L'Europa che sognamo e che vogliamo

Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » lun gen 13, 2020 8:46 am

Addio a Scruton, ecco il “suo” manifesto per l’Europa
12 Gennaio 2020

https://www.barbadillo.it/87272-cultura ... Zb89SMr96Y

Se ne è andato Roger Scruton. Il filosofo inglese aveva 75 anni, ucciso da un cancro.. L’annuncio è stato dato dai familiari sul sito del pensatore conservatore. Per ricordarlo, ecco i punti del suo manifesto per l’Europa.

1. L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o di giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi. Usanze consolidate, e momenti di pathos e di dolore. Esperienze entusiasmanti di riconciliazione e la promessa di un futuro condiviso. Scenari ed eventi comuni si caricano di significato speciale: per noi, ma non per altri. La casa è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile.

L’Europa è nostra casa.

2. L’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da un falsa concezione di se stessa. Questa Europa falsa immagina di essere la realizzazione della nostra civiltà, ma in verità sta requisendo la nostra casa. Si appella alle esagerazioni e alle distorsioni delle autentiche virtù dell’Europa, e resta cieca di fronte ai propri vizi. Smerciando con condiscendenza caricature a senso unico della nostra storia, questa Europa falsa nutre un pregiudizio invincibile contro il passato. I suoi fautori sono orfani per scelta e danno per scontato che essere orfani ‒ senza casa ‒ sia una conquista nobile. In questo modo, l’Europa falsa incensa se stessa descrivendosi come l’anticipatrice di una comunità universale che però non è né universale né una comunità.

Una falsa Europa ci minaccia.

3. I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratulatorie di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza.

La falsa Europa è utopica e tirannica.

4. Siamo in un vicolo cieco. La minaccia maggiore per il futuro dell’Europa non sono né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. L’Europa vera è a rischio a causa della stretta asfissiante che l’Europa falsa esercita sulla nostra capacità d’immaginare prospettive. I nostri Paesi e la cultura che condividiamo vengono svuotati da illusioni e autoinganni su ciò che l’Europa è e deve essere. Noi c’impegniamo dunque a resistere a questa minaccia diretta contro il nostro futuro. Noi difenderemo, sosterremmo e promuoveremo l’Europa vera, l’Europa a cui in verità noi tutti apparteniamo.

Dobbiamo difendere la Europa vera.

5. L’Europa vera si aspetta e incoraggia la partecipazione attiva al progetto di una vita politica e culturale comuni. Quello europeo è un ideale di solidarietà basato sull’assenso a un corpo di leggi che si applica a tutti, ma che è limitato nelle pretese. Questo assenso non ha sempre assunto la forma della democrazia rappresentativa. Ma le nostre tradizioni di lealtà civica riflettono un assenso fondamentale alle nostre tradizioni politiche e culturali, quali che ne siano le forme. Nel passato, gli europei hanno combattuto per rendere i propri sistemi politici più aperti alla partecipazione popolare e di questa storia andiamo giustamente orgogliosi. Pur facendolo, talora con modi apertamente ribelli, hanno vigorosamente affermato che, malgrado le ingiustizie e le mancanze, le tradizioni dei popoli di questo continente sono le nostre. Questo zelo riformatore rende l’Europa un luogo alla costante ricerca di una giustizia sempre maggiore. Questo spirito di progresso è nato dall’amore e dalla lealtà verso le nostre patrie.

La solidarietà e la lealtà civica incoraggiano la partecipazione attiva.

6. È uno spirito europeo di unità che ci permette di fidarci pubblicamente gli uni degli altri, anche tra stranieri. Sono i parchi pubblici, le piazze centrali e i grandi viali delle città e dei borghi europei a esprimere lo spirito politico europeo: noi condividiamo una vita e una res publica comuni. Riteniamo nostro dovere assumerci la responsabilità del futuro delle nostre società. Non siamo soggetti passivi sottoposto al dominio di poteri dispotici, sacrali o laici. E non ci prostriamo davanti all’implacabilità di forze storiche. Essere europei significa possedere la facoltà di agire nella politica e nella storia. Siamo noi gli autori del destino che ci accomuna.

Non siamo soggetti passivi.

7. L’Europa vera è una comunità di nazioni. Abbiamo lingue, tradizioni e confini propri. Eppure ci siamo sempre riconosciuti affini, anche quando siamo arrivati al contrasto, o persino alla guerra. A noi questa unità nella diversità sembra naturale. Tuttavia è una realtà notevole e preziosa poiché non è né naturale né inevitabile. La forma politica più comune di questa unità nella diversità è l’impero, che i re guerrieri europei hanno cercato di ricreare per secoli dopo la caduta dell’impero romano. L’attrattiva esercitata dal modello imperiale è perdurata, ma ha prevalso lo Stato-nazione, la forma politica che unisce l’essere popolo alla sovranità. Lo Stato-nazione è quindi diventato il tratto caratteristico della civiltà europea.

Lo Stato-nazione è un segno distintivo dell’Europa.

8. Una comunità nazionale è fiera di governarsi a modo proprio, spesso si vanta dei grandi traguardi raggiunti nelle arti e nelle scienze, e compete con gli altri Paesi, a volte anche sul campo di battaglia. Tutto ciò ha ferito l’Europa, talvolta gravemente, ma non ne ha mai compromesso l’unità culturale. Di fatto è accaduto semmai il contrario. Man mano che gli Stati-nazione dell’Europa sono venuti radicandosi e precisandosi, si è rafforzata una identità europea comune. A seguito del terribile bagno di sangue causato dalle guerre mondiali nella prima metà del secolo XX, ci siamo rialzati ancora più risoluti a onorare quell’eredità comune. Ciò testimonia quale profondità e quale potenza abbia l’Europa come civiltà cosmopolita nel senso più appropriato. Noi non cerchiamo l’unità imposta e forzata di un impero. Piuttosto, il cosmopolitismo europeo riconosce che l’amore patriottico e la lealtà civica aprono a un mondo più vasto.

Noi non sosteniamo un’unione imposta o forzata.

9. L’Europa vera è stata segnata dal cristianesimo. L’impero spirituale universale della Chiesa ha portato l’unità culturale all’Europa, ma lo ha fatto senza un impero politico. Questo ha permesso che entro una cultura europea condivisa fiorissero lealtà civiche particolari. L’autonomia di ciò che chiamiamo società civile è dunque diventata una peculiarità della vita europea. Inoltre, il Vangelo cristiano non consegna all’uomo una legge divina esaustiva da applicare alla società, e questo rende possibile affermare e onorare la varietà delle legislazioni positive delle diverse nazioni senza recare minaccia alla nostra unità europea. Non è un caso che il declino della fede cristiana in Europa sia stato accompagnato da sforzi sempre maggiori per raggiugerne l’unità politica: ovvero l’impero monetario e regolatorio, ammantato dai sentimenti di universalismo pseudoreligioso, che l’Unione Europea sta costruendo.

Il cristianesimo incoraggiava l’unità culturale.

10. L’Europa vera afferma la pari dignità di qualsiasi persona, senza fare differenze di sesso, di rango o di razza. Anche questo proviene dalle nostre radici cristiane. Le nostre virtù nobili hanno un’ascendenza inequivocabilmente cristiana: l’equità, la compassione, la misericordia, il perdono, l’operare per la pace, la carità. Il cristianesimo ha rivoluzionato le relazioni tra gli uomini e le donne, dando valore all’amore e alla fedeltà reciproca come mai era stato fatto prima. Il legame del matrimonio consente sia agli uomini sia alle donne di prosperare in comunione. La maggior parte dei sacrifici che compiamo sono a vantaggio dei nostri coniugi e dei nostri figli. Anche questo spirito di donazione di sé è un altro contributo cristiano all’Europa che amiamo.

Le radici cristiane nutrono l’Europa.

11. L’Europa vera trae ispirazione altresì dalla tradizione classica. Noi ci riconosciamo nella letteratura della Grecia e di Roma antiche. Da europei, ci sforziamo per raggiungere la magnificenza, gemma sulla corona delle virtù classiche. A volte questo ha condotto alla competizione violenta per la supremazia. Ma al suo meglio è l’aspirazione all’eccellenza che ispira gli uomini e le donne dell’Europa a creare opere musicali e artistiche d’ineguagliata bellezza o a compiere svolte straordinarie nella scienza e nella tecnologia. Le virtù profonde dei Romani che sapevano come dominare se stessi, nonché l’orgoglio nel partecipare alla vita civica e lo spirito dell’indagine filosofica dei Greci non sono mai stati dimenticati nell’Europa vera. Anche queste eredità sono nostre.

Le radici classiche incoraggiano l’eccellenza.

12. L’Europa vera non è mai stata perfetta. I fautori dell’Europa falsa non sbagliano nel proporre sviluppi e riforme, e tra il 1945 e il 1989 molte di apprezzabile e di onorevole è stato fatto. La nostra vita condivisa è un progetto che continua, non un’eredità sclerotizzata. Ma il futuro dell’Europa riposa in una lealtà rinnovata verso le nostre tradizioni migliori, non un universalismo spurio che impone la perdita della memoria e il ripudio di sé. L’Europa non è iniziata con l’Illuminismo. La nostra amata casa non troverà realizzazione di sé nell’Unione Europea. L’Europa vera è, e sempre sarà, una comunità di nazioni a volte chiuse, e talvolta ostinatamente tali, eppure unite da un’eredità spirituale che, assieme, discutiamo, sviluppiamo, condividiamo e sì, amiamo.

L’Europa è un progetto condiviso.

13. L’Europa vera è a rischio. I risultati ottenuti dalla sovranità popolare, dalla resistenza all’impero, dal cosmopolitismo capace di amore civico, il retaggio cristiano di una vita autenticamente umana e dignitosa, l’impegno vivo nei confronti della nostra eredità classica stanno tutti scemando. I padrini dell’Europa falsa costruiscono la loro fasulla Cristianità di diritti umani universali e noi perdiamo la nostra casa.

Stiamo perdendo la nostra casa.

14. L’Europa falsa si gloria di un impegno senza precedenti a favore della libertà umana. Questa libertà, però, è assolutamente a senso unico. Viene veduta come la liberazione da ogni freno: libertà sessuale, libertà di espressione di sé, libertà di “essere se stessi”. La generazione del 1968 considera queste libertà come vittorie preziose su quello che un tempo era un regime culturale onnipotente e oppressivo. I sessantottini si considerano grandi liberatori, e le loro trasgressioni vengono acclamate come nobili conquiste morali per le quali il mondo intero dovrebbe essere loro grato.

