L'Europa che sognamo e che vogliamo

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom set 23, 2018 1:51 pm

No all'Europa antisemita e antisraeliana, delle destre e delle sinistre socialiste, comuniste, fasciste e naziste, maomettiste



Il sano nazionalismo è un valore/diritto/dovere umano, civile e politico fondamentale
viewtopic.php?f=205&t=2721

Nazionalismi europei antisemiti e antisionisti
viewtopic.php?f=197&t=2468

Liberiamo l'Europa dai sensi di colpa, dai miti e dai pregiudizi
viewtopic.php?f=92&t=2669

L'Europa antisemita e filonazimaomettana boicotta Israele, io no!
viewtopic.php?f=92&t=2010

http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 00x140.jpg
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Israel.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom set 30, 2018 8:37 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom set 30, 2018 8:37 pm

Europa Politica - paesi e popoli europei contro questa Europa mostruosa

Europa Politica - paesi e popoli europei contro questa Europa mostruosa ademocratica, castuale e sovietizzante
https://www.facebook.com/groups/3389296 ... 4192772140


Contro l'Europa o una certa Europa
viewtopic.php?f=92&t=449

Europa politica
viewtopic.php?f=92&t=312




Il referendum è un flop: la Macedonia non cambia nome
Chiara Sarra - Dom, 30/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ref ... 82534.html

Manca il quorum al referendum per il cambio del nome della Macedonia che avrebbe permesso al Paese di entrare nella Ue e nella Nato

Il referendum con cui la Macedonia poteva cambiare nome ed entrare così a far parte dell'Unione europea e della Nato è un flop.

A seggi chiusi alle 19 il quorum del 50% più uno richesto per rendere valida la consultazione è infatti lontano, con un'affluenza alle 18,30 di appena il 34,09% dei 900mila elettori chiamati a votare. Il quesito chiedeva: "Siete in favore di un'adesione all'Unione Europea e alla Nato accettando l'accordo tra Repubblica di Macedonia e Repubblica di Grecia?".

Alcuni nazionalisti, tra cui il presidente, avevano invitato al boicottaggio. L'intesa era stata raggiunta con il governo di Atene a giugno e prevedeva che l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) si sarebbe chiamata Repubblica di Macedonia del Nord. Diventa ora difficile per il governo ottenere il sostegno del Parlamento per la riforma costituzionale necessaria per cambiare il nome del Paese.

Hristijan Mickoski, il leader del principale partito di opposizione, l'alleanza conservatrice Vmro-Dpmne, si è astenuto dal voto perché ha considerato la questione referendaria "manipolativa". L'accordo firmato tra i governi di Skopje e Atene lo scorso giugno mira a porre fine a una disputa che dura da oltre un quarto di secolo, che ha portato la Grecia a boicottare l'adesione del paese all'Unione europea e alla Nato. Il premier socialdemocratico, l'europeista Zoran Zaev, ha fortemente sostenuto il referendum, mentre il presidente nazionalista Gjorgje Ivanov ha invitato al boicottaggio.



Il referendum sulle leggi europee in Danimarca
venerdì 4 dicembre 2015

https://www.ilpost.it/2015/12/04/refere ... rca-europa

Si è votato su un'intricata questione di influenza europea sulle leggi nazionali: ha vinto il No, osteggiato dal governo e sostenuto dal principale partito di destra radicale

Giovedì in Danimarca si è tenuto un referendum sul mantenimento o meno della clausola dell‘opt out – cioè di esclusione – da alcune leggi europee in materia di giustizia interna e cooperazione giudiziaria. Al momento di entrare nell’Unione la Danimarca aveva scelto di non approvare automaticamente le leggi europee in materia di sicurezza, politica monetaria e giustizia interna, ma potersene tirar fuori: il referendum proponeva di eliminare alcune di queste clausole di opt-out. Giovedì però ha vinto il No con il 53,05 per cento dei voti: significa che il governo danese non potrà accogliere automaticamente diverse leggi europee – che riguardano cose molto diverse fra loro, dal traffico di esseri umani alla pornografia infantile – e secondo i sostenitori del “Sì” renderà possibile l’uscita della Danimarca da Europol, il corpo di polizia dell’Unione Europea. L’affluenza è stata vicina al 72 per cento, più alta di quanto previsto nei giorni precedenti.

I partiti più istituzionali – compreso il partito di centrodestra di cui fanno parte tutti i membri del governo, Venstre – hanno fatto campagna per il Sì, mentre il No era sostenuto principalmente dal Partito Popolare Danese, un partito di destra radicale noto per le sue posizioni molto dure sull’immigrazione e sull’Unione Europea, che alle elezioni politiche di giugno è diventato il secondo partito del paese e appoggia il governo di centrodestra. Il Financial Times ha scritto che prima del referendum il leader del Partito Popolare Danese, Kristian Thulesen Dahl, aveva fatto intuire che in caso di vittoria del No il suo partito sarebbe potuto entrare direttamente nel governo, ma le conseguenze politiche del voto non sono ancora chiarissime.

La Danimarca ha una lunga storia di diffidenza nei confronti dell’Unione Europea: non ha adottato l’euro né ha intenzione di farlo, ha una lunga tradizione di partiti “euroscettici” e di recente ha scelto di non partecipare al programma di “quote” di redistribuzione dei richiedenti asilo arrivati questa estate in Grecia e Italia.


Uscita del Regno Unito dall'Unione europea
https://it.wikipedia.org/wiki/Uscita_de ... ne_europea
L'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, nota anche come Brexit (sincrasi formata da Britain ed exit), è il processo che porrà fine all'adesione del Regno Unito all'Unione europea, secondo le modalità previste dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, come conseguenza del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea.



Ungheria contro l'Europa che promuove l'invasione dei nazi maomettani e degli africani

Viktor Orban, il discorso contro l'Europa pro-immigrati: "Non ci faremo invadere"
11 Settembre 2018

https://tv.liberoquotidiano.it/video/vi ... folli.html

Il clima con cui viene accolto il premier dell'Ungheria Viktor Orban alla plenaria dell'Europarlamento di Strasburgo è ostile già prima che pronunci le prime parole del suo discorso. In aula si discute sull'applicazione di sanzioni contro Budapest che si è ribellata alle regole europee sull'immigrazione. L'esito della votazione per Orban sembra più che scontato: "I deputati pro-immigrazione hanno la maggioranza del Parlamento europeo - ha detto nel suo intervento - e stanno preparando una vendetta contro l'Ungheria, perché abbiamo deciso di non diventare un Paese pieno di immigrati: la verità è che il verdetto è già scritto".

È la prima volta che l'Ue fa ricorso allo strumento delle sanzioni contro un proprio Paese membro. Tutto è iniziato con il rapporto dell'eurodeputato dei Verdi, Judith Sanrgentini, che aveva espresso "preoccupazioni" sull'Ungheria per il "funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale", "l'indipendenza della giustizia", "la corruzione e i conflitti di interesse", e l'effettivo rispetto delle libertà individuali come il diritto dei richiedenti asilo.

In passato anche Bruxelles aveva fatto ricordo a diverse procedure di infrazione contro Budapest, Orban e il suo governo però hanno sempre respinto tutte le accuse: "Difenderemo le nostre frontiere anche contro di voi se sarà necessario. Solo noi possiamo decidere con cui vivere e come gestire le nostre frontiere, abbiamo deciso di difendere l'Ungheria e l'Europa e non accettiamo che le forze pro-immigrazione ci ricattino". Le accuse di Orban contro una certa parte degli europarlamentari non sono nuove, ma arrivano dopo una lunga battaglia imbracciata contro il finanziere George Soros, da sempre sospettato di fare pressioni su parlamentari ungheresi ed europei per contrastare le politiche di Orban.

Il voto sull'Ungheria crea fibrillazioni anche nel governo italiano. Fonti interne al M5s assicurano che gli europarlamentari grillini hanno tutte le intenzioni di votare a favore delle sanzioni, in netto contrasto con la linea dei colleghi leghisti a Strasburgo, proprio dopo che il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha rinsaldato il rapporto con Orban in un faccia a faccia a Milano. Ed è proprio il leader della Lega a ribadire la sua vicinanza al premier ungherese: "Non si processano i popoli e i governi liberamente eletti, soprattutto se vogliono controllare un’immigrazione fuori controllo". Sulla stessa lunghezza d'onda anche Giorgia Meloni: "Sanzionare l’Ungheria perché si rifiuta di essere invasa da immigrati clandestini è semplicemente follia - ha detto la leader di Fratelli d'Italia - Siamo al fianco di Viktor Orban e del popolo ungherese. Non è Orban a tradire i valori fondanti della Ue ma chi in Ue spalanca le porte all’immigrazione incontrollata, umilia i diritti dei popoli e nega la sovranità delle Nazioni".


L'Ue come l'Urss". Polemiche per le parole del Ministro britannico
Gerry Freda - Mar, 02/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lue ... 83248.html

Critiche nei confronti dell’esponente del governo May sono state espresse non solo dalle istituzioni europee, ma anche da diversi diplomatici britannici in pensione

Jeremy Hunt, Ministro degli Esteri del Regno Unito, si è attirato numerose critiche per avere paragonato l’Unione europea all’Urss.

Il duro attacco verbale alle autorità di Bruxelles, accusate di volere “punire” i Britannici per avere scelto la Brexit, è stato lanciato da Hunt durante il congresso del Partito conservatore, attualmente in corso a Birmingham. Secondo gli analisti politici, il Ministro avrebbe deciso di ricorrere a una retorica anti-Ue per accattivarsi la fazione degli “hard brexiteers”, in vista delle prossime elezioni primarie per la leadership dei tory.

Intervenendo al congresso dei conservatori, l’esponente del governo May ha attaccato l’“atteggiamento punitivo” riservato dalla Commissione europea alla delegazione britannica nel corso dei negoziati sulla Brexit. Ad avviso di Hunt, Bruxelles starebbe cercando di vanificare l’esito del referendum svoltosi nel 2016, ricorrendo a “intimidazioni di ogni sorta” pur di ostacolare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Egli ha tuonato: “Che fine hanno fatto gli ideali alla base del sogno europeo? L’Ue è nata al fine di difendere il sacro valore della libertà. Impedendo ai propri popoli di decidere in autonomia il loro destino, l’Unione europea assume lo stesso atteggiamento che ha tristemente caratterizzato l’Unione sovietica. Era quest’ultima che negava alla propria gente il diritto di correre verso orizzonti di libertà.”

Il Ministro, ex avversario della Brexit, ha evidenziato con grande enfasi il fatto che l’Ue si starebbe trasformando in una “prigione”: “La storia dell’Urss ci ha insegnato questo: se l’Unione europea si trasforma in una prigione, il desiderio di uscirne non si spegnerà. Al contrario, sempre più prigionieri cercheranno di scappare, pur di riconquistare la libertà perduta.” Hunt ha poi stabilito un parallelo tra l’attuale “battaglia” condotta dal governo May contro la Commissione Juncker e la sfida lanciata quasi trent’anni fa da Margaret Thatcher all’eccessivo potere delle istituzioni europee: “È naturale che l’Ue cerchi di preservare la propria coesione interna. Tuttavia, Bruxelles non può affrontare la questione della Brexit ricorrendo esclusivamente a minacce e pressioni nei confronti del governo del Regno Unito. Se le istituzioni europee continueranno, a suon di intimidazioni, a ostacolare l’iter per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, noi allora risponderemo con la stessa fierezza e determinazione dimostrate in passato da Margaret Thatcher.”

L’esponente dell’esecutivo May ha concluso il suo intervento lanciando ai Capi di Stato dei Paesi Ue un avvertimento: “Lasciatemi dire un’ultima parola riguardo ai negoziati per la Brexit. Intendo rivolgermi direttamente ai Paesi che vogliono infliggere alla nostra nazione un trattamento punitivo. È un errore madornale considerare la pacatezza dei negoziatori britannici come la prova della debolezza delle nostre istituzioni. Se questi Paesi metteranno nell’angolo la Gran Bretagna, noi allora inizieremo a combattere.”

Le parole di Hunt hanno scatenato la reazione immediata delle massime cariche dell’Unione. Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo nonché campione della lotta per l’indipendenza della Polonia dal giogo sovietico, ha infatti definito “scioccante e incomprensibile” l’intervento dell’esponente tory. Quest’ultimo è stato criticato anche da diversi diplomatici britannici in pensione. Ad esempio, Lord Ricketts, ex Sottosegretario permanente del Foreign Office, ha etichettato come “spazzatura” le dichiarazioni del Ministro. Anche Simon Fraser, successore di Lord Ricketts alla guida della struttura amministrativa del dicastero, ha condannato le esternazioni del politico tory. Ad avviso dell’ex ambasciatore, Hunt, paragonando l’Ue all’Urss, avrebbe dimostrato una “scioccante irresponsabilità”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom set 30, 2018 8:37 pm

No all'Europa che trascura, calpesta, e nega i diritti umani e civili dei cittadini europei

No all'Europa che trascura o non riconosce, calpesta o viola, e che nega i valori, i diritti, i doveri umani naturali, universali e civili dei cittadini europei e in particolare dei cittadini nativi o indigeni e storici del continente europeo.
https://www.facebook.com/groups/3389296 ... 8706101022


Europa e i diritti negati e calpestati dei cittadini nativi europei
viewtopic.php?f=92&t=2682


I popoli nativi o indigeni d'Europa si rivoltano contro l'invasione e la violenza islamica e le caste europee che la promuovono e sostengono
viewtopic.php?f=188&t=2054
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun ott 01, 2018 3:06 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun ott 01, 2018 3:06 am

Spinelli, il Manifesto di Ventotene e i radicali
https://www.facebook.com/ComitatoVentotene/?tn-str=k*F

https://www.facebook.com/groups/3389296 ... p_activity

Comitato di Ventotene

Ieri abbiamo consegnato la nostra prima tessera onoraria a Marco Cappato
Le battaglie di Marco non solo hanno avuto un impatto reale sulla vita di ognuno di noi, ma hanno anche ispirato molte persone a perseguire gli ideali di libertà e giustizia, sfidando convenzioni e ostacoli con coraggio e dignità.
Con questo gesto simbolico si consolida un’alleanza di princìpi e di persone, che guarda al futuro del nostro Paese e dell’Europa.
https://www.facebook.com/ComitatoVentot ... 8989035583
https://www.facebook.com/ComitatoVentot ... =3&theater

Gino Quarelo
Marco potrebbe migliorare passando o evolvendosi dall'Europa sovietica di Ventotene e di Spinelli a quella liberale, democratica di Kalergi che fu il primo e vero animatore dell'Unione Europea.

