Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » dom mag 27, 2018 9:27 pm

Le demenze sinistre e dei parassiti sui debiti e le indennità di Guerra della Germania

Grexit: i governi tedeschi non hanno mai pagato i loro debiti
Paolo Ferrero
Zonaeuro | 29 giugno 2015
Rifondazione Comunista - vicepresidente Partito della Sinistra Europea

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/0 ... ti/1824300

I governi tedeschi, quelli che si ergono a giudici implacabili contro la Grecia e che cercano di destabilizzarla per impedire il referendum popolare, sono specialisti nel non pagare i loro debiti. Lo hanno già fatto tre volte nel corso dell’ultimo secolo. La prima volta dopo la Prima guerra mondiale, la seconda nel 1953 e la terza nel 1990 dopo la riunificazione. Vediamo brevemente.

Nel 1923 l’iperinflazione portò alla totale perdita di valore della moneta tedesca, al default e all’interruzione del pagamento del Debito che il governo tedesco stava pagando per le riparazioni di guerra. Il piano statunitense (Daves), che impose nel 1924 una nuova moneta, previde che i tedeschi avrebbero potuto onorare i loro debiti emettendo un prestito obbligazionario da collocare sul mercato della finanza mondiale per una somma totale di 800 milioni di marchi oro. Si trattò a tutti gli effetti di un enorme prestito internazionale dato ai tedeschi per permettergli di pagare il debito.

Nel 1928 avvenne però anche una ricontrattazione del debito, con la riduzione delle quote da pagare e un enorme allungamento dei tempi di restituzione a 60 anni! (Piano Young).

Nel 1933. Dopo aver vinto le elezioni, i nazisti smisero di pagare i debiti e le riparazioni dovute. Negli anni successivi cominciarono ad invadere i loro vicini, non dimenticando mai, appena arrivati, di svuotare le casseforti degli altri.

Nel 1953, dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania ha nuovamente battuto cassa per non pagare il suo debito. Il 27 febbraio 1953, la conferenza di Londra, ha infatti deciso l’annullamento di circa i due terzi del debito tedesco (62,6%). Il debito di prima della guerra è stato ridotto da 22,6 a 7,5 miliardi di marchi e il debito del dopoguerra è stato ridotto da 16,2 a 7 miliardi di marchi. Oltre al taglio del debito la Germania ottenne anche un forte dilazionamento: oltre 30 anni di tempo per pagare la quota di debito rimanente. L’accordo è stato firmato dalla repubblica federale tedesca con 22 Paesi, tra cui la Grecia.

La conferenza di Londra aveva però messo una clausola: la parte di debito relativo ai danni provocati dalla guerra veniva posticipato ad un ipotetico periodo futuro nel caso in cui si fosse verificata la riunificazione della Germania.

Helmut Kohl e Angela Merkel in Parlamento

Nel 1990, quando vi è stata la riunificazione, la Germania non tenuto in alcun conto i suoi impegni presi nella conferenza di Londra del 1953 riguardo alle riparazioni di guerra. Il Cancelliere di allora, Helmut Kohl, si è rifiutato di applicare l’accordo di Londra del 1953 sui debiti esterni della Germania là dove veniva previsto che le le riparazioni destinate a rimborsare i disastri causati durante la seconda guerra mondiale dovevano essere versati alla riunificazione. Qualche acconto è stato versato ma si tratta di somme minime. La Germania non ha regolato i suoi conti dopo il 1990, ad eccezione delle indennità versate ai lavoratori forzati. I soldi prelevati con la forza nei paesi occupati durante la seconda guerra mondiale e i danni legati all’occupazione non sono stati rimborsati a nessuno. Tantomeno alla Grecia.

Da notare che i nazisti, al tempo dell’occupazione militare, hanno imposto alla Grecia il pagamento dei costi della loro occupazione. Insomma non solo hanno distrutto e ucciso, ma hanno letteralmente saccheggiato il Paese… Tenuto conto dell’inflazione dopo il 1945, la Germania ha un enorme debito con la Grecia che è stato calcolato in 162 miliardi di euro. Non proprio noccioline….

Questi sono i governanti tedeschi, che si ergono ad autorità morale contro il popolo greco e il suo governo. Governano una nazione che è stata rimessa in piedi dal Piano Marshall dopo che aveva scatenato una guerra, distrutto il continente e fatto decine di milioni di morti. Una nazione, un governo e un popolo che non hanno mai pagato i propri debiti e che proprio grazie a questo e agli aiuti sono potuti ridiventare una potenza mondiale. E’ bene ricordarglielo mentre stanno cercando di assassinare il popolo greco per la seconda volta.




https://it.wikipedia.org/wiki/Indennit%C3%A0_di_guerra
L'indennità di guerra, o riparazione di guerra, è una compensazione monetaria destinata a coprire i danni o le perdite subite durante una guerra.

https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_s ... _germanici
L'accordo sui debiti esteri germanici, noto anche come accordo sul debito di Londra (in tedesco rispettivamente Abkommen über deutsche Auslandsschulden e Londoner Schuldenabkommen, in inglese Agreement on German External Debts e London Debt Agreement), è stato un trattato di parziale cancellazione del debito firmato a Londra il 27 febbraio 1953 tra la Repubblica Federale di Germania da una parte e Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia dall'altra.
I negoziati durarono dal 27 febbraio all'8 agosto 1953. Il trattato, ratificato il 24 agosto 1953, impegnava il governo della Repubblica federale di Germania sotto il cancelliere Konrad Adenauer a rimborsare i debiti esterni contratti dal governo tedesco tra il 1919 e il 1945 ed era accoppiato al concordato sul rimborso parziale dei debiti di guerra alle tre potenze occidentali occupanti. Furono prese in considerazione le esigenze di 70 Stati, 21 dei quali provenienti direttamente dai partecipanti ai negoziati e firmatari del contratto; i Paesi del blocco orientale non vennero coinvolti e le loro richieste furono ignorate.
In fase di negoziazione, il totale ammontava a 16 miliardi di marchi di debiti degli anni 1920 inadempiuti negli anni 1930, ma che la Germania decise di rimborsare per ristabilire la sua reputazione. Questa somma di denaro venne pagata ai governi e alle banche private di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Altri 16 miliardi di marchi erano rappresentati da prestiti del dopoguerra dagli Stati Uniti. Sotto la negoziazione di Hermann Josef Abs, la delegazione tedesca raggiunse un elevato livello di riduzione del debito: con l'accordo di Londra infatti l'importo da rimborsare fu ridotto del 50% a circa 15 miliardi di marchi e dilazionato in più di 30 anni, il che, rispetto alla rapida crescita dell'economia tedesca, ha avuto un minore impatto.

L'accordo contribuì in modo significativo alla crescita del secondo dopoguerra dell'economia tedesca e al riemergere della Germania come potenza mondiale economica e permise alla Germania di entrare in istituzioni economiche internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio.

L'accordo normava anche i debiti delle riparazioni della seconda guerra mondiale e questi furono messi in correlazione con la riunificazione tedesca (evento che nel 1953 sembrava lontano e non certo). Fu stabilito che i debiti sarebbero stati congelati fino alla riunificazione della Germania. Quando nel 1990 questo evento si verificò i suddetti debiti furono quasi del tutto cancellati, questo per permettere al nuovo stato di gestire una costosa e difficile riunificazione.[3] Del totale rimasero operative solo delle obbligazioni per un valore di 239,4 milioni di marchi tedeschi che furono pagati a rate. Il 3 ottobre 2010 la Germania terminò di rimborsare i debiti imposti dal trattato[4] con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro[5].

Dopo la fine della guerra fredda, tra il 1991 e il 1998 furono firmati degli accordi bilaterali di compensazione - simili a quelli degli anni '60 con i paesi occidentali - con la Polonia, la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania.



Ecco come l’Europa cancellò il debito della Germania
Pubblicato da keynesblog il 10 marzo 2015 in Economia, Europa, Storia

https://keynesblog.com/2015/03/10/europ ... nia-grecia

Gli accordi sul debito di Londra (1953) dimostrano che i governi europei sanno come risolvere una crisi da debito coniugando giustizia e ripresa economica. Ecco quattro lezioni esemplari, utili nell’attuale crisi del debito greco.

Il 27 febbraio 1953 fu siglato a Londra un accordo che cancellava la metà del debito della Germania (all’epoca la Germania Ovest). 15 miliardi su un totale di 30 miliardi di Deutschmarks*.

Fra i paesi che accordarono la cancellazione c’erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia, assieme a Grecia, Spagna e Pakistan (paesi che sono oggi fra i più importanti debitori). L’accordo copriva anche il debito di privati e società. Dopo il 1953, altri paesi firmarono l’accordo per cancellare il debito tedesco: l’Egitto, l’Argentina, il Congo Belga (oggi Repubblica Democratica del Congo), la Cambogia, il Cameroun, la Nuova Guinea, la Federazione di Rodesia e il Nyasaland (oggi Malawi, Zambia e Zimbabwe). (1)
Il debito Tedesco risaliva a due periodi storici: gli anni precedenti la prima guerra mondiale e quelli immediatamente successivi alla seconda. Circa la metà derivava da prestiti che la Germania aveva contratto durante gli anni ’20 e i primi anni ’30 (prima dell’ascesa dei nazisti al potere), e che furono usati per pagare i danni di guerra imposti nel 1919 dal trattato di Versailles. Si trattava del lascito delle colossali riparazioni dei danni di guerra imposte al paese dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale.
L’altra metà del debito era legata alle spese di ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale.

Nel 1952, il debito della Germania detenuto da paesi esteri ammontava al 25% circa del reddito nazionale. Si tratta di un debito relativamente contenuto rispetto alle cifre di oggi: Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo hanno tutte un debito verso creditori esteri superiore all’80% del PIL. La Germania Ovest doveva affrontare enormi spese per la ricostruzione, ma le riserve di valuta estera erano scarse. La delegazione tedesca alla conferenza sostenne con successo la tesi che i rimborsi del debito sarebbero cresciuti vertiginosamente nell’immediato futuro, e che ciò avrebbe gravemente ostacolato la ricostruzione. In seguito all’annullamento del debito, la Germania Ovest visse un ‘miracolo economico’ trainato da una vasta opera di ricostruzione, e forti incrementi del reddito e delle esportazioni. Questa stabilità contribuì alla pace e alla prosperità in Europa.
I creditori della Germania Ovest erano ben disposti a stabilizzare il quadro politico ed economico del paese, per rafforzare un ‘bastione contro il comunismo’. Questo sottinteso politico spinse i creditori ad affrontare con un approccio illuminato la questione del debito; approccio purtroppo assente nelle crisi di debito degli ultimi trent’anni – America Latina e Africa (anni ’80 e anni ’90); estremo oriente (metà anni ’90); Russia e l’Argentina (alla soglia del millennio) e oggi l’Europa. In tutte queste crisi, la Germania si è trovata fra i creditori, com’è crudamente emerso nel corso della crisi europea del debito.
Oltre all’entità del debito cancellato, molti altri aspetti degli accordi sul debito di Londra furono di sicuro vantaggio per la Germania; i principî che li ispirarono potrebbero essere applicati al caso degli attuali paesi debitori.

1) Imposizione di limiti espliciti al rimborso del debito
Innanzitutto fu abilmente richiesto (e ottenuto) che il rimborso del debito della Germania Ovest procedesse solo in caso di eccedenza commerciale. In caso di deficit commerciale, non sarebbe stato effettuato nessun pagamento. In altre parole, il governo avrebbe rimborsato il debito unicamente con risorse effettivamente disponibili, invece di ricorrere a nuovi prestiti o utilizzando riserve di valuta estera. Questo meccanismo evitò una nuova recessione o una lunga stagnazione. Inoltre, nell’ipotesi di una bilancia commerciale in passivo, la Germania Ovest era autorizzata a limitare le importazioni.
Se i paesi creditori volevano recuperare i loro prestiti, erano quindi indotti ad importare merci dalla Germania. Il meccanismo che permise di procedere in questo senso fu la rivalutazione contro il marco delle divise dei paesi creditori: con un marco ‘debole’ le merci prodotte in Germania erano più convenienti sui mercati esteri. L’effetto fu una rapida crescita delle esportazioni tedesche, che permise al paese di ripagare il debito residuo. D’altra parte, i paesi creditori riorientarono di fatto le loro politiche economiche interne, spingendo verso maggiori importazioni (e quindi sostenendo i consumi), invece di costringere i debitori ad applicare politiche di austerità. [Quest’ultima è la via scelta dalla Germania attuale, che parallelamente insiste sul mercantilismo e deprime i consumi interni, n.d.t.]

Deficit, surplus e debito
Se un paese esporta più di quello che importa, ha un eccedenza commerciale (o surplus). Ciò comporta un reddito in eccesso, che non è speso in beni importati. Quest’eccesso servirà a riassorbire debito, oppure si trasformerà in credito verso altri paesi, che a loro volta s’indebiteranno.
Se un paese è in deficit commerciale, importa più di quanto esporta. È quindi costretto a contrarre dei debiti con altri paesi, o a mettere in vendita il suo patrimonio.
I debiti tra paesi sono insomma causati da (o causano a loro volta) deficit e surplus nelle bilance commerciali. Perché un paese possa essere in surplus, deve esisterne un altro con un deficit. Più le bilance commerciali sono in equilibrio, più stabile è l’economia mondiale.
Perché un debito possa essere rimborsato, i paesi debitori devono essere in surplus, e i paesi creditori devono trovarsi in deficit commerciale. È molto difficile per i paesi debitori raggiungere un eccedenza di bilancia commerciale, se i creditori non sono disposti ad accettare disavanzi.
Non è teoricamente possibile che tutti i paesi siano in surplus, a meno che il pianeta Terra non si metta a commerciare con un altro pianeta.

La bilancia commerciale della Germania Ovest fu ampiamente in attivo durante il periodo di rimborso del debito, e così la clausola limitativa non venne mai applicata. Ma la sua sola esistenza permise di ricostruire l’economia tedesca e sostenere le esportazioni, creando un potente incentivo ad acquistare merci provenienti dalla RFT, e permettendo la svalutazione del marco rispetto alle altre divise.
La competitività della Germania e la svalutazione del marco segnarono tutto il periodo del rimborso del debito, e finirono per vincolare gli altri paesi dell’Eurozona con la creazione dell’euro negli anni ’90. Negli anni ’50 e ’60, le eccedenze commerciali della Germania Ovest permisero il rimborso del debito; negli anni più recenti, hanno invece contribuito ad aumentare il debito di altri paesi, come la Grecia, l’Irlanda, la Spagna ed il Portogallo.
Grazie alla cancellazione del debito e alla riduzione dei tassi d’interesse, i pagamenti assorbiti dal rimborso costituivano il 2,9% delle esportazioni nel 1958 (il primo anno del risarcimento) e si ridussero con la crescita del surplus. A titolo di confronto, l’FMI e la Banca Mondiale considerano ‘sostenibili’ per i paesi più poveri rimborsi del debito dell’ordine del 15%-25% del valore delle esportazioni.
Nel 2015, l’FMI prevede che la Germania avrà un’eccedenza commerciale pari al 5,8% del PIL, quando invece potrebbe importare merci dai paesi creditori, per aiutarli ad uscire dalla crisi. [Il surplus commerciale tedesca ha violato ripetutamente i criteri della Macroeconomic Imbalance Procedures — MIP. Ma per ora le sanzioni non sono state applicate alla Germania, n.d.t.]
Inoltre, come prima ricordato, i rimborsi attuali del debito sono molto più elevati (in termini di percentuale rispetto al valore delle esportazioni) di quanto pagato dalla Germania Ovest al ritmo massimo dei pagamenti. Attualmente, i rimborsi del governo greco sono dell’ordine del 30% delle sue esportazioni (2).
Situazioni simili si presentano per i paesi più indebitati del sud del mondo: il Pakistan, le Filippine, El Salvador e la Jamaica spendono fra il 10% e il 20% per cento delle loro esportazioni per ripianare i loro debiti esteri (3). Questi valori non comprendono i rimborsi dei debiti privati.

