Russia, Europa, USA e Cina

Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer apr 10, 2019 9:38 pm

Il super-Stato cinese Han: Il nuovo Terzo Reich
Gordon G. Chang (*)
2019/04/09

http://www.opinione.it/esteri/2019/04/0 ... HtRYpC5TEA


Più di un milione di persone sono internate, senza alcuna ragione se non per la loro appartenenza etnica o religiosa, nei campi di concentramento situati in quella che Pechino definisce la Regione autonoma uigura dello Xinjiang, e che gli abitanti tradizionali dell’area, gli uiguri, chiamano Turkestan orientale. Oltre agli uiguri, in queste strutture sono rinchiusi anche i kazaki.

Le famiglie di questa regione martoriata del nord-ovest della Repubblica popolare cinese sono state smembrate. I figli degli uiguri e dei kazaki che sono stati imprigionati vengono “confinati” in “scuole” isolate dal mondo esterno dal filo spinato e sorvegliate da numerose pattuglie di polizia. A questi ragazzi viene negata l’istruzione nella loro lingua, e sono costretti a imparare il cinese mandarino. I controlli fanno parte della cosiddetta politica di “hanificazione”, un programma di assimilazione forzata. “Han” è il nome del gruppo etnico dominante in Cina.

E poiché gli uiguri e i kazaki stanno morendo nei campi di concentramento in numero considerevole, Pechino costruisce forni crematori per sradicare le usanze funebri e smaltire in tal modo i cadaveri.

I campi, un crimine contro l’umanità, si stanno diffondendo. La Cina sta costruendo anche in Tibet, nella parte sudoccidentale del Paese, delle strutture simili, alle quali vengono date vari nomi eufemistici come “centri di formazione professionale”.

Inoltre, Pechino reitera il tentativo di eliminare la religione in tutto il Paese. I cristiani si trovano maggiormente sotto attacco, proprio come i buddisti. Il leader cinese, Xi Jinping, chiede di “sinizzare” le cinque religioni riconosciute – il riconoscimento ufficiale è un meccanismo di controllo. I cinesi, come parte di questo impietoso e inesorabile sforzo, stanno distruggendo le moschee e le chiese, costringendo i devoti musulmani a bere alcolici e a mangiare carne suina, inviando i funzionari di etnia Han a vivere nelle case musulmane e ponendo fine all’educazione religiosa dei minori.

Questi tentativi, che hanno dei precedenti nella storia cinese, sono stati intensificati da quando Xi è diventato il segretario generale del Partito comunista, nel novembre del 2012.

Al contempo, Xi, molto più dei suoi predecessori, ha promosso il concetto di un ordine mondiale governato da un solo sovrano, quello cinese. A grandi linee, la visione del mondo nutrita da Xi assomiglia molto a quella del Terzo Reich, almeno prima degli omicidi di massa. Il Terzo Reich e la Repubblica popolare cinese condividono un razzismo virulento, che in Cina viene simpaticamente definito “sciovinismo Han”. Il gruppo Han, che si dice annoveri circa il 92 per cento della popolazione della Repubblica popolare, è in realtà la fusione di gruppi etnici affini. La mitologia cinese sostiene che tutti i cinesi discendono dall’Imperatore Giallo, il quale avrebbe regnato nel terzo millennio a.C.. I cinesi si considerano una branca dell’umanità separata dal resto del mondo, una visione rafforzata dall’indottrinamento nelle scuole, tra le varie cose.

Gli studiosi cinesi fondano la loro diversità sulla teoria evoluzionistica de “l’Uomo di Pechino”, secondo la quale i cinesi non condividono un antenato africano comune con il resto dell’umanità. Questa teoria dell’evoluzione separata dei cinesi ha rafforzato, non a caso, le idee razziste. A causa del razzismo, molti in Cina, inclusi i funzionari, “credono di essere assolutamente diversi dal resto dell’umanità e implicitamente superiori”, scrive Fei-Ling Wang, autore di The China Order: Centralia, World Empire, and the Nature of Chinese Power. Pertanto, il razzismo è istituzionalizzato e apertamente promosso. Ciò è stato terribilmente evidente lo scorso anno nello sketch di 13 minuti andato in onda durante il Galà della Festa di Primavera, lo spettacolo di varietà più seguito nel Paese e trasmesso dall’emittente China Central Television. In “Festeggiamo insieme”, un’attrice cinese con il viso dipinto di nero interpretava il ruolo di una madre keniota, dotata di un seno enorme e di natiche posticce ridicolmente grandi. E peggio ancora, la sua spalla era una persona travestita da scimmia. L’associazione scimmia-donna faceva eco alla mostra allestita al Museo della provincia di Hubei dal titolo “Questa è l’Africa“, in cui nel 2017 furono esposte le foto di africani accanto a immagini di primati.

I media cinesi, in questi ultimi anni, hanno moltiplicato la diffusione di stereotipi orribili sugli africani. Lo sketch trasmesso lo scorso anno dalla principale emittente televisiva di Stato – con 800 milioni di telespettatori – non è stato il peggiore, ma ha dato una chiara idea di quello che i funzionari cinesi pensano degli africani, considerandoli tanto esseri inferiori quanto oggetto di scherno. Stando così le cose, si può desumere che tale visione sia condivisa dalla leadership di Pechino, che, in modo allarmante, lancia con maggiore frequenza appelli razzisti ai cinesi – e non solo a quelli che abitano in Cina.

La razza superiore di questo XXI secolo ha però un problema. La Cina, che oggi è lo Stato più popoloso del mondo, affronta un rapido declino demografico. Il tasso di natalità dello scorso anno è stato il più basso da quando la Repubblica popolare fu fondata nel 1949. Secondo il World Population Prospects 2017, pubblicato dalla Divisione per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, la popolazione del Paese raggiungerà l’apice nel 2029. Ma questo picco potrebbe essere toccato nei prossimi due anni, poiché le cifre fornite dalle Nazioni Unite si basano sulle previsioni eccessivamente ottimistiche di Pechino. I demografi ufficiali cinesi, ad esempio, lo scorso anno non avevano previsto il crollo del tasso di natalità. Nel 2024, si verificherà un altro evento epocale. A quel punto, per la prima volta in almeno 300 anni – e forse per la prima volta nella storia documentata – la Cina non sarà la società più popolosa al mondo. Quell’onore andrà a un Paese che i cinesi in genere detestano e temono: l’India. E quando raggiungerà il suo picco nel 2061, l’India avrà 398,088 milioni di abitanti in più rispetto alla Cina.

Una volta che la popolazione della Cina inizierà a contrarsi, il processo subirà un’accelerazione. Nel 2018, la popolazione cinese era 4,3 volte maggiore di quella dell’America. Entro il 2100, si prevede che la Cina avrà una popolazione solo 2,3 volte più numerosa. Il percorso demografico è stabilito da decenni e avrà gravi conseguenze – ed estremamente negative – per la società cinese e per la “forza nazionale globale” del Paese. Forse è per questo motivo che Pechino sembra cercare di compensare una demografia al collasso gettando le basi per una razza di superuomini cinesi.

He Jiankui della Southern University of Science and Technology di Shenzhen ha annunciato a novembre di aver usato la tecnica CRISPR per modificare gli embrioni umani dai quali sarebbero nate due gemelle. Il genetista cinese ha affermato di aver reso le bambine resistenti all’HIV, ma circola voce che abbia anche cercato di migliorarne l’intelligenza. In ogni caso, la dichiarazione ha evocato esperimenti eugenetici nazisti, soprattutto perché risulta che il governo cinese abbia incoraggiato il “primo esperimento al mondo” effettuato da Jiankui e considerato dalla comunità scientifica internazionale immorale e pericoloso.

Xi Jinping è davvero pericoloso. “Mao Zedong potrebbe aver giocato sui risentimenti razzisti del Terzo Mondo quando cercava di unire le ex popolazioni coloniali contro gli imperialisti bianchi, ma pensava che il comunismo fosse un fenomeno globale che alla fine avrebbe messo radici ovunque e l’utopia di Mao era nel futuro”, ha detto al Gatestone Charles Horner, Senior Fellow presso l’Hudson Institute. “Il Partito comunista cinese di Xi Jinping non è globale né utopistico; piuttosto, sembra essere alla mercé di una imprescindibile ‘cinesità’”.

Horner ravvisa sconcertanti analogie tra la Cina di Xi e il Giappone imperiale degli anni Trenta. “Proprio come il Giappone imperiale,” ha aggiunto Horner, “Xi e il Partito guardano a un passato mitizzato, con un benevole imperatore che riunisce il mondo intero per godere della sua gloria e condividere la sua munificenza”.

Campi di concentramento, razzismo, eugenetica, ambizioni di dominio mondiale. Vi ricordano qualcosa?

C’è un nuovo Terzo Reich ed è la Cina.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » ven apr 12, 2019 5:00 am

INCHIESTA SULLA TIRANNIA CINESE: RICONOSCIMENTO FACCIALE E “SOCIAL CREDIT”
di ARTURO DOILO

https://www.miglioverde.eu/inchiesta-su ... qCk2Qf5qLo

Commemorando il duecentesimo anno della nascita di Marx, il presidente cinese, a vita, ha detto parole che nessun giornale ha riportato. Dal suo discorso commemorativo, Xi Jinping, anche segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese e presidente della Commissione militare centrale, durante una conferenza del 4 maggio 2018 ha dichiarato: “Due secoli dopo, nonostante gli enormi e profondi cambiamenti nella società umana, il nome di Karl Marx è ancora rispettato in tutto il mondo e la sua teoria brilla ancora con la luce brillante della verità”. Aggiungendo: “È stato l’insegnante della rivoluzione per il proletariato e per i lavoratori di tutto il mondo, il principale fondatore del marxismo, creatore dei partiti marxisti, un esploratore del comunismo internazionale e il più grande pensatore dei tempi moderni! In vero, come ha scritto Matteo Corsini, non bisogna mai dimenticare che la Cina “è un classico esempio di economia keynesiana, con un sistema finanziario precario, dove la vera bolla non è ancora scoppiata, e…
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 8:09 am

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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 8:10 am

Imperialismo russo e sovietico


Impero russo
https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_russo
L'Impero russo (in russo: Российская империя, Rossijskaja imperija), spesso indicato anche come Russia imperiale, fu l'organismo statale che per volontà di Pietro I il Grande (1682–1725) governò la Russia zarista dal 1721 fino alla deposizione di Nicola II (1894–1917) a seguito della rivoluzione di febbraio del 1917.
Venne preceduto dal regno degli zar moscoviti e seguito dall'Unione Sovietica. Tutti gli zar dell'impero appartennero alla famiglia dei Romanov. Dal punto di vista territoriale fu tra i più grandi Stati della storia: nel 1866 si estendeva su tre continenti (Europa, Asia e Nord America), confinando tanto con la Prussia quanto con la provincia del Canada (Impero britannico), affacciandosi sia sul mar Baltico che sull'oceano Pacifico.

Imperialismo russo in Asia
https://it.wikipedia.org/wiki/Imperiali ... so_in_Asia
L'imperialismo russo in Asia iniziò intorno agli anni novanta dell'Ottocento e si concluse bruscamente nel 1905, a seguito della sconfitta patita nella guerra contro il Giappone.



Imperialismo sovietico o impero del male
https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_del_male
https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_sovietico

Impero sovietico fu un termine politico utilizzato per descrivere da un punto di vista critico le azioni e la natura dell'Unione Sovietica. Il termine guadagnò la popolarità dopo che il Presidente degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan definì l'URSS come "Impero del male" in un discorso alla Camera dei comuni del Regno Unito nel 1982. Per quanto non fu un vero e proprio impero, nel 1959 l'impero aveva un'estensione di 34.944.543 km², più grande dell'Africa di circa 4 milioni di km² e quasi due milioni in più dell'Impero Mongolo.

Anche se non governata da un imperatore e autodichiarata anti-imperialista, l'Unione Sovietica mostrò tendenze comuni agli imperi nella storia:

espansione territoriale ottenuta attraverso l'invasione o la sovversione (come in Polonia, Romania, Finlandia, Afghanistan).
forte potere centrale che controllava i governi di tutti gli stati satelliti
interferenze (incluso l'uso della forza militare) nelle politiche interne degli alleati (come in Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia).

Per queste ed altre ragioni, l'URSS è talvolta considerata da alcuni storici come uno dei principali imperi della storia, simile all'impero britannico e a quello romano, utilizzando anche alcuni elementi della politica estera zarista. I sostenitori dell'URSS (perlopiù intellettuali o partiti comunisti), rigettano tale teoria e ritengono che le relazioni tra l'Unione Sovietica i paesi del suo "impero" erano stabilite da un rapporto di cooperazione volontaria.


Stati membri dell'Unione Sovietica

Vedi anche Repubbliche dell'Unione Sovietica

RSSF Russa (Repubblica Socialista Sovietica Federata Russa)
Repubblica socialista sovietica ucraina
Repubblica socialista sovietica bielorussa
Repubblica socialista sovietica uzbeka
Repubblica socialista sovietica kazaka
Repubblica socialista sovietica georgiana
Repubblica socialista sovietica azera
Repubblica socialista sovietica lituana
Repubblica socialista sovietica moldava
Repubblica socialista sovietica lettone
Repubblica socialista sovietica del Kirghizistan
Repubblica socialista sovietica del Tagikistan
Repubblica socialista sovietica armena
Repubblica socialista sovietica del Turkmenistan
Repubblica socialista sovietica estone



Membri del Comecon

Questi Paesi erano i più stretti alleati dell'Unione Sovietica; erano membri del Comecon, una comunità economica diretta dall'URSS fondata nel 1949. I Paesi situati nell'Europa orientale, inoltre, erano anche membri del Patto di Varsavia: erano stati satelliti dell'Unione Sovietica.

Bulgaria
Cuba
Cecoslovacchia
Germania Est
Ungheria
Mongolia
Polonia
Romania
Vietnam del Nord / Vietnam (dopo il 1976)
Albania (smise di partecipare al Comecon dopo il 1961 a causa della crisi sino-sovietica)

La Corea del Nord era un alleato sovietico, ma seguì sempre una politica estera isolazionista, pertanto non partecipò mai al Comecon o ad alcun'altra organizzazione internazionale di stati comunisti.


Interferenze sovietiche in altri Stati

Nella terminologia politica dell'Unione Sovietica, questi erano "paesi che si stavano incamminando sulla strada socialista dello sviluppo", a differenza dei "paesi del socialismo avanzato", citati sopra. La maggior parte riceveva aiuti, sia militari che economici dall'URSS ed erano influenzati in vari modi. Il supporto di questi stati all'Unione Sovietica durò poco, in alcuni casi perché i governi filosovietici persero il potere, in altri perché gli stessi governi rimasero al potere ma cambiando atteggiamento verso l'URSS.

Alcuni di questi paesi non erano stati comunisti (segnati in corsivo).

Jugoslavia (1945-1948)
Repubblica Popolare Cinese (1949-1961)
Egitto (1954-1973)
Siria (1955-1991)
Iraq (1958-1963, 1968-1991)
Guinea (1960-1978)
Mali (1960-1978)
Repubblica Democratica Somala (1969-1977)
Algeria (1962-1991)
Ghana (1964-1966)
Perù (1968-1975)
Sudan (1968-1972)
Libia (1969-1991)
Repubblica Popolare del Congo (1969-1991)
Cile (1970-1973)
Capo Verde (1975-1991)
Yemen del Sud (1967-1990)
Uganda (1971-1979)
Indonesia (1960-1965)
India (1971-1989)
Bangladesh (1971-1975)
Madagascar (1972-1991)
Derg (1974-1987)
Repubblica Democratica Popolare d'Etiopia (1987-1991)
Repubblica Democratica Popolare del Laos (1975-1991)
Repubblica Popolare del Benin (1975-1990)
Repubblica Popolare del Mozambico (1975-1990)
Repubblica Popolare dell'Angola (1975-1991)
Seychelles (1977-1991)
Repubblica Democratica dell'Afghanistan (1978-1991)
Governo Rivoluzionario Popolare di Grenada (1979-1983)
Nicaragua (1979-1990)
Repubblica Popolare di Kampuchea (1979-1989)
Burkina Faso (1983-1987)


Stati comunisti opposti all'URSS

Alcuni stati comunisti furono apertamente in contrasto con l'URSS e con la sua politica. Anche se le loro forme di governo potevano essere simili, erano completamente indipendenti dall'Unione Sovietica, con la quale intrattenevano soltanto relazioni diplomatiche formali, che erano spesso tese e, in qualche caso, sul punto di un conflitto armato.

Jugoslavia (dopo la rottura URSS-Jugoslavia)
Albania (dopo la crisi sino-sovietica)
Repubblica popolare cinese (dopo la crisi sino-sovietica)
Kampuchea Democratica (1975-1979, con Pol Pot e i Khmer rossi)
Repubblica Democratica Somala (1977-1991, con la guerra dell'Ogaden)
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 8:11 am

Guerra contro l'Ungheria
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzio ... e_del_1956
La rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come insurrezione ungherese o semplicemente rivolta ungherese, fu una sollevazione armata di spirito antisovietico scaturita nell'allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10 - 11 novembre 1956. Inizialmente contrastata dall'ÁVH,[1] venne alla fine duramente repressa dall'intervento armato delle truppe sovietiche del maresciallo Ivan Stepanovič Konev. Morirono circa 2.700 ungheresi di entrambe le parti, ovvero pro e contro la rivoluzione, e 720 soldati sovietici[2]. I feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell'Ungheria) furono gli ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente. La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle idee del bolscevismo nelle nazioni occidentali.

Guerra contro la Cecoslovacchia
https://it.wikipedia.org/wiki/Primavera_di_Praga
La Primavera di Praga, (in ceco Pražské jaro, in slovacco Pražská jar) è stato un periodo storico di liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia durante il periodo in cui questa era sottoposta al controllo dell'Unione Sovietica, dopo gli eventi successivi alla seconda guerra mondiale e nell'ambito della guerra fredda. Essa iniziò il 5 gennaio 1968, quando il riformista slovacco Alexander Dubček salì al potere, terminando il 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione militare dell'Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia invase il paese.

Guerra contro l'Afganistan
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in ... (1979-1989)
La guerra in Afghanistan del 1979-1989, talvolta indicata anche come guerra russo-afghana, invasione sovietica dell'Afghanistan o intervento sovietico in Afghanistan, fu un conflitto intercorso tra il 24 dicembre 1979 e il 15 febbraio 1989 nel territorio dell'Afghanistan, e che vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell'Afghanistan (RDA), sostenute da un massiccio contingente di truppe terrestri e aeree dell'Unione Sovietica, e dall'altro vari raggruppamenti di guerriglieri afghani collettivamente noti come mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere; il conflitto viene considerato parte della guerra fredda nonché prima fase della più ampia guerra civile afghana.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 8:11 am

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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 8:11 am

Il neo imperialismo russo

Il neo imperialismo russo porta il nome di Alexader Dugin
Leonardo Tirabassi
4 Ott 2008

https://www.loccidentale.it/articoli/59 ... ader-dugin

Adesso che in Georgia la situazione sul campo è purtroppo chiara – disastrosa sconfitta militare di Tiblisi, occupazione dell’Abkazia e dell’Ossezia del sud, pulizia etnica dei villaggi georgiani in quest’ultima regione, batosta economica, umiliazione dell’alleato americano – diventa urgente elaborare una risposta che limiti i danni e disinneschi una crisi ormai internazionale e costituisca una base di rilancio per una soluzione credibile dell’ennesima crisi caucasica. Per riuscire ad elaborare una simile strategia tutti i paesi occidentali, ma soprattutto quelli europei, devono capire la logica dell’azione russa, comprendere appieno la narrazione e le percezioni che hanno ispirato una reazione così forte e inaspettata. E la non previsione della rabbiosa risposta di Mosca infatti significa una drammatica sola cosa. Che le nostre cancellerie, servizi, analisti e quant’altro non hanno né informazioni né chiavi di lettura degli eventi adatti a leggere la “scatola nera” del Cremlino.

Questa incomprensione delle vicende internazionali è una caratteristiche del dopo ‘89: sembra proprio che “la rivincita della storia” a seguito della chiusura definitiva del “secolo breve” caratterizzato dalla guerra civile europea, e la fine delle ideologie, sia solo uno slogan a cui ricorrere “dopo” che qualche catastrofe è successa. In altri termini, sembra che la storia non fornisca nessun strumento né di previsione né di elaborazione di possibili soluzioni politiche alle tanti crisi in atto. Conclusione drammatica: se così fosse, significa che la politica di cui oggi disponiamo – quella prodotta dagli Stati Uniti, dalla Unione Europea, dalle organizzazioni internazionali e quant’altro – non è in grado di governare gli eventi, che la politica è, in una parola, impotente o per lo meno sempre in ritardo e in affanno. Ripresa della storia vuol dire una cosa soltanto: riscoperta delle forze profonde di lunga durata, architravi della società nei tempi della globalizzazione e capire che ancora una volta, come nel caso dello scontro di civiltà tra occidente e islam, la chiave di volta sta lì nello snodo tra modernizzazione cosmopolita e storie e tradizioni particolari, nei contraccolpi che lo sviluppo del mercato globale provoca nei teatri locali. E’ questo sfondo epocale che disegna e delimita il campo d’azione della politica, delle strategie dei vari attori, uomini in carne ed ossa, trait d’union tra presente e passato, tra innovazione e tradizione con le loro identità composte di storia, sensibilità e percezioni.

Comprendere la portata dei drammatici eventi caucasici vuol dire allora leggere l’aggressione russa contro la Georgia entro un quadro culturale e ideologico della politica estera del gigante eurasiatico che ha attraversato tutte le vicende storiche a partire dall’epoca post napoleonica ad oggi, attraversando anche la Russia sovietica in sostanziale continuità dagli zar alla democrazia autoritaria post comunista di Putin. Si tratta di disegnare un quadro coerente che riesca a spiegare allo stesso tempo la matrice culturale, e sentimentale, delle reali azioni politiche. La parola magica usata dai commentatori in questo caso è “sindrome d’accerchiamento”. La Russia agisce in modo aggressivo a causa della sua naturale situazione geografica, impero terrestre senza confini naturali che lo difendano dalle minacce esterne. È sempre stato così dai tempi di Pietro il Grande a Lenin, che soffocò l’indipendenza della Georgia nel 1921, a Stalin per finire a Putin. Il tratto costante è sempre l’espansionismo territoriale che si afferma per volontà del governo centrale sulla base del nazionalismo russo. La Russia con la sua missione speciale di mondo diverso sia dall’occidente che dall’oriente, sia dal materialismo mercantile che dal mondo barbaro dell’Asia. Come tutte le ideologie, l’appello al ruolo unico di Mosca nella storia serve anche a giustificare e razionalizzare la sua situazione, a dare una spiegazione della cronica arretratezza e delle difficoltà con cui la Russia fa i conti con i processi di modernizzazione.

Anche oggi è così. A riprova si prendano le dichiarazioni dell’ideologo Alexander Dugin, nazional-bolscevico, ammiratore di Evola e Guenon, nonché fondatore del movimento Eurasia, docente di geopolitica all’Accademia militare russa e consigliere di Putin. Una premessa necessaria. La cultura occidentale ufficiale, in modo particolare quella liberal, ha scarsa simpatia e dimestichezza con pensatori e idee non ortodosse e accademiche perché ha bollato il filone conservatore reazionario e tradizionalista, a causa dell’adesione dei suoi ammiratori nel campo della destra nazifascista, come qualcosa di riprovevole, superato e non scientifico, frutto dei deliri irrazionali di qualche folle visionario spesso antisemita. Anche la asistemacità, una certa frammentarietà, una lunga consuetudine con il pensiero esoterico hanno contribuito a isolarlo dall’accademia internazionale esclusa una cerchia limitata di studiosi. A parte la necessità di distinguere tra politica e storia delle ideologie, c’è da dire che questo area di pensiero, che per comodità possiamo definire tradizionalista e misticheggiante, risulta disorganica e difficilmente assimilabile sia al nazifascismo che al comunismo. Lo dimostrano le vicende di un personaggio quale il tedesco Ernst Karl August Niekish, fondatore del nazionalbolscevismo, volontario nella prima guerra mondiale, aderente prima alla socialdemocrazia, poi al nazismo che lo mise in campo di concentramento da cui fu liberato dai russi, iscritto alla SED – il partito comunista della DDR – nella ricerca di un comunismo veramente tedesco e quindi messo al bando anche dai tedeschi dell’est perché approvò gli scioperi di Berlino del 1953. Morì infine nella Germania occidentale nel 1967.

Dugin, in una formula, è la risposta russa alla globalizzazione, è la reazione slava al mercatismo tremontiano. In due interviste, una rilasciata a Marcello Foa sul Giornale dell’11 agosto e l’altra sul Los Angeles Times del 3 settembre, sostiene un quadro coerente e le sue posizioni estremiste, nonostante non siano certamente condivise dall’ala modernizzatrice, costituiscono comunque un orizzonte comune a gran parte del popolo e della leadership russa.

Il punto d’avvio è una visione della politica di potenza, realista, dove la geopolitica, nuova visione del mondo post moderna, al posto dei vecchi “ismi”, occupa il ruolo centrale di tutta la costruzione neotradizionalista per concludersi in un antiamericanismo forsennato. Se gli Stati Uniti sono la nazione con un “destino manifesto”, la Russia non è da meno: ad essa spetta il ruolo di guida dell’alleanza eurasiatica contro lo strapotere atlantico. Ancora una volta terra contro mare, Sparta contro Atene. Nel mondo esistono più poli di potere, ogni popolo ha il suo destino e compito di Mosca è di difendere la propria tradizione ortodossa e slava. Ecco allora la traduzione strategica: alleanza tra i paesi dell’ex Unione Sovietica, riproposizione della logica delle sfere di influenza, asse con la rivoluzione nazionalpopolare dell’ariano Iran, sguardo benevolo verso la Cina. Sembra di riascoltare un disco già sentito: la “grande proletaria”, l’impero romano, l’arci italiano, l’anticapitalismo romantico contro le potenze anglosassoni. Ma non si sorrida sdegnati dall’approssimazioni teoriche o dall’antisemitismo o dalla rozzezza politica: l’uso del petrolio e del gas come armi stanno davanti a noi a rendere credibile qualsiasi sogno o sragionamento.

Rimane per i paesi atlantici, e in modo particolare per quelli europei, il compito di dipanare una matassa internazionale estremamente intricata. Al di là delle superfetazioni retoriche, il senso della sfida è chiaro e verte su uno snodo centrale: la globalizzazione deve portare il sigillo dell’unipolarismo americano? E se così, gli Stati Uniti sono in grado, hanno la forza per mantenersi come unica super potenza imperiale? E per quanto ancora?


Anche l'imperialismo russo si riarma per la guerra
In programma la spesa di 400 miliardi
28 febbraio 2018
http://www.pmli.it/articoli/2018/201802 ... iarmo.html
Se l'imperialismo americano sotto l'impulso dell'amministrazione Trump ha rilanciato la corsa agli armamenti convenzionali e nucleari, non è da meno il concorrente imperialismo russo con Putin che è tornato a essere protagonista nella guerra in Siria e nelle crisi regionali in Medio oriente, Nordafrica e in Europa e ha bisogno di un apparato bellico adeguato alle nuove esigenze. Anche il Cremlino si riarma per la guerra.
Altro non è il progetto alla base del nuovo programma statale della Difesa per il periodo 2018-2027 varato da Putin alla fine dello scorso gennaio, con un badget di 400 miliardi destinato ai programmi militari fra i quali la progettazione dei nuovi sistemi d'arma, cacciabombardieri e sottomarini.
Lo scorso novembre nel presentare la bozza del disegno di legge sul bilancio della Difesa, il capo del Consiglio della Difesa e Sicurezza della Russia del Consiglio della Federazione (Camera alta) Viktor Bondarev aveva sottolineato che le disposizioni di spesa nel nuovo programma miravano soprattutto a “compensare il ritardo degli anni precedenti” e “creare una base economica per sviluppare con successo aree prioritarie” sui nuovi progetti.
Così il vice ministro della Difesa Yuri Borisov poteva sostenere che “dal 2025-2026 avremo nuovi tipi di armi che porteranno grandi cambiamenti strategici e tattici”, riferendosi al sistema missilistico strategico Sarmat e al missile ipersonico Zircone, all'ammodernamento degli aerei già sperimentati in Siria come i bombardieri Tu-95 e Tu-22M3, al sottomarino a propulsione nucleare Borey-B e a una nuova portaerei.
In attesa di testare i nuovi mezzi le forze armate dell'imperialismo russo potranno utilizzare il nuovo bombardiere strategico Tupolev Tu-160 M2, in grado di portare missili nucleari, che ha effettuato il volo inaugurale all'inizio di febbraio e andare in produzione nel 2020. Mentre già a fine 2019 entreranno in servizio almeno 12 caccia Sukhoi Su-57 di Quinta Generazione in seguito al contratto di acquisto che sarà firmato a breve dal ministero della Difesa.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 9:11 am

L’espansionismo Imperiale Russo : Le radici storico-culturali
2017/05/04

https://nmgiblog.wordpress.com/2017/05/ ... -culturali

Partendo dalla crisi della Crimea si può vedere il simbolismo e il significato dell’espansionismo russo : la volontà di Mosca di creare un zona cuscinetto nei pressi dei suoi confini e la volontà di rimanere nel concerto delle Nazioni fin dalla sua nascita come Impero Russo.
L’analisi della storia russa presuppone due approcci per capire le direttrici espansionistiche della Russia. Nel caso della Russia bisogna analizzare il punto principale e completamente unica di questo paese: l’estrema vastità del paese, attualmente il più vasto del globo. Con i suoi 17milioni di km² il territorio della Russia copre il 13 percento della superficie emersa mondiale. Nel periodo degli zar ,però ,copriva quasi il 17%² . Un altro elemento è che il suo territorio,per la sua vastità, risulta essere variegato dove si alternano ambienti artici e poi paesaggi di tundra, Steppa e foresta temperata . Tra le molteplici variabili ,per comprendere l’espansionismo russo, è la morfologia del territorio: i territori russi, per quanto siano costituiti da diversi ambienti, si sviluppano per sconfinate pianure ; inoltre sono assenti barriere naturali (es Catene Montuose) . Queste caratteristiche hanno reso la Russia un corridoio che collega l’Europa e l’Asia , in seconda battuta queste caratteristiche hanno influenzato la politica estera russa.
La totale assenza di confini prestabiliti ha fatto diventare lo stato russo un paese soggetto a continue invasioni. Ma una in particolare diede l’impulso ai russi di espandersi per evitare nuove invasioni . L’invasione effettuata dalle Orde Mongole, nel 1223, decretò il totale collasso della Rus’ di Kiev https://it.wikipedia.org/wiki/Rus%27_di_Kiev; l’invasione, e il dominio mongolo , mise nel sentimento russo il costante timore di un’invasione territoriale da parte di una potenza straniera. L’assenza di quelle barriere geografiche influenzò la politica estera dei leader russi ( Zar e URSS), e spinse questi leader ad intraprendere campagne militari mirate all’espansione della Russia per creare una linea di difesa naturale per poter affrontare qualsiasi invasore lontano dal cuore dello Stato Russo. Un’altra variabile, per la classe dirigente imperiale russa, è la teoria del “vuoto di potere” . Seguendo questa teoria lo Stato tenderà ad espandersi in quei territori liberi posti al confine [della Russia] che considera senza nessun potere politico, nonostante siano popolati. Nella storia russa la redistribuzione del potere, iniziato nel corso del XVI secolo, è stato fondamentale per il Principato di Mosca e per la sua vittoria contro la principale minaccia proveniente dall’Oriente: I Khanati eredi dell’Orda D’oro.
Inizialmente l’espansionismo russo verso Occidente fu bloccato dalla presenza di forti entità statili, come la Svezia e la Polonia, intensificò l’espansionismo dell’Impero Russo verso le regioni orientali e centrasiatiche . L’espansione verso quei territori era stato influenzato anche dal timore (poi fondato) che quei territori potessero essere annessi da altre potenze, come l’Impero Britannico.
In tutte le avventure istituzionali russe si è avuto una concezione centralista del potere statale. Nella mente russa era, ed è ancora, fortemente radicata il pensiero che lo Stato Russo doveva rimanere stabile e forte per sopravvivere . Però bisogna abbattere il pregiudizio dell’assolutismo russo sulla politica estera dell’Impero. Prima dell’avvento di Pietro il Grande, gli Zar (Czar =Cesare) hanno dovuto condividere l’autorità con due istituti di rappresentanza: la Duma boiara e gli Zemskij Sobor; questi due organi li possiamo paragonare a due organi dell’Europa Occidentale:il Primo ai Consigli regi e il secondo agli Stati Generali. In un sistema,come quello Russo, che si poggia sulle consuetudini e sulle tradizioni è complesso capire la vera portata di queste assemblee ,che ,tuttavia,avevano competenza anche su materie delicate come la guerra e la pace. Con l’avvento di Pietro il Grande, sul trono imperiale russo, lo zar riformò l’amministrazione e la burocrazia statale dell’Impero, sul modello delle nazioni occidentali, visitate dal sovrano, ai tempi precedenti alla sua salita al trono degli zar, con la creazione di un nuovo Organo:I l Consiglio di Stato. L’organo, fino al 1905, ebbe solamente una funzione prettamente consultiva.
Il centralismo statale russo ha avuto due ripercussioni decisive nella politica estera dell’Impero Russo . La Prima si vide in una guerra europea. Si pensi che nel 1762 Pietro III decise di ritirare le truppe russe dalla guerra dei sette anni e di allearsi con l’ex nemico Federico II di Prussia . Nella seconda, la più importante per comprendere l’espansionismo russo , permise ai generali dell’esercito imperiale e ai governatori ,delle regioni poste ai confini,di intervenire decisivamente nella politica estera della Russia. Per loro era un rischio, sapevano che dovevano far felice lo Zar e per questo si assumevano l’intera responsabilità di una conquista, sapendo che, a seconda dell’esito finale, avrebbero ottenuto o solo onori o la rovina. Le conquiste effettuate in Asia Centrale e nell’Estremo Oriente, sono state effettuate da generali arditi come Mikhail Cernjaev e Erofej Pavlovič Chabarov.
Nella Russia Imperiale anche i dirigenti politici dovevano dimostrare personalità e spirito d’iniziativa, se da una parte c’erano i generali dell’esercito che mostravano personalità e portatori di azioni vere e proprie nella politica estera, da cui potevano scoppiare vere e proprie guerre contro potenze europee, doveva essere al di sopra di tutti la personalità dello Zar. Infatti il potere dell’Imperatore [di tutte le Russie] era indiscusso, ma se avesse dimostrato qualsiasi debolezza e se si sarebbe dimostrato incapace di imporre le sue decisioni sullo scacchiere internazionale dell’epoca, gli organi, prettamente consultivi, che erano dietro di lui, potevano ampliare la loro sfera d’influenza, ai danni dello Zar, fin da poter assumere decisioni anche nella politica estera dell’Impero.
Il carattere dei dirigenti russi è il più delicato e complesso avendo tra le sue componenti diverse variabili in gioco come l’ideologia, il carattere e molte variabili che, all’interno della cerchia Imperiale Russa, potevano influenzare le decisioni dello Zar. Durante l’epoca imperiale e zarista il carattere forte del leader era decisivo per la politica estera. Tra gli esempi ricordiamo il regno di Pietro il Grande e la sua passione per l’Europa; prima di diventare Imperatore visitò l’Inghilterra, la Francia e il Sacro Romano Impero e Amsterdam,dove imparò la cantieristica navale; o il regno di Alessandro I e del suo ardore ascetico, il suo ascetismo, oltretutto, lo portò ad ideare la creazione della Santa Alleanza fondata sui princìpi Cristiani; ed infine il successore di Alessandro I ,Nicola I , che fece della Russia il Gendarme e garante della Restaurazione post-napoleonica.
Nell’espansionismo Russo è presente una caratteristica decisiva per comprendere la loro geopolitica: Geopolitical stress teorizzato da Tranin.
Tranin parla di questa caratteristica come un tratto presente nel pensiero profondo della classe dirigente russa ; l’animo russo, secondo Trenin, è sospeso in mezzo ad una visione occidentale e una asiatica. L’espansionismo verso l’estremo Oriente si intensificò dopo la sconfitta russa nella Guerra di Crimea (1855-1856) . La guerra di Crimea fu un grave schock per l’aristocrazia; non tanto per la sconfitta dell’Impero, che fino al conflitto del 1855-1856 aveva vinto ogni guerra che aveva combattuto dai tempi di Pietro il Grande, ma sopratutto perché venne sconfitta da una coalizione di potenze occidentali composta da Francia ,Grand Bretagna, Regno di Sardegna e Impero Ottomano https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Crimea .
Dostoevskij,in una sua opera, scrisse che : << “Essa [l’Europa] non crederà mai che noi[la Russia] possiamo prendere parte alla loro civiltà. Essa ci considera intrusi , usurpatori , ladri che hanno rubato la civiltà dell’Europa e si sono vestiti delle sue vesti. L’Europa si sente più vicina ai turchi e ai semiti che a noi, ariani…” >>. L’espansionismo russo verso Est acquisì una identità Europea. Una forma di rivalsa contro l’Occidente e un tentativo di confrontarsi “all’europea” con i popoli dell’Asia. In questo periodo l’espansionismo russo pensò, fatalmente, di aver ricevuto una missione di civilizzare il continente asiatico. Le truppe imperiali russe si fecero portatori della modernizzazione occidentale in Asia ; in poche parole l’occidente non vedeva di buon occhio la Russia, ma la visione europea venne utilizzato dai russi per assumere un atteggiamento di superiorità nei confronti dei popoli asiatici. La missione Europea divenne strumento, per l’intelligencja russa, per l’imperialismo russo in Oriente. Dostoevskij ,analizzando questo sentimento, precisa :<< “L’Europa è la nostra madre, la nostra seconda madre . Da lei abbiamo appreso molto e molto apprenderemo senza essere ingrati[…] . In Europa siamo stati schiavi e parassiti, in Asia saremo europei. La nostra missione civilizzatrice in Asia ci rinfrancherà”>>.

Nel corso dei secoli (18° e 19° secolo) l’espansionismo dell’Impero Russo è stato sempre visto come pericoloso e ostile , frutto della naturale aggressività dei russi. La politica estera di Pietrogrado e di Mosca, prima dai Britannici poi dagli Statunitensi, sono state considerate operazioni che hanno confermato, agli occhi degli europei, la loro ostilità nei confronti degli occidentali. Nel XXI secolo si sta svolgendo una nuova ridistribuzione del potere; ma i territori “liberi” si sono esauriti e l’espansionismo russo sta assumendo nuove form . Mosca ha limitato l’utilizzo dell’Hard Power e intensificato il soft power come la lingua, la cultura, le tradizioni, la finanza, l’energia e la sicurezza. Ancora oggi la letteratura Occidentale continua a rappresentare la Russia come il nemico da sconfiggere, nonostante il suo ridimensionamento dopo il 1991, ma rimasto saldamente intenzionato a proseguire il percorso per il dominio scritto nel lontano XVI secolo. Queste analisi sono sbagliate visto che Mosca adesso tenta, non senza rischiare, di riaffermare i suoi interessi nazionali che percepisce in pericolo.

Analizzando queste componenti possiamo affermare che l’espansionismo russo, togliendo l’aggressività del popolo russo, trovi le proprie origini in varianti, che agiscono, su molteplici piani che influenzano la politica estera russa del 21° secolo. Nella Russia di Putin molte di queste variabili sono ancora utilizzate e inalterate, altre vengono riviste utilizzando nuovi parametri infine altre, utilizzando il processo per ridefinire la qualità dello Stato-Nazione della Russia, sono totalmente nuove.

Il Nobile Ukhtomskij:precursore dell’Asiatismo Russo e oppositore dell’Imperialismo.

Nella seconda metà dell’Ottocento la Russia decise di impegnarsi in una politica ambiziosa,e alla fine fallimentare, verso l’estremo Oriente. In questo scenario emerge la figura politico-culturale del principe Esper Ukhtomskij. Laureatosi a Pietroburgo iniziò a lavorare al ministero dell’Interno, precisamente al dipartimento delle Religioni straniere del ministero dell’Interno. Tra il 1886 e il 1890 viaggia tra i paesi dell’Oriente (Transbajkalia, Mongolia, Cina, Ceylon) studiando soprattutto la cultura buddhista. Nel 1888, in un memorandum del ministero dell’Interno, prende le difese dei buddhisti burjati obbligati a tentativi di conversione dei missionari Ortodossi. Per queste competenze, e per la sua appartenenza all’aristocrazia russa, accompagnò come esperto di culture orientali l’erede al trono e futuro zar Nicola II in un viaggio che fece nel vicino oriente e in Estremo Oriente nel 1890-91. Questo raffigura l’interesse di Nicola II per l’Oriente e per una politica russa in Estremo Oriente. Al seguito dell’erede al Trono, si imbarcò a Trieste toccando Grecia, Egitto, Suez, Aden, Delhi, Jaipur, Ceylon, Siam, Giappone e Cina giungendo a Vladivostok. Da Vladivostok, attraverso la ferrovia Transiberiana, fece ritorno a Pietroburgo. Durante il viaggio Nicola rimase ferito durante un attentato in Giappone, ricevendo un colpo lieve alla testa. Secondo Sergej Vitte, l’astuto ministro delle finanze Russo, Nicola II era attratto sia mentalmente sia sentimentalmente più dall’Oriente Estremo che dal vicino Oriente e all’Occidente. Secondo Vitte questo caratterizzò fortemente il suo regno. Quando salì al trono, secondo le memorie di Vitte, per lui fu naturale immaginare nella sua anima un’espansione verso l’estremo oriente del Grande Impero Russo e della sottomissione del bogdykhan cinese alla pari dell’emiro di Bukhara aggiungendo nuovi titoli assieme a quello Imperiale come bogdykhan della Cina o mikado di Giappone. Il Principe Ukhtomskij, di questo viaggio, redasse un resoconto semiufficiale intitolato “Il Viaggio in Oriente di sua Altezza Imperiale” 1890-1891. Questo “Diario”venne rivisto da Nicola II in Persona prima di venir pubblicato e tradotto in Francese, inglese e Tedesco. Quest’opera costituisce una sorta di manifesto dell’orientamento “asiatico” della politica estera russa. Si legge che : “L’Asia Russa nel 1891 vive un momento importante del suo Sviluppo come della Sua Storia (...) , dimostrando il solido legame tra la popolazione locale e la Casa Imperiale (...) indicendo gli occhi della Capitale a volgere lo sguardo con occhi diversi il diseredato Estremo Oriente(...) dove abbiamo il diritto di attenderci in tempi brevi un poderoso moto in avanti verso il definitivo consolidamento della supremazia russa in Asia. La Siberia è la nostra grande Avanguardia”.

Il principe Esper Ukhtomskij,no nostante sia un fervente sostenitore dell’espansione russa in Asia Orientale, non condivideva l’idea di superiorità culturale e spirituale dell’Europa e della Russia nei confronti dell’Asia. Le note del Principe, durante i suoi viaggi, criticano l’imperialismo britannico ed europeo e le perplessità verso le pretese di imporre ai popoli d’Oriente i valori culturali e politici dell’Occidente. A suo giudizio la Russia si doveva ben guardare dall’imperialismo aggressivo occidentale e non doveva per nessuno motivo imitarlo. Secondo il Principe la “supremazia” viene intesa dai russi come un’autentica missione (podvig) e come un servizio reso al benessere dell’umanità, invece gli europei intendono la supremazia come un mezzo per sottomettere le razze ritenute inferiori. Secondo Ukhtomskij questo rafforza il legame spirituale della Russia con l’Asia e, soprattutto, con l’India. Ukhtomskij afferma che:<< “ tra la terra che oggi abbiamo lasciato e la nostra Scizia vi sono molti tratti in comune, affinità psichiche e analogie non percepibili al primo sguardo”. Ukhtomskij rimase fortemente influenzato dall’India per le sue vicinanze alle suggestioni teosofiche. Infatti il principe russo, a differenza dei teosofi americani ed europei, poteva reclamare per il suo paese una natura più orientale che occidentale. Ukhtomskij afferma che: “Nulla di più facile per i russi che intendersi con gli asiatici. Tra noi e loro c’è una tale comune percezione riguardo le questioni essenziali dell’esistenza che subito e in modo forte crea una sorta di affinità spirituale”.>>

Di diverso avviso era Ukhtomskij nei confronti dell’Islam.
Infatti il principe utilizzava il termine Busurmany per indicare i musulmani e non aveva simpatie neanche per i popoli turchi delle steppe che li definiva “rapace” Turan. Per rafforzare la sua tesi del profondo legame tra la Russia(soprattutto Prepetrina) e l’India ,il principe russo evidenziava la comune lotta di liberazione dei due paesi contro i conquistatori turchi e musulmani(tatari e mogol) e accostò lo scontro degli ari dell’era vedica e degli slavi russi contro le popolazioni allogene; nei suoi scritti afferma che:<< “l’Asia Centrale ,che per interi secoli ci ha angosciato tanto quanto la Pentapotamia con l’incessante risacca delle inquiete steppe,gradualmente si trovò dinanzi a un’incrollabile parete vivente costituita da guerrieri ari (per lingua e cultura),uniti e decisi a sconfiggere e respingere l’odiato Turan”. Penso che questa rivendicazione ,da parte di Ukhtomskij , non vada analizzata come razzista nella comune discendenza aria , ma dimostra il suo atteggiamento ostile nei confronti dell’elemento turanico che lo distingue totalmente dalla turcofilia eurasiatista di Leont’ev e dei successori eurasisti. Ukhtomskij ,invece ,provava molta simpatia per le popolazioni mongole che erano stanziate nell’Impero Russo e che ,con la loro fede buddhista ,costituivano una sorta di Trait-d’Union tra la Russia ortodossa e autocratica e l’Asia. Infatti scrive che: “ Il passo di transizione tra noi e i cinesi è formato dai mongoli ,i quali hanno accolto con convinzione questa idea della Russia e della sua guida suprema ,che per loro è in’incarnazione di Cagan-Dara-eche,una delle manifestazioni radiose di Buddha. I tibetani ,che hanno intensi rapporti con i nostri burjati, a poco a poco assorbono in profondità questi pensieri”.>> Ukhtomskij vedeva che la natura asiatica della Russia era percepita con chiarezza dai popoli dell’Oriente che da secoli simpatizzavano per il sovrano russo denominato da queste popolazioni lo “car’ bianco”. Questo grazie al fatto che la conquista russa delle terre ad est del Volga e degli Urali era stata caratterizzata più da un carattere colonizzatore che di conquista . Secondo il Principe ,nonostante la durezza dei pionieri e l’incapacità spirituale degli stessi missionari ortodossi ,nella colonizzazione russa dei territori asiatici ,infatti , non c’era nessun atteggiamento razzista che invece era presente in quella occidentale. Per il Principe ,oltretutto, i Cosacchi ,che con un’epica corsa dagli Urali al Pacifico in pochi decenni conquistarono l’intera Siberia , vedevano nella Siberia come una terra legata a loro e non si sentivano stranieri. Ukhtomskij teorizzava che le popolazioni siberiane avevano sofferto lo scontro culturale ed economico ma non le conseguenze di una aggressione deliberata da parte russa. Le popolazioni che hanno saputo resistere ,come le popolazioni più evolute burjati e jakuti ,vivono in una sorta di pacifica convivenza con i russi grazie al rapporto naturale che c’era tra la Russia e le popolazioni asiatiche. Tentando di confermare questa tesi ,in quell’epoca ,il Principe Ukhtomskij scrisse che:<< “ A tutt’ora non possediamo né trovare un confine delineato al di là del Caspio ,dell’Altaj e del Bajkal, una precisa linea di demarcazione naturale , al di là della quale termini con chiarezza quanto è “nostro”. Le sfumature del Cambiamento , soprattutto dai possedimenti russi a quelli Cinesi ,sono impalpabili, quasi inafferrabili . Da noi[nell’Impero Russo] ,nelle regioni centrali , vi sono cosacchi buddhisti tra i reparti del Don e degli Urali , membri della stessa stirpe che da molto tempo è suddita di Pechino. Sul fiume Manyč incontriamo lama che indossano gli stessi abiti di quelli delle vette tibetane. Personalità del Buddhismo settentrionale circolano liberamente da Calcutta alla Siberia sino alla nostra Capitale [Pietroburgo] . Il panorama grandioso offerto dalla natura delle nostre antiche periferie orientali corrisponde completamente a quello in cui si formarono i caratteri ,sinora insufficientemente studiati dagli storici, del “transbajkalico” Gengis Khan , dei grandi contemplatori e degli asceti di sangue mongolo , ma la cui concezione del mondo era puramente indiana; e infine quei cosacchi che conquistarono l’Oriente , vere incarnazioni della “forza e dell’audacia russo-allogena”.>> Il Nobile russo sperava che i russi comprendessero la natura più autentica della loro patria «“slava per lingua e religione ,ma per sangue singolarmente variegata e mescolata con elementi allogeni , che si risveglia naturalmente sotto l’impulso universale della cultura occidentale e in futuro ancora più consapevolmente si risveglierà in qualità di mondo rinnovato e “orientale” ,con il quale non solo gli asiatici suoi vicini ,ma anche l’indù e il cinese in sostanza hanno e avranno incommensurabilmente in comune più interessi e simpatie che i colonizzatori del tipo elaborato dagli europei negli ultimi quattro secoli”» .

La rivendicazione asiatica della Russia è, per Ukhtomskij ,superiore a quella occidentale accennata nella cultura russa in precedenza. Il nobile Russo scrisse che: «L’Occidente ci vuole disciplinare intellettualmente ,ma la sua azione raggiunge ,in sostanza, la superficie della nostra vita [la Russia]. Al si sotto ,nelle viscere della tradizione popolare ,tutto è impregnato e determinato da concezioni e credenze orientali ,tutto tende a forme superiore dell’essere , a vaste aspirazioni umane ,radicalmente diverse dalla concezione del mondo ,uccisa da materialismo ,degli europei contemporanei di medio livello». Ukhtomskij pensava che la Russia ,approfondendo il suo rapporto con l’Asia, avrebbe potuto rompere la sottile patina europea e ritrovare se stessa ,aiutando, allo stesso tempo , i popoli orientali a liberarsi dal repressivo e soffocante colonialismo europeo. Per fare tutto ciò avrebbe dovuto riprendere l’atteggiamento della tarda Moscovia nei confronti dell’Asia,senza pregiudizi eurocentrici dell’epoca pietroburghese , attuando una politica Imperiale , ma non imperialista. Questa richiesta auspicata da Ukhtomskij venne disattesa. Con l’abbandono della collaborazione tra l’Impero Russo e quello Cinese ,i due maggiori imperi “asiatici” , attuata alla fine del XIX secolo vide un rafforzamento della politica aggressiva,marchi di fabbrica dell’Imperialismo Europeo, della Russia che la coinvolse , in prima persona prima nella rivolta dei Boxers in Cina nel 1900 e poi in una rovinosa guerra contro il Giappone(guerra Russo-Giapponese 1904-1905) . Questi eventi suscitarono lo sgomento del Nobile Russo che vide in essi e al di la del loro esito militare,a favore della Russia nel primo caso e sfavorevole nel secondo, con l’abbandono definitivo in Oriente di una politica “asiatica” della Russia in favore di una “europea”. Infatti l’asiatismo estremo-orientale Ukhtomskijano conobbe un duplice successo teorico e pratico. Il suo misticismo russo-asiatico non gli tolse il ruolo di guida culturale,politica ed economica attiva nelle questioni orientali con cui aveva ,inizialmente ,forte credito presso Nicola II, imperatore russo dal 1894 . In effetti ,sin dal loro viaggio in Oriente fino alla fine del Secolo, Ukhtomskij fu il principale ideatore del “piano Buddhista” della politica estera russa a cavallo tra il XIX e il XX secolo all’apice della sua fase “estremo-orientale”. Il supporto presso il nuovo Zar russo (car’) gli consentì di acquisire ,nel 1895, il Sankt-peter-sburskie vedemosti , un giornale di posizioni conservatrici ,lontano da posizioni scioviniste ,che sotto la sua direzione divenne il principale organo di stampa per le questioni orientali. In quegli anni collaborò a stretto contatto con Vitte (il ministro delle finanze russo che contribuì alla costruzione della Transiberiana)per rendere reale e produttiva la conquista della Siberia e dell’Estremo Oriente. Nel 1896 venne nominato direttore della Banca Russo-Cinese,nata nel 1895, e socio di una miniera d’oro in Mongolia amministrata da una compagnia Franco-Belga. Nel 1897 Ukhtomskij venne inviato a Pechino per collaborare alla stesura del Trattato con cui la Cina autorizzava la costruzione sul suo territorio (attraverso la Manciuria) di una linea ferroviaria che divenne l’avamposto dell’espansionismo russo verso l’Estremo Oriente diventandone ,oltretutto, dirigente. Nel 1900 ,all’epoca della rivolta dei Boxers, venne incaricato nuovamente per una nuova missione in Cina. Nei successivi anni Ukhtomskij si occupò di questioni orientali sia nelle vesti di direttore del Sankt-peter-sburskie vedemosti sia con alcuni testi pubblicati durante gli eventi politici come la rivolta dei Boxers in Cina, la guerra russo-giapponese e l’invasione britannica del Tibet . Il fallimento della politica estremo-orientale russa , alla quale aveva contribuito , fece diminuire il suo ruolo politico e culturale. Il Nobile Esper Ukhtomskij morì per cause naturali nel novembre del 1921 a Carskoe Selo. Ukhtomskij apri la strada all’Asiatismo russo e all’Eurasiatismo. Vari personaggi ,tra il 1800 e il 1900, avrebbero assunto un ruolo determinante nella politica asiatica della Russia. Tra questi il medico Pëtr Badmaev (1849-1920) e il monaco Agvan Doržiev (1854-1938) che per due decenni tentarono di avvicinare ,senza successo,i popoli buddhisti della Mongolia e del Tibet alla Russia.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 10:32 am

Organizacija criminale
La locuzione mafia russa (in lingua russa Organizacija "organizzazione", anche mafija) indica il complesso di organizzazioni criminali di stampo mafioso originarie della Federazione russa.
https://it.wikipedia.org/wiki/Organizacija
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 10:33 am

I crimini e gli orrori del KGB e del comunismo


I crimini del comunismo

https://www.museodelcomunismo.it/8-term ... smo/26-kgb

Di che cosa parleremo, quindi? Di quali crimini? Il comunismo ne ha commessi moltissimi: crimini contro lo spirito innanzi tutto, ma anche crimini contro la cultura universale e contro le culture nazionali. Stalin ha fatto demolire decine di chiese a Mosca; Ceausescu ha sventrato il centro storico di Bucarest per costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi viali; Pol Pot ha fatto smontare pietra dopo pietra la cattedrale di Phnom Penh e ha abbandonato alla giungla i templi di Angkor; durante la Rivoluzione culturale le Guardie rosse di Mao hanno distrutto e bruciato tesori inestimabili. Eppure, per quanto gravi possano essere a lungo termine queste perdite, sia per le nazioni direttamente coinvolte sia per l'umanità intera, che importanza hanno di fronte all'assassinio in massa di uomini, donne e bambini?

URSS, 20 milioni di morti,
Cina, 65 milioni di morti,
Vietnam, un milione di morti,
Corea del Nord, 2 milioni di morti,
Cambogia, 2 milioni di morti,
Europa dell'Est, un milione di morti,
America Latina, 150 mila morti,
Africa, un milione 700 mila morti,
Afghanistan, un milione 500 mila morti,
Movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti.

Il totale si avvicina ai 100 milioni di morti. Questo elenco di cifre nasconde situazioni molto diverse tra loro.

In termini relativi, la palma va incontestabilmente alla Cambogia, dove Pol Pot, in tre anni e mezzo, è riuscito a uccidere nel modo più atroce - carestia generalizzata e tortura - circa un quarto della popolazione. L'esperienza maoista colpisce, invece, per l'ampiezza delle masse coinvolte, mentre la Russia leninista e stalinista fa gelare il sangue per il suo carattere sperimentale, ma perfettamente calcolato, logico, politico.

Brano di Stéphane Courtois dal capitolo "I crimini del Comunismo" da "Il libro nero del comunismo" (Mondadori)




La sera ci spiava il Kgb
di Carlo Rossella
2014/11/10

https://www.ilfoglio.it/articoli/2014/1 ... -kgb-78281

Il Segretario generale del Pcus, il Partito comunista sovietico, abitava in un palazzo d’inizio Novecento sul Kutuzovsky Prospekt. I giornalisti che dimoravano al numero 13 vedevano passare ogni giorno per due volte, una al mattino verso le otto e una alla sera, intorno alle sette e mezzo, la Zil nera coi vetri oscurati del grande capo delle Repubbliche socialiste sovietiche, la seconda potenza del mondo dopo gli Stati Uniti d’America.

Leonid Breznev, il più compagno dei compagni, stava seduto dietro l’autista. Nel viaggio di andata verso il suo ufficio al Cremlino leggeva i giornali, che emanavano un forte odore di inchiostro. Al ritorno scrutava la città dal finestrino.
La Zil andava veloce nella corsia riservata alla nomenklatura. I fanali antinebbia, grandi, erano sempre accesi, la sirena faceva sentire un inconfondibile fischio, capace di far capire a tutti i passanti e a tutti i residenti che “Lui” era in movimento “per il bene della patria socialista”, come soleva proclamare il commentatore di Radio Mosca. Lasciata la villa fra le betulle e gli abeti, Breznev percorreva il viale, consacrato alla memoria del maresciallo zarista Michail Illarionovicˇ Kutuzov, l’eroe che sconfisse Napoleone Bonaparte costringendo la sua armata, sepolta nella neve, a ritirarsi dalla Russia con disonore.

Sia d’estate che d’inverno la Zil procedeva alla stessa velocità. E così le auto del seguito. Una volta arrivato sulla Piazza Rossa il conducente infilava la porta Spasskaia e si fermava davanti all’ingresso di un palazzo color ocra, dove stava l’ufficio dal quale si governava l’impero rosso. Fuori, oltre le mura del Cremlino, nella Piazza Rossa c’era un gran silenzio, rotto ogni tanto dal gracchiare delle cornacchie che volavano sopra la coda di fedeli, in attesa di entrare nel mausoleo di Lenin.

Col freddo, da quelle bocche usciva un fumo bianco. Le shapke, i colbacchi, coprivano d’inverno dal gelo e dalle punture di spillo della neve gelata, spinta dal vento contro le facce degli uomini e delle donne in coda. Facce di ogni angolo dell’Urss; asiatiche, gialle con gli occhi a mandorla, oppure brune di armeni o georgiani, o bianchissime di ucraini o rosate dei russi. Gli aliti odoravano di vodka, tabacco, aglio, caffè. Qualcuno si era portato proprio il caffè o il tè molto nero dentro un thermos.
La coda per raggiungere la tomba di Lenin era scura, un serpente nero e marrone sulla neve gelata. I ricordi di Mosca che molti viaggiatori conservano sono soprattutto invernali. Era bello vedere il 7 novembre la parata dell’Armata rossa sotto la neve: le bandiere vittoriose contro i nazisti, i cappotti e i colbacchi dei soldati, i berretti neri di pelo dei marinai, i carri armati e le batterie lanciamissili, orgoglio, in quegli anni, dopo l’impresa di Yuri Gagarin, dell’industria aerospaziale sovietica.

Gli applausi della Piazza Rossa accoglievano la banda militare, e le sue marce solenni. Poi, all’apparire dei leader, con cappotto grigio, sciarpa grigia e shapka nera, tutti si mettevano sull’attenti ad ascoltare l’inno nazionale.

Le facce di Breznev, Yuri Andropov, Nikolaj Kosygin, Ekaterina Alekseevna Furceva erano pezzi di marmo. Lei, la Furceva, ministro della Cultura, appariva molto elegante nel cappotto nero con collo e manicotti di astrakan. La compagna era l’unico volto femminile dei potenti, bella e impossibile. Si diceva fosse stata l’amante di Stalin, ma si trattava di un pettegolezzo degli apparatchiki. La Furceva, donna di gran gusto, si faceva mandare i modelli di carta da Parigi per i suoi tailleur, confezionati dalle sarte del Cremlino. Teneva nel bagno dell’ufficio un flacone di Shalimar di Guerlain, il suo profumo preferito. Se ne metteva una goccia anche prima di recarsi alle riunioni del Politburo dal compagno Breznev.

Anche lui amava profumarsi con una misteriosa acqua di colonia tedesca, gli piaceva imbrillantinarsi i capelli e aveva la mania degli abiti sempre ben stirati, con una piega perfetta a ogni ora del giorno e della sera. Accanto al suo ufficio c’era il guardaroba, talvolta il profumo dei vapori del ferro da stiro raggiungevano la scrivania del segretario. Quando leggeva i dossier da solo, Breznev si rilassava un poco: pantofole, camicia senza cravatta, un pullover di lana grigio. Al compagno Leonid toccava farsi la barba due volte al giorno, ammorbidendosi la pelle con una crema alla mandorla, la stessa che andava a ruba quando appariva sui banchi del Gum.

A Mosca tutti sapevano che al Segretario piacevano le belle auto e anche le belle donne. Ma rare sono le sue foto con splendide vetture. E nessuna immagine è mai apparsa del compagno Leonid con accompagnatrice. A Breznev le istantanee che lo ritraevano in privato davano fastidio. Non ce ne sono molte e tutte sono passate attraverso il vaglio inflessibile dell’ufficio propaganda e soprattutto del Kgb.

Il palazzo della Lubjanka, in piazza Dzerjinski, nel cuore di Mosca, non lontano dal Bolshoi, era il regno di Yuri Andropov. Il capo del Kgb, potentissimo e temutissimo, abitava sul Kutuzovski Prospekt, nello stesso palazzo di Breznev, una residenza della grande nomenklatura attentamente sorvegliata 24 ore su 24 dalle guardie in divisa (berretto con fascia rossa) del Kgb. Nel suo appartamento, librerie con molti volumi americani e inglesi e finestroni con tende di lino pesante, come negli alberghi di lusso moscoviti.

Andropov, come del resto Breznev, poteva vedere le palazzine del numero 13, riservate agli stranieri, uomini d’affari, diplomatici e giornalisti. Un ghetto ben sorvegliato dal Kgb, dove era impossibile entrare senza mostrare i documenti e farseli registrare. Gli appartamenti erano pieni di microfoni. Si diceva che gli apparecchi di registrazione ambientale fossero in soffitta, sotto il controllo dei servizi di intelligence. La stampa straniera, in quel tempo in cui la voce dei dissidenti pur soffocata arrivava all’informazione e all’editoria internazionale, era molto studiata dal Kgb. Aveva fatto paura la comparsa in occidente del “Dottor Zivago” di Boris Pasternak, romanzo pubblicato per primo dall’editore italiano Feltrinelli e trafugato a Mosca.

Erano sotto osservazione Andrej Siniavski e Yuri Daniel, ma anche Evgenij Evtusenko e poetesse come Bella Achmadulina. Ma il nemico numero uno del Cremlino era Aleksandr Solgenitsin, perseguitato, mandato in esilio in Siberia e infine costretto a lasciare la Russia. La parola Solgenitsin faceva venire la scarlattina a Breznev. E anni dopo lo stesso prurito venne a Andropov quando scappò il famoso ballerino Barishnikov.

Ancora prima di recarsi in ufficio, Andropov, che conosceva l’inglese, si faceva mandare la rassegna stampa dei giornali internazionali di Londra e di New York, inviata via telex dall’Agenzia Novosti .

Andropov sottolineava gli attacchi all’Urss e ai dirigenti con una matita viola, il colore della rabbia.

Ai sovietici davano però soprattutto fastidio gli scoop dei corrispondenti occidentali a Mosca. Erano pochi ma buoni, in grado di far indispettire parecchio i vertici del Cremlino. I reporter stranieri non erano graditi e il Kgb li teneva sotto controllo per scoprire abitudini, amori segreti, relazioni con cittadini sovietici. Si paventavano soprattutto le indiscrezioni provenienti dal Cremlino e date in pasto alla cremlinologia, una scienza, non proprio perfetta, ma molto invisa. La Pravda e l’Izvestia attaccavano con nome e cognome i giornalisti oppure, con l’eufemismo “circoli occidentali”, i diplomatici che fornivano ai corrispondenti preziose notizie. Non era gradevole per un giornalista europeo o americano subire una reprimenda al ministero degli Esteri, in quel palazzo in stile staliniano dove tutti guardavano gli stranieri con un sorriso molto sospettoso, impensabile altrove.

Allora il ministero degli Esteri era il regno di un impenetrabile personaggio con una faccia da giocatore di poker, Andrej Gromyko. Anche lui abitava nel palazzo della grande nomenklatura sul Kutuzovski prospekt. In casa aveva un impianto della Rca per ascoltare la sua musica preferita: lo swing americano di Ella Fitzgerald e degli altri cantanti jazz dal 1930 in poi. Gli piaceva bere un drink, prima di cena sentendo Ella nei duetti con Louis Armstrong. Oppurte Nat King Cole, un po’ più popular e molto gradito alla sua consorte.

Quando arrivarono i Beatles, fu Gromyko uno dei principali fan segreti del complesso inglese. I figli dei leader si scambiavano dischi e libri occidentali. Il Kgb aveva un bel da fare a spiarli attraverso inservienti, autisti e camerieri. Nulla doveva sfuggire ai suoi occhi attenti. Al servizio segreto avevano le piantine delle abitazioni, con foto dei mobili e tanti particolari che potevano mettere in mostra il benessere dei padroni di casa.

[**Video_box_2**]Su una bella residenza, un po’ burocratica, ma interessante soprattutto per i libri, come quella di Vjacˇeslav Molotov, ministro deglio Esteri di Stalin, caduto in disgrazia dopo il XX congresso del Pcus, ha scritto un magnifico saggio-racconto Rachel Polonsky. E’ un viaggio nel mondo sovietico attraverso Molotov (“La lanterna magica di Molotov”, Adelphi, 434 pagine., 28 euro). E’ un piccolo capolavoro che insegna come analizzare politicamente, letterariamente, storicamente, umanamente le case di certi personaggi che hanno fatto la storia.

Nelle città del mondo capita al viaggiatore che passeggia di vedere sulla facciata di case o palazzi delle targhe commemorative di uomini grandi e meno grandi, dall’arte alla politica allo sport, che hanno abitato fra quelle mura. In genere le epigrafi sono abbastanza banali e tutte simili. Ma aiutano a collocare il protagonista dentro un mondo.

Un mondo che dalla casa si allarga alla via, dalla via alla città, dalla città al paese. Per poi far ritorno nella casa. Sulla casa di un uomo che è stato protagonista di qualcosa che lo ha reso famoso, magari un assassino seriale, si può scrivere parecchio. La casa è la fotografia più vera dell’anima di un uomo o di una donna. Basta guardare i libri per capire tante cose. Ma anche i quadri, se ci sono, parlano, e così i mobili, gli armadi coi vestiti, le scarpe, il bagno. Capita di soffermarsi in una via, leggere una epigrafe e immaginare quell’uomo nel suo tempo, nelle sue abitudini, magari nei suoi amori. Quando si va in una città è sempre meglio avere un’idea di chi vi ha abitato per non rimanere sorpresi dalle informazioni incise su una lastra di marmo.
Una volta a Parigi, a Mosca, a Berlino, a New York c’erano tassisti che sapevano tutto sulle case degli altri, sui palazzi che avevano vissuto la felicità e il terrore, come gli alberghi di Roma o di Parigi dove la Gestapo interrogava e torturava le sue vittime.

Tutti possono conoscere dalle guide delle città gli indirizzi degli alberghi dove tante vite sono passate o dei ristoranti o dei locali notturni che ne hanno viste di tutti i colori. Ma è la scoperta delle abitazioni private che richiede una ricerca a volte faticosa Le scoperte si fanno, quasi per intero, sui libri. Ma bisogna avere a disposizione grandi biblioteche per indagare e scoprire, come fa un poliziotto che cerca un assassino. Gli indirizzi amano nascondersi, si divertono giocando a rimpiattino con chi li cerca. E, a volte, quando si trova l’indirizzo ci si accorge, andando sul posto, che quella casa non c’è più, che è scomparsa anche l’epigrafe, e che un altro palazzo con un’altra architettura ha preso il posto del precedente. E che anche la portinaia non possiede un briciolo di memoria storica.

Chi abitava a Mosca in piazza Arbatskaia, o in Piazza Vosstanja dove si ferma l’autobus 10 o piazza Komsomolskaia, accanto al vecchio caffè “Romantiki”? Guardando quelle finestre all’ora del pranzo e della cena, vengono in mente amati piatti russi come gli zakuski, il salmone o lo storione in gelatina, i bliny col caviale e la panna acida, il borscht caldo di barbabietole, i pelmeni, la kacha di semola, il kissel e il tè forte dopo un bicchierino di vodka Kristal.

Per fortuna Mosca, la città dura, che non crede alle lacrime (Moskva slezam ne verit) ha dedicato molte epigrafi ai suoi personaggi: militari, artisti o politici. Diverse furono le case abitate da Anton Pavlovicˇ Cˇechov, il commediografo più amato, più russo. Ciascuna a Mosca ha una targa. Le sue commedie hanno una suprema semplicità scenografica che fa da sfondo a drammi, passioni, amori, in una Russia ottocentesca tutta fiorellini e nebbioline e signorine di belle speranze e ufficialetti in divisa e giovanotti dabbene in redingote ma pronti a togliersela se è il caso e ne vale la pena.

Ci sono a Mosca dei letterati che arrotondano raccontando uomini e luoghi della letteratura. Aliosha, un interprete molto colto e simpatico, passo dopo passo mi fece rivivere, citando a memoria in russo, Trechpruduj Pereulok, dietro piazza Pusˇkin, luogo del “Maestro e Margherita”. Aliosha era non solo un appassionato di romanzi, ma anche di architettura. Gli piacevano i palazzi della “ricostruzione”, della crescita della città con Stalin e col suo capomastro Lazar Moiseevic Kaganovic, messo nel 1930 al vertice della organizzazione bolscevica della capitale. Fu Kaganovic a far abbattere la cattedrale di Cristo Salvatore (ricostruita da Boris Eltsin).

Per il compagno Lazar, Mosca “doveva essere la capitale del rosso rivoluzionario”. E lo fu fin quasi a Kruscev. Poi il rosso cominciò ad appannarsi, prima col XX congresso, che condannò i crimini di Stalin, e poi con la perestroika di Michail Gorbaciov.
Non c’è più la bandiera rossa con la falce e martello a sventolare sulla cupola più alta del Cremlino, ma la bandiera russa bianca, rossa e celeste. Mosca, la città che non crede né alle lacrime né alle nostalgie, si è presto adeguata a questi colori. Do svidanija Lenin.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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