso, eppure il presidente Biden sta diminuendo e svalutando le loro voci consentendo agli immigrati illegali di essere inclusi nel conteggio di ripartizione del censimento del 2020. Ogni residente negli Stati Uniti era e sarà conteggiato nel censimento del 2020 per garantire che una corretta ripartizione, ma quest'ultima dovrebbe contare solo quelle legalmente nel paese. Contare gli immigrati illegali per determinare la rappresentanza al Congresso degli Stati è ingiusto nei confronti del popolo americano ".

Ridurre l'applicazione della legge sull'immigrazione da parte delle agenzie federali
“Per decenni gli americani hanno sofferto a causa del mancato rispetto delle nostre leggi sull'immigrazione e della sicurezza dei nostri confini non garantita da parte delle amministrazioni. Questo fallimento ha permesso a milioni di immigrati illegali di rimanere negli Stati Uniti senza conseguenze e ha incoraggiato altri a venire qui in violazione delle leggi della nostra nazione. Gli ordini di oggi abbandonano il recente successo dell'agenda America First del presidente Trump e ci riportano alle politiche fallimentari dell'era Obama che incoraggiano solo una maggiore immigrazione illegale e rendono il nostro paese meno sicuro. Questa non è la via da seguire. Le nostre leggi sull'immigrazione devono essere applicate, non abbandonate. Dobbiamo rafforzare la sicurezza delle frontiere, non diminuirla ".

Ricongiungimento all'Organizzazione mondiale della sanità
“Riuscire a far rientrare gli Stati Uniti nell'Organizzazione mondiale della sanità senza che questa subisca serie riforme è sciocco. Fin dall'inizio della pandemia di coronavirus, l'OMS e il segretario generale Tedros hanno dimostrato che la loro priorità è stata quella di favorire il governo cinese a spese del popolo americano e del resto del mondo. Mentre la Cina diffondeva disinformazione in modo da poter accumulare forniture mediche, l'OMS ha ripetuto a pappagallo le bugie cinesi che negano la trasmissione da uomo a uomo del virus e Tedros li ha elogiati per la loro trasparenza. Fino a quando l'OMS non subirà le riforme tanto necessarie, i contribuenti americani non dovrebbero sovvenzionare un'organizzazione che ha agito in ogni momento come uno sbocco della propaganda comunista cinese ".

Consentire la teoria della razza critica sul posto di lavoro federale
“Il presidente Biden parla di unità nazionale, ma consentire ideologie distruttive come la teoria critica della razza sul posto di lavoro federale crea divisione e non è un buon uso dei dollari dei contribuenti. Dovremmo cercare di unificare l'America, non dividerla ulteriormente. Tutti gli uomini e le donne sono creati uguali e il posto di lavoro federale deve essere un luogo inclusivo. Questo è qualcosa su cui tutti gli americani sono d'accordo. Ma usare i dollari dei contribuenti americani per promuovere un'agenda radicale e ingiusta, progettata per suscitare disprezzo per i valori americani, non ha posto nelle nostre agenzie federali ".




Il Senato USA ha bocciato ieri la proposta di aumentare il salario minimo a 15 dollari l'ora. Otto senatori Democratici si sono uniti ai Repubblicani per votare contro la proposta. Si tratta della seconda sconfitta in pochi giorni per Biden al Senato e di un grave smacco per il Senatore socialista Crazy Bernie.
I senatori che non hanno sostenuto l'aumento del salario minimo saranno probabilmente presi di mira dalla campagna d'odio della Sinistra progressista.
L'Osservatore Repubblicano
5 marzo 2021

https://www.axios.com/senate-minimum-wa ... 3dae2.html
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mar feb 09, 2021 9:54 pm

Cosa prevede il (pessimo) pacchetto di stimoli di Joe Biden
4 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... joe-biden/

I Democratici hanno approvato alla Camera il pacchetto di stimoli da 1,9 trilioni di dollari nonostante l’opposizione unanime dei Repubblicani.