Sta prevalendo una libertà falsa.

15. Per le generazioni europee più giovani, invece, la realtà è molto meno dorata. L’edonismo libertino conduce spesso alla noia e a un profondo senso d’inutilità. Il vincolo matrimoniale si è indebolito. Nel mare torbido della libertà sessuale, il desiderio profondo dei giovani di sposarsi e di formare famiglie viene spesso frustrato. Una libertà che frustra le ambizioni più profonde del nostro cuore diventa una maledizione. Sembra che le nostre società stiano cadendo nell’individualismo, nell’isolamento e nell’inanità. Al posto della libertà, siamo condannati al vuoto conformismo di una cultura guidata dai consumi e dai media. È quindi nostro dovere dire la verità: la generazione del 1968 ha distrutto, ma non ha costruito. Ha creato un vuoto ora riempito dai social media, dal turismo di massa e dalla pornografia.

L’individualismo, l’isolamento e l’astuzia sono diffusi.

16. E mentre ascoltiamo i vanti di questa libertà senza precedenti, la vita dell’Europa si fa sempre più globalmente regolamentata. Ci sono regole ‒ spesso predisposte da tecnocrati senza volto legati a interessi forti ‒ che governano le nostre relazioni professionali, le nostre decisioni nel campo degli affari, i nostri titoli di studio, i nostri mezzi d’informazione e d’intrattenimento, la nostra stampa. E ora l’Europa cerca di restringere ancora di più la libertà di parola, una libertà che è stata europea sin dal principio e che equivale alla manifestazione della libertà di coscienza. Ma gli obiettivi di queste restrizioni non sono l’oscenità e le altre aggressioni alla decenza nella vita pubblica. Al contrario, la classe dirigente europea vuole manifestamente restringere la libertà di parola. Gli esponenti politici che danno voce a certe verità sconvenienti sull’islam e sull’immigrazione vengono trascinati in tribunale. La correttezza politica impone tabù così forti da squalificare in partenza qualsiasi tentativo di sfidare lo status quo. In realtà, l’Europa falsa non incoraggia la cultura della libertà. Promuove una cultura dell’omogeneità guidata da criteri mercantili e della conformità imposta da logiche politiche.

Siamo regolati e gestiti.

17. L’Europa falsa si vanta pure di un impegno senza precedenti a favore dell’eguaglianza. Pretende di promuovere la non-discriminazione e l’inclusione di tutte le razze, di tutte le religioni e di tutte le identità. In questo campo sono stati effettivamente compiuti progressi veri, ma il distacco utopistico dalla realtà ha preso il sopravvento. Negli ultimi decenni, l’Europa ha perseguito un grandioso progetto multiculturalista. Chiedere o figuriamoci promuovere l’assimilazione dei nuovi arrivati musulmani alle nostre usanze e ai nostri costumi, peggio ancora alla nostra religione, è stata giudicata un’ingiustizia triviale. L’impegno egualitario, ci è stato detto, impone che noi abiuriamo anche la più piccola pretesa di ritenere superiore la nostra cultura. Paradossalmente, l’impresa multiculturale europea, che nega le radici cristiane dell’Europa, vive in modo esagerato e insopportabile alle spalle dell’ideale cristiano di carità universale. Dai popoli europei pretende un grado di abnegazione da santi. Denunciamo quindi il tentativo di fare della completa colonizzazione delle nostre patrie e della rovina della nostra cultura il traguardo glorioso dell’Europa nel secolo XXI, da raggiungere attraverso il sacrificio collettivo di sé in nome di una nuova comunità globale di pace e di prosperità che sta per nascere.

Il multiculturalismo è impraticabile.

18. In quest’idea c’è una grande misura di malafede. La maggior parte degli esponenti dei nostri mondi politici è senza dubbio convinta che la cultura europea sia superiore, ma non lo può dire in pubblico perché offenderebbe gl’immigrati. Stante questa superiorità, pensano che l’assimilazione avverrà in modo naturale e rapido. Riecheggiando ironicamente l’antica idea imperialista, le classi dirigenti europee presumono infatti che, in qualche modo, in obbedienza alle leggi della natura o della storia, “loro” diventeranno necessariamente come “noi”; e non concepiscono che possa accadere invece l’inverso. Nel frattempo, s’impiega la dottrina multiculturalista ufficiale come strumento terapeutico per gestire le incresciose ma “temporanee” tensioni culturali.

Cresce la fede falsa.

19. Ma vi è una malafede ancora maggiore, di un genere più oscuro. Negli ultimi decenni, una parte sempre più ampia della nostra classe dirigente ha riposto i propri interessi nell’accelerazione della globalizzazione. I suoi esponenti mirano a dar vita a istituzioni sovranazionali che possano controllare senza l’inconveniente della sovranità popolare. È sempre più chiaro che il “deficit di democrazia” di cui soffre l’Unione Europea non è solo un problema tecnico che si può risolvere con mezzi tecnici, ma un impegno basilare difeso con zelo. Legittimati da presunte necessità economiche o attraverso l’elaborazione autonoma di una nuova legislazione internazionale dei diritti umani, i mandarini sovranazionali delle istituzioni comunitarie europee confiscano la vita politica dell’Europa, rispondendo alle sfide in modo tecnocratico: non esiste alternativa. È questa la tirannia morbida ma concreta che abbiamo oggi di fronte.

Aumenta la tirannia tecnologica.

20. Nonostante i migliori sforzi profusi dai suoi partigiani per cercare di tenere in piedi un castello d’illusioni confortanti, l’arroganza dell’Europa falsa sta però ora diventando del tutto evidente. Soprattutto, l’Europa falsa si sta rivelando più debole di quanto chiunque avrebbe mai immaginato. L’intrattenimento popolare e il consumo materiale non alimentano la vita civica. Depauperate d’ideali nobili e inibite dall’ideologia multiculturalista a esprimere orgoglio patriottico, le nostre società hanno difficoltà a trovare la volontà di difendersi. In più, non sono certo la retorica dell’inclusione o l’impersonalità di un sistema economico dominato da gigantesche società internazionali per azioni a poter ridare vigore al senso civico e alla coesione sociale. Dobbiamo essere franchi ancora una volta: le società europee si stanno sfilacciando malamente. Se non apriremo gli occhi, assisteremo a un uso sempre maggiore del potere statalista, dell’ingegneria sociale e dell’indottrinamento culturale. Non è solo il terrorismo islamico a portare soldati pesantemente armati nelle nostre strade. Per domare le contestazioni antisistema e persino le folle ubriache dei tifosi di calcio oggi sono necessari poliziotti in tenuta antisommossa. Il fanatismo delle tifoserie sportive è un segno disperato nel bisogno profondamente umano di solidarietà, un bisogno che d’altra parte l’Europa falsa disattende.

La Europa falsa è fragile e impotente.

21. In Europa, i ceti intellettuali sono, purtroppo, fra i principali partigiani ideologici della boria dell’Europa falsa. Senza dubbio, le nostre università sono una delle glorie della civiltà europea. Ma laddove un tempo esse cercavano di trasmettere a ogni nuova generazione la sapienza delle epoche passate, oggi per i più il pensiero critico equivale alla semplicistica ricusazione del passato. La stella polare dello spirito europeo è stata la rigorosa disciplina dell’onestà e dell’obiettività intellettuali. Ma da due generazioni questo nobile ideale è stato trasformato. L’ascetismo che un tempo cercava di liberare la mente dalla tirannia dell’opinione dominante si è mutata in un’animosità spesso compiaciuta e irriflessiva contro tutto ciò che ci appartiene. Questo atteggiamento di ripudio culturale è un modo semplice e a buon mercato per atteggiarsi a “critici”. Negli ultimi decenni, è stato sperimentato nelle sale da convegno, diventando una dottrina, un dogma. E l’unirsi a questo credo viene preso come segno di elezione spirituale da “illuminati”. Di conseguenza, le nostre università sono diventate agenti attivi della distruzione culturale.

Si è sviluppata una cultura del ripudio.

22. Le nostri classi dirigenti promuovono i diritti umani. Combattono i cambiamenti climatici. Progettano una economia di mercato più globalmente integrata e l’armonizzazione delle politiche fiscali. Supervisionano i passi compiuti verso l’eguaglianza di genere. Fanno così tanto per noi! Che importa dunque dei meccanismi con cui sono arrivati ai loro posti? Che importa se i popoli europei sono sempre più scettici delle loro gestioni?

Le elite esibiscono in modo arrogante le loro virtù.

23. Lo scetticismo crescente è pienamente giustificato. Oggi l’Europa è dominata da un materialismo privo di obiettivi incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie. La cultura del ripudio defrauda le generazioni future del senso d’identità. In alcuni dei nostri Paesi vi sono zone intere in cui i musulmani vivono informalmente autonomi rispetto alle leggi vigenti, quasi fossero dei coloni invece che dei nostri connazionali. L’individualismo ci isola gli uni dagli altri. La globalizzazione trasforma le prospettive di vita di milioni di persone. Quando le si sfida, le nostre classi dirigenti dicono che la loro è semplicemente la gestione dell’inevitabile e la sistemazione delle necessità più impellenti. Nessun’altra strada è possibile, e resistere è irrazionale. Le cose non possono andare altrimenti. Chi si oppone, soffre di nostalgia, e per questo merita di essere moralmente condannato come razzista e fascista. Man mano che le divisioni sociali e la sfiducia civica si fanno evidenti, la vita pubblica europea diviene più rabbiosa, più rancorosa, e nessuno sa dove questo potrà condurre. Dobbiamo smettere di camminare lungo questa strada. Dobbiamo liberarci della tirannia dell’Europa falsa. Un’alternativa c’è.

Un’alternativa c’è.

24. L’opera di rinnovamento inizia con l’autocoscienza teologica. Le pretese universaliste e multiculturaliste dell’Europa falsa si rivelano essere surrogati della religione, con tanto di impegni di fede e pure di anatemi. È l’oppio potente che paralizza politicamente l’Europa. Noi dobbiamo quindi sottolineare che le aspirazioni religiose appartengono al mondo della religione, non a quello della politica, meno ancora a quello dell’amministrazione burocratica. Per ricuperare la nostra capacità di agire nella politica e nella storia, è imperativo risecolarizzare la vita politica dell’Europa.

Dobbiamo rifiutare i surrogati della religione.

