Nazionalismo e federalismo in Europa

Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » ven nov 16, 2018 10:03 pm

Nazionalismi europei antisemiti e antisionisti
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » ven nov 16, 2018 10:43 pm

L'Europa che sognamo e che vogliamo
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Liberiamo l'Europa dai sensi di colpa, dai miti e dai pregiudizi
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » ven nov 16, 2018 10:44 pm

Democrazia, cittadinanza, valori doveri e diritti umani
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Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » lun nov 19, 2018 8:15 am

Giovanni Paolo II: difese la patria per difendere i popoli
Valerio Pece

http://www.lanuovabq.it/it/giovanni-pao ... pzHtNbPUxE

Oggi il patriotismo è dipinto come xenofobo, ma chi promuove il cosmopolitismo serve un potere non democratico. Il primo a dirlo è Giovanni Paolo II che scrisse: «Quando penso “patria”, esprimo me stesso...frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti». C'è chi dice che il papa si era "snazionalizzato", ma a Varsavia ribadì: «La parola “patria” ha per noi un significato affettivo».

«Il cosmopolitismo e il nazionalismo sono due facce della stessa medaglia. Il primo non ama nessuna identità, il secondo ama solo la propria e la vuole imporre agli altri (vedi la Germania nell’attuale UE). Chi ama davvero la propria patria rispetta tutte le altre. Wojtyla docet». Così, in un tweet, Antonio Socci rispondeva ad Antonio Polito, che su Il Corriere della Sera paventa il rischio di un Governo che tenti di «mettere il popolo (..) contro la democrazia». É dunque ancora “Karol il Grande”, fa intuire il giornalista senese, colui che più ha da dire sull’attualissimo nodo patria/nazionalismo. Vediamo.

Nel 1974 il papa polacco scriveva una poesia intitolata Pensando patria, versi forti, da meditare: «Quando penso “patria”, esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno». Per Karol Wojtyła, dunque, la patria non rimanda affatto ad un muro, ad una torre, ad un filo spinato. A tutto quello, cioè, che il mainstream rigurgita ogni giorno sul tema. Al contrario, la parola patria rimanda ad una finestra che si apre sugli altri, «una frontiera segreta che da me si dirama». È, questa, una cifra chiarissima (e sempre più attuale) del suo lungo pontificato.

Ne è convinto il carmelitano padre Aldino Cazzago, direttore della Rivista Internazionale di Teologia e Cultura, Communio. Nel suo libro Giovanni Paolo II «Ama gli altri popoli come il tuo!» (Jaca Book) padre Cazzago cerca di rispondere ad una domanda assolutamente insolita, ma a ben guardare per un cantore e amante della terra polacca come Giovanni Paolo II è difficile non porre. Per un Pontefice – chiamato dunque a servire l’universalità – il fatto di vivere così visceralmente il legame con il suo paese può configurarsi una virtù o una mancanza? Il dilemma si pone, se perfino lo storico Andrea Riccardi ha ammesso che Giovanni Paolo II è stato uno dei pochi papi che non si è «snazionalizzato». Tutt’altro.

Basti riascoltare le parole, potentissime, pronunciate durante il suo primo viaggio in Polonia. Appena atterrato a Varsavia, davanti ad una folla sterminata, disse: «La parola “patria” ha per noi un tale significato, concettuale ed insieme affettivo, che le altre Nazioni dell’Europa e del mondo sembra non lo conoscano, specialmente quelle che non hanno sperimentato – come la nostra Nazione – danni storici, ingiustizie e minacce». Era il 2 giugno 1979. Il preoccupatissimo regime comunista aveva obbligato le televisioni di Stato a inquadrature molto strette, solo di anziani e suore, e a non trasmettere l’audio della smisurata piazza (un commovente resoconto video di quei momenti si può vedere qui, dal min. 3.10).

Questa impertinente difesa della patria è il motivo per cui Micromega bollava Giovanni Paolo II come “oscurantista”, sbattendo l’appellativo in copertina. Centra perfettamente il punto Grzegorz Firszt, carmelitano della Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. Recensendo il libro di padre Aldino Cazzago, Firszt afferma: «Più Giovanni Paolo II è patriota, più risulta capace di servire altre nazioni, di difenderle, specialmente quelle piccole e indifese, soddisfacendo così il compito di un Pontefice la cui missione è di mettersi a servizio dell’uomo in prospettiva di universalità».

Ora, arrivare alla conclusione che il vero patriottismo sia tutt’altro che becero nazionalismo, con i tempi che corrono è già un buon risultato. Si spinge oltre Yoram Hazony, direttore dell’Istituto Herzl di Gerusalemme, filosofo politico ed editorialista del Wall Street Journal, nel suo fortunatissimo "The Virtue of Nationalism" (New York, Basic Books). Il nazionalismo non è un sentimento negativo, è anzi la virtù di chi resiste al risorgere degli Imperi. Questa è la sua tesi.

Marco Gervasoni, su Il Giornale, chiosando il libro di Hazony scrive che «l’antico popolo d’Israele è la prima nazione della storia e che questa Alleanza è più buona e giusta di quella dell’altra forma di organizzazione politica, l’Impero». Quello che segue è uno snodo fondamentale del libro di Yoram Hazony. «Non esistono infiniti modelli di comunità politica - scrive Gervasoni citando Hazony - anzi nella storia ve ne sono solo due: la nazione, e il suo opposto, l’Impero. Quando perciò molti esaltano modelli post-nazionali, globali, federalisti e quant’altro, anche se non lo sanno (o fanno finta di non saperlo) quello per cui essi si battono è un Impero». Questa, infine, la conclusione di Gervasoni, difficilmente confutabile: «La stessa Unione europea, come scrive Hazony, è strutturata come un Impero, fallace e fallimentare perché privo di un centro e guidato da un'autorità non politica ma tecnocratica, però pur sempre entità di carattere imperiale».

Fa sorridere, dunque, il monito di Angela Merkel, la quale, venerdì 9 novembre, al Congresso del Ppe tenutosi ad Helsinki ha tuonato contro il «nazionalismo che porta alla guerra». É ancora Antonio Socci a sottolineare come ci voglia una discreta dose di coraggio a lanciarsi in certe intemerate. «Con la storia che ha la Germania nel Novecento e con l’egemonia tedesca sulla UE di oggi (vero nazionalismo teutonico che sta facendo vincere alla Germania una guerra economica per noi devastante), la Merkel viene pure a dar lezioni?». Anche qui è difficile dare torto al giornalista.

Tornando a Giovanni Paolo II, per padre Aldino Cazzago l’insegnamento del pontefice polacco ricorda a tutti che «l’unificazione dell’Europa non deve essere fatta a scapito della storia e della peculiarità delle nazioni che sono coinvolte. Unificazione non è omologazione o appiattimento».

In questo senso risulta davvero imprescindibile il discorso che il Wojtyla fece all’Assemblea dell’Onu il 5 ottobre 1995. In un’allocuzione assolutamente sbalorditiva (almeno a leggerla con la “sensibilità” di oggi), dopo aver ricordato che «il diritto all’esistenza implica, per ogni nazione, anche il diritto alla propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime (..) sua originaria “sovranità” spirituale», san Giovanni Paolo II arrivò addirittura a parlare di “sopravvivenza delle nazioni” (con parole che sono la miglior legittimazione dell’imponente manifestazione di popolo che domenica ha riempito Varsavia al motto di “Dio, Patria, Onore”). «La storia – così San Giovanni Paolo II al Palazzo delle Nazioni Unite di New York – dimostra che in circostanze estreme (come quelle che si sono viste nella terra in cui sono nato), è proprio la sua stessa cultura che permette ad una nazione di sopravvivere alla perdita della propria indipendenza politica ed economica».
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » sab dic 15, 2018 9:55 pm

"Immigrazione di massa e masochismo Così muore l'Europa"
Eleonora Barbieri - Sab, 15/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 16769.html

Il giornalista «neocon» inglese: «La nostra civiltà è al tramonto e nessuno fa niente»

Douglas Murray ha un aspetto inequivocabilmente British: giornalista, commentatore politico, associate editor dello Spectator, collaboratore del Sunday Times e del Wall Street Journal, considerato un neocon d'Oltremanica, è autore del saggio La strana morte dell'Europa.

Immigrazione, identità, islam (Neri Pozza; il Giornale ne ha parlato, in anteprima per l'uscita italiana, il 28 ottobre) che nel suo Paese è stato un successo. «Lo ha pubblicato Bloomsbury, che ha avuto due bestseller nella sua storia: Harry Potter, e il mio libro...» scherza Murray, che è a Milano per un convegno su «Sovranità, democrazia e libertà».

Perché parla di «strana» morte dell'Europa?
«Nessuno si sarebbe aspettato che potesse andare così. In Francia il titolo è stato tradotto come il suicidio dell'Europa. È strano perché è sorprendente».

Cosa la sta uccidendo?
«Due fatti, insieme. Primo: l'immigrazione di massa, che sta cambiando completamente l'Europa. L'Italia sa bene di che cosa stiamo parlando».

L'altro?
«Quello che noi europei stiamo facendo con noi stessi: è strano che una civiltà cambi totalmente se stessa, sul piano culturale, filosofico e religioso, senza opposizione. Quello che mi ha colpito è che, dopo l'uscita del libro, ci sia stato molto dibattito sulla questione dell'immigrazione; mentre le domande che pongo su quello che noi europei stiamo facendo a noi stessi, ai nostri valori e alla nostra tradizione, non hanno sollevato critiche. Questo mi preoccupa: vuole dire che è tutto vero».

Oppure che non importa a nessuno?
«Entrambe le cose. È difficile negare quello che dico sulla civiltà europea al tramonto, ma allora bisogna chiedersi: cosa facciamo?».

E invece?
«Invece c'è una passività europea, che alza le spalle e dice: Beh, è andata così».

Anche da parte dei politici?
«Sì. Parlo sempre con i politici. Per molti di loro il discorso è l'azione...»

Anche Angela Merkel ha detto che il multiculturalismo è fallito.
«Nel 2010, a Potsdam. E dopo? E allora che facciamo?».

L'altro giorno a Strasburgo c'è stato un altro attentato.
«Questo attacco è la normalità con cui dovremmo vivere... Ieri sera qui a Milano sono andato a visitare il mercatino di Natale vicino al Duomo: c'erano i militari armati, le camionette, i dissuasori. Per me è triste. È quella che chiamo la bollardization of life, la dissuasorizzazione della vita».

Che cos'è?
«Ci stiamo abituando a questi dissuasori, che sono brutti e ingombranti, anche quando, come a Oslo, ci mettono sopra i fiori. Ma non è normale. E poi: perché non mettiamo dei buoni dissuasori alle frontiere, allora? Perché cingere con un anello di acciaio gli edifici, anziché i nostri Paesi, quelli che una volta si chiamavano confini?».

La tendenza è irreversibile?
«Non credo. Ma servirebbe una dose enorme di volontà politica per cambiare la storia, e non vedo questa volontà».

Che cosa bisognerebbe fare?
«La cosa più importante sarebbe rimpatriare gli immigrati illegali. Come ha promesso Salvini. Se non lo fa, significa che non ci sono più speranze».

Perché?
«Perché se non riesci a risolvere il problema delle persone che non dovrebbero essere qui, allora non puoi neanche parlare di tutte le questioni dell'integrazione. Se non è possibile fare i rimpatri, allora è finita: non avremo più confini, più Stati, e andremo avanti a usare i dissuasori».

Perché i politici non agiscono?
«Per pigrizia. È un continuo procrastinare le minacce».

Dall'altro lato c'è la crisi della civiltà europea.
«La diffusione del senso di colpa tedesco è uno stratagemma brillante per farci perdere fiducia in noi stessi. Io sono convinto che ci siano tutti i motivi per essere autocritici, ma non vedo alcuna ragione per essere masochisti».

Gli europei sono masochisti?
«Se l'autocritica mi aiuta a migliorare è un conto, ma se mi fa fallire, o morire, è un problema. Dobbiamo distinguere chi parla da amico e chi da nemico».

Dice che l'Europa è «stanca». Che significa?
«Credo questa stanchezza sia legata al sentire come tutte le opzioni siano sul tavolo. Negli scacchi si chiama zugzwang: quando sei obbligato a muovere un pezzo ma, qualunque mossa tu faccia, non migliorerai la tua situazione, anzi, la peggiorerai. Così è con l'immigrazione. Se lasci entrare tutti, hai i problemi di adesso. Se non lasci entrare tutti, ti danno del fascista. Che fai? E se dici che il passato dell'Europa è complesso, e di non concentrarsi solo sulle cose negative, perché c'è anche del buono, e quel buono sono delle conquiste straordinarie, che rendono l'Europa unica, allora sei un colonialista».

Il principio per cui si fa l'elogio di qualsiasi diversità, tranne che della cultura che le ha permesse...
«Noi fingiamo di essere uno spazio neutrale, in cui tutto il mondo possa entrare, e convivere. Credo sia una follia».

Nel libro cita sondaggi in cui appare chiara la distanza fra le decisioni dei politici e la percezione che i cittadini hanno di temi quali immigrazione e integrazione...
«Un cinico direbbe che questo succede perché i politici sanno benissimo, prima di andare al potere, che la situazione è impossibile da risolvere... Dall'altro lato, molti politici percepiscono il problema, ma non devono parlare».

Perché?
«Perché chi parla finisce male, come Pim Fortuyn in Olanda. O come la mia amica Ayaan Hirsi Ali. Perché ci sono poche persone come lei? Perché il suo non è certo un lavoro attraente».

Quindi i politici sanno, ma non agiscono?
«Accade spesso che, in privato, i politici siano d'accordo con me, ma poi aggiungono: non posso dirlo in pubblico. Per mancanza di opzioni, e per non rischiare la carriera. In questo momento l'Italia ha un ruolo importantissimo, politicamente».

Per quale motivo?
«Fino a oggi, a pagare un prezzo è sempre stato chi si dimostrava anti-immigrazione, e che quindi veniva accusato di essere anti-immigrati, anti-accoglienza, crudele, fascista».

E oggi?

«Oggi per la prima volta inizia a pagare un prezzo politico chi non si dimostra duro su questi argomenti, chi è accogliente».

Come sarà il futuro?
«Un caos incredibile. Socialmente e culturalmente. Tutto dipende dalle decisioni che la politica prenderà ora. La prima cosa da fare, in assoluto, è riconoscere gli errori commessi in passato, e non ripeterli mai più. Mai più».

Quindi?
«Niente frontiere aperte. Basta salvare chiunque nel mondo. Non fare più sciocchezze. Ma non l'hanno ancora capito».
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » sab dic 15, 2018 9:55 pm

“Europa svegliati”. Una nostra intervista a Daniel Pipes
7-9 minuti
Niram Ferretti

http://www.controversoquotidiano.it/201 ... GN42XHORsw

Tra i maggiori esperti mondiali di medioriente, Daniel Pipes, storico, analista, giornalista e presidente del think tank Middle Est Forum, da anni segue con attenzione ciò che accade nello scenario politico europeo. Niram Ferretti lo ha intervistato in esclusiva per ControVerso.

d Professor Pipes, recentemente lei ha scritto molto sui partiti nativisti, nazionalisti e populisti europei, che lei preferisce chiamare “civilizzazionisti”. Perché predilige questo termine?

r Perché nessuna delle altre parole impiegate li descrive con precisione. L’obiettivo di questi partiti è quello di preservare la civiltà occidentale. In questo senso, “civilizzazionista” è il termine più appropriato.

d Alcuni di questi partiti – il Front National in Francia, il Partito della Libertà in Austria, Fidesz in Ungheria e Afd, l’Alternativa per la Germania, in Germania – hanno al proprio interno una componente antisemita. Non è in contraddizione con l’obiettivo di voler preservare la civiltà occidentale?

r Questa componente è innegabilmente presente, ma la maggior parte dei partiti civilizzazionisti sta facendo uno sforzo per cancellarla. Ad esempio, l’Alternativa per la Germania ha appena espulso Doris von Sayn-Wittgenstein a causa delle sue connessioni con Verein Gedächtnisstätte, un’organizzazione negatrice dell’Olocausto. È una battaglia costante ma, nel tempo, i partiti sembrano diventare meno antisemiti. Non ci si può aspettare troppo. Tuttavia, quale partito politico in Europa non è antisemita in qualche misura?

d Esistono legami tra la Russia di Putin e partiti civilizzazionisti come il Front National in Francia, Fidesz in Ungheria e la Lega in Italia: quanto ci dovrebbe preoccupare la cosa?

r Molto. Putin sta traendo vantaggio dall’isolamento e dalle necessità finanziarie dei partiti civilizzazionisti per guadagnare influenza su di loro. La soluzione non consiste nella loro ulteriore emarginazione, ma nella loro legittimazione politica, in modo che non sentano la necessità di rivolgersi a un dittatore esterno.

d Che opinione ha di George Soros, filantropo spesso obiettivo polemico di questi partiti, e che l’anno scorso ha donato 18 miliardi di dollari alla sua Open Society Foundations con l’obiettivo di costruire una “società aperta” senza frontiere?

r Dato che Soros finanzia attacchi personali nei miei confronti, ne ho, naturalmente, un’opinione poco lusinghiera. Il sito anonimo dcleaks.com nell’agosto 2016 ha pubblicato un file confidenziale dell’Open Society Foundations (OSF) che includeva un memo interno del 2011, “Polarizzazione estrema e rottura nel discorso civile”, il quale faceva riferimento a una sovvenzione di 200.000 dollari al Center for American Progress (CAP) al fine di “investigare e monitorare le attività” del Middle East Forum e di altre ONG che combattono l’islamismo. Di seguito, nel 2011, il Center for American Progress pubblicò un dossier di 138 pagine, “Paura, Inc .: Le Radici della Rete Islamofobica in America”, nel quale vengo definito un “esperto di disinformazione” la cui “retorica allarmista” incoraggia stereotipi anti-musulmani, accusa che un dossier seguente ha poi ripreso nel 2015. Al di là di queste questioni personali, vedo l’obiettivo di Soros, quello di una società senza confini, a cui giungere attraverso quella che è umoristicamente conosciuta come la sua Open Society Foundations, come un perfetto strumento per la distruzione della civiltà occidentale.

d Gradirei un suo commento su questa affermazione di Peter Sutherland, l’ex Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali: “La sovranità è un’illusione assoluta che deve essere messa alle nostre spalle. I giorni in cui ci nascondevamo dietro i confini e le recinzioni sono finiti da tempo. Dobbiamo lavorare insieme e collaborare per creare un mondo migliore. E questo significa intervenire su alcune delle vecchie parole d’ordine, su alcuni dei vecchi ricordi storici e delle immagini dei nostri paesi per riconoscere che siamo parte dell’umanità”.

r Peter Sutherland avrebbe dovuto lavorare per George Soros. Si sarebbe trattato di un’unione perfetta.

d La schiettezza paga pedaggio. Ad esempio, Thilo Sarrazin, ex senatore socialdemocratico tedesco e membro del board della Bundesbank, nel 2015 pubblicò Deutschland schafft sich ab (“La Germania abolisce se stessa”) in cui sosteneva che i bassi tassi di natalità tedeschi e gli alti livelli di immigrazione musulmana avrebbero trasformato radicalmente la società tedesca; a causa di ciò dovette dimettersi dal comitato esecutivo della Bundesbank. Il famoso storico francese Georges Bensoussan ha affermato recentemente che l’antisemitismo è una caratteristica culturale permanente della società islamica e, come conseguenza, è stato trascinato in tribunale con l’accusa di razzismo. Il politicamente corretto rischia forse di favorire l’agenda islamista?

r Decisamente. Il giro di vite islamista dato in Occidente alla possibilità di una discussione franca sull’Islam, e le questioni correlate, hanno avuto inizio con il noto editto di Khomeini su Salman Rushdie nel 1989. A quel tempo, la sinistra si trovava abbastanza solidamente dalla parte di Rushdie. Norman Mailer affermava: “È nostro dovere formare dei ranghi dietro di lui e dichiarare al mondo che se dovese mai essere assassinato, sarà nostro obbligo metterci al suo posto. Se dovesse essere ucciso per una follia, anche noi dobbiamo essere uccisi per la stessa follia”. A trent’anni di distanza, la sinistra non offrirebbe questa solidarietà. Il suo rifiuto di una discussione franca sull’Islam si integra perfettamente con il rifiuto degli islamisti.

d Qual è la sua ricetta per combattere il politicamente corretto?

r Incoraggiare più conservatori a diventare intellettuali.

d La sinistra accusa regolarmente i leader dei partiti civilizzazionisti di fascismo. Ad esempio, Matteo Salvini, il leader della Lega italiana e Ministro degli Interni che ha come sua priorità frenare l’immigrazione incontrollata, è raffigurato come un erede di Benito Mussolini. Come giudica questa accusa?

r È ridicola. Con il suo accento sul potere dello Stato come una fede vivente, il fascismo distrugge la civiltà occidentale, mentre Salvini e altri civilizzazionisti vogliono salvarla. Intelligenti, questi progressisti: accusano qualcuno di volere il contrario di ciò che egli vuole realmente. Anch’io l’ho sperimentato sulla mia pelle; un esempio recente è stato quello di venire considerato di estrema destra. E sa chi lo ha fatto, tra tutti quelli che potevano accusarmi? I discendenti dei nazisti, i media tedeschi e quelli austriaci.

d I partiti che lei chiama “civilizzazionisti” mettono in guardia dal rischio di una islamizzazione dell’Europa. Esiste tale rischio?

r Si, ed è molto serio. Direi inevitabile se i civilizzazionisti non riusciranno a controllare i confini e a integrare i musulmani. L’unica speranza è che gli europei si sveglino e votino affinché vengano prese le misure necessarie a contrastare un simile esito.
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Re: Nazionalismo e federalismo in Europa

Messaggioda Berto » mar feb 19, 2019 8:40 pm

???

I media tedeschi attaccano Salvini: "Apre le valvole per odio e frustrazione"
Luca Romano - Lun, 18/02/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 47044.html

Il settimanale Stern dedica un lungo ritratto a Matteo Salvini: "Intende posizionarsi come il precursore di una nuova Europa e ha pericolosamente successo"

La Germania guarda a Matteo Salvini. Le elezioni europee si avvicinano e proprio Roma e Berlino sembrano essere i due poli contrapposti di questa sfida europea.

La Germania guida l'asse degli europeisti, l'Italia quella dei "sovranisti" (gialli o rossi che siano). Non è un caso, dunque, se il settimanale tedesco "Stern" dedica un lunghissimo articolo al leader della Lega, disegnandolo come l'uomo della retorica della ruspa.

Secondo il settimanale, Salvini governerebbe il Belpaese con la lotta ai migranti, la polemica contro l'Europa e l'invocazione di un "forte Stato nazionale". Non mancano le critiche. Secondo Stern, infatti, il leader della Lega "intende posizionarsi come il precursore di una nuova Europa e ha pericolosamente successo, non solo in Italia".

L'affondo è tutto nella parola "pericolosamente". Viene definito un "politico Netflix" perché è "drammaturgicamente esperto" e "multimediale". "La strategia è semplice ma efficace - si legge nell'articolo - Salvini costruisce inesorabilmente immagini nemiche e promette di guidarle con il suo bulldozer. A volte molto concreto, per esempio, quando si fa filmare con un casco in testa durante la demolizione di case abusive". E poi si mostra "contro le macchinazioni dei burocrati", vuole "combattere contro le corporazioni internazionali" e "la migrazione incontrollabile".

"Quasi nessuno crede che la Lega garantirà più giustizia sociale - si legge ancora nell'articolo - Ma (...) Salvini è almeno qualcuno che provoca e dà voce all'Italia. Lavora a livello psicologico. La sua retorica apre le valvole per la frustrazione repressa e per l'odio". Poi il settimanale riporta le accuse di chi accusa le politiche del ministro dell'Interno di aizzare "la violenza contro i migranti", definiti "capri espiatori per tutto ciò che manca agli italiani".




Elezioni europee, sondaggi: volano i sovranisti di Salvini, niente maggioranza Ppe-Pse
dal nostro inviato ALBERTO D'ARGENIO
18 febbraio 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -219392670

BRUXELLES - Lega in corsa per diventare il partito con più parlamentari a Strasburgo. Le Pen verso il soprasso ai danni di Macron. Fidesz, formazione del premier illiberale ungherese Viktor Orbàn, a un passo dal 50%. E ancora, Cinquestelle al palo, senza un gruppo europeo, con tre alleati su quattro proiettati verso la desolante quota zero eletti. A livello continentale, invece, crollano i tradizionali partiti europei, tanto che il 26 maggio, a urne chiuse, i popolari del Ppe e i Socialisti e democratici del Pse per la prima volta dal 1979, debutto dell'elezione diretta dell'Europarlamento, insieme non avranno la maggioranza per governare l'aula. Dovranno per forza allearsi con i liberali. Ma nei sondaggi volano anche i sovranisti di Matteo Salvini, che con i suoi alleati potrebbe arrivare a formare il secondo gruppo dell'Assemblea superando proprio i socialisti.

È quanto emerge dal primo sondaggio pubblicato oggi dall'Europarlamento in vista del voto del 26 maggio (i dati risalgono al 6 febbraio) e anticipato da Repubblica la settimana scorsa. Un voto cruciale per il futuro dell'Unione e della democrazia liberale in Europa, tanto che diversi osservatori definiscono questa tornata europea come la più importante di sempre. A rappresentare i 435 milioni di cittadini del Vecchio Continente saranno 705 parlamentari: prima della Brexit erano 751 per quasi 500 milioni di cittadini. Lo spoglio in diversi paesi inizierà già alle 18, mentre la prima proiezione sarà pubblicata dall'Europarlamento alle 20 di domenica 26 maggio, quando in Italia le urne saranno ancora aperte (come tradizione, fino alle 23): insomma, anche in questo caso l'Unione non aspetta Roma. Segno dei tempi.

A livello continentale, secondo i sondaggi di febbraio il Partito popolare europeo (Ppe) si confermerà primo gruppo a Strasburgo, anche se in picchiata rispetto al 2014: il centrodestra tradizionale (per l'Italia Forza Italia) passerà da 217 seggi a 183. Stessa sorte per i Socialisti e democratici (Pse, la casa Ue del Pd): i suoi eletti dai 186 di 5 anni fa passeranno a 135. Insieme Ppe e Pse per la prima volta non avranno la maggioranza per governare l'aula. Al momento l'unico schema che darebbe abbastanza seggi per farlo prevede l'alleanza dei due grandi partiti del Novecento ai liberali: l'Alde guidato da Verhofstadt salirà da 68 a 75 eletti, ai quali per completare la famiglia liberale si dovranno aggiungere i venti di Macron. Questa al momento è l'unica maggioranza possibile, eventualmente allargabile ai Verdi (45 seggi) per dare vita a un inedito fronte unito europeista da contrapporre in aula ai sovranisti di Salvini, Le Pen e Kaczynski.

Appunto il fronte dell'estrema destra - nostalgico, xenofobo ed euroscettico - a dir poco competitivo. L'Enf - l'attuale famiglia politica di Salvini e Le Pen - passerà da 37 a 59 rappresentanti. L'Ecr - che con la Brexit e l'addio dei Conservatori di Theresa May passerà in mano ai polacchi di Kaczinsy - porterà invece 51 parlamentari. Se si alleeranno, progetto al quale Lega e i polacchi del Pis sono al lavoro, arriveranno a 110, ai quali andranno aggiunti i 12 di Alternative für Deutschland e una manciata di singoli parlamentari eletti nei partitini alleati dell'Est europeo. Puntano ad almeno 130 rappresentanti, insidiando il Pse come secondo gruppo di Strasburgo e tentando il Ppe a un'alleanza centrodestra-destra alla quale all'interno dei popolari lavorerebbero i cavalli di Troia Orbàn e Kurz. Coalizione che al momento non avrebbe i numeri per la maggioranza, ma che potrebbero essere raggiunti facendo shopping negli altri gruppi (ad esempio, gli eletti del premier ceco Babis sono nell'Alde, anche se politicamente più affini ai sovranisti).

Cruciale in questo eventuale schema sarebbero i grillini: una loro alleanza post elettorale con i sovranisti regalerebbe la maggioranza all'eventuale coalizione Ppe-nazionalisti che secondo diversi osservatori metterebbe in serio pericolo la tenuta dell'Unione e della stessa democrazia liberale in Europa. Basti pensare che nelle stanze dei bottini Ue oltre a Lega, Rn e Pis entrerebbero altri partiti decisi a minare le istituzioni dal loro interno nonché i democratici svedesi di Akesson, gli olandesi di Wilders, il Vlaams Belang, la versione cipriota di Alba dorata e altri partiti con simili inclinazioni neonaziste.

Vediamoli, allora, i Cinquestelle. Perderanno il loro gruppo Efdd causa addio dello Ukip con la Brexit. Per costruire una nuova famiglia Ue, Di Maio si è mosso tardi e male, consigliato ancor peggio dai suoi luogotenenti a Strasburgo. Per ora ha messo su un'alleanza impalpabile. Per formare un gruppo all'Europarlamento servono minimo 25 deputati eletti in almeno 7 paesi diversi (i grillini sperano in un cambiamento delle regole che abbassi a 6 il numero di nazionalità, ma resteranno delusi). Al netto del flirt con i Gilet gialli, per ora gli M5S hanno trovato alleati appena in altri quattro paesi. Non solo del tutto eterogenei, ma anche a rischio elezione. Il pezzo pregiato era il punkrocker polacco di estrema destra Kukiz, che però negli ultimi mesi è crollato nei sondaggi: ad oggi viene quotato al 4,2%, con zero seggi a Strasburgo. Idem i finlandesi di Liike Nyt e i greci di Akkel, talmente bassi da non essere nemmeno rilevati. Solo i croati di Zivi Zid ad oggi sarebbero in grado di portare 2 deputati in Europa (12,3%). Insomma, per Di Maio il quadro si fa desolante, anche sposandosi con i Gilet Gialli non avrebbe i numeri per un gruppo. Ecco perché in molti scommettono che alla fine si accoderà ai sovranisti, regalando loro i numeri per l'eventuale alleanza con il Ppe. Le alternative per i Cinquestelle sono la desolante collocazione nei non iscritti o la ricerca post elettorale di qualche deputato solitario per arrivare alla soglia dei 7 paesi, dando vita a un gruppo irrilevante, a meno che, appunto, non si alleai con i sovranisti di estrema destra.

I sondaggi intanto dicono che la Lega corre verso il 32,4%, con 27 seggi, un boom rispetto ai 5 odierni. L'M5S viaggia al 25,7%, con 22 seggi. Crolla il Pd, dai 31 seggi del 2014 figli del famoso 40,8% di Renzi, passa al 17,3%, con 15 eletti. Seguono Forza Italia (8,7%, 7 deputati) e Fratelli d'Italia (4,4%, 4 rappresentanti). Tutti gli altri partiti italiani al momento non superano la soglia di sbarramento.

Il bottino della Lega, 27 seggi, contende alla della Cdu di Angela Merkel - al momento quotata a 29 parlamentari - il ruolo di primo partito d'Europa (nel 2014 in cima al podio c'era il Pd). A livello di percentuali, colpiscono i risultati da record dei partiti di Orbàn e Kaczynski: Fidesz viaggia al 49,3%, il Pis al 40%. Sondaggi da primato nei due paesi, Ungheria e Polonia, in rotta con l'Europa per le accuse di autoritarismo, che si traducono rispettivamente in 24 e 16 seggi. Meno di Cdu e Lega nonostante le percentuali superiori visto che Budapest e Varsavia portano meno deputati rispetto ai paesi più popolosi come Germania, Francia e Italia.

In Francia stando ai rilevamenti del 6 febbraio, Marine Le Pen si piazzerebbe davanti al presidente Emmanuel Macron. L'Rn viene proiettato al 22% con 21 rappresentanti contro il 20% (20 seggi) di Europe En Marche. In Germania, come visto, la Cdu corre verso i 29 seggi mentre i Verdi arriverebbero secondi con 17 eletti, davanti alla Spd (15) e ad Afd (12). Interessanti i sondaggi spagnoli, che hanno anche una valenza interna visto che ad aprile, prima delle europee, il Paese andrà al voto per le politiche: al momento il Psoe di Pedro Sanchez viene dato al 24,5%, il Partito popolare al 23,5%, Ciudadanos al 17,9%, Podemos al 14,1% e i franchisti di Vox al 9,6%.

Per chiudere, un aneddoto. Tradizionalmente, fino all'elezione del nuovo presidente l'aula di Strasburgo veniva guidata dal deputato più anziano. Nel 2014, ad esempio, a sedersi sullo scranno più alto era stato Emmanouil Glezos, novantaduenne greco eletto con Syriza, ex partigiano che nel 1941 ammainò la bandiera nazista dal Partenone. In questa legislatura il deputato anziano potrebbe invece essere un italiano, noto per aver dato, nel 2003, dei "turisti della democrazia" agli europarlamentari per poi definire "kapò" il socialista tedesco Martin Schulz: ovviamente si tratta di Silvio Berlusconi. Un vero paradosso, che però non si verificherà perché di recente l'Eurocamera ha modificato la norma e a guidare l'aula alla prima seduta, prevista per il 2 luglio, sarà il presidente uscente, Antonio Tajani, o un suo vice. Scherzando in molti affermano che si tratta della prima legge ad personam contro Berlusconi. Ma ovviamente non è così.
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