Comitato Ventotene
"La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l'avvento della "libertà" sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione.
Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all'anarchia"
(Il Manifesto di Ventotene)

Gino Quarelo
Peccato che il Manifesto di Ventotene scritto nel 1941, abbia trascurato di inserire tra i regimi totalitari da combattere quello europeo comunista e a livello europeo e mondiale quello maomettista o islamico.

Infatti è un manifesto incoerente e contradittorio perché contiene al suo interno l'elemento socialista che è alla base di tutti i regimi statalisti totalitari e ademocratici: fascista e nazista che si propone di combattere ma anche comunista;
germe socialista che predomina nella UE odierna e che la sta trasformando in un regime parassitario, statalista, burocratico, ademocratico ed elitario, antisemita-antisionista-antisraeliano e per una sorta di attrazione fatale tra simili aventi visioni totalitarie e dogmatiche, la UE è divenuta sostenitrice dei regimi autoritari islamici come l'Iran e in generale del nazismo maomettano.

Kalergi invece era un liberale e un democratico vero che avversava tutti i regimi compreso il social-comunismo.

Spinelli e certi radicali di radice socialista come la Bonino sono la rovina dell'Europa.


Non esiste alcun Piano Kalergi, Kalergi era un buon uomo e non c'entra nulla con questa fantomatica ipotesi di miscuglio di ingegneria politica etnogenetica.
viewtopic.php?f=92&t=1475
Non è il piano Kalergi ma caso mai il piano Spinelli e del Manifesto di Ventotene.
Kalergi era un europeo, austriaco, cristiano, liberale che sognava un'Europa delle libertà e dei popoli; questa Europa è quella voluta dai comunisti come Spinelli e gli altri di Ventotene a cui si sono aggiunti gli ex radicali come la Bonino, i cattolici bergogliani e tutti gli ademocratici e illiberali della finanza internazionale e delle mutinazionali favorevoli ai totalitarismi, agli assolutismi e alla massificazione degli uomini e dei popoli. Ma il buon Kalergi con tutto ciò non 'c'entra nulla lui sognava un'Europa come la Svizzera.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun ott 01, 2018 7:18 am

I radicali, lo stato di diritto liberale, il loro socialismo/comunismo, la loro presunzione, la loro arroganza, la loro ignoranza, la loro demagogia elittaria, le loro contraddizioni come l'Europa spinelliana e il loro federalismo poco federale ...

vorrebbero un'Europa liberale e federale e sono contro i nazionalismi e i nativismi antropologicamente naturali e sani, ma ciò è un non senso perché il federalismo è l'unione delle diversità e quindi dei nazionalismi ma non per ucciderli e negarli ma per integrarli e svilupparli, ...

Diretta da Atreju “Tutta colpa dei populisti” Steve Bannon (stratega politico) intervistato da Alessandro Giuli (giornalista)
Sabato 22 Settembre 2018 ore 18.04
http://www.radioradicale.it/riascolta?data=2018-09-22

Bannon 3 matrimoni e 3 divorzi e vicepresidente di Goldam Sacsh

Conosci Steve Bannon: Goldman Sachs, lobby israeliana e neonazismo
Stefano Zecchinelli • 6 giugno 2018
http://www.linterferenza.info/esteri/co ... neonazismo


Maurizio Turco
19.08 Federico Punzi in diretta con Maurizio Turco

Maurizo Turco e le contraddizioni dei radicali:

1) sull'incompatibilità tra stato di diritto liberale diritti umani universali e nazionalismo:

2) sull'incompatibilità tra il nazionalismo e il federalismo:
suggerisco a Turco di osservare i casi della Svizzera, degli USA della Germania, tutti paesi variamente federali, con forti elementi nazionalisti e un ordinamento molto democratico sino ad arrivare al caso della Svizzera con la sua democrazia diretta;



???

La parabola discendente di Steve Bannon
Mario Margiocco
2018/09/17

https://www.lettera43.it/it/articoli/mo ... ump/223642

Fra le eminenze grigie che hanno accompagnato i presidenti americani, da Teddy Roosevelt a inizio 900 a Donald Trump, nessuno è salito così in fretta e così in alto, e nessuno come Stephen Kevin Bannon è stato scaricato ed estromesso così in fretta e in modo così netto. Non solo dalla Casa Bianca ad agosto 2017, ma anche cinque mesi dopo e su richiesta di Trump dal ruolo del tutto privato di megafono dell’ultradestra anti-establishment che aveva avuto già prima di entrare in politica al fianco di Trump, e al quale era tornato. Il protagonismo di Bannon aveva infatti infranto la regola prima delle eminenze grigie, che mai devono sembrare più protagoniste e manipolatrici del capo al quale devono cedere sempre, tutto e subito, ogni diritto d’autore. Ma Bannon, per quanto contestato e non di rado disprezzato, anche a destra in ambienti come l’Aei (American Enterprise Institute) e altre centrali storiche dell’establishment conservatore, resta negli Stati Uniti un personaggio pubblico importante per capire il Paese come è oggi, avendo fatto da ostetrico per cinque anni almeno a varie idee trumpiane di stampo ipernazionalistico, anti-establishment e contro i media («i veri nemici», dice Bannon). Inoltre è un innamorato dell’Italia sovranista salviniana e pentastellata, per lui un affascinante connubio di populismo anti-establishment di destra e di sinistra, il laboratorio perfetto dell’Europa di domani. Con qualche simpatia per Mussolini, l’uomo che piaceva alle donne e, con grande senso estetico, disegnava fantastiche uniformi.


THE MOVEMENT, LA FILIALE EUROPEA DI BANNON

E infine Bannon è già sbarcato a Bruxelles come stratega unificante, nelle elezioni del maggio prossimo per l’europarlamento, di tutti i sentimenti neonazionalisti e anti Ue (e anti euro), grande fornitore di slogan, notizie vere o presunte e visioni di un’Europa delle patrie e dei popoli che spezzano le catene dell’establishment, fascista dice lui. The Movement si chiama la sua filiale europea, per la lutte finale dei popoli e la fine del mostro europeista. Salvini è con The Movement, e Luigi Di Maio non certo contro. Bannon è per le idee semplici e chiare. «Il populismo è un sentimento» prima di essere un’idea. «La storia è con noi», diceva parlando a Lille nel marzo scorso al congresso dei lepenisti. Inutile dirlo, è per la hard Brexit, vicino a Boris Johnson e altri, cioè sbattere la porta in faccia all'Ue senza pagare una sterlina, e il futuro una volta tornato nelle mani del popolo non potrà che essere radioso. Bannon, anche se ora si sposta in Europa, resta tutto americano. Come Donald Trump toglierebbe di mezzo, con la Ue, un partner-rivale commercialmente troppo grosso e quindi fastidioso. Circa 80 anni di visioni strategiche atlantiche elaborate per lo più tra l’Hudson e il Potomac non sono per Trump, e ancor più per Bannon, una eredità da aggiornare, emendare, sfoltire e conservare, ma bunk, roba senza senso. Via. Verso il nuovo. Quale? Il nuovo e basta. Raggiungiamolo, e poi vedremo.


LA CARRIERA DALLA MARINA A GOLDMAN SACHS

Bannon è un baby boomer del 1954 e la sua storia è emblematica, come per tanti figli della classe operaia portati dalla affluent society a posizioni meno lontane dai centri del potere. Furono sette anni in Marina, come ufficiale di complemento, a offrire a Bannon alcune occasioni, conoscere bene Washington come addetto al comando della flotta per esempio, e a permettergli studi culminati con un master alla Harvard Business School, con buoni voti, nel 1985. Poi si sistemò, finanziariamente, lavorando e facendo carriera a Goldman Sachs, e infine passò al cinema e al piccolo schermo, come produttore di film e documentari rigorosamente su posizioni iperconservatrici. Attenzione, non fu un progetto coerente, ma un approdo dopo un turbinio di idee e sceneggiature a volte strampalate con poca attinenza alla politica, finché non scoprì che denunce politiche da destra, estrema destra populista, avevano un pubblico crescente.

Il conservatorismo americano è vecchio quanto la nazione, ovviamente, ma arrivò a una sua moderna definizione negli Anni 20 come reazione all’internazionalismo, e al cosmopolitismo, identificato con la seconda presidenza di Woodrow Wilson, che aveva portato all’ingresso nella Prima guerra mondiale. Wilson venne distrutto, in patria, e la politica americana (ma non la finanza di Wall Street) voltò le spalle all’Europa e a tutto. Questo mondo veniva cancellato dalla crisi del 29, dal discredito repubblicano, dalla seconda guerra, dalla vittoria – non senza fiera opposizione e vari interrogativi anche ragionevoli da parte degli isolazionisti - della visione geostrategica dell’American Century in versione Guerra Fredda prima, e di trionfo del liberism, del liberalism e del mercato globale dopo la fine dell’Urss. Ma era, quest’ultimo, un trionfo breve, brevissimo, perché il mondo è sempre complicato e c’erano anche in America i perdenti, nel senso stretto di perdite di impianti industriali, di lavoro e di reddito e quindi di auto rispetto. Non era difficile identificare nelle élite i colpevoli.


BREITBART.COM E LA GUERRA ALLE ÉLITE

Bannon era entrato in contatto attorno al 2004 con Andrew Breitbart, che presto avrebbe fondato un sito, Breitbart.com, progressivamente ampliato come «Huffington Post della vera destra» mirato contro le élite, la stampa ufficiale, l’establishment politico, quello traditore repubblicano più ancora di quello democratico. Pubblicava notizie ignorate dalla grande stampa, vere, verosilimi, false. Morto improvvisamente Breitbart nel 2012, Bannon subentrava, facendo sempre più del sito un fighting club per la buona causa. Intanto cresceva il rapporto con Trump, ancora incerto sul proprio futuro politico. Bannon dava forma a idee che Trump agitava confusamente: l’antiglobalismo, l’anti immigrazione, i media definiti «the opposition party», il disprezzo e il rifiuto di ogni politicamente corretto altrui, la riscoperta dell’interesse nazionale nudo e crudo, le barriere commerciali, la conclamata fede nell’arrivo di una «rivoluzione» che farà di nuovo grande l’America rigettando ogni mitologia dell’Occidente. Che viene però continuamente invocato da Bannon sotto la forma di cristianità in lotta contro l’Islam. Nazionalismo puro drappeggiato in rivoluzione. Quindi anti Ue, tra l’altro.


LA CACCIATA DALLA CASA BIANCA

Il premio arrivò nell’agosto 2016, con Bannon alla guida della campagna elettorale, vittoriosa per un soffio. E Trump lo premiò ancora creando per lui il ruolo di Stratega in capo, e un posto nel National Security Council, cuore del potere e club ristrettissimo; da qui lo tolse dopo due mesi, e lo cacciò dalla Casa Bianca otto mesi dopo avergliene spalancate le porte. Bannon giocava troppo in proprio, usava troppo le soffiate alla stampa, non faceva squadra, si riteneva troppo superiore. Bastò un’intervista in cui Trump diceva di non avere strateghi, - «sono lo stratega di me stesso» - per capire che era finita. E pochi mesi dopo lo faceva cacciare anche dal rifugio di Breitbart, controllata allora dalla ultratrumpiana famiglia Mercer. Continuava a parlare troppo con i giornalisti e a dire ciò che non andava detto. «Si è bevuto il cervello», fu l’epitaffio di Trump.


LA VOLONTÀ DI CANCELLARE L'EUROPA DI BRUXELLES

Può darsi. Bannon ama camminare con la storia, è convinto di sapere dove è diretta (la rivolta dei popoli contro le élite, come ripete sempre anche Matteo Salvini) e vede in questo la realizzazione di una teoria ciclica, articolata su quattro generazioni, a ritmi quasi secolari, distillata al meglio 20 anni fa circa da due analisti di Washington, attivi fra staff congressuali e think tank, William Strauss e Neil Howe. Il ciclo tende a ripetersi e parte da forti istituzioni ammirate in modo disciplinato (gli anni 46-63 negli Usa, che sono il paradigma) per arrivare alla fine alla crisi che tutto sconvolge (gli anni dal 29 al 39 furono l’ultima crisi, prima di quella attuale che sarebbe completa secondo il bannonismo con la fine della Ue). Il ciclo di Strauss-Howe è un faro anche in Europa. L’Italia è un laboratorio. E l’Europa avrà la sua rivoluzione anti-elitista il prossimo maggio, abbattendo la Ue. Bannon ha concesso molte autodefinizioni, alla ricerca di un ubi consistam che spesso gli è stato chiesto. E la più consistente è stata quella di «nazionalista economico», per dare il suo contributo alla rinascita del sogno americano.


