Russia, Europa, USA e Cina

Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven ago 09, 2019 7:01 am

Putin, un nemico delle democrazie, l’uomo forte che arresta le ragazzine
Adrian Niscemi·Editoriali·Agosto 4, 2019·

https://www.rightsreporter.org/putin-un ... eMgw-6QFJA

Le recenti proteste a Mosca con centinaia di arresti e il conseguente azzeramento della opposizione democratica a Vladimir Putin, ci ricordano chi è veramente l’uomo ai vertici della seconda più grande potenza militare al mondo e che in questo momento decide le sorti di diverse aree strategiche che vanno dal Medio Oriente all’Africa.

Purtroppo ogni tanto sembra che qualcuno se ne scordi, ogni tanto qualcuno parlando con Putin e di Putin sembra considerarlo un partner affidabile, qualcuno su cui appoggiarsi politicamente e militarmente, qualcuno su cui fare affidamento per addirittura combattere l’estremismo islamico.

Putin, l’uomo forte che cavalca a petto nudo che imprigiona pericolosissime diciassettenni che hanno l’ardire di leggere la costituzione russa davanti a un esercito di miliziani in tenuta antisommossa, che fa arrestare una donna in sciopero della fame da due settimane solo perché vorrebbe una Russia più democratica.

I suoi sostenitori in occidente, e sono tanti, sostengono che «ha il consenso popolare» e che solo questo giustifichi tutto. A parte che avere il consenso popolare non vuol dire affatto poter fare tutto, ma poi di quale consenso popolare stiamo parlando? Se fai fuori tutti gli oppositori non è consenso popolare, è consenso costrittivo.

Allora anche in Iran gli Ayatollah hanno consenso popolare, anche in Venezuela Maduro ha il consenso popolare. Nel momento in cui rimani solo tu perché elimini tutti coloro che possono farti opposizione, non puoi dire di avere il consenso popolare. Crei un regime.

E sinceramente spaventa molto che ci siano partiti politici europei che pensino ad alleanze strategiche e politiche con Russia Unita, il partito di Putin. Come pensano di conciliare una qualsiasi democrazia, seppure imperfetta, con un regime totalitario come quello russo?

Stupisce che ci siano partiti europei che chiedono a gran voce di togliere le sanzioni alla Russia, che giustificano l’occupazione della Crimea e il tentativo russo di destabilizzare l’Ucraina.

Veramente un qualsiasi partito politico di una democrazia può pensare che aiutando la Russia di Putin si possa in qualche modo favorire il dialogo e la pace?

Putin non è il “salvatore dell’occidente”, Putin è uno dei più pericolosi nemici dell’occidente. Putin non è “la spada cristiana contro l’islam” come i più intrepidi lo definiscono, Putin è il più grande alleato dell’Iran, uno dei regimi islamici più pericolosi al mondo che ha come obiettivo principale la diffusione della rivoluzione islamica in tutto il mondo. Putin combatte i nemici dell’Iran, non l’islam.

Che sia scaltro, furbo e intelligente è fuor di dubbio, ma da qui a giudicarlo un possibile alleato e una sponda su cui fare affidamento ce ne passa. Solo chi vorrebbe copiare il suo regime autoritario può pensarlo.

E non ci si faccia nemmeno ingannare dai “cordiali” rapporti tra Russia e Israele, dagli accordi tra Putin e Netanyahu sulla Siria. Netanyahu, qualsiasi cosa si possa pensare di lui, è troppo intelligente per vedere la Russia come un alleato o come un mezzo per impedire all’Iran di posizionarsi in Siria.

A Gerusalemme sanno benissimo che Putin sta facendo il doppio gioco con gli iraniani, che non ha mosso un dito per impedire il loro posizionamento permanente in Siria e che chiude letteralmente gli occhi sul colossale via-vai di armi che dall’Iran arriva ad Hezbollah attraverso la Siria.

La verità è che Putin non può fermare i raid israeliani in Siria, nonostante la consegna dei famigerati missili S-300 al regime siriano e a quello iraniano, quasi del tutto inutili contro la tecnologia israeliana. E allora fa finta di stare al gioco, non fosse altro perché quei missili a qualcuno li deve vendere e non ci fai una gran bella figura quando i jet israeliani ti passano praticamente sotto il naso.

Putin non è un amico di Israele, non lo è mai stato. Al momento gli fa semplicemente comodo fare il doppio gioco e tenere quella marionetta di Assad il più a lungo possibile al potere.

Il fatto che per coincidenza questa situazione convenga in parte anche ad Israele non significa che Putin e Netanyahu siano amiconi, significa solo che si usano a vicenda. Ma a Gerusalemme sanno benissimo che la Russia sta dall’altra parte della barricata.

Ora la domanda che dovremmo porci riguardo ai tanti (troppi) sostenitori occidentali del regime russo è: perché a questa gente piace tanto il regime di Putin? Per quale assurdo meccanismo pensano che faremmo bene a schierarci con lui e non contro di lui? Perché vedono il regime russo come un esempio?

Temo che la risposta sia proprio nella peculiarità del regime russo. Sognano una democrazia illiberale, un regime mascherato da stato democratico. Odiano tutto ciò che è democrazia. Pensiamoci perché questa gente ce l’abbiamo in casa. Cerchiamo di avere ben chiaro chi è amico di chi e da quale parte stare. Putin è un nemico temibilissimo delle democrazie occidentali, stare con lui significa stare contro le democrazie e se qualcuno, magari in buona fede, ha pensato che così non fosse forse farebbe bene a dare una occhiata a quello che sta avvenendo a Mosca, a quell’uomo così forte da avere paura di una ragazzina che legge la costituzione russa. Magari può sempre ricredersi.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven ago 09, 2019 7:02 am

Terza guerra mondiale/ Usa stracciano trattato con Russia su disarmo missili nucleari
02.08.2019
Carmine Massimo Balsamo

https://www.ilsussidiario.net/news/terz ... ri/1911530
Clima da terza guerra mondiale, è proprio il caso di dirlo: dopo 32 anni, gli Usa hanno deciso di stracciare il Trattato nucleare firmato con la Russia da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov. Una novità non da poco per ciò che concerne il controllo degli armamenti, dato che il Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces) sul disarmo dei missili nucleari era l’unico che vincolava Washington e Mosca a garantire un equilibrio tra i due maggiori arsenali a livello mondiale. Come evidenziato dai colleghi de Il Sole 24 Ore, il Trattato prevedeva un attento regime di verifiche reciproche, anche se negli ultimi tempi non sono affatto mancate polemiche: Usa e Russia si sono accusate reciprocamente di non rispettare i paletti previsti. Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha accusato il Cremlino: «I sistemi missilistici rappresentano una minaccia diretta agli Stati Uniti ed ai suoi alleati».

