La Cina si scontra con la realtà: la questione dei Bond Cinesi e la loro inaffidabilità
27 novembre 2020
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... idabilita/
Dopo aver aumentato per anni il proprio debito pubblico, ora ha annunciato maggiori controlli sul cosiddetto “Shadow Banking”, ovvero operazioni finanziarie poco chiare che si basavano su bilanci falsificati e trasferimenti di asset strategici in modo tale da ottenere maggiori fondi.
La Cina si sta scontrando con la realtà: dopo aver aumentato per anni il proprio debito pubblico, ora ha annunciato, tramite il vice premier Liu He, maggiori controlli sul cosiddetto “Shadow Banking“, ovvero operazioni finanziarie poco chiare che si basano su bilanci falsificati e trasferimenti di asset strategici in modo tale da ottenere maggiori fondi.
Il default di obbligazioni ha toccato l’apice nel biennio 2018-2019. Con l’inizio della pandemia i numeri sono migliorati, perché il Politburo ha elargito aiuti a praticamente tutte le imprese, ma il numero di aziende statali che ha peggiorato la propria situazione finanziaria è aumentato, nonostante un miglioramento (ovviamente fittizio) dell’economia cinese. Nel 2018 il default di Bond aveva un valore di 122 miliardi di Yuan, il quadruplo rispetto al 2017, nel 2019 si toccarono i 141.9 miliardi.
Money Morning
Il Default dei Bond Cinesi (Fonte: Bloomberg)
Quanto è Grande questo Problema?
Come già sottolineato nei primi tre trimestri del 2020 il “bond defaut rate” si è ridotto del 20% secondo i dati di Bloomberg, ma questa riduzione è dovuta a misure legate alla pandemia, di conseguenza si tratta di misure a breve termine come, ad esempio, il posticipo dei pagamenti o addirittura la cancellazione dei debiti di breve termine. Questo serve generalmente a prendere tempo, ma la il dissesto (o pre-dissesto) finanziario resta. La differenza rispetto agli altri anni è dovuta al fatto che quest’anno lo scetticismo degli investitori riguarda alcune aziende statali considerate “intoccabili” per il costante supporto che hanno ricevuto dal PCC.
Che cosa c’è dietro?
Diversi fattori hanno causato questo andamento dei Bond. Il primo tra tutti è che gli investitori (soprattutto quelli internazionali) non vogliono investire in società che non siano partecipate statali; un secondo fattore è legato ad una vicenda dello scorso anno della prima banca cinese, la Baoshang Bank Co.. Dopo un’improvvisa acquisizione da parte del governo cinese nel maggio del 2019, dovuta ad una “seria situazione creditizia”, il 23 Novembre 2020 è ufficialmente iniziata la procedura di bancarotta. Per gli “spettatori” internazionali è un ulteriore segnale che non ci si può fidare dell’opacità delle informazioni che escono da Pechino. A questo bisogna aggiungere una situazione economica in declino già prima del Covid (come tutte le grandi economie a fine 2019).
Chi stanno colpendo questi Default?
Nel 2016 vennero colpite inizialmente aziende con eccesso di capacità (sovrapproduzione) come ad esempio quelle del carbone e dell’acciaio, ma quest’anno i settori in crisi sono anche quello del turismo, dei consumi di massa e dei trasporti, che sono stati fortemente colpiti. Tra i fallimenti “degni di nota” nel 2020 abbiamo:
Yongcheng Coal and Electricity Group, che ha individuato nella mancanza di liquidità la causa principale del default;
Tsinghua Unigroup Co, una società manifatturiera di chip;
Brilliance Auto Group Holdings Co, una casa automobilistica legata alla BMW.
Lo scorso anno Tewoo Group, una società che commerciava un elevato numero di commodities (ad esempio, minerali e metalli) ha ristrutturato il suo debito da 1,25 miliardi di dollari, causando molte perdite agli investitori. Secondo Bloomberg, il “Caso Tewoo” è un segnale che il governo cinese stia lasciando fallire alcune delle sue società partecipate.