LA MICRO EUROPA TRUMP-BANNONIANA

Vuole distruggere l’Europa di Bruxelles perché il futuro dei popoli è solo nelle patrie, che nel suo caso è una grande patria dall’Atlantico al Pacifico e per noi sono le piccole patrie, 30 Paesi sovrani su un’area che è meno della metà di quella americana. Via la Ue, via un gigante economico di dimensioni americane. Trump non vuole più trattare con Bruxelles sui grandi dossier commerciali ad esempio, ma one to one come dice lui, con Parigi, con Bruxelles ma in quanto Belgio, con Roma, con Vienna, con Lubiana e con Malta. Uno a uno. Già, molto conveniente per Washington. E questa nuova micro-Europa trump-bannoniana è la stessa che piace a Vladimir Putin, e che anche ben prima della Ue piaceva agli zar, sempre sospettosi di ogni forma di concerto europeo che non li chiamasse in gioco. Ma a noi, che cosa conviene? Sarà opportuno chiederselo quando sotto voto europeo Bannon ci indicherà il suo futuro. Intanto Jonah Goldberg dell’Aei e della National Review, pilastri del conservatorismo mainstream, ha scritto un epitaffio sull’avventura europea dell’ex capo stratega: «C’è qualcosa di tenebrosamente comico su una persona cacciata nell’ultimo anno dalla Casa Bianca, cacciata dal suo sito online, e sbattuta fuori dagli stessi mecenati che l’avevano sostenuto e che, parlando a una non grande folla di nostalgici di Vichy, ha spiegato come l’onda lunga della storia è con lui». Rimanga pure in Europa, ha concluso Goldberg.


???

Conosci Steve Bannon: Goldman Sachs, lobby israeliana e neonazismo
Stefano Zecchinelli
6 giugno 2018

http://www.linterferenza.info/esteri/co ... neonazismo

L’Unione europea è l’ala civile della NATO, quindi una sovrastruttura dell’imperialismo USA. Scindere la critica e, imprescindibilmente, la lotta contro la UE dalla contrapposizione alle trame imperialistiche atlantiche è una operazione – sostenuta da Lega e M5S – funzionale agli Stati Uniti e alla NATO. Il giornalista Manlio Dinucci ci ha svelato il conflitto inter-oligarchico che si cela dietro il viaggio di Steve Bannon in Italia: sovranità da Bruxelles, ma non da Washington? Gli USA restano la principale potenza imperialistica, controllano indirettamente l’UE ed hanno in programma, nel lungo termine, una guerra contro la Repubblica popolare cinese. Conoscete Bannon: Goldman Sachs, lobby israeliana e neonazismo. Ditemi voi se un individuo di tal pasta può essere credibile come anti-neoliberista. Si tratta – semmai – di uno dei più acerrimi nemici del mondo del lavoro.

Le oligarchie si dividono in nazionaliste (Bannon, Kushner, il nazionalismo territoriale israeliano, ecc …) e cosmopolite (Obama, Clinton, Soros, ecc …); fino ad ora le seconde hanno avuto la meglio sulle prime, ma chiudere la porta a Soros per aprirla a Lieberman (come vorrebbe il leader leghista Salvini) è una operazione interna alla reazione neoliberista. Tanto lo speculatore Soros quanto il neofascista Lieberman sono nemici giurati dei movimenti progressisti, gentaglia con le mani sporche di sangue.

L’articolo di Dinucci svela l’inganno del (politicamente) viscido Steve Bannon: ‘’Ad esercitare pressione sull’Italia per orientarne le scelte politiche non è solo l’Unione europea, dominata dai potenti circoli economici e finanziari soprattutto tedeschi e francesi, che temono una rottura delle «regole» funzionali ai loro interessi. Forte pressione viene esercitata sull’Italia, in modo meno evidente ma non meno invadente, dagli Stati uniti, che temono una rottura delle «regole» che subordinano l’Italia ai loro interessi economici e strategici. Ciò rientra nelle politiche che Washington adotta verso l’Europa, attraverso diverse amministrazioni e con metodi diversi, perseguendo lo stesso obiettivo: mantenere l’Europa sotto l’influenza statunitense’’ 1. Ed ancora: ‘’Strumento fondamentale di tale strategia è la Nato. Il Trattato di Maastricht stabilisce, all’Art. 42, che «l’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la Nato». E il protocollo n. 10 sulla cooperazione stabilisce che la Nato «resta il fondamento della difesa» dell’Unione europea’’. L’imperialismo tedesco, un tempo legato alla ‘’fazione liberale’’ ha, con tutta probabilità, dato per spacciata “Killary” Clinton, quindi si è orientato (geo)politicamente verso la Federazione russa. Detto e fatto. Bannon, ex banchiere (non pentito) della Goldman Sachs, sbarca in Europa e proclama una guerra commerciale alla, fin troppo paziente, Mosca. Cerchiamo di fare, per quanto possibile, delle previsioni:

Trump ha intenzione di far saltare – contro la volontà di Putin – la UE legando i singoli stati nazionali alla burocrazia imperialista della NATO. Che cosa significa tutto ciò? Semplice, l’Alt Right ha vinto la sua guerra inter-oligarchica contro la Fondazione Clinton, adesso comanda l’ala “civile” del Ku Klux Klan. Non esiste un meno peggio, le scelte sono entrambe peggiori.
Nessun partito nazionalista europeo toglierà le ingiuste sanzioni alla Federazione russa. Ben presto la Lega ed il M5S diventeranno, obtorto collo, scherani di Washington e Tel Aviv (la Lega lo è già da tempo). Il Partito (anti)democratico rispondeva a Soros ed al clan Clinton; Lega e M5S a Trump e Lieberman. Dentro il neoliberismo globalizzato non esistono né pace e né giustizia sociale.

Dinucci ci offre qualche ulteriore informazione: ‘’Emblematico il fatto che, proprio nella settimana in cui in Europa si dibatteva aspramente sulla «questione italiana», è sbarcata ad Anversa (Belgio), senza provocare alcuna significativa reazione, la 1a Brigata corazzata della 1a Divisione statunitense di cavalleria, proveniente da Fort Hood in Texas. Sono sbarcati 3.000 soldati, con 87 carri armati Abrams M-1, 125 veicoli da combattimento Bradley, 18 cannoni semoventi Paladin, 976 veicoli militari e altri equipaggiamenti, che saranno dislocati in cinque basi in Polonia e da qui inviati a ridosso del territorio russo ’’. Il banchiere Bannon non ha nulla da dire, non esiste – in questo caso, ben più grave – un problema di sovranità violata, tanto per cambiare, da Washington? Guai a sovrapporre l’imperialismo tedesco all’imperialismo americano-sionista, si finisce fra le braccia di guru nazionalisti che fomentano sottobanco l’ostilità contro il mondo antimperialista. Tanto Bannon, quanto il suo amico Dugin (lo stregone dei neofascisti occidentali) vorrebbero la separazione della Russia europea da quella asiatica e la divisione, su basi etniche e religiose, della Repubblica popolare cinese. Le vie della CIA sono infinite.

Nessuno, fra i difensori della sovranità nazionale, si è preoccupato di periziare le posizioni di questo ‘’ex’’ della Goldman Sachs di fronte alla pulizia etnica della Palestina? Il giornale Breitbart (di cui Bannon è il fondatore) ha più volte intervistato il figlio dello Scià, Reza Ciro Pahlevi, opponendosi con argomentazioni guerrafondaie all’Accordo sul nucleare iraniano. Il rabbino di estrema destra Shmuley Boteach si è preso la briga di dare all’uomo dell’Alt Right, quasi, il titolo di ‘’ebreo onorario’’. Leggiamo: “Breitbart ha seguito da vicino e si è opposto con forza all’accordo sul nucleare iraniano voluto dagli Stati Uniti”. Un vero sproloquio sionista quello che segue: ‘’Breitbart difende costantemente Israele anche dal movimento antisemita BDS (Boycott, Divestment and Sanctions), il cui obiettivo è la distruzione economica dello Stato di Israele’’; “il popolo ebraico, oggi, si trova di fronte a una nuova era che vede crescere l’antisemitismo ovunque, e sempre di più in Europa. Abbiamo bisogno di nemici reali che sappiano combattere contro tutto ciò. Hamas, Hezbollah e l’Iran. Gli editorialisti di Breitbart hanno dimostrato di saper resistere con forza contro tutti e tre”. Gli editorialisti di Breitbart sono dei fanatici neofascisti, fra di loro spicca il lobbista Milo Yiannopoulos; razzista, difensore della pedofilia ed apologeta dello sterminio dei pellirossa. L’abbraccio della lobby sionista a Trump e Bannon comprende un contratto coi neonazisti, una nuova strategia della tensione la quale, ben presto, arriverà in Europa. L’Alt Right ‘’yankee’’ è, in questo momento specifico, il nemico principale.

Il razzismo di Trump, Bannon e Yiannopoulos contro il mondo musulmano è stato duramente attaccato dal coraggioso giornalista israeliano Gideon Levy, una delle voci più autorevoli della sinistra anti-neoliberista arabo-israeliana: ‘’Siti online di informazione come Huffington Post e Jewish Forward si chiedono se sia possibile essere antisemita e sionista e hanno concluso: sì. Per IJAN, l’allineamento delle organizzazioni reazionarie sioniste (cioè ZOA) con finanziatori miliardari sionisti che attaccano i movimenti progressisti (cioè Sheldon Adelson) e con il reazionario razzista presidente eletto Trump e il suo stratega politico Bannon, è una conferma della natura dell’ideologia sionista e del movimento sionista. Si tratta di un movimento e di un’ideologia basati sul razzismo contro palestinesi e arabi, sulla demonizzazione dell’Islam e dei musulmani, sulla pulizia etnica e la giustificazione della colonizzazione. Ecco perché il sionismo è un insulto alla storia delle lotte ebraiche contro l’antisemitismo e la partecipazione ebraica a lotte collettive per i diritti del lavoro, diritti civili e diritti umani e contro razzismo e repressione’’. Per Levy ‘’il sionismo è un insulto alla storia delle lotte ebraiche contro l’antisemitismo e la partecipazione ebraica a lotte collettive per i diritti del lavoro, diritti civili e diritti umani e contro razzismo e repressione’’. L’antisemitismo, prodotto barbaro del colonialismo europeo. Quei mostriciattoli che Steve Bannon rappresenta, un rozzo cantore del nazionalismo bieco e militarista ‘’yankee’’.

Da questo punto di vista, farsi illusioni sul governo ‘’giallo-verde’’, Lega – M5S, sarebbe, per chi si professa anti-capitalista e antimperialista, un errore imperdonabile. Ancora più grave è l’infatuazione, una fascinazione che parte da lontano, per qualche discorso (di hitleriana memoria?) di Bannon contro la globalizzazione. Si comincia col sostituire il termine ‘’imperialismo’’ con ‘’mondializzazione’’, salvo poi camminare, mano nella mano, coi nazionalisti USA (cioè la fazione nazionalista della CIA). Una fine davvero poco onorevole.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun ott 01, 2018 7:20 am

Federalismo e sovranità del cittadino secondo Radicali Italiani
7 aprile 2016
Il documento sulle politiche locali previsto dalla mozione generale di Radicali Italiani #radicali

https://iniziativaradicale.wordpress.co ... i-italiani

La mozione generale di Radicali Italiani impegna gli organi dirigenti a

“predisporre entro tre mesi un documento che raccolga le azioni politiche Radicali già poste in essere a livello locale ed esprima un progetto di governo a partire dal quale verificare la percorribilità di iniziative popolari e di presenze politiche alle prossime elezioni amministrative”

Potete scaricare e visionare l’intero documento cliccando Federalismo e sovranità del cittadino – 3 marzo

Qui ne pubblichiamo solo la premessa


Premessa Generale

Assicurare la sovranità al cittadino in ambito locale e globale: questo l’obiettivo di fondo dell’azione di Radicali Italiani. “Il cittadino come centro di libertà e di diritti, un centro intorno al quale, e in funzione del quale, deve organizzarsi il potere pubblico in tutte le sue articolazioni”. Si tratta di “restituire a ciascuno le chiavi del proprio destino attraverso un recupero del diritto di governare sé stessi1”e la cosa pubblica.

I cittadini esercitano la sovranità, che dovrebbe “appartenere”2 loro, nelle forme e nei limiti delle leggi, leggi che dovrebbero produrre Diritto. Le leggi, le regole, in Italia, in molti casi non producono Diritto, sono ineffettive, non producono gli effetti per le quali sono nate. Senza effettività della legge o più in generale della regola, a tutti i livelli istituzionali, la democrazia rappresentativa risulta essere un mandato vuoto. Vi è poi la sottrazione da settant’anni della seconda scheda, della possibilità per i cittadini di ricorrere all’istituto referendario, così come agli strumenti di iniziativa popolare locale, strumenti che dovrebbero integrare la democrazia rappresentativa. E infine la violazione del diritto alla conoscenza, diritto non codificato ma essenziale in una democrazia a tutti i livelli istituzionali, violazione che si manifesta in Italia sia per la natura e la proprietà dei mezzi di informazione, in mano ai Partiti o a pochi grandi gruppi industriali, sia per l’assenza di un sufficiente livello di accountability – di capacità delle istituzioni di rendere conto sulle politiche pubbliche e la conseguente capacità di governo e controllo del cittadino. Controllo che il cittadino non ha, né direttamente né tramite i suoi rappresentati, neanche rispetto all’enorme area di produzione ed erogazione dei servizi locali. Il controllo effettivo degli organismi partecipati, che forniscono i servizi, è in mano di fatto a partiti, clientele e reti di potere e manca una misurazione scientifico-comparativa della qualità dei servizi. 2

Ineffettività del Diritto, strumenti inefficaci di democrazia diretta, indisponibilità di conoscenza, incontrollabilità dei servizi pubblici, sono componenti fondamentali della crisi della sovranità del cittadino in questo Paese.

Proponiamo dunque strumenti di politica pubblica capaci di aprire il governo locale, strumenti che accrescano la capacità di contare dei cittadini, anche fuori dai partiti e dai passaggi elettorali.

Le liberalizzazioni, l’apertura alla concorrenza dei servizi locali, restituirebbero la scelta agli individui e alle famiglie dell’impresa alla quale affidarsi, e comunque garantirebbero maggiore qualità. Lo stesso criterio di apertura al cittadino dovrebbe essere applicato ai servizi sociali alla persona spostando la scelta dall’amministrazione – che oggi seleziona organizzazioni private, cooperative etc. – direttamente al cittadino.

