Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 9:56 am

Se l'Africa è nera l'Europa è bianca.

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L'Africa agli africani, certo e l'Europa agli europei.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:10 am

Io sono un uomo bianco, orgogliosamente bianco e vivo nella terra della mia gente bianca che è l'Europa.
Se l'Africa è nera l'Europa è bianca.
Se gli africani neri hanno diritto all'Africa nera ciò vale anche per gli europei bianchi che hanno diritto all'Europa bianca.
Non solo bianca ma religiosa e non religiosa, atea, aidola, agnostica, giudaico cristiana, illuminata e laica.
L'Europa non è nera e nemmeno maomettana.
Lo spirito divino e umano non è soggetto alle manipolazioni delle ideologie e delle utopie politiche e religiose.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... =3&theater

Non vi è nulla di male ad essere bianchi, europei, occidentali, cristiani, ebrei e non religiosi.
Anzi è un di più per l'umanità che vi siano anche i bianchi, perché la ricchezza della diversità è un bene della vita, della terra, della creazione e dell'universo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:12 am

Noi europei bianchi non solo vogliamo ma pretendiamo in maniera assoluta il rispetto dei nostri diritti umani, a incominciare dal nostro diritto naturale di essere di pelle bianca come ci ha fatto la vita in centinaia di migliaia se non milioni di anni di storia.


Noi siamo europei e bianchi e l'Europa è la nostra terra, il nostro continente!
https://www.facebook.com/groups/3389296 ... 858725737/

Noi siamo europei e bianchi e l'Europa è la nostra terra, il nostro continente!
https://www.facebook.com/DirittiUmanide ... 6175194568


Noi siamo europei e bianchi e l'Europa è la nostra terra, il nostro continente!
Bianchi ci ha fatto la natura e la storia millenaria dell'uomo e bianchi ci piace essere e restare.
I verdi i rossi i neri e i gialli se desiderano venire in Europa lo possono fare chiedendoci il permesso e debbono essere estremamente rispettosi e riguardosi verso di noi se no aria, il Mondo è grande e possono sempre tornare a dove sono venuti!
Se non vi piace il colore della nostra pelle e l'odore dei nostri corpi state lontano da noi e dalla nostra vista,
andatevene e tornate ai vostri paesi di origine che nessuno vi trattiene da noi.

Siamo stanchi di essere demonizzati
perché bianchi e occidentali;
perché secolarizzati, laici, atei o aidoli e non più religiosi,
perché trasformiamo la terra con il nostro lavoro e beneficiamo così l'intera umanità;
siamo stanchi di essere discriminati, di subire le vostre invasioni, di dovervi ospitare e mantenere e di essere da voi disprezzati, stuprati e uccisi, come se fossimo meno delle bestie o fossimo delle mostruosità umane a cui ogni male è lecito fare;
siamo stanchi di essere accusati di aver invaso, colonizzato, depredato, schiavizzato e sterminato perché se nel passato qualcuno e solo qualcuno di noi l'ha fatto, non ha fatto altro che fare come hanno sempre fatto gli uomini in ogni continente, solo che noi nei secoli siamo cambiati e migliorati e certe cose non le facciamo più, altri invece continuano a farle e non accennano a cambiare.

La nostra Europa è la terra dell'uomo di buona volontà e la sua spiritualità è quella naturale e universale che ci è stata data in dote con la creazione e l'evoluzione che ispira la scienza e il lavoro; la vita e non la morte è la nostra religione.
Ovunque nel Mondo ove nel passato sono migrati gli Europei, colonizzando interamente le terre e i paesi, quei luoghi oggi sono tra i più civili e prosperi della Terra come l'Australia, la Nuova Zelanda e l'America del Nord.

Nel nostro continente vi è naturalmente posto per le ragionevoli religiosità ebraica e cristiana che hanno contribuito alla nostra civiltà europea ma non vi può essere posto alcuno per le idolatrie mostruose, incivili e disumane come quella nazi maomettana, non vi può essere posto alcuno per presuntuosi ignoranti e invasati razziatori, discriminatori, assassini e stragisti come Maometto e i suoi seguaci che hanno già fatto fin troppo del male all'umanità intera in questi 1400 anni di storia, da noi non vi è alcun spazio per deità mostruose e disumane come Allah!
L'Islam o nazismo maomettano questa tribale e incivile ideologia politico religiosa di supremazia e di morte va bandita dal Mondo civile, come andrebbe tacitato e bandito chi irresponsabilmente la santifica come portatrice di fraternità, di spiritualità e di pace.

Noi non dobbiamo niente a nessuno, non dobbiano scontare alcuna colpa e alcuna pena, non dobbiamo ripagare/risarcire chichessia di alcun danno, non abbiamo promesse e obblighi e doveri da mantenere se non quelli che assumiamo liberamente e volontariamente verso chi ci rispetta, ci ama e merita il nostro aiuto.
Chi viene da noi con rispetto chiedendoci il permesso e che poi ci ama e si integra è ben accetto come uno di Noi, tutti gli altri assolutamente no, questi vanno respinti e cacciati o espulsi.
Noi siamo uomini liberi, siamo bianchi, europei e occidentali e l'Europa è la nostra terra, chi non ci rispetta e non ci ama ci faccia il piacere di levarsi di torno, noi ci piaciamo così come siamo e vogliamo continuare ad esserlo finché la vita e Dio lo vorranno.



A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente.
L'Africa agli africani, l'America agli americani, l'Asia agli asiatici, l'Europa agli europei, l'Oceania agli oceaniani
viewtopic.php?f=205&t=2887
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0069203153


Vivere e convivere contro natura
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2847

Costringere le persone più disparate e le genti e i popoli più diversi a vivere e a convivere contro la loro natura e compatibilità, contro la loro volontà e libertà e scelta e sovranità, è una violenza disumana che può generare violenza indicibile, proprio come con gli animali.
Quindi la costrizione all'accoglienza, all'ospitalità attraverso la demonizzazione civile, il ricatto religioso, le decisioni governative e sovranazionali imposte alle persone e ai popoli è un crimine contro l'umanità che ha la sua natura, le sue leggi, i suoi ritmi, i suoi bisogni naturali e universali;
qualsiasi innaturale forzatura produce conseguentemente del male a non finire, sofferenze immani, rivolte, guerre e bagni di sangue.

Soltanto gli idealismi utopici e le loro ideologie dogmatiche e teocratiche, nella loro cieca presunzione e arrogante ignoranza delle cose, del vero e del reale, possono arrivare a tali aberranti mostruosità di manipolazione della natura umana, della società, della vita, della politica.



La strana morte dell’Europa fra immigrazione, identità e islam. Il libro di Douglas Murray è un bestseller internazionale e scuote l’Europa.
25 aprile 2020
Carlo Franza

http://blog.ilgiornale.it/franza/2020/0 ... e-leuropa/

Lo scrittore Douglas Murray è un giornalista e commentatore politico britannico, Associate Editor dello Spectator, collabora con numerose testate. Il suo libro “La strana morte dell’Europa” (Neri Pozza 2018) ha ottenuto, al suo apparire in Gran Bretagna, un grande successo di pubblico e di critica. “The Strange Death of Europe” è il racconto di bestseller internazionale di un continente e di una cultura colti nell’atto del suicidio. Douglas Murray fa un passo indietro e analizza le questioni più profonde che vi sono dietro la possibile scomparsa del continente, da un’atmosfera di attacchi terroristici di massa e una crisi globale dei rifugiati. Vi propongo subito due massime che svelano in parte quanto vi espongo: “Multiculturalismo è nella sua essenza anti-europea civiltà, esso è fondamentalmente un anti-occidentale ideologia” (Samuel Huntington); Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vogliono sentire (George Orwell).

The Strange Death of Europe – Un Bestseller Number 1 nel Regno Unito. È un’analisi molto personale di un continente e di una cultura colti nell’atto del suicidio, tutto questo grazie al “calo dei tassi di natalità”, “l’immigrazione di massa” e la “coltivata auto-sfiducia e odio verso se stessi” che si sono uniti e amalgamati per rendere gli europei incapaci di affrontare ciò in proprio e incapaci di resistere alla loro completa alterazione facciale come società che va verso la fine ultima.

Il libro oltre che analizzare le realtà demografiche e politiche, è anche una testimonianza tangibile di un continente nel processo di autodistruzione. Include account basati sui viaggi in tutto il continente, dai luoghi in cui i migranti approdano e nei luoghi in cui finiscono -da Lampedusa a Santa Maria di Leuca- , e anche dalle persone che fingono di volere che vadano in luoghi che non possono accettarli. Murray inquadra e affronta questioni più complesse e profonde che si celano dietro la possibile scomparsa di un continente, da un’atmosfera di attacchi terroristici di massa alla costante erosione delle nostre libertà. Intanto spazia sul deludente fallimento del multiculturalismo, l’inversione a U della migrazione di Angela Merkel, la mancanza di rimpatrio e la fissazione occidentale sulla colpevolezza che viene propagandata dalla Chiesa Cattolica e da Papa Bergoglio.
Murray ha viaggiato in tutta Europa da Berlino a Parigi, dalla Scandinavia a Lampedusa e Grecia per scoprire questo malessere insito nel cuore della cultura europea e per ascoltare dal vivo le storie di coloro che sono arrivati in Europa da molto lontano. Conclude dandoci due visioni per una nuova Europa – una di speranza, una pessimista – che offrono un’immagine dell’Europa in crisi e offrono una scelta su cosa si può fare dopo. The Strange Death of Europe di Douglas Murray è stato pubblicato lo scorso maggio, sei settimane dopo che Khalid Masood ha usato la sua auto come arma del delitto a Westminster Bridge. Nella Postfazione scritta per questa edizione tascabile, Murray cita un articolo del New York Times che descrive la mattina dopo la baldoria omicida di Masood: “Londra era, se non del tutto normale, sicuramente di nuovo in attività”.Come dire tutti, tutti noi, viviamo in un mondo fantastico, quale l’attuale, a parte l’omicidio di massa e la marcia dell’islamismo.
Tanto che già nell’introduzione, espone la sua tesi: “L’Europa si sta suicidando”, e ancora: “l’Europa non sarà l’Europa e i popoli europei avranno perso l’unico posto nel mondo che dovevamo chiamare casa”. L’immigrazione di massa in Europa l’ha resa “una casa per il mondo intero” in un momento in cui l’Europa “ha perso fiducia nelle sue convinzioni, tradizioni e legittimità … Il mondo sta arrivando in Europa proprio nel momento in cui l’Europa ha perso di vista quello che è. E mentre il movimento di milioni di persone di altre culture in una cultura forte e assertiva avrebbe potuto funzionare, il movimento di milioni di persone in una cultura colpevole, stanca e morente non può”. E per ciò si è affacciato anche il termine di razzismo. I nuovi partiti che sono emersi in Europa come conseguenza dell’immigrazione di massa, e le classi politiche hanno ignorato le preoccupazioni degli elettori, ignorando tutto ciò o facendo finta di nulla di ciò che è cambiato: “C’è uno sforzo continuo per rendere i cittadini europei non credono alle prove della propria vita.” Le pagine di Murray sono sferzanti tanto che molti hanno urlato e addirittura gli hanno rivolto aggettivi offensivi, non guardando che proprio questi elementi analizzati da Murray hanno scatenato i partiti di destra in Europa. Il suo è uno dei pochi libri veramente meritevoli dell’etichetta “lettura essenziale”, e Stephen Pollard è l’editore del JC. L’Europa occidentale vive una malattia culturale che sta indebolendo la sua volontà di vivere, è ammalata -sostiene Douglas Murray-, vive livelli di immigrazione senza precedenti, specialmente dal mondo musulmano, che trasformano questo desiderio di morte in realtà.

Sebbene l’élite europea sia decisa a cancellare la sua cultura tradizionale, Murray pensa che le persone comuni non vogliano tutto ciò, e scrive nella sua introduzione: “L’Europa si sta suicidando. O almeno i suoi leader hanno deciso di suicidarsi. Che i cittadini europei scelgano di farlo è, naturalmente, un’altra questione”. Murray ha quasi i denti avvelenati sul problema. Lo troviamo a Lampedusa, dove i migranti dalla Libia e le zone più a sud tentano la fortuna nel pericoloso viaggio in Sicilia; è al campo di Moria a Lesbo, offrendo loro il modo di affrontare le dure condizioni e intervistare i rifugiati sfortunati; solidale con i migranti, ma scontroso con i volontari del gruppo No Bimagesorders, che sembrano infischiarsene della più ampia domanda e sugli interrogativi che comporta questa pericolosa traversata. Murray sottolinea i modi in cui i trafficanti di esseri umani sfruttano i migranti: fornire alle navi solo il carburante sufficiente per farlo a metà strada, e assegnare le posizioni più pericolose a bordo agli africani piuttosto che agli arabi. Ma l’indagine sociologica torna a puntare il dito sull’ Europa, dove Murray si ritrova nell’ufficio di un deputato tedesco, che minimizza sostenendo che un milione di nuovi arrivati in un paese di 81 milioni è banale. “Immagina che ci fossero 81 persone sedute in questa stanza e bussarono alla porta. Si scopre che qualcuno ci sta dicendo che se rimane nel corridoio sarà ucciso. Cosa facciamo? Certo che lo abbiamo lasciato entrare”. Pressato da Murray sulla possibilità di ammettere anche i successivi partecipanti alla stanza, il politico perde la pazienza. Murray sostiene che la crisi espone l’incapacità dell’Europa di resistere alla sua fine etnoculturale. Sarkozy, Cameron e Merkel potrebbero aver criticato la politica del multiculturalismo, dice Murray, ma in termini pratici non hanno affrontato la migrazione su vasta scala o messo in discussione la trasformazione etnica delle loro società. In vista della crisi dei migranti e della risposta di Merkel, Murray rivisita il romanzo apocalittico di Jean Raspail The Camp of the Saints. Mancando di una narrazione storico-religiosa per guidarla, l’Europa sembra senza timone, la sua politica è aperta alla cattura di cosmopolitismi sia di sinistra che di destra. Secondo Murray, il destino delle chiese svuotate in Europa si rivelerà un barometro della sopravvivenza dell’identità europea. La maggior parte del libro di Murray è buio, triste e oscuro, scuote le coscienze, mette ognuno di noi dinanzi a un bivio, a una scelta . La grande eccezione alla capitolazione dell’Occidente è l’Europa dell’Est, dove Robert Fico e l’ungherese Viktor Orbán hanno tracciato una linea di demarcazione, rifiutandosi di accogliere i rifugiati sulla base del fatto che i loro cittadini non vogliono alterare il carattere storico dei loro paesi. Gli approcci di tali leader e movimenti rappresentano il tipo di difesa robusta della cultura europea che Murray cerca dai leader dell’Occidente. Murray è al top quando soffoca la colpa nevrotica delle élite liberali occidentali, è per loro politicamente corretto che si lamentino incessantemente dei misfatti del passato, mettendo in evidenza il colonialismo, la schiavitù e l’Olocausto. Non sono interessati alla schiavitù araba, all’imperialismo turco e al genocidio o alla macelleria mongola. La stanchezza e la secolarizzazione hanno indebolito la volontà dell’Europa di vivere? Come osserva Olivier Roy, l’insegnamento cristiano sollecita tolleranza e confini aperti. Il caso dell’Europa orientale mostra che la secolarizzazione non costituisce un ostacolo all’etnonazionalismo e alle restrizioni sull’immigrazione. Infatti, rimuovendo le obiezioni del clero, probabilmente rende più facile chiudere la porta. E per finire il libro sottolinea la minaccia per l’Europa posta dall’islam, facendo eco ai precedenti libri di Christopher Caldwell, Bruce Bawer, Bat Ye’or, Oriana Fallaci e altri. Dobbiamo essere vigili nel denunciare l’intolleranza e il terrorismo musulmani laddove esiste, ma non dovremmo sovrastimare il suo impatto complessivo. Inoltre, i tassi di natalità musulmani a nord del Sahara si stanno avvicinando al livello di sostituzione, e il Pew Research Center prevede che non più del 10% di qualsiasi paese europeo sarà musulmano nel 2030.

Il libro coraggioso di Murray, ricco di dettagli storici e contemporanei, ci ricorda che le popolazioni europee non sono state consultate sul fatto se volessero abbracciare un futuro incerto derivante dal mix religioso ed etnico potenzialmente combustibile che è stato loro imposto; su questo tema, nel corso di decenni, sono stati ingannati, mentiti, maltrattati e patrocinati da politici, accademici e dalla stampa cattolica, ma anche dalla sinistra, in un modo che ha minato la fede nella democrazia. E forse la campana sta suonando proprio in questi tempi.

Douglas Murray è un noto autore, giornalista e commentatore politico britannico. Associate Editor dello Spectator, collabora con numerose testate, tra le quali il Sunday Times, lo Standpoint e il Wall Street Journal. La strana morte dell’Europa ha ottenuto, al suo apparire in Gran Bretagna, un grande successo di pubblico e di critica.
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:14 am

Io come uomo, bianco, europeo, italiano e veneto non ho alcuna colpa per il male che c'è al Mondo e rispondo unicamente delle mie azioni.
Il senso di colpa lo provo solo quando sento di aver fatto del male, quando sento di aver violato le buone leggi universali della vita causando del male che mi si ritorce contro o che potrebbe ritorcermisi contro.
Se non ho coscienza di aver fatto del male non provo alcun senso di colpa.
E non vi è alcuna colpa nell'essere bianchi, occidentali, cristiani, atei, aidoli, laici, sani, forti, belli e ricchi, non vi è alcun male nello stare bene e lo stare bene non si fonda sul male degli altri, come la ricchezza non si fonda sulla povertà altrui e la forza non si fonda sulla debolezza altrui.
Il proprio star bene, la propria forza e la propria ricchezza benefica anche gli altri d'intorno.


Chi mi attribuisce colpe che non ho come bianco, europeo e cristiano e che mi demonizza per questo è solo un calunniatore criminale che viola i miei diritti umani sia esso anche il Papa romano che invito caldamente a misurare le parole e ad avere più rispetto per me, per gli europei, per i bianchi, per gli occidentali, per i cristiani e per i non più cristiani come me e anche per gli ebrei di Israele che è la loro terra da migliaia di anni.


Il senso di colpa
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Razzismo dei neri contro i bianchi
viewtopic.php?f=196&t=2913
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:16 am

L'Africa agli africani!
Certo ma anche l'Europa agli europei.




L'Africa agli africani - Nev
Roma (NEV), 25 maggio 2020

https://www.nev.it/nev/2020/05/25/lafri ... -africani/

“Il nuovo ordine economico internazionale non può che affiancarsi a tutti gli altri diritti dei popoli, – diritto all’indipendenza, all’autodeterminazione nelle forme e strutture di governo – come il diritto allo sviluppo. Come tutti gli altri diritti dei popoli può essere conquistato solo nella lotta e attraverso la lotta dei popoli. Non sarà mai il risultato di un atto di generosità di qualche grande potenza”. Così parlava un grande leader africano, il burkinabè Thomas Sankara, a New York, il 4 ottobre 1984, alla 39ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Oggi, a distanza di anni, nella Giornata mondiale dell’Africa, le sue parole, e quel monito “L’Africa agli africani”, sembrano ancora attuali.

La ricorrenza odierna nasce per ricordare l’anniversario della fondazione dell’Organizzazione dell’unità africana, quando i leader di 30 dei 32 Stati indipendenti del continente firmarono lo statuto ad Addis Abeba, in Etiopia.

“La lungimirante decisione che, 57 anni orsono, portò alla nascita dell’Organizzazione per l’Unità Africana – ha commentato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ha trovato da sempre nell’Italia un partner convinto e affidabile. Il nostro Paese sostiene con determinazione il progetto di una sempre maggiore integrazione del continente africano – sia a livello regionale sia sub regionale – e guarda con la massima attenzione alle relazioni con l’Africa nel suo insieme e con ciascuno dei Paesi che ne fanno parte: solo così, infatti, il Mediterraneo potrà essere fedele alla sua vocazione, storica e geografica, di ponte fra i due continenti”.

Tantissime le iniziative per celebrare la giornata di oggi, sia istituzionali che promosse da Ong e terzo settore impegnato nella cooperazione. A proposito di progetti di cooperazione, l’Otto per mille delle chiese valdesi e metodiste ha da sempre un grande numero di attività finanziate nel continente africano. Nel 2019, in particolare – dunque ultimo dato a disposizione – l’OPM ha finanziato ben 236 progetti in Africa, per una somma pari a quasi 7milioni.



L'Africa, agli africani
Maddalena Negri
Martedì, 11 Luglio 2017
https://www.sullastradadiemmaus.it/sezi ... africani-2




30Giorni | «L’Africa va lasciata agli africani
Gianpaolo Romanato, L’Africa nera fra cristianesimo e islam. L’esperienza di Daniele Comboni, Corbaccio, Milano 2003, 454 pp., 24,50

http://www.30giorni.it/articoli_id_2277_l1.htm


«Quanti scrivono le vite dei santi di solito scrivono una grande bugia. Bisognerebbe che scrivessero tutto di loro: le ripugnanze, le difficoltà, le lotte sostenute per mantenersi virtuosi; anche le cadute, i difetti». Il saggio che Gianpaolo Romanato, docente di Storia della Chiesa all’Università di Padova, dedica a Daniele Comboni (G. Romanato, L’Africa nera fra cristianesimo e islam. L’esperienza di Daniele Comboni, 1831-1881, Corbaccio, Milano 2003), sembra aver rispettato alla lettera questa osservazione di san Leopoldo Mandic. E proprio perché la sua è opera storica a tutti gli effetti e non agiografica, le sue pagine riescono a evitare gli stereotipi di questo genere di letteratura e restituiscono al lettore una figura viva e complessa, immersa com’era in tutte le contraddizioni del difficile momento storico in cui agì, nelle immense difficoltà che dovette affrontare in una regione del mondo che, a metà Ottocento, era ancora, a tutti gli effetti, terra incognita.

La canonizzazione di Daniele Comboni, il 5 ottobre scorso, ha permesso di riscoprire questo pioniere della missione in Africa. Una figura che, nell’introduzione al volume, lei definisce ancora in gran parte “sconosciuta”. Perché?
GIANPAOLO ROMANATO: Comboni fino a oggi è stato conosciuto e studiato praticamente solo all’interno della sua congregazione. Questi studi, peraltro pregevoli, hanno posto l’accento più che altro sugli aspetti spirituali e ascetici del personaggio. Il mio lavoro ha voluto collocare Comboni nella storia, ricostruendo il più fedelmente possibile l’ambiente in cui visse e raccogliendo testimonianze attraverso tutte le fonti dell’epoca: missionari, esploratori, militari, avventurieri che ebbero modo di conoscerlo o di fare esperienza del mondo in cui dispiegò la sua azione missionaria.

La Santa Sede, nei riguardi della missione in Africa, dimostrò all’inizio un grande interesse, ma poi si tirò indietro, raffreddando ben presto gli entusiasmi iniziali. Perché avvenne questo?
ROMANATO: Nel 1846 la decisione di fondare il vicariato dell’Africa centrale e avviare la missione fu presa in tempi molto brevi. Giungevano allora notizie di una lenta ma costante espansione dell’islam verso l’Africa nera e la Santa Sede ebbe la sensazione che occorreva far presto. Fu una scelta indubbiamente avventata. La giurisdizione del vicariato comprendeva, almeno teoricamente, tutta l’Africa interna a sud del Sahara, fino all’equatore, e anche oltre, ma di quella immensa regione non si sapeva assolutamente nulla. Le grandi esplorazioni dell’Africa saranno tutte successive, e la colonizzazione europea avverrà cinquant’anni dopo, alla fine del secolo. Perciò, ignorandone tutto, e ignorando soprattutto i rischi e le difficoltà che avrebbe comportato l’Africa, i primi cinque missionari inviati a Khartoum, la sede prescelta, furono mandati sostanzialmente allo sbaraglio. Vi giunsero inoltre nel 1848, mentre in Europa scoppiavano i moti rivoluzionari, con la crisi conseguente. Le vicende del 1848 contribuirono così ad allentare, per non dire a porre fine, all’interesse di Roma nei riguardi della missione. A tal punto che, poco tempo dopo, arriva ai missionari il suggerimento di tornare indietro e abbandonare tutto.
Come reagirono i missionari?
ROMANATO: Lo sloveno Ignaz Knoblecher, responsabile della missione, si rifiutò di porvi fine, anche perché era stato già pagato un prezzo di vite elevato, con la morte del primo superiore, Maximilian Ryllo. Non potendo più aspettarsi sostegno da Roma, andò a cercarlo altrove. E a Vienna, presso il suo governo – la Slovenia era allora parte dell’Impero austroungarico – riuscì a trovare tutti gli appoggi politico-diplomatici e i finanziamenti necessari a mandare avanti la missione, che ebbe sempre costi altissimi, ponendola sotto il patronato degli Asburgo.
Quale fu l’esito dell’operato di Knoblecher?
ROMANATO: Knoblecher giunse nella missione a Khartoum nel 1848 e morì nel 1858. Il risultato fu quasi nullo dal punto di vista dell’evangelizzazione. Le conversioni furono pochissime e non ressero alle prove successive. Però, a pensarci bene, era un risultato inevitabile. Knoblecher e i suoi compagni erano arrivati in una delle zone più primitive e arretrate del continente africano, sotto il profilo della civilizzazione materiale, cioè nell’attuale sud Sudan, l’alto Nilo. Una regione dell’Africa che non aveva mai avuto rapporti né con il cristianesimo né con l’Europa. Le tribù che avvicinò non avevano mai conosciuto l’uomo bianco prima di incontrare i missionari. Per cui si pose a Knoblecher il problema prioritario dell’esplorazione del territorio, quello di farsi accettare dai locali, che non capivano perché questa gente fosse venuta da tanto lontano a sconvolgere il loro sistema di vita. Knoblecher cercò di comunicare nelle lingue locali, ma le lingue locali bisognava impararle dalla gente. E così fu necessaria una drammatica e lunghissima fase di adattamento e di accettazione reciproca, assolutamente non sufficiente ad avviare un’opera di evangelizzazione. Il merito di Knoblecher, una delle maggiori figure del risorgimento sloveno ottocentesco, fu quello di aprire una strada, nonostante le morti, le difficoltà, il clima spaventoso: la strada che poi seguirà Comboni. E Comboni gli ha sempre riconosciuto questo grande merito.

Come nasce la vocazione di Comboni per l’Africa?
ROMANATO: Negli anni della formazione di Comboni, che nacque nel 1831, cominciavano ad arrivare in Europa le prime notizie da esploratori e viaggiatori. Notizie nebulose, favolistiche, spesso irreali, che però creavano attorno all’Africa un clima di attesa e di speranza. La passione di Comboni per l’Africa nasce così, e anche la sua decisione, presa ben prima dell’ordinazione sacerdotale, di dedicarsi alla cristianizzazione dell’Africa. Poi, il contatto concreto con il vicariato di Khartoum avvenne tramite don Angelo Vinco, uno dei primi missionari partiti con Ryllo e Knoblecher. Vinco incontrò Comboni a Verona, dove era tornato per recuperare la salute e per cercare appoggi. Questo incontro rappresentò per Comboni la conferma della sua vocazione “africana”, alla quale poi non venne mai meno.
Lei scrive che «vale la pena di conoscere Comboni, perché fu un uomo di frontiera, un personaggio che sfugge a tutti i nostri criteri di normalità e di buon senso». Che cosa intende?
ROMANATO: Intendo dire che a quel tempo ci voleva molto poco buon senso per andare in Africa. In Africa si moriva. Le condizioni climatiche e sanitarie in cui si svolgeva la missione erano drammatiche. Nel libro ho documentato che dei circa cento missionari, tra sacerdoti e laici, che affluirono nella missione nell’arco di tempo in cui rimase aperta prima dell’arrivo di Comboni, e cioè tra il 1848 e il 1863, morirono i tre quarti. Morirono di malaria, di febbri tropicali o di malattie intestinali. Un’ecatombe senza paragoni. E ai missionari possiamo aggiungere gli esploratori e i mercanti, morti quasi tutti sul

campo. Ecco perché la passione di Comboni per l’Africa lo colloca fuori dai nostri criteri di normalità e di buon senso. Fu veramente una vocazione che ha qualcosa di misterioso per lo sguardo dello storico: una scelta spiritualmente straordinaria, quasi inspiegabile razionalmente.
In che cosa si differenziò la missione di Comboni rispetto a quella dei suoi predecessori?
ROMANATO: Comboni andò una prima volta in Sudan nel 1857, poté conoscere Knoblecher e fare tesoro della sua drammatica esperienza. E capì chiaramente che occorreva cambiare metodo, anche dal punto di vista dell’approccio materiale con l’Africa. Attraverso un lento ripensamento, arrivò nel 1864 a stendere il suo Piano per la rigenerazione dell’Africa, che sarà alla base del metodo missionario in Africa anche di altre congregazioni negli anni successivi. Comboni comprese anzitutto che non era possibile a nessuno passare di colpo dall’Europa all’Africa, sia dal punto di vista sanitario che culturale. Occorreva soggiornare a lungo in un luogo “intermedio”, che egli individuò nell’Egitto, dove ci si abituava fisicamente al clima africano, e si cominciava ad apprendere, anche culturalmente, l’inimmaginabile diversità dell’Africa. L’errore, inevitabile, dei primi missionari era stato anche quello d’aver sottovalutato questi aspetti, cosa che portò qualcuno a dare segni di squilibrio. In secondo luogo, Comboni capovolse l’illusione nella quale egli stesso si era adagiato all’inizio: e cioè l’idea che gli africani dovessero essere portati in Europa, rieducati all’europea e poi trasferiti, per diventare essi stessi fattori di civilizzazione per i loro connazionali. Al contrario, essi andavano, senza forzature, con molta gradualità e cautela, portati a livelli superiori di civilizzazione, ma senza strapparli al loro ambiente, creando in Africa scuole, centri artigianali, università (Comboni ipotizza addirittura università in Africa!). Questo, secondo Comboni – ed è la terza novità del suo piano –, fa sì che la missione debba essere concepita come un’impresa estremamente lunga. Comboni aveva previsto benissimo che nell’arco della sua vita non ci sarebbero stati risultati tangibili. I risultati sarebbero arrivati dopo.

Don Angelo Vinco, uno dei primi missionari inviati a Khartoum nel 1848 insieme a Maximilian Ryllo e Knoblecher

Nel suo libro afferma che la Chiesa «non smise mai di diffidare di Comboni». In che senso?
ROMANATO: Comboni aveva una grande capacità di relazionarsi con chiunque e in primis con gli ambienti della Curia romana; ma, di suo, non aveva né protezioni né garanzie. Non aveva certo la forza che ebbe dietro le spalle, ad esempio, il futuro cardinal Lavigerie, una figura quasi coeva e che ha operato nel campo delle missioni in Africa. In più, era un uomo dall’entusiasmo prorompente e contagioso e probabilmente, per una lunga fase della sua vita, dette la sensazione di essere uno che poteva facilmente “bluffare”, o puntare troppo in alto, e rispetto al quale era meglio prendere le distanze. Inoltre, nonostante fosse un sacerdote veneto di formazione intransigente, antiliberale, illimitatamente devoto alla Chiesa e alla Santa Sede, fu anche un uomo straordinariamente libero, nelle scelte, nelle decisioni, nei giudizi, nelle valutazioni che diede durante la vita. E l’Africa, quest’ambiente così selvaggio e sconosciuto, infinitamente lontano da Roma, acuì e rafforzò questa sua libertà interiore. Credo che anche questo abbia contribuito, almeno all’inizio, a rendere un po’ diffidente la Santa Sede nei suoi confronti.
Come si esprimeva questa libertà?
ROMANATO: I giudizi che dà, per esempio, nelle lettere, sulla politica ecclesiastica, espressioni anche molto dure sui prelati della Curia romana che «hanno visto solo i saloni dorati di Roma, Parigi e Lisbona e non sanno che cosa vuol dire soffrire e morire per la causa di Cristo». Parole e giudizi che Comboni non risparmia alla Santa Sede o ai prefetti della Congregazione di Propaganda Fide, quando ritiene che stiano commettendo errori, per esempio nell’eccessiva fiducia che, a suo giudizio, Roma stava dando al cardinal Lavigerie e alla sua congregazione, a danno della giurisdizione di Comboni sul vicariato dell’Africa centrale.
Chi era Lavigerie?
ROMANATO: Lavigerie, arcivescovo di Algeri e poi cardinale, fu il fondatore dei Padri Bianchi, una delle più importanti congregazioni missionarie dedite all’evangelizzazione dell’Africa. Era un personaggio di straordinaria influenza politica. Godeva di un largo credito presso il governo francese, e a un certo punto ottenne da Roma lo scorporo dell’attuale Uganda dal vicariato di Comboni, per farlo attribuire alla sua giurisdizione. Comboni lo interpretò come un grave errore, e non ebbe nessuno scrupolo a scrivere al prefetto di Propaganda Fide che stava prendendo, come dice egli stesso, «un solenne granchio».

Una stampa raffigurante gli Istituti fondati al Cairo da monsignor Daniele Comboni nel 1868 per la preparazione dei missionari destinati all’Africa centrale

Una stampa raffigurante gli Istituti fondati al Cairo da monsignor Daniele Comboni nel 1868 per la preparazione dei missionari destinati all’Africa centrale

Propaganda Fide avrà avuto le sue ragioni…
ROMANATO: Il problema è che, dopo il 1870, quando inizia l’avventura coloniale delle potenze europee, Roma tentò di adeguarsi alla mappa delle sfere d’influenza che si andavano allora delineando. Poiché la Francia in quegli anni aveva di mira la zona dei Grandi Laghi, la Santa Sede preferì affidarne la cura pastorale a un vescovo francese piuttosto che a un italiano, qual era Comboni, con protezione austriaca. Comboni era nettamente contrario, non solo perché meditava di portare la sua azione fino alle sorgenti del Nilo, all’attuale Uganda, ma anche e soprattutto perché sapeva che, da Algeri, Lavigerie non poteva avere idea delle spaventose difficoltà che l’Africa nera presentava. Infatti la prima spedizione dei padri bianchi verso l’Africa interna, partita nonostante i moniti di Comboni, con destinazione Tombouctou, finì per essere massacrata dai beduini del deserto. Alla fine dell’Ottocento, molti anni dopo la morte di Comboni, Roma tornò sulla propria decisione e riattribuì ai comboniani la competenza sull’attuale Uganda, dove tuttora operano.
Che rapporto c’è tra l’esperienza di Comboni e il colonialismo nascente?
ROMANATO: Comboni non fece in tempo a vedere l’impresa coloniale europea. Fu invece in qualche modo “debitore” verso il colonialismo egiziano. La prima potenza che realizzò un’impresa coloniale in Africa fu infatti l’Egitto, che conquistò il Sudan agli inizi dell’Ottocento con il viceré Mohammed Ali, ansioso di espandere il suo giovane regno ormai praticamente autonomo dall’Impero ottomano, di cui era ancora formalmente parte. Senza la conquista egiziana e senza il consenso egiziano, né Comboni né Knoblecher sarebbero entrati in Sudan. Naturalmente i missionari, secondo gli accordi presi con le autorità, non potevano fare proseliti tra i musulmani, ma solo tra i neri non ancora islamizzati. Gli egiziani, da parte loro, ritenevano che un’opera di civilizzazione dei neri sarebbe risultata utile ai loro propositi di dominio. Ma quando la classe dirigente egiziana, sempre più subordinata a modelli europei, chiamerà una schiera di inglesi, americani, italiani e austriaci a coprire tutti i ruoli di controllo delle province sudanesi, quasi ingovernabili, e Charles Gordon diventerà governatore generale del Sudan, allora venne piantato il seme della Mahadia, la grande rivolta islamica che nel 1885 portò alla cacciata di egiziani ed europei dal Sudan, ma che travolse anche la missione cattolica. I mahdisti, infatti, percepirono l’invasiva presenza di questi europei al soldo degli egiziani come una minaccia troppo grave, e non fecero distinzione tra militari, avventurieri, governatori e missionari.
Qual era il giudizio di Comboni sul mondo islamico?
ROMANATO: Per vent’anni, sia in Egitto che Sudan, Comboni visse in un contesto islamico. Ebbe a che fare con un’islam decadente, secolarizzato, in crisi, ma percepì ugualmente tutta la forza, la saldezza, l’impenetrabilità di questo mondo. E il giudizio di Comboni sull’islam, maturato attraverso una lunga esperienza a contatto con il governo e con il mondo islamico ufficiale, ma anche con l’islam “di base” in Sudan, è drasticamente negativo, senza sfumature. Comboni, questo va detto chiaramente, è molto lontano dall’ecumenismo di oggi. Comunque il cuore dell’esperienza di Comboni non è nel rapporto con i musulmani. È nell’incontro sconvolgente di un uomo, europeo, civilizzato, con la diversità assoluta e totale dell’Africa primitiva. Questa è la chiave di volta della straordinaria esperienza umana di Comboni.

Il giardino della missione di Khartoum; sull’estrema sinistra, le tombe di Comboni e Ryllo, prima della profanazione avvenuta al tempo dell’insurrezione mahdista

Il giardino della missione di Khartoum; sull’estrema sinistra, le tombe di Comboni e Ryllo, prima della profanazione avvenuta al tempo dell’insurrezione mahdista


10 Ottobre. Daniele Comboni: l'Africa agli africani

https://www.culturacattolica.it/cultura ... i-africani

sabato 10 ottobre 2020
Oggi nel 1881 moriva Daniele Comboni.
Mentre l’Italia cercava ancora una sua identità politica e culturale e gli Stati europei si dedicavano all’esplorazione dei territori africani, dando inizio a quello che sarà poi conosciuto come Imperialismo, un contadino veneto in forza della sua vocazione cristiana, dà vita alla più originale azione a favore dell’Africa, quella dell’ordine che da lui prende il nome.
Ecco le parole usate per ricordarlo.
Daniele Comboni: un figlio di poveri giardinieri-contadini che diventò il primo Vescovo cattolico dell'Africa Centrale e uno dei più grandi missionari nella storia della Chiesa.
È proprio vero: quando il Signore decide di intervenire e trova una persona generosa e disponibile, si vedono cose nuove e grandi.

Figlio «unico» - genitori santi
Daniele Comboni nasce a Limone sul Garda (Brescia - Italia) il 15 marzo 1831, in una famiglia di contadini al servizio di un ricco signore della zona. Papà Luigi e mamma Domenica sono legatissimi a Daniele, il quarto di otto figli, morti quasi tutti in tenera età. Essi formano una famiglia unita, ricca di fede e valori umani, ma povera di mezzi economici. Ed è appunto la povertà della famiglia Comboni che spinge Daniele a lasciare il paese per andare a frequentare la scuola a Verona, presso l'Istituto fondato dal Sacerdote don Nicola Mazza.

In questi anni passati a Verona, Daniele scopre la sua vocazione al sacerdozio, completa gli studi di filosofia e teologia e soprattutto si apre alla missione dell'Africa Centrale, attratto dalle testimonianze dei primi missionari mazziani reduci dal continente africano. Nel 1854 Daniele Comboni viene ordinato sacerdote e tre anni dopo parte per l'Africa assieme ad altri 5 missionari mazziani, con la benedizione di mamma Domenica che arriva a dire: «Va', Daniele, e che il Signore ti benedica».

Nel cuore dell'Africa - con l'Africa nel cuore
Dopo 4 mesi di viaggio, la spedizione missionaria di cui il Comboni fa parte arriva a Khartoum, la capitale del Sudan. L'impatto con la realtà africana è enorme. Daniele si rende subito conto delle difficoltà che la sua nuova missione comporta. Fatiche, clima insopportabile, malattie, morte di numerosi e giovani compagni missionari, povertà e abbandono della gente, lo spingono sempre più ad andare avanti e a non desistere da ciò che ha iniziato con tanto entusiasmo. Dalla missione di Santa Croce scrive ai suoi genitori: «Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa».

Assistendo alla morte in Africa di un suo giovane compagno missionario, Comboni invece di scoraggiarsi si sente interiormente confermato nella decisione di continuare la sua missione: «O Nigrizia o morte», o l'Africa o la morte.

Ed è sempre l'Africa e la sua gente ciò che spinge il Comboni, una volta ritornato in Italia, a mettere a punto una nuova strategia missionaria. Nel 1864, raccolto in preghiera sulla tomba di San Pietro a Roma, Daniele ha una folgorante illuminazione che lo porta ad elaborare il suo famoso Piano per la rigenerazione dell'Africa, un progetto missionario sintetizzabile nella frase «Salvare l'Africa con l'Africa», frutto della sua illimitata fiducia nelle capacità umane e religiose dei popoli Africani.

Un originale Vescovo missionario
In mezzo a non poche difficoltà e incomprensioni, Daniele Comboni intuisce che la società europea e la Chiesa cattolica sono chiamate a prendere in maggior considerazione la missione dell'Africa Centrale. A tale scopo, si dedica ad una instancabile animazione missionaria in ogni angolo d'Europa, chiedendo aiuti spirituali e materiali per le missioni africane tanto a Re, Vescovi e signori, quanto a gente povera e semplice. E come strumento di animazione missionaria crea una rivista missionaria, la prima in Italia.

La sua fede incrollabile nel Signore e nell'Africa lo porta a far nascere, rispettivamente nel 1867 e nel 1872, l'Istituto maschile e l'Istituto femminile dei suoi missionari, più tardi meglio conosciuti come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane.

Come teologo del Vescovo di Verona, partecipa al Concilio Vaticano I facendo sottoscrivere a 70 Vescovi una petizione a favore dell'evangelizzazione dell'Africa Centrale (Postulatum pro Nigris Africæ Centralis).

Il 2 luglio 1877 Comboni viene nominato Vicario Apostolico dell'Africa Centrale e consacrato Vescovo un mese dopo: è la conferma che le sue idee e le sue azioni, da molti considerate troppo coraggiose se non addirittura pazze, sono quanto mai efficaci per l'annuncio del Vangelo e la liberazione del continente africano.

Negli anni 1877-78, insieme ai suoi missionari e missionarie, soffre nel corpo e nello spirito la tragedia di una siccità e carestia senza precedenti, che dimezza la popolazione locale e sfinisce il personale e l'attività missionaria.

La croce per amica e sposa

Nel 1880, con la grinta di sempre, il Vescovo Comboni ritorna, per l'ottava e ultima volta, in Africa, a fianco dei suoi missionari e missionarie, deciso a continuare la lotta contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l'attività missionaria con gli stessi africani. Un anno dopo, provato dalla fatica, dalle frequenti e recenti morti dei suoi collaboratori e dall'amarezza di accuse e calunnie, il grande missionario si ammala. Il 10 ottobre 1881, a soli cinquant'anni, segnato dalla croce che mai lo ha abbandonato come fedele e amata sposa, muore a Khartoum, tra la sua gente, cosciente che la sua opera missionaria non morirà. «Io muoio, dice, ma la mia opera non morirà».

Daniele Comboni ha visto giusto. La sua opera non è morta; anzi, come tutte le grandi cose che «nascono ai piedi della croce», continua a vivere grazie al dono che della propria vita fanno tanti uomini e donne che hanno scelto di seguire il Comboni sulla via dell'ardua ed entusiasmante missione tra i popoli più bisognosi di fede e di solidarietà umana.


Mario Balotelli: "Lasciate l'Africa agli africani..."
Riccardo Palleschi - Gio, 16/05/2019

https://www.ilgiornale.it/news/spettaco ... 95904.html

Mario Balotelli non ha mai fatto mistero di tenere molto alle sue origini africane. E in un recente post su Instagram ha fatto delle riflessioni sul problema dell'immigrazione

Mario Balotelli fa sempre discutere, nel bene e nel male, qualunque iniziativa prenda. Recentemente, l'attaccante dell'Olimpique Marsiglia e della Nazionale italiana ha espresso le sue personali riflessioni sul delicato problema dell'immigrazione pubblicando un lungo post su Instagram.
Mario Balotelli: "Lasciate l'Africa agli africani..."

Balotelli si è rivolto, metaforicamente, ai politici di tutto il mondo. E ha iniziato la sua riflessione con una domanda: "Non pensate che se non aveste messo prima e tutt'ora le mani sulle ricchezze in Africa non ci sarebbe mai stata nessuna immigrazione dal Continente?". Senza attendere o, quanto meno, aspettarsi una risposta, Super Mario prosegue il suo ragionamento: "L'Africa è il continente più ricco e potente del pianeta... perché lo lasciano? Guerre? Malattie? Ignoranza?". La risposta di Balotelli è un maiuscolo "NO!!".

Per Mario Balotelli il motivo fondamentale alla base dell'emigrazione dal continente africano non è nemmeno la povertà. Infatti, continua: "E come fa l'Africa ad essere povera essendo il continente più ricco del pianeta???". E, in maniera un po' provocatoria afferma: "Esatto! La risposta la sanno tutti ma conviene tacere e far finta di niente vero?" E conclude: "Nel mio paese nativo, l'Italia, si sente dire: 'l'Italia agli italiani'. Sarebbe giusto se anche l'Africa fosse degli africani...". Per far arrivare il messaggio a quante più persone possibile Balotelli ha taggato altri suoi colleghi come Kevin-Prince Boateng, Didier Drogba e Pierre-Emerick Aubameyang.




Leadership. «Adesso l'Africa agli africani». La nuova Unione alla prova
Mario Giro* giovedì 16 febbraio 2017

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine ... alla-prova

Moussa Faki, ex ministro degli esteri ciadiano, è il nuovo presidente della Commissione dell'Unione africana.

Moussa Faki, ex ministro degli esteri ciadiano, è il nuovo presidente della Commissione dell'Unione africana.

Il nuovo presidente della Commissione dell’Unione Africana, eletto pochi giorni fa ad Addis Abeba, è il ciadiano Moussa Faki, ex ministro degli Esteri ciadiano. È una conferma dell’accresciuto ruolo del Ciad in questi anni, come fattore di stabilizzazione in particolare nella lotta al terrorismo jihadista. La tradizione militare ciadiana è nota da tempo. Moussa Faki ne rappresenta la parte politica, anch’essa capace di influenza crescente. La prima sfida che si troverà ad affrontare il neopresidente è la riforma dell’organizzazione.

Unione Africana da riformare? Il documento del presidente ruandese Paul Kagame – a cui i suoi pari hanno affidato la responsabilità di dare indicazioni – risponde affermativamente, pena la perdita di influenza. Si raccomanda che l’Ua si occupi di meno cose, ma in maniera più approfondita, che si raccordi meglio con le organizzazioni regionali (Ecowas, Cemac, Sadeec, ecc.), che spenda meno e bene; che diventi autonoma finanziariamente (oggi oltre il 60% del suo bilancio è finanziato dai donatori come la Ue); che sia più efficace nelle crisi. Si tratta di un auspicio che hanno in molti: liberarsi da tutti i condizionamenti esterni per dare l’«Africa agli africani» e «soluzioni africane ai problemi africani». Nel documento infatti si sottolinea che gli inviti a Paesi e organizzazioni terze ai vertici debbono essere eccezionali. Già la presidente della Commissione uscente, la sudafricana Dlamini Zuma, aveva fatto suoi tali argomenti, restringendo – ad esempio – la possibilità degli europei di essere presenti ad Addis Abeba durante le riunioni. Ma poi era a loro che ci si rivolgeva per il finanziamento delle attività. Per Kagame ciò è contraddittorio e umiliante.

Certamente la nuova assertività africana si fa sentire: l’uscita di tre Paesi – Gambia, Burundi e Sudafrica – dalla Corte penale internazionale (Cpi) è un segnale forte. All’ultimo vertice, la Ua ha deciso l’interruzione di qualunque dialogo con il Consiglio di sicurezza dell’Onu su tale argomento, adottando una 'strategia del ritiro', anche se alcuni Paesi ancora frenano (Nigeria, Senegal, Malawi, Tanzania e Tunisia, per esempio). Questo anche se la procuratrice generale della Cpi è un’africana, la gambiana Fatou Bensouda. Gli africani accusano la Corte di occuparsi solo dei casi di violazioni nel continente, e non di altri. Di essere in qualche modo «razzialmente orientata», ma c’è chi pensa che si tratta di una scusa per interrompere le indagini in corso.

Parallelamente la Ua di Dlamini Zuma si è interposta in alcune crisi, come quella del Burundi, proteggendo il presidente Nkurunziza dalle critiche della comunità internazionale per violazioni dei diritti umani e dispotismo. L’affermarsi delle 'democrature' e dei regimi forti (come in Turchia e Russia) diviene un modello che rafforza quanti nel continente, dove pure si vota quasi ovunque ormai, preferiscono una 'forte' gestione del potere. Ancora non è sorta in Africa una reale forma di bilanciamento dell’esecutivo, né in campo legislativo né giudiziario né mediatico. E, salvo eccezioni, l’Unione Africana non è divenuta quella cassa di risonanza dei popoli che si sperava, un modo cioè per supervisionare i regimi. Rimane per ora un 'sindacato dei capi di Stato' come dicono gli africani stessi.

Certo una maggior 'africanizzazione' della Ua dovrà fare i conti con le crisi in atto nel continente: sono sette le operazioni di peacekeeping a guida Onu contro solo una della Ua, a parte le iniziative regionali (in particolare in Africa Occidentale e centrale). Ciò nonostante, il continente ha ancora bisogno dell’Onu e dei suoi partner internazionali. Tra questi ultimi la parte del leone la fa ovviamente la Cina, sempre molto presente soprattutto per ragioni geopolitiche. La sua recente minor crescita ha avuto effetti anche in Africa, dove in cinesi hanno ridotto le loro importazioni del 30% nel 2016. Accanto ai cinesi, si è di nuovo rafforzata in questi anni la presenza europea, sul piano sia economico sia politico. In Mali, il Ciad è stato protagonista della cooperazione anti-terrorismo tra Francia, altri Paesi europei e africani. Nella regione del lago Ciad, alla frontiera tra Nigeria, Niger e Camerun, le truppe di N’Djamena hanno svolto una gran parte del lavoro in funzione anti-Boko Haram.

Gli europei si sono risvegliati grazie alla corsa all’Africa iniziata da Pechino. Molte sono state le viste di capi di Stato e di governo, assieme a quelle dei ministri degli Esteri. Oltre a Hollande, anche Merkel, l’allora premier Renzi e lo stesso presidente Mattarella ed altri leader europei sono stati per la prima volta sul continente, complice anche la crisi dei migranti. La Ue ha stanziato fondi. Nuovi programmi vedono la luce, come quelli per l’elettrificazione (sono ancora 600 milioni gli africani senza corrente). L’Africa è rimasta al centro degli interessi di altre potenze grandi o medie, come l’India, la Corea del Sud, il Giappone, la Turchia, Israele... Ma soprattutto in questi ultimi anni abbiamo assistito all’arrivo in massa del settore privato, incoraggiato dai governi. Oltre alla tradizionale presenza delle imprese francesi e inglesi, sono tornate quelle italiane e sono giunte per la prima volte quelle tedesche, spagnole, turche ecc.

Per fare un esempio: a parte l’Eni (da anni primo operatore 'oil & gas' in Africa), l’Enel sta inserendosi molto bene attraverso la politica delle rinnovabili, vincendo gare in Sudafrica, Kenya o Zambia. L’idea di successo delle mini-grid (cioè reti autosostenibili localmente, in contrasto con quella delle grandi centrali ritenute costose e inefficienti), sta prendendo piede proprio grazie a Enel. Il neo presidente di turno dell’assemblea dell’Unione Africana, il Presidente guineano Alpha Condé, è interessato all’iniziativa che lui stesso sponsorizza e per la quale l’Ue si è impegnata. Altri settori di grande interesse per le imprese europee sono l’agro-industria e le infrastrutture, ove gli italiani sono ben inseriti, ad iniziare da Salini. L’idea dei partner africani è di poter dare impulso alla nascita di un settore manifatturiero sul continente, per uscire dalla servitù delle mere esportazioni di materie prime. Resta il fatto tuttavia, che l’Africa è l’ultimo continente dove esiste terreno fertile non utilizzato. Si tratta di milioni di ettari da mettere in produzione ma il problema che si pone è quale modello sarà utilizzato: latifondismo stile landgrabbing o la nascita di un settore agro-industriale endogeno?

Un punto interrogativo riguarda gli Stati Uniti. Con il presidente Obama è venuta meno la politica africana molto aggressiva di Clinton e Bush junior. Sono stati chiusi grandi programmi e la politica commerciale si è infiacchita. La presenza americana c’è da sempre e rimane, ma non si è rafforzata. Ora occorrerà vedere che cosa farà il presidente Trump, del quale sono note solo le intemerate contro «l’Africa corrotta e gli africani da mandar via» della campagna elettorale. L’unico segnale è che nella sua squadra c’è un miliardario nigeriano come consulente.

Infine, la nuova leadership della Ua dovrà occuparsi delle crisi politico-etniche. Accanto a quelle di vecchia data – Somalia, Repubblica democratica del Congo, conflitto Etiopia-Eritrea a cui si aggiunge ora il malessere Oromo... – occorre vigilare su crisi rinascenti, come quella costituzionale della Costa d’Avorio che ha provocato un ammutinamento, o il default del Mozambico che ha trascinato alla crisi armata. Una buona notizia viene dal successo dell’Ecowas (e quindi anche di Alpha Condé) nella gestione della crisi elettorale gambiana. Altro segnale positivo è in Africa centrale dove la Chiesa cattolica ha dato inizio ad una mediazione accettata dalle parti nella Repubblica democratica del Congo. Evitare una nuova grande guerra in Congo è assolutamente necessario. In Africa dell’est rimane aperta la guerra in Sud Sudan, dove sembra che nessuna mediazione sia possibile, e che sta assumendo aspetti da genocidio. L’Unione Africana di domani si prepara dunque a grandi mutamenti, e ne ha bisogno.


Ecco il Papa cristiano cattolico romano che chiede scusa per il male fatto dai cristiani in Africa, beh quand'è che vedremo il grande Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb fare altrettanto?

IL PAPA NELL' ISOLA DEL DOLORE
DOMENICO DEL RIO
23 febbraio 1992

https://ricerca.repubblica.it/repubblic ... olore.html

DAKAR - "Da questo santuario africano del dolore nero imploriamo il perdono del cielo". Nella "Casa degli schiavi" dell' isola di Gorée, di fronte all' Oceano, dove gli africani in catene venivano caricati sulle navi per un viaggio senza ritorno verso il nuovo mondo, Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a Dio e agli uomini per i cristiani che, nei secoli passati, si sono macchiati del "crimine enorme" della tratta dei negri. Anche per il papa, c' è stato un tormento insistente, che lo ha accompagnato in questa visita: il pensiero, quasi insopportabile, che a compiere tale ignominia siano stati dei cristiani, degli uomini che dicevano di avere fede in Cristo. "Sono venuto qui per rendere omaggio a tutte queste vittime, vittime senza nome", ha detto Wojtyla, in piedi, nella polvere del cortiletto della "Casa degli schiavi". "E' l' ingiustizia, è il dramma, di una società che si diceva e che si dice cristiana". Ha commentato desolatamente il papa, "la stessa che, nel nostro secolo, ha ricreato la medesima situazione di schiavi anonimi nei campi di concentramento. La nostra è una civiltà piena di debolezze, piena di peccati". Ma la schiavitù non è finita, ha gridato ancora il pontefice. Anche oggi si sfrutta l' Africa, si sfrutta il mondo del poveri. Ci sono "nuove forme di schiavitù", come "la prostituzione organizzata, che sfrutta vergognosamente la povertà delle popolazioni del Terzo Mondo". Gorée, splendida, formata di roccia di basalto nero, con le sue vecchie case coloniani, le grandi piante di ficus che attorcigliano le radici dentro i muri, l' antico forte militare nascosto dagli enormi baobab, ha tutta l' aria di un' isoletta deliziosa in mezzo a un mare caldo. QUI, il cinema americano ha girato il famoso film "I cannoni di Navarrone". E, invece, Gorée mantiene tra le sue rocce questa casa del dolore, la "Casa degli schiavi", questa incredibile processione di stanze buie, a pianterreno, dove erano ammassati uomini, donne e bambini, portati qui dai mercanti schiavisti da ogni terra e da ogni foresta africana, in attesa di essere caricati sulle navi per attraversare l' oceano. Al primo piano si aprono ancora le sale dove i padroni negrieri vivevano nel lusso e nei piaceri, senza curarsi di ciò che accadeva sotto di loro. C' è una porta, che dà sull' oceano, a livello dell' acqua, sulla cui soglia di basalto ora batte lentamente l' onda, ma che allora immetteva su un ponte di legno che portava alle stive delle navi ferme al largo. Il grido dei secoli Da quella porta e su quel ponte venivano incamminati gli schiavi. Era l' addio all' Africa. Chi avesse voluto scappare, gettandosi in acqua, non avrebbe avuto scampo: questo tratto di mare brulicava di pescecani. Quanti milioni di africani in catene siano passati da quel varco nero senza ritorno, nessuno lo sa con precisione. Su quella porta, ieri, il papa è andato a fermarsi. Ha guardato l' oceano, in silenzio, per sette minuti. Ha detto di aver sentito "il grido dei secoli, il grido di generazioni di neri fatti schiavi". E' , dunque, in questo luogo che papa Wojtyla ha implorato il perdono di Dio e degli uomini. Questa piccola isola è stata indicata da lui come "il simbolo dell' orribile aberrazione di coloro che hanno ridotto in schiavitù i fratelli e le sorelle", "teatro di una eterna lotta tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato". "Uomini, donne e bambini", ha ricordato il pontefice, "sono stati condotti in questo piccolo luogo, strappati dalla loro terra, separati dai loro congiunti, per esservi venduti come mercanzia. Essi venivano da tutti i paesi e, in catene, partivano verso altri cieli, conservando come ultima immagine dell' Africa natia la massa della roccia basaltica di Gorée. Si può dire che quest' isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera". "Quegli uomini, quelle donne, quei bambini", ha spiegato ancora il papa, "sono stati vittime di un vergognoso commercio, cui hanno preso parte persone battezzate, ma che non hanno vissuto la loro fede. Occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell' uomo contro l' uomo, questo peccato dell' uomo contro Dio. Da questo santuario africano del dolore nero, imploriamo il perdono del Cielo". Tornato da Gorée a Dakar, Giovanni Paolo II ha avuto un incontro di grande cordialità con i capi islamici. Al papa hanno donato un' ampia tunica bianca, decorata in oro, come quelle che portano abitualmente i musulmani. Wojtyla l' ha indossata e l' ha tenuta per tutto l' incontro. Dentro questo singolare vestito da capo islamico, il papa ha pronunciato un discorso tutto incentrato sul dialogo tra cristiani e musulmani. Appello per la pace "Vivere in pace, nella fratellanza e nella collaborazione", è la formula illustrata da Wojtyla. Ai credenti in Allah, il papa ha parlato di un Dio in comune. "Il nostro Dio", ha detto, "E' un Dio di pace. E' un Dio di dialogo. Noi non crediamo in un Dio corrucciato che sparge il terrore nel cuore degli uomini né in un Dio assente dai problemi di questo mondo". Per questo ha chiesto "collaborazione" in favore della giustizia e della pace e anche "rispetto reciproco della libertà di coscienza e di culto". Su questo ultimo punto, però, il papa ha detto di voler parlare con "onestà". "In certe regioni del mondo", ha detto, senza nominarle, ma si sa che il riferimento è soprattutto agli Stati islamici del Medio Oriente, "vi sono ancora tensioni tra le nostre due comunità, e i cristiani sono vittime di discriminazioni in molti paese". Oggi, il papa termina la sua visita in Senegal. Passerà la domenica in Gambia e, domani, si porterà a Conakry, capitale della Guinea.
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:18 am

In Sud Africa sono gli uomini bianchi vittime delle violenze dei neri
Mercoledì 2 Maggio 2018
Gianni Toffali

https://www.ilgazzettino.it/la_posta_de ... 05180.html

Grazie all'indottrinamente di massa, l'opinione pubblica è convinta che il razzismo sia una pratica "razzista" operata dai bianchi sulla pelle dei neri. Convincimento infondato! Da anni in Sud Africa, complice il silenzio dei politici occidentali, i coloni boeri sono oggetti di rapine, saccheggi e assassini commessi da bande di neri. Almeno 3 mila bianchi, uomini, donne e bambini, sono stati massacrati nelle loro fattorie nell’ultimo decennio.

La statistica è per difetto, perché l' African National Congress ha vietato la pubblicazione di statistiche su questi omicidi per il semplice motivo che secondo l'ANC "dissuadono gli investimenti esteri”. Secondo una inchiesta indipendente (Genocide Watch) è un vero e proprio genocidio per odio razziale. lo dicono le modalità delle stragi, spaventose. Donne e bambini violentati prima di essere uccisi; uomini torturati per ore; famiglie intere aperte coi machete; altri legati ai loro stessi automezzi e trascinati per chilometri, fino alla morte. Purtroppo gli atti di "razzismo al contrario" non si limitano alla sola violenza fisica. Nel nuovo Sud Africa nelle agenzie di collocamento, gestite unicamente da persone di colore, i bianchi non trovano lavoro semplicemente perché non neri.

Dall’avvento al potere di Nelson Mandela a oggi pare siano stati massacrati quasi 70.000 bianchi, per odio razziale. Non è la povertà il fattore scatenante, ma l’odio: la gente bianca costituisce solo il 9% (4.500.000) della popolazione del Sud Africa e il tasso di omicidi di nero su-bianco è del 95% del totale. Il caso più famoso riguarda quanto successo qualche tempo fa alla famiglia Potgieter: Attie, il papà, torturato pugnalato 151 volte, la moglie torturata a morte e il piccolo Willemien, soli 2 anni, immerso nel sangue dei genitori e poi ucciso con un colpo di pistola alla testa.

Molto più recente (Marzo 2018) l’omicidio di Hannah Cornelius, stuprata, strangolata e scaricata in un campo. Il Sud Africa ha il più alto tasso di stupri il mondo e il secondo più alto tasso di omicidi. in tema di razzismo e violenza, nulla da imparare o da invidiare ai bianchi per essere la terra del premio nobel della pace Nelson Mandela.


Africa razzista, il continente nero è tra i più razzisti della terra
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2750

Razzismo africano:
interetnico e tribale, dei neri contro i bianchi, dei maomettani contro i cristiani, gli ebrei e gli animisti

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... lema-2.jpg
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:19 am

Trump scatenato: "il globalismo non funziona, ha fallito. Meglio produrre in patria"

https://www.jedanews.com/trump-scatenat ... in-patria/

Donald Trump denuncia il “globalismo” in un discorso nazionalista all’ONU. Ha usato il suo discorso all’assemblea generale dell’ONU per consegnare un manifesto nazionalista, denunciando il “globalismo” e l’immigrazione clandestina e promuovendo il patriottismo come cura per i mali del mondo.

Il terzo discorso di Trump alla presidenza dell’Onu è stato un discorso in gran parte filosofico, pronunciato in un monotono e sommesso.
Nel suo discorso, il presidente degli Stati Uniti ha fatto eco alla retorica dei gruppi nativisti di estrema destra che sostengono che i cittadini con una lunga storia familiare in un Paese hanno una conoscenza più profonda degli interessi nazionali rispetto ai recenti arrivi, e che la popolazione stabilita dovrebbe stare in guardia contro le forze che mirano alla sua “sostituzione”.

“Il mondo libero deve abbracciare le sue fondamenta nazionali. Non deve tentare di cancellarle o sostituirle“, ha detto Trump. “Il vero bene della nazione, può essere perseguito solo da chi la ama, da cittadini radicati nella sua storia, che si nutrono della sua cultura, impegnati nei suoi valori, attaccati al suo popolo“.
Nel corso del suo discorso di 36 minuti, Trump ha fatto ripetutamente riferimento ai “patrioti”, un gruppo indefinito di cittadini in grado di interpretare in modo unico l’interesse nazionale.

“I patrioti vedono una nazione e il suo destino in modi che nessun altro può vedere. La libertà è solo preservata, la sovranità è solo sicura, la democrazia è solo sostenuta, la grandezza è realizzata solo dalla volontà e dalla devozione dei patrioti“, ha detto il presidente.
Trump si scaglia contro il globalismo, che, a suo dire, “esercita un pallore religioso sui leader del passato, inducendoli a ignorare i loro interessi nazionali“.

“Il futuro non appartiene ai globalisti. Il futuro appartiene ai patrioti“, ha detto il presidente, riecheggiando un altro tema coerente dell’estrema destra.
“Guardandosi intorno e in tutto questo grande, magnifico pianeta, la verità è evidente. Se volete la libertà, andate fieri del vostro Paese. Se vuoi la democrazia, tieniti forte della tua sovranità. E se volete la pace, amate la vostra nazione. I leader saggi mettono sempre il bene del proprio popolo e del proprio Paese al primo posto“.

In un’altra occasione, sabato scorso durante il briefing stampa della Casa Bianca Donald Trump torna ad attaccare il globalismo. Ha affermato che la più grande eredità che il coronavirus lascerà agli Stati Uniti è che questi ultimi non avrebbero dovuto fare affidamento sulla Cina per le loro catene di approvvigionamento. “Abbiamo imparato molto sulle catene di approvvigionamento – Abbiamo imparato che è bello fare cose negli Stati Uniti, lo dico da molto tempo – Se c’è una lezione utile che viene dal Coronavirus è che dovremmo produrre di più negli Stati Uniti – Rcco cosa succede quando sei in guerra e hai una catena di approvvigionamento in cui la metà delle tue forniture viene prodotta in altri paesi, questo lo hanno pensato i globalisti e non funziona”.






???
Italiani smemorata gente
Nigrizia
80 anni dalle leggi razziali

https://www.nigrizia.it/notizia/italian ... rata-gente

La scrittrice Francesca Melandri racconta per Nigrizia che cosa ha rappresentato il razzismo giuridico e culturale nelle colonie africane. E i buoni motivi per cui la sua conoscenza e discussione sono necessarie nell’Italia di oggi.

Nella costruzione del mito “Italiani brava gente”, uno dei capisaldi è l’idea che Mussolini abbia fatto le leggi razziali «solo perché le ha imposte Hitler». Ammettere una responsabilità anche collettiva nel razzismo fascista di stato renderebbe difficile raccontarsi, poi, come un popolo eccezionalmente mite. Esse sono state derubricate, così, a umana debolezza nei confronti della volontà dell’unico vero cattivo: Hitler e, per estensione, il popolo tedesco. Filippo Focardi ha ben spiegato questo processo proiettivo, fondamentale nel plasmare la costruzione identitaria del dopoguerra, ne Il cattivo tedesco e il bravo italiano (Laterza – 2014).

Ma c’è un altro capitolo della vicenda delle leggi razziali e del Manifesto della Razza che, fino al lavoro di una nuova generazione di storici e, soprattutto – non a caso, come vedremo – di storiche, è stato ignorato: il razzismo giuridico e culturale nell’Africa orientale italiana.

Razzisti prima di Hitler

Ci sono, invece, vari buoni motivi per cui la sua conoscenza e discussione sono necessarie nell’Italia del 2018. Il primo è stato detto sopra: l’affermazione che le leggi razziali siano state solo una concessione alla volontà esterna dei nazisti è, semplicemente, falsa. La prima legge dell’Italia unitaria che si possa definire razzista fu promulgata già nel 1933, quindi anni prima di qualsiasi accordo con Hitler. Stabiliva che i figli meticci nati nelle colonie africane (allora Eritrea e Somalia) potevano sì ottenere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno, ma solo se ritenuti in possesso di specifici «requisiti morali e culturali», nonché dopo procedimenti di «diagnosi antropologica etnica». Si voleva così evitare di confondere un meticcio con un «bianco scuro» o un «nero bianco». Come ha spiegato la storica Daniela Franceschi, «tale norma è ritenuta dagli storici la prima effettivamente razzista, poiché rivolta a un intero gruppo di persone». Una legge, cioè, che giudica la persona non per le azioni che ha commesso ma per ciò che è.

Nel compiere le ricerche per il mio ultimo romanzo mi sono imbattuta nella figura dell’antropologo razzista – definizione sua – Lidio Cipriani. Cipriani era uno di quegli accademici che già anni prima della promulgazione del Manifesto della Razza, di cui non a caso fu uno dei firmatari, si posero l’obiettivo di dare una base, appunto, “scientifica” alla supremazia razziale dei bianchi. Certo, non erano solo italiani i cultori di questa pseudoscienza: l’intera costruzione culturale del razzismo come lo intendiamo oggi è figlia della lunga storia del colonialismo. Ma gli accademici italiani come Cipriani si distinsero per il fervore con cui tentarono di sistematizzare il “razzismo scientifico”. Il loro tentativo di sancire l’arianità degli italiani, con conseguente superiorità sugli abitanti delle colonie, produsse un’accozzaglia di misurazioni antropometriche, giudizi morali (gli africani definiti «naturalmente pigri»), vaste e vaghissime sintesi storiche (la superiorità degli eredi della civiltà romana presentata come fatto oggettivo, misurabile). Non solo non furono costretti da superiori alleanze con il nazismo in questa impresa ma, anzi, ne furono precoci culturi: il primo viaggio in Africa di Cipriani è del 1927. E quella legge del 1933 fissa implacabilmente questa imbarazzate cronologia anche nella storia del diritto.

Valenze di genere

Il secondo motivo è lo stesso per cui negli ultimi anni il contributo più interessante alla ricostruzione del colonialismo italiano è venuto da storiche e studiose di questioni di genere come Barbara Sorgona, Giulietta Stefani, Giulia Barrera: non si può capire il razzismo italiano, sia in colonia che oggi, senza prenderne in considerazione le valenze di genere. Questo perché lo scopo primario delle leggi razziali in Africa era la «difesa della razza» (non a caso il titolo della rivista fondata per propagandare il razzismo) dalla «degradazione» del meticciato. E prevenire la nascita di bambini meticci significa regolamentare la sessualità e gli affetti.

Questo a sua volta, però, si scontrò con quell’erotizzazione della dominazione coloniale che da sempre, fin dalle prime stampe d’epoca, aveva rappresentato l’Africa come una donna nera nuda pronta a essere posseduta dal colonizzatore bianco. Il piccolo, sgangherato colonialismo italiano non fece eccezione. In Sangue giusto ho raccontato come la propaganda per convincere i giovani maschi ad arruolarsi volontari nella guerra d’Abissinia fu anche fatta distribuendo nelle case di tolleranza cartoline erotiche raffiguranti discinte giovinette africane. I loro corpi neri sarebbero stati totalmente a disposizione del desiderio dei coloni bianchi, si prometteva. I giovani italiani entusiasti credettero a quella promessa e s’imbarcarono intonando Faccetta nera.

Quest’ambivalenza verso il corpo delle donne africane – da un lato disprezzato come inferiore, dall’altro oggetto di un desiderio libero da qualsiasi responsabilità morale, sociale o di relazione – non poteva non deflagrare. La bomba furono le leggi razziali. Il Regio Decreto Legislativo 19 aprile 1937, numero 880, Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi, riconosceva al colono la necessità di «espletare i suoi bisogni fisiologici» (sic) con le indigene. Quella che veniva sanzionata con reclusione fino a 5 anni era ciò che si definiva «unione di letto e di desco». Ovvero quella condivisione di pasti, quotidianità e affettività che avrebbe rischiato di stabilizzare le coppie, creare famiglie, portare insomma a una società multietnica. La canzone Faccetta nera, che nonostante tutto un po’ di tenerezza per la “bella Abissina” la esprimeva, venne proibita.

I coloni italiani, ovviamente, continuarono lo stesso ad avere rapporti con le “indigene”, a tenersele in casa come “madame”, a volte perfino a volere loro un po’ di bene. Soprattutto, continuarono ad arrivare quei pericolosissimi nemici della purezza razziale, i bebè. Con la legge del 13 maggio 1940, numero 882, Norme relative ai meticci, si proibì quindi una volta per tutte il riconoscimento legale del figlio meticcio da parte del padre italiano, creando una generazione di bastardi di stato destinati al disprezzo sociale.

Corpi neri disprezzati

Ci sarebbe tanto altro da raccontare sulle leggi razziali in Africa orientale italiana, dalla negazione agli africani dell’istruzione oltre la quinta classe, allo sfruttamento lavorativo permesso dalla sottrazione di ogni tutela legale. Il fatto è che ancora oggi il crescente razzismo in Italia, anche quello ai livelli più alti delle istituzioni, è indistricabilmente connesso a due questioni, proprio come allora: lo sfruttamento sul lavoro – vedi, ad esempio, le condizioni dei lavoratori nell’agroalimentare – e le questioni di genere. Il corpo nero di migliaia di vittime della tratta (una prostituta su 3 in Italia è nigeriana) è obbligato a esporsi quotidianamente alla violenza sulle nostre strade. E proprio come le leggi razziali in Africa orientale italiana chiudevano un occhio sull’ «espletamento dei bisogni fisiologici» del maschio italiano negando intanto diritti e dignità alle portatrici dei corpi in cui questi bisogni venivano “espletati”, così oggi la società italiana nasconde a sé stessa l’enorme questione dei corpi neri disprezzati, ma anche desiderati da milioni di clienti italiani.

In un articolo del giornalista americano Ben Taub uscito sul New Yorker nel 2017 spiccano le parole di padre Enzo Volpe, che gestisce un centro per bambini migranti vittime della tratta: «In Italia è reato andare a letto con una tredicenne o una quattordicenne. Ma se è africana? Non importa niente a nessuno. Non pensano a lei come a una persona». Le leggi razziali fasciste in Africa dichiaravano che gli italiani dovevano difendersi dalla “minaccia” del meticciato, mentre in realtà erano loro gli occupanti invasori. Allo stesso modo, molti tra coloro che oggi gridano alla “invasione dei migranti”, nonostante tutte le statistiche dimostrino il contrario, fanno parte di quei 6 milioni (stima per difetto) di clienti che ogni giorno “espletano i loro bisogni” nei corpi desiderati e disprezzati di donne africane. Anche oggi viene invertito l’aggressore con l’aggredito, proprio come 80 anni fa.

Ottant’anni dalle leggi razziali fasciste. Il 14 luglio 1938 venne pubblicato Il Manifesto degli scienziati razzisti, ripubblicato il 5 agosto sulla rivista La difesa della razza. L’obiettivo: dare una base “scientifica” alla supremazia razziale dei bianchi. Leggi che hanno avuto conseguenze rilevanti anche nelle colonie italiane in Africa. Una norma del 1940 vietò agli italiani di riconoscere i figli avuti da relazioni con donne africane. La cittadinanza italiana veniva riconosciuta solo a chi l’aveva ottenuta prima della guerra. Si calcola che nella sola Eritrea, su circa 15mila nati da matrimoni misti, meno di 3mila siano stati riconosciuti dai padri italiani. Gli italo eritrei non riconosciuti erano considerati nella stessa patria di nascita cittadini di serie “b”.

Abbiamo chiesto alla scrittrice Francesca Melandri, autrice del romanzo Sangue giusto – che affronta questo tema – di raccontare per Nigrizia che cosa hanno significato quelle leggi nelle colonie africane. E come il loro retaggio persista nella mentalità e nei comportamenti degli italiani di oggi. Questo l’articolo uscito nella rivista di settembre.


Gino Quarelo
Io come gran parte degli italiani non abbiamo nulla a che fare con queste storie.
Gran parte di coloro che furono coinvolti nel colonialismo sono morti e noi non abbiamo alcuna responsabilità e colpa.



Colonizzazione e decolonizzazione dell'Africa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1822


Africa razzista, il continente nero è tra i più razzisti della terra
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2750

Razzismo africano:
interetnico e tribale, dei neri contro i bianchi, dei maomettani contro i cristiani, gli ebrei e gli animisti

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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 10:59 am

"Così la Von Der Leyen vuole introdurre le quote nere in Europa"
Alessandra Benignetti - Gio, 18/06/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/co ... 1592463685

Al parlamento europeo la presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen chiede azioni concrete contro il razzismo e più rappresentanza per gli immigrati. L'eurodeputato leghista attacca: "Così vuole introdurre le quote nere in Ue"

Il caso di George Floyd attraversa l'Oceano e arriva fino al parlamento di Bruxelles. "Tolleriamo il razzismo da troppo tempo: deve finire", ha detto perentoria la presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen nel suo intervento davanti ai deputati europei riuniti oggi in sessione plenaria.

L’assemblea si è aperta con un minuto di silenzio per l’afro-americano brutalmente assassinato da un poliziotto a Minneapolis e a "tutte le vittime di violenza, razzismo e discriminazione". "Nella nostra Unione – ha poi esordito la commissaria - non c'è posto per il razzismo". Il suo discorso è quasi un mea culpa. "Guardate quest’emiciclo – si rivolge ai colleghi – la diversità della nostra società non è rappresentata e io sono la prima ad ammettere che le cose non vanno meglio nel collegio dei commissari o nello staff della Commissione".

Per questo, ha aggiunto Von Der Leyen, "c’è bisogno di parlare di razzismo e c’è bisogno di agire". "Cambiare direzione è sempre possibile, se c’è la volontà", assicura. L’esempio di "un piccolo passo nella direzione giusta" è il cambio di rotta avvenuto negli ultimi anni nel sistema di reclutamento dell’esercito tedesco. In passato, ha ricordato la commissaria, che in Germania è stata anche ministro della Difesa, "avevamo eccellenti candidati, che sarebbero stati risorse preziose per le forze armate, a volte risorse rare, come persone che parlano l'arabo o il farsi, ma queste risorse non erano valutate, per niente".

"Eppure – ha aggiunto - in una missione all'estero, competenze simili possono salvare la vita dei compagni". Per questo, ha annunciato, la prossima settimana si aprirà un "dibattito strutturato sul razzismo presso il collegio della Commissione europea". L’obiettivo è imporre lo stesso cambiamento, superando "i pregiudizi inconsci" e dando forma concreta al motto "uniti nella diversità". "Non possiamo fermarci a condannare il razzismo ma dobbiamo essere vigili e consapevoli – ha chiarito - se lo incontriamo, dobbiamo parlare e agire immediatamente".

Non tutti, però, sono d’accordo con lei. Protesta su Facebook l’eurodeputato della Lega, Vincenzo Sofo: "La Von Der Leyen utilizza un’inesistente emergenza razzismo per aprire alla possibilità di introdurre delle vere e proprie 'quote nere' per gli immigrati all’interno delle istituzioni politiche, delle forze armate, della pubblica amministrazione, del mondo accademico e privato". "

Anche se venissero introdotte – ci spiega al telefono da Bruxelles – non servirebbero a favorire un reale coinvolgimento di una fetta della popolazione alla gestione della cosa pubblica bensì a distorcere le modalità di selezione della classe dirigente per competenze, mortificando le capacità degli stessi immigrati". "Parlando di sottorappresentazione nella vita economica, sociale e politica - aggiunge – la presidente della Commissione, al contrario palesa un vero spirito razzista, dividendo la popolazione in categorie e garantendo opportunità non in base al merito ma al colore della pelle".

"Se al principio meritocratico si sostituisce un principio razziale che garantisce opportunità solo per il fatto di appartenere a una certa etnia, si contribuisce a creare odi e si ostacola la crescita della comunità", annota Sofo. Assicurare agli stranieri "quote di rappresentanza" in settori strategici, come ad esempio quello militare, secondo il parlamentare, non è esente da rischi. "Basta guardare quello che è successo negli ultimi anni in Francia, con gli immigrati di seconda o terza generazione appartenenti alle forze dell’ordine e aderenti all’ideologia islamista, o nella stessa Germania, dove la maggioranza della popolazione tedesca di origine turca ha dichiarato in un sondaggio che prenderebbe le parti di Ankara nel caso di un conflitto con Berlino".

Insomma, attacca l'eurodeputato del partito di Matteo Salvini, non si può "promuovere l’immigrazione selvaggia stipandola nelle periferie, senza curarsi del fatto che aggiungere poveri ai poveri crea una competizione feroce tra le fasce deboli che fanno saltare in aria l’equilibrio sociale". "Basta guardare – continua Sofo – a quello che sta accadendo in questi giorni a Digione, dove bande di immigrati hanno preso in ostaggio una città intera a colpi di kalashnikov, e in tutte quelle periferie in cui le forze dell’ordine non possono più neppure entrare".




A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente.
L'Africa agli africani, l'America agli americani, l'Asia agli asiatici, l'Europa agli europei, l'Oceania agli oceaniani
viewtopic.php?f=205&t=2887
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0069203153


Il suicidio dell'Occidente: il multiculturalismo sta destrutturando le nostre società
Michele Marsonet
18 giugno 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... e-societa/

La differenza abissale tra teoria e pratica del multiculturalismo. Si dà per scontato che le culture siano per loro natura portate al dialogo, ma non è così: sono spesso portatrici di valori opposti e tra loro inconciliabili

Si può discutere all’infinito sul multiculturalismo, sui suoi aspetti positivi (secondo me ben pochi) e su quelli negativi (a mio avviso moltissimi). I rappresentanti delle diverse fedi possono riunirsi come una volta hanno fatto ad Anversa, su invito della Comunità di Sant’Egidio, e produrre ottime dichiarazioni che invitano alla pace e alla concordia trovando subito un’intesa di base. E il Papa può ribadire – come del resto deve fare – l’inutilità di ogni tipo di guerra facendo volare colombe bianche in Piazza San Pietro. Tutto bello, tutto condivisibile. Soltanto sul piano teorico, però.

Nella pratica le cose sono assai più complicate. In realtà, in Occidente si è da molto tempo diffuso un atteggiamento di tolleranza estrema che ha fissato in modo pressoché definitivo i confini del politically correct, e tale atteggiamento si è imposto come una verità indubitabile che non può perciò essere contestata. Se qualcuno lo fa corre rischi seri, come dimostra per esempio il caso di Magdi Allam.

Si è in altri termini dato per scontato che le culture (per non usare un termine più impegnativo e controverso, ma anche più pregnante, come “civiltà”) siano per loro natura portate al dialogo oppure, come scrivono alcuni commentatori, che siano fatte “per intendersi”. Per nostra sfortuna non è così, poiché spesso le culture sono portatrici di valori opposti e tra loro inconciliabili.

Tuttavia, nella situazione che stiamo vivendo attualmente, è opportuno esaminare problemi pratici piuttosto che impegnarsi in dibattiti filosofici e sociologici. E il problema pratico principale che le nazioni occidentali devono per forza affrontare è il seguente. La massiccia immigrazione nei loro territori, e in particolare quella proveniente dai Paesi islamici, ha prodotto delle vere e proprie “isole” culturali facilmente visibili non solo nei grandi agglomerati urbani, ma anche nelle cittadine di provincia. Parlo di “isole” poiché si tratta di comunità che pretendono di vivere a Roma, Londra o Parigi come se si trovassero a Baghdad, Islamabad o Riad.

In Germania ci sono ronde di volontari che controllano in certi quartieri il rispetto della Shari’a da parte degli abitanti, e il caso dei predicatori che incitano alla guerra santa nelle tante moschee sorte nelle nostre città è troppo noto per meritare ulteriori commenti. L’inconciliabilità dei valori di cui parlavo poc’anzi, in assenza di politiche serie volte a impedire che i giovani immigrati vivano in un mondo culturalmente sigillato, ha in seguito prodotto il fenomeno dei jihadisti con passaporto europeo (ma pure americano, o australiano) che poi abbiamo ritrovato arruolati nell’Isis e in altre formazioni radicali.

Il vero nodo da affrontare è tuttavia un altro ancora. Costoro sono a tutti gli effetti cittadini delle nazioni occidentali, il che significa – come è in effetti accaduto – che possono tornare, compiere attentati sanguinosi, e poi ripartire per i vari fronti di guerra se le autorità di polizia non riescono a individuarli.

È uno scenario magmatico e caotico, terribilmente difficile da affrontare proprio perché la cittadinanza è stata concessa a piene mani senza serie verifiche preliminari. Mette anche conto notare, a mo’ di magra consolazione, che altri Paesi europei – Regno Unito e Francia in primo luogo – stanno peggio di noi italiani da questo punto di vista.

L’Unione europea non è stata finora in grado di adottare una strategia condivisa al riguardo, e non è certamente una novità se si pensa che a Bruxelles neppure esistono una reale politica estera e di difesa comuni. Né è utile continuare a lamentarsi per i problemi enormi causati da un multiculturalismo praticato con gli occhi bendati. Occorre piuttosto rendere i requisiti per la cittadinanza molto più stringenti di quanto siano ora e, soprattutto, bisogna cominciare a capire che la cittadinanza stessa in certi casi può e deve essere revocata senza remore e senza complessi di colpa.
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 11:03 am

Non ne possiamo proprio più del razzismo degli afroamericani, degli africani e dei nazi maomettani e di essere depredati e uccisi da loro.

Scaraventa a terra l'anziana 92enne: l'aggressione choc indigna l'America
Alessandra Benignetti - Lun, 22/06/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/sc ... 1592857987

Il 31enne pluripregiudicato Rashid Brimmage è l'autore della brutale aggressione ad un'anziana di 92 anni a Manhattan. Polemica sui social contro il sindaco Dem Bill De Blasio. E su Twitter qualcuno lancia l'hashtag #elderlivesmatter

Dopo settimane di proteste anti-razziste fa discutere, a New York, il caso di Rashid Brimmage. L’uomo, un trentunenne afroamericano fin troppo noto alle forze dell’ordine - è finito in manette 103 volte dal 2005 per reati che vanno dalle aggressioni alle violenze sessuali – è stato protagonista di una brutale aggressione nei confronti di un’anziana di 92 anni nel quartiere di Gramercy Park, a Manhattan.

La scena surreale è stata ripresa dalle telecamere di un negozio. La vittima, come ricostruisce il New York Post, stava camminando con un carrello della spesa sulla Third Avenue. Sono le tre e mezza del pomeriggio di venerdì quando incrocia Brimmage. Lui la guarda per una frazione di secondo e poi le sferra un pugno in testa con la mano sinistra. La donna si accascia immediatamente sbattendo contro un idrante. Brimmage si volta un attimo indietro a guardarla, poi continua a camminare come se non fosse successo nulla.

Ad assistere alla scena un passante impietrito che ha chiamato il 911. Un’ambulanza l’ha poi trasportata al Beth Israel Hospital. "Mi fa ancora male la testa, nel punto in cui ho urtato l’idrante, o dove mi ha colpito, non so dirlo con precisione", ha fatto sapere Geraldine al New York Post. Si chiama così l’anziana vittima della furia del pregiudicato. Vive a Manhattan da più di cinquant’anni ed è la prima volta che le capita un’esperienza simile. Ora ha paura ad uscire da sola, confida allo stesso quotidiano.

Brimmage è stato arrestato martedì scorso. All’attivo, oltre ad una sfilza di reati più o meno gravi, ha anche una serie di violenze sessuali e palpeggiamenti, in un caso anche ai danni di una 13enne. In molti protestano e si chiedono perché l’uomo, un noto criminale in attesa di giudizio, fosse a piede libero. E su Twitter monta la polemica contro il sindaco democratico di New York, Bill De Blasio, che in queste ore ha annunciato la rimozione della statua di Theodore Roosevelt dal Museo di Storia Naturale della Grande Mela, sull’onda delle manifestazioni anti-razziste seguite all’omicidio di George Floyd.

"È ridicolo", ha commentato il presidente, Donald Trump. L’hashtag #deblasiomustgo ora impazza sui social network, assieme al provocatorio #elderlivesmatter, anche le vite degli anziani contano. Ma stavolta l’aggressore è nero, obietta qualcuno, "e quindi i grandi media non ne parleranno".



Attentato terroristico in Gran Bretagna: 3 morti e 3 feriti. Arrestato un libico
21 giugno 2020

http://www.genteditalia.org/2020/06/21/ ... un-libico/

La tragica aggressione che ha avuto luogo nel parco di Forbury Gardens, a Reading, a circa 70 chilometri a ovest di Londra nella Valle del Tamigi è "di natura terroristica", come fanno sapere le autorità britanniche.

L'attacco gravissimo vede protagonista un 25enne libico richiedente asilo che, armato di un coltello, ha provocato tre morti e tre feriti gravi sabato notte nella città britannica. La vicenda è avvenuta durante una manifestazione del Black Lives Matter e sembra che il giovane soffrisse di disturbi psichici.


Le Cascine: pestato e rapinato nel parco
22 giugno 2020

https://www.firenzetoday.it/cronaca/rap ... ubato.html

Accerchiato e aggredito da alcuni soggetti nel tratto di strada compreso tra il teatro del Maggio Musicale Fiorentino e la fermata del tram.

L'episodio si sarebbe verificato nella notte tra venerdì e sabato scorsi, nel parco delle Cascine. Vittima, un fiorentino di 27 anni che sarebbe stato pestato da quattro uomini, dalle descrizioni di origini straniera, poi derubato e lasciato privo di sensi all'interno del parco per ore. Oltre allo smartphone, i quattro gli avrebbero portato via anche le scarpe.

Il fratello della vittima ne ha parlato al sito Isolotto-Legnaia: "È stato circondato da quattro uomini di colore. Uno di loro gli ha dato un pugno in faccia e mio fratello è andato a terra, frastornato. Hanno continuato a picchiarlo senza pietà. Al che ha perso i sensi e non ricorda più nulla. Nessuno lo ha soccorso. Si è svegliato da solo tra le 4,30 e le 5 del mattino, in stato confusionale, scalzo, sanguinante, ferito, col naso rotto, la faccia tumefatta...". La denuncia, spiega il sito, sarebbe poi stata formalizzata al comando provinciale dei carabinieri di Borgo Ognissanti.

"Il più grande parco fiorentino è lasciato in mano a spacciatori e delinquenti e, nonostante gli episodi si aumentino, di gravità e di numero, l’amministrazione PD non sta facendo alcunché” attacca Jacopo Cellai, capogruppo di Forza Italia a Palazzo Vecchio e coordinatore cittadino.

L'avvocato Guglielmo Mossuto, incaricato dalla famiglia, chiede di fare chiarezza sull'accaduto.



Germania: Seehofer in visita oggi a Stoccarda dopo disordini
22 giugno 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... 1951d.html

(ANSA) - BERLINO, 22 GIU - Il ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer visiterà in tarda mattinata Stoccarda dopo che i disordini della notte tra sabato e domenica hanno portato all'arresto di 24 persone e al ferimento di 19 poliziotti. Lo ha reso noto il ministro degli Interni del Baden-Wuerttemberg Thomas Strobl.
Nella notte di sabato la polizia di Stoccarda, con 280 agenti, si è trovata ad affrontare 400-500 giovani uomini che hanno messo a ferro e fuoco il centro della città, distruggendo vetrine e attaccando le forze dell'ordine. Secondo le ricostruzioni delle autorità i disordini non sarebbero motivati da ragioni politiche. I protagonisti fanno piuttosto parte dell'ambiente delle discoteche e dei club, rimasti chiusi a causa della pandemia da coronavirus. La polizia ha chiesto aiuto alla cittadinanza per avere testimonianze attraverso video e foto.
L'estrema violenza delle aggressioni è un dato di novità anche per le autorità: "le aggressioni che abbiamo vissuto nella notte a Stoccarda sono state di un tipo mai verificato prima in Baden-Wuerttemberg" ha detto il ministro degli Interni del Land, Thomas Strobl, a Die Welt.(ANSA).



Stoccarda saccheggiata da 500 immigrati al grido di Allah Akbar (Video)
Lapo Randelli
22 giugno 2020

https://www.adhocnews.it/stoccarda-sacc ... bar-video/

Stoccarda – Oltre 500 persone immigrati hanno trasformato la città in un campo di battaglia. Vandalismo, violenza e saccheggi al grido di Allah Akbar. Venti i poliziotti feriti. Siamo nel cuore d’Europa, in Germania, nella città dove hanno sede Mercedes e Porsche. Sembra di essere a Tripoli però.

«La situazione è andata completamente fuori controllo», come ha riferito un portavoce della polizia. Verso le 23:30 di sabato sera, scatta un controllo per stupefacenti delle forze dell’ordine. Centinaia di facinorosi – principalmente turchi e curdi – raccolgono da terra e lanciano bottiglie e pietre per lastricati contro la polizia.

Mentre gli ufficiali chiedono rinforzi, la folla si sposta in piccoli gruppi verso il centro città. E la violenza esplode. Fuori controllo. «Hanno sfasciato le vetrine, divelto la pavimentazione dai marciapiedi, lanciato pietre contro gli agenti», riferisce un testimone. «Sembrava di stare in guerra».

I teppisti, tutti con il passamontagna, si sono introdotti nei negozi dandosi al saccheggio. «I tavoli e le sedie del nostro locale sono stati gettati contro le auto della polizia», testimonia il proprietario di un bistrot locale. Altri testimoni raccontano alla Bild che un uomo avrebbe sfasciato il lunotto posteriore di un mezzo della polizia. Per poi estrarne le armi contenute, tra gli applausi degli altri saccheggiatori.

Il portavoce della polizia di Stoccarda ha dichiarato ieri che dei 24 arrestati, 12 erano cittadini tedeschi «con un passato migratorio». L’altra metà proviene da Bosnia, Portogallo, Iran, Iraq, Afghanistan. Alcuni di questi, riportano i testimoni intervistati dalla Bild, gridavano Allah Akbar durante i saccheggi. Come si sente nel video. Solo grazie all’intervento di 280 agenti la calma è stata riportata verso le 4,30 del mattino.


Francia, scontri tra bande di nordafricani e ceceni (nazi maomettani) a Digione: uomini armati col kalashnikov girano per la città. Le immagini
16 giugno 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... i/5837220/

È polemica in Francia dopo quattro notti consecutive di violenti scontri urbani a Digione, città della Borgogna. Ieri sera, riferiscono i media francesi, la polizia è intervenuta nuovamente per disperdere un gruppo di un centinaio di uomini dal volto coperto, armati di sbarre di ferro, che volevano difendere il territorio dalle spedizioni punitive della comunità cecena, nel quartiere di Gresilles. Il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, ha parlato di violenze “inammissibili” e il sottosegretario Laurent Nunez è atteso oggi in città. Nelle immagini, alcuni momenti di tensione e scontri nella città francese.

Intanto l’opposizione di destra accusa il governo di debolezza. “È quasi un teatro di guerra”, ha tuonato il deputato di Les Republicains, Eric Ciotti, parlando di una “politica lassista d’immigrazione” dato che, ha affermato, la maggior parte dei ceceni fermati sono richiedenti asilo. “Il nostro Paese precipita nel caos! Che fa Christophe Castaner? Ci sono bande che si lanciano in guerre etniche, armi in pugno”, ha twittato Marine le Pen, leader del partito di estrema destra Rassemblement National, che ha annunciato una conferenza stampa questo pomeriggio a Digione. Anche il leader della sinistra radicale Jean Luc Melenchon deplora “l’inaccettabile caos a Digione”, chiedendo su Twitter di “sciogliere le bande armate e disarmare le gang”. Gli scontri sono cominciato venerdì sera e avrebbero avuto origine nel pestaggio, lo scorso 10 giugno, di un sedicenne ceceno per una questione di droga. Picchiato da trafficanti nordafricani il giovane è stato ricoverato in gravi condizioni, mentre sul web sono partiti appelli alla vendetta in seno alla comunità cecena in Francia. Alcuni video mostrano uomini con il volto coperto che impugnano fucili Ak47 sparando in aria.


Crimini e delitti dei clandestini, degli irregolari e di altri stranieri più o meno regolari o in attesa di regolarizzazione o di respingimento
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1814

Violenza e stupri africano asiatico maomettani
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Crimini dei nazisti maomettani marocchini e africani in Europa
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Berto
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Re: Se l'Africa è nera l'Europa è bianca

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2020 11:06 am

La nuova colpa: essere bianco
22 Giugno 2020

https://www.ilfoglio.it/un-foglio-inter ... co-321289/

Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio Internazionale spunti e segnalazioni dalla stampa estera a cura di Giulio Meotti

Le terribili immagini della morte di George Floyd, ucciso da un poliziotto americano bianco, hanno fatto il giro del mondo. L’emozione legittima si è trasformata in una “frenesia mimetica” che non tiene più conto del reale, argomenta tuttavia il filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut, che sul Figaro mette in guardia contro l’importazione dei problemi americani in Francia, una paese che ha una storia ben diversa. La denuncia di un “razzismo sistemico” e di violenze razziste da parte della polizia dimentica che “nei quartieri cosiddetti popolari, sono i poliziotti ad aver paura”. Finkielkraut vede nell’attuale momento lo sviluppo di un nuovo antirazzismo che vuole decostruire l’egemonia occidentale negli stessi paesi occidentali più che promuovere la pari dignità delle persone. La nozione di “privilegio bianco” è una forma di “autorazzismo” che perpetua, sotto un’altra forma, il senso di colpa della classe borghese. L’omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto americano, che è stato filmato, ha scatenato rivolte in ogni angolo degli Stati Uniti. In risposta, Donald Trump ha annunciato la sua volontà di ripristinare “la legge e l’ordine”. “Ciò che ci distingue dagli uomini di una volta, è che siamo diventati degli spettatori. I nostri predecessori venivano a conoscenza degli eventi che noi oggi guardiamo attraverso il racconto orale o la lettura” dice Finkielkraut.

“Questo ‘noi’ non soffre più di eccezioni: a prescindere da dove abitiamo, grazie allo schermo, siamo in prima fila. L’immagine di George Floyd metodicamente asfissiato da un poliziotto di Minneapolis ha fatto il giro del mondo ed è insostenibile. ‘I can’t breathe’, rantolava, supplicando, l’uomo nero, mentre il suo carnefice bianco, imperturbabile e persino arrogante, premeva il ginocchio sulla sua nuca fino a farlo morire. Capisco gli americani che sono spontaneamente scesi in strada per esprimere il loro disgusto, la loro vergogna e la loro rabbia. Ma mi pongo anche questa domanda: la verità dell’America è interamente deducibile da questa immagine? La questione nera resta la grande tragedia della storia americana. Ma non si riduce all’assassinio di George Floyd. L’emozione deve ispirare la riflessione, ma non può esonerare dal sapere. Perché ci sono le cifre: secondo il database del Washington Post, dal 1° gennaio 2015 i bianchi uccisi dalla polizia sono il doppio (2.416) dei neri (1.263) (…). In questo paese dove i poliziotti hanno il grilletto tanto più facile in quanto le armi sono ovunque, non si può parlare di un ‘razzismo sistemico’ o strutturale delle forze dell’ordine. E c’è anche la storia: la guerra di secessione, il movimento dei diritti civili che ha abolito la segregazione, l’affirmative action nelle università per consolidare nei fatti l’uguaglianza formale dei diritti, l’apologia delle minoranze da parte del politicamente corretto, i due mandati alla Casa Bianca di Barack Obama. Ci sono infine queste altre immagini: il sindaco afroamericano di Houston che annuncia i funerali di George Floyd nella sua città o ancora il sindaco afroamericano di Atlanta che apostrofa con veemenza i facinorosi che discreditano la protesta saccheggiando i negozi di vestiti o di materiale informatico. Dei politici neri dirigono oggi due ex bastioni del segregazionismo”.

La crisi negli Stati Uniti – chiede il Figaro – ha provocato in Francia un ritorno delle denunce delle violenze razziste della polizia nei confronti delle minoranze, facendo leva sul caso di Adama Traoré. Dobbiamo preoccuparci dell’importazione in Francia delle problematiche americane? “Travolti da una vera e propria frenesia mimetica, alcuni manifestanti, a Parigi e nella maggior parte delle città francesi, sventolano gli stessi cartelli che si vedono in America: ‘I can’t breathe’, ‘No Justice, no Peace’, ‘Blacks Lives Matter’. Ci sono certamente dei razzisti nella polizia e devono essere severamente puniti, poiché, forti del potere conferitogli dalla loro uniforme, non rinunciano ad attaccare e colpire. Su questo punto, il ministro dell’Interno ha ragione: non si può tollerare l’intollerabile. Ma bisogna essere veramente in malafede per arrivare alla conclusione che la polizia del nostro paese esercita un terrore razzista sulle popolazioni provenienti dall’immigrazione africana o maghrebina. La realtà, infatti, è tutt’altra. Nei quartieri cosiddetti popolari, sono i poliziotti ad avere paura: vengono attratti, come i pompieri, in agguati, vittime di colpi di mortaio, attaccati a colpi di spranghe di ferro, di sassi scagliati dai tetti o di tombini gettati dall’alto delle passerelle. Quando nel 2007, a Villiers-le-Bel, alcuni ‘giovani’ hanno sparato dei veri proiettili, i poliziotti non hanno risposto. Risultato: decine di feriti fra i poliziotti, nessuno fra i manifestanti. Tormentata dalle rivolte del 2005 che hanno incendiato il paese, la gerarchia chiede ai propri agenti sul campo di fare di tutto per evitare l’incidente o la sbavatura: fare di tutto, ossia non fare nulla contro le corse d’auto clandestine o le partite di calcio selvagge nelle ultime settimane del confinamento. Ciò che caratterizza il nostro tempo, non è l’onnipresenza e l’onnipotenza dello stato di polizia, è la debolezza e l’assenza dello stato in quelli che non a caso sono chiamati i territori perduti della Repubblica”.

Lei ha scritto che l’antirazzismo è “il comunismo del Ventunesimo secolo”. Ciò spiega perché gran parte dell’intellighenzia si precipita verso questo nuovo oppio? “A immagine di ciò che accade a Yale, alla Columbia o a Berkeley, la civiltà occidentale è ormai sul banco degli imputati nella maggior parte delle università del Vecchio continente. Si punta il dito contro i Dead White European Males. Da loro e dalla loro cultura deriva tutto il male che si è diffuso sulla terra: lo schiavismo, il colonialismo, il sessismo e la Lgbtfobia. Studiare questa cultura, significa ormai metterla sotto accusa, decostruirla, rovinare il suo prestigio, per permettere alle minoranze di ritrovare la loro fierezza e alla diversità culturale di svilupparsi senza ostacoli. Da qui l’eco avuto dalla morte di George Floyd a Parigi, così come a Stoccolma e a Montreal. Le nuove generazioni, nella flemma feroce dell’assassino, hanno riconosciuto il volto dell’occidente che avevano imparato a disprezzare. Mathieu Bock-Côté ricorda nel suo ultimo libro che alcuni studenti del King’s College di Londra hanno denunciato ‘la collezione di uomini bianchi di più di cinquant’anni con la barba’ che formava la grande statuaria all’entrata dell’edificio, al punto che quest’ultima è stata sostituita da ‘una statuaria conforme all’ideologia della diversità’. E in un articolo di David Haziza, vengo a sapere che i migliori studenti della Columbia hanno affermato di recente che bisognava mettere fine a un programma di insegnamento la cui bianchezza, secondo loro, spiegava la persistenza delle uccisioni razziste. Combattere l’egemonia occidentale all’interno dell’occidente stesso: questo è, attraverso la rivolta contro le violenze della polizia, l’obiettivo che si è fissato il nuovo antirazzismo”.

Il Ventesimo secolo e il suo corteo sanguinoso sembravano aver fatto scomparire la questione della razza a favore dell’utopia cosmopolita. Come si spiega che quest’ultima abbia fatto il suo gran ritorno nel dibattito pubblico? L’antirazzismo è impazzito? “L’antirazzismo, purtroppo, non è più la difesa della pari dignità delle persone, ma un’ideologia, una visione del mondo. In questa visione, le tratte negriere non occidentali non vengono considerate, così come non vengono considerati l’antisemitismo arabo-musulmano e quello di una parte della comunità nera, e le manifestazioni cinesi e vietnamite di Parigi contro insulti e aggressioni dove i bianchi non c’entrano nulla. Il razzista diventa colui che vede ciò che vede invece di chiudere gli occhi sullo scandalo dell’impensabile. Tra la realtà e il sistema ideologico, per non essere marchiati d’infamia, conviene scegliere il sistema. L’antirazzismo si è dunque trasformato da cima a fondo e l’ospitalità ha cambiato direzione: all’ora della grande migrazione, non è più questione di accogliere i nuovi arrivati integrandoli nella civiltà europea, ma di esporre i difetti di questa civiltà per rendere giustizia a quelli che per molto tempo sono stati trattati da essa con disprezzo e sfruttati senza pietà”. Vediamo sempre più “bianchi” scusarsi per i loro “privilegi”.

Qual è il suo pensiero in merito a questo fenomeno? Cosa sottintende la nozione di “razzismo sistemico”? “Il senso di colpa borghese ha portato un gran numero di intellettuali a schierarsi nel campo della classe operaia. Espiavano i loro privilegi e trovavano una redenzione nella battaglia per l’uguaglianza. Nella sinistra radicale di oggi, la colpa di essere bianco ha sostituito il senso di colpa borghese, ma questo privilegio resta incollato alla pelle. La colpa è dunque inespiabile. Per essa, non c’è redenzione. E quelli che sono macchiati di questa colpa si impegnano a restare confinati fino al giorno in cui la loro università celebrerà la sparizione di bianchi dallo spazio pubblico organizzando per loro, o piuttosto contro di loro, una ‘giornata d’assenza’. Poiché il sospetto di paternalismo infanga tutti i loro discorsi e le loro azioni, non hanno altra soluzione se non quella di tacere, di nascondersi, o di recitare a oltranza il catechismo che li condanna. Questo autorazzismo è la patologia più sconcertante e più grottesca della nostra epoca. Per diversi mesi le guerre culturali e identitarie sembravano essere state sospese dalla crisi del coronavirus, ma ripartono con ancor più vigore… È il segno che nulla è veramente cambiato? Si parla molto, dall’inizio dell’epidemia, del mondo di prima e del mondo che verrà. Ma ci si dimentica, annunciando questa grande cesura, che il mondo di prima era già ben avviato nella liquidazione culturale del vecchio mondo. Il confinamento è finito, ma l’operazione di liquidazione continua, e addirittura accelera”.




La pazzia, l'estremismo ideologico, l'ignoranza non sono da meno del fondamentalismo islamico più radicale.
https://www.facebook.com/saved/?list_id ... 81&cref=35

Infatti per gli attivisti Black Lives Matter adesso è il momento di abbattere le statue di Gesù e della Madonna perché hanno la pelle bianca e sono una forma di suprematismo bianco.
Insomma per questi pazzi tutta l'arte medioevale, rinascimentale, .... che sia una vetrata di una cattedrale, una statua, un quadro, ... che rappresenti Gesù, la Madonna, i santi con la pelle bianca sono da distruggere!
ASSURDO! PAZZIA!
DISTRUGGEREBBERO LA PIETÀ DI MICHELANGELO O I QUADRI DI ARTE SACRA DEI PIU GRANDI PITTORI RINASCIMENTALI E MEDIOEVALI.

PER QUESTI PAZZI LE STATUE DI GESÙ EDI MARIA SONO DEGLI STRUMENTI DI OPPRESSIONE, è PROPAGANDA RAZZISTA. SUPREMATISMO BIANCO.

NO COMMENT.

Jeffery Shaun King è nato il 17 settembre 1979, è uno scrittore americano, attivista per i diritti civili e co-fondatore di Real Justice PAC . King utilizza i social media per promuovere le cause della giustizia sociale, incluso il movimento Black Lives Matter

Jeffery Shaun King in un tweet ha dichiarato che le statue di Gesù e della madonna devono essere abbattute perché hanno la pelle bianca e inneggiano al suprematismo bianco.

https://twitter.com/shaunking/status/12 ... 6916499456

Yes, I think the statues of the white European they claim is Jesus should also come down.
They are a form of white supremacy.
Always have been.
In the Bible, when the family of Jesus wanted to hide, and blend in, guess where they went?
EGYPT!
Not Denmark.
Tear them down.

Si, io penso che le statue di un bianco europeo che dichiarano che sia Gesù dovrebbero essere abbattute.
Sono una forma di suprematismo bianco.
Lo è sempre stato.
Nella Bibbia, quando la famiglia di Gesù ha cercato di nascondersi. Indovinate dov'è andata?
Egitto!
Non Danimarca
Buttatele giù.

https://twitter.com/shaunking/status/12 ... 7555303424

Yes.
All murals and stained glass windows of white Jesus, and his European mother, and their white friends should also come down.
They are a gross form white supremacy.
Created as tools of oppression.
Racist propaganda.
They should all come down.

Si.
Tutti i murales, le vetrate di Gesù bianco e della sua madre europea, a dei loro amici bianchi dovrebbero essere buttate giù.
Sono una forma grossolana di suprematismo bianco.
Creati come strumenti di oppressione.
Propaganda razzista.
Essi dovrebbero essere buttati giù.


Immenso Trump
Usa, attaccata la statua di Jackson. Trump: "Dieci anni di carcere per chi vandalizza o distrugge i monumenti"
Tensione davanti alla Casa Bianca nella notte. Il presidente: "Il provvedimento è in vigore immediatamente"
23 giugno 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 259930652/

Attimi di confusione e paura, nella notte italiana, davanti alla Casa Bianca. Dei manifestanti hanno cercato di abbattere la statua di Andrew Jackson, il presidente americano responsabile del cosiddetto 'sentiero delle lacrime' (la deportazione forzata dei nativi americani dalle loro terre), idolo di Donald Trump.

L'intervento delle forze dell'ordine è stato immediato: per cercare di calmare gli animi la polizia usa spray al peperoncino contro i 150-200 manifestanti presenti e forma un cordone per proteggere la statua e la Casa Bianca.

La statua di Jackson si trova a Lafayette Square, nei pressi dell'edificio presidenziale, da cui il Secret Service ha fatto uscire tutti i giornalisti. Cantando "Hey, Hey, Ho, Ho, Andrew Jackson's got to go" (deve andarsene) i manifestanti hanno legato la statua con delle corde con l'obiettivo di abbatterla.
Un gesto forte, a pochi passi dalla residenza del presidente che spinge la polizia a un intervento deciso: elicotteri iniziano a sorvolare l'area mentre gli agenti sul campo tentano di fermare i manifestanti.
La statua di Jackson è uno dei bersagli della rabbia dei manifestanti che da quasi un mese invadono le strade americani per protestare per la morte di George Floyd il 25 maggio. Sono già finite nel mirino molte altre statue sparse negli Stati Uniti.

Presidenti
Andrew Jackson, pallottole e magnolie
di Fernando Masullo

L'ultima in ordine temporale è quella di Teddy Roosevelt che il Museo di Storia Naturale di New York rimuoverà dal suo ingresso davanti a Central Park. Polemiche da giorni travolgono anche le statue del generale sudista Robert Lee e quella di Cristoforo Colombo, considerate simboli del razzismo e del passato coloniale.

Il presidente Trump ha dichiarato di aver "autorizzato il governo federale ad arrestare chiunque vandalizzi o distrugga qualsiasi monumento, statua o altra proprietà federale negli Stati Uniti con un massimo di 10 anni di carcere", ai sensi del Veteran's Memorial Preservation Act o di altre leggi che potrebbero essere pertinenti."Il provvedimento - ha spiegato - è in vigore immediatamente, ma può anche essere utilizzato retroattivamente per la distruzione o il vandalismo già causati. Non ci saranno eccezioni!", ha twittato.



Donald, il difensore dell’Occidente
Giovanni Sallusti
24 giugno 2020

https://www.nicolaporro.it/donald-il-di ... occidente/

Finalmente qualcuno spezza l’incantesimo. Da settimane quella porzione di umanità che si dice “civile” sta accettando come bravata, se non incentivando come eroismo, lo sfregio continuo delle proprie fondamenta. Lo sfregio proprio in senso fisico, la devastazione teppistica di monumenti e simboli a vario titolo connotanti la nostra identità di uomini occidentali, per cui greco-romani, cristiani, illuministi, liberali, democratici (ormai altrettante parolacce, per la neolingua politically correct).

Perché la grottesca “guerra delle statue” ormai questo è: un ininterrotto processo di piazza, ma sarebbe meglio dire di feccia acefala, all’ultramillenaria storia occidentale. I cosiddetti “antirazzisti”, che sono poi gli squadristi di oggi, su ambo le sponde dell’Atlantico hanno deturpato, divelto, spaccato tra gli altri i seguenti busti. Giulio Cesare, Cristoforo Colombo, Thomas Jefferson (il padre fondatore della più grande democrazia liberale del globo), Abramo Lincoln (il presidente che per liberare la popolazione nera non ha esitato ad affrontare una guerra civile), Theodore Roosevelt, Winston Churchill (l’uomo che contro ogni evidenza riifutò di arrendersi a Hitler, salvando l’Europa e il mondo), Gandhi (Gan-dhi, accusato di razzismo e sessismo, la realtà ha superato la sua stessa caricatura), Indro Montanelli.

Ieri Shaun King, “scrittore” (facendo le scuse postume a Philip Roth) americano vicino alle squadracce Black Lives Matter (chiamarli “movimento” è obiettivamente eccesso di nobilitazione), ha invitato i suoi teppisti preferiti ad abbattere le statue di Gesù, in quanto subdole effigi del “suprematismo bianco”.

È evidente che l’accozzaglia globale di imbrattatori ha dichiarato guerra a quello che noi stessi siamo, involontariamente e a priori, ai secoli che abbiamo alle spalle e grazie a cui solo oggi continua ad esistere quell’anomalia sulla terra chiamata Occidente. Sì, finché è ancora concesso lo scriviamo, l’unico angolo di mondo in cui si aggirano quisquilie come la libertà individuale, la democrazia politica, la nozione (cristiana, non sappiamo se sia politicamente corretto ricordarlo, certo lo è storiograficamente) di dignità intrinseca ad ogni persona, il libero mercato di merci ed idee…

Allora, Dio benedica Donald Trump. Sarà fin troppo sfacciatamente irrituale, sfoggerà un toupè inguardabile, maneggerà la geopolitica con la sbrigatività del businessman (per fortuna, vien da dire, dopo gli insuccessi macroscopici del dottissimo e finissimo Barack Obama), ma ha spezzato l’incantesimo. Le guerre vanno combattute, specie se non hai scelta, se sei tu l’assalito.



Razzismo dei neri contro i bianchi
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Il senso di colpa
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Il senso di colpa lo provo solo quando sento di aver fatto del male, quando sento di aver violato le buone leggi universali della vita causando del male che mi si ritorce contro o che potrebbe ritorcermisi contro.
Se non ho coscienza di aver fatto del male non provo alcun senso di colpa.
E non vi è alcuna colpa nell'essere bianchi, occidentali, cristiani, atei, aidoli, laici, sani, forti, belli e ricchi, non vi è alcun male nello stare bene e lo stare bene non si fonda sul male degli altri, come la ricchezza non si fonda sulla povertà altrui e la forza non si fonda sulla debolezza altrui.
Il proprio star bene, la propria forza e la propria ricchezza benefica anche gli altri d'intorno.



Forza Trump, gli uomini di buona volontà di tutta la terra sono con te!
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Je suis Charlie e Trump, forza Trump!
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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