Quali sono state le azioni intraprese dal governo cinese?
Avendo lasciato fallire qualche sua controllata, il governo cinese vuole dimostrare che sono disposti ad un’effettiva apertura al libero mercato, ma in una maniera ordinata. Partendo da questo concetto è stata annunciata la “tolleranza zero” ed una maggiore protezione degli investitori. Durante la crisi del Covid, però, sono stati garantiti prestiti a tassi bassissimi a chiunque. Inoltre, la Banca Centrale cinese ha abbassato il tasso interbancario per incoraggiare maggiori prestiti. L’obiettivo (dichiarato) rimane comunque evitare a tutti costi una nuova “crisi del 2008” e quindi una nuova crisi del debito.
Come siamo arrivati fino a questo punto?
Il debito è stata la fonte principale della crescita cinese, soprattutto dopo il 2008, quando le obbligazioni non governative (c.d. corporate bonds) sono passati dal 101% del PIL al 160% del 2017, il tutto condito con 10 trilioni di “Shadow Banking“.
L’impatto per ora sembra limitato all’interno della Cina continentale, ma il PCC si sta muovendo per aver regole più chiare e per aprirsi alle agenzie di rating internazionali: questo, però, può portare un’ulteriore ondata di fallimenti, in quanto molte aziende dovranno aprirsi alle regole internazionali del mercato.
Gli Stati Uniti sono ora ad un bivio: possono dare la “spallata finale” alla fragile economia cinese (dipendente dal Dollaro) oppure possono ignorare il problema, come fatto in precedenza, per poi trovarsi intere isole nel Mar Cinese meridionale militarizzate, il tutto finanziato grazie all’acquisto di investitori internazionali di Bond.
L’Amministrazione di Donald Trump farà di tutto per impedire a Sleepy Joe Biden di cambiare linea politica contro il “Dragone”: il problema, però, è che ora ci toccheranno forse, quattro lunghi anni di amministrazione democratica.
In Italia, invece, siamo totalmente piegati a Pechino, a tal punto che “La Repubblica” consiglia l’acquisto di Bond cinesi, nonostante tutte le agenzie internazionali, inclusa la “filo cinese” Bloomberg, consiglino l’esatto contrario!
Non solo dazi, sulla Cina incombe l'ombra del maxi debito
Filippo Santelli
9 dicembre 2020
https://www.repubblica.it/economia/2019 ... 242802542/
PECHINO - Più che i "cigni neri", eventi rari e imprevedibili, il Partito comunista teme i "rinoceronti grigi", pericoli noti ed evidenti, come i grandi mammiferi cornuti, ma che rischiano di essere ignorati fin quando non è troppo tardi. La montagna di debito complessivo della Cina, che ha superato il 300% del Pil, è uno di questi bestioni, e nonostante le autorità comuniste stiano già da anni cercando di contenerla il pericolo è tutt'altro che scongiurato. Anzi, nelle ultime settimane i segnali di allarme si moltiplicano: banche locali che fanno crack, l'indebitamento delle famiglie a livelli record, quasi il 100% del reddito disponibile, un aumento dei default delle imprese, perfino quelle di Stato un tempo considerate al sicuro da ogni tempesta.
Per il momento non si tratta ancora di un'emergenza. Un'asta di titoli di Stato per 6 miliardi di dollari conclusa con successo dalla Banca centrale lo conferma. Eppure lo stress finanziario rende molto più stretta la strada del governo, nel momento in cui l'economia cinese sta rallentando in maniera brusca. Un tempo a frenate di questo tipo la leadership rispondeva varando mega stimoli, ora né la Banca del popolo né il governo sembrano intenzionati a rovesciare soldi dall'elicottero: sciogliere le briglie della politica monetaria o di quella fiscale rischierebbe di far crescere ancora l'indebitamento, incentiverebbe bolle speculative e spingerebbe aziende e famiglie a spendere oltre le loro possibilità.
I rischi finanziari in questo momento non si concentrano tanto a livello centrale, di debito pubblico, quanto alla periferia dell'Impero. Secondo un recente rapporto della Banca del popolo, dei 4.400 prestatori attivi in Cina, 586 sono classificati ad "alto rischio". Si tratta soprattutto di piccoli operatori locali, distributori di contanti che alimentano i sogni di espansione delle aziende e le ambizioni di carriera dei funzionari provinciali. Negli ultimi mesi il governo è dovuto intervenire per nazionalizzare Baoshang bank, semi sconosciuto istituto della Mongolia Interna, poi ha coordinato un salvataggio di altri due operatori, Jinzhou e Hengfeng. A inizio novembre i correntisti di due banche, una dello Henan e una del Liaoning, si sono precipitati agli sportelli per prelevare i loro risparmi, dopo aver sentito di indagini che riguardavano i manager. Solo l'intervento delle autorità ha impedito il collasso, ma in un Paese privo di trasparenza e revisori indipendenti i dubbi sulle reali condizioni delle banchette di provincia restano enormi.
La autorità hanno annunciato che costringeranno gli istituti in difficoltà a puntellarsi, ricapitalizzando, fondendosi e tagliando i crediti deteriorati. È un intervento coerente con l'imperativo della stabilità, in questo caso finanziaria, messo in primo piano da Xi Jinping. Solo che la stretta sul credito voluta dal presidente cinese è anche uno dei fattori, se non il principale, alla base del rallentamento dell'economia. Molte aziende, soprattutto quelle private, senza sponde politiche, faticano a finanziarsi o rifinanziarsi (il loro debito complessivo è al 165% del Pil), proprio mentre i profitti si riducono. Il numero dei default cresce: a inizio dicembre hanno raggiunto i 17 miliardi di dollari, superando il totale del 2018. E tra le imprese che non riescono più a onorare i debiti alcune sono di Stato: mercoledì scorso il gruppo Tewoo, specializzato nel trading delle commodities, ha annunciato che non potrà ripagare un bond da 300 milioni di dollari, proponendo ai sottoscrittori una conversione in perdita, quello che in termini tecnici si chiama "haircut".
È una clamorosa prima volta per un'azienda di Stato, status che fino a oggi offriva la garanzia, implicita ma non per questo meno reale, di un salvagente anti crisi. Ora il messaggio del governo sembra essere diverso: non tutti potranno essere sostenuti. In teoria è un segno di maturità del sistema, in pratica rischia di trasformarsi in un terremoto, considerato che nell'economia cinese il rischio creditizio non è mai stato davvero prezzato dal mercato.
Per Xi e i suoi consiglieri economici dunque i prossimi mesi si annunciano un complicato gioco di equilibrismo tra contenimento del debito e stimolo alla crescita. Da condurre con aggiustamenti quotidiani e cercando di evitare contraddizioni, per quanto possibile. Nei giorni scorsi il governo ha ordinato alle province di procedere all'emissione di bond per finanziare le infrastrutture, anticipando le quote previste per i primi mesi del prossimo anno. Nuovo debito per evitare una frenata troppo brusca, ma nuovo debito che sarà sempre più difficile onorare in un'economia dalla produttività stagnante. Con il rinoceronte grigio prima o poi Pechino dovrà fare i conti.
La Cina ha un GDP che e' la meta' degli USA con spese interne enormi.
Detiene circa 1.200 miliardi di debiti USA.
Inoltre hanno investimenti in USA per circa 4.000 miliardi.
Tra il Vairus mandato e le ingerenze che ha causato alle elezioni USA oltre ai morti ai costi ed al casino relativo se DJT domani dice che il debito se lo stoppano ed il resto lo sequestra hanno chiuso.
Andassero pure in tribunale al WTO che DJT sfancula pure loro.
Fine dei giochi.