Infine vanno promosse quelle forme innovative di produzione di servizi locali riconducibili alla cosiddetta sharing economy, che avrebbero, se ben accompagnate anche attraverso strumenti tecnologici – e non controllate rigidamente – dalle istituzioni, l’esito di sottrarre all’intermediazione di interessi politici un’area di servizi che verrebbe sostanzialmente lasciata a meccanismi di collaborazione spontanea.

Proponiamo dunque un modello alternativo a quelli che si sono susseguiti in Italia, modelli, in forma diversa, centralizzati e in mano a partiti o oligarchie “private”. Un modello alternativo sia alla gestione pubblica tradizionale – quella delle partecipazioni statali e delle municipalizzate, quelle della proprietà formalmente pubblica – che a un sistema, in piedi da venticinque anni, di esternalizzazione di servizi ad imprese o organizzazioni collaterali agli interessi di potere, tutto basato sull’affidamento diretto, sulla discrezionalità politica. Un modello finalmente federalista che si fondi su conoscenza, concorrenza e Diritto. Un modello concorrenziale sui servizi pubblici fondato su liberalizzazioni, strumenti di misurazione scientifico-comparativi della qualità, forme innovative di libera produzione e fruizione di servizi condivisi tra cittadini. Un modello con forte autonomia tributaria per comuni e città dove i cittadini possano esprimersi sulle scelte tributarie anche con referendum vincolanti.

L’assetto istituzionale più adeguato a restituire sovranità al cittadino è il Federalismo.

Federalismo che nella sua forma europea si riassume negli “Stati Uniti d’Europa”, unico livello istituzionale in grado di giocare una partita di democrazia, diritti, libertà e competitività sullo scenario globale. Nessun Paese da solo è in grado di fronteggiare sfide come le migrazioni, le grandi crisi finanziarie, il mutamento climatico o il terrorismo internazionale. Oggi sono gli Stati nazionali a fallire, così come un’ idea d’Europa: quella delle patrie e dei trattati, quella intergovernativa, quella delle reazioni nazionali che non sono altro che illusioni nazionali. Un’Europa federale accrescerebbe la sovranità dei cittadini sulle politiche pubbliche europee e quindi sulle dinamiche transnazionali.

Il federalismo nella sua forma locale, comunale, cittadina, garantisce invece all’individuo la possibilità di affermare la sua sovranità al livello istituzionale a lui più vicino e di avere, di conseguenza, un maggiore controllo della qualità dell’azione amministrativa sperimentandone direttamente gli effetti, a partire dai servizi pubblici. 3

In Italia vi è una sproporzione tra i poteri, ancora ridotti, dell’istituzione locale, dei Comuni, delle città e il peso sociale, economico ed ecologico di queste realtà urbane sulla qualità della vita della popolazione.

Chiediamo che i Comuni dispongano della leva tributaria, con una piena capacità impositiva sulla prima casa e sui servizi, per responsabilizzare l’amministrazione nei confronti dei cittadini che potranno così verificare l’utilizzo del proprio denaro. “Alcuni beni e servizi si traducono in benefici localmente circoscritti: in questi casi un’offerta decentrata permette ai poteri locali di fornirli in quantità che corrispondono a costi e preferenze specifici”3. Una forma di sovranità popolare, di potestà effettiva di governo del cittadino è certamente quella di pagare le tasse potendone verificare e sperimentare direttamente l’utilizzo (‘il Sindaco mi chiede questi soldi e mi dice come li spende, in modo che io possa valutarne l’operato’). L’operazione del Governo Renzi di azzerare le imposte sulla prima casa, anziché ridurre quelle sul lavoro (imprese e lavoratori), come da noi proposto, va nella direzione opposta rispetto a forme di federalismo municipale fiscale, proprio nella fase di definizione del livello istituzionale ‘Città Metropolitana’4.

Le forme di autonomia che proponiamo per i Comuni, connaturate ad un assetto federale, partono anche dalla convinzione che il cittadino accresca la sua sovranità e quindi la sua stessa libertà in tale contesto. Sul legame tra autonomia, responsabilità e libertà e sulla utilità di ampie autonomie locali nel quadro di un sistema federale europeo ci viene in soccorso Luigi Sturzo che nel 1951 disse che “sarebbe inconcepibile un’Europa democratica e federata, se non vi fosse l’articolazione di una vita municipale autonoma, tanto più sinceramente federale quanto più intimamente autonoma. L’autonomia che si rivendica deriva dal senso di libertà che è coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, che è autolimitazione disciplinata e senso di responsabilità”.

Note

1 “Accendere di democrazia la politica: dal cittadino-plebe al cittadino democratico” di Mario Patrono – RADICALI ITALIANI Verso un “nuovo possibile”. Progetto per una riforma “radicale” delle istituzioni europee, statali e dell’ordinamento regionale.

2 Alla base, e sullo sfondo, uno degli enunciati di cui si compone il primo articolo della Costituzione: <La sovranità appartiene al popolo>. Il verbo <appartiene> è decisivo. Indica disponibilità e indica un carattere di continuità: anche nelle forme della democrazia “rappresentativa”, la quale pertanto non si esaurisce nel diritto, da parte dei governati, di scegliere i governanti attraverso il voto alle elezioni. Il contenuto della democrazia, si è detto bene, <non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere>; non che <abbia la nuda sovranità (che praticamente non è niente) ma l’esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)>. (“Accendere di democrazia la politica: dal cittadino-plebe al cittadino democratico” di Mario Patrono – RADICALI ITALIANI Verso un “nuovo possibile”. Progetto per una riforma “radicale” delle istituzioni europee, statali e dell’ordinamento regionale).

3 Il federalismo fiscale e l’Unione Europea di Marco De Andreis (2010) – Qual è la distribuzione ottimale delle funzioni di governo tra i diversi livelli, quello centrale europeo, quello nazionale e quello regionale/locale? La teoria del federalismo fiscale può aiutarci a trovare le risposte giuste. Elaborata da Richard Musgrave nel 1959 e in seguito da Wallace E. Oates1 , essa si basa sulle tre principali funzioni economiche di governo: stabilizzazione, distribuzione e allocazione. Secondo questa teoria, le prime due funzioni vanno svolte dal governo centrale, mentre l’allocazione può essere ripartita tra i diversi livelli, seguendo un criterio di coincidenza fra beneficiari e contribuenti.

Quello che conta è l’incidenza spaziale dei benefici: coloro che usufruiscono della fornitura di beni a un dato livello di governo dovrebbero essere gli stessi che provvedono al relativo finanziamento. (..) La divisione del lavoro fra i diversi livelli del governo per quanto riguarda l’offerta di beni pubblici è giustificata dalle diverse preferenze territoriali esistenti nell’ambito di un’ampia giurisdizione qual è ad esempio una federazione. Alcuni beni e servizi si traducono in benefici localmente circoscritti: in questi casi, un’offerta decentrata permette ai poteri locali di fornirli in quantità che corrispondono a costi e preferenze specifici. Ne consegue che la tassazione di fattori altamente mobili – come i redditi da capitale e in minor misura i profitti – dovrebbe essere attribuita principalmente al governo centrale. Il lavoro è anch’esso mobile, sebbene in misura più limitata, e la sua tassazione è legata alla previdenza sociale, una funzione di governo affidata al livello federale negli Stati Uniti e a quello degli Stati membri nell’Unione Europea. Al contrario, le imposte sui consumi, come pure quelle sui beni immobili, andrebbero affidate ai governi locali.

4 La capacità finanziaria dei sindaci dipenderà ancor di più da trasferimenti statali e regionali – finanza derivata. Si è eliminata una delle poche imposte che non si possono evadere e che esistono in tutti i Paesi, con aliquote ben più elevate di quelle ora abolite in Italia. Ci troviamo oggi in una situazione anomala in Europa e, più in generale, nel mondo Occidentale. Tra i Paesi UE, solo a Malta non si paga un’imposta sulla prima casa, mentre l’Italia resta ai primi posti in Europa per la tassazione sul lavoro.







STATI UNITI D'EUROPA SUBITO!
Intervista a Emma Bonino

http://www.emmabonino.it/campagne/sue/sue_subito.php
SOMMARIO: Con il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, al confino, dove erano stati costretti dal regime fascista, il sogno dell'unità federale dell'Europa diventa concreta lotta politica. Dopo cinquant'anni, la Comunità Europea, unica istituzione esistente, è bloccata nel suo sviluppo politico dall'assenza di veri organi sovranazionali. Dopo anni di fallimenti delle iniziative governative o diplomatiche è necessario affidare al Parlamento europeo, sostenuto dai Parlamenti nazionali e da tutto il popolo europeo, il mandato di redigere la carta costituzionale. L'evoluzione della Comunità in federazione, la trasformazione delle federazioni di fatto in federazioni di diritto, anche mutando la composizione geografica del loro attuale territorio, la creazione di nuove federazioni, non solo in Europa, ma anche in Asia, Africa, America Latina, è uno dei compiti prioritari del Partito Radicale. (Il Partito Nuovo, n.3, Agosto 1991)


STATI UNITI D'EUROPA SUBITO!
A trentacinque anni dalla sua nascita, la Comunità europea diventa sempre più incapace a realizzare gli obiettivi previsti e gli ideali impliciti nei trattati costitutivi: il rafforzamento delle difese della pace e della libertà, il miglioramento delle condizioni di vita e di occupazione dei popoli, l'unità e lo sviluppo armonioso delle loro economie. Infatti, sul piano politico, l'assenza di una voce unica non permette alla Comunità europea di contribuire alla soluzione delle crisi politiche e militari che avvengono persino ai suoi confini. Sul piano economico, la mancata realizzazione di un mercato interno e di politiche comuni, soprattutto nel campo della ricerca, dell'industria, dell'energia, della tecnologia e dell'ambiente, da un lato moltiplica i costi diretti e indiretti, causati dallo spreco di risorse e dalle molte duplicazioni, dall'altro diminuisce i profitti, non beneficiando dell'economia di scala, della distribuzione ottimale dei fattori di produzione e del moltiplicatore di efficacia derivato dal quadro comunitario. Sul piano sociale, la mancanza di una politica comune del lavoro e dell'occupazione, non solo aumenta gli squilibri territoriali, ma sta creando milioni di disoccupati e sottoccupati, rendendo così ancora più difficile l'inserimento di centinaia di migliaia di cittadini di paesi extracomunitari, spinti all'esodo dalla fame e dal sottosviluppo. Più in generale, la rinazionalizzazione di tutte le politiche impedisce la realizzazione di un grande programma di collaborazione solidale nord-sud ed ovest-est, che potrebbe eliminare alle origini i più gravi problemi con l'attuazione di un nuovo «piano Marshall». Allo stato attuale dell'azione della Comunità, non è da prevedere una soluzione democratica a questa situazione. Fallito il tentativo di realizzare gli Stati Uniti d'Europa, partendo dal progetto di trattato di Unione europea, elaborato da Altiero Spinelli ed approvato dal Parlamento europeo nel febbraio 1984, il Mercato unico europeo, principale obiettivo dell'Atto Unico, si avvia al fallimento o a realizzazioni settoriali, tecnocratiche e soprattutto non democratiche. Questo perchè, come testimoniano le ripetute crisi, qualunque sia il grado di integrazione economica che si raggiunge, essa non porta mai automaticamente all'integrazione politica: un programma economico, specie se di dimensione superstatuale, richiede necessariamente una gestione politica, cioè istituzioni capaci a delinearlo e a garantirne l'attuazione democratica, adeguate allo stesso livello sopranazionale: un Parlamento europeo che disponga di poteri legislativi e di controllo e una Commissione dotata di reali poteri esecutivi. Per realizzare questo salto di qualità politica bisognava superare il trattato di Roma e l'Atto Unico, affidando al Parlamento europeo, investito dal mandato costituente, l'elaborazione di un nuovo trattato. L'attribuzione del mandato avrebbe acquistato maggiore forza ideale e democratica se ottenuto con referendum popolare, come realizzato in Italia su iniziativa congiunta del Partito Radicale e del Movimento Federalista Europeo, contestualmente alle elezioni europee del 1989. E' necessario, perciò, che i federalisti democratici, in primo luogo i membri del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, contribuiscano al rafforzamento del Partito nuovo, federalista, transnazionale e transpartitico, impegnato prioritariamente nella elaborazione e nella successiva ratifica della nuova carta costituzionale degli Stati Uniti d'Europa. Il Partito nuovo è il partito degli innovatori che deve battersi contro quello degli immobilisti e la palude dei partiti tradizionali. Il compito è difficile: però, più ampio sarà il consenso al Partito nuovo, più rapidamente si potrà contribuire alla realizzazione degli Stati Uniti d'Europa, aperti alla adesione e alla collaborazione di tutti quei paesi che vogliano condividere questo grande progetto, fondamento degli Stati Uniti del Mondo.