25. Quest’impresa esigerà che ognuno di noi rinunci al linguaggio bugiardo che evita le responsabilità e che favorisce la manipolazione ideologica. I discorsi sulla diversità, sull’inclusione e sul multiculturalismo sono vuoti. Spesso è un linguaggio utilizzato per travestire i nostri fallimenti da conquiste: la dissoluzione della solidarietà sociale viene “in realtà” presa come un segnale di benvenuto, di tolleranza e d’inclusione. Ma questo è linguaggio da marketing, inteso a oscurare la realtà invece che a illuminarla. Dobbiamo allora ricuperare il rispetto profondo per la realtà. Il linguaggio è uno strumento delicato, e usandolo come un randello lo si degrada. Dobbiamo farci fautori del decoro linguistico. Il ricorso alla denuncia è il segno della decadenza che ha aggredito il nostro tempo. Non dobbiamo tollerare l’intimidazione verbale, men che meno le minacce di morte. Dobbiamo proteggere chi parla in modo ragionevole anche quando pensiamo che sbagli. Il futuro dell’Europa dev’essere liberale nel senso migliore del termine, ovvero garante di discussioni pubbliche appassionate, libere da ogni minaccia di violenza e di coercizione.

Dobbiamo ripristinare un vero e proprio liberalismo.

26. Rompere l’incantesimo dell’Europa falsa e della sua utopistica crociata pseudo-religiosa votata a costruire un mondo senza confini significa incoraggiare una nuova arte del governo e un nuovo tipo di uomini di governo. Un uomo politico di valore salvaguarda il bene comune di un determinato popolo. Un valido uomo di governo considera la nostra comune eredità europea e le nostre specifiche tradizioni nazionali doni magnifici e vivificanti, ma al contempo fragili. Quindi né le ricusa né rischia di smarrirle per inseguire sogni utopici. Gli uomini politici così desiderano sinceramente gli onori conferiti loro dalle proprie genti, non bramano l’approvazione di quella “comunità internazionale” che di fatto è solo la cerchia di relazioni pubbliche di una oligarchia.

Abbiamo bisogno di statisti responsabili.

27. Riconoscendo il carattere particolare dei Paesi europei, e la loro impronta cristiana, non dobbiamo lasciarci confondere dalle affermazioni pretestuose dei multiculturalisti. L’immigrazione senza l’assimilazione è solo una colonizzazione, e dev’essere respinta. Ci attendiamo giustamente che chi migra nelle nostre terre divenga parte dei nostri Paesi, adottando le nostre usanze. Quest’aspettativa deve però essere sostenuta da una politica solida. Il linguaggio del multiculturalismo è stato importato dagli Stati Uniti d’America. Ma l’età d’oro dell’immigrazione negli Stati Uniti è stata all’inizio del secolo XX, un periodo di crescita economica notevolmente rapida in un Paese sostanzialmente privo di Welfare State e caratterizzato da un forte senso d’identità nazionale che ci si attendeva gl’immigrati assimilassero. Dopo avere accolto numeri enormi d’immigrati, gli Stati Uniti hanno poi praticamente sigillato le porte per due generazioni. L’Europa deve imparare da quell’esperienza americana invece che adottare le ideologie americane contemporanee. Quell’esperienza dice che il lavoro è un potente forza di assimilazione, che un Welfare State indulgente può invece impedire l’assimilazione e che a volte la prudenza politica impone di ridurre le cifre dell’immigrazione, anche in modo drastico. Non dobbiamo permettere che l’ideologia multiculturalista deformi la nostra capacità di valutare in sede politica quale sia il modo migliore per servire il bene comune, cosa che peraltro esige che comunità nazionali sufficientemente unite e solidali considerino il proprio bene come comune.

Dobbiamo rinnovare l’unità nazionale e la solidarietà.

28. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa Occidentale ha saputo far crescere sistemi democratici vitali. Dopo il crollo dell’impero sovietico, i Paesi dell’Europa Centrale hanno ricuperato la propria vitalità civica. Sono due delle conquiste più preziose cui l’Europa sia mai giunta. Ma andranno perdute se non affrontiamo il nodo dell’immigrazione e dei cambiamenti demografici in atto nei nostri Paesi. Solo gl’imperi possono essere multiculturali, ed è esattamente un impero ciò che l’Unione Europea diventerà se non riusciremo a fare di una nuova unità civica solidale il criterio per valutare le politiche sull’immigrazione e le strategie per l’assimilazione.

Solo gli imperi sono multiculturali.

29. Molti pensano erroneamente che l’Europa sia scossa solo dalle controversie sull’immigrazione. In verità, la questione dell’immigrazione è solo uno degli aspetti di un processo di disfacimento sociale più generale che dev’essere invertito. Dobbiamo ripristinare la dignità sociale che hanno i ruoli specifici. I genitori, gl’insegnanti e i professori hanno il dovere di formare coloro che sono affidati alle loro cure. Dobbiamo resistere al culto della competenza che s’impone a spese della sapienza, del garbo e della ricerca di una vita colta. L’Europa non conoscerà alcun rinnovamento senza il rifiuto deciso dell’egualitarismo esagerato e della riduzione del sapere a conoscenza tecnica. Noi abbracciamo con favore le conquiste politiche dell’età moderna. Ogni uomo e ogni donna debbono avere parità di voto. I diritti fondamentali debbono essere protetti. Ma una democrazia sana esige gerarchie sociali e culturali che incoraggino il perseguimento dell’eccellenza e che rendano onore a coloro che servono il bene comune. Dobbiamo restaurare il senso della grandezza spirituale e onorarlo in modo che la nostra civiltà possa contrastare il potere crescente della mera ricchezza da un lato e dell’intrattenimento triviale dall’altro.

Una giusta gerarchia nutre il benessere sociale.

30. La dignità umana è più del diritto a essere lasciati in pace e le dottrine dei diritti umani internazionali non esauriscono la sete di giustizia, meno ancora la sete del bene. L’Europa deve riorganizzare il consenso attorno alla cultura morale di modo che le gente possa essere guidata all’obiettivo di una vita virtuosa. Non possiamo consentire che una falsa idea di libertà impedisca l’uso prudente del diritto per scoraggiare il vizio. Dobbiamo perdonare la debolezza umana, ma l’Europa non può prosperare senza restaurare l’aspirazione comune alla rettitudine e all’eccellenza umana. La cultura della dignità sgorga dal decoro e dall’adempimento dei doveri che competono al nostro stato sociale. Dobbiamo ricuperare il rispetto reciproco fra le classi sociali che caratterizza una società che dà valore ai contributi di tutti.

Dobbiamo ripristinare la cultura morale.

31. Mentre riconosciamo gli aspetti positivi delle economie di libero mercato, dobbiamo resistere alle ideologie che cercano di rendere totalizzante la logica del mercato. Non possiamo permettere che tutto sia in vendita. I mercati che funzionano bene esigono che sia il diritto a precedere e a presiedere (rule of law) e il nostro diritto che tutto precede e presiede deve puntare più in alto della mera efficienza economica. Del resto i mercati funzionano meglio quando sono inseriti in istituzioni sociali forti organizzate sui princìpi autonomi non mercantili. La crescita economica, benché benefica, non è il bene sommo. I mercati debbono essere orientati a fini sociali. Oggi il gigantismo aziendale minaccia persino la sovranità politica. I Paesi debbono cooperare per dominare l’arroganza e l’irragionevolezza delle forze economiche globali. Noi ci riconosciamo quindi in un uso prudente del potere esercitato dai governi per sostenere beni sociali non economici.

I mercati devono essere ordinati verso fini sociali.

32. Noi crediamo che l’Europa abbia una storia e una cultura degne di essere difese. Troppo spesso, però, le nostre università tradiscono la nostra eredità culturale. Dobbiamo riformare i programmi scolastici per incoraggiare la trasmissione della nostra cultura comune invece che indottrinare i giovani con una cultura del ripudio. Gl’insegnanti e i mentori di ogni livello hanno il dovere della memoria. Dovrebbero essere orgogliosi del ruolo di ponte fra le generazioni passate e future che hanno. Dobbiamo ricuperare anche il senso della cultura europea alta, usando il bello e il sublime come norma comune e rigettando la degradazione delle arti a una fattispecie della propaganda politica. Questo esigerà che si allevi una nuova generazione di mecenati. Le società per azioni e le burocrazie si sono rivelate essere custodi davvero poveri delle arti.

L’istruzione deve essere riformata.

33. Il matrimonio è il fondamento della società civile e la base dell’armonia fra gli uomini e le donne. È il legame intimo tra un uomo e una donna che si organizza per il sostentamento della famiglia e per la crescita dei figli. Noi affermiamo che i ruoli più fondamentali che abbiamo sia nella società sia in quanto esseri umani sono quelli di padri e di madri. Il matrimonio e i figli sono parte integrante di qualsiasi prospettiva di prosperità umana. A coloro che li hanno generati al mondo i figli richiedono sacrificio. È un sacrificio nobile cui deve essere reso onore. Noi pertanto auspichiamo politiche sociali prudenti che incoraggino e rafforzino il matrimonio, la maternità e l’educazione dei figli. Una società che non accoglie i figli non ha futuro.

Il matrimonio e la famiglia sono essenziali.

34. L’Europa di oggi è attraversato da grande preoccupazione per il sorgere di quello che viene chiamato “populismo”, anche se il significato del termine non viene mai definito ed è usato per lo più solo come invettiva. Sul tema abbiamo le nostre riserve. L’Europa deve attingere alla sapienza profonda delle proprie tradizioni piuttosto che affidarsi a slogansemplicistici e a richiami emotivi divisivi. Eppure ci rendiamo conto che molti elementi di questo nuovo fenomeno politico possono rappresentare una sana ribellione contro la tirannia dell’Europa falsa, che etichetta come “antidemocratica” qualsiasi realtà ne minacci il monopolio della legittimità morale. Il cosiddetto “populismo” sfida la dittatura dello status quo, il “fanatismo del centro”, e lo fa giustamente. È un segno che persino nel mezzo della nostra cultura politica degradata e impoverita è possibile ridare vita all’agire storico dei popoli europei.

Il populismo dovrebbe essere combattuto.

35. Rifiutiamo perché falsa la pretesa di dire che non esiste alternativa responsabile alla solidarietà artificiale e senz’anima di un mercato unificato, di una burocrazia transnazionale e di un intrattenimento dozzinale. L’alternativa responsabile è l’Europa vera.

Il nostro futuro è la Europa vera.

36. In questo momento, chiediamo a tutti gli europei di unirsi a noi per respingere le fantasie utopistiche di un mondo multiculturale senza frontiere. Amiamo a buon diritto le nostre patrie e cerchiamo di trasmettere ai nostri figli ogni elemento nobile che noi stessi abbiamo ricevuto in dote. Da europei, condividiamo anche una eredità comune e questa eredità ci chiede di vivere assieme in pace in una Europa delle nazioni. Ripristiniamo la sovranità nazionale e ricuperiamo la dignità di una responsabilità politica condivisa per il futuro dell’Europa.