Jaime Andrea Jaime
13 dicembre 2020
https://www.facebook.com/jaime.mancagra ... 5206286350
Paolo Ortenzi
Non solo, hanno il GDP che è la metà di quello USA. Se vanno in perdita, come per esempio nel caso da te elencato, FALLISCONO nel giro di pochi mesi. Per questo gli serve Bidet dove è.
Tiberio Cancelli
Inoltre le banche e i fondi usa hanno nel portafoglio titoli cinesi per 1600 miliardi di dollari
Il debito pubblico cinese presto potrebbe diventare insostenibile, soprattutto se dovesse scoppiare la bolla speculativa ,che molti economisti prevedono
Paolo Ortenzi
Vanda Lo Iacono Croasdale
siamo tutti disposti a pagare DI PIÙ molti prodotti, pur di non produrre in Cina? Perchè il successo della Cina si spiega con due fattori, principalmente: 1) È una dittatura e non deve rendere conto alla sua opinione pubblica. E per questo si può permettere di pianificare a venti o trent'anni senza problemi; 2) Visto il punto 1) Pechino ha schiavizzato un miliardo di Cinesi ed è diventata la fabbrica a basso costo del pianeta. NESSUNO fino ad ora ha messo in discussione il suo status al WTO di "paese in via di sviluppo". Non mi risulta che l'Uganda o il Burkina-Faso mandino satelliti sulla Luna. La Cina l'ha fatto... e continua a prendere per il culo l'Occidente.
Vanda Lo Iacono Croasdale
Paolo Ortenzi
Io non solo sono disposta a pagare di piu' ma, lo faccio. Il problema e' che accertarsi che quello che acquisti non e' fatto in Cina e' molto complicato e richiede tempo per fare ricerche . Molti prodotti spacciano di essere made in USA ma non e' vero....le leggi sono subdole , e' sufficiente che un piccolo particolare dell'articolo che acquisti sia fatto in USA o che il prodotto sia fatto in Cina ma assemblato in USA etc...etc...per classificarlo " Made in USA " Pochi prodotti sono made in USA ed anche, costano di piu'. Io, essendo da sola, non me ne faccio un problema perche' acquisto solo per me ma capisco potrebbe essere un problema per una famiglia. Comunque di certo so' che , you get what you pay for...ed i prodotti cinesi sono molto scadenti e, quindi, durano poco. Meglio spendere qualcosa extra cosicche' da sostenere gli USA ed avere prodotti migliori. Consiglio vivamente di stare lontani specialmente da prodotti alimentari cinesi.
Paolo Ortenzi
Vanda Lo Iacono Croasdale
perchè devo permettere a Apple di produrre in Cina? I suoi prodotti li pago una barcata di soldi (sono i migliori, per quello che mi riguarda, e li uso anche per LAVORO, dove non ho tempo di masturbarmi con le configurazioni, come accade con Winzozz o Linux... vabbé sarebbe lungo da spiegare!) ma sono fatti in CINA. Il che significa che i loro profitti sono stratosferici. Ora... se io pago un laptop professionale Apple 1.700 euro ed uno Winzozz di marca poco più della metà... e io SO che i profitti sui laptop Winzozz sono ancora più alti in percentuale di quelli di Apple, qualcosa non torna. Quanto poco posso pagare un prodotto? La qualità, infatti, è bassissima ed è solo l'imposizione da parte del QA Apple sulle aziende cinesi che mi permette di avere, ad esempio, degli smartphone che durano di più di quelli Xiaomi o Huawei. Ho colleghi che compravano queste due marche perchè "fanno le stesse cose di un iPhone ma costano la metà". Poi però, dopo un mese o due, la PRIMA COSA che andava a signorine francesi era la batteria. IO ho un iPhone 6 da tre anni e la batteria va ancora tutta la giornata. Ora... riportando la produzione negli USA... a quanto profitto Apple può rinunciare? Il prezzo di vendita NON si può spostare verso l'alto (1000 USD per un cellulare lo reputo una follia!). Ma sono strasicuro che ci sia ampio margine, anche con un innalzamento dei costi di produzione in USA.