STORIA E TEORIA DEL FEDERALISMO
di Angiolo Bandinelli

http://www.emmabonino.it/campagne/sue/storia.php

SOMMARIO. La storia del "Manifesto" di Ventotene deve essere fatta risalire agli anni bui del dopoguerra e della crisi europea, quando gli intellettuali liberali e democratici furono costretti ad avviare un profondo processo di revisione del loro bagaglio ideale e programmatico: "come salvaguardare, nello Stato, il diritto alla o alle libertà, in presenza di una esigenza montante di maggiore eguaglianza e parità di opportunità?" Liberali e marxisti si lacerarono nella ricerca di una armoniosa conciliazione tra le diverse priorità, cercando di avvicinare un ideale di "libertà compiuta", non solo formale, per tutti. Ma Benedetto Croce prende atto che è finita l'epoca della "fiducia nel soggetto trascendentale", mentre la politica dispiega il suo volto più strumentale: la libertà, oggi, è solo nel "trascendente mondo della Storia", dove le contraddizioni si armonizzano. In questa condizione, la libertà si rifugia anch'essa nel trascendentale: la "religione" della libertà. In politica, si individuano tre modelli di soluzione alla crisi: il modello americano, quello italiano e quello sovietico...In tutti e tre, lo Stato è al centro del sistema, e il Bene è definito in funzione dello Stato. A sua volta, il Bene è ristretto nella sfera dell'Economico, e tutti i valori devono rapportarsi a questo. Lo Stato fascista e quello sovietico sono tra loro più simili, ma anche nel modello democratico americano vi sono punti di simiglianza. La seconda guerra mondiale tenderà ad avvicinare ancor più i tre modelli e le loro realizzazioni, fino alla bomba atomica. Spinelli e Rossi risalgono alle origini del processo, e individuano il nocciolo profondo nel formarsi storico degli Stati nazionali, che hanno finito nell'essere travolti dalla Volontà di Dominio nel contempo e per conseguenza trasformandosi in padroni di "sudditi" costretti ad operare in vista della massima "efficienza bellica". Perfino il movimento operaio si piega alle esigenze dello Stato-nazione, la lotta di classe si trasforma in uno scontro "corporativo" per l'appropriazione del massimo dei beni disponibili. La proposta di Rossi e Spinelli, a questo punto, è la "distruzione" del Behemoth statale "in quanto centro di concentrazione assoluta di potere". A questo fine non è certo sufficiente la creazione della Società delle Nazioni (o dell'ONU): ciò che occorre, è creare un "sistema politico" che superi gli inconvenienti dello Stato "assoluto", nazionale. Solo lo Stato federale può contemplare e favorire al suo interno la persistenza di altri "sistemi originari" creatori di diritto" e quindi di una pluralità di fedeltà che sia davvero garanzia di libertà per tutti e ciascuno. (LA PALLACORDA, bimestrale, Torino, 2 semestre 1984 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)


La storia del "Manifesto di Ventotene" viene da lontano, anche da più lontano che non siano gli anni nei quali, nel cerchio forzato dell'esilio in patria, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli gettavano giù quelle poche pagine di appunti e riflessioni. Certo, già allora esse apparvero fastidiose, incomprensibili e pericolose, se costarono all'uno e all'altro l'isolamento dagli altri detenuti politici (pochi dei quali vollero sottoscriverle) e il distacco reciso dai comunisti, che le condannarono aspramente e senza appello. Ma le radici della loro diversità affondano in quel travaglio di idee con il quale, dopo la crisi del 1921 che separava le due anime del socialismo europeo - comunisti e riformisti - con un solco non più destinato a chiudersi, a seguito della vittoria dei fascismi europei, al cospetto della profonda trasformazione delle strutture statuali determinata dall'industrializzazione, e in mezzo agli scontri sempre più aspri fra le Potenze sul terreno della divisione dei mercati e dell'egemonia mondiale, politici e intellettuali dovettero avviare la revisione del loro bagaglio di teorie e di ipotesi. In Italia sono gli anni dei Rosselli, di "Giustizia e Libertà", del liberalsocialismo, che ereditano i dubbi e le sconfitte degli Amendola come dei Nitti, dei Salvemini, dei Gobetti e dei Matteotti, sconfitti e massacrati non tanto dalla mano omicida di qualche sicario, ma da una violenza più profonda, drammatica e grandiosa, che investiva e liquidava certezze e garanzie, diritti e "forme-Stato", con una facilità irrisoria, una burbanza e una sicurezza che davano adito a sospetti profondi circa il sostegno reale che ne guidava e reggeva la mano assassina. Il mondo democratico più avvertito cominciò a porre mano ad una revisione che non poteva non essere difficile, mentre i tempi stringevano e una nuova e più sconvolgente resa dei conti si avvicinava. Una lettura di prima approssimazione di questi tentativi ci pare possa dirci che il gran tema in discussione è sul come, dinanzi alle trasformazioni e agli sconvolgimenti in atto, si possa salvaguardare, nello Stato, il diritto alla o alle libertà, in presenza di una esigenza montante di maggiore eguaglianza e parità reale di opportunità e di conseguimenti: per tutti i membri della comunità sociale e per ciascuno di essi. I due termini appaiono inconciliabili, o quasi. Pareggiare le opportunità per tutti - e non solo le opportunità, ma i conseguimenti reali - non significa sviluppare armoniosamente la vecchia, grande intuizione e affermazione liberale secondo la quale occorre appunto poter garantire a tutti e ciascuno l'accesso, o le possibilità di accesso, a quell'agone sociale nel quale poi ciascuno possa far valere le proprie capacità. Le sinistre marxiste sbeffeggiano questa fiducia e la denunciano come una truffa messa in atto dal mondo borghese ai danni del proletariato: la corsa che si svolge sull'agone sociale è già truccata in partenza, non bastano le assicurazioni d'un allineamento corretto sulla linea di partenza; il garantismo formale è il sigillo d'una farsa che il proletariato non può più accettare. L'uguaglianza deve essere non formale, ma sostanziale, il proletariato deve impossessarsi (per gestirlo in proprio, in quanto classe) del sistema della produzione. E' un progetto di grandezza storica, che mira scopertamente alla sovversione non dei tempi, ma del tempo in sé che, una volta che la rivoluzione avrà vinto, sarà qualitativamente altro da quello che oggi misura la durata interiore della coscienza dell'uomo, fordianamente parcellizzandola e impedendole di svilupparsi armoniosamente e "totalitariamente". Se questa è la risposta marxista al quesito, essa non è apparsa convincente a molti, i quali però non riescono a fornire al problema una diversa soluzione, che appaia ugualmente persuasiva. I più, in realtà, balbettano concettini informi, se non deformi. Ma, d'altra parte, il tentativo più aulicamente solenne e vigoroso, quello compiuto da un Benedetto Croce che di nuovo affronta i grandi temi filosofici troppo a lungo accantonati, approda ad una dichiarazione di sconfitta. Benedetto Croce prende atto, proprio in questi anni, che un'epoca della storia si è chiusa, l'epoca della fiducia nel soggetto trascendentale, attore e protagonista del movimento della libertà (1). Il soggetto portatore delle categorie trascendentali è sconfitto, almeno sui piano dell'agire, sul piano della politica. La politica è il luogo della funzione (funzione/finzione) cui il soggetto viene sacrificato in una separatezza e divisione di sé da sé e dal tutto che non pare possa essere, nel contingente, reintegrata. La libertà è altrove: è nel trascendente mondo della Storia, nel cui occhio, che si apre e si dilata dopo e al di sopra dell'evento, si ricompongono e si armonizzano gli avvenimenti che nel contingente si svolgono come fotogrammi d'un film, in una successione che non ha connessioni interiori. La libertà, dall'altra parte, si interiorizza: fai il tuo dovere, è l'imperativo del quotidiano; afferma dinanzi al foro della tua coscienza solitaria il valore e l'etica, anche quando essa non può dettare le sue leggi nel mondo del fattibile, dove si svolge la vicenda umana. Se la politica è funzione, manipolazione strumentale, come si può paragonare, mettere a raffronto il suo prodotto, quale che esso sia e quale che siano le sue pretese, con la libertà che, identificandosi con l'etica, si pone come categoria, quindi nel trascendente, misura delle cose dalle quali essa non può, per definizione, essere misurata? Dunque, prosegue Croce, la coniugazione di libertà con giustizia è un impossibile logico, un assurdo concettuale e filosofico. Lo Stato operi per disporre del bene economico con la massima equità possibile nel contingente; ma non per questo pretenda di realizzare nella sua completezza l'ideale, la sostanza (substantia, proprio) della libertà matrice della storia e dello stesso Stato. La risposta di Croce condivisibile o meno che sia, si iscrive nel suo tempo con grande precisione, e ne dà una sua interpretazione che per certi rispetti - e pensiamo alla definizione dell'attività politica - si incontra perfettamente con altre che pretendono una maggiore modernità (Luhmann). Ma se gli sforzi teorici dei democratici e dei liberali non producono soluzioni soddisfacenti, i politici architettano tuttavia, e realizzano, tre ipotesi. Negli anni '30, in America come in Unione Sovietica, come in Italia, si disegnano modelli grandiosi di rapporto tra bene e libertà, e quindi tra cittadino (suddito) e Stato, che in gran parte si distaccano l'un dall'altro ma che hanno anche alcuni tratti in comune. Per tutti e tre i modelli, lo Stato è al centro del sistema, e la politica è l'attività centrale cui tutte le altre, compresa la sfera dell'economico, sono subordinate: è quello che si chiama il primato del politico. Il bene è definito, in tutte le sue valenze, in funzione dello Stato. Nulla può sfuggire al circolo di valori che lo Stato impone ai suoi cittadini/sudditi, non vi è diritto di natura che possa imporre allo Stato e alle sue ragioni un limite qualunque. Ogni bene si appiattisce e regredisce alla condizione dell'economico, e l'economico è il solo metro del rapporto tra i beni: ma tutto, ripetiamo, è governato dentro la sfera del sistema politico, e per il bene superiore dello Stato. Lo Stato sovietico e quello fascista sono i più simili tra di loro nello spingere alle estreme conseguenze questo modello sistematico. In parte, resta più elastico il modello statuale delle democrazie occidentali, a partire da quello americano. Non c'è dubbio, qui una serie di garanzie vengono frapposte, o lasciate sopravvivere, tra i poteri propri allo Stato e i diritti rivendicati dal cittadino. Si accetta (e si impone) la distinzione tra pubblico e privato, a diminuire e svelenire iI condizionamento massiccio di quella riduzione del soggetto trascendentale a funzione che però non viene del tutto negata: anche questi Stati sono proiezioni di società industrializzate e altamente specializzate, e proprio qui anzi si inventa e si esalta quello che sarà il paradigma stesso del sistema, quello che viene chiamato fordismo o taylorismo. Si accetta comunque (o si tollera) l'obiezione di coscienza; si delimitano spazi di libertà per le chiese e per la sfera del religioso, anche quando esso non coincide col privato (ma la Chiesa cattolica non accetterà mai tale delimitazione e, rivendicando a sé la pienezza del potere - in quanto Stato in sé perfetto - arriverà tutt'al più ad accettare situazioni di fatto determinate dai rapporti di forza o a contrattare, in alcuni casi, la delimitazione delle sfere di competenza); si erige a canone di interpretazione del fenomeno politico il sistema statistico, attraverso il quale, nella misurazione dei rapporti di forza tra gruppi di potere concorrenti, si arriva anche a individuare i percorsi della funzione di libertà (il che equivale a dire, ancora una volta, che la libertà non è valore trascendente, né forma dell'infinito processo storico, ma funzione, rapporto, definibile come "forma" delle esigenze strutturali proprie a ciascuno dei gruppi di forze concorrenti nell'ambito del sistema: che è sistema chiuso, non infinito). E' il massimo di libertà concepibile e realizzabile all'interno dello Stato moderno; ed è sicuramente sufficiente a determinare, nella crisi del 1939, la spaccatura mondiale, tra progresso e reazione. Ma, con gli occhi dei posteri, possiamo vedere oggi che anche in questa occasione alcuni equivoci vengono tollerati: la partecipazione alla guerra antifascista dà all'Unione Sovietica una formidabile legittimazione come paese democratico. Nonostante le denunce che proprio durante gli anni '30 vengono rivolte al "Dio che è fallito" in un dibattito che avrà un influsso enorme sugli sviluppi della cultura per oltre trenta anni, il socialismo reale viene accolto tra le esperienze positive della società e degli Stati moderni nel cammino faticoso verso la soluzione del problema storico in cui si dibattono: il rapporto, ripetiamo, tra giustizia e libertà. Le risultanze di questo dibattito e di queste gigantesche esperienze vengono messe in causa proprio dalla seconda guerra mondiale. E questa l'occasione nella quale il sistema dello Stato moderno, lo Stato del Politico e della "funzione", si sbarazza di tutte le garanzie che ha dovuto accordare alle esigenze di libertà e si erge di nuovo, come mostruosa Ipostasi, in tutta la sua spietatezza. L'economia dello Stato sociale, mettendo in mostra tutte le sue capacità e le sue potenzialità nel momento in cui si trasforma, con immensa facilità, in economia di guerra, rivela quali siano le fondamenta reali, fin qui restate celate, su cui essa si basa. Nell'obiettivo della vittoria "giusta" tutte le garanzie di libertà sono sospese, ogni cedimento è tradimento, l'individuo viene di nuovo ricondotto, totalitariamente, alla condizione di funzione del sistema, in alienazione assoluta. Anche gli Stati democratici assumono parecchi degli aspetti dello Stato totalizzante e totalitario, che erige la propaganda a valore di verità. Il processo pare ineluttabile. Quando si pensa alla vittoria sull'avversario la si pensa in termini, ormai, di annientamento. Come è noto, i veri obiettivi militari da distruggere per avvicinarsi alla vittoria non saranno le divisioni nemiche sul campo di battaglia ma le popolazioni civili delle città, di cui si cerca di spezzare i tessuti e i gangli nervosi, e i bersagli su cui saranno gettate le bombe atomiche saranno ancora una volta città, popolazioni di donne, vecchi e bambini. La bomba atomica realizza la definitiva silloge del sistema statuale e sancisce, con la perpetuazione della sua minaccia incombente, la condizione etica del mondo moderno. Non è poi tanto un caso se i piloti che la sganciarono impazzirono: l'uomo della strada non aveva ancora maturato le difese contro l'orrore dell'annientamento dell'etica, divenuta succube della funzione, allo stesso grado cui invece erano giunti gli scienziati atomici, eredi di una lunga e complessa storia culturale che aveva già elaborato teorie (o sofismi) giustificatori e assolutori... Non saranno in molti coloro che osservando questa mostruosa degenerazione dei sospetti e delle speranze cercheranno di porre il problema su basi nuove, diverse. Credo che si possano annoverare tra di essi i due antifascisti che elaborarono il "Manifesto di Ventotene", Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Il "Manifesto" si apre con questa lapidaria affermazione, insieme assioma e tesi da dimostrare: "La civiltà moderna ha posto come fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettassero". Come si vede, siamo nel cuore stesso del dramma moderno. Il ragionamento che segue alla premessa è lineare. Quel principio di libertà si è sviluppato grazie all'affermarsi dell"'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in Stati indipendenti". L'ideologia che ne è conseguita, quella dell'indipendenza nazionale, è stata indubbiamente molla di progresso. Tuttavia, con l'addensarsi sulla scena politica di molte Nazioni e Stati tutti ugualmente indipendenti ha portato con sé, quale sua conseguenza inevitabile, il formarsi di una volontà di dominio di ciascuno Stato nei confronti di tutti gli altri, e questa volontà di dominio si è eretta a morale universale, indiscussa e irriducibile (tra parentesi: nello stile del "Manifesto", che indubbiamente rivela atteggiamenti "titanistici", è già presente in nuce quel nietzchismo che oggi torna, pressappoco identico, quale rispecchiamento e insieme rifiuto nichilistico della cultura moderna, divenuta anch'essa, a sua volta, totalizzante...). Quale conseguenza di questo suo sviluppo, o ipertrofia, o degenerazione, lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini si è trasformato in padrone di sudditi "tenuti a servizio, con tutte le facoltà, per renderne massima l'efficienza bellica". Il processo ha investito tutte le formazioni statuali, anche se "gli Stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l'unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia...". Una sola smagliatura sembra di poter cogliere in questo argomentare serrato, ed è il passaggio nel quale si afferma che gli Stati totalitari "si sono dimostrati gli organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale". La sconfitta dei fascismi, sopraggiunta di li a poco, avrebbe messo in forse tale premessa e quindi le sue conclusioni. Ma solo in superficie; il processo di alienazione della libertà "trascendentale" dinanzi al potere non si è allentato, in una temperie che ha comunque accantonato ogni interpretazione della storia e della politica che si richiami a postulati etico-politici. In ogni caso, l'argomentazione di Rossi e Spinelli, che sembra trovare limiti e incertezze, riprende subito fiato e coglie un altro problema essenziale. Il "Manifesto di Ventotene" ha un avversario di fondo, ed è ovviamente il nazionalismo della forma-Stato moderna; ma ha anche un temibile interlocutore, con il quale polemizza a lungo, nelle ideologie delle sinistre che si rifanno più o meno dichiaratamente a Marx, e comunque privilegiano l'interpretazione economica della storia, in termini di lotta di classe. Quanti hanno cercato di risolvere il problema del rapporto libertà-giustizia utilizzando questo schema affermano che, nel momento in cui saranno aboliti, con la lotta di classe, la proprietà privata e il dominio dell'uomo sull'uomo, anche il problema della libertà sarà risolto. E il capitalismo che assoggetta l'uomo e lo priva della libertà di disporre di sé, che strumentalizza lo Stato per i suoi fini di parte, che scatena guerre che sono, in definitiva, guerre di dominazione capitalistica, guerre imperialistiche. Tutti questi mali saranno sconfitti, dicono i marxisti, una volta che sia stato colpito al cuore il sistema del capitale. Le questioni relative alla forma-Stato sono secondarie, mero riflesso dei movimenti reali che si svolgono a livello di struttura. La vera liberazione dell'uomo si svolge a questo livello, ed è la lotta di classe, che attraversa orizzontalmente gli schieramenti nazionali, sollevando ad una dimensione infra- e internazionale la responsabilità delle masse sfruttate: "Proletari di tutto il mondo, unitevi!" non è uno slogan dettato da passioni e sentimenti, è il dettato di un sillogisma teorico ferreo. Purtroppo, il sillogisma teorico non si chiuderà mai. Già con la prima guerra mondiale i proletari si divideranno secondo linee di frattura nazionali. Nel ventennio successivo, le masse operaie saranno profondamente inserite nel tessuto nazionale e diverranno ovunque il pilastro fondamentale delle fortune dello Stato nazionale. In America, è in questi anni (e l'episodio di Sacco e Vanzetti ne diventerà simbolico) che viene spezzato lo sviluppo di una sinistra marxista, mai più risuscitata dopo l'esplosione del New Deal rooseveltiano. In Italia un grandissimo teorico, Alfredo Rocco, getterà le formidabili basi di uno Stato nazionale, fascio dei produttori, che assorbirà in sé, soddisfacendole nella più assoluta integrazione, le esigenze e le aspirazioni delle masse lavoratrici. Il movimento socialista, dovunque, perderà il suo carattere internazionalista, e una sua notevole parte si piegherà alla difesa del "socialismo in un solo Paese". Da questa trasformazione strutturale del rapporto tra classe e nazione-Stato prenderà vita un nuovo schema di lotta per il potere che sarà destinato a lunga vita, riuscendo a dissolversi in schemi di interpretazione che saranno esaltati persino come emblematici della perfetta democrazia. Tale complessa trasformazione viene ben individuata dal "Manifesto di Ventotene", anche se per definirla esso impiega un termine che non incontrerà fortuna. Il "Manifesto" infatti definisce come "sezionalismo" quel meccanismo che oggi noi preferiamo chiamare "corporativismo". La lotta sociale e politica sarà soprattutto finalizzata, in ciascuno Stato, a fissare le quote rispettive che ciascun settore sociale, ciascuna corporazione, riuscirà a prelevare dall'insieme dei beni a disposizione della collettività. "Si continua a parlare della società moderna come della società capitalista. Ma se si intende bene cosa sia una società capitalistica (...) bisogna dire che oggi viviamo in una società (...) che è essenzialmente una società sindacalista", troviamo scritto sul "Manifesto" e "sindacalismo" è qui inteso, analogamente a "sezionalismo", come "corporativismo". Il massimo di democrazia si avrà, poste tali premesse, nell'aperto svolgimento di questo scontro per la spartizione e distribuzione dei beni, intesi come beni di scambio, ad esclusione di altri beni, o valori, diversi. In definitiva, anche il principio della lotta di classe si è dissolto, rispetto alla sua pretesa di interpretare le strutture profonde e autentiche della storia contemporanea; e allora quale altra risposta sarà possibile alla annosa domanda, quella su cui in tanti si sono travagliati? A questo punto, il "Manifesto di Ventotene" avanza la sua proposta. Se il travaglio del mondo moderno dipende (come sembra dimostrato) dallo sviluppo ipertrofico del Behemoth statuale, la battaglia da ingaggiare è quella della sua distruzione in quanto centro di concentrazione assoluta di potere. Non è sufficiente che lo Stato garantisca al suo interno il libero svolgimento della lotta politica tra le parti sociali. Lo scontro è diseguale perché, per la forza delle cose, per i dati strutturali che condizionano la vita dello Stato, prima o poi, e magari sotto l'impulso della guerra (che lo Stato in quanto tale tende sempre a promuovere), le forze che puntano alla ricostituzione dell'assolutismo torneranno a prevalere. Per dissolverle davvero occorre dissolvere il centro di potere che le attila, là dove esso si costituisce: occorre, insomma, abbattere lo Stato-nazione... In poche e sarcastiche battute il "Manifesto" liquida la speranza che possa a questo fine essere sufficiente la ricostituzione della Società delle Nazioni (magari con la nuova sigla dell'ONU). Il fallimento della esperienza societaria è sotto gli occhi di tutti. No. Il problema sarà risolto solo se si riuscirà a costituire un sistema federale di Stati, a partire dal punto dove la situazione è più matura e le condizioni sono più propizie: dunque, l'Europa. Qui si dovrà tentare di costruire, facendosi forza della crisi che attraverseranno i suoi Stati dopo la tremenda guerra, uno Stato federale, gli Stati Uniti d'Europa, modello e protagonista di un formidabile esperimento, rivoluzionario nei suoi fondamenti, di costruzione di un sistema civile capace di contemperare forza e libertà, potere e diritto, centralità decisionale e pluralità di soggetti, artificio (Stato) e natura (preesistenze storico-culturali), in un insieme il più possibile armonico già nella sua struttura ideale e concettuale. Lo Stato federale europeo non è un'utopia umanitaria, dunque; è un progetto politico che si pone un obiettivo definito, preciso: costituire un sistema politico che non presenti gli inconvenienti dello Stato assoluto, nazionale. Lo Stato federale possiede questi requisiti: esso infatti, per le caratteristiche della propria forma, non è in grado di assolutizzare e ipostatizzare un centro di potere assolutistico, comunque totalizzante. Il sistema federale è, per definizione, nontotalizzante; per la sua costituzione storica non è mononazionale, e quindi fa deperire la volontà di potenza del nazionalismo (e del razzismo); per la sua articolazione non è bellicoso, perché portato a contemperare spinte diverse, centrifughe. La sua forma istituzionale, sufficiente a garantirne l'efficienza (in quanto allo Stato federale vengono delegati alcuni essenziali poteri) non ha tuttavia carattere globale; altri importantissimi poteri restano affidati agli Stati membri. Essa contempla addirittura la persistenza al suo interno di altri sistemi originari creatori di diritto, grazie ai quali è consentita al cittadino una pluralità di fedeltà che impedisce il suo assorbimento in un sistema monocentrico, totalizzante. Anche sul terreno dell'economia, mentre è sufficientemente ampio, nella dimensione europea, da poter fare sviluppare un mercato di ampiezza adeguata alle dimensioni tecnologiche dell'industria moderna, non esige, rende anzi impossibile, una concentrazione dei mezzi di produzione subordinata totalmente al potere politico... Sarebbe lungo esaminare partitamente tutti questi elementi, vagliarli, giustificarli, svilupparli (o, magari, rifiutarli): basti qui questa prima, insufficiente elencazione, per coglierne quanto vi era, nel momento in cui essi venivano dettati, di congruo con i problemi del tempo, con la ricerca teorica, con aspirazioni e bisogni di grande portata ideale. Queste qualità non sarebbero tuttavia state sufficienti a fare del "Manifesto" un testo così importante della cultura politica del nostro tempo. Furono gli eventi politici ad assumere, per loro conto, un andamento convergente con le indicazioni del piccolo testo. NOTA 1) Benedetto Croce: "La storia come pensiero e come azione", Laterza 1938.