Dobbiamo assumerci la responsabilità.

Philippe Bénéton (France)

Rémi Brague (France)

Chantal Delsol (France)

Roman Joch (Česko)

Lánczi András (Magyarország)

Ryszard Legutko (Polska)

Pierre Manent (France)

Janne Haaland Matlary (Norge)

Dalmacio Negro Pavón (España)

Roger Scruton (United Kingdom)

Robert Spaemann (Deutschland)

Bart Jan Spruyt (Nederland)

Matthias Storme (België)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » mar lug 21, 2020 5:48 pm

Il futuro dell’Europa sarà quello del Libano
Davide Cavaliere
21 luglio 2020
(Traduzione italiana a cura di Emanuel Segre Amar e Niram Ferretti)

https://www.corriereisraelitico.it/il-f ... el-libano/

Bat Ye’or, ovvero “Figlia del Nilo”, è lo pseudonimo della storica e saggista Gisèle Littman. Autrice di studi pionieristici sulla condizione sociale delle minoranze religiose nel mondo islamico e per aver introdotto i termini “dhimmitudine” ed “Eurabia”. Col primo indica lo stato di sottomissione al dominio islamico di territori e popolazioni, col secondo la teoria geopolitica che mira alla fusione delle due sponde del Mediterraneo. Nella presente intervista, si affronta anche il tema del riciclo dei gerarchi nazisti in seno all’Unione Europea. I lavori di Bat Ye’or sono pubblicati in Italia dall’editore Lindau di Torino.

Ha accettato di rispondere ad alcune domande per il Corriere Israelitico.

Nel suo lavoro, specialmente nel celebre Eurabia: l’Asse euro-araba, lei ha messo in evidenza la natura antisionista e filo-araba dell’Unione Europea. Puoi spiegarci, in generale, quali sono gli interessi che legano l’Europa al mondo arabo?

Gli interessi sono variati dagli anni ’60, quando la strategia di Eurabia fu elaborata. Tuttavia, non è nata dal nulla. Già dalla Prima Guerra Mondiale, in termini energetici, il petrolio era un elemento essenziale dello sviluppo industriale ed economico per l’Europa e motivava una politica di avvicinamento euro-arabo. D’altra parte, la Francia e la Gran Bretagna erano imperi musulmani già nel XIX secolo, abitati da numerose popolazioni musulmane, le cui metropoli temevano l’ostilità religiosa. Dopo la decolonizzazione, i paesi europei vollero creare con i paesi musulmani una politica mediterranea privilegiata, che escludesse gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Questa strategia fu rivendicata dai circoli gollisti negli anni ’60 ed era accompagnata da una vasta gamma di relazioni commerciali, politiche, strategiche e culturali privilegiate.

Sul piano religioso, l’intero mondo cristiano, in particolare il Vaticano, e il mondo musulmano si sono opposti al sionismo sin dalle sue prime manifestazioni. Solo pochi movimenti di minoranze cristiane erano a favore. Dopo la Dichiarazione di Balfour e la Dichiarazione di Sanremo (1920), che ratificarono la creazione di un futuro Stato Ebraico, si stabilì una collaborazione antisemita internazionale islamo-cristiana. Collaborazione che si manifestò alla Conferenza di Evian (1938) con il rifiuto dei paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, di accogliere gli ebrei tedeschi e austriaci perseguitati dal regime nazista. Nei paesi arabi, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, le masse arabe e musulmane si entusiasmavano del nazismo e del fascismo; i leader politici e militari arabi suggellarono alleanze con i nazisti, i fascisti e i collaborazionisti. Nel 1947, due anni dopo la pace, la giudeofobia era ancora diffusa in Europa, mantenuta dagli stessi funzionari collaborazionisti rimasti al loro posto dopo la guerra e legati ai popoli arabi dalla stessa ideologia di sterminio del popolo ebraico. La sopravvivenza di Israele dopo l’aggressione di cinque eserciti arabi ben equipaggiati militarmente e sostenuti in Palestina dalle milizie arabo-naziste di Amin al-Husseini (1947-1948), avvenne nonostante l’Europa. Tutti i documenti di quel periodo lo confermano. Da qui la creazione di un organo del tutto speciale, l’UNRWA, per accogliere gli arabi della Palestina che fuggivano dai combattimenti nei paesi arabi fratelli di cui avevano preteso l’intervento militare per sterminare gli ebrei.

Dal 1967-1969 vediamo la rinascita, nella Francia gollista, di queste reti di collaborazione euro-arabe forgiate dall’alleanza dei nazisti con i popoli arabi nella comune volontà politica genocidaria del popolo ebraico. Questa situazione è stata denunciata e combattuta da intellettuali e politici. Il 15 dicembre 1973, a Copenhagen, i nove paesi della Comunità Europea presero ufficialmente le parti dell’OLP e nel settembre del 1977 una dichiarazione in tal senso venne fatta all’ONU. Oramai, gli arabi di Palestina, Arafat e l’OLP incarnano l’arma di distruzione dello Stato d’Israele in favore del movimento antisemita europeo che, sotto la copertura di antisionismo, può esprimersi apertamente nel contesto di una politica convergente dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Questa tendenza diventa molto popolare in Europa ed è una mappa essenziale della sua politica.

L’Unione Europea si è dimostrata ostile alle sovranità nazionali, considerate un’eredità del passato da abbandonare a favore di istituzioni sovranazionali. Israele, al contrario, è uno stato nazionale geloso della sua indipendenza e dotato di una forte identità. In che misura ritienie che i pregiudizi antinazionali dell’Unione Europea abbiano pesato sulla sue relazione con lo Stato Ebraico?

Non credo che questi pregiudizi antinazionali abbiano avuto molta influenza sull’antisionismo europeo. L’Europa stessa promuove un nazionalismo inesistente, lo pseudo-palestinismo, che ha creato e sostiene a suon di miliardi. D’altra parte, tutti i paesi arabi sono ultra-nazionalisti, così come la Turchia, la Cina, il Giappone e molti altri paesi. L’Unione Europea vuole sopprimere le frontiere del suo continente, riprendendo un progetto creato nel 1938 da Walter Hallstein che promuoveva un’Europa senza frontiere guidata dal 3 ° Reich e Judenrein. Hallstein, che fu un eminente nazista, fu eletto dai leader europei primo presidente della Commissione europea (1956-67).

Nonostante il fallimento del comunismo, l’internazionalismo fu promosso dai partiti di sinistra. Bruno Kreisky, presidente dell’Internazionale socialista e diventato cancelliere austriaco (1970-83), rafforzò i legami della sinistra occidentale con il mondo islamico. Egli fu il primo statista a invitare Arafat alle Nazioni Unite e a dare una legittimità all’OLP, il cui progetto di sradicamento dello Stato Ebraico fu incarnato dal suo leader, Yasser Arafat, sostenuto dall’Unione Sovietica. Io credo che sia stato il progetto di Hallstein insieme alla politica di fusione e di collaborazione con il mondo arabo a determinare la retorica di un’Europa senza frontiere dall’insieme dei movimenti politici europei. I documenti dell’epoca menzionano la volontà di creare un potente blocco europeo in grado di competere con l’America che sarebbe collegato con gli Stati produttori di petrolio.

Quale futuro geopolitico e demografico prospetta per il Vecchio Continente?

Se le decisioni politiche prese dal 1973 che posero in essere la guerra nascosta dell’UE contro Israele – ora svelata pubblicamente dalla politica di Donald Trump – e che sono state la base dei meccanismi dell’immigrazione musulmana di massa in Europa, con le trasformazioni sociali, religiose, legali e culturali conseguenti saranno mantenute dalle élite al potere, il futuro è chiaro. Sarà quello del Libano, del declino dell’Europa nella dhimmitudine. Già da molto tempo il terrore jihadista ha soppiantato l’inviolabilità dei diritti umani in Europa, incluso il diritto elementare di ciascuno alla sicurezza.

Le nostre società sono fratturate dall’adesione di milioni di immigrati alla Sharia e dai loro legami con i loro paesi di origine ostili all’Occidente e alla sua civiltà giudeo-cristiana. La partecipazione europea allo jihad contro Israele ha pervertito i valori occidentali a tutti i livelli e diffuso i concetti islamici della cultura e della storia, che oggi impregnano l’Europa. Questa politica fu scientemente concepita, studiata e applicata in tutti i campi, dai comitati congiunti euro-arabi del Dialogo Euro-Arabo creati nel 1974 a Parigi sotto l’egida della Commissione europea, ed è il motivo per cui i capi di stato hanno piena responsabilità per le sue conseguenze. Dal 1973 l’Unione Europea ha instaurato un rapporto di vassallaggio con l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, da cui derivano alcuni vantaggi economici nel breve termine a scapito dei suoi interessi nel lungo termine.

In tutta Europa, compresa l’Italia, gli intellettuali che criticano l’Islam e il multiculturalismo sono censurati, denunciati e messi a tacere. Basti pensare a Robert Redeker, Eric Zemmour, Georges Bensoussan, Magdi Allam e molti altri. Quale sarà il ruolo del dissenso intellettuale nell’emergente Europa post-identitaria?

Io stessa sono stata criminalizzata senza prove, vittima di incitamenti all’odio e di ingerenze illegali ed erronee nella mia vita privata. Queste sono accuse che non subiscono nemmeno i criminali protetti dalla presunzione di innocenza. Si sono rese necessarie misure di protezione. Questa azione piena di odio mirava a screditare tutte le mie ricerche sulla dhimmitudine e la sua espansione in Europa tramite le reti del dialogo euro-mediterraneo guidate dalla Commissione europea e dalla Lega araba. Il totalitarismo intellettuale imposto dal pensiero unico e refrattario a tutte le riflessioni che lo contraddicono mi ha messa al bando dalla società. Essendo ebrea sono stata accusata di complottismo, un’accusa razzista contro gli ebrei proveniente dagli antisemitismi cristiani, ma ancora più virulenta nell’Islam. Pertanto mi considero vittima di un razzismo giudeofobico che ha sporcato il mio onore e la mia reputazione professionale.