2) Coinvolgimento di tutti i tipi di creditori
Tutti i creditori furono coinvolti nel programma di ristrutturazione, sia gli stati, sia i privati, ai quali furono applicati gli stessi criteri. Questo per limitare gli effetti dei contenziosi eventualmente aperti dai privati per disparità di trattamento.
Ben diverso è stato l’approccio delle ristrutturazioni del debito più recenti. Il programma di normalizzazione del debito dei paesi poveri (Heavily Indebted Poor Countries initiative, HIPC), che ha cancellato 130 miliardi di dollari di debiti a 35 paesi fra i più poveri del mondo (anni 2000), ha riguardato unicamente i debiti verso istituzioni internazionali o paesi terzi. I soggetti privati non sono stati coinvolti nell’accordo. Di conseguenza, paesi fra i più poveri al mondo, come Sierra Leone, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, sono stati citati in giudizio presso tibunali occidentali dai ‘Vulture funds’ (fondi speculativi ‘avvoltoio’), per montanti colossali, che non sono in grado di rimborsare.
Alla fine del 2001, l’Argentina si dichiarò insolvente sul proprio debtio, semplicemente perché era troppo elevato da rimborsare. Molti dei creditori privati sottoscrissero un nuovo accordo, che prevedeva uno sconto del 70% sul debito nominale. Alcuni creditori, fra i quali ‘fondi avvoltoio’ che avevano riacquistato parti del debito nel pieno della crisi, e a condizioni molto convenienti, esigono oggi -in sede legale- il rimborso totale del debito all’Argentina, oggi non più insolvente.
Nel giugno 2014, la corte suprema USA confermò il giudizio del tribunale di New York in favore di due fondi speculativi (NML Capital e Aurelius Capital) che esigevano 1,3 miliardi di dollari di debiti contratti dall’Argentina durante la crisi del 2001. Il giudizio stabiliva che l’Argentina avrebbe dovuto dapprima rimborsare i debiti verso i due fondi prima di procedere a qualsiasi altro indennizzo. Il rifiuto di ottemperare dell’Argentina comportò un nuovo default sul debito e a uno stallo che dura ancora oggi.
In Grecia sono avvenute nel 2011 due ristrutturazioni, che hanno portato ad una riduzione del debito nominale di più del 50% per 9 creditori privati su 10. Malgrado questa ‘riduzione’ il valore del capitale da recuperare restava comunque superiore al prezzo di vendita dei diritti creditorî sul mercato. E i creditori insittetero perché il nuovo debito fosse sottoposto – nella maggior parte dei casi – al diritto britannico. Con limiti evidenti sul controllo futuro del proprio debito da parte del governo greco.
Per di più, i creditori che detenevano il ‘vecchio’ debito sotto legislazione non greca (britannica o elvetica) sono rimasti fuori dall’accordo, e sono attualmente in grado di esigere il pagamento completo della somma originaria, più del doppio dei creditori ‘ristrutturati’. Molti di questi debiti sono detenuti da fondi speculativi che hanno comprato il debito a prezzi stracciati, e che stanno quindi speculando, con vasti profitti, a danno del popolo greco. Inoltre, i prestiti accordati alla Grecia per ricoprire il suo debito negli ultimi due anni lo hanno di fatto trasferito da creditori privati verso soggetti istituzionali, l’FMI e i governi dell’UE. Questa parte non ha subito alcuna riduzione, e quindi il debito detenuto da creditori esteri è oggi ben al di là del 100% del PIL.

3) Applicare la ristrutturazione a tutti i debiti, non solo quelli verso i governi.
Gli accordi sul debito di Londra furono applicati a tutti i debiti contratti dalla Germania Ovest: verso privati, governi e società estere. Comprendeva quindi i debiti dei privati e delle società tedeschi, oltre al debito pubblico.
La maggior parte della crisi del debito odierna è scaturita da debiti inizialmente a carico di società private, soprattutto banche. Per esempio, i prestiti contratti dal settore privato in Irlanda hanno spinto nel 2007 il debito totale del paese al 1000% del PIL. Il governo irlandese, invece, ha potuto approfittare di un avanzo di bilancio in quegli stessi anni, e il suo debito totale (detenuto sia da risparmiatori irlandesi, sia da creditori esteri) era ‘appena’ l’11% del PIL nel 2007. Perché un’economia esca dalla stagnazione causata da debito eccessivo, devono essere ristrutturati tanto il debito detenuto dai privati quanto quello detenuto dai governi.

4) Negoziati piuttosto che sanzioni
Se la Germania Ovest non avesse voluto, o non fosse stata in grado di rimborsare il debito, l’accordo prevedeva consultazioni fra il debitore e i creditori, sotto la supervisione di un organismo internazionale terzo. Un approccio del tutto diverso da quello che ha ispirato i ‘negoziati’ più recenti sul debito, nei quali i governi e le istituzioni creditrici (il Club di Parigi, l’FMI, la BCE) hanno imposto i termini dell’accordo ai paesi debitori, obbligandoli a instaurare politiche di austerità e liberalizzazioni sui mercati. Come ci si poteva aspettare, la Germania Ovest non ebbe ulteriori problemi di debito, e anche questa clausola non venne mai applicata.

Il caso Grecia: spezzare le catene
Ispirandosi all’antica idea del Giubileo, in occasione del quale i debiti erano annullati, gli schiavi erano liberati, e la terra ridistribuita, la Jubilee Debt Campaign lancia un appello per un nuovo ‘Giubileo del debito’ per risolvere l’attuale crisi economica globale. Quest’iniziativa costituirebbe il quadro per rompere l’attuale spirale della crisi debitoria e bancaria in Europa, e alleggerire il fardello perpetuo che grava sui paesi del sud del mondo.
In altre parole:
– Cancellare i debiti ingiusti dei paesi più indebitati;
– Promuovere una tassazione giusta e progressiva, piuttosto che ricorrere a nuovi prestiti;
– Uscire dalla logica di nuovi prestiti che spingono i paesi poveri nella voragine del debito
La Grecia è indiscutibilmente fra i paesi che più hanno bisogno di una cancellazione del debito. Dopo più di quattro anni di austerità, il debito greco è salito dal 133% al 174% del PIL. Il salario minimo è caduto del 25%, la disoccupazione giovanile è oltre il 50%. E più del 20% della popolazione è sotto la soglia di povertà. È necessario che i creditori di Atene capiscano la lezione dell’accordo sul debito tedesco del 1953, e spezzino le catene del debito che attanagliano oggi la Grecia.

Traduzione: Faber Fabbris

Fonte: jubileedebt.org.uk

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Note
* La cancellazione del debito riguardò la Germania Ovest, che aveva ereditato la totalità del debito tedesco verso i paesi occidentali dopo la seconda guerra mondiale. Si trattò quindi dell’annullamento del debito della Germania pre-bellica, anche se le trattative furono fatte con la sola Germania Ovest.
1. Questa, e molte altre informazioni utilizzate nell’articolo, sono tratte da: Kaiser, J. (2003). Debts are not destiny! On the fiftieth anniversary of the London Debt Agreement. Erlassjahr.de (Jubilee Germany), ed altri due testi da Erlassjahr.de : Double standards applied e About the London Debt Accord for Germany, 1953.
2. IMF, World Economic Outlook database.
3. World Bank, World Development Indicators database.



Tutta la storia dei debiti di guerra della Germania che Tsipras vuole indietro
Giovanni Drogo

https://www.nextquotidiano.it/perche-la ... lla-grecia

Alexis Tsipras nei giorni scorsi ha ripetuto un concetto che ha spesso utilizzato durante la campagna elettorale che ha dato a Syriza la vittoria alle elezioni politiche in Grecia. Il discorso di Tsipras è molto semplice e segue la linea di attacchi provocatori ai tedeschi tracciata dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis che la settimana scorsa aveva detto “La Germania sa bene che cosa può succedere quando si scoraggia troppo a lungo una nazione orgogliosa e la si espone a trattative e preoccupazioni di una crisi del debito deflattiva, senza luce alla fine del tunnel: questa nazione prima o poi fermenta” con un chiaro riferimento a quanto successo in Germania dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Secondo Tsipras invece la Grecia può e deve chiedere alla Germania il risarcimento dei danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale da parte della Germania Nazista.


IL DOSSIER SUL DEBITO DELLA GERMANIA

Non è la prima volta che la Grecia tira fuori la questione delle riparazioni dei danni di guerra non pagati dalla Germania.
Già nel 2013 il Governo greco all’epoca presieduto da Antonis Samaras aveva avanzato una richiesta di risarcimento alla Germania sulla base delle conclusioni di un rapporto redatto da una commissione di esperti su richiesta del Ministro delle Finanze. Secondo quel rapporto l’ammontare della cifra che la Germania non ha pagato e che quindi ancora spetta al popolo greco è di circa 162 miliardi di euro, pari all’80% del PIL greco e a metà del debito pubblico. L’atteggiamento della Grecia però, pur con alcuni fondamenti storici non ha molti appigli legali se andiamo a ripercorrere la storia degli accordi tra la Germania e i paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale.

Chi detiene il debito pubblico della Grecia (Corriere della Sera, 5 gennaio 2015)

CHE FINE HANNO FATTO I DEBITI DI GUERRA TEDESCHI

Per Tsipras la richiesta è un “obbligo morale” che i greci di oggi hanno nei confronti di tutti coloro che hanno dato la loro vita per sconfiggere il Terzo Reich e libera la Grecia e l’Europa dalla dominazione nazista. Il riferimento storico è al “prestito” di 476 milioni di Reichsmark (circa 11 miliardi di euro attuali) che la Banca centrale greca fu costretta a versare nelle casse del Reich in seguito all’occupazione nazifascista e, naturalmente, alle riparazioni di guerra per i danni subiti durante i quattro anni di occupazione tedesca dall’aprile 1941 fino all’ottobre 1944. Il prestito che i greci furono costretti a concedere al Reich servì per ripagare i costi dell’occupazione nazista della Grecia (in pratica il popolo greco pagò di tasca sua l’invasione della propria nazione) e non venne mai restituito. Dopo la fine della guerra con la

Conferenza di Pace di Parigi

la Germania fu costretta a versare alla Grecia una compensazione sia in termini monetari sia in termini di trasferimento di mezzi e materiali industriali. Con la successiva firma dei Trattati di Parigi nel 1947 la Grecia ottenne un risarcimento in denaro da parte delle altre potenze dell’Asse (in particolare Italia e Bulgaria). Dopo un accordo siglato nel 1960 la Germania versò alla Grecia 115 milioni di marchi come ulteriore compensazione per le vittime dell’occupazione nazista. Ma il problema principale, per Alexis Tsipras, è quanto stabilito nel 1953 alla conferenza di Londra per la riduzione dei debiti contratti dalla Germania tra il 1919 e il 1945. Alla conferenza presero parte la Germania Ovest e tutte le potenze occidentali che vantavano un credito nei confronti dei tedeschi. Come risultato delle trattative venne deciso di ridurre del 50% i debiti di guerra (dilazionati in trent’anni) della Germania derivanti dal trattato di Versailles. Per quanto riguarda i debiti contratti in seguito alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale venne stabilito che sarebbero stati congelati fino alla (ipotesi remota all’epoca) riunificazione della Germania. Quando la riunificazione accadde davvero, nel 1990 quindi il debito venne quasi completamente estinto. A sancire la conclusione dei contenziosi tra la Germania unificata e le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale venne firmato il “trattato 2 + 4”

ovvero il Trattato sulla risoluzione dei contenziosi con la Germania. Questo accordo venne firmato dalle quattro potenze occupanti (Unione Sovietica, USA, Regno Unito e Francia) e le due Germania (DDR e Repubblica Federale). Ed è proprio a questo documento (approvato all’epoca anche dalla Grecia) che ha fatto riferimento il vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel dicendo che le probabilità che la Germania possa ripagare i debiti di guerra alla Grecia sono “pari a zero”.

CHE POSSIBILITÀ CI SONO?

Le possibilità che la Germania finisca di ripagare i danni di guerra alla Grecia sono davvero pari a zero? La risposta è sì. Con il pagamento dell’ultima tranche del 1960 e il trattato del 1990 la Germania ha finito di pagare i debiti che aveva con la Grecia in seguito all’occupazione nazista. Per questo motivo il discorso di Tsipras sui debiti di guerra da risarcire assume un senso più politico che economico. Resta in piedi solo il prestito forzato da 11 miliardi di euro che la Grecia ha dovuto concedere alla Germania. Come ha fatto notare qualche tempo fa. Se il prestito venisse considerato un danno di guerra (ad esempio se venisse dimostrato che il denaro venne sostanzialmente rubato dai nazisti) allora non dovrebbe essere ripagato, perché appunto la questione si è conclusa con il trattato del 1990. Se invece venisse considerato un prestito allora ci sarebbe qualche appiglio legale per pretenderne la restituzione. Ma converrebbe alla Grecia? Immaginando che si tratti di un prestito a interessi zero la cifra da restituire sarebbe intorno agli 11 miliardi di euro (con un tasso d’interesse del 3% su 70 siamo invece intorno ai 95 miliardi). Incassare quel denaro non cambierebbe di molto la situazione del debito greco ma creerebbe invece un pericoloso precedente perché i prestiti forzati era una prassi consolidata durante la dominazione nazista dell’Europa. Alexis Tsipras ha ragione a ricordare che c’è stato un periodo in cui tutti abbiamo pagato per i danni che la Germania ha causato all’Europa, ed è un buon argomento per far capire che come in passato è stata aiutata la Germania a rialzarsi ora è tempo di aiutare la Grecia a farlo. Ma non ha senso pensare che i tedeschi di oggi possano essere ritenuti responsabili di quanto fatto dai tedeschi di sett’anni fa.


Debiti di guerra: ecco perché la Germania non deve nulla alla Grecia
Ubaldo Villani Lubelli

https://berlinocacioepepemagazine.com/2 ... lla-grecia

Secondo il governo greco i tedeschi devono alla Grecia 278,7 miliardi di Euro per l’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale. Una cifra enorme che è ben superiore a quella che Atene deve all’Unione Europea, alla Banca Centrale Europea e al Fondo Monetario internazionale (240 miliardi circa). Si tratta di una duplice richiesta che riguarda i risarcimenti per le vittime di guerra e un rimborso per il prestito forzoso che la Grecia dovette pagare durante l’occupazione nazista nel 1942-1944, ovvero 476 milioni di marchi. Quest’ultima cifra è, tuttavia, difficile da calcolare con la moneta di oggi, si attesterebbe in ogni caso intorno a 8-11 milioni di euro, compresi gli interessi.

Il calcolo è stato fatto dal Ministero delle finanze greco, presieduto Dimitri Mardas, secondo cui la drammatica condizione debitoria della Grecia è in larga parte dovuta ai mancati pagamenti da parte della Germania. Insomma, è chiaro che si tratta di una proposta provocatoria che vuole essere un’accusa alla gestione tedesca della crisi dell’euro.