L'ARIA FRITTA DEL NAZIONALISMO
Altiero Spinelli

http://www.emmabonino.it/campagne/sue/nazionalismo.php

SOMMARIO: «Non c'è, dico, grande problema che possa essere ancora affrontato seriamente con criteri e con strumenti nazionali». Con queste parole Altiero Spinelli, il padre del Federalismo europeo, dal Manifesto di Ventotene del 1942 al progetto di trattato dell'Unione europea, lasciava al Partito radicale il suo testamento politico, nel corso del Congresso del PR del 1985 a Firenze. Dopo pochi mesi da quel suo intervento al Congresso del Pr Altiero Spinelli moriva. ("Numero unico" per il 35 Congresso del Partito Radicale - Budapest 22-26 aprile 1989 - Edizioni in Inglese, Ungherese e Serbocroato) (Notizie Radicali n 265 del 28 novembre 1985)

Cari amici del Partito Radicale, nella difficile azione che il Parlamento europeo sta conducendo per ottenere una riforma seria della Comunità europea, Marco Pannella si è impegnato in prima linea con chiarezza. Voglio pensare che il Partito radicale approvi questa azione del suo leader e si proponga di seguire il suo esempio. È questa la ragione per cui ho accettato l'invito che mi aveva rivolto Negri e sono venuto qui anche se il tema non è nemmeno iscritto all'ordine del giorno del vostro congresso. Non starò qui a ripetervi le ragioni politiche, economiche, militari, culturali che militano a favore dell'Unione europea. Se ne parla tanto e da tanto tempo che suppongo che esse siano note a tutti voi. Permettetemi solo di aggiungere a queste ragioni una che è di gran peso ma normalmente è accuratamente ignorata: si dice spesso che se l'unificazione europea non dovesse riuscire - ed è evidente che ci sono grossi ostacoli e che talvolta si è quasi indotti a credere che non riuscirà - sarebbe inevitabile il ritorno ad un rinnovato nazionalismo; anzi, che questo nazionalismo già riemerge in tutti i paesi.


DUE SOLE ALTERNATIVE
Le tendenze alla boria nazionale, al protezionismo, alla xenofobia, al razzismo, e ad altre simili virtù generate dalla mitologia dello Stato nazionale sovrano si fanno sentire in vari Stati ed anche da noi. Ma questa rinascita nazionalistica non è in realtà che aria fritta, che molti uomini politici agitano nei loro discorsi perché mancano loro idee e criteri per giudicare la realtà nella quale stanno vivendo. Il fatto è che non c'è oggi più alcun grande problema concernente l'economia, la moneta, il collegamento sociale del nostro sviluppo con quello dei paesi poveri del mondo, la difesa, l'ecologia, lo sviluppo scientifico e tecnologico, l'universalità della cultura, non c'è, dico, grande problema che possa essere ancora affrontato seriamente con criteri e con strumenti nazionali. Perciò, malgrado le restaurazioni nazionali che sono state fatte dopo la guerra, al di là dei superficiali rigurgiti di sentimenti nazionalisti a cui assistiamo -e soprattutto di parole nazionaliste a cui assistiamo- noi vediamo che in Europa quasi tutti questi problemi sono già affrontati di fatto sui piani che superano quelli nazionali. Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta. L'unità fatta dagli europei è in realtà la sola, vera alternativa all'unità imperiale. Il resto è schiuma della storia, non è storia. Le due forme stanno procedendo insieme e noi le vediamo sotto i nostri occhi; e guardate, non si può abolire l'una nella misura in cui si sviluppa l'altra. Perché l'una corroderà alla lunga l'altra; ma è attraverso queste due che l'Europa va muovendosi. Sta di fatto che nella misura in cui non si sviluppa o regredisce una di queste forme, si sviluppa l'altra.