Il ruolo della dissidenza intellettuale dovrà seguire criteri specifici in un’Europa che ha già adottato e integrato a livello sociale, giuridico, culturale e politico, alcuni vincoli della Sharia, dei concetti e comportamenti musulmani tradizionali nei confronti dei dhimmi, dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani accusati di apostasia, nei confronti delle donne e del Dar al-Harb, il territorio della miscredenza. A ciò si aggiunge una visione della storia e dei diritti dell’uomo secondo i principi della Sharia, vale a dire della fede e quindi, fondamentalmente, opposti ai criteri occidentali. Inoltre, sarà necessario conoscere l’ideologia jihadista che introduce l’inversione delle nozioni di aggressore e di aggredito, d’innocenza e di colpa, di giustizia e di crimine.

La dissidenza intellettuale dovrà definire i suoi obiettivi: difendere i suoi diritti democratici e i valori etici della civiltà giudaico-cristiana occidentale. Dovrà conoscere il suo campo di battaglia, che è quello di una dhimmitudine che lei rifiuta per rimanere libera e sfuggire al destino degli ebrei e dei cristiani ridotti allo stato di fossili dalle leggi del jihad e del dhimmitudine. Dovrà integrare e comprendere queste nozioni nella loro storicità e nella loro nocività politica attuale e individuare i loro canali di trasmissione, generalmente legati alla corruzione e all’antisemitismo. Dovrà accogliere i musulmani che prendono parte a questa guerra, perché non è una guerra contro l’islam, è una guerra per mantenere le nostre libertà e le nostre identità. I popoli d’Europa hanno il diritto di rifiutare la dhimmitudine. Tuttavia, tutto ciò di cui vi sto parlando è completamente ignorato dal grande pubblico e dagli intellettuali. E non ci si può opporre a qualcosa che non si vede, che non si capisce e per la quale non esiste una definizione. Ecco perché temo che quella che dovrebbe essere una battaglia di idee si trasformi in una confusione violenta che farà molte vittime innocenti senza portare progressi.

Nel suo libro più famoso, Eurabia, ha anche toccato il tema dell’islamizzazione dei patriarchi biblici e di Gesù. Oggi, un movimento che ha espresso posizioni anti-israeliane e antisemite, Black Lives Matter, denuncia le rappresentazioni “bianche” di Gesù. Vede, in questo atteggiamento, un nuovo tentativo di espropriare gli occidentali dalla loro cultura?

Il movimento Black Lives Matter è un movimento violento infiltrato dall’islamismo e dal palestinismo, che sfruttano uno storico conflitto americano per incitare all’odio contro i cristiani, gli ebrei e in generale contro i bianchi americani, al fine di seminare il caos attraverso conflitti razziali e etnici per distruggere l’America. Bisogna anche vederci una manovra del Partito Democratico per eliminare Trump e prendere il potere. La denuncia di Gesù “bianco” aggiunge un elemento razziale alla giudeofobia e alla cristianofobia islamica che islamizza la Bibbia, cioè le basi dell’ebraismo e del cristianesimo, per impiantarci l’Islam. Molti afroamericani si oppongono a questo movimento che ha incendiato anche le capitali europee.

Personalmente, non avrei alcuna obiezione alla rappresentazione umana di Gesù sotto una forma africana se ciò può servire ad avvicinarlo ai cristiani africani. Per i credenti cristiani Gesù è una forma di Dio e il suo messaggio come ebreo è universale.

Mi permetta un’osservazione sul mio libro Eurabia. È forse il più famoso, ma non è il più importante per me. Attribuisco questo ruolo a Il Declino della Cristianità sotto l’Islam, dal jihad alla dhimmitudine (Lindau) perché è lì che definisco il concetto cruciale di dhimmitudine come caratteristica storica delle popolazioni sconfitte dal jihad in tre continenti, L’Africa, l’Asia e l’Europa. Lì sviluppo gli argomenti e fornisco i criteri. Per me Eurabia è stato uno studio delle manifestazioni della dhimmitudine nel ventesimo secolo in alcuni paesi europei che non furono conquistati dal jihad e i cui governi l’hanno accolta con entusiasmo. Eurabia esamina principalmente la Francia, ma un’analisi degli altri paesi della comunità, l’Italia ai tempi di Aldo Moro (Lodo Moro) e di Giulio Andreotti, della Gran Bretagna, dei paesi scandinavi, in particolare della Norvegia (non membro della UE), darebbe un’immagine molto più cupa.

Lei ha conosciuto Oriana Fallaci. Puoi dirci qual è il suo ricordo della grande giornalista italiana?

Non ho mai incontrato Oriana. Si è messa in contatto con me qualche tempo prima di morire attraverso un amico comune che conosceva il mio lavoro e le ha dato il mio indirizzo. Oriana mi scriveva spesso per informazioni. Soffriva enormemente per non poter tornare in Italia e soprattutto per l’odio che il mondo politico aveva per lei in quel momento. lei capiva molto bene cosa sarebbe successo in futuro. L’incubo di veder distruggere la magnifica Italia con i suoi monumenti, le sue opere d’arte, la ricchezza senza pari del suo patrimonio storico, la tormentava incessantemente. Ho provato a consolarla, ma non sono sofferenze che le parole possano lenire.


Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2526
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » mar lug 21, 2020 5:49 pm

Razzismo dei neri contro i bianchi
viewtopic.php?f=196&t=2913

Razzismo contro i bianchi euroamericani, non né possiamo più del razzismo dei neri africani, dei sinistri e dei nazi maomettani
Io sto con i poliziotti che hanno difeso la legge e il buon diritto contro i criminali di qualsiasi colore.
Io sto con Abele e i 4 poliziotti che lo difendono e non con Caino e i suoi complici, difensori e sostenitori.
Io non mi inginocchio per la morte accidentale del delinquente abituale George Floyd.
Io sto con i figli di Abele e non con quelli di Caino che assomigliano al padre.
Io sto con l'uomo di buona volontà che si guadagna il pane con il sudore della fronte e non derubando il prossimo come i delinquenti abituali, i parassiti e certe mostruosità castuali che manipolano i valori, i doveri e i diritti umani naturali, universali e civili.



Forza Trump, gli uomini di buona volontà di tutta la terra sono con te!
https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 6418241981


Io sono un uomo bianco, orgogliosamente bianco e vivo nella terra della mia gente bianca che è l'Europa.
Se l'Africa è nera l'Europa è bianca.
Se gli africani neri hanno diritto all'Africa nera ciò vale anche per gli europei bianchi che hanno diritto all'Europa bianca.
Non solo bianca ma religiosa e non religiosa, atea, aidola, agnostica, giudaico cristiana, illuminata e laica.
L'Europa non è nera e nemmeno maomettana.
Lo spirito divino e umano non è soggetto alle manipolazioni delle ideologie e delle utopie politiche e religiose.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... =3&theater

Non vi è nulla di male ad essere bianchi, europei, occidentali, cristiani, ebrei e non religiosi.
Anzi è un di più per l'umanità che vi siano anche i bianchi, perché la ricchezza della diversità è un bene della vita, della terra, della creazione e dell'universo.
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » mar giu 01, 2021 8:49 pm

Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità e il diritto-dovere di amarla e di difenderla.
Noi siamo parte del bene e non il male!
Cantiamo dell'uomo bianco come il sale e lo zucchero della terra, la luce della ragione e il lievito dell'umanità.
Io sono bianco, noi siamo uomini dalla pelle bianca, noi siamo bianchi e il bianco è il nostro colore umano.

La natura e Dio ci hanno fatto bianchi e noi né siamo felici e fieri, il nostro splendore è il candore, noi siamo uomini dalla pelle bianca come il pane e come il latte.

Non vi è nulla di male ad esser bianchi come non vi è nulla di male ad essere neri, il male sta solo in chi non rispetta gli altri.

viewtopic.php?f=205&t=2945
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6802338446
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » mar giu 01, 2021 8:50 pm

L'accordo quadro non sarà concluso
Il Consiglio federale mette termine alle trattative con l'UE: divergenze sostanziali - Berna ora cerca un dialogo politico sul proseguimento della collaborazione
di Diego Moles, Fabio Dotti e Dario Lanfranconi
mercoledì 26 maggio 2021

https://www.rsi.ch/news/svizzera/Laccor ... 00292.html

Le trattative tra Svizzera e Unione Europea per tentare di giungere ad un accordo istituzionale quadro all'interno del quale sviluppare gli accordi bilaterali sono finite. Vi ha messo un termine il Consiglio federale che mercoledì ha fatto sapere a Bruxelles che non firmerà. "Le condizioni per una conclusione dell’Accordo non sono soddisfatte" poiché "sussistono ancora divergenze sostanziali in alcuni settori chiave".

La posizione elvetica è stata illustrata in una conferenza stampa dai consiglieri federali Guy Parmelin, Ignazio Cassis e Karin Keller-Sutter. L’Esecutivo ora cercherà di avviare un dialogo politico con l’UE sul proseguimento della collaborazione. Per Berna "salvaguardare la collaudata via bilaterale e portare avanti con convinzione gli accordi esistenti" è nell'interesse di entrambe le parti.

Le trattative sull’accordo quadro istituzionale erano iniziate nel 2014. Un’intesa era stata raggiunta nell’autunno del 2018. Il Consiglio federale l’aveva messa in consultazione suscitando critiche da destra e da sinistra. A quel punto la Confederazione aveva chiesto a Bruxelles chiarimenti su tre punti vincolando la propria firma all’ottenimento di garanzie riguardanti: protezione dei salari, direttiva sulla cittadinanza europea e aiuti statali. Poi la questione si era bloccata (non da ultimo perché l’UE è stata impegnata sul fronte Brexit) fino all’autunno 2020 quando il capo negoziatore svizzero con l’UE, Roberto Balzaretti, era stato sostituito da Livia Leu che ha ripreso le trattative. Guy Parmelin aveva cercato di indurre la Commissione europea a rivedere le sue posizioni lo scorso 23 aprile quando si era recato a Bruxelles per incontrare Ursula von der Leyen, ma il summit non aveva portato ad una svolta.

"I colloqui hanno consentito di migliorare la comprensione reciproca delle rispettive posizioni, che sono tuttavia rimaste distanti in termini di contenuto", rileva una nota del Consiglio federale.




Per Cassis non è una sconfitta personale

Per Ignazio Cassis non si tratta di una sconfitta personale.

"Reagiamo male sotto pressione"

Ignazio Cassis sulla fine delle trattative con Bruxelles sull'accordo quadro: "Meglio chiudere questo cammino e iniziarne un altro".