Secondo il governo tedesco la questione è molto semplice. La richiesta di riparazione non ha alcun valore in quanto la Germania già negli anni 60 ha stipulato accordi con dodici paesi occidentali e la questione risulta chiusa. Proprio in quell’occasione la Repubblica Federale Tedesca ha pagato alla Grecia ben 115 milioni di marchi tedeschi (il cui valore di allora era molto superiore ai marchi tedeschi durante la guerra). Inoltre, con la riunificazione tedesca del 1990 e con il raggiungimento della piena sovranità da parte della Germania la questione dei risarcimenti di guerra è definitivamente chiusa. Tuttavia, per gli stessi storici tedeschi la questione è tecnicamente controversa. Ma se le questioni storico-giuridiche sono controverse, c’è chi, anche nella stessa Germania, rimanda ad un doveroso risarcimento morale. Una famiglia tedesca ha affermato di pagare circa 800 euro alla Grecia come parte del proprio risarcimento.

Ma è vero che la Germania deve qualcosa alla Grecia? In realtà, la richiesta greca sembra più un capriccio. Primo, perché richiedere 70 anni dopo un risarcimento di guerra è ridicolo, secondo, perché i greci collegano tale richiesta alla crisi dell’Euro sfuggendo, come al solito, dalle proprie responsabilità per la condizione attuale della Grecia, come se le cause siano esclusivamente esterne.

La Germania non deve nulla alla Grecia per due valide ragioni storico-politiche:

1) Nessun Paese ha fatto i conti con il proprio passato nazista quanto la Germania. Paesi come l’Italia e la Spagna non l’hanno fatto così come lo hanno fatto i tedeschi nel corso del lungo dopoguerra. Ancora oggi la condanna del nazismo e il ricordo delle vittime in Germania è tale da essere quasi un’ossessione. Basti pensare che il riferimento ai crimini del nazismo c’è addirittura nella Costituzione tedesca!

2) Il problema del risarcimento dei danni di guerra è strettamente collegato con la famosa conferenza di Londra del 1953 in cui, diversamente da come spesso si legge, non fu cancellato il debito tedesco. Il negoziato prese in considerazione non solo i debiti della seconda guerra mondiale ma anche quelli della prima (Grande Guerra). Si stabilì che la somma complessiva era di 23 miliardi di dollari, ma fu applicato uno sconto del 50 per cento e diluito in trent’anni. Tali concessioni contribuirono alla ripresa dell’economia tedesca. Il motivo del “taglio” fu dovuto prima di tutto all’esperienza della prima guerra mondiale, infatti, il Trattato di Versailles e la clausola di colpevolezza (e i conseguenti enormi danni che la Germania dovette pagare) furono all’origine dell’ascesa del Nazismo. In altre parole, gli Stati Uniti si resero conto che la Germania, per la sua posizione geografica, per la sua forza economica e per la sua vastità territoriale, era un tassello indispensabile nello schieramento occidentale ed invece di chiedere denaro (come fecero dopo la prima guerra mondiale) avviarono il Piano Marshall. L’accordo del 1953 non fu firmato solo dalle tre potenze occidentali (USA, Francia e Gran Bretagna), ma anche da tutti i Paesi che erano stati occupati dai tedeschi durante la guerra, tra cui anche dalla Grecia.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » dom mag 27, 2018 9:42 pm

STORIA/ La Germania salda i debiti di guerra. Perché a Versailles nessuno ascoltò Keynes?

http://www.ilsussidiario.net/News/Cultu ... es-/116370

Il 3 ottobre, in occasione dei vent'anni dalla riunificazione, la Germania salda l'ultima rata del debito contratto con la fine della Prima guerra mondiale 30 settembre 2010 Redazione

La prima Guerra Mondiale finisce ufficialmente domenica 3 ottobre con il pagamento da parte della Germania del debito di 22 miliardi di sterline stabilito dagli accordi di Versailles del 1919. Vista così, la guerra è durata 91 anni.

Il 3 ottobre, in occasione del ventesimo anniversario della riunificazione, la Germania salda il debito contratto alla fine della Prima guerra mondiale con le potenze vincitrici. Si tratta di una cifra di circa 70 milioni di euro. Il Trattato di Versailles aveva infatti imposto tra le altre cose il pagamento da parte della Germania dei danni materiali e morali provocati con la guerra.

Una cifra di 226 miliardi di marchi. Ecco quanto la Germania si era impegnata a pagare firmando il Trattato di pace di Versailles. Si trattava di un risarcimento per tutti i danni e le distruzioni provocate, soprattutto alla Francia, con la guerra scatenata dalla Germania. Una cifra enorme, per una nazione già prostrata dalla sconfitta e dalla perdita di oltre due milioni dei suoi uomini migliori. La cifra venne infatti ridotta ben presto a un più abbordabile, seppure sempre alto, costo di 132 miliardi di marchi, circa 25 miliardi di euro.



Cancellazione del debito: perchè non si può paragonare la Grecia del 2015 con la Germania del 1953
Gianni Balduzzi

https://www.termometropolitico.it/11872 ... -1953.html

È stato certamente uno degli argomenti che molti difensori di Tsipras e in generale delle posizioni greche hanno usato in questi mesi e anni per accusare di miopia ed eccessiva rigidità, se non di crudeltà, i creditori della Grecia, soprattutto ovviamente la Germania di Angela Merkel: la cancellazione del debito tedesco nel 1953.

Un sentimento che ha provocato vignette come questa:
cancellazione del debito, vignetta con un nazista e un tedesco moderno che derubano un greco
Cancellazione del debito tedesco del 1953: un taglio del 50%

Ammontava a 23 miliardi di dollari di allora il debito accumulato dalla Germania, ovvero il 100% del PIL, dovuto a 23 Paesi: Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia.

Anche la Grecia come si vede, tra l’altro spogliata e prostrata dalla Germania durante gli anni dell’occupazione militare (dal 1941 al 1944).

Da dove provenivano questi debiti? Una parte riguardava risorse prestate nel Dopoguerra, tra cui il famoso piano Marshall, e che erano debiti verso altri governi, con implicazioni quindi abbastanza semplici, senza considerazioni su tassi d’interesse e valutazioni monetarie.

Un’altra erano debiti contratti nel periodo precedente alla guerra, prima anche della dittatura nazista, debiti commerciali di imprese private, o titoli emessi dallo Stato e anche delle regioni tedesche, e acquistati da privati, ma anche derivanti dal piano Dawes, ovvero prestiti americani concessi per aiutare la Germania a pagare gli interessi delle riparazioni di Versailles, quindi di fatto ancora legati alle pesantissime riparazioni di guerra seguite al primo conflitto mondiale

Questi debiti ponevano problemi più complessi, non solo per la natura dei creditori, ma anche perchè erano spesso in valute ormai svalutate dopo la guerra, o in oro, mentre d’altro lato gli interessi non pagati assommavano a cifre che superavano il debito stesso.

L’azione dei creditori consistette prima di tutto in una cancellazione di gran parte del debito postbellico, la cui grandissima parte era costituita dal piano Marshall, che aveva avuto, grazie all’indubbio potere di persuasione dell’occupante americano, un diritto di prelazione sugli altri crediti.

Inoltre i creditori rinunciarono a parte degli interessi non pagati sui prestiti più vecchi e ridussero i tassi di interesse futuri. Si agì anche sulle clausole oro, ovvero quelle che richiedevano che il rimborso in valuta fosse pari al valore in oro della moneta al tempo dell’emissione. I creditori sostituirono queste clausole con una clausola dollaro USA: se il prestito originario aveva una clausola oro, dal 1953 il rimborso sarebbe stato espresso in dollari al cambio corrente della valuta piuttosto che in oro. Questa decisione ridusse molto il debito prebellico, dal momento che gli Stati Uniti avevano svalutato il dollaro rispetto all’oro nel 1933.

Chiaramente questa azione fu mirata a un recupero economico della Germania Ovest, ritenuto di basilare importanza nel nuovo clima economico della Guerra Fredda, in cui tutte le risorse dovevano servire a contrastare il pericolo comunista.

La Germania a causa dei debiti ancora non pagati non poteva commerciare se non attraverso uno scambio di merci e parte degli accordi del Piano Marshall era la creazione dell’Unione Europea dei Pagamenti per il commercio multilaterale in Europa e per avere quindi una camera di compensazione per i deficit e gli avanzi commerciali, come del resto esiste ora in seno alla BCE con il sistema TARGET2

Vediamo di seguito come l’economia tedesca era crollata durante la Seconda Guerra Mondiale e il miracolo economico successivo nel Dopoguerra

cancellazione del debito, curva del PIL tedesco prima e dopo la guerra


Cancellazione del debito, le differenze tra Germania e Grecia

Vi sono quindi evidenti le differenze tra i due casi della Germania e della Grecia, il perchè una cancellazione del debito nel caso della Grecia possa essere meno ovvia, anche se economicamente auspicabile:

– Una prima ragione, banale forse, e anche un po’ populista, ma con un fondo consistente di verità, consiste in questa foto:

cancellazione del debito, foto in bianco e nero di una città in rovina


Si tratta di Francoforte nel 1953, 8 anni dopo la fine della guerra. È evidente la distruzione materiale, che non è paragonabile con la situazione greca, pur di crisi economica. In molte città tedesche non esiste un centro storico degno di questo nome, ma solo ricostruzioni, e oltre ad aver perso oltre 6 milioni di persone, era stata divisa in due, sopportando la fuga di 10 milioni di tedeschi dai territori controllati dall’URSS nella Germania Est, oltre che di 3 milioni di rifugiati dai territori poi annessi ad altri Paesi.

E come abbiamo visto una metà dei debiti tedeschi, anche se in gran parte non riconducibili a riparazioni di guerra, risaliva a prima della Seconda Guerra Mondiale

– Il piano Marshall concesse alla Germania aiuti che ammontavano al 4% del PIL tedesco di allora, mentre i 320 miliardi prestati alla Grecia dall’eurozona sono già corrispondenti a circa il 200% del PIL greco, anche se in parte destinati al pagamento degli interessi del debito stesso.

– Il punto più importante riguarda il tema della fiducia, l’impegno ad evitare quindi quello che gli economisti chiamano “moral hazard”, ovvero l’atteggiamento opportunistico ad approfittare dell’aiuto fornito per ripetere gli stessi errori che hanno provocato l’indispensabilità quell’aiuto, rendendolo quindi vano. E diventando da esempio per altri Paesi perchè si comportino nello stesso modo non virtuoso.

Vuol dire che se la Germania del 1953 era un Paese la cui classe politica era completamente rinnovata dal periodo nazista e stava dimostrando con i fatti di essere allineata ai desiderata dei Paesi creditori, ovvero di non volere più ritrovarsi nella situazione di provocare una guerra e la distruzione fisica ed economica dell’Europa e del proprio Paese, il governo Tsipras, al contrario, almeno fino a luglio 2015, rifiutava di mettere in pratica politiche che i creditori richiedevano per non ritrovarsi in una nuova crisi di debito, e anzi riproponeva alcune misure di spesa pubblica che erano tra le cause della situazione economica in cui si trovava.

Da più parti infatti, e in primis dal FMI, si rimarca la necessità di un taglio del debito greco, e anche la Germania pare timidamente convincersene, ma con l’assicurazione che non possa essere un azzardo morale, ovvero che come nel 1953 questa concessione porti a un comportamento completamente diverso dello Stato greco nella gestione economica e finanziaria del Paese.
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Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 6:19 am

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Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 6:20 am

Le idiozie italiane antitedesche sulla presunta concorrenza sleale della Germania


In 13 anni di euro la Germania ci ha fregato duemila miliardi
4 Giugno 2013
http://www.liberoquotidiano.it/dossier/ ... ardi-.html

Il conto, un po’ brutale, fa impressione e sfiora i 2mila miliardi di euro. Stiamo parlando dell’avanzo della bilancia commerciale tedesca, calcolato nel periodo che va dal 1999 al 2012: in 14 anni di euro la Germania ha portato a casa un bottino incredibile. La differenza tra le esportazioni e le importazioni - indicatore che fino all’arrivo della moneta unica era in profondo rosso dalle parti di Berlino - ha assicurato all’economia tedesca un avanzo pari a 1.873,3 miliardi di euro. Facendo un raffronto tra la bilancia commerciale tedesca e quella italiana, salta fuori la «sconfitta» secca per il nostro Paese. Che con l’euro, nonostante l’export abbia tenuto botta (pure sotto i colpi della profonda recessione), ha invertito la rotta positiva assicurata dalla lira e ora segna un deficit. Ora l’Italia deve fare i conti con un disavanzo, calcolato nel periodo 1999-2012, di 351,5 miliardi di euro.
L’errore è all’origine. È il 1998. Si deve decidere il tasso di cambio delle valute europee: Berlino impone il valore del marco a tutto il Vecchio continente e - proprio grazie al cambio favorevole, insieme coi restrittivi parametri di Maastricht sui conti pubblici tarati su misura per la Germania - riesce in pochissimo tempo a rovesciare il tavolo dell’import-export.



Euro, se la prima a fare concorrenza sleale è la Germania
PierGiorgio Gawronski
23 settembre 2016

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/0 ... ia/3050952

Si credeva che l’euro avrebbe posto fine alle svalutazioni competitive e alla “concorrenza sleale”. Ma non è stato così. La Germania è stata spesso dipinta (a torto) come la vittima delle svalutazioni competitive degli altri paesi prima dell’introduzione dell’euro. In realtà il tasso di cambio reale della Germania – che tiene conto delle diverse tendenze dell’inflazione in Germania e nei paesi suoi partner commerciali – non è aumentato nel periodo precedente all’introduzione della moneta unica. Ed è sceso vertiginosamente durante i 15 anni di esistenza dell’euro. Questo ha dato alle imprese tedesche proprio quel vantaggio competitivo che l’euro avrebbe dovuto eliminare. Per di più, la Germania non si preoccupa di fare niente. Anzi, gli altri paesi della zona euro vengono incoraggiati a seguirne l’esempio.

La Commissione Europea redige i cosiddetti “indici armonizzati di competitività” – in realtà i tassi di cambio reali – per le economie della zona euro. Essi mostrano che il tasso di cambio reale tedesco è sceso di quasi il 20 per cento tra l’inizio del 1999 e la fine del 2011 (Grafico 1). Il motivo principale di questo calo sono stati gli incrementi salariali molto bassi e, quindi, la debole inflazione, assai inferiore all’obiettivo della Bce del 2%. I tassi di cambio reale spagnolo e (in misura minore) italiano e francese sono aumentati rapidamente nel corso della prima parte degli anni 2000, ma sono diminuiti drasticamente dal 2008: sono ormai pari o inferiori ai livelli del 1999 (Tabelle). Gli squilibri della zona euro non hanno dunque tanto a che fare con i paesi latini che avrebbero perso il controllo dei loro costi quanto con la Germania, che si è ingegnata a tagliare i suoi costi a spese dei vicini.

euro-1 euro-2 euro-3 Fonte: BCE

Nella misura in cui Bruxelles e Berlino riconoscono il forte calo del tasso di cambio reale della Germania all’interno della zona euro, esso è solitamente attribuito alla necessità di invertire l’aumento del periodo antecedente l’introduzione dell’euro. Il problema di questa analisi è che non è corroborata dai dati. Il tasso di cambio reale della Germania in realtà nel 1998 era più basso di quanto non fosse nel 1980. Ci sono state svalutazioni, ad es. in Francia nel 1983-84 e in Italia e Spagna nel 1992, ma erano in gran parte correttive (in risposta a crisi di sopravvalutazione della valuta), e nel 1998 i loro tassi di cambio reali erano tornati al livello del 1980. Nell’insieme del periodo, è stata la Germania che ha svalutato il cambio reale “in modo competitivo”.

Grafico 2: tassi di cambio reali effettivi (1 trimestre 1980 = 100)
euro-4
Fonte: UNCTAD, Indicatori di sviluppo globali

Il risultato è che ora la Germania ha un tasso di cambio reale enormemente sottovalutato (tale che né l’Italia né la Spagna hanno mai avuto prima dell’euro). Perché la Germania non viene accusata di essersi impegnata in una svalutazione competitiva, mentre la Spagna e l’Italia lo sono? Uno dei motivi è la diffusa convinzione che una svalutazione è tale solo se coinvolge i tassi di cambio nominali di un paese, come quando lira e peseta furono espulse dallo Sme; quando la svalutazione avviene come risultato di una bassa inflazione viene vista come un guadagno di ‘competitività’. Ma in realtà gli altri paesi in entrambi i casi subiscono una perdita di competitività di prezzo.

Questa confusione oscura il fatto che una ‘svalutazione interna’ del tipo realizzato dalla Germania ha effetti macroeconomici dannosi, in quanto si fa comprimendo la domanda interna (e l’inflazione) per lungo tempo. Al contrario, la Spagna e l’Italia sono rapidamente tornate a crescere negli anni ’90 dopo le loro svalutazioni, e le esportazioni tedesche verso questi paesi non ne hanno sofferto. Finché Italia e Spagna persevereranno nel tentativo di svalutare i loro tassi di cambio reali, piuttosto che la Germania rivalutare il suo tasso di cambio reale, il risultato sarà una persistente debolezza della domanda in tutta la zona euro, un peggioramento delle pressioni deflazionistiche già largamente diffuse nell’unione monetaria, minori tutele sociali, e ulteriori aumenti nei rapporti di debito.

La Commissione critica l’eccessivo e persistente surplus delle partite correnti della Germania, ma ci tiene a sottolineare che non avrebbe alcun senso per i tedeschi cedere ‘competitività‘. L’ipotesi implicita della Commissione sembra essere che tutte le economie della zona euro possono fare svalutazioni interne, e che ciò porterebbe a una ripresa dell’economia in tutta l’eurozona. Eppure, è impossibile per tutti i membri della zona euro godere simultaneamente del vantaggio sleale di un tasso di cambio sottovalutato. Inoltre la Germania fece la sua svalutazione interna quando l’inflazione europea era alta; mentre oggi, per recuperare competitività, i paesi latini sono costretti alla deflazione, che devasta tutti i debitori (pubblici e privati).

L’eurozona ha bisogno di invertire il vantaggio ingiusto che la Germania si è ritagliata all’interno della zona euro, ma non sarà facile. L’economia tedesca sta crescendo più dell’insieme della zona euro, ma l’inflazione tedesca è di poco superiore alla media dell’eurozona, e i salari crescono solo del 2,3% l’anno. Politiche macroeconomiche più espansive potrebbero aiutare: il problema è che uno stimolo fiscale sarebbe in contrasto col dettato costituzionale tedesco del pareggio di bilancio. Perciò ci sono pochi segnali che la Germania voglia reflazionare l’economia della zona euro. Ma gli altri paesi europei dovrebbero esigere che la Germania faccia l’impensabile: perda competitività!

N.B. Questo post aggiorna, abbrevia, ed integra un post del 10-3-2014 di Simon Tilford (Centre for European Reform), particolarmente attuale dopo il fallimento del recente vertice europeo di Bratislava.



La Germania da 8 anni ha un surplus eccessivo nell’import-export, si rischia «l’eutanasia dell’euro»
Vito Lops
2015-01-19

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ABRJb8fC

Da otto anni la Germania viola quanto previsto nelle indicazioni di buona convivenza nel condominio europeo. Ovvero esporta più del consentito. Nel 2014 il saldo delle partite correnti (la differenza tra quanto un Paese esporta e importa in beni e servizi) tedesco è risultato superiore al 7% del Prodotto interno lordo. È dal 2002 che la Germania produce un saldo delle partite correnti positivo (quindi esporta più di quanto importa) ma è da otto anni consecutivi che lo fa violando le regole europee che prevedono che non si possa generare un saldo positivo superiore al 6% del Pil nella media di tre anni. Regole pensate proprio per evitare forti squilibri. Dal 2007 al 2014 compreso la Germania ha sfondato questo parametro.

E sembra non aver intenzione di farlo rientrare perché sul punto è stata già invitata alla correzione a fine 2013 dalla Commissione europea e fortemente criticata dagli Stati Uniti e dal Fondo monetario internazionale. Come rileva il Centro studi di Confindustria i «Paesi core (Germania in primis, ndr) non hanno fatto nulla per ridurre i surplus». Secondo il Csc la Germania ha mantenuto sostanzialmente invariato a un livello (7,1%) il saldo delle partite in % del Pil che è eccessivo sia secondo i più elementari principi economici sia in base alle soglie di allarme europee. «Livelli insostenibili» che generano una «perdita di benessere per tutti».

Un atteggiamento che pone la Germania in una posizione opposta all’appellativo che spesso riceve, ovvero quello di locomotiva d’Europa. Una locomotiva dovrebbe, infatti stando alla definizione, trainare dei vagoni (nella metafora, quindi, altri Paesi). Invece esportando più del consentito la Germania tecnicamente sottrae ricchezza agli altri Paesi anziché darla, incrementando così i forti squilibri tra i Paesi dell’Eurozona che sono uno dei motivi, se non il più importante, per cui alcune economie (comprese quella italiana) non sono ancora riuscite a reagire convintamente alla shock esterno generato dalla crisi finanziaria globale e di debito privato dell’Eurozona originata nel 2008.

L’atteggiamento della Germania, analizzandolo nella profondità del dato delle partite correnti, è l’esatto opposto di quello degli Stati Uniti che da anni generano un saldo delle partite correnti negativo rispetto al Pil e quindi assurgono per certi versi al ruolo di locomotiva dell’economia globale, immettendo ricchezza netta e permettendo a molti Paesi di esportare.

Di locomotiva, quindi, nell’attuale Germania c’è ben poco. Perché per aggiustare i conti i Paesi dell’Eurozona che sono in deficit (anziché essere trainati) hanno dovuto recuperare competitività di prezzo e ridimensionare gli standard di vita, generando deflazione e riduzione della domanda che non sono state compensate, come sarebbe stato logico e opportuno, da politiche espansive nei paesi in surplus, Germania anzitutto.

Del resto gli squilibri commerciali tra i Paesi non possono essere ignorati. Lo stesso Fondo monetario internazionale nacque nel 1945 proprio con l’obiettivo di evitare che tra i Paesi si generassero forti squilibri commerciali e per evitare altre guerre dopo la Seconda guerra mondiale che si porta il carico nefasto della storia di 80 milioni di morti.

Leggendo, tra gli obiettivi statuturi dell’Fmi: «dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti» e «in relazione con i fini di cui sopra abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri».

Estremizzando il concetto di evitare squilibri commerciali globali nell’idea dell’economista britannico John Maynard Keynes c’era la creazione di una valuta globale, il Bancor, che prevedesse dei meccanismi di protezione dagli squilibri con i Paesi esportatori che avrebbero dovuto aiutare gli importatori, al fine di riequilibrare i conti con l’estero dei Paesi indebitati. Il tutto per mantere una stabilità nel lungo periodo.

Un’idea estremizzata e mai attuata. E certamente non applicata sinora con l’euro, l’esempio più importante di cambio rigido degli ultimi anni dopo il gold standard degli anni ’30. In questo caso i Paesi si sono dati una regola per evitare gli squilibri commerciali nel 2010 (quando sono stati introdotti i parametri Mip di Macroeconomic imbalace procedure), in reazione alla crisi del 2008 che si è poi a valanga trasformata nella crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona. Ma questa regola del 6% (per quanto sia essa stessa opinabile per certi versi perché in ogni caso non va a tappare gli squilibri ma se non altro dovrebbe evitarne di ampliarli a dismisura) viene in ogni caso violata da quello che in questo momento, parodassolmente, viene considerato la locomotiva dell’Eurozona.

La Germania dovrebbe convertire al più presto la propria economica - rileva il Csc - dall’export ai consumi e agli investimenti. Solo così può aiutare l’Eurozona nel suo complesso a uscire dalla spirale contro cui combatte. L’alternativa, di fronte a nuove dosi di deflazione e recessione «equivale - secondo il Csc - a un’eutanasia per l’euro».


Il surplus commerciale della Germania viola le regole europee?
Blog di Matteo Renzi – mercoledì 1 febbraio 2017

https://pagellapolitica.it/dichiarazion ... le-europee

Il tema del rispetto delle regole europee è spesso al centro delle dichiarazioni dell’ex presidente del Consiglio. In passato, ad esempio, Renzi aveva stigmatizzato l’atteggiamento di Bruxelles, pignolo nei confronti dell’Italia sull’economia e lassista verso i Paesi dell’Est Europa sui rifugiati, dichiarando: “L'Ue pensi ai migranti e non allo zero virgola”. Adesso al centro della polemica finisce l’economia tedesca.

Quali sono e regole

Il parametro che la Germania starebbe violando non è uno di quelli fissati dai trattati di Maastricht nel 1993, i più noti dei quali sono il tetto del 3% al rapporto deficit/Pil e del 60% al rapporto debito pubblico/Pil. Il tetto del 6% al surplus commerciale di uno Stato membro dell’Unione europea è infatti contenuto nella Macroeconomic Imbalance Procedure. Una procedura europea vincolante, questa, che ha la propria base giuridica nell’insieme di sei regolamenti, noto come “Six Pack”, varato nel 2011 per reagire alla crisi economica.

Tali regolamenti hanno modificato la precedente versione del "Patto di stabilità e crescita". Il "Patto" è di fatto costituito da una risoluzione del Consiglio europeo (adottata nel 1997) e da due regolamenti del Consiglio del 7 luglio dello stesso anno. Entrato in vigore nel 1999, predisponeva varie misure - in particolare la Procedura per Deficit Eccessivo - per rafforzare la vigilanza sui conti pubblici e sul rispetto dei parametri di Maastricht.

Che i parametri dunque siano previsti dai trattati come modificati a Maastricht o in altri atti vincolanti dell'Unione (proliferati dopo la crisi del 2008) il risultato non cambia: se viene riscontrata una violazione la Commissione e lo Stato prima si scambiano documenti cercando di chiarire e risolvere la questione e, se lo Stato persiste nella violazione, possono poi scattare le sanzioni.

La Macroeconomic Imbalance Procedure ha l’obiettivo di ridurre gli squilibri macroeconomici strutturali interni al mercato unico. Per raggiungere tale traguardo fissa 14 indicatori che gli Stati membri devono rispettare, uno dei quali riguarda appunto il surplus esterno delle partite correnti (cioè la differenza tra import ed export nella bilancia dei pagamenti).

La regola riguarda l’indicatore del surplus esterno è che la media – calcolata su base triennale – non possa superare il 6% ed essere inferiore al -4%. Al momento, secondo i dati Eurostat, violano il parametro soltanto la Germania, la Danimarca e l’Olanda.

Saldo delle partite correnti in Europa 2015%PilBelgioBulgariaRepubblicaCecaDanimarcaGermaniaEstoniaIrlandaGreciaSpagnaFranciaCroaziaItaliaCiproLettoniaLituaniaLussemburgoUngheriaMaltaOlandaAustriaPoloniaPortogalloRomaniaSloveniaSlovacchiaFinlandiaSveziaRegnoUnito-50510-10Highcharts.com

La situazione tedesca

Berlino supera il 6% dal 2012 (6,2%), via via sempre di più. Nel 2013 la media triennale era al 6,6%, nel 2014 7%, nel 2015 7,4% secondo Eurostat.

Secondo poi il Country Report del 2016 sulla Germania, elaborato dalla Commissione europea, considerando non la media triennale ma il singolo anno la violazione è ancora più macroscopica. Nel 2015 – basandosi su una stima fatta dal governo tedesco – si calcola che il surplus sia arrivato all’8,8%, e si prevede che nel 2016 cali all’8,6 e nel 2017 all’8,3%. Ma, secondo la Commissione, il surplus potrebbe superare il 9%, “quando le condizioni cicliche miglioreranno in altre aree”.

Il verdetto

Renzi ha dunque ragione quando ricorda l’esistenza di una regola sul surplus commerciale che impone il tetto del 6% - anche se alla media sul triennio, non anno per anno – e ha ragione quando lamenta la violazione da parte di Berlino di questa regola, con un dato che si aggira intorno al 9%.

Più discutibile che il pulito italiano sia adeguato a ospitare una predica, quando la regola del rapporto debito/pil al 60% viene costantemente violata da Roma. Non solo il nostro rapporto è, storicamente, lontano da quella soglia, ma negli ultimi anni non siamo mai neppure riusciti a mantenere l’impegno preso con Bruxelles di avvicinare progressivamente i conti pubblici ai parametri richiesti: dal 100% del 2007 siamo arrivati al 132,3% del 2015.





Anche la Germania non rispetta le regole europee?

https://www.ilpost.it/2017/02/02/german ... ommerciale

Lo ha scritto Renzi, dicendo che le regole "devono rispettarle tutti", ma le cose non stanno proprio così

(Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)

Ieri sera, Matteo Renzi ha scritto un post sul suo nuovo blog in cui accusa la Germania di violare le regole europee in materia di surplus commerciale. La Germania, scrive Renzi, esporta troppo e questo è un problema per tutta l’Unione: «Le regole dicono che il surplus commerciale della Germania non può essere superiore al 6%, oggi è intorno al 9%. Si tratta di una violazione delle regole che fa male a tutta l’Europa. Se vogliamo essere seri fino in fondo dobbiamo chiedere con ancora più decisione che le regole le rispettino tutti, anche gli amici tedeschi».

In genere chi utilizza questa argomentazione vuole sottolineare il fatto che la Commissione e le altre istituzioni europee utilizzano due pesi e due misure: ai paesi del Mediterraneo, come l’Italia, viene imposto con durezza il rispetto delle regole europee, mentre la Germania può violarle impunemente. In realtà le regole non rispettate da Italia e Germania sono profondamente diverse, l’Italia ne viola in ogni caso molte di più e si trova in una situazione economica molto più preoccupante per la saluta economica dell’intera Unione.

Che regola viola la Germania?
Tecnicamente, nessuna. Non esiste nei trattati europei un articolo o un protocollo in cui si impone agli stati membri di non avere esportazioni superiori al 6 per cento del PIL (come invece esiste per le regole su deficit e debito pubblico). Quello a cui si riferisce Renzi è uno degli indicatori che la Commissione usa per identificare “possibili squilibri macroeconomici”. Questi indicatori – sono 14 in tutto – servono, semplificando, a decidere quando e nei confronti di quali stati membri la Commissione deve procedere a una “In Depth Review“, cioè un’analisi approfondita, per stabilire se il paese in questione ha o meno degli squilibri che potrebbero essere pericolosi per sé stesso e per il resto dell’Unione. Per queste ragioni, più che “regola”, il 6 per cento di surplus commerciale viene definito spesso una “soglia raccomandata“.

La Germania ha superato questa “soglia raccomandata”?
Sì, la supera regolarmente da cinque anni. Nel 2016 dovrebbe avere un surplus commerciale pari all’8,6 per cento del PIL, cioè circa 300 miliardi di euro, il valore più alto del pianeta. Il superamento della soglia ha fatto scattare nel corso del 2016 una IDR, cioè un’analisi approfondita da parte della Commissione sugli eventuali squilibri dell’economia tedesca. Qui potete leggere il risultato dell’analisi. Nel documento la Commissione chiede nuovamente alla Germania di ridurre il suo surplus commerciale, in particolare aumentando gli investimenti pubblici e alzando gli stipendi.

Per difendersi, i politici tedeschi spesso sostengono che parte del surplus è dovuto al crollo nel prezzo delle materie prime energetiche, che rappresentano una delle principali importazione tedesche. Inoltre, dicono, stipendi e pensioni sono in aumento almeno da due anni e non è possibile fare molto se l’incertezza della situazione globale spinge i cittadini tedeschi a risparmiare, invece che fare acquisti. Inoltre, sottolineano altri, il surplus della Germania è indirizzato quasi tutto fuori dall’Europa e soprattutto dall’area euro. Anche se venisse ridotto, quindi, è discutibile che sarebbero paesi come l’Italia o la Spagna a trarne i maggiori benefici.

Perché la Germania non è stata punita?
Nessun paese è mai stato punito per via dei suoi squilibri macroeconomici, anche se una procedura per sanzionarli è prevista dalle leggi europee. Oltre alla Germania, altri sei paesi al momento hanno squilibri macroeconomici, secondo la Commissione, e altri sei, tra cui l’Italia, sono hanno gravi squilibri macroeconomici. Nell’IDR dedicata all’Italia, la Commissione cita tra i vari squilibri macroeconomici: il debito pubblico superiore al 130 per cento del PIL, la produttività del lavoro ferma da 20 anni, la difficile situazione del settore bancario, un deficit in diminuzione ma ancora alto, un tasso di disoccupazione troppo alto e uno di occupazione troppo basso.

mip-surveillance-2016_en

Che regole viola l’Italia?
L’Italia è a rischio di violazione delle regole su debito e deficit esplicitamente nominate all’articolo 126 dei Trattati fondamentali dell’Unione europee e nei relativi protocolli: quelle che, semplificando, prevedono un deficit non superiore al 3 per cento del PIL e un debito inferiore al 60 per cento del PIL, oppure tendente al rientro. Le cose sono molto più complicate di come queste formule lasciano intendere: in genere è una trattativa tra Commissione e governo dello stato membro a decidere se un paese è dentro o fuori queste regole. Attualmente tra governo italiano e Commissione è in corso proprio una trattativa di questo tipo.

Se non rispettiamo le regole saremo puniti?
Sembra improbabile. In caso di fallimento delle trattative si innesca la complessa procedura che porta all’apertura di una cosiddetta “Procedura di infrazione” che, in ultima analisi, può comportare una multa allo stato membro in questione. Nella storia europea quasi tutti gli stati membri hanno avuto una procedura di infrazione aperta nei loro conflitti, ma nessuno ha mai ricevuto sanzioni. La Francia, per esempio, ha una procedura di infrazione aperta da otto anni; il Regno Unito ne ha una aperta da nove. L’Italia ne ha avuta una aperta tra 2009 e 2013.

È più grave esportare troppo o fare troppo deficit?
È una questione alla quale è difficile dare una risposta definitiva. Di sicuro, molti ritengono che fare troppo deficit comporti maggiori rischi immediati (si può andare in bancarotta per troppo deficit, difficilmente per troppe esportazioni) ma c’è anche chi la pensa in maniera differente. Gli autori dei trattati credevano che gli squilibri in fatto di deficit fossero molto più dannosi e per questo hanno reso le regole su debiti e deficit stringenti, mentre quelle sulle esportazioni rimangono dei semplici indicatori.

Riassumendo
La Germania ha da anni un surplus commerciale superiore alla soglia indicata dalla Commissione europea come “campanello d’allarme” per segnalare eventuali squilibri macroeconomici. Non è una delle regole inserite nei trattati europei, come per esempio quelle su deficit e debito che l’Italia è spesso accusata di violare, quindi è impreciso dire che “anche la Germania” non rispetta le regole europee.



Germania, surplus commerciale al 9%. Limite Ue al 6%
Martedì, 31 gennaio 2017

http://www.affaritaliani.it/affari-euro ... 61331.html

Con malcelato orgoglio questa mattina i giornali tedeschi titolavano: "Campioni dell'export". Giá, perché nel 2016 la Repubblica federale tedesca ha raggiunto un surplus commerciale pari a 297 miliardi di dollari, quasi il 9% del Prodotto interno lordo. Un anno da record per Berlino che con queste performance straccia anche la Cina, considerata fino ad oggi la vera fabbrica del mondo.

Surplus commerciale, Germania prima al mondo

"La bilancia delle partite correnti segna un'eccedenza di 297 miliardi di dollari", ha dichiarato l'esperto dell'Ifo Christian Grimme alla Reuters, "la Repubblica popolare occupa il secondo posto con 245 miliardi di dollari". Ancora nel 2015 le parti erano invertite, con la Cina al primo posto seguita dalla Germania, mentre il terzo posto é occupato dal Giappone.

Da Bruxelles un alert: limite del surplus al 6%

Bravi i tedeschi, dunque, che dimostrano come puntando su ricerca e lavorazioni ad alto valore aggiunto si possa avere una economia florida. Ma le straordinarie performance teutoniche hanno sollevato non pochi malumori tra le capitali europee, soprattutto quelle mediterranee. Giá, perché se il Trattato di Maastricht impone ai Paesi della zona euro di non superare il deficit del 3% e un debito pubblico del 60%, impongono anche di non aver un surplus commerciale piú elevato del 6% per tre anni di seguito.

Surplus troppo elevati sono causa di instabilitá

La motivazione é semplice. Quando si esporta si crea un disequilibrio nella bilancia commerciale di un altro Paese. Se la Germania vende i suoi prodotti all'estero ci saranno Paesi che importeranno piú di quanto esportano e alla lunga questa situazione é dannosa per tutti. Ecco dunque la ragione del limite al 6%.

In molti chiedono un intervento Ue sulla Germania

Sono molti i leader europei che ora si aspettano che la Commissione europea intervenga, formalmente, per chiedere alla Germania misure che riducano lo squilibrio. Come fare? Ad esempio incentivando i consumi. Bruxelles su questo nicchia. Primo, perché sanzionare un Paese perché fa troppo bene sembra a molti un controsenso, anche se sancito dai trattati. Secondo, perché per Berlino 'lampeggia' un solo indicatore, l'export appunto, mentre per Paesi come l'Italia sono molti di piú: deficit, debito, produttivitá, ecccc.

Bruxelles verso un passo formale

Eppure i bene informati affermano che una letterina da Bruxelles potrebbe anche arrivare. Una pura formalità, giusto per ricordare a Berlino di non essere intoccabile e accontentare in questo modo i Paesi mediterranei che soffrono del complesso degli eterni Calimero.

Berlino si giustifica: export fuori dall'EU

Ma la Merkel ha giá la risposta pronta ad una eventuale lettera di Bruxelles. Se infatti il limite del 6% é stato introdotto per tutelare gli Stati Ue, Berlino puó dirsi al sicuro. Infatti il suo export va principalmente al di fuori dell'eurozona: in Gran Bretagna, negli Usa e in Cina.




Il surplus commerciale della Germania e quello su cui Renzi sorvola a proposito dell’Italia
20 Settembre 2016

https://www.ilfoglio.it/economia/2016/0 ... lia-104278

Dopo la riunione informale di Bratislava numerose sono state le critiche verso l’Unione Europea. Tra i più polemici c’è Matteo Renzi, assai critico riguardo gli esiti dell’incontro. In un’intervista del 18 settembre 2016 al Corriere della Sera – a proposito del mancato rispetto delle regole - ha dichiarato: “La Germania viola la regola del surplus commerciale: dovrebbe essere al 6 per cento e invece sfiora il 9 per cento”. D’altra parte ha affermato che invece in Italia “le regole sono rispettate”. Controlliamo la veridicità di queste affermazioni. Prima di tutto sono da chiarire le fonti normative delle regole europee in materia di bilancio e di squilibri macroeconomici.

Pietra miliare fu il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993: questo prevedeva una serie di regole volte a conseguire una convergenza economica nell’ottica della moneta unica. I criteri erano, tra gli altri, un deficit non superiore al 3 per cento del pil e un debito pubblico non superiore al 60 per cento del pil oppure “in diminuzione sostanziale e continua”. Tale regolamentazione – dopo l’introduzione dell’euro – venne confermata dal Patto di Stabilità introdotto nel 1997 e riformato nel 2005, sebbene con alcuni margini di flessibilità ulteriori (come ad esempio la famosa clausola delle riforme strutturali) e tempi maggiori per il recupero entro i limiti stabiliti. Dal 2011 – pur confermando le regole su deficit e debito – si aprì una nuova fase di riforma del diritto comunitario riguardo alla regolamentazione macroeconomica e di bilancio: fu adottato il “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance”, meglio conosciuto come Fiscal Compact, e fu emanata una serie di regolamenti europei, il Six Pack e il Two Pack.

Queste normative introdussero due nuovi principi: l’impegno per gli Stati membri di convergere verso l’obiettivo di pareggio di bilancio e l’obbligo per i paesi con un rapporto tra debito e PIL superiore al 60 per cento di ridurlo gradualmente in modo costante. Infine fu introdotta anche la procedura per gli squilibri macroeconomici (“Macroeconomic Imbalance Procedure”, il MIP), con l’obiettivo di prevenire e correggere le differenze macroeconomiche strutturali fra i vari paesi dell’Ue. Si tratta di 14 indicatori – tra cui conto delle partite correnti, occupazione, disoccupazione – che se superano determinate soglie di riferimento fanno scattare controlli, raccomandazioni ed in ultima istanza sanzioni da parte della Commissione. Questo il quadro della normativa europea. Ora va verificato lo stato di salute dei bilanci di Italia e Germania.

La Germania non produce disavanzo di bilancio, bensì gode di un surplus di qualche decimale; il debito pubblico si aggira attorno al 70 per cento, ma è in diminuzione sostanziale e costante. L’Italia da parte sua rispetta la regola del deficit ormai dal 2014, ma non quella del debito che ha superato la soglia del 130 per cento rispetto al pil. Invece, rispetto ai vincoli macroeconomici MIP, l’affermazione di Matteo Renzi sul surplus esterno delle partite correnti tedesco è confermata dai numeri: +8,9 per cento nel 2016, la Germania esporta eccessivamente e investe troppo poco al proprio interno ed il trend non mostra segnali di cambi di tendenza.

Non a caso nel novembre 2014 i tedeschi ricevettero questa comunicazione della Commissione Europea: “Le partite correnti hanno registrato un avanzo persistente estremamente elevato […], mentre una quota consistente dei risparmi è stata investita all’estero. Ciò indica anche una crescita interna rimasta debole e un’allocazione di risorse economiche forse non del tutto efficiente. Sebbene gli avanzi delle partite correnti non presentino rischi paragonabili a quelli derivanti da forti disavanzi, […] date le dimensioni dell’economia tedesca, è particolarmente importante intervenire per ridurre il rischio di effetti negativi sul funzionamento dell’economia del paese e della zona euro”. Tuttavia, se oggi guardiamo all’insieme dei valori macroeconomici del MIP notiamo che la Germania sfora solo 2 di questi parametri (il debito pubblico e, appunto, il surplus dell’export) a differenza dell’Italia, che non raggiunge le soglie stabilite per ben 5 indicatori su 14.

L’affermazione di Renzi non è quindi del tutto corretta: è vero che la Germania non rispetta alcuni valori macroeconomici indicati dalla Commissione (tra cui la cosiddetta regola dell’export), ma l’Italia non è certo migliore, per via del mancato rispetto della regola sul debito e di ben cinque indicatori macroeconomici. Ultima nota, questa volta di merito, per il nostro paese: il Dipartimento per le Politiche Europee certifica come da luglio 2016 l’Italia ha raggiunto il numero più basso di procedure di infrazione da parte della Commissione Europea: 78 procedure a carico del nostro Paese a fronte delle 114 dell’inizio del mandato governativo.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 6:31 am

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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 6:31 am

Altre demenze antigermaniche


Euro e Germania: le sette bufale ricorrenti dei media - World Affairs
di Vladimiro Giacché - Il Fatto Quotidiano, 27 Dicembre 2011

https://www.lantidiplomatico.it/dettnew ... a/82_19154

Pubblichiamo un articolo del 2011 di Vladimiro Giacché apparso sul Fatto Quotidiano. In quell'occasione l'economista autore di Anschluss smascherava le sette principali bufale su Germania e euro riportate dal governo tedesco e spesso dalla stampa nostrana. E' interessante riproporlo oggi perché dopo quasi sei anni le "fake news" dei media in tema restano sempre le stesse, come dimostra da ultimo questo delirante articolo di Galli e Cadogno su il Sole 24 Ore.

1) L’euro ha privato la Germania del marco e la convivenza con valute più deboli è stata un handicap. Secondo Frank Mattern, capo di McKinsey in Germania, è vero il contrario: “La Germania con l’euro ha guadagnato moltissimo”. Negli ultimi dieci anni un terzo della crescita dell’economia tedesca è dovuto all’euro (165 miliardi di euro nel solo 2010). I motivi principali: fine dei costi di transazione e di assicurazione contro il rischio di cambio; crescita del commercio intraeuropeo; e crescita delle esportazioni tedesche proprio per il fatto che l’euro è una valuta più debole di quanto sarebbe stato il marco (il contrario vale per la lira). Inoltre l’euro ha abbassato molto i tassi d’interesse dei Paesi periferici portandoli al livello di quelli tedeschi, con conseguente incremento dei consumi in quei Paesi, a beneficio dell’export tedesco. Il saldo della bilancia dei pagamenti della Germania – in rosso al momento dell’introduzione dell’euro – è cresciuto nel decennio del 41 per cento, sino a 1. 021 miliardi di euro (dati Eurostat).

2) La maggiore competitività della Germania è dovuta al fatto che i tedeschi lavorano più degli altri. I tedeschi non lavorano più degli altri: in Italia ogni lavoratore lavora 1.711 ore, in Germania 1.419. Ma in Italia l’età media degli impianti industriali è di 26 anni, mentre gli investimenti in tecnologie hanno molto accresciuto la produttività dei lavoratori tedeschi. Poco però dei guadagni si è trasferito ai salari: dal 2000 in termini reali i salari tedeschi sono diminuiti del 4,5 % (caso unico nella zona euro). Ciò ha depresso la domanda interna, ma ha spinto le esportazioni. Soprattutto in Europa: l’80 per cento del surplus commerciale tedesco è interno all’Unione europea.

3) La Germania ha i conti in ordine. La Germania ha più volte sforato il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. Questo è avvenuto già prima della crisi, dal 2003 al 2005. All’epoca, però, la Commissione europea decise di non agire su pressione della stessa Germania (e anche della Francia, che aveva problemi simili). Dopo lo scoppio della crisi la Germania ha poi messo in campo il maggior piano di stimoli per l’economia realizzato in Europa, pari al 3 per cento del suo Pil. Inoltre, dal 2008 ad oggi, ha speso 93 miliardi di euro per salvare le sue banche. Anche lo scorso anno il deficit è stato del 3, 3 per cento, nonostante il peso molto inferiore degli interessi sul debito rispetto alla gran parte degli altri Paesi europei, mentre il rapporto debito/Pil è salito all’ 83 per cento (il tetto di Maastricht è il 60%).

4) La Germania ha pratiche fiscali trasparenti. Secondo stime attendibili, il 40 per cento del debito pubblico tedesco è allocato presso fondi speciali, il cui deficit non figura nel bilancio federale.

Per fare un esempio, gli incentivi per la rottamazione, uno dei cardini del sostegno all’industria automobilistica tedesca, non sono stati posti a carico del bilancio dello Stato ma del fondo pubblico ITF, e sono stati giustificati come investimenti per le tecnologie verdi anche se in realtà erano un sussidio ai consumi interni. In questo modo tra il 2009 e il 2011 il governo tedesco ha fatto passare come investimenti ben 20 miliardi di euro di spese a sostegno dell’economia.

5) Anche la Germania sta pagando la crisi del debito, per questo vuole mettere ordine. La caduta della domanda interna nei Paesi europei colpiti dalla crisi del debito ha fatto diminuire le esportazioni tedesche verso questi Paesi, e secondo Patrick Artus di Natixis ciò ha comportato una minore crescita del Pil dell’ 1,5 per cento. Ma la fuga verso i titoli di Stato tedeschi ne ha abbassato gli interessi di oltre il 2 per cento, con un risparmio per lo Stato tedesco di quasi un punto di Pil (0, 9 per cento). La crisi ha comportato anche un significativo deprezzamento dell’euro (-17 per cento circa), con conseguente crescita del volume delle esportazioni extraeuropee del 2,4 per cento: un altro 0,8 per cento di prodotto interno lordo guadagnato. Fatte le somme, il saldo della crisi per la Germania per ora è positivo, sia pure in misura contenuta: lo 0,2 per cento del Pil per il 2011. A questo va aggiunto che le aziende tedesche oggi possono procurarsi prestiti a tassi significativamente inferiori a quelli delle imprese italiane, spagnole, francesi.

6) Per la Germania è inaccettabile che l’Unione europea diventi un’Unione di trasferimenti (Transferunion). È inaccettabile per Angela Merkel, ma non per la SPD. Il capogruppo SPD al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, in un’intervista allo Spiegel ha sostenuto che trasferimenti di ricchezza in Europa avvengono da tempo, ma dal Sud verso il Nord, grazie alla maggiore competitività della Germania, e che servirebbero oggi trasferimenti anche in direzione opposta, proprio per evitare che gli squilibri tra i Paesi facciano saltare l’euro.

7) In Germania l’argomento che Hitler abbia preso il potere dopo l’iperinflazione degli anni Venti impedisce di accettare l’idea di una Bce libera di muoversi, per timore che crei inflazione. Se la Bce accettasse di sostenere illimitatamente i titoli di Stato europei, non si avrebbe una forte inflazione. Negli Usa, dove la Fed ha comprato Buoni del tesoro per oltre 1.600 miliardi di dollari, l’inflazione è intorno al 3, 5 per cento. Inoltre, a portare Hitler al potere non è stata l’inflazione del 1923. Sono state le politiche deflazionistiche dei primi anni Trenta, attuate – in Germania e altrove – proprio per paura dell’inflazione. Lo storico Richard Overy le ha descritte così: “I politici cercarono di evitare qualsiasi cosa che minacciasse la stabilità della moneta e dei bilanci in pareggio. In Francia lo Stato perseguì una rigida politica monetaristica sino al 1936, riducendo gli stipendi dei funzionari pubblici e dei dipendenti dello Stato e tagliando le spese per la difesa e l’assistenza sociale. Nella Germania del 1932 si ebbe una serie di tagli forzosi sui salari pubblici, sulle rendite e sulle pensioni”. (Crisi tra le due guerre mondiali. 1919-1939, Il Mulino). Vi ricorda qualcosa?
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 6:58 am

Antigermanesimo e antitedeschità di Savona, Salvini e Dimaio

La condanna di Savona alla Germania: "Il piano tedesco è quello dei nazisti"
Nel 2012 Savona pubblicava un libro sull'egemonia tedesca in Europa: "Se non volete che finisca ancora una volta male, non resta che ridiscutere i patti Ue"
Sergio Rame - Dom, 27/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 32790.html

"Ci ritroviamo con l'irreversibilità dell'euro - ovviamente di questo euro e non di quello che avremmo desiderato che fosse - nelle forme che impediscono il realizzarsi delle speranze che ne avevano suggerito la nascita: uno strumento per la crescita e la diffusione della pace e del benessere per tutti".

È il Tempo a tirare fuori un estratto del libro Lettera agli amici tedeschi e italiani pubblicato da Paolo Savona nel 2012. Già allora l'economista, che Matteo Salvini vorrebbe portare al ministero dell'Economia e che Sergio Mattarella vorrebbe fuori dalla squadra di governo, intravedeva "la competizione conflittuale" tra la Germania e l'Italia.

Il muro contro muro tra Salvini e Mattarella rischia seriamente di travolgere gli accordi di maggioranza con il Movimento 5 Stelle, trascinando con sé non solo il famoso "contratto", ma tutto il governo. A pesare sulla decisione del Colle sono le posizioni euroscettiche di Savona. Posizioni che trapelano molto chiaramente negli ampi stralci pubblicati oggi dal Tempo. Già nel 2012 l'economista, che aveva seguito l'allora premier Carlo Azeglio Ciampi nell'ingresso dell'Italia nell'Unione europea, aveva già visto le influenze negative di Berlino e aveva denunciato "il riproporsi, per fortuna in forme non militari, ma più subdole, della competizione conflittuale che ha causato le drammatiche vicende della guerra e aveva imposto una forte volontà di pace e guidato, sia pure tra sussulti, il processo di unificazione europea". Parlando ai tedeschi, nel suo libro, Savona aveva sollevato il sospetto che stia "scivolando nuovamente sul piano economico nella direzione proposta dal Piano Funk (dal nome dell allora ministro delle Finanze tedesco, ndr) del 1936. La politica economica che voi suggerite getta le basi per una disgregazione del sogno europeo di pace e di un comune progresso civile".

Con l'euro, secondo Savona, la Germania ha obbligato le monete nazionali a confluire "nell'area del marco". Non solo. Facendo leva sulla moneta unica e sul mercato comune è riuscita ad appropriarsi dello sviluppo industriale, lasciando spazio solo all'alleato "storico", la Francia. A tutti gli altri Paesi europei avrebbe, invece, lasciato l'agricoltura e i servizi turistici. "Sono dalla parte di chi è convinto che la leadership di qualcuno o di qualche paese sia indispensabile non solo per la stabilità geopolitica, ma anche per il sano principio meritocratico che, per il bene di tutti, deve vincere il migliore - chiosava, quindi, Savona - ma la leadership, soprattutto se praticata a livello sovranazionale comporta dei doveri in materia di sicurezza e di benessere, che (ad esempio) gli Stati Uniti hanno assolto egregiamente nel Dopoguerra".

Secondo Savona, in Europa non avrebbe potuto fare quanto avviato in passato dagli Stati Uniti. "L'organismo biogiuridico dell'euro e quello delle politiche fiscali europee presentano un tipo di funzionamento che rivitalizza la sostanza del Piano Funk", scriveva l'economista che, pur ribadendo la necessità di un'Europa unita e accettando il ruolo della Germania come "il Paese che pone ordine in Europa", chiedeva "un contenuto diverso". A partire, appunto, dalla moneta unica. "In assenza di sufficienti politiche compensative degli shock asimmetrici e di una vera libera circolazione degli input e degli output - spiegava - il cambio dell' euro resterebbe per voi sottovalutato e per altri sopravvalutato e tenderebbe a inglobare nella vostra economia i flussi di capitali internazionali e la crescita industriale". Una deriva che verrebbe accelerata dalle politiche fiscali europee. "Se non volete - concludeva Savona - che finisca ancora una volta male nelle relazioni tra i nostri popoli, non resta che ridiscutere seriamente quali debbano essere le correzioni da apportare ai patti che reggono l'Unione europea".



Gino Quarelo
Savona è un imbecille. Chi mi sa spiegare perché l'Olanda, la Danimarca, l'Austria, il Lussemburgo, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, la Spagna, la Polonia, "la Gran Bretagna", ecc. con l'euro o senza euro e con la Germania e nonostante la Germania sono tutti paesi la cui economia è cresciuta regolarmente e stanno tutti meglio e nessuno se la prende con i tedeschi?
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 4:01 pm

Germania, secondo gli italiani è sempre colpa dei tedeschi
È sempre colpa della Germania. In nessun altro Paese europeo la Germania è attualmente tanto odiata quanto in Italia, mia patria d’adozione. Un faccia a faccia personale.
Di Petra Reski
2015/11/07

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/1 ... hi/2186777

Era un giorno della piovosa primavera del 1991, mi ero appena trasferita a Venezia e volevo inviare una lettera. Allo sportello dell’ufficio postale di Piazza San Marco sedeva un’impiegata che non alzò lo sguardo quando spinsi sotto al vetro dello sportello la mia lettera verso di lei, ma continuò a parlare con la sua collega. Alla fine si girò, diede un’occhiata all’indirizzo sulla mia lettera, ticchettò sul mio non meglio precisato “Germania” ed emise un verso che sembrava un brontolio. “Est o Ovest?” Chiese. “Sud”, dissi. “E?” Chiese lei. “Monaco”, spiegai, “la lettera deve andare a Monaco di Baviera e Monaco di Baviera si trova nel sud della Germania”. Non volevo davvero essere polemica e che la Germania fosse di nuovo unita in quel momento mi era persino sfuggito di mente. Ma alla presenza di questa impiegata dagli occhi grigi improvvisamente mi sentii del tutto riunita e mi ritrovai a dire: “In realtà adesso fa lo stesso. Est ed ovest non ci sono più”.

L’impiegata allo sportello mi guardò come si guarderebbe un mozzicone di matita prima di gettarlo via. Poi si piegò così vicino al vetro dello sportello da farlo appannare con il respiro. E disse a voce così alta da farsi sentire perfino dalle ultime persone in coda: “Ma non crederà mica di riavere la sua grande Germania solo perché il muro è caduto.”

In seguito a ciò nella sala dell’ufficio postale di Piazza San Marco sarebbe quasi scoppiata una rivolta. Tutti che difendevano me e la mia Germania e accusavano l’impiegata allo sportello di essere una vecchia comunista, dicendole che persino la posta in Botswana era più efficiente di quella italiana.

Fino a poco tempo fa quella era stata l’unica volta in cui avevo respirato sentimenti antitedeschi in Italia, altrimenti, appena si veniva a sapere che sono tedesca, gli altri esclamavano: “Ah, la Germania”. Con “Ah, la Germania” gli italiani lodavano l’efficienza della ferrovie tedesche, la coscienza ecologica, il senso civico e l’intransigenza dei tedeschi nei confronti dei loro rappresentanti politici (un ministro diede le dimissioni a causa di un falso dottorato! Un presidente dimesso per un pernottamento pagatogli da un amico! Una cancelliera che arriva ad Ischia in aliscafo e non in elicottero!) Dopo tanti anni in Italia avrei continuato a sentirmi la prima della classe se non si fosse abbattuta su di noi la crisi dell’euro che mi ha riportata alla realtà. E tale realtà si percepisce nuovamente in Italia come se si fosse a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale.

La crisi dell’euro in Italia è anzitutto una crisi della Germania. Non solo negli universi paralleli di Facebook e Twitter trova la sua massima fioritura un nuovo revanscismo, ma anche sulla stampa italiana vengono riesumati e disseminati qua e là concetti come “umiliazione” contro “dignità”, “ricatto” contro “libertà”. Luigi Zingales su L’Espresso mette in guardia dalla Germania come “Quarto Reich”, insieme ai suoi “stati satellite” (Finlandia, Paesi Bassi, Belgio e Austria). Il Corriere della Sera accusa la Germania di “feticismo delle regole”, alla radio gli attacchi di Berlusconi ad Angela Merkel (“culona”) e contro l’allora eurodeputato Martin Schulz (“kapò”) vengono improvvisamente salutati come lungimiranza politica, e alle feste popolari si può fare il tiro a segno con le foto di Angela Merkel in divisa da SS. Non avevo mai visto gli italiani tanto uniti in un Paese da sempre attraversato da profondi conflitti. La crisi economica perdurante, la costrizione al rigore – in caso di dubbio la colpa è sempre della “Grande Germania”, della signora Merkel e del dottor Schäuble. Ma com’è potuto accadere?

Fino a pochi anni fa, gli italiani non solo pronunciavano con fervore Ah, la Germania, ma erano anche i più ardenti sostenitori dell’Europa: solo l’Europa può salvarci, dicevano. Salvare dalla mafia, da una casta politica corrotta, dal nepotismo nei servizi pubblici, da un tasso di disoccupazione giovanile al 42 per cento e per una stampa libera che è messa peggio soltanto in Mongolia e Bulgaria. Gli italiani non chiedevano meno, ma più Europa, perché l’Europa allora non era un teorema dell’alta finanza, ma sinonimo di libertà, democrazia e diritti umani.

È stato così finché i partiti italiani non hanno deciso di sfruttare a proprio favore il debole che gli italiani avevano per l’Europa. Il debole per l’Europa si è così trasformato nella clava dell’Europa. Ogni volta che i cittadini italiani devono accettare una legge particolarmente assurda, viene detto loro: ce lo chiede l’Europa! Come ad esempio vietare i bricchetti dell’olio (5000 euro di multa se l’olio di oliva al tavolo del ristorante non viene servito in bottiglia, ma in caraffa di vetro) o limitare le intercettazioni telefoniche. Non appena il protocollo delle intercettazioni telefoniche inguaia la casta politica, si sfruttano oscure norme europee sulla tutela della privacy per punire le intercettazioni.

Lo spettro della Germania distoglie l’attenzione dai veri problemi

Mentre ciò che l’Europa chiede all’Italia resta immutato – ad esempio la riduzione della durata assurdamente lunga dei processi (10 anni) – vengono svenduti i beni culturali e si risparmia in modo massiccio nei settori dell’istruzione pubblica e della sanità (“È l’Europa che ce lo chiede!”). Rimangono inoltre intoccati i privilegi degli strapagati parlamentari italiani che, come gli alti funzionari statali, godono dei benefici di uno Stato altamente indebitato ed hanno diritto a ricche pensioni a vita, anche dopo mandati di breve durata.

Nel corso degli anni gli italiani hanno constatato che i fondi per lo sviluppo dell’Ue non sono finiti nelle loro tasche, ma in quelle della mafia e dei politici collusi con i mafiosi. L’Agenda 2000, il programma di aiuti che aveva come fine il “superamento degli squilibri tra le regioni”, ha stimolato il loro appetito. La mafia mantiene il Sud in uno stato di sottosviluppo artificialmente indotto, senza il quale non verrebbero più stanziati fondi e nessuno elemosinerebbe più un lavoro ai boss. Per tale ragione, a dispetto di qualsiasi programma europeo di sviluppo, nel Sud Italia regna invariata la disoccupazione più alta, si rileva la quota più elevata di lavoro nero e si registra un prodotto interno lordo che è del 53% inferiore a quello dell’Italia centrale e settentrionale. Ciò che iniziò con l’Agenda 2000 ha trovato il suo culmine nei nuovi settori di affari della mafia: lo smaltimento dei rifiuti, l’assistenza ai profughi e l’impiego delle energie rinnovabili. L’Europa ha arricchito la mafia. L’unico ad averlo però affermato all’interno del Parlamento europeo non è stato Berlusconi o l’amico delle banche Mario Monti né lo sfortunato Enrico Letta e tantomeno l’ex Presidente Napolitano o Matteo Renzi, autodefinitosi “rottamatore”, ma il “populista da sommossa”, il “fondamentalista dell’opposizione” e “clown” Beppe Grillo. Fu lui alcuni anni fa a rivolgere addirittura ai tedeschi su questo stesso giornale l’appello: “Vi prego, conquistateci!”

I pesanti attacchi della stampa tedesca ai greci non sono passati inosservati nemmeno in Italia e ricordano gli attacchi già rivolti in passato al Movimento 5 stelle, il partito di Grillo che, come hanno confermato recentemente le elezioni comunali, è pur sempre la seconda forza politica in Italia. Sulla stampa tedesca non ci si può immaginare niente di peggio di Grillo e del suo Movimento 5 stelle, fatta eccezione forse per gli antisemiti ungheresi. Da decenni in Germania si racconta la favola di un Paese che da un lato è fortemente indebitato e dilaniato dalla mafia, ma che dall’altro ha prodotto coraggiosi politici di sinistra che combattono strenuamente ma senza successo la mafia e il cattivissimo Berlusconi “bunga bunga”. Che i compagni di partito di Renzi siano collusi con la mafia quanto il partito di Berlusconi e i suoi cloni e che Renzi non abbia rottamato altro che le proprie promesse, non fa però notizia in Germania. Ma se alla fine gli italiani dovessero avere l’idea di votare per un partito diverso da quello con il quale in Germania ci si è accordati da tempo, allora il rubinetto verrebbe chiuso. La politica europea funziona così. Per lo meno questo è ciò che l’esempio greco sembra insegnare. Non deve quindi meravigliare che in Italia lo spettro tedesco ben si adatti a distrarre dai problemi reali. Come dire, in pratica non ci sono alternative!

Un po’ di arroganza e supponenza in meno a noi tedeschi non nuocerebbe e all’occorrenza anche un’ottica che non sia obbligatoriamente quella del portavoce del governo tedesco. Io personalmente mi impegno con tutte le forze per migliorarmi, anche se l’italiano che vive al mio fianco sostiene che io abbia a volte ancora la tendenza a voler avere ragione ad ogni costo. Il che naturalmente è del tutto esagerato. In ogni caso, per quanto riguarda le Poste italiane… Una volta che al posto di un pacchetto con i panpepati di Norimberga speditomi da mia zia Ruth, ricevetti un numero verde del servizio di assistenza, per tre giorni non feci altro che chiamare il servizio clienti delle poste. L’italiano che vive al mio fianco mi disse: “Lascia perdere! Ti compro io qualche pasticcino”, e io risposi: “Non voglio nessun pasticcino, voglio che il mio pacchetto mi sia regolarmente recapitato.” Al che l’italiano aggiunse inorridito: “Tu sei proprio tedesca!” Al termine di una battaglia durata una settimana il pacchetto finalmente arrivò, nuovamente risigillato. Al suo interno non c’era più il panpepato, ma una raccolta di arie di opere italiane.

Articolo originale di Petra Reski apparso su ZeitONLINE il 27 agosto 2015
Traduzione di Silvano Zais e Cristina Bianchi per ItaliaDallEstero.info




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Olaf Scholz, il neo ministro delle Finanze tedesco, ha fatto capire che la Germania non intende diminuire il suo surplus, continuando a danneggiare gli altri paesi Ue.
PAOLO ANNONI
22 marzo 2018 - agg. 27 marzo 2018, 17.48

http://www.ilsussidiario.net/News/Econo ... nia/812662

La notizia di ieri è che la Germania non cambierà la propria politica economica e continuerà a violare le regole europee (nessuna violazione???). Olaf Scholz, il neo ministro delle Finanze tedesco, della Spd, ha dichiarato ieri al Wall Street Journal di non avere intenzione di abbassare le tasse per stimolare la domanda interna e ridurre la dipendenza dalle esportazioni. Il quotidiano americano nota che i vicini europei speravano in un cambio di politica. Riguardo alle critiche per il surplus commerciale tedesco la difesa è di questo tenore: "Nessuno ci ha mai criticato per avere un'economia altamente performante e competitiva".

I tedeschi evidentemente pensano di essere più furbi di tutti. Che il surplus commerciale tedesco sorpassi di molto quello della Cina o del Giappone è un fatto inspiegabile anche contando la bravura tedesca; è un fatto altrettanto innegabile che se la Germania fosse da sola con un tale surplus finanziario e un tale surplus fiscale oggi la sua valuta sarebbe fuori dal grafico.

Per comprendere costa stia succedendo basta osservare quello che è successo in Svizzera dopo la crisi. La banca centrale svizzera è stata "costretta" a espandere il suo bilancio comprando asset esteri per contenere la rivalutazione del franco svizzero. Senza l'Europa la Germania sarebbe costretta a investire all'estero per evitare di ammazzare il proprio export con una rivalutazione del marco che oggi sarebbe spropositata. La Germania non esporta solo beni, ma esporta deflazione e disoccupazione accumulando surplus commerciali e finanziari che la pongono in una situazione unica non rispetto all'Europa ma rispetto al mondo; Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Cina hanno aumentato il proprio debito pubblico grandemente negli ultimi anni.

Gli indicatori economici tedeschi degli ultimi dieci anni sono completamente "innaturali" perché frutto di una costruzione europea artificiale che non permette nessuna camera di compensazione dei suoi squilibri. La Germania ottiene quei numeri perché compete con un euro svalutato e, unico caso al mondo, non rischia che il proprio surplus finisca in una rivalutazione del cambio.

La politica tedesca comporta problema esterni nella misura in cui il resto del mondo lamenta, a ragione, una competizione scorretta e problemi interni perché un'unione fondata su un cambio unico e un'unica banca centrale non potrà mai funzionare se nell'unione si assiste all'accumulo di squilibri che in qualsiasi altro Stato si ridurrebbero naturalmente via Stato centrale. Le differenze tra il New Jersey e l'Alabama vengono contenute dalla redistribuzione delle risorse via "Washington".

La Germania non può non aver capito cosa produca la sua politica e cioè l'esplosione delle differenze in Europa, con un aumento della conflittualità ben rappresentato dall'emergere di partiti populisti (anche in Germania), e la reazione dei Paesi extraeuropei con un aumento della conflittualità verso l'esterno. Gli Stati Uniti sanno che i dazi che esistevano venti anni fa non funzionano più perché la Germania non rivaluta più il suo marco. La Germania si nasconde dietro l'Europa proclamando i principi del libero commercio, ma non è più credibile perché il gioco ormai è palese. Usando l'Europa come scudo umano per difendere politiche che sono scorrette la Germania sposta il mirino da se stessa a tutta l'Unione sperando in questo modo di aumentare il proprio potere negoziale.

È un gioco pericoloso perché rischia di passare l'idea che per riequilibrare lo squilibrio tedesco bisogna smontare l'Europa. Se l'euro e l'Europa finissero domani, la Germania si ritroverebbe in una situazione di arrivo infinitamente solida e molto migliore di quella d'entrata, mentre i suoi competitor, tra cui il principale italiano, ne uscirebbero a pezzi. Il corollario di questa analisi è che a non credere all'Europa e proprio e in primis la Germania che la sta usando per i propri interessi esclusivi senza condividere un singolo euro dei benefici ottenuti. L'Italia invece per il progetto europeo si è letteralmente svenata rinunciando a qualsiasi sovranità, facendo comprare qualsiasi cosa e abbracciando una politica di austerity che l'ha distrutta rinunciando anche alla svalutazione della sua moneta.

In pratica con l'Europa la Germania ha impedito all'Italia di continuare con il modello di sviluppo che per cinquanta anni le aveva garantito la prosperità impossessandosi perfino della possibilità, parte del modello italiano, di competere nel mondo con un cambio svalutato. L'Italia ha rinunciato al suo modello per l'Europa, ma la Germania non ha mai rinunciato al suo e non ci rinuncia oggi anche a costo di uccidere l'Europa.

Oggi l'Europa si regge sull'accordo franco-tedesco, ma non è affatto chiaro quale sarà la reazione francese quando la Francia sarà costretta ad attuare l'austerity vera in casa sua per continuare a tenere in vita l'attuale politica economica europea tutta basata sulle esportazioni e non sugli investimenti. Il supporto dell'establishment all'attuale Unione, a ogni costo incluso l'autodistruzione italiana e incluso l'esplosione dei conflitti, oggi sembra monolitico; dire che l'Unione non funziona e che forse bisognerebbe pensare di smontarla per tenere in vita il suo spirito migliore garantisce di diritto un posto tra i reietti, tra i populisti, tra i retrogradi e forse, persino, tra i "fascisti".

Le cose però cambiano sempre più velocemente di quello che ci si aspetta. Scommettere su questa struttura europea oggi significa scommettere su due cose: sulla tenuta dell'accordo francese nel breve e, nel lungo, sulla capacità della Germania di sfilare la sovranità a tutti i vicini dominando il continente, per impedire il necessario riequilibrio tra i Paesi membri, usandolo conflittualmente con i Paesi extraeuropei. L'ultima volta che l'Italia ha seguito la Germania su un'idea del genere è finita molto male; per loro e per noi.

Ultimissima nota. Pensare che la posizione americana sia un fatto contingente causato da Trump probabilmente è un errore. I democratici che non hanno voluto cambiare niente erano amati dai tedeschi, ma hanno perso le elezioni in casa. Forse al prossimo giro due conti li fanno anche loro.


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Perché il surplus tedesco è un problema per l’economia mondiale
2017/07/12
The Economist

http://www.eunews.it/2017/07/12/perche- ... iale/90118

I campi di battaglia sono ben definiti. Questa settimana, quando le più grandi economie del mondo si troveranno al vertice G20 di Amburgo, tutto è pronto per uno scontro tra l’America protezionista e la Germania favorevole al libero mercato.

Il presidente Donald Trump si è già chiamato fuori da un trattato commerciale, il Trans-Pacific Partnership (TPP), e ha chiesto la rinegoziazione di un altro, il North American Free-Trade Agreement (NAFTA). Sta soppesando l’opportunità di imporre dazi sull’importazione di acciaio in America, una mossa che quasi certamente provocherebbe delle rappresaglie da parte dei partner commerciali. La minaccia di una guerra commerciale incombe fin dall’inizio della presidenza Trump, a gennaio. Al contrario Angela Merkel, cancelliera tedesca nonché padrona di casa del summit di Amburgo, farà rullare i tamburi in favore del libero commercio. In un malcelato attacco contro Trump, nel suo discorso del 29 giugno la Merkel ha condannato le forze protezioniste e isolazioniste. Un imminente accordo di libero scambio tra Giappone e Unione Europea darà ulteriore sostanza alla sua retorica (vedi articolo).

Non c’è dubbio su chi abbia la meglio su questo argomento. La dottrina di Trump secondo cui il commercio deve essere equilibrato per essere corretto è economicamente analfabeta. La sua idea che i dazi potranno riequilibrare la situazione è ingenua e pericolosa: al contrario, ridurrebbero la prosperità per tutti. Ma almeno da un punto di vista Trump ha colto una scomoda verità. Ha ammonito la Germania per il suo surplus commerciale, che si colloca attualmente a quasi 300 miliardi di dollari all’anno, ed è il più grande del mondo in termini assoluti (il surplus accumulato dalla Cina è appena di 200 miliardi). La soluzione che lui minaccia – mettere fine all’acquisto di automobili tedesche – può essere controproducente per la stessa America, ma resta il fatto che la Germania risparmia troppo e spende troppo poco. La dimensione e la persistenza dei risparmi tedeschi fanno della Germania un difensore un po’ improbabile del libero commercio.

Armonia imperfetta

In fin dei conti il surplus tedesco consiste in un eccesso di risparmi a livello nazionale rispetto agli investimenti interni. Nel caso tedesco non si tratta del risultato di una politica mercantilista decisa dal governo, come alcuni all’estero lamentano. Non si tratta nemmeno, come spesso insistono i tedeschi, del riflesso di un’urgente necessità di accumulare risparmi per una società che sta rapidamente invecchiando. Il tasso di risparmio delle famiglie è stabile, sebbene ad un livello elevato, da anni. L’aumento dei risparmi è venuto soprattutto dalle imprese e dai governi.

Dietro al surplus tedesco sta un accordo di decenni tra imprese e sindacati a favore di una compressione dei salari al fine di rendere più competitive le industrie esportatrici (vedi articolo). Questa moderazione è stata molto utile all’economia tedesca, guidata dalle esportazioni, nella sua ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale e successivamente. È un istinto della Germania che spiega il suo passaggio da “malato d’Europa” negli anni ’90 all’attuale super-campione che è diventata.

C’è molto da invidiare al modello tedesco. L’armonia tra imprese e lavoratori è stata una delle principali ragioni delle strabilianti prestazioni dell’economia tedesca. Le imprese hanno potuto investire senza preoccuparsi che i sindacati sarebbero venuti a reclamare la propria parte. Lo Stato ha fatto la propria parte sostenendo un sistema di formazione professionale che è giustamente ammirato. In America le prospettive lavorative degli uomini che non hanno un diploma di maturità [college] sono peggiorate di pari passo al declino dei posti di lavoro nella manifattura – questa è una delle cause che hanno prodotto il nazionalismo oggi sposato dal presidente Trump. La Germania non è sfuggita completamente a tutto questo, ma è riuscita a mantenere in misura maggiore i posti di lavoro degli operai che oggi mancano all’America. Questa è una delle ragioni per le quali il partito populista Alternativa per la Germania resta ai margini della politica tedesca.

Ma gli effetti avversi di questo modello sono sempre più evidenti. Questo modello ha reso pericolosamente sbilanciati l’economia tedesca e il commercio globale. La compressione salariale ha portato la Germania a un basso livello di spesa interna e a uno scarso livello di importazioni. La spesa per i consumi è caduta ad appena il 54% del PIL, a confronto del 69% in America e al 65% in Gran Bretagna. Gli esportatori non investono poi i loro profitti entro i confini nazionali. E la Germania non è sola in questo. Anche la Svezia, la Svizzera, la Danimarca e l’Olanda hanno ammassato grandi surplus commerciali.

Il fatto che una grande economia in condizioni di piena occupazione accumuli surplus commerciali dell’8 per cento di PIL all’anno comporta un’esagerata tensione sul sistema di commercio globale. Per compensare questi surplus e sostenere a sufficienza la domanda aggregata al fine di mantenere i posti di lavoro, il resto del mondo deve indebitarsi e spendere in uguale misura. In alcuni paesi, come l’Italia, la Grecia e la Spagna, i deficit persistenti alla fine hanno portato alla crisi. Il loro successivo ritorno al surplus è avvenuto a caro prezzo. La persistente sovrabbondanza di risparmi nel nord Europa ha reso inutilmente dolorosi i necessari riaggiustamenti. Nei periodi di alta inflazione negli anni ’70 e ’80 la propensione della Germania per gli elevati risparmi è stata una forza stabilizzatrice. Oggi invece sta trascinando verso il basso la crescita globale e rappresenta un bersaglio ideale per i protezionisti come Trump.

Andare oltre la parsimonia

Può essere risolto questo problema? Forse l’eccessivo surplus commerciale tedesco può essere eroso come è già avvenuto per la Cina: con un aumento dei salari. La disoccupazione è inferiore al 4% e la popolazione in età da lavoro si sta riducendo nonostante una forte immigrazione. Dopo decenni di declino il costo degli immobili sta aumentando, il che implica che le retribuzioni non basteranno più come un tempo. Le istituzioni che hanno determinato la compressione dei salari stanno perdendo influenza. L’euro potrebbe rafforzarsi. Nonostante ciò, l’istinto tedesco è ben radicato. I salari sono aumentati del 2,3 percento lo scorso anno, meno che nei due anni precedenti. Se lo si lascia a se stesso, il surplus tedesco potrebbe impiegare molti anni per scendere ad un livello ragionevole.