EUREKA DICEVATE?
Vi dò solo due esempi. Gli europei hanno tentato, ad un certo momento, di darsi un esercito comune. Non ci sono riusciti; ebbene, noi abbiamo una serie di eserciti apparentemente nazionali inquadrati sotto il comando americano e nel sistema imperiale americano. E la responsabilità fondamentale della difesa dell'Europa ce l'hanno oggi gli americani. Noi formiamo truppe di ausiliari. In questi giorni si discute dappertutto che l'Europa deve fare un grande sforzo per le tecnologie avanzate: è stata trovata subito una bella parola greca «eureka», ma non hanno trovato niente. Perché quello che ci hanno proposto è semplicemente che vari Stati si mettano d'accordo per vedere quali di questi Stati è d'accordo con qualche altro per questo o quel programma e, appena hanno stabilito il programma, ciascuno inizia a tirarsi indietro, a voler mettere il meno possibile. E' un'esperienza che abbiamo fatto per una trentina d'anni e non è stato possibile sviluppare la politica della ricerca e dello sviluppo scientifico europeo. Oggi la si ripropone come l'aver trovato qualcosa di nuovo che ci metterà alla pari con gli americani e con i giapponesi. Contemporaneamente gli americani che sviluppano la loro politica di ricerca e sviluppo fanno una cosa molto semplice. Offrono a tutte le società, le ditte e i centri di ricerca la possibilità di fare dei contratti con loro per ricerche. Quale sarà il centro di ricerca, quale sarà l'impresa che dirà di no, quando ci sono proposte di questo genere? Cioè, il fatto di non avere affrontato in modo serio il che cosa bisogna fare per avere veramente una politica di ricerca e sviluppo scientifico fa sì che noi diveniamo sempre di più satelliti americani. Ora, ad entrambe queste forme di superamento della nazione noi vediamo che c'è una resistenza nazionale. Contro tutte e due. Ma in un certo senso essa è più loquace quando deve fare polemica con gli americani; in realtà essa è assai più forte quando agisce contro la prospettiva europea che quando agisce contro la prospettiva imperiale. In questo secondo caso, dopo le irritate esclamazioni, si accetta molto più facilmente quello che il fratello maggiore vuole. E perché è più forte contro la prospettiva europea? Perché la prospettiva imperiale ha il suo centro di potere che già esiste, che è forte, che può più facilmente dare soddisfazione alle vanità nazionali dei vassalli complimentandoli, facendo omaggio alla loro bandiera, ai loro capi, offrendo piccoli privilegi, tollerando anche modesti sgarbi. Il centro del potere europeo, invece, deve essere costituito, ed è inizialmente ancora debole, e può essere sviluppato solo a patto che i paesi si uniscano, s'impegnino formalmente, chiaramente, a trasferire questo o quel pezzo di sovranità nazionale al centro europeo.


IL VERO OSTACOLO
Noi vediamo come è forte la tentazione, nei nostri governi, a riprendere con una mano quello che hanno dovuto ridare con l'altra. Chi abbia occhi per vedere, ed orecchie per sentire, si accorge che noi oggi stiamo assistendo, come vi ho detto, e partecipando allo sforzo parallelo di rafforzare l'Unione europea fatta dagli europei e l'Unione europea fatta dagli americani. Direi che in questo sta il nostro grande vantaggio rispetto al sistema imperiale stabilito nell'Europa orientale: il nostro impero è, almeno in Europa, un impero liberale, che perciò permette che lo si critichi, che si cerchino alternative. Non sappiamo per quanto tempo potrà rimanere con queste caratteristiche. Ed è sicuro perciò che bisogna battersi seriamente per una costruzione europea. Suppongo che voi siate senz'altro per un'Europa fatta per gli europei e dagli europei; e vorrei che ci chiedessimo dove sta l'ostacolo maggiore. Facciamo attenzione, perché è un ostacolo un po' diverso da quelli che si incontrano di solito nella vita politica. Praticamente non è nel mondo economico; il mondo economico è aperto, in momenti più difficili è un po' più timoroso, in momenti di sviluppo più coraggioso; ma il mondo economico, in genere, è aperto. Non è nel mondo culturale. Non è nel mondo politico. Non c'è nella coscienza media dei cittadini una grossa resistenza ed infatti tutti i sondaggi che periodicamente si fanno in Europa -ad eccezione della Danimarca che si chiude in sé stessa- dimostrano che in tutti i Paesi, anche in quelli che si dice siano i più reticenti, la maggioranza è favorevole alla costruzione europea. L'ostacolo, il vero ostacolo sono le grandi amministrazioni nazionali, che gestiscono buona parte del potere anche politico, che sono fatte per gestire politiche nazionali, ed in particolare le diplomazie che sono fatte per determinare se e in che misura occorre cooperare con altri Stati, mantenendo però la gestione delle politiche in mano ad esse stesse. Le amministrazioni riescono ad essere dominate dalla direzione politica se questa ha grandi e forti visioni di quel che si deve fare, delle riforme da introdurre e via dicendo. Ma se le ideologie si riducono a come sono ridotte oggi, a poco più che slogan per i piccoli militanti così necessari ai grandi partiti per le grandi occasioni elettorali, se prevale il desiderio di andare al potere per gestirlo così come è -sia pure dichiarando che si vogliono fare altre cose fino al momento in cui si arriva al governo- quando si arriva al governo si gestisce quel potere. Allora il peso culturale e pratico delle amministrazioni pubbliche è enorme ed è quasi insormontabile ed ha per sua natura un'influenza immobilizzante e conservatrice. E vi dò l'esempio della crisi istituzionale europea; della Comunità nel suo momento attuale. Il Parlamento europeo rendendosi conto come tutti che non è possibile sviluppare l'Europa con queste fragili e deboli istituzioni che sono state fatte trent'anni fa per un'Europa di sei paesi -adesso sono dodici-, per problemi economici abbastanza semplici -ed oggi sono molto più complessi-, ha presentato un suo progetto che ha elaborato ed ha dimostrato che europei, che corrispondono in fondo alla coscienza media dei nostri paesi nelle più varie famiglie politiche, sono capaci di pensare insieme un progetto che è un progetto valido. Fatto questo i governi, cominciando da Mitterrand, hanno dichiarato che la cosa gli interessava. Ed hanno immediatamente messo la cosa in mano ad un comitato di loro esperti, i quali hanno fatto un rapporto un po' riduttivo, dopodiché sono arrivati al Consiglio di Milano e lì hanno deciso di fare una conferenza. In questa conferenza diplomatica il Parlamento ha chiesto di voler esaminare, poiché esso ha fatto il progetto, che cosa la conferenza fa e di non arrivare a firmare il progetto fino a quando ci sia un accordo fra la conferenza ed il Parlamento. La conferenza in questi quasi sei mesi non riesce a fare un passo avanti in niente. In un solo punto si sono trovati d'accordo; nel rispondere al Parlamento no. «Noi vi informeremo ma voi non avete più niente da dire in questa faccenda». Cioè l'organo che rappresenta i cittadini europei, che ha mostrato di essere capace di dare la formula costruttiva, non deve aver nulla da dire. Tutti questi funzionari (poiché sono i funzionari: i ministri non vanno o assistono alla prima mezz'ora della riunione e poi se ne vanno via) sono stati fatti non per fare l'Europa ma per mantenere il più possibile le loro strutture nazionali. Sono l'elemento della continuità con il passato, non della costruzione del futuro.


IL PARLAMENTO EUROPEO
xIl Parlamento può dare la censura alla commissione, può farla dimettere, può o respingere il bilancio o dare un bilancio diverso da quello che dà il Consiglio. Soprattutto il Parlamento europeo, e la Corte europea l'ha confermato chiaramente in una sua sentenza, deve dare degli avvisi di cui, stranamente, il Consiglio non è obbligato a tener conto. Il Parlamento europeo dovrebbe avere il coraggio di fare lo sciopero dei suoi pareri e creare una situazione di crisi per scoprire la cattiva coscienza nei vari partiti, nei vari governi, perché, infine, tutti quanti hanno paura se l'Europa dovesse veramente morire. Io ho detto varie volte che questo potere del Parlamento corrisponde un po' al potere dei tribuni della plebe a Roma, i quali non avevano veramente alcun potere di governo, nessun potere di fare leggi né di governare, però avevano quella «potestas tribunica» con cui potevano paralizzare tutto, fermare tutto. In questa maniera sono riusciti a trasformare la «cosa nostra» dei patrizi in cosa pubblica del popolo romano. Il Parlamento europeo può fare questa battaglia. Però il Parlamento europeo è composto da gente che ha insieme la fierezza di sentirsi rappresentanti dei cittadini e la paura del sentirsi isolati perché i partiti che li hanno fatti eleggere magari si occupano di altre cose; perché non sanno cosa ci sta dietro. Occorre che questi deputati sentano sul collo il fiato dei cittadini, i quali vogliono che si comportino in una certa maniera.


ALMENO TRE PAESI
Perciò c'è, in questo momento, la possibilità di un'azione che può avere un effetto. In fondo voi avete già fatto l'esperienza al tempo del divorzio dove c'era nel Parlamento una maggioranza divorzista. Ma se non ci foste stati voi con la vostra azione quella maggioranza non si sarebbe mai costituita perché avrebbe trovato altre dieci priorità prima di occuparsi del problema del divorzio. Ora la stessa cosa esiste oggi. In fondo voi dovete sapere mantenere su scala europea un'azione simile a quella che ha messo insieme paura e coraggio ai deputati europei e perciò indirettamente anche paura e coraggio in questa materia ai partiti europeisti, ma tutti più o meno addormentati. Questa azione non si deve fare solo in Italia; direi che in Italia è relativamente facile e nel seno del Parlamento europeo c'è la maggioranza o la quasi totalità che è d'accordo. Bisogna che la sappiate impiantare. Vi dovete fare missionari, nel senso di andare a fare quest'azione negli altri paesi e soprattutto io direi dando una priorità a tre paesi oggi: la Francia, la Germania, e la Spagna. Bene, io credo che troverete anche altri, altre forze, che so il Movimento federalista; con cui farete delle alleanze, ma è un'iniziativa per fare congiuntamente questa pressione con petizioni, con firme, con agitazioni. Trovatele tutte le maniere, con minacce che farete pesare alle prossime elezioni, e via dicendo. Io penso che se voi mettete un po' dello sforzo che avete saputo mettere in varie battaglie nazionali in questa battaglia europea, potete avere un risultato perché la situazione è oggi aperta in questo senso. Vorrei concludere dicendo che l'azione per la federazione europea è un'azione cui partecipano forze di tutte le famiglie politiche europee, ma è radicata culturalmente, è impiantata culturalmente, nel modo di pensare radicale. E non è un caso che quello che forse è il più importante dei vostri maestri, cioè Ernesto Rossi, sia stato anche uno dei fondatori del Movimento federalista europeo. Sappiate dunque assumere questa azione portando in essa il vostro fervore ad anche il vostro grano di follia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun ott 01, 2018 7:21 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » sab ott 06, 2018 9:35 pm

Il nazi social comunista francese Moscovici

Moscovici: «L'Europa può crollare a causa di Salvini, Le Pen e Orban»
di Angelica Orlandi
giovedì 4 ottobre 2018

http://www.secoloditalia.it/2018/10/mos ... en-e-orban

Ancora un attacco. Il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, non fa passare neanche un giorno e torna a sferrare altri colpi contro il governo italiano: «L’Unione Europea può implodere o essere snaturata dai responsabili dell’estrema destra, Matteo Salvini, Marine Le Pen o Vitkor Orban». L’attacco durissimo, l’intervento nuovamente a gamba tesa arriva in un’intervista rilasciata a Le Monde, nella quale annuncia che non si candiderà alle europee del maggio prossimo con il Partito socialista, che, denuncia, «non si rende conto della sfida esistenziale dinanzi alla quale si trova l’Europa: per la prima volta nella sua storia, la sua esistenza è minacciata». Moscovici non molla, anzi raddoppia e rilancia lo scontro contro l’Italia, a poche ore dall’avere accusato l’Italia di avere un »governo razzista e xenofobo». In pratica insultando gli italiani.

Anzi. Non pago di spargere terrore a profusione e scenari foschi, usando paroloni come «sfida esistenziale», ha poi ha ribadito il concetto ancor più duramente in un messaggio destinato al suo blog.«L’Europa è a un bivio: se non facciamo niente, gli Orban, i Salvini, i Kaczyinski, i Le Pen disegneranno un’Europa dove la giustizia e la stampa saranno sotto controllo, gli stranieri stigmatizzati, le minoranze minacciate». Un delirio. E’ evidente che in vista delle Europee di primavera la paura fa novanta, come si suol dire. «Populisti per gli uni, nazionalisti per gli altri, tutti questi leader di estrema destra sono per me i nemici delle democrazie aperte e liberali che abbiamo costruito dal 1945 per garantire la pace».

Violento. Pericoloso. Provocatorio: così si è rivelato il senegalese ospite di un centro d’accoglienza di via Bianchi a Milano, apparso da subito infastidito, e poi letteralmente adirato per quel mal funzionamento dei bagni che aveva costretto gestori e operatori della struttura a chiedere agli ospiti stranieri di spostare la “camerata” in un’altra parte della struttura, almeno per il tempo necessario a riparare il guasto.