Le considerazioni di Reto Ceschi
Secondo Reto Ceschi non è un giorno nero per la Svizzera.
Le considerazioni di Reto Ceschi

Nessuna sorpresa per la Conferenza dei governi cantonali

La reazione della Conferenza dei governi cantonali.
26.05.2021: La reazione della Conferenza dei governi cantonali

La reazione di economia e sindacati
Le reazioni dal mondo economico e dei sindacati.
26.05.2021: La reazione di economia e sindacati

"Una brusca battuta d'arresto"

La decisione di interrompere i negoziati sull’accordo quadro è una brusca battuta d’arresto nelle relazioni con l’UE. Dopo l’incontro dello scorso aprile tra il presidente della Confederazione Guy Parmelin e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si erano evidenziate divergenze sostanziali, ma era anche stato manifestato l’interesse bilaterale di non interrompere il dialogo.

RG 18.30 del 26.05.2021 - L'analisi di Anna Riva sull’interruzione dei negoziati sull’accordo quadro

Schwab: “Eravamo molto vicini a un compromesso, è un peccato”

Il nostro corrispondente a Bruxelles Tomas Miglierina è riuscito a raccogliere una dichiarazione del deputato tedesco (CDU) Andreas Schwab, presidente della delegazione parlamentare europea per i rapporti con la Svizzera.

“È un momento molto triste per l’Unione europea perché il Governo svizzero ha preso una decisione di cui non c’era bisogno. Siamo stati molto vicini a un compromesso tra Svizzera e UE e non erano molti i punti di attrito. Nell’interesse dei cittadini c’era quindi una possibilità di trovare un compromesso, ma purtroppo il Governo svizzero ha deciso altrimenti e rispettiamo questa decisione”.

Schwab ha poi sottolineato come la popolazione svizzera fosse positiva sull’accordo e in generale sulla cooperazione tra Berna e Bruxelles, citando un sondaggio recente dove emergeva un sostegno popolare oltre il 60%.

Ascolta la dichiarazione integrale.

Il commento di Andreas Schwab

Travail.Suisse: "È la migliore via d'uscita"

Secondo Travail.Suisse, l’interruzione dei negoziati sull’accordo quadro “è la migliore via d’uscita”. Per l’organizzazione mantello dei lavoratori indipendenti è ora importante evitare un’escalation, perché un no all’accordo quadro “non è assolutamente un no alle relazioni consolidate con il nostro vicino diretto e il nostro più importante partner commerciale”, si legge in una nota. Per Travail.Suisse, il percorso bilaterale con l’UE deve continuare ed essere sviluppato. “Dal punto di vista dei lavoratori, l’accordo quadro istituzionale è stato un fallimento, ma le relazioni consolidate con l’UE sono comunque estremamente importanti”, ha detto Gabriel Fischer, responsabile della politica economica di Travail.Suisse.

I cantoni: “Fondamentale mantenere relazioni solide”

A stretto giro di posta è giunto anche il commento della Conferenza dei governi cantonali che, in una nota, deplorano il fallimento dei negoziati per un accordo istituzionale con l’Unione europea.

“I cantoni hanno sempre sostenuto la necessità di un accordo con l’UE come garanzia di una relazione duratura e stabile con il nostro vicino diretto e partner economico più importante”. Secondo i governi cantonali l’approccio bilaterale deve continuare ad essere perseguito anche se i negoziati sono falliti, e “le conseguenze di questo fallimento e le questioni in sospeso nelle relazioni con l’UE dovrebbero venir chiarite il più presto possibile”.

I cantoni considerano anche importante che la Svizzera mantenga e sviluppi le sue relazioni commerciali al di fuori dell’UE. Nonostante il fallimento dei negoziati, ribadiscono il loro sostegno al Consiglio Federale, poiché ora è importante mantenere e sviluppare gli accordi contrattuali con Bruxelles e gli altri partner commerciali. “I cantoni sono pronti a lavorare insieme al governo federale per raggiungere questo obiettivo” conclude la nota.

Economiesuisse rammaricata

Economiesuisse si rammarica che le consultazioni tra Berna e Bruxelles non abbiano portato a un risultato positivo, sebbene non sia sorpesa della decisione presa dalla Confederazione. “Spetta ora al Consiglio federale stabilizzare il percorso bilaterale e minimizzare i danni”, si legge in una nota. Per l’organizzazione mantello dell’economia svizzera, rimangono della massima importanza delle relazioni stabili e a lungo termine con l’Unione europea e i suoi Stati membri. Preservare i vantaggi della via bilaterale “deve quindi rimanere l’obiettivo prioritario della politica economica estera elvetica. A tal fine, dopo il fallimento dell’accordo istituzionale, in una prima fase è necessario stabilizzare gli accordi esistenti e minimizzare i danni”.

La prima reazione da Bruxelles: “Rammaricati, ne prendiamo atto, ma i bilaterali invecchiano”

Nel frattempo, sul sito della Commissione europea, è apparsa anche una prima reazione ufficiale. “Prendiamo atto di questa decisione unilaterale del governo svizzero e ci rammarichiamo di questa decisione, visti i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni per rendere l’accordo quadro istituzionale una realtà”. Per la Commissione UE l’accordo quadro istituzionale era inteso come la base per migliorare e sviluppare le relazioni bilaterali UE-Svizzera per il futuro. “Il suo scopo principale era quello di garantire che chiunque operi nel mercato unico dell’UE, al quale la Svizzera ha un accesso significativo, si trovi alle stesse condizioni. Si tratta fondamentalmente di una questione di equità e di certezza del diritto. L’accesso privilegiato al mercato unico deve significare il rispetto delle stesse regole e degli stessi obblighi”.

Nella nota viene inoltre sottolineato come questo accordo avrebbe permesso un consolidamento dell’approccio bilaterale e assicurato la sua sostenibilità e il suo ulteriore sviluppo. “Senza questo accordo, questa modernizzazione delle nostre relazioni non sarà possibile e i nostri accordi bilaterali invecchieranno inevitabilmente: sono passati 50 anni dall’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio, 20 anni dagli accordi bilaterali I e II. Già oggi, non sono all’altezza di quello che dovrebbe e potrebbe essere il rapporto tra l’UE e la Svizzera. Ora analizzeremo attentamente l’impatto di questo annuncio” conclude la nota.

"I bilaterali sono nell'interesse di entrambi"

“La via bilaterale è nell’interesse della Svizzera e dell’Unione Europea”, ha affermato la consigliera federale Karin Keller-Sutter ricordando l’importanza delle varie intese raggiunte nel corso degli anni. L’accordo istituzionale avrebbe permesso di chiarire quali regole si sarebbero applicate in futuro. Ciò non è stato il caso, ci saranno conseguenze, ma si troveranno delle soluzioni. In tal senso il Dipartimento federale di giustizia e polizia è già stato incaricato di esaminare in che modo si potrebbero stabilizzare le relazioni bilaterali attraverso eventuali adeguamenti della legislazione nazionale. Adeguamenti che, ha sottolineato la consigliera federale saranno “autonomi” e avverranno sulla base del sistema decisionale elvetico.

“L’Ufficio federale di giustizia individuerà le attuali divergenze tra il diritto dell’UE e l’ordinamento giuridico svizzero e chiarirà dove l’armonizzazione giuridica potrebbe essere utile e di reciproco interesse” ha spiegato Karin Keller-Sutter assicurando che le parti sociali e i cantoni saranno coinvolti.

Effetti negativi inevitabili

La mancata conclusione dell’Accordo porterà con sé anche effetti negativi per l’accesso al mercato europeo e la partecipazione ai programmi di ricerca. Lo ha sottolineato chiaramente il consigliere federale Ignazio Cassis, responsabile del Dipartimento degli affari esteri, chiedendo a Bruxelles di trattare la Svizzera “non peggio, ma alla pari degli altri Stati terzi”.

Il Consiglio federale non si nasconde che l’UE ha dichiarato in varie occasioni e reso palese di non essere disposta a concludere nuovi accordi di accesso al mercato in mancanza di un accordo istituzionale. Per l’Esecutivo però è “nell’interesse di entrambe le parti che gli accordi esistenti (come quello relativo agli ostacoli tecnici al commercio, per quanto riguarda i dispositivi medici) continuino a essere aggiornati e che non vengano stabiliti collegamenti politici non pertinenti che coinvolgano, per esempio, la cooperazione nel campo della ricerca o l’equivalenza delle borse”. Berna conta inoltre sul fatto che non sia accantonata la cooperazione in ambiti collaudati, come quelli della sanità e dell’elettricità.

Per mitigare le conseguenze negative, il Consiglio federale ha da tempo cominciato a pianificare e parzialmente attuare misure di attenuazione volte a contenere i danni, tra cui la misura di protezione dell’infrastruttura delle borse svizzere attivata nel giugno 2019 con cui la Svizzera ha reagito alla revoca del riconoscimento dell’equivalenza da parte dell’UE.

"Siamo un partner affidabile"

Secondo il Consiglio federale, dati gli strettissimi legami anche economici tra le parti, è nell’interesse comune della Svizzera e dell’UE portare avanti la via bilaterale anche senza la conclusione di un accordo istituzionale. La cooperazione attuale si basa 100 accordi settoriali. “La Svizzera rimane un partner affidabile e impegnato dell’UE e dà un contributo costruttivo a una collaborazione ben funzionante” sottolinea il Consiglio federale che fa sapere che si adopererà affinché il Parlamento sblocchi al più presto i fondi e si giunga rapidamente a una finalizzazione del memorandum d’intesa con l’UE.

Il Governo ha pertanto proposto a Bruxelles di avviare un dialogo politico al fine di sviluppare e attuare un’agenda condivisa sulla futura collaborazione e punta a cercare di risolvere insieme problemi specifici, “garantendo così l’applicazione quanto più fluida possibile degli accordi esistenti”. Con Bruxelles si vorrebbe avviare un dialogo politico al fine di sviluppare e attuare un’agenda condivisa sulla futura collaborazione. Berna punta a cercare di risolvere insieme problemi specifici, garantendo così l’applicazione quanto più fluida possibile degli accordi esistenti.

Notiziario 16.00 del 26.05.2021 - La diretta di Alberto Andreani

"Si è lavorato con la massima serietà"

Le trattative tra Berna e Bruxelles sono state condotte con la massima serietà. Lo ha sottolineato il consigliere federale Ignazio Cassis illustrando quanto fatto nel corso degli ultimi anni per cercare di trovare una intesa sui tre punti non accettabili per la Svizzera che, in particolare, chiedeva garanzie sulla libera circolazione sui quali vi è una visione completamente diversa (per la Confederazione concerne i lavoratori, per l’UE riguarda tutti i suoi cittadini).

Ignazio Cassis: "Dobbiamo esplorare nuove vie, abbiamo tanta fiducia anche in noi stessi"

Le soluzioni di cui la Svizzera aveva bisogno non sono state trovate

“I colloqui con l’UE non hanno permesso di trovare le soluzioni di cui la Svizzera aveva bisogno nei settori della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE, della protezione dei salari e degli aiuti di Stato”, ha sottolineato il presidente Guy Parmelin rilevando che la bozza era stata ritenuta definitiva da Bruxelles che aveva reso noto di ritenere concluse le trattative nel novembre 2018.

L’annuncio della fine delle trattative iniziate nel 2014

Il Consiglio federale ha reso noto che “nella sua seduta del 26 maggio ha sottoposto i risultati dei negoziati sull’Accordo istituzionale a una valutazione globale e ha constatato che sussistono ancora divergenze sostanziali tra la Svizzera e l’UE in alcuni settori chiave”. Da qui la decisione di non firmare l’Accordo istituzionale che “segna la fine di un processo negoziale durato sette anni”.

A spiegare le ragioni della mossa davanti alla stampa si sono presentati tre consiglieri federali: Ignazio Cassis, Karin Keller-Sutter e il presidente Guy Parmelin che ha ribadito che la Confederazione ha la volontà di continuare a dialogare con Bruxelles per rafforzare il legame economico, geografico, culturale ed ideale che unisce la Svizzera, ai suoi vicini e all’intera Europa.




Scontro sull'immigrazione. Così la Svizzera scarica l'Ue sulla libera circolazione
Mauro Indelicato
1 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1622569690

I temi migratori alla base della rottura delle trattative tra la Svizzera e l'Unione europea volte a regolare i rapporti tra le due parti
Scontro sull'immigrazione. Così la Svizzera scarica l'Ue sulla libera circolazione

Non è una Brexit, perché non è uscito alcun Paese dall'Ue, ma poco ci manca. La Svizzera il 26 maggio ha deciso infatti di interrompere un vitale negoziato con Bruxelles che andava avanti da ben sette anni. I motivi sono da ricercare nello spauracchio della cessione di sovranità da parte elvetica su alcuni temi considerati fondamentali. Tra questi anche quelli relativi alla gestione dell'immigrazione.

La fine delle trattative

Come si sa la Svizzera non è parte dell'Ue. I rapporti tra il governo federale elvetico e la commissione europea sono però regolati da specifici accordi e Berna in alcuni casi ha aderito a trattati in vigore anche nel territorio comunitario, come ad esempio a riguardo del trattato di Schengen.

Gli accordi specifici però non hanno mai garantito stabilità nelle relazioni tra le due parti. Per questo nel 2014 era stato avviato un negoziato tra le autorità svizzere e quelle comunitarie. L'obiettivo era giungere, nel giro di pochi anni, a un trattato più complessivo capace di regolarizzare tutte le varie tematiche più spinose.

A cominciare dall'adesione della Svizzera al mercato comune europeo. Una circostanza quest'ultima che non tocca soltanto la sfera economica. Avere dei rapporti privilegiati con un'area di libero scambio, quale quella europea, vuol dire anche orientare le proprie normative verso una maggiore libertà di circolazione di mezzi e persone. Ed è qui che gli svizzeri hanno fiutato qualcosa che non andava.

“Quanto alla libera circolazione dei cittadini Ue, il governo svizzero ha chiesto, ma non ottenuto, che l'accettazione della direttiva europea in materia fosse accompagnata da alcune eccezioni – si legge in un comunicato di Guy Parmelin, capo del consiglio federale svizzero – senza le quali c'è il rischio che i diritti delle persone che beneficiano della libera circolazione siano estesi, con possibili ripercussioni anche sui costi dell'assistenza sociale”.

Il riferimento è alla gestione del fenomeno migratorio: “Il recepimento integrale – continua infatti la nota – equivarrebbe di fatto a un cambio di paradigma della politica migratoria, che gode di ampia accettazione tra la popolazione e i Cantoni”.

In poche parole, se la Svizzera avesse recepito senza eccezioni le normative europee sulla libera circolazione, allora avrebbe dovuto attuare le stesse politiche migratorie in vigore nel territorio comunitario. E quindi aprire i propri confini anche ai migranti regolari oppure a quelli irregolari, se a Bruxelles dovesse passare la linea della ricollocazione obbligatoria per chi sbarca nei Paesi di primo approdo.

Da qui il rifiuto della Svizzera di andare avanti con le trattative, abbandonando il tavolo di negoziato con l'Ue. Ovviamente a pesare su questa scelta non ci sono soltanto le politiche migratorie. Berna infatti vuole mantenere i paletti anche sulla libertà di circolazione dei cittadini Ue provenienti da Paesi a basso reddito. Il concetto espresso dalle autorità elvetiche è molto chiaro: senza il controllo sulla libertà di circolazione, il rischio è quello di pagare dei costi sociali ed economici molto importanti.

Nuovo colpo all'Ue

Sotto il profilo politico, per Bruxelles si tratta di un'altra importante sconfitta. Su ItaliaOggi, Tino Oldani la paragona alla Brexit. David Carretta su Il Foglio non fa mistero del fatto che il divorzio con Londra possa aver pesato sulla scelta odierna del governo svizzero. Un altro Paese, seppur non membro, ha deciso di non cedere la sovranità soprattutto su temi ritenuti di interesse nazionale. Segno di come la scia del referendum inglese del 2016 è ancora ben presente all'interno dell'opinione pubblica dell'intero Vecchio Continente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom giu 27, 2021 10:49 am

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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » dom giu 27, 2021 10:50 am

A costo di passare per fascista o per squadrista, come certi personaggi mi qualificano, ho pensato di pubblicare questo articolo del Ministro della Giustizia ungherese che nessuno vuole pubblicare, tranne il sempre bravo e attento Giulio Meotti (nella sua newsletter).
Il celebre sito Politico si è rifiutato di pubblicare questo articolo del ministro della Giustizia dell’Ungheria, Judit Varga, che voleva spiegare all’Europa la legge in discussione. Lo ripubblico io qui sotto. Di cosa hanno tanta paura? Forse di un po’ di verità? Dopo aver vinto la battaglia culturale vogliono che tutti facciano la genuflessione, come “devono” fare i calciatori in campo prima della partita?
Emanuel Segre Amar
27 giugno 2021

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 8324305587

“Pensavamo che fossero interessati a sentire la nostra versione della storia. Ci sbagliavamo”
di Judit Varga
Da dieci anni, la stampa internazionale pubblica regolarmente dichiarazioni sulla morte della democrazia ungherese. Eppure, nonostante gridino ripetutamente al lupo, non c'è mai stato nessun lupo, anche se sfortunatamente quelli che gridano non sembrano mai stancarsi dell’inganno.
Questa volta si dichiara che l'Ungheria ha adottato una legge discriminatoria e omofoba. A nessuno importa che la dichiarazione firmata da diversi Stati membri contenga false accuse e falsifichi il merito della legge ungherese sopprimendone parti essenziali. A nessuno interessa notare che il fulcro della legge è la protezione dei bambini da qualsiasi tipo di sessualità – quindi non può, per definizione, essere discriminatoria. Gli Stati membri firmatari non si sono nemmeno presi la briga di chiedere spiegazioni ufficiali al governo ungherese prima di emettere la loro lettera congiunta. Le critiche hanno generato un conflitto artificiale tra i diritti dei bambini e i diritti delle persone LGBT. È davvero questa l'incarnazione della leale cooperazione sancita dai Trattati?
La nuova legge si concentra sulla garanzia dei diritti dei genitori e sulla protezione dei minori dall'accesso a contenuti che potrebbero contraddire i principi educativi che i loro genitori hanno scelto di insegnare loro fino a quando non diventeranno essi stessi adulti. Fino a quel momento, tuttavia, tutti gli altri attori – sia lo Stato che le scuole – dovranno rispettare il diritto dei genitori di decidere sull'educazione sessuale dei propri figli. Ecco di cosa tratta la nuova legge ungherese.
Si ricorda che l'articolo 14 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce che deve essere rispettato il diritto dei genitori di assicurare l'educazione e l'insegnamento dei propri figli in conformità alle proprie convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, conformemente alle leggi nazionali che disciplinano l'esercizio di tali libertà e diritti.
La legge ungherese non si applica alla vita, all'identità sessuale o alle pratiche degli adulti di età superiore ai 18 anni, né al modo in cui tali adulti desiderano esprimersi o presentarsi pubblicamente.
L'orientamento sessuale e l'identità di genere sono soggetti a una rigida protezione costituzionale in Ungheria. Secondo l'Articolo XV paragrafo (2) della Legge Fondamentale, l'Ungheria garantisce i diritti fondamentali a tutti senza discriminazioni. Dal 2004, la legge sulla parità di trattamento ha affermato chiaramente all'articolo 1 che tutte le persone nel territorio dell'Ungheria devono essere trattate con lo stesso rispetto e vieta esplicitamente la discriminazione basata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere.
Le disposizioni non escludono alcuna attività in classe o altrimenti organizzata per gli studenti relativa alla cultura, al comportamento, allo sviluppo o all'orientamento sessuale, purché non promuova o diffonda tali argomenti. Si aspetta semplicemente che solo esperti qualificati descrivano questi problemi altamente sensibili ai bambini in modo appropriato all'età e basati su prove, contribuendo così alla loro corretta educazione con la direzione e la guida appropriate dei loro genitori e tutori legali.
In Ungheria, ognuno è libero di esprimere la propria identità sessuale come meglio crede, poiché la legislazione ungherese garantisce pienamente i diritti fondamentali per ogni minoranza. Non è una contraddizione che garantisca anche il diritto e l'obbligo dei genitori di educare i propri figli. Non c'è nulla di discriminatorio in questo.
Non è la prima volta, tuttavia, che l'europeità di una legge ungherese venga interpretata da alcuni che scelgono di giudicare anticipatamente senza prima richiedere i fatti. La dichiarazione politica che condanna la nuova legge ungherese è vergognosa, non solo perché va contro la leale cooperazione, ma anche perché la dichiarazione incorpora un'opinione politica faziosa senza un'indagine imparziale precedentemente condotta.
Inoltre, non è la prima volta che la legislazione ungherese viene etichettata come discriminatoria. Tuttavia, la verità è che implicare che questa legge sia anti-UE discrimina esclusivamente quei genitori che, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, abbracciano il diritto all’educazione dei propri figli.


Alberto Pento
Questa UE è una mostruosità social-demo-comunista che tende sempre più verso il totalitarismo illiberale dell'antica URSS allontanandosi sempre più dai modelli pluralisti, liberali, federali e democratici della Confederazione svizzera e degli USA. Se vi aggiungiamo l'antiamericanismo, l'antisemitismo antisionista/antisraelita, l'anticristianismo, l'invasionismo terzomondista, il filo cinesismo, il filo nazi maomettismo e il filo suprematista dei BLM si prospetta un futuro infernale e tragico per noi bianchi europei. Non è certo questa l'Europa che sognavo e auspicavo da giovane.


Crimini contro l'umanità ossia violazioni gravi dei diritti umani, civili e politici degli esseri umani cittadini dei vari paesi del mondo
viewtopic.php?f=205&t=2957
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5524575934


1) lo stupro delle donne;
2) l'infibulazione forzata delle bambine;
3) il matrimonio forzato delle bambine e delle giovani;
4) la sottomissione forzata e la schiavizzazione della donna;
5) l'accoglienza obbligatoria e il meticciato forzato;
6) la propaganda omosessuale ai bambini, la teoria del gender, i trattamenti ormonali dei piccoli e le operazioni chirurgiche che mutilano irrimediabilmente i corpi per favorire un impossibile e innaturale cambio di genere;
7) il suprematismo nero come quello dei BLM e la teorica critica della razza per cui i bianchi sarebbero naturalmente razzisti;
8 ) l'antisemitismo/antisionismo/antisraelismo dei cristiani, degli atei e in particolare dei nazi maomettani;
9) le utopie totalitarie sociali, politiche e religiose che ingannano, illudono, inducono al fanatismo, alla violenza, alla discriminazione alla guerra come:
a) il fascismo e il nazismo;
b) il suprematismo nazi maomettano con la sua discriminazione per i non mussulmani, i diversamente religiosi, aregligiosi e pensanti, per gli atei e gli apostati, per la libertà e l'ugualianza della donna, per la sua istigazione al disprezzo, all'odio, all'omicidio e alla strage dei non islamici;
c) il suprematismo comunista e la demonizzazione della proprietà privata, del libero mercato e della libera impresa, della diversità e della disuguaglianza, della responsabilità e del merito;
10) il politicamente corretto in generale nelle sue varie articolazioni;
11) la demonizzazione e la criminalizzazione attraverso la calunnia, la diffamazione e la menzogna delle persone, delle etnie, dei popoli, delle nazioni, degli stati, per sopraffarli, depredarli, impedire e negar loro il diritto alla difesa, alla libertà, alla sovranità civile e politica, per negare il libero esercizio e la realizzazione dell'umanità delle persone.
...

Tutte queste manifestazioni, attività, comportamenti, ideologie/teologie/mitologie non sono descrivibili/narrabili/trattabili come bene e quindi come cultura e come civiltà ma unicamente come male e quindi come incultura e inciviltà.
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Re: L'Europa che sognamo e che vogliamo

Messaggioda Berto » ven mag 06, 2022 8:03 am

Niente radici cristiane, addio a mamma e papà e insetti come alimento. Così vogliono riscrivere i trattati europei
Francesco Giubilei
6 maggio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1651810548

L'esercizio di democrazia che avrebbe dovuto sancire il destino dell'Unione europea per i prossimi decenni coinvolgendo milioni di cittadini, si è rivelato, come spesso accade quando si ha a che fare con le istituzioni europee, più una trovata pubblicitaria che un'iniziativa con proposte davvero utili.

Così, la Conferenza sul futuro dell'Europa ha rappresentato l'ennesima occasione mancata e, nonostante il periodo sfortunato tra la pandemia e la guerra in Ucraina, la partecipazione di solo 674.357 cittadini a fronte dei 446 milioni di abitanti dei paesi Ue è un dato che non lascia spazio a interpretazioni. Ancor più perplessità suscitano le quarantanove proposte approvate dalla sessione plenaria della Conferenza in cui non trovano spazio le idee di chi immagina un'Unione europea differente da quella attuale. Alcuni punti sintetizzano una visione del futuro dell'Europa non solo discutibile ma che difficilmente rappresenta il sentimento della maggioranza dei cittadini europei.

Religione e radici cristiane Nelle cinquantasei pagine del documento non c'è nessun riferimento alle radici cristiane. Non solo le parole «cristianesimo», «cristiano», «cristiani» non sono presenti nell'intero documento né tanto temo il tema della cristianofobia ma nemmeno la parola «religione» è mai utilizzata. Segno di una visione del futuro dell'Europa totalmente secolarizzata.

Natalità Il tema della natalità, una delle principali emergenze dell'Europa, viene affrontato di sfuggita nella proposta numero 15 «transizione demografica» ma non si usano mai i termini «bambino» o «bambini» così come «figlio» o «figli».

Insetti In compenso, già dal punto due, si pone attenzione alla necessità di «proteggere gli insetti, in particolare quelli autoctoni e gli impollinatori».

Alimentazione Oltre a proporre «un regime alimentare basato sui vegetali per ragioni di protezione del clima e tutela dell'ambiente», si suggerisce di tassare «gli alimenti trasformati non sani» e «istituire un sistema di valutazione a livello europeo per gli alimenti trasformati», ovvero il Nutriscore.

Ambiente Il tema dell'ambiente viene utilizzato per accentrare il potere di Bruxelles a discapito degli Stati nazionali, non a caso si propone di «rafforzare il ruolo e l'azione dell'Ue nel settore dell'ambiente e dell'istruzione, ampliando la competenza dell'Ue nel settore dell'istruzione, dei cambiamenti climatici e dell'ambiente ed estendendo il ricorso al processo decisionale a maggioranza qualificata su temi ritenuti di interesse europeo, come l'ambiente».

Resilienza La parola ricorre con grande frequenza. Si parla di «resilienza dell'economia», «resilienza all'interno delle regioni», «resilienza globale dell'Europa», «resilienza demografica», «rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento», «incoraggiare la resilienza» in ambito scolastico.

Famiglia Non si parla mai di famiglia ma di famiglie al plurale, termine che ricorre sette volte, al contrario di «genere» utilizzato ben quattordici volte. Mai usate le parole «mamma» o «madre» e «papà» o «padre», mentre si propone di «intervenire per garantire che tutte le famiglie godano di pari diritti familiari in tutti gli Stati membri. Tali diritti dovrebbero comprendere il diritto al matrimonio e all'adozione».

Diritti e doveri Addirittura trentanove volte è usata la parola «diritti», trentatré quella «diritto» e zero il termine «dovere», a testimonianza di un'Unione europea sbilanciata a favore dei diritti che non ricorda i doveri sia dei propri cittadini sia di chi arriva da fuori i confini europei.

Immigrazione Il tema dei migranti e dell'immigrazione è toccato a più riprese con un'attenzione enorme ai diritti dei migranti e al tema dell'integrazione e, mentre si usa l'espressione «immigrazione irregolare», non si menziona la difesa dei confini.

Libertà di espressione Al punto ventisette si parla di «media, notizie false, disinformazione, verifica dei fatti», un tema particolarmente delicato che si lega alla libertà di parola ed espressione che rischia di essere messa in discussione se si approvasse la proposta di istituire «un organismo dell'Ue incaricato di affrontare e combattere la disinformazione mirata e le ingerenze, migliorando la conoscenza situazionale e rafforzando le organizzazioni di verifica dei fatti e i media indipendenti».



"Così è un'Unione delle imposizioni. Tutti i Paesi valgono allo stesso modo"
Fabrizio De Feo
6 Maggio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1651814938

Il capodelegazione della Lega: "La Conferenza rischia di ridursi a esercizio di propaganda. Va contro ogni idea di federalismo reale"
"Così è un'Unione delle imposizioni. Tutti i Paesi valgono allo stesso modo"

«La Lega da anni è in prima linea per cambiare l'Europa e avvicinarla ai suoi cittadini. La Conferenza sul futuro dell'Europa rischia di essere solo un esercizio di propaganda, sbagliato nel metodo e nel merito». Marco Campomenosi, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo, non usa mezzi termini per bocciare il sistema di consultazione adottato per promuovere una riforma dell'Unione.

Onorevole Campomenosi, cosa non è piaciuto alla Lega di questa procedura di riforma?

«L'impressione che si sia voluto coinvolgere il meno possibile i cittadini, fingendo di averlo fatto con una piattaforma Internet che non conosceva nessuno, dove sono andatal massimo 50mila persone a fronte di mezzo miliardo di europei e dove venivano rilanciate solo alcune idee.

Voi però non l'avete boicottata.

«Abbiamo cercato di collaborare per senso istituzionale attraverso i nostri parlamentari europei e nazionali e anche con un rappresentante delle regioni. Dopo poco però ci siamo resi conto che la conferenza era uno strumento che serviva soprattutto a Macron, che l'ha aperta e chiusa a Strasburgo, a fini elettorali. Evidentemente la bocciatura referendaria della Costituzione europea nel 2005 da parte di francesi e olandesi ha indotto a cercare un'altra via, sicuramente meno democratica».

Cos'è che non vi ha convinto?

«Abbiamo chiesto più volte chiarimenti su costi e modalità di finanziamento e sui criteri di selezione dei cittadini. Risposte esaustive ne abbiamo avute poche. Alcuni cittadini che hanno partecipato a queste pre-riunioni ci hanno avvicinato per esprimere le loro critiche, si sono detti delusi. Hanno avuto l'impressione che la cosa che interessava di più era la creazione del collegio transnazionale. Per quale motivo un cittadino italiano dovrebbe sentirsi rappresentato da un candidato finlandese, maltese o tedesco che non sono espressione del proprio territorio e non ne conoscono le istanze? Inoltre come si farebbe a mantenere un rapporto con il territorio, cosa già difficilissima nei collegi attuali?.

Quale dovrebbe essere allora la priorità?

«Mettere ordine tra le competenze. Ormai la Commissione si occupa di quasi tutto ed è difficile stabilire cosa è di competenza degli Stati membri e cosa dell'Unione. Durante la pandemia è stata concessa molta libertà di movimento a Bruxelles ma c'è la volontà di conferirgli ancora più poteri».

Cosa pensa dell'ipotesi di eliminare il principio dell'unanimità?

«Noi riteniamo necessario concedere a tutti i Paesi la stessa rappresentanza, togliere il principio dell'unanimità rischia di rafforzare la politica delle imposizioni e rompere qualcosa nella costruzione europea. Io mi sono iscritto nel 1992 alla Lega che chiedeva di dare più poteri ai territori, non di toglierli. Questa riforma mi sembra che vada in una direzione opposta e contraria a ogni idea di federalismo reale».
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