Terminata la “prima fase” della nuova amministrazione, caratterizzata da una serie di ordini esecutivi – circa una trentina, ovvero tre volte di più di quelli promulgati da Obama e Trump nello stesso lasso di tempo – che hanno avuto più un impatto mediatico, volto ad indicare quale direzione prenderà il paese nel prossimo futuro, che sostanziale, è ora cominciato il percorso per cominciare ad approvare il primo grande progetto legislativo dell’amministrazione di Joe Biden. Si tratta ovviamente del piano di ripresa da 1.9 trilioni di dollari, varato per contrastare la crisi economica generata dalla pandemia.

Due giorni fa la Camera dei Rappresentanti, con i voti dei soli rappresentanti Democratici, ha approvato questo piano di aiuti. Ma esattamente, cosa prevede tale piano? Il c.d. “stimulus package” risulta diviso in quattro parti: analizziamone il contenuto.

Parte I – Lotta al COVId-19, 750 miliardi

• 350 miliardi ai governi locali. Probabilmente, si tratta della parte più importante – e criticata – della manovra; essa è finalizzata a facilitare la ripresa economica degli Stati dopo la crisi generata dal COVID-19. Tuttavia, la spesa è stata giudicata, da alcuni, “eccessiva e male indirizzata“.

• 70 miliardi per test e vaccini. Si tratta di uno stanziamento che ha raccolto un supporto bipartisan. Biden ha chiesto 50 miliardi per migliorare i testing centers ed altri 20 per proseguire la campagna di vaccinazione nazionale già iniziata negli ultimi mesi di presidenza di Donald Trump.

• 170 miliardi alla riapertura delle scuole. Si tratta della parte della manovra maggiormente appoggiata dai Repubblicani. Essa prevede fondi per consentire alle scuole di dotarsi di strumenti quali mascherine, impianti di ventilazione e sistemi di pulizia per garantire una “riapertura in sicurezza”.
Parte II – aiuti diretti alle famiglie, 600 miliardi

• 422 miliardi in trasferimenti diretti alle famiglie. È la parte della manovra finalizzata ad aiutare le famiglie in difficoltà e a stimolare i consumi. 1.400 dollari per ogni persona con un reddito annuo inferiore a 75.000 dollari e per le coppie con reddito inferiore a 150.000 dollari. Alcuni hanno definito la cifra di 1.800 dollari eccessiva.

• 120 miliardi in supporto ai genitori. Tutti i genitori con un figlio di età inferiore ai 18 anni riceveranno tra i 250–300 dollari al mese, e incrementa la c.d. “Child Tax” da 2.000 a 3.600 dollari. Anche questa sezione ha ricevuto un supporto bipartisan.

Leggi anche: “Il Family Security Act: la proposta repubblicana a firma Mitt Romney per aiutare le famiglie”
Parte III – aiuti alle famiglie vulnerabili, 400 miliardi

• Questa sezione include i versamenti addizionali di 400 dollari a settimana per i sussidi di disoccupazione ed estende il programma di emergenza anti disoccupazione COVID fino ad agosto.
Parte IV – aiuti alle imprese, 150 miliardi

• Questa sezione include aiuti per le piccole e medie imprese, nello specifico: 25 miliardi per i ristoranti, 15 miliardi per le compagnie aeree, 8 miliardi per gli aeroporti, 30 miliardi per i trasporti e 3 miliardi per l’industria aerospaziale.

Le Critiche al piano di stimoli

Il piano è stato criticato in particolare per l’eccessivo ammontare di alcune spese e per una certa negligenza verso alcune necessità del paese. Forti critiche sono piovute sui 350 miliardi ai governi locali.

L’economista Maya Macguineas, Presidente del “Committee for a Responsible Federal Budget” – un’organizzazione indipendente, senza scopo di lucro, bipartisan, con sede a Washington, D.C. che si occupa del bilancio federale e delle questioni fiscali – ha stimato che basterebbero 200 miliardi per permettere ai governi locali di sostenersi, inoltre, ha criticato anche il fatto che la spesa non sia stata “tarata” sulle effettive necessità dei vari governi locali e sull’effettivo impatto della pandemia su di essi. Infatti, alcuni sono stati maggiormente colpiti rispetto ad altri, tuttavia non hanno ricevuto degli stanziamenti addizionali.

La cifra di 1.400 dollari a famiglia è stata giudicata eccessiva nonché male indirizzata dal momento che, come ha affermato sempre la Macguineas, molte delle famiglie che riceveranno il pagamento non ne necessitano. Inoltre, uno studio di Opportunity Insights ha rivelato come molte famiglie con un reddito superiore a 78.000 dollari abbiano preferito mettere da parte il denaro ricevuto invece che spenderlo e stimolare così i consumi.

Anche i 400 dollari supplementari ai sussidi di disoccupazione sono stati criticati. Nello specifico, Michael Strain, direttore della sezione di politica economica presso l’American Enterprise Institute, un think tank economico e bipartisan, ritiene che la somma sia “esagerata” dato anche che molti disoccupati si ritroveranno nella paradossale situazione di incassare più soldi attraverso i sussidi che con un lavoro.

Altre spese sottoposte a dure critiche sono: i 472 milioni ai musei e alle agenzie umanitarie, gli 852 milioni per i volontari civici e i 50 milioni per la clinica abortista Planned Parenthood.

Il piano, in parola, parrebbe puntare su una “ripresa economica” basata quasi esclusivamente sullo stimolo ai consumi tramite strumenti non sempre efficaci. Piuttosto, sarebbe bastato focalizzarsi sui programmi infrastrutturali, di cui l’America ha un disperato bisogno. Anche l’ex Presidente Donald Trump aveva promesso un gigantesco piano per le infrastrutture, purtroppo mai adottato. Anche la mancata adozione di questo piano potrebbe aver influito alla sua mancata rielezione.

Il Segretario ai Trasporti, il Democratico Pete Buttigieg, ha sottolineato quanto l’America abbia bisogno di un piano “ben strutturato” per le infrastrutture, ma questo piano di stimoli non sembra affatto indirizzato in tal senso.

Altro elemento piuttosto divisivo era stato il tentativo di applicare un salario minimo di 15 dollari all’ora. I Senatori Repubblicani avevano duramente criticato questa scelta, affermando che avrebbe comportato dei danni enormi alle piccole e medie imprese, citando a riprova la disastrosa situazione del mercato del lavoro di New York che lo ha adottato. Il tentativo di introdurre il salario minimo è stato dunque ritirato al Senato poiché, oltre ai Repubblicani anche alcuni Democratici – Joe Mnuchin del West Virginia e Krysten Sinema dell’Arizona, si erano dichiarati contrari, facendo cos’ mancare la maggioranza.

Analisi su questo piano di stimoli

Questo “piano di rilancio” di Joe Biden pare essere maggiormente indirizzato ad ottenere dei vantaggi politici ed elettorali piuttosto che ad acquisire una crescita economica nel lungo periodo. Il package si focalizza molto sulle tipiche proposte liberal e sull’erogazione di enormi quantità di fondi, tuttavia eccessivi e male indirizzati.

I trasferimenti in denaro che saranno erogati ai cittadini americani dopo l’approvazione definitiva consentiranno paradossalmente ai disoccupati di guadagnare di più con i sussidi che con un lavoro, cosa che rischia di disincentivare la ricerca di un impiego con i prevedibili effetti che questo avrà sulla disoccupazione.

Il tentativo di “stimolare i consumi” potrebbe rivelarsi fallimentare, data la forte propensione al risparmio dimostrata da molte famiglie americane nei tempi recenti.

Inoltre, la mancanza di un VERO piano per le infrastrutture priva il paese degli investimenti necessari che, peraltro, avrebbero permesso una più agevole riduzione della disoccupazione ed una crescita economica maggiore nel lungo periodo.

Questo pacchetto di aiuti potrebbe rivelarsi una semplice “iniezione di steroidi nell’economia”, in grado sicuramente di generare una certa crescita nel breve periodo, ma è del tutto inadeguato a costituire la “base” di una solida crescita economica, nonché fonte di un enorme debito pubblico difficilmente ripianabile.



Dichiarazione di Donald J. Trump, 45° Presidente degli Stati Uniti d'America.
L'Osservatore Repubblicano
31 marzo 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 4853136851

Il piano radicale di Joe Biden per implementare il più grande aumento delle tasse nella storia americana è un enorme regalo alla Cina, e a molti altri paesi, che invierà migliaia di fabbriche, milioni di posti di lavoro, e trilioni di dollari a queste nazioni competitive. Il piano di Biden schiaccerà i lavoratori americani e decimerà la produzione statunitense, mentre darà speciali privilegi fiscali agli outsourcer, alle multinazionali straniere e giganti.
Biden ha promesso di "costruire meglio" - ma il paese che sta costruendo, in particolare, è la Cina e altri grandi segmenti del mondo. Sotto l'amministrazione Biden, l'America sta ancora una volta perdendo la guerra economica con la Cina - e il ridicolo aumento multimiliardario delle tasse di Biden è una strategia di resa economica totale. Sacrificare posti di lavoro americani ben pagati è l'ultima cosa di cui i nostri cittadini hanno bisogno mentre il nostro paese si riprende dagli effetti della pandemia globale.
La politica di Biden spezzerebbe la schiena del lavoratore americano con una delle più alte aliquote fiscali per le imprese nel mondo sviluppato. Secondo il piano di Biden, se si creano posti di lavoro in America e si assumono lavoratori americani, si pagherà di più in tasse, ma se si chiudono le fabbriche in Ohio e Michigan, si licenziano i lavoratori americani e si sposta tutta la produzione a Pechino e Shanghai, si pagherà di meno. È l'esatto OPPOSTO di mettere l'America al primo posto - è mettere l'America all'ultimo posto!
Le aziende che mandano posti di lavoro americani in Cina non dovrebbero essere ricompensate dalla legge fiscale di Joe Biden, dovrebbero essere punite in modo da mantenere quei posti di lavoro proprio qui in America, dove appartengono.
Questa legislazione sarebbe tra le più grandi ferite economiche autoinflitte della storia. Se si lascia passare questa mostruosità, il risultato sarà più americani senza lavoro, più famiglie distrutte, più fabbriche abbandonate, più industrie distrutte, e più strade principali imbarcate e chiuse - proprio come era prima che io prendessi la presidenza 4 anni fa. Allora ho stabilito un livello di disoccupazione record, con 160 milioni di persone che lavorano.
Questo aumento delle tasse è un classico tradimento globalista di Joe Biden e dei suoi amici: i lobbisti vinceranno, gli interessi speciali vinceranno, la Cina vincerà, i politici di Washington e i burocrati del governo vinceranno - ma le famiglie americane che lavorano duramente perderanno.
L'attacco crudele e senza cuore di Joe Biden al sogno americano non deve mai essere permesso di diventare una legge federale. Proprio come il nostro confine meridionale è passato dal meglio al peggio, e ora è in disordine, la nostra economia sarà distrutta!




Biden vuole alzare le tasse ai ricchi: su al 43,4% l’imposta massima sul capital gain
Il presidente Usa vuole alzare l’aliquota dall’attuale 23,8%. Nello stato di New York si arriverebbe al 55,22%
22 aprile 2021

https://www.ilsole24ore.com/art/usa-bid ... 1619116636

Il presidente statunitense, Joe Biden, proporrà un'imposta federale massima sul capital gain del 43,4%, secondo quanto riportato dal sito Bloomberg, in rialzo dall'attuale 23,8%. L’aumento si tradurrebbe in un'imposta del 52,22% totale nello Stato di New York, per esempio. Il massimo dell'aliquota è previsto per chi guadagna più di un milione di dollari all'anno.

In precedenza, il New York Times aveva fornito dei dettagli sull'”American Family Plan”, il piano per l'istruzione e altre spese sociali. Subito dopo la notizia diffusa dalla stampa, il Dow è ulteriormente sceso sotto la parità e ora cede 213 punti (-0,6%). Lo S&P 500 e il Nasdaq, che erano in positivo, cedono ora 18,60 e 51,42 punti, rispettivamente -0,45% e -0,37%. Il petrolio Wti al Nymex scende dello 0,03% a 61,33 dollari al barile.

L’annuncio di Biden rientra nel progetto, più ampio, di una perequazione fiscale che aumenti il gettito dalle fasce più ricche dei contribuenti. Biden dovrebbe avanzare la sua proposta la settimana prossima, sempre all’interno del cosiddetto American Family Plan. Il pacchetto si aggira su un valore complessivo di circa 1000 miliardi di dollari e arriva mentre il Congresso sta dibattendo su un progetto separato di 2.250 miliardi di dollari dedicato alle infrastrutture (l’American Jobs Plan), dopo il via libera al maxi-investimento da 1.900 miliardi di dollari in misure di sostegno alle famiglie dalla crisi pandemica.



Il folle piano economico finanziario di Biden
Jun 4, 2021
https://www.youtube.com/watch?v=kRjkY2DMCeU




Un’altro obiettivo mancato: l’economia statunitense aggiunge 559.000 posti di lavoro a maggio, il tasso di disoccupazione scende al 5,8%
6 giugno 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... nde-al-58/

L’economia statunitense ha aggiunto 559.000 posti di lavoro a maggio e il tasso di disoccupazione è sceso al 5,8%, ha detto il Dipartimento del Lavoro nella sua valutazione mensile.

La previsione media degli analisti intervistati da Econoday era di 650.000 posti di lavoro e un tasso di disoccupazione del 5,9% per il mese di maggio. La stima del Dow Jones era di 671.000.

I numeri deludenti seguono la grande delusione del rapporto per il mese di aprile. Questo aggiunge prove all’affermazione che le assunzioni sono frenate dai sussidi di disoccupazione aumentati e dalle scuole che non hanno riaperto a tempo pieno, richiedendo ad alcuni genitori di rimanere a casa per prendersi cura dei bambini. Molte aziende dicono che non possono assumere abbastanza lavoratori per riempire le posizioni a causa del programma di sussidi di disoccupazione che è stato potenziato dal governo.

L’economia ha superato le aspettative su molti parametri quest’anno, dato che le vaccinazioni hanno aumentato la fiducia delle imprese e dei consumatori e le restrizioni alle imprese sono state eliminate. I numeri dell’occupazione di aprile e maggio rappresentano una rara disattesa delle aspettative.

Il dato di aprile è stato rivisto a 278.000 da 266.000, una revisione più piccola di quanto molti si aspettassero. Il numero dei posti di lavoro di marzo, inizialmente riportato a 916.000, è stato rivisto a 785.000.

A maggio, l’occupazione non agricola a libro paga è scesa di 7,6 milioni, il 5,0 per cento, dal suo livello pre-pandemico di febbraio 2020.

Il guadagno orario medio per tutti i dipendenti è salito di 15 centesimi a 30,33 dollari a maggio, dopo un aumento di 21 centesimi ad aprile. La retribuzione media oraria dei dipendenti del settore privato legato alla produzione e non ai servizi è aumentata di 14 centesimi a 25,60 dollari a maggio, dopo un aumento di 19 centesimi ad aprile. Gli aumenti mese dopo mese suggeriscono che la crescente domanda di lavoro associata alla ripresa dalla pandemia può aver messo pressione al rialzo sui salari, ha detto il Dipartimento del Lavoro.

I settori del tempo libero e dell’ospitalità hanno aggiunto 292.000 posti di lavoro, compresi 186.000 posti di lavoro in ristoranti e bar. Casinò, parchi di divertimento e centri ricreativi hanno aggiunto 58.000 posti di lavoro. Hotel e motel hanno aggiunto 35.000 posti di lavoro. L‘incremento di aprile di 331.000 posti è stato rivisto leggermente al ribasso a 328.000.

Nonostante i guadagni, l’occupazione nella categoria del tempo libero e dell’ospitalità è scesa di 2,5 milioni, o del 15 percento, dal suo livello prepandemico.

L’edilizia ha perso 20.000 posti di lavoro a maggio e l’edilizia residenziale ne ha aggiunti solo 4.000, un risultato sorprendente data la forza del mercato immobiliare. Il mese precedente era stato originariamente riportato come stabile, ma è stato rivisto al ribasso per mostrare una perdita di 5.000 posti di lavoro, incluso un calo nell’edilizia residenziale.

Parte della debolezza dell’occupazione nell’edilizia può essere dovuta alla debolezza dell’edilizia per uffici e locali commerciali, come suggerito dal fatto che l’occupazione degli appaltatori specializzati non residenziali si è ridotta di 16.8000 unità. Inoltre, l’occupazione nell’edilizia pesante e nell’ingegneria civile è scesa di 5.500 unità. La spesa per l’edilizia di pubblica sicurezza – che include prigioni, stazioni di polizia e sicurezza dei confini – è scesa del 15% in aprile.

Il settore manifatturiero ha aggiunto 23.000 posti di lavoro a maggio, ma la perdita di aprile è stata rivista al ribasso per mostrare una perdita di 32.000, peggiore della perdita di 28.000 riportata inizialmente. I produttori di beni durevoli hanno aggiunto 18.000 posti di lavoro. I produttori di automobili, camion e ricambi auto hanno aggiunto 24.800 posti di lavoro, recuperando parzialmente rispetto alla contrazione di 37.700 posti di lavoro dovuta alla carenza di chip del mese scorso.

L’occupazione nei negozi di cibo e bevande è scesa di 26.000 unità, dopo una perdita di 46.800 posti di lavoro in aprile.

Il settore privato ha aggiunto complessivamente 492.000 posti di lavoro, dopo l’incremento di 219.000 posti di aprile. I governi hanno aggiunto 67.000 posti di lavoro e la cifra di aprile è stata rivista da 48.000 a 59.000.

Il tasso di partecipazione della forza lavoro è scivolato di un decimo di punto percentuale al 61,6% a maggio. Questo è rimasto all’interno di una stretta fascia dal 61,4 per cento al 61,7 per cento dal giugno 2020, suggerendo che le riaperture hanno fatto poco per attirare i lavoratori di nuovo nella forza lavoro nazionale e forse indicando che alcuni ex lavoratori hanno deciso di andare in pensione anticipata o altrimenti uscire definitivamente dal mercato del lavoro. Il tasso di partecipazione è inferiore di 1,7 punti percentuali rispetto al febbraio 2020. Il rapporto occupazione-popolazione, al 58,0%, non si è mosso a maggio, ma è aumentato di 0,6 punti percentuali dal dicembre 2020. Tuttavia, questa misura è 3,1 punti percentuali al di sotto del suo livello di febbraio 2020.

Il numero di persone occupate “a tempo parziale per motivi economici” è rimasto sostanzialmente invariato a 5,3 milioni a maggio, ma è 873.000 in più rispetto al febbraio 2020. Si tratta di persone che avrebbero preferito un impiego a tempo pieno, ma che dicono di lavorare solo a tempo parziale perché le loro ore sono state ridotte o non sono state in grado di trovare un lavoro a tempo pieno. Alcuni economisti considerano questo come la migliore misura della tenuta o del rallentamento del mercato del lavoro.

Il numero conteggiato come “non nella forza lavoro” ma che “dice di volere attualmente un lavoro” è rimasto essenzialmente invariato nel corso del mese a 6,6 milioni ma è aumentato di 1,6 milioni dal febbraio 2020. Queste persone non sono contate come disoccupate nel rapporto perché non hanno cercato attivamente lavoro nelle ultime 4 settimane o non erano disponibili ad accettare un lavoro. Molti potrebbero ancora raccogliere indennità di disoccupazione perché l’obbligo di cercare lavoro è stato sospeso in molti stati a causa della pandemia e non è strettamente monitorato nella maggior parte degli stati.

Meno lavoratori lavorano da casa. A maggio, il 16,6% degli occupati ha telelavorato a causa della pandemia di coronavirus, in calo rispetto al 18,3% di aprile e al 21% di marzo.
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Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mar mar 09, 2021 7:56 am

Il programma di aiuti per gli agricoltori in difficoltà tutela i neri, gli ispanici e altre minoranze, ma se sei bianco l'aiuto ti è negato.
L'Osservatore Repubblicano
13 giugno 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 3514442651

Se non è questo razzismo...
Il giudice blocca il programma di aiuti di Biden basato sulla razza per gli agricoltori, affermando che la sfida è "probabile che abbia successo".
Un gruppo di agricoltori bianchi aveva intentato una causa sostenendo che la politica sugli aiuti li discrimina
Un giudice federale del Wisconsin ha ordinato giovedì 10 giugno un blocco temporaneo a un programma federale di aiuti basati sulla razza per gli agricoltori di 4 miliardi di dollari.
Un gruppo di agricoltori bianchi ha intentato una causa sostenendo che la politica li discrimina.
Il giudice distrettuale di Milwaukee William Griesbach ha emesso un ordine temporaneo di sospensione, facendo presente che gli agricoltori bianchi "probabilmente avranno successo nel merito della loro richiesta" poiché il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) "usa criteri basati sulla razza nella gestione del programma violando il loro diritto all'uguale protezione dalla legge", secondo NBC News.
"La risposta ovvia a un'agenzia governativa che afferma di continuare a discriminare gli agricoltori a causa della loro razza o origine nazionale è di ordinarle di smettere: non è di ordinarle di discriminare intenzionalmente gli altri sulla base della loro razza e origine nazionale", ha continuato Griesbach.
L'USDA ha detto di non essere d'accordo con l'ordine restrittivo.
"Siamo rispettosamente in disaccordo con questo ordine temporaneo e l'USDA continuerà a difendere con forza la nostra capacità di eseguire questo atto del Congresso e concedere la riduzione del debito ai mutuatari socialmente svantaggiati", ha detto un portavoce dell'USDA a Fox News. "Quando l'ordine temporaneo sarà revocato, l'USDA sarà pronta a fornire la riduzione del debito autorizzata dal Congresso".
La disposizione di 4 miliardi di dollari faceva parte del pacchetto American Rescue del presidente Biden, e i fondi dovevano essere usati per pagare fino al 120% del debito insoluto degli agricoltori "socialmente svantaggiati" o neri, ispanici, asiatici o nativi americani. Dodici agricoltori bianchi di nove stati hanno fatto causa sostenendo che escluderli dagli aiuti a causa della razza violava i loro diritti costituzionali.
"Penso che si debba tornare indietro di 20, 30 anni quando sappiamo per certo che i produttori socialmente svantaggiati sono stati discriminati dal Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti. Noi sappiamo questo. Abbiamo rimborsato persone in passato per quegli atti di discriminazione, ma non abbiamo mai assolutamente affrontato l'effetto cumulativo", ha detto il segretario all'agricoltura Tom Vilsack a maggio, difendendo gli aiuti.
L'USDA ha risolto cause di discriminazione multimiliardarie con gli agricoltori delle minoranze nel 1999 e nel 2010.
"In secondo luogo, quando si guardano i pacchetti di aiuti COVID che erano stati approvati e distribuiti dall'USDA prima dell'American Rescue Plan, e si dà un'occhiata a chi ha ricevuto in modo sproporzionato i benefici di quei pagamenti COVID, è abbastanza chiaro che gli agricoltori bianchi hanno avuto ottimi risultati con quel programma, per il modo in cui era strutturato, in base alla dimensione e alla produzione. Quindi penso che ci sia una ragione molto legittima per fare quello che stiamo facendo", ha continuato il segretario.
Gli agricoltori neri rappresentavano circa un sesto degli agricoltori nel 1920, ma meno del 2% delle aziende agricole erano gestite da produttori neri nel 2017, secondo i dati USDA.
Gli agricoltori di minoranza hanno sostenuto per decenni che sono stati ingiustamente negati loro i prestiti del governo e altre forme di assistenza. Molti di loro si sono lamentati che sotto il precedente mandato di Vilsack - come segretario all'agricoltura durante gli anni di Obama - ha fatto poco per risolvere un arretrato di 14.000 denunce di discriminazione dall'amministrazione Bush. L'amministrazione Bush ha riscontrato la discriminazione solo in uno di quei casi.
Gli agricoltori si sono espressi contro il programma di assistenza a marzo.
"Solo perché sei di un certo colore non devi restituire i soldi? Non mi interessa se sei viola, nero, giallo, bianco, grigio, se prendi in prestito dei soldi devi restituirli", ha detto a Fox News in un'intervista Kelly Griggs, che gestisce la sua fattoria di 1.800 acri con suo marito a Humboldt, nel Tennessee.
"La mia reazione è: "Dov'è finito il buon senso? ha detto Griggs. "Non possiamo scioperare. Non possiamo fermarci. Questa è la parte che fa veramente schifo. Queste persone a Washington che prendono decisioni per noi e per il nostro sostentamento probabilmente non hanno mai messo piede in una vera fattoria".
Un altro agricoltore, Benji Anderson della Georgia, ha espresso preoccupazione per il programma.
"Penso che dovrebbe essere distribuito a tutti", ha detto Anderson a Fox News. "Perché una cosa che abbiamo tutti in comune, non importa il colore o la razza o qualsiasi altra cosa, siamo tutti agricoltori, tutti lavorano insieme per nutrire gli Stati Uniti".

Un'altra norma di stampo razzista è stata fermata dalla Corte d'appello del 6° circuito.
L'Osservatore Repubblicano
14 giugno 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 2657697070

L'Amministrazione Biden per quanto riguarda l'assegnazione dei fondi di sostegno all'economia approvati con l'America Resque Plan, ha previsto per i ristoranti (la cui proprietà fosse almeno del 51%) posseduti da minoranze e donne, la priorità nell'assegnazione dei fondi durante i primi 21 giorni del programma di sovvenzione.
La motivazione è: poichè le minoranze e le donne sono state discriminate in passato ora dobbiamo discriminare gli uomini bianchi.....
Come cercare di unire una nazione ed evitare tensioni sociali.....
Il tribunale federale impedisce all'amministrazione Biden di privilegiare le minoranze e le donne per per politiche di assistenza COVID
Una corte d'appello ha stabilito che l'amministrazione Biden non può usare la razza e il sesso come parametri per la distribuzione dei fondi di assistenza per il coronavirus.
In una sentenza 2-1, un collegio di tre giudici della Corte d'Appello del 6° Circuito degli Stati Uniti ha stabilito a fine maggio che la Small Business Administration stava violando il principio costituzionale della protezione uguale davanti alla legge, dando la priorità ai ristoranti di proprietà di minoranze e donne che cercano di ottenere fondi per il soccorso per il coronavirus.
"Le politiche del governo che classificano le persone in base alla razza sono presuntivamente non valide", ha scritto il giudice Amul Thapar, un nominato da Trump, per la corte. "Come le classificazioni razziali, la discriminazione basata sul sesso è presuntivamente non valida".
Antonio Vitolo, un proprietario di Jake's Bar and Grill a Harriman, Tennessee, ha intentato la causa. Lui è bianco e sua moglie è ispanica. Condividono la proprietà del ristorante al 50%.
Hanno contestato l'assegnazione dell'amministrazione Biden ai ristoranti di proprietà di almeno il 51% di minoranze o donne durante i primi 21 giorni di distribuzione di circa 29 miliardi di dollari come parte dell'American Rescue Plan.
Il governo federale ha argomentato che dovrebbe dare la priorità alle imprese possedute da minoranze e donne a causa della discriminazione passata.
I documenti del tribunale hanno indicato la testimonianza al Congresso di un esperto che ha detto che il 32% delle imprese ispaniche e il 41% di quelle nere sono fallite durante la pandemia, rispetto al 22% delle imprese bianche.
Dopo il periodo di 21 giorni, gli altri ristoranti sarebbero idonei a ricevere qualsiasi fondo disponibile, ha detto l'amministrazione Biden.
Il 6° Circuito non ha trovato prove a sostegno della preferenza del governo e ha detto che la politica era incoerente perché dava la priorità ai "pakistani ma non agli afghani; ai giapponesi ma non agli iracheni; agli ispanici ma non ai mediorientali".
"Quando il governo promulga politiche basate sulla razza, deve operare con un bisturi. E i suoi tagli devono essere informati da dati che suggeriscono una discriminazione intenzionale. Le ampie disparità statistiche citate dal governo non sono sufficienti", ha scritto il giudice Thapar. "L'uso della razza da parte della politica viola l'uguale protezione".
La corte ha ingiunto all'amministrazione di continuare dal dare priorità alla razza o al genere.
Il Dipartimento di Giustizia ha rifiutato di commentare la sentenza o se farà appello alla Corte Suprema.
Il giudice Alan Eugene Norris, un nominato da Reagan, si è unito al giudice Thapar nell'opinione. Il giudice Bernice B. Donald, di nomina Obama, non era d'accordo con la maggioranza.
Nel suo dissenso, il giudice Donald ha detto che la Corte Suprema ha stabilito che la Costituzione permette al governo di usare "classificazioni basate sulla razza per rimediare alla discriminazione passata".
"Il ragionamento della maggioranza suggerisce che viviamo in un mondo in cui secoli di discriminazione intenzionale e di oppressione delle minoranze razziali sono stati sradicati", ha scritto.
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Messaggioda Berto » mar mar 09, 2021 7:57 am

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