Un imprevisto che deve averlo mandato su tutte le furie, inducendo l’immigrato africano a dare in escandescenze e non solo ad inveire contro i dipendenti del centro, ma anche ad aizzare l’odio negli altri suoi connazionali, compagni di stanza. E così, dopo aver scaricato un’ingiustificata rabbia contro la onna che gestisce il centro minacciando di ucciderla, il senegalese ha tentato di coinvolgere sempre più insistentemente gli altri ospiti del centro, invitandoli alla rissa e alla reazione violenta. Reazione violenta che non avrebbe tardato ad arrivare proprio per la mano dell’irascibile immigrato che, all’arrivo dei poliziotti chiamati ad intervenire per ripristinare ordine e sicurezza, ha pensato bene di afferrare un corpo contundente e di lanciarlo con tutta la sua forza contro un agente, colpito al braccio e ferito. Così, mentre alcuni colleghi accompagnavano l’agente in ospedale, altri provvedevano al fermo dell’uomo che, a breve, sarebbe poi stato rimesso in libertà su disposizione dell’autorità giudiziaria.

Continua inarrestabile il crollo nei sondaggi per Emmanuel Macron. E pensare che il Pd guarda a lui come a un faro, nella speranza di un’allenza vittoriosa. Secondo una rilevazione di Kantar Sofres, realizzato poco prima delle dimissioni del ministro degli interni Gérard Collomb il 2 ottobre e ufficializzate in queste ore, la fiducia nel capo di Stato francese è diminuita di altri 3 punti, un livello che lo colloca a soli 7 punti da Francois Hollande, detentore del record di impopolarità dopo diciassette mesi in carica. Il sondaggio è impietoso perché ora soltanto tre francesi su 10 (30%, ossia -3 punti rispetto all’indagine di settembre) affermano di fidarsi di lui per risolvere i problemi che la Francia sta affrontando al momento: il punto più basso registrato dal barometro politico dalla sua elezione. Tuttavia, il suo indice di fiducia è superiore a quello del suo predecessore nello stesso momento (23% per François Hollande nell’ottobre 2013).

Magra, magrissima consolazione per il prodigio di Francia che avrebbe dovuto guidare l’Europa, allontanandola dai sovranisti pericolosi, l’uomo indicato dal Pd come un faro. Tanto che non si sente parlare d’altro per la partita delle Europee: il Pd pensa a un’ alleanza vasta che vada da Tsipras a Macron – ossia tutto e il suo contrario- per vincere la “madre di tutte le partite”, sbaragliando il campo nemico dei “patrioti”, di chi intende difendere la sovranità dei singoli stati. Una tattica suicida. Una congrega di perdenti. Quando si dice l’istinto dì sopravvivenza…

La vocazione al suicidio della sinistra e del Pd è cosa nota, visto che giorni fa su Macron si scatenò un parapiglia, una sorta di “referendum tragico” tra chi nei vertici del partito suggeriva di allearsi con il presidente francese (Zingaretti) e chi no in vista delle elezioni Europee. Complimenti e tanti auguri per un suicidio perfetto che nasce dalle idee geniali del segretario Maurizio Martina: «Orbán, Salvini e Le Pen propongono la disgregazione dell’Europa. Noi dobbiamo lavorare per una grande alleanza della nuova Europa, anche dopo il voto, dal Pse, a Tsipras e Macron». Ebbene, entrambi i due «campioni», sia Tzipras che Macron, con i loro rispettivi partiti, sono in caduta libera. Ma soprattutto Macron e la sinistra sono un ossimoro, una contraddizione di termini. L’Europache piace a Macron è quanto di più lontano dai bisogni concreti degli ultimi che si possa immaginare. Basta ricordare come il presidente francese umiliò un giovane disoccupato per credere.


https://www.corriere.it/esteri/18_ottob ... 6e7a.shtml



Ue, media inglesi contro Juncker: «Suoi problemi di alcol preoccupano Bruxelles»

https://www.ilmessaggero.it/home/ue_jun ... 74504.html

Il Financial Times ne ha parlato una settimana fa, Il Daily Mail ci è andato giù durissimo due giorni dopo e a seguire ci si sono buttati altri tabloid. Il primo candidato alla Commissione Ue Jean-Claude Juncker è finito nel mirino dei media britannici per il suo presunto vizio di alzare il gomito.

«Cognac a colazione» Solo voci, per ora, che preoccupano i leader europei riuniti nel vertice Ue. Proprio oggi dovrebbero designarlo come futuro presidente della Commissione. Secondo i media inglesi lo stile di vita di Juncker sarebbe stato oggetto di discussione in privato da parte dei capi di Stato e di governo. Nei giorni scorsi erano circolate molte voci in proposito, fra cui quella che l'ex primo ministro del Lussemburgo «beve cognac a colazione».



La corte di Strasburgo:”gli eurodeputati non devono rendicontare le loro spese “
di Cesare Sacchetti

https://lacrunadellago.net/2018/10/04/l ... loro-spese

È vietato sapere come i parlamentari europei spendono i soldi dei contribuenti pubblici dei 27 stati membri dell’Unione.

È quanto stabilito recentemente dalla Corte di Strasburgo, che ha rifiutato il ricorso di alcuni giornalisti investigativi per imporre agli eurodeputati di rendicontare le loro spese di mandato.

I togati della Corte di giustizia hanno stabilito che rendere pubbliche queste informazioni minerebbe in qualche modo “la protezione della privacy e l’integrità dell’individuo.”

Il caso nasceva dai contributi mensili elargiti ai parlamentari per gli uffici elettorali locali di rappresentanza, noti come General Expenditury Allowance, il corrispettivo italiano della diaria pari a 4416 euro al mese.

Con queste somme, i membri del Parlamento europeo dovrebbero sostenere i costi per le loro sedi elettorali nei loro paesi di provenienza, e per tutta la strumentazione necessaria per svolgere questo lavoro.

Un’inchiesta di un gruppo di giornalisti europei, aveva accertato come questi fondi in realtà non fossero utilizzati per mantenere i costi delle sedi elettorali, che molto spesso si erano rivelate puramente fittizie.

Da questa indagine era emerso che in giro per l’Europa c’erano 249 uffici inesistenti, delle vere e proprie sedi fantasma dove in realtà non si trovava nessun ufficio, oppure dove gli eurodeputati si rifiutavano di rendere noto l’indirizzo di queste sedi.

In alcuni casi, gli onorevoli sono risultati essere persino i proprietari di queste sedi. E’ il caso di otto europarlamentari tedeschi, di diversi partiti politici, tra i quali l’onorevole Manfred Weber del partito popolare europeo che utilizza come ufficio elettorale la dependance della sua casa privata in Baviera.

Molti in questo modo approfittano di questo meccanismo per intascarsi completamente questa diaria, e sono davvero pochi quelli che rimborsano la parte dei fondi inutilizzati per gli uffici.

Lo scorso luglio, il caso era stato esaminato dall’ufficio di presidenza del Parlamento europeo, l’organo presieduto da Antonio Tajani che si occupa delle questioni amministrative e finanziarie relative ai parlamentari.

In un incontro tenutosi a porte chiuse, i membri dell’ufficio avevano respinto qualsiasi richiesta di rendicontare pubblicamente l’utilizzo di questi fondi assieme alla possibilità di restituire almeno la parte di queste indennità che non venivano poi utilizzate effettivamente dai parlamentari.

Di fatto, l’europarlamento ha dispensato i suoi membri da qualsiasi obbligo di trasparenza finanziaria, nonostante molti deputati abbiano più volte chiesto di poter cambiare le regole in tal senso.

Quanto guadagna un eurodeputato?

Attualmente lo stipendio di un eurodeputato ammonta a 8484 euro al mese. A questa somma devono aggiungersi 313 euro al giorno, esentasse, versati per le spese di soggiorno durante le sedute parlamentari nelle sedi di Bruxelles e Strasburgo, oltre ai 4416 euro per gli uffici di rappresentanza citati in precedenza.

Anche la parte di diaria collegata alle spese di mandato non è soggetta a nessuna rendicontazione contabile.

I 313 euro quotidiani quindi vengono versati interamente ai membri del Parlamento, senza che questi poi siano chiamati a provare che tutti i soldi ricevuti siano stati effettivamente utilizzati per l’alloggio e le altre spese collegate al loro soggiorno a Bruxelles o Strasburgo.

Questa situazione di totale blackout di trasparenza sui soldi pubblici dei contribuenti europei è stata più volte denunciata dalla deputata finlandese Heidi Hautala del partito verde.

“C’è un urgente bisogno di chiarezza sulle spese degli eurodeputati, e la maggioranza di loro concorda sulla necessità di maggiore trasparenza riguardo alle loro spese, ma l’ufficio del parlamento e il presidente Tajani si sono rifiutati di agire”, ha dichiarato la Hautala.

La letteratura sulla “casta” parlamentare italiana abbonda da tempo negli ultimi anni, con innumerevoli inchieste giornalistiche che documentano quelli che vengono spesso definiti degli sprechi inaccettabili.

Stranamente tutto questo impegno e questa trasparenza non viene riversato allo stesso modo sugli sprechi di Bruxelles, dove c’è una vera casta che non è chiamata a rendere conto del suo operato.

In questo caso si parla, solo per le spese degli uffici elettorali, di fondi pubblici che ammontano a 40 milioni di euro, senza considerare gli altri sprechi che potrebbero venire dalla realizzazione della nuova sede del parlamento europeo a Bruxelles, pari a 380 milioni di euro.



Ue, Juncker va all'attacco: "Combattiamo il populismo finché siamo in tempo"
Sergio Rame - Gio, 04/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ue- ... 84067.html

Il presidente della commissione Ue: "L'Europa si deve difendere dal populismo". Poi torna a parlare della Germania nazista

Jean-Claude Juncker torna alla carica. "Gli europei - è l'appello che lancia oggi da Vienna - devono difendersi con decisione dall'ascesa di nazionalisti e populisti nel Vecchio Continente".

Il presidente della Commissione europea chiama a una "mobilitazione" generale per fermare l'avanzata dell'estrema destra: "Dobbiamo alzarci, quando si fa avanti senza ostacoli il pericolo da destra". Ma la strada, asuo dire, non è quella degli Stati Uniti d'Europa sul modello degli Stati Uniti d'America: "L'Unione europea potrà avere successo solo se non si rivolgerà contro le nazioni", chiosa ribandendo che tra una cinquantina d'anni "la competizione avverrà tra le regioni, non tra le nazioni".

"Se uno stupido populismo e un ottuso nazionalismo avviano la loro marcia verso il futuro, bisogna fermarlo, e bisogna farlo quando c'è ancora il tempo per farlo". Alla cerimonia dei cent'anni della Repubblica austriaca, Juncker ha fatto un luno discorso a favore dell'Unione europea: "Ora che viviamo in pace dovremmo ricordarci che la democrazia, nel suo senso più nobile, ha bisogno anche che lotta, di impegno. È arrivata l'ora in cui le cose vanno risistemate. Ci sono appuntamenti storici mondiali che si possono anche mancare se non si fa niente, e anche se si pensa che si ha già tutto". Poi ha voluto ripercorrere i "capitoli bui" della storia del Vecchio Continente: la Grande guerra, il secondo conflitto mondiale, e in mezzo, per quel che riguarda la storia dell'Austria, "l'Anschluss", ossia l'annessione da parte della Germania nazista nel 1938, "che fu accolta con entusiasmo". "E non si deve dimenticare - ha, infine, spiegato - che la storia non si ripete, ma a coloro che la storia non la conoscono manca la forza di pensare al futuro e di gestire il futuro".

Subito dopo aver parlato del "pericolo della destra" nel suo discorso a Vienna per la cerimonia dei cent'anni della Repubblica austriaca, Juncker ha fatto un mezzo passo indietro per correggere il tiro: "Io non insulto nessuno, e men che mai gli euroscettici...". "Anzi - ha aggiunto il presidente della Commissione europea - per gli euroscettici ho molta comprensione, ci sono molte persone che non sono contro l'Europa ma che hanno molte domande giustificate da porre, e con queste persone bisogna discutere e dibattere, scambiare argomenti: non bisogna fare finta che queste critiche non esistano".


Luigi Di Maio: "Questa Europa tra sei mesi è finita"
Giovanna Stella - Sab, 06/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 84763.html

Nel suo intervento al Villaggio Coldiretti al Circo Massimo, Luigi Di Maio parla dell'Europa all'indomani della bocciatura del Def da parte di Bruxelles

"Questa Europa qui tra sei mesi sarà finita, a maggio ci sono le elezioni europee", a dirlo è il vice premier Luigi Di Maio nel suo intervento al Villaggio Coldiretti al Circo Massimo.

Il ministro dello Sviluppo economico, dopo aver risposto a Bruxelles all'indomani della bocciatura della manovra economica e aver spiegato che "indietro non si torna", spara a zero sull'Ue. "C'è una vera e propria guerra contro il made in Italy e noi dobbiamo combattere - continua dal palco -. Non saremo mai un Paese che potrà competere sulla quantità, perché noi siamo quelli della qualità. Non è un caso che nella guerra di norme europee di questi anni ci si è trovati a favorire la quantità a scapito della qualità".

Di Maio, poi, difende il contratto di governo che "per noi è sacro, va al oltre ogni numerino, norma o provvedimento europeo". E dopo aver acceso il fuoco, prova a spegnerlo spiegando di non essere "venuto qui per alzare i toni con l'Europa". Ma ricorda che a maggio ci sranno le elezioni europee dove tutto potrà cambiare. "Tra sei mesi ci sono le elezioni europee - ha concluso - e come c'è stato un terremoto politico in Italia il 4 marzo, ci sarà un terremoto politico alle elezioni europee di maggio. E questo significa che finalmente molte delle istanze che sono state tradite e ignorate arriveranno al Parlamento europeo con il triplo, con il quadruplo della forza che hanno avuto in questi anni".

E dopo Di Maio, arriva anche il commento di Matteo Salvini sull'Ue: "L'Europa dei banchieri, quella fondata sull'immigrazione di massa e sulla precarietà, continua a minacciare e insultare gli italiani e il loro governo? Tranquilli, fra sei mesi verranno licenziati da 500 milioni di elettori, noi tiriamo dritto. Prima gli italiani".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Europa e America

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron