Russia, Europa, USA e Cina

Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » lun set 28, 2020 7:59 am

L'Ue boicotta la pace di Trump
Michael Sfaradi
15 settmbre 2020

https://www.nicolaporro.it/lue-boicotta ... -di-trump/

Che il mondo stia cambiando, e in peggio, non lo vede solo chi non lo vuole vedere, e chi non lo vuole vedere sono gli stessi che quando accadono tragedie di dimensioni bibliche, nella fase uno sono bravissimi a fare le facce sorprese, nella fase due, a distanza di qualche giorno dalla fase uno, sono bravissimi a spiegare l’inspiegabile e a giustificare l’ingiustificabile e che poi, con una nonchalance che farebbe invidia a un parigino, passano alla fase tre: quella in cui accusano le vittime di aver in qualche modo, magari offendendolo, istigato la reazione del vero colpevole del disastro che, in questa logica malata, è diventato il poverino che è stato offeso dalla vittima cattiva.

Per cui, secondo questi geni, è in qualche modo giustificabile ciò che è accaduto. Ma c’è di più, ci sono anche quelli che alla fine fanno la morale alle vittime dicendo loro che sono state anche fortunate perché la reazioni dei poveri offesi poteva anche essere più forte e incisiva. Per cui per tutti, noi compresi, è necessario, anzi obbligatorio, imparare da ciò che è accaduto per non dare ai poveri aggressori il motivo di aggredirci ancora.

L’algoritmo del Politicamente corretto

L’11 settembre, il Bataclan, Charlie Hebdo sono fra i più famosi e anche quelli che, dopo aver subito atroci attentati, hanno trovato dei fantastici giustificatori e divulgatori della verità vera, quella che dopo aver incolpato le vittime le trasforma in colpevoli in base a un algoritmo che si chiama Politicamente corretto. L’algoritmo Politicamente corretto, non si applica solamente in questi casi, ma lo possiamo ritrovare, in tutte le sue varianti, in molti degli aspetti della vita politica internazionale. Una volta, quando questo algoritmo non era ancora stato scoperto, una firma di pace o di normalizzazione delle relazioni fra una qualsiasi delle nazioni arabe e Israele era accolta con gioia da tutti, razzisti e antisemiti di destra e di sinistra compresi, che, con un nuovo trattato di pace, avrebbero sentito parlare un po’ di meno dello Stato degli Ebrei al telegiornale delle 13:00 o delle 20:00, fastidio che ha sempre rovinato i pranzi e le cene di queste brave persone.

Una volta, quando l’algoritmo ‘Politicamente Corretto’ non era ancora stato scoperto, i leader di tutto il mondo avrebbero fatto a gomitate pur di farsi invitare alla cerimonia della firma di trattati di pace o di normalizzazione, perché partecipare, battere le mani e prendersi un po’ del merito sulla lieta novella anche se fino al giorno prima non sapevano nulla di quello che succedeva dietro alle quinte della diplomazia, era cosa buona e giusta. Ma si sa, lo disse anche John Keats intorno al 1810, che “La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”. Con l’avvento dell’algoritmo però John Keats ha perso di importanza e molti leader, soprattutto europei, hanno scoperto il bello del non partecipare, e per dirla alla Moretti in Ecce Bombo “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” e, alla fine, fra tutte le nazioni europee, l’unica dove forse ancora leggono le poesie di Keats e non si dà peso al politicamente corretto è l’Ungheria.

L’assenza dell’Ue

Anche se il condizionale è d’obbligo sembra che il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó sarà l’unico leader diplomatico dell’Ue a partecipare alla cerimonia di firma del trattato di normalizzazione fra Israele e Emirati Arabi Uniti e fra Israele e Bahrein, che si terrà nel Giardino delle Rose della Casa Bianca a Washington. A questo punto la domanda sorge spontanea: e tutti gli altri? Difficile credere che il cerimoniale dell’Amministrazione Trump non abbia fatto pervenire per tempo alle ambasciate di tutto il mondo gli inviti per l’evento, e allora come si spiegano le defezioni? Semplice, la risposta a questa domanda è direttamente collegata all’algoritmo di cui sopra perché, tranne che per il fascista Viktor Orbán, questa pace o normalizzazione non è politicamente corretta per diversi motivi che vanno dalla non soluzione del problema palestinese a una sorta di alleanza anti Iran. Perché i traditori sunniti che, sentendosi minacciati dalla possibilità che gli sciiti diventino nucleari, hanno deciso di allearsi con gli ebrei, nemici storici, e lo hanno fatto addirittura sotto l’egida di un presidente come Trump che è il nemico numero uno dei liberal americani.
Cosa imperdonabile.


https://www.facebook.com/IsraeliPM/vide ... 581886062/
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » lun set 28, 2020 7:59 am

Pompeo supplica il Vaticano di non arrendersi a Pechino
Stefano Magni
21 settembre 2020

https://lanuovabq.it/it/pompeo-supplica ... 0.facebook

Ultimatum del Segretario di Stato Usa al Papa? Sugli accordi sino-vaticani, Pompeo scrive: "Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo". Ma leggendo l'articolo da cui è tratto, troviamo una giusta analisi e una sincera supplica al Papa, perché non ceda al totalitarismo. Certo, mai sintesi fu più improvvida.

Ultimatum dagli Usa al Vaticano sui rapporti con Pechino? O è meglio parlare di un appello accorato? Gli accordi, parzialmente segreti e provvisori, fra Cina e Santa Sede scadono oggi. Il dialogo fra Pechino e la diplomazia vaticana è molto avanzato e si dà quasi per scontato, sia da parte di fonti cinesi che da quelle di Roma, un rinnovo degli accordi. La settimana prossima, 29 settembre, si recherà in visita presso il Papa il Segretario di Stato americano, Michael Pompeo, che si trova personalmente coinvolto in un momento molto delicato. Non solo è non solo in piena campagna elettorale per la rielezione del presidente Trump, ma anche nel bel mezzo di una guerra commerciale con la Cina, il cui ultimo episodio è il tentativo (per ora respinto dalla magistratura degli Usa) di espellere le piattaforme social cinesi WeChat e Tik Tok dal mercato statunitense. In mezzo a questa tensione arriva il tweet pubblicato ieri dal Segretario di Stato: “Due anni fa, la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Ma l'abuso del Pcc sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo”.

Il tono del tweet è ultimativo, freddo e aggressivo: o stai con noi contro la Cina, o perdi l’autorità morale. "Ma chi sei tu per giudicare" l'autorità morale della Chiesa, verrebbe da chiedere, parafrasando il papa. E cosa suggerisce al Segretario di Stato Usa che la Chiesa, col suo miliardo e mezzo di cattolici nel mondo, possa addirittura "mettere a rischio la sua autorità morale"? Cosa c’entra, poi, il Dipartimento di Stato americano con la diplomazia vaticana in materia religiosa? Perché l’accordo con Pechino è in materia religiosa, non è un semplice rapporto fra Stati sovrani. E anche il giudizio che si può esprimere sui fini e gli esiti di un accordo deve tenerne conto: non si tratta di un accordo di partnership, di alleanza, di cooperazione, come fra soggetti laici, bensì si parla di obiezione di coscienza, di nomine dei vescovi, di riconoscimento della validità dei loro sacramenti. Materie su cui le diplomazie degli altri Stati, inclusi gli Stati Uniti, non hanno neppure gli strumenti per giudicare.

In realtà, il tweet di Pompeo, da solo, vuol dire poco. Non lo si comprende finché non si legge l’articolo completo da cui è tratto, pubblicato il 18 settembre su First Things. Il Segretario di Stato americano parte da un’analisi lucida e senza fronzoli della situazione reale, in Cina: “A due anni di distanza (dalla firma, ndr), è chiaro che l’accordo sino-vaticano non abbia protetto i cattolici dalla persecuzione del Partito, per non parlare dell’orrendo trattamento che il Partito riserva agli altri cristiani, ai buddisti tibetani, ai seguaci del Falun Gong e ai fedeli delle altre religioni. Il rapporto annuale del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa del 2019 forniva un esempio eclatante con la storia di don Paul Zhang Guangjung, picchiato e poi “scomparso” per essersi rifiutato di aderire all’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, gestita dal Partito Comunista. E questo è solo uno dei tanti esempi”.

In questa situazione, in cui nulla è migliorato e molto è peggiorato dalla firma degli accordi, quello di Pompeo non è affatto una minaccia, ma un invito: a far pesare l’autorità morale che la Chiesa ha nel mondo. Il Segretario di Stato, che non è un cattolico, riconosce storicamente questa autorità al Vaticano: “La Santa Sede ha una capacità unica e il dovere di concentrare l’attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani, specialmente quelle commesse dai regimi totalitari, come quello di Pechino. Alla fine del Ventesimo Secolo, il potere della testimonianza morale della Chiesa ha aiutato e ispirato colo che liberarono l’Europa centrale e orientale dal comunismo e coloro che sfidarono i regimi autocratici e autoritari in America latina e in Asia orientale. Quello stesso potere di testimonianza morale dovrebbe essere impiegato ancora oggi nei confronti del Partito Comunista Cinese”. Pompeo ricorda che furono proprio Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI, a ricordare come il diritto alla libertà religiosa sia il primo dei diritti umani che un governo deve rispettare.

Pompeo cita papa Francesco, quando nel 2013 sosteneva: “I cristiani devono rispondere al male con il bene, prendere la Croce su di sé, come fece Gesù”, e commenta: “La storia ci insegna che i regimi totalitari possono sopravvivere solo nelle tenebre e nel silenzio, quando i loro crimini e la loro brutalità non sono né visti, né condannati. Se il Partito Comunista Cinese riesce a mettere in ginocchio la Chiesa Cattolica e le altre comunità religiose, i regimi che non rispettano i diritti umani saranno rafforzati e il costo delle tirannie che persistono aumenterà per tutti quei coraggiosi fedeli che onorano Dio prima dell’autocrate di turno”. E di qui l’appello accorato del Segretario di Stato al Papa: “Io prego la Santa Sede, e tutti coloro che credono nella scintilla divina che illumina ogni vita umana, che nel trattare con il Partito Comunista Cinese ricordino le parole di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: La verità vi rende liberi”.

La preghiera di Pompeo, sintetizzata da lui stesso nelle poche battute del messaggio che ha affidato al mare digitale di Twitter suona purtroppo come un ultimatum, come un’ingerenza e probabilmente produrrà effetti controproducenti, soprattutto considerando che l’amministrazione Trump non gode di grandi simpatie in Vaticano. Mai sintesi fu più improvvida.



L'ossessione di papa Bergoglio per la Cina imbarazza anche l'Italia
Atlantico Quotidiano
Francesco Galietti
28 Set 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... e-litalia/

Bergoglio sbaglia due volte. Una prima volta, mostrando di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Una seconda volta, non cogliendo la reale portata della sfida di Pompeo. Questa è giocata interamente sul piano dell’autorità morale del papato, compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese. Ma l’ostinazione di Bergoglio è un bel problema anche per i massimi vertici politico-istituzionali italiani…

Rifiutando un’udienza riservata a Mike Pompeo, papa Bergoglio ha mostrato a tutto il mondo di avere un nervo scoperto sulla Cina. Bergoglio, per inciso, ha anche rifiutato di ricevere l’anziano Cardinale Zen (88 anni), venuto apposta a Roma per conferire con il pontefice a proposito di Cina. E ha a che fare con i rapporti tra la Chiesa cattolica e Pechino anche uno dei gesti pubblici più spiacevoli del pontificato di Bergoglio, lo schiaffo a una fedele che lo strattonava per parlargli dell’oppressione dei cattolici in Cina da parte del Partito Comunista Cinese. Per questo non si può nemmeno escludere che lo stesso Pompeo, sfidando apertamente Bergoglio sulla Cina, mettesse in conto di ricevere un rifiuto da parte di quest’ultimo.

Bergoglio è convinto che un presidente Usa democratico allenterebbe la pressione su Pechino e Vaticano. Per questa ragione, ha preferito prendere tempo con un pretesto – l’imminenza delle presidenziali americane – anziché ricevere Mike Pompeo e trattarlo con freddezza. Bergoglio sbaglia due volte. Una prima volta, mostrando di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Una seconda volta, non cogliendo la reale portata della sfida di Pompeo. Questa è giocata interamente sul piano dell’autorità morale del papato, compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese. Il silenzio del Vaticano sullo sterminio degli Uiguri, la repressione dei Falun Gong o la violenza a Hong Kong è assordante. Del tutto incomprensibile, poi, risulta il silenzio sulle violenze a cui sono sottoposti i cattolici cinesi. Un pontefice che rifiuta il confronto su temi così caratterizzanti per il cattolicesimo abdica al proprio ruolo e si espone alla condanna della storia. Pio XII venne massacrato pubblicamente per non avere condannato con sufficiente forza l’orrore dell’Olocausto. Bergoglio, tuttavia, non se ne cura minimamente. Diversamente, avrebbe quantomeno fatto caso al riorientamento della stampa liberal mondiale contro la Cina proprio a partire da questioni etico-morali, o alle dichiarazioni di George Soros, molto esplicito nel definire Xi Jinping il “peggior nemico della società aperta“.

L’ostinazione di Bergoglio sulla Cina è un bel problema anche per i massimi vertici politico-istituzionali italiani, tutti presi a dare una lucidata dell’ultim’ora alle proprie credenziali atlantiche per l’arrivo di Pompeo. Il tema non è tuttavia di natura contingente, ma investe le fondamenta delle strutture di potere italiane. Il rapporto tra Vaticano e Italia è storicamente molto stretto. Come ha osservato Andrea Riccardi nella sua prefazione ai “Diari Segreti” di Giulio Andreotti appena pubblicati da Solferino, Achille Silvestrini, l’alto prelato e diplomatico vaticano, “considerava l’Italia una risorsa per il Vaticano nella sua azione internazionale, anche come fonte d’informazioni”. Ebbene: il rapporto tra Vaticano e Italia non si è spezzato dopo la fine della Prima Repubblica e nemmeno con il tramonto della Seconda Repubblica. Tant’è che oggi il Vaticano può fare affidamento al di qua del Tevere su cattolici devoti come il capo dello Stato Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quest’ultimo discepolo proprio del Cardinal Silvestrini. Per molti aspetti, il rapporto è molto meno bilanciato oggi di quanto fosse ai tempi della Democrazia Cristiana, in cui era piuttosto acceso il dibattito sulla necessità di essere cattolici ma non clericali. Di questo dibattito non vi è oggi traccia. E non sfugga che l’intenzione del Vaticano di procedere al rinnovo ‘ad experimentum’ degli accordi con la Cina è stata confermata dal segretario di Stato vaticano, Mons. Parolin, a una cerimonia di commemorazione di Silvestrini. Alla presenza dello stesso Conte.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » dom ott 04, 2020 4:10 pm

Cina, Russia e Iran insieme per sfidare gli Usa con una grande esercitazione
Si terrà nel Caucaso dal 21 al 26 settembre. Ci saranno anche Bielorussia, Pakistan, Myanmar e Armenia. Obiettivo: contrastare l'America
10 settembre 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 266823309/

Una coalizione sorprendente, tenuta insieme da un'unica caratteristica: contrastare l'America. Militari di Russia, Cina, Iran, Bielorussia, Pakistan, Myanmar, Armenia si schiereranno fianco a fianco per una grande esercitazione nel Caucaso.

Non a caso, l'annuncio è stato dato da Pechino. Che ha presentato le manovre con enfasi. Il ministro della Difesa ha sottolineato che "avranno un significato speciale per le relazioni tra Cina e Russia mentre il mondo sta combattendo la pandemia". E in effetti il principale effetto geopolitico del Covid-19 è quello di avere polarizzato lo scontro tra la Repubblica Popolare e gli Stati Uniti, costringendo gli alleati di entrambe le nazioni a prendere posizione. Lo testimonia il cambiamento di linea dell'Unione Europea nei rapporti commerciali con Pechino e nella difesa dei diritti, con la Germania che anche in questo caso sta assumendo un ruolo di leadership.

La presidenza Xi ora risponde mettendo in campo un'inedita coalizione militare, che mette insieme i Paesi vicini come Pakistan e Myanmar a quelli che sono maggiormente legati a Mosca, come la Bielorussia di Lukashenko e l'Armenia. Con loro ci sarà l'Iran, l'arcinemico degli Stati Uniti, che mantiene rapporti con entrambe le potenze.

L'esercitazione si terrà dal 21 al 26 settembre e avrà un carattere operativo: il programma prevede tattiche difensive, accerchiamenti, comando e controllo del campo di battaglia. E stando alle dichiarazioni, sarà l'occasione per la Cina di mostrare le sue capacità di proiezione in altri continenti: ci sarà un ponte aereo per trasferire direttamente le truppe nel Caucaso, usando i nuovi quadrireattori da trasporto Xiang Y-20. Sono velivoli a lungo raggio, usati a febbraio per far arrivare a Wuhan l'armata di medici e infermieri militari nel momento più duro della pandemia. Adesso tornano alla loro vocazione bellica, per testimoniare agli Stati Uniti di potere intervenire ovunque. Ed essere pronti a schierarsi al fianco degli altri avversari dell'America.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab ott 17, 2020 7:20 am

La Cina nel Consiglio Diritti umani dell'Onu. No, non è satira.
Michele Marsonet
17 ottobre 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -e-satira/

Detto così sembrerebbe una delle tante fake news che spopolano nei media e nei social network. La Repubblica Popolare Cinese ottiene un seggio nel “Consiglio dei diritti umani” dell’Onu, secondo quanto ha deciso a maggioranza l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Non si tratta tuttavia di una fake news né di uno scherzo dovuto a qualche burlone. È proprio così. Tra l’altro, la Cina ha superato, nel corso di una votazione assai combattuta, l’Arabia Saudita. Gli arabi hanno perso perché molti dei votanti hanno fatto loro pesare l’assassinio del dissidente Jamal Khashoggi, avvenuto due anni orsono nel consolato saudita di Istanbul.

Ora, verrebbe da dire che vi sono ben altri motivi, ancor più gravi, per impedire all’Arabia Saudita di far parte del suddetto Consiglio. Basti pensare alla condizione femminile in quel Paese e alla totale assenza di dialettica democratica che lo caratterizza.

L’approvazione della candidatura cinese, tuttavia, è un vero e proprio pugno nello stomaco per tutti coloro che alla tutela dei diritti umani credono realmente, pur rendendosi conto che l’argomento è quasi sempre trattato in modo eccessivamente retorico.

In realtà, se c’è al mondo una nazione in cui i diritti umani vengono calpestati quotidianamente, questa è proprio la Repubblica Popolare. Caso notissimo è quello di Hong Kong, giacché nella ex colonia britannica Pechino sta praticando senza remore una politica di assimilazione totale. Calpestando l’opinione contraria della stragrande maggioranza dei cittadini e tradendo l’accordo firmato con il Regno Unito nel 1997.

Altrettanto celebre è la situazione dello Xinjiang, regione nominalmente autonoma abitata dagli uiguri musulmani. Proprio per il fatto di essere islamici, gli uiguri godono di notevole appoggio in Occidente, appoggio che invece viene accordato solo in minima parte alla minoranza cristiana, oggetto di una trattativa per nulla trasparente tra Pechino e il Vaticano.

E che dire del Tibet, conquistato militarmente dall’esercito di Mao Zedong nel lontano 1950? La Cina lo considera parte integrante del suo territorio anche se questa vasta regione ha lingua, storia e tradizioni del tutto diversi. I diritti umani dei tibetani, per Pechino, non esistono, e anche qui l’assimilazione procede da decenni a tutto spiano.

Ultimamente tocca ai mongoli subire aggressive procedure di assimilazione e di sradicamento linguistico. Proibito, per esempio, celebrare Gengis Khan, fondatore di un immenso impero che riuscì in pratica ad assoggettare tutta l’odierna Cina. Nella Mongolia interna, altra repubblica autonoma cinese, ai mongoli viene imposto di sostituire la loro lingua con il mandarino. Alla mannaia di Pechino sfuggono soltanto i loro confratelli della Repubblica di Mongolia, Stato indipendente e da sempre vicino politicamente alla Russia.

Lecito chiedersi, a questo punto, che cosa faranno i rappresentanti cinesi appena eletti nel “Consiglio dei diritti umani” dell’Onu. Si tratta, ovviamente, di una domanda retorica. Sfrutteranno il “regalo” ricevuto per giustificare ufficialmente la loro politica di repressione – spesso violenta – dei diritti umani in tutti i territori sotto la loro giurisdizione. E ne approfitteranno, certamente, per mettere in discussione la concezione dei diritti umani dell’Occidente.

Diventerà ancora più difficile parlare delle vittime, dei campi di concentramento (i famigerati Laogai, termine che significa “Riforma attraverso il lavoro”), delle politiche di eradicazione linguistica e culturale.

Come dare torto, dunque, agli Stati Uniti che – in particolare con la presidenza Trump – hanno proceduto a tagliare i fondi a numerose agenzie dell’Onu? E a cosa serve una organizzazione delle Nazioni Unite conciata così? La sua credibilità, già gravemente compromessa, subisce con questo episodio un colpo mortale.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:28 pm

Dubbi anche sui dati economici che sbandiera Pechino: la propaganda cinese non dorme mai (e qui trova sempre orecchie attente)
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
24 ottobre 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... e-attente/


La macchina propagandistica del Partito Comunista Cinese non si ferma davvero mai e, purtroppo, in Italia trova sempre orecchie attente e operatori dell’informazione disposti a fare da cassa di risonanza. Negli ultimi giorni siamo stati sommersi da un coro di peana entro il quale le voci critiche sono pochissime e giocano un ruolo marginale.

Ci viene dunque detto che, mentre il resto del mondo è preda della seconda ondata del virus (di origine cinese, tra l’altro, non dimentichiamolo), la Repubblica Popolare sta ripartendo alla grande poiché sotto la guida di Xi Jinping la pandemia è stata definitivamente sconfitta.

La ripartenza sarebbe in primo luogo economica. Dopo che il Pil aveva registrato nel primo trimestre dell’anno in corso un crollo del 6,8 per cento, nel terzo trimestre ha segnato una crescita spettacolare del 4,9 per cento (anche se, prima della pandemia, gli analisti prevedevano un +5,2). Però, insomma, i cittadini del Dragone non possono davvero lamentarsi, soprattutto se si pensa che gli europei stanno annaspando.

In conclusione, nei primi nove mesi del 2020 l’economia cinese sarebbe cresciuta dello 0,7 per cento. Poco, se si pensa ai dati spettacolari cui la Repubblica Popolare ci aveva abituato. Molto, invece, pensando che così il trend negativo è stato invertito consentendo di rimettere il segno “più” dopo il crollo dianzi citato.

Ovviamente tutti i dati provengono dall’Istituto Nazionale di Statistica di Pechino e, conoscendo l’abilità propagandistica citata all’inizio, molti osservatori occidentali esprimono da tempo molti dubbi sull’attendibilità di questi numeri. Questo però non impedisce a un importante quotidiano italico di titolare “La Cina balza fuori dal Covid”, con un’immagine icastica che accentua ancor più la nostra depressione da seconda ondata.

Altro titolo assai interessante: “Xi ordina l’autarchia e la Cina riparte”. Da noi il termine “autarchia” evoca ricordi mussoliniani e fascisti, ma per i cinesi il significato è evidentemente diverso. Poiché l’economia a Pechino è totalmente controllata dal partito, quest’ultimo può permettersi di mettere in campo investimenti e stimoli enormi. A loro non accade di avere organismi sovranazionali che impongono regole rigide e chiedono di fare “i compiti a casa” per ricevere aiuto.

Quindi il governo cinese ha stimolato i consumi interni semplicemente mettendo in mano ai cittadini più soldi, consentendo così di non risentire troppo del calo delle esportazioni (il quale, però, è stato molto meno grave di quanto si prevedesse). La Repubblica Popolare continua ad essere un Paese esportatore, ma il governo sta anche cercando di stimolare parecchio i consumi interni.

Il segreto è che Pechino non si preoccupa affatto del debito e dell’equilibrio di bilancio. Controlla in modo totale la propria struttura economica e finanziaria e non consente a chicchessia di metterci il naso. Del resto è questo il cardine della permanenza del Partito al potere dal lontano 1949. Promette sicurezza e welfare ai cittadini in cambio della loro rinuncia a qualsiasi rivendicazione di libertà politica.

Si dice pure che quest’ultima ai cinesi non interessi. Hanno alle spalle una civiltà millenaria in cui la libertà politica non ha mai avuto importanza. E qui vale la pena di spendere qualche parola in difesa del tanto vituperato colonialismo. Si dà il caso, infatti, che i colonialisti britannici abbiano importato a Hong Kong lo stato di diritto, il pluripartitismo e le libere elezioni, e che i cinesi della ex colonia non vogliano più rinunciarvi, costringendo così Pechino alla repressione che tutti conosciamo.

Inoltre, ammesso che i dati forniti dall’Istituto cinese di statistica siano veri, vorremmo tanto sapere come sia stato possibile sconfiggere in modo definitivo il virus pur lasciando milioni di cittadini liberi di andarsene in vacanza e di affollare palestre, piscine e quant’altro. Non risulta che abbiano ancora trovato un vaccino sicuro. Hanno forse conseguito la cosiddetta “immunità di gregge”?

È un altro grande mistero. In realtà i successi conseguiti finora sono il frutto di una militarizzazione capillare della società e dei metodi di cura. I lockdown vengono imposti senza tanti complimenti e senza (almeno in apparenza) proteste da parte dei cittadini. Chi non concorda viene spedito nei cosiddetti “campi di rieducazione” dove, proprio come ai tempi di Mao, si insegna che il Partito ha sempre ragione e conviene obbedirgli per ritornare senza danni alle proprie occupazioni.

Tra i tanti peana filo-cinesi che ho menzionato in apertura ho però trovato anche qualche voce dissonante. Su Il Foglio, ad esempio, leggo che il “modello cinese” è un imbroglio. Il perché già lo sappiamo. Tale modello economico e socio-politico è tipico di un Paese non solo autoritario ma anche tirannico, dove nessuna scelta politica alternativa è consentita, e in cui il Partito decide proprio tutto, incluso il metodo di controllo dell’epidemia.

Non v’è dubbio che, in Italia, ci siano molti politici e comuni cittadini che vedono con favore il suddetto modello. Dal loro punto di vista semplifica la vita consentendo, per esempio, di imporre lockdown totali e parziali senza che si verifichino proteste alla luce del sole. Però occorre fare attenzione, giacché con regimi simili le fake news sono sempre in agguato, ed è difficile credere che il virus in Cina si comporti in modo diverso rispetto al resto del mondo.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:29 pm

La Cina sta uccidendo gli americani con il fentanyl, e lo fa deliberatamente
Gordon G. Chang
25 ottobre 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/16687 ... Q.facebook

Il fentanyl viene spesso inviato per posta negli Stati Uniti, il che significa che lo Stato cinese, tramite il Servizio postale nazionale cinese, è il distributore. L'U.S. Customs and Border Protection (CBP), l'autorità doganale statunitense, ha scoperto che il 13 per cento dei pacchi provenienti dalla Cina contiene qualche merce di contrabbando, tra cui il fentanyl e altre sostanze letali. Nella foto: Il 24 giugno 2019, un funzionario dell'U.S. Customs and Border Protection esegue insieme a un cane un'ispezione nella struttura del servizio postale, situata presso l'Aeroporto John F. Kennedy di New York. (Foto di Johannes Eisele /AFP via Getty Images)

"Non invoco alcun tipo di complotto, credo solo ai semplici fatti: il fentanyl e il Covid sono arrivati entrambi dalla Cina e beneficiano della morte di molte migliaia di americani", ha osservato Tucker Carlson nella sua trasmissione del 16 ottobre.

Da anni, il regime cinese spinge il fentanyl negli Stati Uniti.

Secondo i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, lo scorso anno, negli Stati Uniti, le morti per overdose hanno raggiunto la cifra record di 70.980 vittime. Di questi decessi, 36.650 sono stati causati da oppioidi sintetici come il fentanyl. Anche le morti per cocaina e metanfetamina sono aumentate, soprattutto perché queste sostanze sono state mescolate con il fentanyl.

Come osservato da Vanda Felbab-Brown della Brookings Institution, in una pubblicazione del luglio scorso: si tratta della "epidemia di droga più letale nella storia degli Stati Uniti".

Non c'è alcun dubbio in merito alla provenienza di questa droga. "Dal 2013, la Cina è la principale fonte del fentanyl che ha inondato il mercato illegale statunitense di stupefacenti – o degli agenti precursori da cui viene prodotto il fentanyl, spesso in Messico", riporta Felbab-Brown.

Un rapporto di intelligence della Drug Enforcement Administration (DEA), pubblicato a gennaio, giunge alla stessa conclusione in merito alla fonte del letale fentanyl.

Qualche anno fa, un ex funzionario della sicurezza nazionale americana mi disse che in Cina, le bande lavorano nei laboratori sui composti di fentanyl per creare più dipendenza da questo oppioide sintetico. Inoltre, i chimici cinesi modificano costantemente le formule per evitare il rilevamento al confine americano.

In breve, il regime cinese sta uccidendo gli americani con il fentanyl. E lo fa deliberatamente. Carlson aveva ragione a parlare di intenzionalità.

Dietro insistenti pressioni dell'amministrazione Trump, Pechino ha annunciato nell'aprile 2019 il divieto di produzione, di vendita e di esportazione senza autorizzazione di sostanze a base del principio attivo del fentanyl.

Tale divieto, ovviamente, è stato un passo nella giusta direzione, ma gli analisti hanno rilevato che le nuove regole sono difficili da applicare. "La sfida dell'applicazione", afferma il documento della Brookings, "è formidabile poiché le industrie chimiche e farmaceutiche cinesi coinvolgono decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di impianti, e la Cina non dispone di adeguate capacità di ispezione e di monitoraggio".

Ciò implica che in Cina le bande criminali possono operare nell'ombra. Questa prospettiva è altamente opinabile.

Per prima cosa, il Partito Comunista, attraverso le proprie cellule, controlla qualsiasi attività di rilievo.

Inoltre, il governo centrale cinese gestisce quello che è senza dubbio il sistema di controllo sociale più sofisticato al mondo. Utilizzando grandi quantità di dati e l'intelligenza artificiale, decine di migliaia di osservatori del governo sorvegliano 1,4 miliardi di persone con circa 626 milioni di telecamere di sorveglianza e decine di milioni di monitor posizionati nei quartieri e quadri del Partito Comunista. Pechino esercita un rigoroso controllo sul sistema bancario ed è immediatamente a conoscenza dei trasferimenti di denaro.

Le bande cinesi sono grandi e ampiamente ramificate. Nello Stato cinese semi-totalitario non è possibile per tali organizzazioni criminali operare all'insaputa del Partito Comunista. E se il Partito in qualche modo disconosce l'esistenza di una particolare banda è perché ha deciso che sia così.

Inoltre, il fentanyl non può lasciare il Paese passando inosservato, poiché teoricamente tutte le merci spedite vengono esaminate prima di abbandonare il suolo cinese. Jonathan Bass, CEO dell'azienda importatrice PTM Images, ha detto al Gatestone che le autorità ispezionano e sigillano ogni container che lascia la Cina. Il fentanyl viene spesso inviato per posta negli Stati Uniti, il che significa che lo Stato cinese, tramite il Servizio postale nazionale cinese, è il distributore. Il volume del traffico postale di questo oppioide sintetico è elevato.

Quanto elevato? L'U.S. Customs and Border Protection (CBP), l'autorità doganale statunitense, sulla base dei dati forniti dalle sue ispezioni "a sorpresa" nell'ambito dell'Operazione Mega Flex, ha scoperto che il 13 per cento dei pacchi provenienti dalla Cina contiene qualche merce di contrabbando, tra cui il fentanyl e altre sostanze letali. Il servizio postale cinese deve sapere che è diventato, tra le altre cose, il corriere della droga più attivo al mondo.

Spacciare droga è un piccolo prezzo da pagare per raggiungere la grandezza nazionale, secondo i funzionari cinesi. Come ha asserito al sottoscritto Cleo Paskal della Foundation for Defense of Democracies, con sede a Washington, D.C., sono ossessionati dal "comprehensive national power" (CNP). Lo misurano meticolosamente, lo studiano a fondo e confrontano costantemente le classifiche della Cina con quelle di altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti.

I funzionari cinesi non si fermeranno davanti a nulla per accrescere il potere relativo del loro regime. Ci sono due modi per farlo, osserva Paskal: accrescere il CNP della Cina e ridurre quello degli altri Paesi. La Cina sta tentando maliziosamente di ridurre il comprehensive national power dell'America con il fentanyl. Non ci può essere altra spiegazione del fatto che Pechino consente alle organizzazioni criminali di operare indisturbate.

Il regime, di conseguenza, utilizza la criminalità come strumento della politica di Stato. "Nessuno di quelli che conosco della comunità delle forze dell'ordine mette in dubbio per un istante che i servizi cinesi sappiano esattamente cosa sta accadendo, dato il loro controllo interno totale", mi ha detto l'ex funzionario di sicurezza. "L'ipotesi è che Pechino ne sia a conoscenza, lo approvi e ne tragga profitto."

Il regime ha adottato la dottrina della "Guerra senza restrizioni", spiegata nel 1999 in un libro dal titolo omonimo, scritto da Qiao Liang e Wang Xiangsui. La tesi degli autori, entrambi colonnelli dell'aeronautica militare cinese, è che la Cina non dovrebbe essere vincolata da alcuna regola o accordo nel suo tentativo di annientare gli Stati Uniti.

Il regime cinese è sempre stato caratterizzato dalla malvagità. Mao Zedong, fondatore della Repubblica Popolare Cinese, ha creato una società all'insegna dell'"uccidi o sarai ucciso" e i suoi valori sono disumani.

La combinazione dell'inesorabile desiderio della Cina di accrescere la propria forza relativa e la convinzione che nessuna tattica sia al di fuori dei limiti consentiti indica che Pechino considera il fentanyl un'arma.

Alla fine del 2017, mi trovavo a passare insieme a un amico davanti a una chiesa di Severna Park, nell'Anne Arundel County, in Maryland. Lì, vidi ragazze e ragazzi vestiti di nero scendere i gradini della locale agenzia di pompe funebri. Le ragazze erano in lacrime, aggrappate l'una all'altra; e i ragazzi fissavano il vuoto con sguardo assente. Poi arrivarono i genitori, ancora sotto shock.

"Lo sappiamo entrambi", disse il mio amico. "Qualcuno sta seppellendo il proprio figlio e qualcun altro – in Cina – conta i soldi."

Quelle brave persone di Anne Arundel – e tutti gli altri americani – sono sotto attacco. Gli aggressori sono cinesi, la loro spada è il fentanyl e i decessi scaturiscono dalla malvagità nella capitale cinese.

Il mio amico di recente mi ha lasciato un messaggio. "C'è ancora", ha scritto, "qualche vecchio eroinomane, ma non conosco alcun vecchio tossicomane da fentanyl."

Gordon G. Chang è l'autore di "The Coming Collapse of China", è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e membro del suo comitato consultivo.




Rubata ad un amico che lavora nel campo da 30 anni.
25 ottobre 2020

https://www.facebook.com/saved/?list_id=344317289478381

Molti pensano che la guerra commerciale tra USA e Cina sia una bizza di Trump che si risolvera` non appena Trump se ne andrà fuori dalle scatole. Non è così. Per molte gigantesche multinazionali anche non americane, questa è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. I costi in Cina sono saliti troppo e troppo rapidamente e le politiche espansionistiche di Xi rendono il clima politicamente instabile. Indirettamente sono state colpite dalle decisioni americane e non vogliono che la cosa si ripeta ancora per via delle bizze di quel pazzo che manda avanti la Cina. Immaginate se invadessero Taiwan, cosa che intendono fermamente fare, sarebbero ulteriori sanzioni e blocchi alle importazioni in mercati come gli USA. Ecco quindi che la Samsung ha spostato il 100% della produzione di telefonini in India e Vietnam in tempi record. La Samsung usa chips fatti in USA e chips fatti in Korea per cui può lavorare senza la Cina. Intanto però la citta` di Huizhou è diventata una citta` fantasma e l'economia è crollata completamente. È dove Samsung aveva impiantato le fabbriche ora spostate , tutti i dipendenti sono stati licenziati. Pensate (articolo più in basso) che solo nel 2015 Huizhou era in procinto a diventare la città più importante al mondo per la telefonia cellulare settando questo obbiettivo per il 2025, ora è deserto, le case stanno crollando di valore, tutti stanno fallendo dalle palestre ai ristoranti agli hotel. Quel crapulone ignorante di Xi che evidentemente è bravo nella scena politica cinese ma un perfetto ignorante in Storia ed Economia dovrebbe imparare da questa esperienza. Purtroppo non lo farà, come tutti i despoti credo che tenterà di sistemare i problemi interni facendo casino all'estero magari una guerra, per far leva sul nazionalismo cinese e distrarre i cittadini dai pasticci che sta combinando.

Samsung to end Chinese PC production as costs soar
KOTARO HOSOKAWA, Nikkei staff writer
Global PC shipments rose 0.6% in 2019 to 261.23 million units, research firm Gartner says. (Photo courtesy of Samsung Electronics)

August 4, 2020 00:47 JST | South Korea

https://asia.nikkei.com/Business/Electr ... costs-soar

SEOUL -- Samsung Electronics will end Chinese personal computer production as it looks to shift production to Vietnam to cut costs and remain competitive in the PC business.

The plant in the city of Suzhou will close as soon as this month and convert part of the facility into a research and development center. Samsung informed employees of the factory stoppage and job cuts at the end of July.

The South Korean tech group looks to shift production to an existing factory in Vietnam. A spokesman said the decision to shut the Chinese plant was based on the need to find a cost advantage.

Samsung Electronics Suzhou Computer, the unit that runs the Chinese plant, was established in 2002 as a PC assembly center. The computers made at the factory were sold mainly in South Korea, North America and China.

At its peak, Suzhou Computer employed 6,500 people, South Korean media say. The headcount has since shrunk to 1,700.

Global PC shipments inched up 0.6% last year to 261.23 million units, research firm Gartner said. China's Lenovo Group holds the top share at 24.1%, while U.S. rival HP ranks second at 22.2%.

Samsung's share appears to be in the single digits, below that of U.S. rivals Dell and Apple as well as Taiwan's Acer and Asus.

In general-use PCs built with common parts, market share is directly linked to earnings. Japanese makers have left the business as top players dominate the market. Samsung will continue to make PCs, but the company will cut labor and other costs by relocating production.

Samsung once operated three smartphone factories in China, but the group shut down all Chinese production at the end of 2019. The capacity has been transferred to Samsung's Vietnamese facilities or delegated to contract manufacturers.

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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:30 pm

L'analisi. Batterie, il nuovo oro nero e lo strapotere della Cina
Alberto Caprotti
mercoledì 28 ottobre 2020

https://www.avvenire.it/economia/pagine ... 1604267936

Il peso del "cuore" che muove le auto elettriche (e non solo): così Pechino ha imposto il suo monopolio che per gli Usa, dicono, è una minaccia alla sicurezza nazionale

Il pianale batterie della Audi e-tron, una delle più sofisticate vetture elettriche sul mercato

L’auto elettrica – che pare l’unica (o almeno l’inevitabile) prospettiva di mobilità presente e futura – ma anche i computer, la telefonia cellulare, e in generale tutta l’economia mondiale, dipendono oggi dall’energia e dalla possibilità di immagazzinarla e renderla disponibile quando serve. Potenza, velocità, autonomia e durata di qualunque processo produttivo sono pesantemente condizionati quindi da come e quanto funziona la sua batteria, il vero nuovo petrolio del mondo.

Al tempo stesso, le batterie sono uno dei punti deboli di molte industrie ad alto tasso di tecnologia, perché il loro miglioramento non riesce a stare al passo con quello di altri componenti importanti. In teoria sarebbe possibile già adesso avere automobili con maggiore autonomia, o smartphone e computer portatili molto più veloci di quelli che abbiamo, ma nessuno li produce perché le batterie si scaricherebbero troppo presto. Lo sviluppo tecnologico dunque dipende dalla capacità di produrre batterie più efficienti, con enorme capienza e molto economiche, che purtroppo ancora non esistono.

La stragrande maggioranza delle batterie attualmente in commercio è agli ioni di litio – tecnologia sviluppata a partire dagli anni Settanta e che è stata messa in commercio dalla Sony a partire dal 1991 – e dipendono dalla presenza al loro interno dal cobalto, la cui estrazione è da tempo molto discussa sul piano etico. Il cobalto infatti proviene per il 64% della produzione mondiale dalle miniere del Congo, sotto accusa per lo sfruttamento del lavoro minorile. Questi metalli rari, inoltre, sono una delle ragioni per cui il prezzo delle batterie rimane così alto.

La ricerca oggi sta puntando sulla fabbricazione di batterie allo stato solido o senza litio, ma i filoni principali di sviluppo di tecnologie per l’immagazzinamento di energia continuano a cercare di rendere più efficienti e potenti le batterie che già esistono, non di trovare qualcosa di radicalmente nuovo. Anche per questo il potere commerciale di chi attualmente le produce è diventato economicamente devastante per tutti gli altri attori del mercato.

E qui la sudditanza europea è evidente già nei numeri. Secondo quelli dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) nel 2018, delle 7.000 nuove licenze legate allo stoccaggio dell’energia coperte da diritti, il 41% erano di società giapponesi e il 18% di aziende della Corea del Sud. L’Europa tutta insieme ne aveva presentate appena il 13%. Le cose cambiano (ma non per il nostro Continente) quando si passa dalla proprietà alla produzione: quella è dominata dalla Cina, che controlla anche tutta la filiera e le forniture che stanno attorno al mercato delle batterie. Secondo The Economist, la Cina produce il 69% delle batterie agli ioni di litio di tutto il mondo. Le stime di Benchmark Mineral Intelligence, una società di analisi britannica, dicono inoltre che anche l’80% dei materiali grezzi necessari per la costruzione delle batterie agli ioni di litio proviene da aziende cinesi. Così come sono di proprietà cinese tutte le 14 miniere di cobalto più grandi del Congo.

Non sorprende quindi che la Cina sia il più grande mercato per l’auto elettrica al mondo. Più di metà del totale delle vetture con la spina vendute ogni anno viene acquistato in Cina. E l’obbligo di comprare batterie costruite in quel Paese, imposto dal governo di Pechino cinque anni fa per tutte le vetture prodotte su proprio territorio, ha contribuito in maniera determinante a creare un monopolio nel settore più importante per il futuro dell’industria automobilistica. Se, come detto, al momento la Cina produce quasi il 70 per cento di tutte le batterie al mondo, il più grande produttore in assoluto è però un’azienda coreana, la LG Chem (che possiede diversi impianti in Cina), fornitore delle celle per batterie di Tesla e di moltissimi altri marchi mondiali. In altre parole, se un produttore di auto elettriche vuole sfruttare i generosi sussidi stanziati dal governo, deve ricorrere a una fabbrica cinese. Il risultato è che oggi tutti i principali costruttori di auto elettriche al mondo – Mercedes, Honda, Hyundai, Nissan, Toyota e Volkswagen – hanno un contratto con CATL, il più grande ed efficiente produttore di batterie cinesi.

Per opporsi a questa dittatura commerciale, la Commissione Europea ha lanciato la “European Battery Alliance”, un piano transnazionale che ha investito un miliardo di euro in una serie di impianti per iniziare la ricerca e lo sviluppo di nuove batterie costruite esclusivamente in Europa. Ma la preoccupazione internazionale sull’argomento è molto alta. Il sito di Voice of America, l’emittente ufficiale del governo degli Stati Uniti, di recente ha addirittura affermato che la fornitura globale di batterie così sbilanciata a favore della Cina «potrebbe presto diventare una questione di sicurezza nazionale per Washington».

Anche The Economist, nel suo articolo di copertina di qualche settimana fa, ha scritto che poco dopo aver raggiunto l’indipendenza energetica con l’estrazione del petrolio estratto dalle rocce, adesso gli Stati Uniti potrebbero trovarsi in difficoltà se non addirittura in una posizione di sudditanza, in un mondo che è sempre più dipendente dall’energia elettrica e dalle tecnologie necessarie per immagazzinarla.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:31 pm

La Cina come vittima anziché carnefice organizzato. I nuovi mostri tra noi e l'Occidente perduto...
Atlantico Quotidiano
Max Del Papa
2 novembre 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... e-perduto/

I nuovi mostri sono tra noi, i nuovi mostri siamo noi. Assuefatti, mutanti. Il Covid colpa nostra, di noi umani che non rispettiamo il pianeta, la natura, le congiunzioni astrali. Noi umani occidentali, sia chiaro, la Cina massimo inquinatore mondiale e inventore del virus non c’entra. Come sostiene quell’oroscopista in fama di intellettuale, certo Zakaria, “uno dei 21 più influenti al mondo”, e figurati gli altri, che intervistato dal Tg1 grillino fa il salto della quaglia e dice – più o meno – che il Covid è colpa nostra e bisogna votare Biden anche se poi i seguaci di Trump usciranno ad ammazzare tutti perché loro sono così. E chi lo intervista che, invece di fargli il gesto del matto, si agita forse, chissà, fremendo di piacere. Ma no, Zakaria, il virus non si deve a una punizione del naturalismo magico, è una creazione cinese, sfuggita o liberata da un laboratorio cinese, occultata dalla dittatura comunista cinese, capace di giovare alla economia del capitalismo comunista cinese, utile a frantumare quel che resta della coesione nazionale in Europa, da cui il neocolonialismo cinese.

La Cina come vittima anziché carnefice organizzato. Povera Cina, d’accordo non sarà una perfetta democrazia ma bisogna capire, l’America è peggio, l’Occidente è peggio, vedi come hanno saputo domare la pandemia, truccando i dati, occultando i morti, e perché noi no? Guai a sparlare della Cina, vi piaccia o non vi piaccia siamo, saremo roba sua, la Cina è vicina, è arrivata, tanto vale capirlo e gioirne.

Altre creature orrende, zombie, mostri che mangiano. Il Covid oggetto misterioso, del quale dopo un anno non si sa niente ma va bene così, deve andare così, i virologi si sono dimostrati una categoria di mostri anche loro, famelici di notorietà stracciona, si mangiano a vicenda, e intanto nessuno sa, capisce, prevede, provvede; il vaccino è un anno che è imminente ma non si vede, adesso dicono forse a metà anno prossimo, la comunicazione affidata a una coppie gossippare, e c’è uno in fregola che rilegge, che fa suo il delirio di una sconosciuta tutta felice di gustarsi lo spettacolo dei malati che cascano come mosche, popcorn e cassa di birre, “come in Svezia”. Ma in Svezia di morti ce n’è pochi e picca, le mascherine non servono, più le impongono e più i contagi salgono, ma i contagiati non sono malati, sono asintomatici e la nuova moda è andare in televisione o su internet e dire: “Sono malato ma non lo sapevo, mi sento benissimo, scoppio di salute”. Un bell’applauso. E di questo si morirebbe? I soliti zelanti da regimetto, le popstar spedite nella grande mangiatoia di Sanremo, dicono in cambio che questa sarebbe la morìa più grande dell’umanità, ma se vai a vedere i dati, ufficiali, dell’Istituto Superiore di Sanità, trovi che l’età media gira sugli 82 e per pazienti con almeno tre o quattro patologie pregresse, tanto fragili che un raffreddore bastava a stroncarli. Ma i tipetti in fregola insistono con la loro curiosa propaganda autopromozionale, mettono la foto con l’amico Conte che non potrebbe dir meglio, coscienze civili che parcheggiano serene a cavallo dei posti per disabili e, interpellati, non rispondono, bloccano i molesti.

I nuovi mostri alimentano la propaganda di stato: tutti felici per i lockdown a pioggia, tutti grati, riconoscenti ma il cronista insiste nei suoi piccoli esperimenti sociali e trova una realtà lunare: “Che palle ‘sta mascherina”, butto là alla cassa del supermercato ed è un boato, un muggito di esasperati, non parlarmene, mi sono rotto i coglioni, non serve a niente, lo fanno solo per calcolo politico. La fatidica gente non sarà informata, avrà anche un’idea approssimativa dei meccanismi di potere ma il succo lo coglie e il succo è quello che ha fatto intendere Franceschini: “Tanto il lockdown ci sarà e abbiamo vinto noi”. Per dire inutile discutere e Conte ormai è cotto. La logica della guerra da scuola media e il noi sarebbero lui che dà la scalata al Pd e quell’altro, Speranza, l’oscuro funzionario di Politburo che fa un libro per dire che guariremo e il giorno stesso dell’uscita lo fa ritirare perché deve dichiarare che il contagio è inarrestabile e pretende nuove chiusure totali. Al Festival dell’ottimismo il nostro primo ministro si presenta e dice che, la situazione andando al precipizio, è necessario bloccare tutto, che è la catastrofe. E qui siamo ai nuovi mostri come commedia grottesca e un tantino sinistra.

Più truci e trucidi i mostri che girano tranquilli staccando le teste dal collo. Ma niente panico, sono incidenti di percorso che peraltro “ci siamo cercati” e guai a chi li chiama col loro nome, è un razzista, uno che non distingue, uno che fomenta, il vero tagliagole è lui. Ha detto il ministro di polizia Lamorgese, una che solo in quest’epoca di nuovi mostri può stare ancora dove sta: “Ma la Tunisia mica ci aveva avvertito”. Decapitano a giorni, a ore ma l’antidoto o se preferite il vaccino è ottimo e abbondante: gessetti, lagne in girotondo e “siamo tutti professori, comici”, tutti per dire non ce ne può fregare di meno. Del resto, neppure all’inquilino del Vaticano può importare meno.

Questo Occidente ha preso e dato tutto, ha inventato la filosofia e l’arte, la cultura e l’eresia, le guerre di religione e la laicità, il comunismo e il liberalismo, gli -ismi e il nichilismo, l’inquisizione e il culto del dubbio, le guerre totali e le paci perenni, gli stati nazione e i sovrastati che li stritolano, ha creato la letteratura, la scienza, la musica eterna, il rock, la tecnologia, l’inquinamento selvaggio e la tecnologia migliore che argina la tossicità, le malattie moderne e le medicine che le combattono, e altre malattie, altri modi di morire e altri farmaci e rimedi in una corsa forsennata, indomabile. Adesso sembra impotente, impantanato, ha escogitato le macchine che dovevano renderci la vita più bella, più facile ma un virus, un mostro cinese, si è messo di mezzo e le macchine servono a dividerci, ad alienarci, a sconfiggerci; il resto lo fanno i tagliagole che non bisogna discutere, né fermare, né vedere. Le città sono conquistate, le statue sbriciolate, i musei distrutti, le coscienze imbavagliate. Per le strade, eserciti di maschere avanzano compatti in un presente oltre l’incubo, niente sorrisi, niente volti, solo occhi tutti uguali, solo maschere, siamo maschere, non più umani, maschere sopra maschere. Non si trova più niente da difendere, né il rock, né l’aria che respiriamo, né i nostri occhi, né la laicità, né la religiosità fondativa, né la nostra spiritualità. L’Occidente ha perduto, è perduto…
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:31 pm

L'Aventino anticomunista dei democratici di Hong Kong
Stefano Magni
12 novembre 2020

https://lanuovabq.it/it/laventino-antic ... I.facebook

Il regime comunista di Pechino ha imposto per la prima volta il licenziamento di quattro deputati d'opposizione nel parlamento locale di Hong Kong. Per protesta, tutti i deputati democratici hanno rassegnato le dimissioni, lasciando per la prima volta il Consiglio Legislativo senza un'opposizione. Ma il regime cinese tira dritto e ritiene che la sua sia una giusta applicazione della legge

I deputati democratici di Hong Kong dopo le dimissioni in blocco

Il regime comunista di Pechino ha compiuto ancora un passo nella direzione del totale annullamento dell’autonomia di Hong Kong. Sebbene l’ex colonia britannica, restituita alla Cina nel 1997, sia ancora formalmente un territorio governato da leggi separate fino al 2047, la Repubblica Popolare le ha imposto una Legge per la Sicurezza nazionale che, di fatto, stabilisce il controllo totale. Per la prima volta, questa norma ha portato all’espulsione di quattro parlamentari dall’organo legislativo locale. Per protesta, tutti i parlamentari democratici hanno rassegnato le dimissioni, in un Aventino contro il potere totalitario comunista cinese.

I deputati Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Leung sono dunque i primi ad essere espulsi dal Consiglio Legislativo (il parlamento autonomo di Hong Kong) per ordine della Repubblica Popolare Cinese. La loro estromissione è stata decisa direttamente dal Comitato permanente del Partito Comunista Cinese a Pechino, giusto per far capire agli hongkonghesi chi detiene ormai il controllo politico sulle loro vite. Il Comitato ha infatti emesso una risoluzione che applica la nuova normativa anche ai parlamentari: coloro che sostengono l’indipendenza di Hong Kong, o rifiutano di riconoscere la sovranità cinese su Hong Kong, o chiedono a forze straniere di interferire negli affari del territorio, o commettono atti che minacciano la sicurezza nazionale devono essere allontanati dalla politica attiva. E’ “un onore” essere squalificati per “la lotta per la democrazia e per i diritti umani”, ha dichiarato Dennis Kwok in conferenza stampa subito dopo la sua espulsione. Sia lui che gli altri deputati estromessi non erano indipendentisti di Hong Kong e mai si sarebbero sognati di chiedere “a forze straniere” di intervenire contro Pechino. Si trattava infatti di parlamentari moderati, accusati però di opporsi alle decisioni del partito maggioritario filo-Pechino.

L’azione unilaterale e arbitraria del regime di Pechino ha provocato, ieri, la reazione aventiniana dell’intera opposizione democratica. Tutti i membri del gruppo pro-democrazia del Consiglio Legislativo (15 parlamentari) hanno rassegnato le loro dimissioni, lasciando il parlamento locale senza alcuna opposizione, per la prima volta nella sua storia. Wu Chi-wai, presidente del gruppo ora dimissionario, ha definito “totalmente ridicola” l’estromissione dei quattro deputati per volontà di Pechino. “Non possiamo più dire al resto del mondo che è ancora in vigore il principio ‘Un Paese, due sistemi’ (la piena autonomia di Hong Kong concordata fra Pechino e Londra in vista della restituzione del 1997, ndr). Questo evento è una proclamazione ufficiale della sua morte”

Carrie Lam, la “governatrice” (capo dell’esecutivo) di Hong Kong, volente o nolente allineata a Pechino, ha precisato di non avere il potere di estromettere parlamentari. Ma la risoluzione annunciata da Pechino ha fatto sì che il governo di Hong Kong dovesse applicarla. Comanda Pechino, dunque, l’esecutivo locale non può fare altro che eseguire le direttive di regime. Coerentemente a questa logica, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha dichiarato che l’espulsione dei quattro deputati è stata una scelta “razionale, ragionevole e in linea con la Costituzione e le leggi”. Dunque, a suo dire: “Era un requisito necessario per l’adesione e il rafforzamento del principio ‘Un Paese, due sistemi’, applicando la Basic Law (la costituzione del 1997, ndr) di Hong Kong così come la Legge per la Sicurezza nazionale”. Wang Wenbin parla molto probabilmente in buona fede, a nome del Ministero: dal punto di vista cinese, non devono esistere diversità all’interno della sovranità. Hong Kong è parte del territorio sovrano cinese, dunque l’autonomia di cui ha goduto finora non deve essere “abusata”. Se c’è un dissenso politico, lo si elimina, prima è toccato agli attivisti e ai leader della protesta, adesso anche ai parlamentari. Se c’è un parere difforme, lo si censura, come dimostra il caso terribile degli editori e librai hongkonghesi rapiti in Cina. E presto toccherà anche alla religione, probabilmente non sfuggirà alla campagna di “sinizzazione”, eufemismo con cui viene chiamata l’imposizione dell’ateismo di Stato.

Ma Londra, che ha restituito Hong Kong e ha ottenuto formalmente la garanzia per la sua autonomia fino al 2047, ha almeno qualcosa da dire? La reazione britannica è stata più forte che altrove, con la concessione di passaporti britannici a tutti i “residenti d’oltre mare” di Hong Kong. Ieri, commentando l’Aventino asiatico, il ministro degli Esteri Dominic Raab ha definito la risoluzione cinese un “ulteriore assalto all’autonomia di Hong Kong e alla sua libertà, previste dalla Dichiarazione congiunta sino-britannica”. Oltre alle dichiarazioni, si attendono ora ulteriori azioni concrete.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » sab dic 26, 2020 10:31 pm

Trump vieta gli investimenti in 31 aziende cinesi
(ANSA) - NEW YORK, 12 NOV - 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... 46301.html

Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che vieta agli americani di investire in 31 società cinesi che secondo gli Stati Uniti aiutano l'esercito della Cina. Lo riporta il Wall Street Journal, sottolineando che l'ordine entrerà in vigore l'11 gennaio e prevede la vendita delle azioni o partecipazioni in queste aziende entro il novembre 2021.


ANT GROUP E CINA ALLA RESA DEI CONTI
9 novembre 2020

https://www.idiavoli.com/it/article/ant ... -dei-conti

Lo scorso 3 novembre la Borsa di Shanghai ha sospeso l’offerta di Ant Group, la più importante società ombrello di finanza tecnologica della Cina, costola di Alibaba e controllata dal fondatore del colosso tech Jack Ma. È una resa dei conti storica, destinata a segnare il futuro prossimo della seconda economia mondiale.

All’ombra dei grandi stravolgimenti internazionali di questo fine 2020, pochi giorni fa, in Cina è andata in scena una resa dei conti storica, destinata a segnare il futuro prossimo della seconda economia mondiale.

Il fatto: martedì 3 novembre lo Shanghai Stock Exchange ha sospeso l’offerta pubblica iniziale (Ipo) di Ant Group, costola di Alibaba controllata dal fondatore del colosso tech cinese Jack Ma. Secondo i piani, Ant Group sarebbe dovuta sbarcare sulla borsa di Shanghai e di Hong Kong il 5 novembre con un collocamento azionario da record, intorno ai 37 miliardi di dollari. Mentre la sua valutazione complessiva avrebbe superato quota 310 miliardi di dollari, più di qualsiasi altro istituto bancario al mondo.

Ant Group è la più importante società ombrello di finanza tecnologica (fintech) della Cina. Offre ai consumatori cinesi prestiti immediati e accessibili senza l’obbligo di presentare garanzie.

Se ti servono soldi, a differenza delle banche tradizionali cinesi, Ant Group – tramite le carte di credito virtuali Huabei e Jiebei – non ti chiede documenti, buste paga, dichiarazioni dei redditi; valuta il tuo «social credit» attraverso l’elaborazione dei metadata che hai generato utilizzando la super-app di Alibaba – Alipay, con cui in Cina si paga tutto, dal banco al mercato al ristorante alle bollette – e se risulti essere un cliente affidabile, ti anticipa la spesa. Poi la restituisci in comode rate, con calma.

Il lusso di poter accedere a un sistema di credito così immediato e snello, a portata di smartphone, ha stregato milioni di cinesi. Secondo Bloomberg, solo tra giugno 2019 e giugno 2020 Ant Group ha erogato microprestiti a più di 500 milioni di clienti, per un valore complessivo di 1,7 trilioni di yuan – intorno a 257 miliardi di dollari. Di capitale proprio per coprire prestiti da 1,7 trilioni di yuan, Ant Group ce ne ha messo solo il 2 per cento: il resto lo ha coperto con fondi arrivati a prestito da società terze o lo ha venduto come rischio nei mercati del debito.

Ant Group può permettersi di farlo all’interno della Repubblica popolare cinese grazie al buco normativo di cui gode il settore fintech, finora esentato dalle regolamentazioni molto più stringenti cui sono soggette invece le banche tradizionali (di stato). La differenza di trattamento ha favorito la crescita irresistibile delle fintech cinesi e consolidato il fenomeno nazionale dello «shadow banking»: banche non tradizionali che fanno concorrenza interna alle «vecchie banche», spostando il flusso di denaro cinese fuori dal tragitto relativamente più tutelato e controllato del settore bancario tradizionale.

Per Pechino, non da oggi, esercitare un controllo più stringente sul settore dello shadow banking è un obiettivo imprescindibile per garantire la stabilità del sistema finanziario nazionale. Per il presidente Xi Jinping, continuare a permettere queste esuberanze di finanza creativa e l’apertura in massa di linee di credito affidandosi alle sole valutazioni algoritmiche – di Alibaba e simili – significherebbe esporre l’intero sistema economico nazionale a rischi enormi. Rischi di crac paragonabili per intensità e natura a quello dei mutui del 2008, da cui la Cina si salvò anche grazie ai freni imposti dalla politica ai mercati.

Dall’altra parte della barricata c’è Jack Ma, l’imprenditore 56enne visionario, l’uomo che più di tutti ha influenzato la crescita del terziario cinese nel nuovo millennio.

Nel mese di ottobre, durante un meeting di alto livello a Shanghai, alla presenza dei vertici della Banca centrale cinese e dell’autorità che vigila sulla Borsa cinese, Ma aveva attaccato frontalmente l’establishment politico: le banche della Cina, secondo il fondatore di Alibaba, operavano con una mentalità da «banco dei pegni» e l’intero sistema, a partire dall’authority, doveva essere riformato. Le fintech, secondo Ma, dovevano continuare a potersi muovere libere dalle briglie delle vecchie regolamentazioni, emanazione diretta del potere politico di Pechino. Insomma: meno politica, più mercato, per incoraggiare la crescita e non perdere il treno per il futuro.

Esporre una tesi simile senza avere cura di indorare la pillola ai rappresentanti diretti del potere politico cinese – cioè del Potere – è stato un errore che Ma ha pagato molto caro. Il suo affronto risale la piramide dell’amministrazione cinese, raggiunge le stanze dei bottoni, fino a innescare la rappresaglia politica.

Nel giro di poche settimane, l’authority cinese mette sotto indagine le operazioni di Ant Group, basandosi su rapporti interni che accusano la creatura di Ma di «incoraggiare l’indebitamento di poveri e giovani».

Parallelamente, l’authority bancaria inizia a muoversi dal lato burocratico. Emerge una bozza di legge che imporrebbe alle fintech l’obbligo di coprire con capitale proprio il 30% di ogni prestito erogato. Al momento, come già detto, Ant Group ci mette il 2%.

E si arriva al 3 novembre, quando lo Shanghai Stock Exchange sospende l’operazione Ant Group citando «cambiamenti significativi» nel contesto normativo. A stretto giro, la China’s Securities Regulator Commission fa sapere che le nuove norme potrebbero avere «un forte impatto» sul modello di business di Ant Group e che quindi sospendere il collocamento delle azioni su Shanghai e Hong Kong è stata una «mossa di responsabilità nei confronti dei mercati e degli investitori». Ant Group, scusandosi con gli investitori cui non aveva detto delle nuove norme in arrivo, dice che si adeguerà alle nuove regole.

Questa storia ci dice alcune cose sulla Cina di oggi e di domani.

Che l’amministrazione Xi Jinping non ha alcuna intenzione di condividere coi mercati il timone del Paese.

Che la politica mantiene il primato indiscusso e l’ultima parola su ogni riforma del settore finanziario e non permetterà di essere ricattata da nessun imprenditore, nemmeno se si chiama Jack Ma.

Che con Xi Jinping al potere, l’apertura del mercato finanziario e l’allentamento della stretta della politica sui mercati azionari cinesi non rientrano negli obiettivi strategici del “a corto o medio termine”.

E che se salvaguardare la stabilità finanziaria della Cina significa sacrificare la crescita e perdere il treno per il futuro, “crescita” e “futuro” possono aspettare.
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