Il ritiro dal Trattato nucleare era già stato annunciato dal presidente americano Donald Trump nell’ottobre 2018, una minaccia vista la richiesta a Vladimir Putin di rientrare negli accordi prima che l’addio all’accordo diventasse formale. E la Nato si scaglia contro Mosca, ritenuta l’unica responsabile del fallimento: secondo l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il Cremlino avrebbe violato i limiti sviluppando un missile di gittata superiore ai 500 km. Reuters spiega che secondo la Casa Bianca ci sarebbero interi battaglioni di questi missili, schierati anche nella Russia occidentale, più prossima all’Europa. La Russia ha tenuto a precisare che il SSC-8 (missile della discordia) ha una gittata massima di 480 chilometri, in linea con i limiti previsti. Attesi nuovi aggiornamenti…




Perché Trump ha fatto bene a ritirarsi dal Trattato INF, rottamato dalle violazioni russe e dalla minaccia cinese
Stefano Magni
9 Ago 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... S5gWlxiNE4

Con il ritiro degli Usa dal Trattato Inf muore un pezzo importante di storia recente. La Guerra Fredda finì informalmente con la caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Ma due anni prima, nel 1987, Ronald Reagan e Michail Gorbachev avevano firmato il Trattato per le Forze Nucleari a raggio Intermedio (Inf, l’acronimo inglese) che proibiva a entrambe le superpotenze di possedere missili con capacità nucleare con un raggio d’azione dai 500 ai 5.500 km. Fu un passo importantissimo per far cessare la tensione nucleare in Europa. E ora si è chiuso quel ciclo di pace nucleare sul nostro continente.

Perché mai proprio le armi a raggio intermedio e non quelle intercontinentali (capaci di colpire in tutto il mondo) o tattiche (sotto i 500 km di raggio d’azione)? Perché quelle intercontinentali sono armi suicide: se lanciate, causano una quasi automatica rappresaglia massiccia. Possono essere individuate nella fase di lancio e la nazione bersaglio ha tutto il tempo di rispondere. Le armi tattiche, invece, con la loro corta gittata, possono influenzare in modo decisivo l’esito di una battaglia, ma non minacciare di distruzione la nazione nemica. Le armi a raggio intermedio, da un punto di vista strategico, costituivano una minaccia più realistica e per questo erano molto più destabilizzanti. Con missili come gli SS-20 (schierati dal 1978), i sovietici avevano la possibilità di colpire tutti i Paesi europei, ma non gli Usa. Questo creava una complicatissima asimmetria: l’Urss poteva minacciare, in modo credibile, di incenerire tutte le città europee e le basi Nato in Europa, in caso di guerra, mentre gli Usa non potevano minacciare in modo altrettanto credibile una rappresaglia sull’Urss… che avrebbe comportato automaticamente una contro-rappresaglia sugli Usa stessi. Insomma, in caso di guerra (che fortunatamente non ci fu), gli Usa si sarebbero trovati di fronte all’impossibile dilemma se accettare passivamente l’annientamento dei propri alleati europei, o subire una completa distruzione delle proprie città.

Dopo le prime proteste dell’amministrazione Carter, fu Reagan a disinnescare questa bomba, con l’opzione zero: o i sovietici accettavano un disarmo totale bilaterale di tutte le armi a raggio intermedio, o gli Usa avrebbero schierato le loro in Europa. I sovietici, sotto Andropov, non accettarono il disarmo e dal 1983 i Pershing 2 e i Cruise vennero schierati in Europa, anche in Italia, puntati sull’Urss. Dopo soli quattro anni, quando era Gorbachev alla presidenza dell’Urss, Mosca accettò il disarmo. Non è un’esagerazione affermare che la firma del Trattato Inf fu l’inizio della fine della Guerra Fredda.

La crisi nucleare di allora era iniziata con lo schieramento, da parte dei sovietici, dei missili SS-20, ma l’opinione pubblica europea si mobilitò, con marce di centinaia di migliaia di manifestanti, solo quando gli Usa schierarono i propri missili in Europa. Oggi assistiamo a un fenomeno simile. I media, quasi all’unanimità, puntano il dito su Trump, che ha deciso il ritiro degli Usa dal Trattato. Manca la mobilitazione di massa dei pacifisti, perché le armi nucleari interessano stranamente meno di altri problemi politici. Ma è comunque la Russia che sta violando il trattato, da almeno cinque anni.

Dal 2014 (anno dell’annessione della Crimea e dell’inizio della guerra nel Donbass) i russi stanno sviluppando un nuovo missile da crociera, con base a terra, il 9M729 Novator. Già nei primi test, nel luglio del 2014, venne lanciato da postazione fissa a una gittata ben superiore ai 500 km consentiti. Secondo le stime attuali, il missile russo ha una gittata di 2500 km. Nel novembre del 2016, gli Usa chiesero una commissione di verifica per un sospetto di violazione russa del Trattato Inf. Finì in un nulla di fatto, perché i russi consentirono solo ispezioni a missile fermo. Trump, che si era insediato da un anno, il 19 ottobre del 2018 annunciò che gli Usa si sarebbero ritirati dal Trattato, se i russi non fossero tornati in regola. Il 23 gennaio 2019, i russi mostrarono il missile in pubblico per la prima volta, vantandone le prestazioni. A questo punto gli Usa si sono ritirati all’inizio di febbraio, ma da allora all’entrata in vigore del ritiro sono passati altri sei mesi. Durante i quali i russi avrebbero potuto cambiare rotta, ma non l’hanno fatto. Lungi dall’essere una posizione presa unilateralmente da Donald Trump, la Nato sta sostenendo pienamente la linea statunitense: “Finché la Russia non onorerà gli obblighi previsti dal Trattato Inf, con la distruzione verificabile di tutti i suoi sistemi missilistici da crociera 9M729 basati a terra (…) la Russia sarà l’unica responsabile per la fine del trattato”.

La lite, tuttavia, non è limitata a Usa e Russia. In realtà c’è un terzo incomodo che può essere stato determinante nello spingere Trump a compiere una scelta così drastica. Questo terzo incomodo è la Cina. Per ora non esiste una Guerra Fredda o una tensione militare conclamata fra Washington e Pechino, ma il regime cinese sta sviluppando, da decenni, il suo programma di armi nucleari a raggio intermedio. I cinesi schierano già due modelli di missili balistici a raggio intermedio, il Dong Feng 21 e 26 e due modelli di missili da crociera con gittata analoga, lo Hong Niao 2 e 3. Con queste armi la Cina può (potenzialmente) tenere sotto tiro tutti gli alleati asiatici degli Usa e le basi statunitensi nel Pacifico occidentale: Filippine, Taiwan, Corea del Sud, Giappone e Guam. In caso di Guerra Fredda con la Cina, si creerebbe una situazione analoga a quella dell’Europa alla fine degli anni ’70. Con la differenza fondamentale che la Repubblica Popolare non è vincolata da alcun trattato sulle armi a raggio intermedio, mentre gli Usa sì. Un’asimmetria troppo forte per poter durare ancora a lungo.

L’effetto della fine del Trattato può essere anche tragico: è lecito pensare che l’Europa torni ad essere il campo di una nuova tensione nucleare e di una rinnovata corsa agli armamenti. E aspettiamoci nuove oceaniche manifestazioni pacifiste. Ma non è da escludere un esito positivo: un nuovo trattato che includa anche la Cina. In questo caso, la rottura di una vecchia architettura ormai vecchia e fragile può far da premessa alla costruzione di una nuova più solida.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » lun ago 19, 2019 9:17 am

HUAWEI: ALTA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE...?
Giulio Terzi pensieroso.
12 agosto 2019

https://www.facebook.com/ambasciatoregi ... 4218505796

Come ho spiegato in una mie recente intervista una nuova ricerca condotta dal professore e ricercatore Christopher Balding – già co-autore di un report che analizzava la struttura societaria di Huawei – mette in luce i presunti legami di decine di dipendenti del colosso cinese con l’apparato militare e di intelligence della Repubblica Popolare Cinese. Circostanze che - nonostante le smentite di Pechino e della sua telco di punta - non devono stupire. La ricerca è estremamente attendibile e corrisponde a una serie di altri studi su come è strutturata Huawei al suo interno. Huawei presenta un’organizzazione di tipo quasi "militare", con un grado di fidelizzazione a dir poco giurata dei dipendenti, tenuti a dedicare una devozione assoluta all'azienda. Il radicamento della società nel mercato è un obiettivo sia economico sia strategico. Un obiettivo che sta riuscendo, considerando che Huawei è riuscita ad inserirsi ovunque, dai Paesi africani alle campagne americane in Arizona e Oregon. Il colosso cinese si pone come interlocutore primario per i prodotti di qualità a basso costo, sia per un discorso di prezzo sia per la disponibilità dei suoi venditori ad andare a coprire i mercati meno favoriti dai grandi gruppi. Una capacità di diffusione enorme che dimostra la grandissima motivazione del personale cinese a costo di qualsiasi sacrificio. La mentalità "militare" dei cinesi nell’affrontare il business li rende capaci di operare economicamente motivati dalla “grande causa” dell’espansione cinese attraverso una vera e propria affermazione di tipo "nazionalista". Il fondatore di Huawei Ren Zhengfei d'altra parte è un ex ufficiale delle forze armate cinesi e che la legge sulla sicurezza nazionale nel 2017 costringe tutte le aziende ad alto valore tecnologico a cooperare con gli apparati di sicurezza dello Stato. Un sistema "Dual Use", quindi: attività civili, obiettivi strategici e metodologie militari. La preoccupazione per questi rischi, dal ban di Huawei in USA, è leggermente diminuita negli Stati Uniti, anzi il presidente Donald Trump ha anche mandato dei segnali di distensione. Tuttavia, gli Stati Uniti non possono permettere che la sfida competitiva sia erosa in alcun modo: ne Trump ne l’intelligence americana intendono permettere alla Cina di dominare la dimensione cyber. Anche l'Italia dovremmo senza dubbio aumentare la sicurezza e limitare la partecipazione di enti affiliati a forze militari e di intelligence straniere nell’area delle core technologies, come già stanno facendo gli Inglesi. Londra si è trovata in una situazione di pressione fortissima: Huawei collabora da anni con il Paese, quindi possiamo solo immaginare che capacità di penetrazione e di acquisizione di expertise abbia l’azienda. Il colosso cinese ha peraltro creato molti centri di ricerca che operano anche su Intelligenza artificiale nel Regno Unito e, cosa ancora più grave, i ricercatori cinesi spesso hanno la clearance di sicurezza britannica. Certo il "nulla osta di sicurezza" garantisce una sorveglianza dell’intelligence locale, ma permette ai dipendenti di accedere anche a documenti "classificati"... Guardando alla Russia, Putin e Xi vantano una grande amicizia, come da loro sottolineato in più occasioni. Abbiamo visto esercitazioni militari congiunte, e diversi forum di cooperazione nel grande gioco geopolitico. Per quanto concerne le mire egemoniche cinesi nei vari domini – soprattutto il quinto, ovvero il dominio cyber – credo che i due Paesi abbiano interessi fortemente divergenti: l’avanzamento cinese nel cyber space si riflette negativamente sulla Russia e sui suoi storici spazi di influenza. Kazakistan, Tagikistan fino anche al Caucaso, Mosca rischia di perdere molto della propria influenza verso l’Asia centrale. Inoltre, nonostante quell’area sia russofona, la presenza cinese è molto forte, e si sta lentamente creando una situazione di insofferenza da parte delle popolazioni locali rispetto agli investitori cinesi. D’altra parte l’estensione dell’influenza economica e della presenza militare sono proiezioni del potere politico cinese: su questo, complice la percezione di accerchiamento tipica della Russia, Putin - sul medio-lungo periodo - non farà sconti a Pechino... VOI COSA NE PENSATE? (e che telefono cellulare usate...?)
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab set 21, 2019 7:03 am

Hong Kong ritira la legge sulle estradizioni in Cina, vola la Borsa
4 settembre 2019

https://www.ilsole24ore.com/art/hong-ko ... 1567590541

La governatrice di Hong Kong Carrie Lam annuncerà in giornata il ritiro formale della proposta di legge sulle estradizioni in Cina, il testo che ha scatenato le proteste degli ultimi tre mesi nella ex colonia britannica. Lo scrivo il South China Morning Post, citando fonti familiari con le autorità. Lam non ha commentato la notizia con i media internazionali. Il disegno di legge avrebbe consentito al governo di Pechino di processare in patria anche le persone «sospettate» di reati, provocando timori di un’escalation autoritaria sulla città-stato asiatica.

La scelta di Lam arriva al termine di una settimana particolarmente turbolenta, segnata da alcuni degli scontri più violenti fra polizia e manifestanti. Secondo quanto scrive Bloomberg, le proteste hanno portato all’arresto di oltre 1.100 arresti dall’inizio dello scorso giugno. I titoli quotati sul listino di Hong Kong sono decollati dopo la notizia, con iol paniere di riferimento (l’Hang Sneg Index) in crescita fino a picchi del 3,9%.

La più grande protesta dal 1997
Il malumore per il disegno legge si è trasformato, nelle settimane, in una protesta generalizzata contro le ingerenze del governo cinese. Hong Kong, per oltre un secolo e mezzo colonia del Regno Unito, è passata formalmente sotto il controllo di Pechino nel 1997, mantenendo da allora uno status riassunto nel principio del «one country, two systems»: one country, two sytems»: la convivenza sotto a un paese unico di due sistemi diversi, con ampi margini di autonomia per Hong Kong soprattutto sul versante giuridico e finanziario.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab set 21, 2019 7:03 am

Russia, arrestato e rinchiuso in manicomio lo sciamano guerriero anti-Putin
20 settembre 2019

https://www.ilmessaggero.it/mondo/alexa ... 8DeEyWJZfs

A piedi, dalla Jacuzia, profonda Siberia, fino a Mosca. Destinazione Cremlino, obiettivo: cacciare Vladimir Putin, il demonio. Questa era la missione di Alexander Gabyshev, sciamano guerriero, come si definisce, in viaggio «per conto di Dio».Ieri uomini con il volto coperto lo hanno arrestato preso al viallaggio di Vydrino al confine tra la repubblica di Buriazia e la regione di Irkutz. «Senza spiegare nulla, ci hanno messo faccia a terra, lo hanno svegliato e non gli hanno permesso nemmeno di vestirsi. Non sappiamo dove sia ora, la nostra gente è andata a cercarlo a Ulan-Ude», ha raccontato Snob Dmitry Kryukov, uno dei sostenitori di Gabyshev.

Russia, giornalista oppositore Vladimir Kara-Murza ricoverato per avvelenamento

Gli stessi uomini lo hanno internato presso il Centro psico-neurologico di Yakutz per essere sottoposto a test. «Se questo paziente ha delle patologie siamo pronti a fornire cure mediche qualificate. Se necessario, possono essere coinvolti i servizi sociali», ha affermato una nota del ministero per la Salute.

Gabyshev, 50 anni, laureato in storia con un passato da eremita nei boschi in seguito alla morte della moglie, un bel giorno si è messo in marcia, da solo, con questa idea in testa. Nel corso del suo cammino altri sciamani locali hanno cercato di bloccarlo e a Ulan-Ude, quando già aveva fatto proseliti, le autorità gli hanno confiscato due mezzi di trasporto, usati dalla carovana er portare le masserizie. Gli agenti hanno anche arrestato per 15 giorni il suo luogotenente - l'ex camionista Raven - suscitando le proteste della popolazione locale, già infuriata col Cremlino perché le elezioni comunali sono state vinte dal putiniano di ferro Igor Shutenkov. Non male per uno che non parla quasi mai, se non per mormorare preghiere nella lingua oscura degli sciamani yakuti. «Ho sentito la chiamata di Dio e sono partito», ha spiegato alla testata Znak in una rara intervista.

«Per voi che non credete, è difficile da comprendere». «Mi ha detto di cacciare Putin e le parole di Dio non si mettono in discussione: lui non è un uomo, è un demone, la Bestia». Gabyshev sa che la sua missione non sarà «semplice» ma lui d'altra parte è uno « sciamano guerriero». Dio poi ha previsto tutto e, col tempo, gli sta fornendo compagni di lotta. «Alle porte di Mosca, saremo un esercito, e cacceremo il demone». L'ora X, secondo i calcoli, scatterà nel 2021. «Tutto avverrà velocemente, ci saranno nuove elezioni e un nuovo presidente sarà eletto. Poi cambieremo la costituzione: senza il demone tutto è possibile, siamo una nazione saggia, ricca d'intelligenza».
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab set 21, 2019 9:59 pm

A Hong Kong si battaglia contro il moloch cinese.
Giulio Meotti
19 settembre 2019

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 3155819552

È la prima grande prova per quell'orrenda dittatura dopo il massacro di piazza Tienanmen. È anche una battaglia per la libertà religiosa, con i cristiani in prima fila. Ma in tre mesi il Papa - che non lesina certo parole praticamente su tutto - non ha speso una parola su Hong Kong. È il prezzo che il Vaticano paga per il proprio sciagurato accordo con il Partito Comunista?



HONG KONG INDOMABILE, ORA SI APPELLA ALLA REGINA D’INGHILTERRA
15 settembre 2019

https://www.miglioverde.eu/hong-kong-in ... Wf9u-37jbs

Migliaia di manifestanti, in gran parte vestiti di nero, hanno sfidato il divieto della polizia di Hong Kong, partecipando alla marcia pro-democrazia partita dall’ area dello shopping di Causeway Bay e diretta verso Central, la zona delle sedi governative e istituzionali. Nel 15/mo weekend consecutivo di proteste, le principali strade nel cuore dell’ex colonia risultano sboccate, mentre i centri commerciali hanno dovuto chiudere prima del tempo a causa di possibili tensioni e scontri tra attivisti e polizia in tenuta antisommossa.
In centinaia si sono radunati davanti alla sede del Consolato britannico a Hong Kong chiedendo a gran voce il sostegno della comunità internazionale alla loro protesta e mobilitazione per le riforme democratiche. I dimostranti sventolano bandiere britanniche, cantano l’inno nazionale (‘God Save the Queen’), scandiscono slogan come “Gb salva Hong Kong”. Hong Kong fu una colonia britannica dal 1841 al 1997 quando tornò sotto la sovranità cinese.
Il sit-in, davanti al consolato britannico all’Admiralty, ha lo scopo di sollecitare il governo britannico “a salvare Hong Kong” sulla base della considerazione che il modello “un Paese, due sistemi è morto”, hanno scandito i manifestanti sullo schema concordato da Londra e Pechino per il ritorno dei territori nel 1997 sotto la sovranità cinese. In più, la Cina è stata accusata di non aver ottemperato agli obblighi della dichiarazione congiunta sino-cinese, soprattutto sul suffragio universale, chiedendo a Londra di prendere provvedimenti in tal senso.
“Sollecitiamo il governo di Sua Maestà a rivedere lo status di ‘un Paese, due sistemi’ e ad agire contro le violazioni – hanno rimarcato i manifestanti in una nota letta davanti al consolato -. Alla luce del grande pericolo con il quale ci confrontiamo quotidianamente, è un dovere per il governo britannico rivedere le politiche su Hong Kong per proteggere la nostra gente”. Oggetto di contesa sono poi i passaporti per i British National Overseas (Bno), dati ai residenti dell’ex colonia senza connessioni dirette con il passaggio del 1997. La contestazione riguarda il fatto che il passaporto Bno dà ai possessori il libero accesso alla Gran Bretagna, ma non la residenza.
La scorsa settimana, circa 130 parlamentare britannici hanno sottoscritto una lettera inviata al ministro degli Esteri Dominic Raab sollecitando gli Stati del Commonwealth a dare ai residenti di Hong Kong la seconda cittadinanza. Un mossa seguita alla freddezza mostrata dallo stesso Raab all’ipotesi di ‘correggere’ il passaporto Bno. Nella vicina Macao, altra ex colonia, il Portogallo ha dato la piena cittadinanza nati prima di una certa data, prima comunque della restituzione dei territori alla Cina del 1999. (Ansa)


HONG KONG - CINA Ossa rotte, sangue e perfino tortura: Amnesty accusa la polizia di Hong Kong
Paul Wang
21/09/2019

http://www.asianews.it/notizie-it/Ossa- ... Nx0lAZujjo

Il rapporto dell’organizzazione per i diritti umani è basato su 38 testimonianze e su documentazione video. La polizia rigetta le accuse. Presi di mira i Lennon Wall della protesta. Junius Ho “immondizia” di Hong Kong.

Hong Kong (AsiaNews) – Ossa rotte, ferite, sanguinamenti e perfino torture: è l’accusa che Amnesty International rivolge alla polizia di Hong Kong nei suoi tentativi di estirpare le proteste anti-estradizione che durano da oltre tre mesi.

La denuncia, contenuta in un rapporto presentato ieri, si basa su 38 testimonianze da parte di arrestati, personale sanitario e avvocati, insieme a documentazione video che mostrano uno “schema preoccupante” da parte della polizia nell’uso di “tattiche avventate e illegali”.

Dagli inizi delle manifestazioni in giugno, il movimento anti-estradizione esige un’inchiesta indipendente sull’uso eccessivo della forza esercitato dai poliziotti.

Negli ultimi tre mesi la polizia ha sparato più di 2382 gas lacrimogeni, 776 proiettili di gomma, usato idranti e manganelli, arrestando quasi 1400 persone delle quali 70 sono accusate di “rivolta”, un’accusa che può essere punita con 10 anni di carcere.

Le accuse più pesanti sono legate alla collusione di forze dell’ordine con la mafia di Yuen Long e l’operato della polizia alla stazione della metropolitana di Prince Edward lo scorso 31 agosto.

Alla conferenza stampa del pomeriggio, Tse Chun-chung, soprintendente della polizia per le pubbliche relazioni, ha rifiutato il rapporto di Amnesty, dicendo che esso non tiene in considerazione che le forze dell’ordine “stanno affrontando una sfida senza precedenti allo stato di diritto”. In una dichiarazione ufficiale, la polizia ha anche detto che essa non commenta “su casi particolari” e le persone che sono scontente dell’atteggiamento di qualche poliziotto possono denunciarlo seguendo i meccanismi esistenti.

La giornata di oggi è segnata anzitutto dalla campagna “pulisci Hong Kong”, lanciata dal parlamentare pro-Cina Junius Ho, che mira a togliere tutti i “Lennon Wall” disseminati sul territorio. Il Lennon Wall era una forma di protesta sorta in Cecoslovacchia negli anni ‘80, dove la gente postava messaggi in modo libero. A Hong Kong, i giovani ne hanno disseminati a migliaia, usando anche spazi pubblicitari, muri, fermate dell’autobus, pieni di messaggi e post-it colorati che inneggiano alla democrazia.

Junius Ho ha poi ritrattato la sua proposta, consigliando ai suoi collaboratori di pulire “solo le immondizie” (foto 2), ma di non toccare i Lennon Wall per evitare provocazioni. In realtà i suoi collaboratori hanno raschiato molti di questi “muri della democrazia”. Ma finora non ci sono stati scontri. Un giovane del movimento anti-estradizione ha consigliato a Junius Ho di togliersi di mezzo, essendo lui stesso una “immondizia” della società di Hong Kong. Altri hanno detto: “Li buttino pure giù. Noi li riedificheremo e li riempiremo ancora dei nostri post” (foto 3).

A Yuen Long è in programma una manifestazione per ricordare gli attacchi di gruppi mafiosi contro i manifestanti a due mesi dall'evento. La metropolitana ha chiuso la stazione per evitare vandalismi.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven ott 04, 2019 6:13 am

Il mondo celebra il regime più feroce di tutti i tempi
Marcello Veneziani
2 ottobre 2019

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... i8vYo55V1o

È passato sotto gamba il settantesimo anniversario della nascita del regime comunista in Cina. Pochi hanno ricordato cosa è stato il totalitarismo rosso di Mao, soffermandosi piuttosto su cos’è la Cina oggi, col 5G, la colonizzazione dell’Africa, il commercio mondiale cinese a prezzi stracciati, le nuove tecnologie militari e le inquietanti sperimentazioni, fino all’ultimo, gigantesco aeroporto di Pechino, il più grande del mondo. La temibile parata militare di ieri ha dimostrato potentemente al mondo che non si tratta solo di una crescita economica e industriale. Altro che la Corea.

La Cina è oggi il vero antagonista e competitore globale degli Stati Uniti e dell’Occidente, anche se per ragioni ideologiche tanti additano in Putin l’orco minaccioso sui destini dell’umanità. Il sottinteso delle celebrazioni della Cina d’oggi è che la rivoluzione di Mao è la necessaria premessa dello sviluppo presente cinese. Poco si è ricordato il costo umano di quella rivoluzione che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Il mondo celebra il più feroce regime di tutti i tempi. E, a differenza del nazismo, non si tratta di una storia ormai sepolta. Perché in Cina il Partito Comunista è ancora alla guida del Paese, il mao-capitalismo è il mix che guida il paese più popoloso del mondo e la memoria del dittatore cinese è ancora in auge. La repubblica impopolare cinese è il più grande paese al mondo in fatto di pena di morte, prigione per i dissidenti, repressioni feroci e atroci torture, abolizione della libertà di stampa, aborti di massa, uccisione di cani e gatti, sfruttamento minorile e femminile, esperimenti barbari, inquinamento ambientale (seppur ora si vuol rimediare).

La Cina è il paese che ha avuto il comunismo più sanguinario del mondo eppure si definisce ancora comunista; è l’unico paese al mondo dove una rivoluzione culturale è costata decine di milioni di vittime, sradicando una civiltà millenaria, perseguitando la civiltà tibetana e tutte le religioni e tradizioni capitate a tiro, cattolici inclusi.

Nel confronto con gli stermini cinesi, persino la rivolta d’Ungheria e i massacri di Stalin sembrano espressioni moderate. Pure Hitler, il peggiore d’Europa, al cospetto di Mao sembra un dittatore non violento… E vedere quel che succede oggi a Hong Kong fa risalire nefasti ricordi di quel passato che si è spinto fino a trent’anni fa, a Piazza Tienanmen.

Al tempo di Mao, a dar loro l’indulgenza intervenne il cinico Andreotti quando osservò che i cinesi sono un miliardo di formiche, dunque è comprensibile che i massacri avvengano in quelle proporzioni: come dire che uccidere una persona a Napoli sovrappopolata è infinitamente meno grave che ucciderla a Talamone che ha 250 abitanti. La vita umana è questione di densità e i cinesi vanno via come le patatine, una tira l’altra.

Rifacendo la storia di quegli anni, i media ricordano il grande balzo in avanti, i progressi della Cina d’oggi figlia della Cina di Mao. Adottando il peggior cinismo capitalista, nel nome dello sviluppo industriale i filocinesi di ritorno passano su milioni di morti, considerandoli come inevitabili incidenti sul lavoro. Di sangue umano è lastricata la via di Pechino, però che belle strade, dicono i sullodati, dimenticando il materiale umano di cui sono fatte.

Ma la cosa che più disgusta è l’intoccabile rispettabilità di cui gode quel vasto ceto di intellettuali che s’infatuarono della rivoluzione cinese e passarono sopra milioni di morti, crimini abominevoli, per ammirazione delle biciclette, delle casacche, delle nuotate di Mao in un fetente fiume giallo (ed era pure un fotomontaggio), e per devozione di cento demenziali pensierini infinitamente più stupidi dei proverbi delle vecchie nonne di campagne. Erano tanti ad amare la Cina di Mao e passano pure per libertari perché loro criticavano l’Urss e lo stalinismo… Ma quel che è peggio è che i tanti non erano ma sono; sono là, alla guida culturale, televisiva e civile del nostro paese, con la patente conseguita il 68. Ve ne cito un grappolo pieno di lacune: Dario Fo, Adriano Sofri, Umberto Eco, Furio Colombo, Barbara Spinelli, Michele Santoro, Sergio Staino, Maria Antonietta Macciocchi, Franca Basaglia, Paolo Flores d’Arcais, Alberto Jacoviello, Mario Capanna, Renato Mannheimer, Dacia Maraini, Paola Pitagora, Marco Muller, Marco Bellocchio, Michelangelo Antonioni, solo per limitarci a citare alla rinfusa alcuni italiani. E interi gruppi, dal Manifesto a Servire il popolo, dal Movimento studentesco a Lotta Continua e al Psiup, persino molti cattocomunisti democristiani, più case editrici, fondazioni, cattedre universitarie. Tutto il ’68 fu un monumento entusiasta alla Cina di Mao: mentre le guardie rosse spargevano terrore, loro condannavano come repressiva la polizia italiana e il governo del terribile dittatore democristiano Mariano Rumor… Fior di scrittori, preceduti da Malaparte, contribuirono a far crescere questa fama: Moravia, Sanguineti e Parise, per esempio.

Ora, i reati d’opinione non ci debbono essere per nessuno (e non solo per loro, beninteso). Ma passare in cavalleria quei giudizi deliranti come piccole licenze poetiche di gioventù mi pare esagerato. Eppure vediamo inneggiare ancor oggi alla Cina di Mao, dimenticando quella storia agghiacciante che, oggi appare un ormai trascurabile dettaglio. Ricordiamoci invece della storia, dei suoi orrori e degli abbagli nefasti dei nostri “intellettuali” e militanti progressisti.



Addio ragazzi nessuno vi salva
Gian Micalessin - Gio, 03/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... iRoKVBCfMI

Ragazzi di Hong Kong addio. Vi salutiamo ora perché non sappiamo in quanti sopravvivrete al coraggio e alla temeraria baldanza con cui affrontate il Golia cinese.

Soprattutto non sappiamo come v'illudiate di piegarlo o abbatterlo. Davide aveva la fionda. Poteva mirare alla fronte del nemico nascosta sotto l'elmo. Voi siete formiche ai piedi di un gigante immateriale tenuto in piedi dall'impasto contro-natura di ideologia comunista, interessi finanziari e invalicabili accordi internazionali. Ovunque miriate non troverete né un bersaglio, né un interlocutore, né un protettore. Il Xi Jinping camuffato da Mao Tse Tung con cui vi confrontate è in verità solo l'algido, irriducibile «timoniere» di un capitalismo di stato colluso con banche, grandi multinazionali e con quei signori di internet come Goggle, Twitter e Facebook su cui da tre mesi fate viaggiare i vostri sogni di libertà. Vi lasciano giocare, vi regalano l'illusione, tutta virtuale, di essere diventati un grande inarrestabile movimento spontaneo capace di avanzare senza leader e senza programmi. In verità vi lasciano andare alla deriva immagazzinando i vostri clic, esibendo come propria la vostra rabbia e il vostro desiderio d'indipendenza. Non vi costringono a fare i conti con la vostra immensa e fatale debolezza. Non vi spiegano che un movimento senza leader è anche un movimento incapace di trattare e trovare un compromesso. Ed è per questo inesorabilmente condannato a marciare verso il precipizio.

Quel precipizio voi ancora non lo intravvedete. Non lo scorgevano, 30 anni fa, neppure i vostri compagni di Tienanmen. Si aprirà non appena Pechino deciderà che il fastidio causato dalla vostra voglia di libertà e il pericolo di un contagio allargato al resto delle proprie province supera la necessità di dimostrare un minimo di «democratica» tolleranza. In quel preciso istante al vostro fianco non ci sarà più nessuno. Non vi tenderà una mano l'America di Trump prontissima a dar battaglia a colpi di dazi e interessi, ma ben lontana dal rischiare un confronto politico strategico a tutto campo. E di certo non correrà in vostro aiuto la vecchia Inghilterra. Londra si è liberata di voi nel 1997. Oggi non ha più né il potere, né la forza, né l'interesse a difendere l'accordo che vi garantisce, fino al 2047, il diritto di pretendere un sistema politico e giudiziario alternativo a quello di Pechino. Quanto all'Europa non pensateci nemmeno. Al momento opportuno si libererà di voi con un contrito quanto tardivo e remissivo comunicato.

Certo il vostro esempio resterà. Ma a chi gioverà? Duole ammetterlo, ma l'unica a trarne vantaggio sarà la Cina. La vostra sottomissione imposta nel silenzio ossequioso e riverente del resto del mondo servirà in un prossimo futuro a ottenere anche quella di Taiwan e Macao. Solo a quel punto il mondo capirà forse il significato della vostra protesta. Solo a quel punto anche Tokyo e Seul si renderanno conto di esser ormai sole nel mezzo di un Pacifico dove l'unico ordine rimasto è quello cinese. Solo a quel punto il significato delle vostre grida risuonerà chiaro e distinto anche nelle orecchio del resto del mondo. Ma sarà tutto quel che resta di voi.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven ott 04, 2019 7:17 pm

La Cina circonda una nave americana nel Mar Cinese Meridionale
Federico Giuliani

https://it.insideover.com/guerra/la-cin ... F3z3bjnQi4

La Cina le definisce senza mezzi termini provocazioni. Per gli Stati Uniti, invece, si tratta semplicemente di libertà di navigazione. Il copione è sempre lo stesso: ogni volta che una nave da guerra americana attraversa le acque del Mar Cinese Meridionale oppure Orientale è altissimo il rischio di uno scontro a fuoco tra l’ospite indesiderato e le imbarcazioni cinesi, e di conseguenza è altrettanto elevata la possibilità di un conflitto armato tra Pechino e Washington. Gli Stati Uniti sanno che il Mar Cinese è un’area turbolenta, ricca di nodi mai sciolti e che difficilmente si scioglieranno senza ricorrere all’uso della forza. Cina, Vietnam, Taiwan, Filippine; è un tutti contro tutti che impedisce al Dragone di estendere il proprio dominio sull’intero sud-est asiatico e di riflesso nell’area indo-pacifica. Gli Stati Uniti lo sanno e giocano di sponda con gli altri Stati della regione. Lo fanno per lanciare un messaggio alla Cina ma anche per provocare l’avversario, come per fargli capire che la settima flotta americana, cioè quella incaricata a gestire la situazione nel Pacifico, non ha affatto paura e che anzi è pronta a picchiare duro.


Una prova di forza

Se qualche anno fa la Cina azzardava raramente manovre pericolose per la paura di un conflitto a fuoco, oggi Pechino ha la consapevolezza di essere molto più forte del passato e di poter giocare ad armi pari con gli americani, per lo meno nel proprio cortile di casa. Non a caso, alla vigilia del 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, la Cina ha arginato quasi con la forza l’ennesima scorribanda statunitense in quelle che il Dragone considera le proprie acque territoriali. Una foto satellitare pubblicata sul portale Shou.com e rimbalzata in un attimo su tutti i social cinesi, mostra la portaerei Uss Ronald Reagan condurre le cosiddette operazioni di libertà di navigazione nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale. L’immagine sembrerebbe mostrare la dura risposta di Pechino, che avrebbe inviato almeno sei navi da guerra a circondare la Reagan.


Il mistero si infittisce

Il condizionale è d’obbligo perché non filtrano ulteriori notizie riguardo l’episodio. Nell’immagine, che è presto diventata virale, si vede la portaerei Ronald Reagan da sola, anche se solitamente le portaerei sono accompagnate da altre navi da guerra. L’imbarcazione americana è accerchiata da quelle che non sembrerebbero mezzi americani ma, data la loro traiettoria di navigazione, navi cinesi. Secondo quanto riportato dall’agenzia russa Sputnik, il portavoce della settima flotta americana si è rifiutato di confermare se l’incidente sia realmente avvenuto o meno, confermando soltanto che la Reagan “sta effettuando operazioni di routine” nel Mar Cinese Meridionale. Anche il portavoce del ministero della Difesa cinese non ha confermato né negato il fatto che la nave degli Stati Uniti fosse stata circondata, ma ha aggiunto che “l’esercito cinese adempirà ai suoi obblighi e compiti, difendendo fermamente la sicurezza e la sovranità del Paese”. Certo, nel caso in cui la portaerei americana fosse stata effettivamente circondata e invitata ad allontanarsi, questo sarebbe un vero e proprio schiaffo inflitto dalla Cina ai rivali statunitensi.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven nov 01, 2019 7:35 pm

Non commerciare con una Cina che mente, imbroglia e ruba
Gordon G. Chang
1 novembre 2019

https://it.gatestoneinstitute.org/15106 ... Dy6lMcIL9E

Il presidente cinese Xi Jinping, con spietata determinazione, ha chiuso le porte del mercato cinese agli stranieri, applicando, tra le altre cose, regole altamente discriminatorie ed emanando leggi e normative pregiudizievoli. La Cina di Xi ha continuato a violare la proprietà intellettuale degli Stati Uniti per centinaia di miliardi di dollari all'anno.

"Questo non rivoluzionerà le relazioni tra Stai Uniti e Cina né le condizioni commerciali tra di loro, ma mostra che i due Paesi possono lavorare insieme su un problema importante", ha detto a Bloomberg Clete Willems di Akin Gump, parlando della "fase uno dell'accordo", annunciata dal presidente Trump l'11 ottobre. "Imparare a farlo è fondamentale per evitare un ampio deterioramento di tutti gli aspetti delle nostre relazioni, che non è nell'interesse a lungo termine di nessuno".

Nonostante quanto affermato da Willems, ora è nell'interesse a lungo termine degli Stati Uniti rinunciare agli accordi commerciali con la Repubblica popolare cinese.

Perché? Per quattro motivi. Innanzitutto, la Cina comunista non ha mai accettato l'idea del vantaggio comparato, che è alla base del sistema commerciale globale. Sì, i cinesi mercantilisti credono che dovremmo acquistare i loro prodotti, ma loro – i maestri delle barriere non tariffarie e di altre forme di predazione – hanno lavorato sodo per mantenere le merci straniere fuori dal mercato. Come può l'America intrattenere scambi commerciali con un Paese che non crede ai benefici del commercio?

In secondo luogo, la Cina comunista non ha mai onorato un accordo commerciale con gli Stati Uniti. Pechino, nel corso di decenni, ha sistematicamente violato sia i suoi obblighi derivanti dalla sua adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sia quelli nei confronti dell'America, come previsto da vari accordi bilaterali.

In terzo luogo, il sistema economico della Cina è incompatibile con quello americano. Xi Jinping, il presidente cinese, negli ultimi anni ha riportato forzatamente indietro il Paese, un processo ribattezzato come "grande regressione".

Con spietata determinazione, Xi ha chiuso le porte del mercato cinese agli stranieri, applicando, tra le altre cose, regole altamente discriminatorie ed emanando leggi e normative pregiudizievoli. Allo stesso tempo, ha ricombinato le grandi imprese statali in monopoli di Stato; ha ribaltato la privatizzazione parziale degli anni precedenti rafforzando la partecipazione statale nelle imprese; ha fatto assumere allo Stato il controllo delle aziende private; ha erogato più aiuti statali a favore delle imprese a controllo statale e ha perseguito lo sviluppo attraverso dubbie politiche industriali, come la sua famigerata iniziativa "Made in China 2015" per dominare 11 settori tecnologici cruciali

Come si dice ora in Cina, il settore statale "avanza" rapidamente e il settore privato e quello estero "retrocedono". E questo perché Xi sta cercando di riportare la Cina a una forma moderna di maoismo.

In quarto luogo, è particolarmente difficile intrattenere scambi commerciali con un ladro, soprattutto quando il ladro considera le relazioni commerciali come un'opportunità per rubare di più. La Cina di Xi ha continuato a violare la proprietà intellettuale degli Stati Uniti per centinaia di miliardi di dollari all'anno. Questo reato è essenziale per la realizzazione dell'iniziativa straordinariamente ambiziosa "Made in China 2025".

Ma non solo: i piani futuri di Xi sono particolarmente dannosi. Ad esempio, egli sta per applicare la legge del 2016 sulla sicurezza informatica per vietare l'uso delle reti private virtuali e la crittografia in modo da poter raccogliere tutti i dati e le comunicazioni delle aziende straniere che operano in Cina. I funzionari cinesi consegneranno sicuramente alle aziende cinesi le informazioni acquisite in modo che possano sapere tutto dei concorrenti stranieri. La Cina ha già utilizzato i dati rubati e la tecnologia per paralizzare le aziende straniere e mandarne in fallimento alcune, come la Nortel Networks.

Inoltre, Xi Jinping sembra essere ancora più audace nell'esigere dalle aziende statunitensi operanti in Cina di giurare obbedienza a Pechino, di difendere le posizioni del Partito Comunista e di attuare le sue politiche ovunque esercitino le loro attività. Dopotutto, ciò è evidente dal comportamento riprovevole della National Basketball Association, di Apple e di ESPN, che di recente hanno ceduto alle intimidazioni cinesi.

Per quanto il comportamento di queste aziende americane possa sembrare biasimevole – nessuna di loro ha agito con fermezza per difendere i valori americani – non ci si poteva aspettare che opponessero resistenza a un assalto da parte di un potente Stato comunista. Pertanto, gli americani dovranno fare una scelta: prendere il denaro cinese o mantenere un libero mercato delle idee.

Il disimpegno delle due economie è, ovviamente, deplorevole, ma è necessario poiché la Cina incalza gli americani e non lascia loro alcuna scelta se devono difendere le libertà e la sovranità.

Tutto ciò ci riporta alle trattative commerciali in corso. Quando è emerso che sarebbe stato raggiunto un accordo commerciale di qualche tipo, i grandi distributori hanno iniziato a effettuare ordini consistenti per la prossima stagione ai produttori cinesi. Se fosse stato chiaro che non ci sarebbe stato alcun accordo, gran parte degli ordinativi sarebbero stati effettuati altrove.

L'11 ottobre, Pechino ha tratto un altro grande profitto. Trump ha accettato di prorogare un aumento dei dazi previsto per il martedì successivo.

Avendo ottenuto ciò che voleva, la Cina ha quindi iniziato a giocare duro. Il 17 ottobre, Pechino ha negato di essersi impegnata ad acquistare prodotti agricoli americani per 40-50 miliardi di dollari. Il presidente Trump, nel suo incontro avvenuto nello Studio Ovale della Casa Bianca con Liu He, il capo negoziatore per le trattative commerciali, ha affermato che Pechino aveva fatto una promessa come parte dell'accordo commerciale con gli Stati Uniti.

Se Pechino non fosse stato d'accordo a fare ulteriori acquisti di prodotti agricoli, il momento giusto per parlarne sarebbe stato quando Liu avrebbe avuto il faccia a faccia con Trump. Con il suo silenzio, Liu ha consentito a Trump di pensare di avere raggiunto un accordo quando, in realtà, non era così. Pertanto, Trump ha fatto una reale concessione – la proroga dei dazi – per una promessa che non era un promessa.

Un'altra promessa commerciale non mantenuta è un'ulteriore ragione per cui gli americani concordano con Arthur Waldron della University of Pennsylvania, il quale sostiene che "l'impegno" della Cina è "il più grande fallimento della politica estera" di Washington. I decisori politici statunitensi avevano pronosticato che il comportamento commerciale di Pechino – e di altri – sarebbe migliorato nel corso del tempo, ma è successo il contrario.

L'impegno, non imponendo dei costi a Pechino per le sue mosse predatorie e per altri motivi, ha contribuito all'evidente deterioramento del comportamento cinese. Trump ha iniziato a liberarsi di questo approccio fallito, che ha dominato la politica americana da quando Nixon si è recato nella capitale cinese nel 1972 per incontrare Mao.

A posteriori, andare a Pechino è stata la mossa sbagliata. E si sbaglia anche Clete Willems. Alla luce della recente rottura di un ulteriore accordo commerciale da parte di Pechino, è evidente che il regime comunista cinese non è in grado di lavorare con gli Stati Uniti – o con qualsiasi altro Paese.

Pertanto, non intratteniamo relazioni commerciali con una Cina che mente, imbroglia e ruba.

Gordon G. Chang è l'autore di "The Coming Collapse of China" e Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mar nov 26, 2019 9:05 pm

Macron affonda la Nato: "È alla morte cerebrale". Critici Usa e Germania
Francesco De Remigis - Ven, 08/11/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... MHEIQ9zOsE

Il leader francese: «Europa sul precipizio» Mosca elogia la «sincerità». Merkel disapprova

L'Europa è «sull'orlo del precipizio» e l'Alleanza atlantica «in stato di morte cerebrale». La diagnosi arriva dal fluente inglese di Emmanuel Macron sull'Economist, ma viene immediatamente contestata da Angela Merkel, aprendo un nuovo fronte di debolezza dell'Ue.

Finora, Parigi e Berlino hanno infatti battibeccato a porte socchiuse sul nuovo esecutivo Ue (la Commissione). Sulla bilancia ora c'è l'organismo di Difesa comune fondato nel '49 a Washington che, con i suoi 29 Paesi membri, unisce Europa e Usa al di là degli schieramenti politici. «Cerco di essere lucido», dice Macron: se l'Ue «ha dimenticato di essere una comunità e non pensa a se stessa come a una potenza mondiale, scomparirà».

Sostanzialmente, l'Eliseo invita a ridisegnare gli equilibri strizzando l'occhio a Mosca, che elogia la «sincerità» francese. «Parole d'oro», scrive la portavoce del ministero degli Esteri russo. Il sasso nello stagno rischia però di generare uno tsunami: Merkel denuncia l'inutilità di una valutazione così «radicale». E, anche se nel 2017 la cancelliera spiegava che gli europei non potevano più fare affidamento sugli alleati storici, cioè gli Usa, la Kanzlerin non s'era mai spinta in giudizi così severi; tanto da controbattere a Macron che la Nato resta la «pietra angolare della nostra sicurezza». E il segretario di Stato Usa Mike Pompeo difende il futuro: «Resta una partnership cruciale, forse la più cruciale di tutta la storia»

L'Eliseo indica invece tre rischi all'orizzonte, accusando gli Stati Uniti: il «disallineamento» della politica americana dal progetto europeo e l'emergere del potere cinese «che emargina chiaramente l'Ue». Punti, secondo la Francia, che rendono essenziale «l'Europa della difesa», «autonomia strategica, capacità militare e un dialogo senza ingenuità con la Russia».

A molti sherpa della diplomazia è sembrata una posizione non così distante da quanto sostenuto da Matteo Salvini. Tanto è bastato a scatenare la bagarre: far bollare le parole del francese come «drastiche» da Merkel e dal segretario generale dell'Alleanza Jens Stoltenberg.

L'invito a risvegliare il Vecchio Continente con un elettroshock geopolitico (e forse soprattutto commerciale) è ormai sul piatto; passando anche da quella Via della Seta rinsaldata da Parigi nelle scorse ore. «Trump pone la questione Nato come un progetto commerciale in cui gli Stati Uniti forniscono una sorta di ombrello geopolitico, ma in cambio deve esserci un'esclusiva commerciale. Comprare americano. La Francia non ha firmato per questo», avverte Macron. «Per 70 anni abbiamo realizzato un piccolo miracolo: un'equazione senza egemonia che consente la pace. Ma oggi ci sono una serie di fenomeni che ci mettono sull'orlo del precipizio. Se gli europei non ne hanno consapevolezza, non siamo più padroni del nostro destino».

Macron, in vena di scuotere anche molti francesi tentati dal sovranismo lepenista, mette in discussione pure il mantenimento del deficit al di sotto del 3% del Pil. «Un dibattito di un altro secolo, abbiamo invece bisogno di più espansionismo, più investimenti». Per tutti. Altro soggetto che sembra sovrapponibile alla sostanza salviniana. L'ultimo allargamento Nato è invece del 2017. Ma in vista del summit del 4 dicembre, incombe l'attualità: «Se Assad decidesse di vendicarsi in Turchia, ci impegneremo?», chiede Macron. «Il paradosso è che la decisione Usa e l'offensiva turca hanno avuto lo stesso risultato: il sacrificio dei nostri partner che hanno combattuto contro Daesh», altra stoccata a Trump.
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