Il governo dovrebbe contribuire aumentando i livelli di spesa. Il bilancio pubblico tedesco è passato da un deficit del 3% nel 2010 a un lieve surplus. I funzionari politici la definiscono prudenza ma, dati gli alti livelli di risparmio nel settore privato, questa posizione è difficile da difendere. La Germania ha tanti progetti meritevoli di investimenti. I suoi edifici scolastici e le sue strade si stanno sbriciolando a causa della stretta sugli investimenti pubblici imposta dal rispetto di inopportune regole fiscali. L’economia è ancora indietro sulla digitalizzazione, collocandosi al 25esimo posto della classifica mondiale per velocità media di download. Una maggiore offerta di assistenza doposcuola fornita dallo Stato potrebbe permettere a un numero maggiore di madri di lavorare a tempo pieno, in un’economia dove la partecipazione delle donne è bassa. Alcuni dicono che questa espansione sarebbe comunque impossibile a causa della già raggiunta condizione di pieno impiego. Eppure, in un’economia di mercato c’è un modo ben consolidato di attirare le risorse scarse: pagarle di più.

Soprattutto è già passato molto tempo ed è ora che la Germania ammetta che il proprio eccesso di risparmi è una debolezza. La Merkel ha ragione ad affermare il proprio messaggio a favore del libero commercio. Ma lei e i suoi compatrioti devono capire che sono proprio i surplus tedeschi a rappresentare una minaccia alla legittimità del libero commercio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 5:25 pm

Perché la Germania è l'unico paese europeo che se la passa alla grande
Leonardo Bianchi
gen 24 2014,

https://www.vice.com/it/article/5gnjnb/ ... si-europea

Il 9 dicembre 2012 Angela Merkel era volata ad Atene per un incontro con il primo ministro greco Antonis Samaras. Il vertice si era tenuto in una capitale blindata, militarizzata da 7.000 agenti in assetto antisommossa e piena di zone rosse in cui era vietato manifestare. Nonostante il divieto, 70mila persone si erano riunite a piazza Syntagma per protestare contro la persona che una larga parte della popolazione greca considera il mandante morale per eccellenza della loro miseria.

Alcuni manifestanti erano arrivati in piazza a bordo di una jeep con tanto di divise naziste; altri avevano bruciato sulle barricate le bandiere con la svastica e moltissimi avevano intonato una caterva di slogan anti-tedeschi. La giornata era finita con scontri piuttosto pesanti fuori dal Parlamento greco. Con ogni buona probabilità si è trattato di uno dei momenti più bassi non solo nella relazione tra i due paesi degli ultimi anni, ma nell'intero processo d'integrazione europea.

La crisi dell’Eurozona ha generato un’incredibile ondata di risentimento anti-teutonico che ha attraversato diverse capitali europee e ha accomunato ampi strati della politica e della società. La scorsa estate, tanto per fare un esempio, Beppe Grillo aveva pubblicato un post nel suo blog in cui prendeva di mira Matteo Renzi (o “l’ebetino di Firenze”, come lo chiama lui) per essersi recato dalla Merkel a Berlino: “Il pellegrinaggio ossequioso, subito dopo il loro insediamento, dei nostri primi ministri, come Rigor Montis e Capitan Findus Letta, presso la Merkel […] ricorda la ricerca della benedizione papale dei grandi feudatari del medio evo.” Grillo aveva poi caldeggiato l’uscita dall’euro perché “non possiamo morire per Berlino né fare la fine della Grecia per accontentare gli interessi tedeschi.”

A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino e dalla ritrovata unità nazionale, la Germania—che “si era illusa di aver finalmente fatto pace con sé e col mondo”—è tornata sul banco degli imputati con l’accusa “di voler imporre all’Europa la sua idea di economia e il suo modello di società.” Recentemente è uscito un saggio, Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea, che analizza in profondità le dinamiche e il sistema dell’unico paese europeo che ha retto durante la crisi.

L’autore, Angelo Bolaffi (filosofo della politica, germanista e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Berlino dal 2007 al 2011), è convinto che la Germania abbia la “responsabilità storica di salvare l’Europa, dopo averla affondata due volte in passato” e che “liquidare definitivamente la questione tedesca significa […] costruire finalmente l’Europa.”

Ho deciso di fargli qualche domanda per capire se siamo tornati all’epoca feudale, come sostiene Beppe Grillo, o se sia il caso di smettere di incolpare la Germania se le cose vanno male nel resto d’Europa.

VICE: La Germania è unanimemente considerata la vera potenza dell’Europa. Come ha fatto il paese, che solo 15 anni fa era considerato il “malato d’Europa” ad arrivare in questa posizione dominante?
Angelo Bolaffi: È stato possibile grazie al combinato disposto di un sistema, quello che io chiamo il “modello tedesco”, basato su un certo tipo di relazioni industriali, un certo modello di welfare, un certo tipo di federalismo economico e politico. Al tempo stesso, le profonde riforme del governo “rosso-verde” guidato dal socialdemocratico S., hanno trasformato profondamente il welfare tedesco ma non lo hanno distrutto, come invece è avvenuto con la Thatcher in Inghilterra. Questo ha consentito alla Germania di rispondere positivamente alle tre sfide che aveva all’inizio del millennio: unificazione del Paese, unificazione europea e globalizzazione. La Germania è stata anche in grado di sfruttare la moneta unica, cosa che altri paesi (tra cui l’Italia) non hanno fatto.

A proposito di moneta unica: la Germania da un lato è accusata di voler distruggere l’euro, dall’altra è considerata l’unica che può salvarlo.
Intanto bisogna dire che a proposito della Germania sono state dette un sacco di sciocchezze dovute a ignoranza e malevolenza. In realtà la situazione è molto semplice e molto complicata. Oggi, senza l’intervento della cancelliera Merkel e dell’appoggio dato al presidente della Bce Mario Draghi, l’euro non ce l’avrebbe fatta.
La Germania ritiene che il compito dell’Europa sia quello di unificarsi come continente per poter rispondere alle sfide globali. Pur essendo il paese più forte d’Europa, sa che da sola non può farcela. È troppo piccola: potente ma troppo piccola.
Si era pensato, con l’introduzione della moneta unica che la spinta del mercato avrebbe di per sé obbligato i paesi ad omologarsi, a riformarsi rendendosi più simili tra di loro. Ma questo si è dimostrato una delusione. C’è bisogna di una volontà politica, e quindi c’è bisogno di un paese che, anche se i tedeschi non lo sentono molto volentieri, prenda la leadership di questo processo.

Questo ruolo “egemone” della Germania può riportare alla mente periodi storici decisamente catastrofici.
Quella però era una Germania che non voleva costruire un’Europa. Era una Germania che voleva imporre se stessa come potenza nazionale contro altri stati nazionali. Ora il discorso è completamente diverso. La Germania è una potenza che ritiene che il suo futuro sia l’Europa, non se stessa, e che l’Europa sia anche il futuro degli altri. Nel libro uso il termine “egemonia” non nel senso di comando o imposizione, ma nel senso gramsciano del termine: essere cioè al tempo stesso potenza-forza e potenza-modello. Una cosa a cui gli altri dovrebbero tendere in quanto desiderabile, e non qualcosa che viene imposto dall’esterno contro la volontà degli altri.

La Germania è sia il paese europeo che più contribuisce all’MES (il "fondo salva-stati"), sia quello a cui vengono addebitate le politiche di austerità applicate nei paesi mediterranei.
Il problema dell’austerità è che il debito pubblico di alcuni paesi è insostenibile, e non dipende dalla Germania. Il fatto nuovo è che la polemica contro l’Europa fatta con argomenti decenti, e non indecenti, viene da forze che un tempo erano europeiste. Queste forze ripropongono il modello keynesiano, il quale però presuppone che esistano stati nazionali, monete nazionali, una banca centrale nazionale che finanzi il debito stampando carta moneta. Ma questo è tutto un altro discorso: o si accetta il discorso europeo, o—con una certa coerenza, ma secondo me illusoria—si preferisce ritornare agli stati nazionali.

Uno dei portati più nefasti della crisi dell’euro è l’ascesa di partiti populisti se non apertamente neonazisti. Di chi è la responsabilità, secondo lei?
Un ragionamento che viene portato sempre avanti è che l’austerità abbia favorito i movimenti anti-europeisti. Ma come spieghiamo che Le Pen figlia prende gli stessi voti di Le Pen padre, che li prendeva quando non c’era la crisi? L’antieuropeismo della Lega è cominciato quando non c’era la crisi economica; è cominciato contro l’euro sin dall’inizio. Come spieghiamo il fatto che ci sono paesi non in crisi—come Austria, Olanda e Finlandia—nei quali ci sono movimenti antieuropeisti fortissimi?
Io direi che nell’avversione verso l’Europa sta emergendo un problema più profondo e pericoloso, più drammatico. I popoli europei esitano, per essere ottimisti, ad abbandonare lo Stato nazionale, quando non sono apertamente contrari. Io credo che per questo il futuro dell’Europa, almeno per quanto è dato prevedere, sarà un sistema misto in cui gli Stati nazionali continueranno a funzionare e noi dovremmo trovare un modo di ricollegare in maniera molto più forte i parlamenti nazionali, che ancora sono visti come luogo di espressione della volontà democratica, e il Parlamento Europeo. È una cosa lunga e difficile; e “parlamentarizzare” tutto non è una scorciatoia che risolve i problemi. Queste sono chiacchiere che dimenticano che nel 2005 il progetto di Costituzione dell’Europa federale, voluta proprio dalla Germania, è stato bocciato da un referendum popolare in Francia e in Olanda.

La Germania è stata definita da più parti un "impero riluttante", non pienamente in grado di gestire la crisi europea. Si tratta d'incapacità o di non volontà della leadership?
Tutt’e due. La Germania ha molta paura perché, come dicevo prima, trovarsi in questa posizione è molto scomodo. In più, il peso del passato conta. Vedersi rappresentati ogni volta come nazisti—penso alla Merkel con i baffi di Hitler, ad esempio—pesa molto. Inoltre, questa classe politica non è abituata a sfide del genere, e può anche darsi che non sia all’altezza. La Merkel mi pare che si sia mossa abbastanza bene nella fase di salvataggio dell’euro. Adesso che si tratta di guidare l’Europa “col cuore” mi pare molto debole. Ci vorrebbe un Willy Brandt, qualcuno che faccia un gesto simbolico molto forte. E questo non mi pare nelle corde della cancelliera.

Per la prima volta nella storia del dopoguerra il fallimento dell’UE è uno scenario realistico. Quale ruolo dovrebbe o potrebbe avere la Germania nell’evitarlo? Sarà inevitabile andare verso un’Europa tedesca?
Sì e no. Nel senso che il modello tedesco secondo me è l’unico modello che può funzionare. È una democrazia che funziona, un sistema sociale che funziona, un sistema di relazioni industriali che funziona, un sistema di divisione dei poteri che funziona. Se questa dev’essere l’Europa Germanica, ben venga l’Europa germanica. Certamente, nei trattati di Maastricht e di Lisbona si privilegia il modello tedesco come il modello futuro dell’Europa: l’economia sociale di mercato, la stabilità monetaria, il controllo del debito e quant’altro.

È anche difficile ricomporre tutte le divergenze che ci sono all’interno dei vari paesi per applicare questo modello, però.
Certo, il processo è estremamente lungo. Ad ogni modo, secondo me il modello tedesco è un modello che è maturato meglio dei altri, ha una consapevolezza superiore agli altri. Non a caso chi va lì ne rimane ammirato. Non c’è niente di male: ovviamente va articolato poi con le differenze culturali che caratterizzano l’Europa. Ecco, l’Europa non diventerà mai quello che sono gli Stati Uniti d’America, come c’è scritto nel dollaro: ex pluribus unum. L’Europa rimarrà un arcipelago di lingue e culture, strutturalmente più compatta, omogenea e culturalmente molto diversa. È questa la forza dell’Europa.

Alle ultime elezioni tedesche si è presentato il partito Alternative für Deutschland, un partito apertamente anti-euro e anti-europeista. È (o è stato) l’espressione di un certo sentimento anti-euro e anti-europeo in Germania?
Sicuramente c’è una parte della popolazione, ma questo fa parte della dinamica democratica, che ha rinunciato molto faticosamente al marco, e a un prezzo molto alto. C’è dunque una parte dell’opinione pubblica che ritiene di essere penalizzato dall’euro. L’unica cosa che mi permetto di far notare è che, a differenza di altri paesi, questo movimento non è rappresentato in Parlamento, mentre tutti si aspettavano una grande performance. Anzi, qualcuno addirittura sperava che entrasse in Parlamento, per confermare il proprio desiderio di un’immagine negativa della Germania. Inoltre, almeno a quanto si legge, questo movimento si sta distruggendo.
Ad ogni modo, l’Europa non è un pranzo di gala. Ci sono moltissimi interessi in gioco: prima era facile essere europeisti, era gratis. L’Europa ci toglieva dei problemi, delle rogne. Adesso ci pone dei problemi, perché dobbiamo fare delle scelte. E quando si fanno delle scelte bisogna decidere tra varie alternative. Sarà un processo faticoso e complesso, e non è detto che vada a finire bene.


Gino Quarelo
A dire il vero anche altri paesi se la passano economicamente bene: l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Norvegia, la Svezia, la Finlandia, la Svizzera, la Gran Bretagna; anche il Belgio, la Spagna, il Portogallo, l'Irlanda e i paesi slavi crescono. Gli unici ad avere difficoltà sono la Grecia e l'Italia. Molti europei non sono contro l'Europa ma sono contro questa Europa non democratica, delle burocrazie e delle caste statali, stataliste, sovietizzanti, massificanti, asfissianti, che producono anche demenzialità, sprechi, corruzione, parassitismo, castualità.




La Germania e il più lungo miracolo economico dal dopoguerra
Danilo Taino, nostro corrispondete da Berlino
Milano, 8 novembre 2017

https://www.corriere.it/economia/17_nov ... 4dfa.shtml

Ma il rapporto dei cinque saggi del Consiglio tedesco avverte la Merkel: il prossimo governo deve cambiare strada rispetto agli anni scorsi e attrezzarsi per le sfide che tutte le economie avanzate hanno di fronte

La Germania è in pieno boom, al punto che l’economia rischia di surriscaldarsi; la crescita potrebbe continuare per parecchio tempo; ci sono l’opportunità e le risorse per preparare il futuro. Il Consiglio tedesco degli esperti economici – i cosiddetti cinque saggi – ha reso pubblico ieri il rapporto che ogni autunno presenta al governo. Il suo presidente, Christoph Schmidt, lo ha consegnato ad Angela Merkel: il messaggio è ottimista ma invita il prossimo governo a cambiare strada rispetto agli anni scorsi, ad attrezzarsi per le sfide che tutte le economie avanzate hanno di fronte. Buone notizie e buoni consigli indiretti anche per l’Italia. I cinque saggi hanno alzato le previsioni di crescita del Prodotto interno lordo al 2% quest’anno e al 2,2% nel 2018: lo scorso aprile indicavano l’1,4 e l’1,6%. Come tutti, la Germania beneficia della ripresa mondiale, che sostiene le esportazioni; ma beneficia anche dei consumi interni che, in un ambiente di bassissimi tassi d’interesse, sostengono la domanda e gli investimenti.

Il rapporto – 463 pagine – nota che si registrano segnali di sovrautilizzazione delle capacità produttive e che in molti settori la carenza di manodopera specializzata sta creando problemi: la disoccupazione è oggi al 4,3% e in un quinquennio potrebbe scendere al 3,5%, come vorrebbe Merkel, ma una piena occupazione del genere crea problemi alle imprese che non trovano sul mercato le competenze che cercano e ai lavoratori che vogliono cambiare posto. In sostanza, succede che la Germania è in un ciclo di espansione economica che va avanti dal 2009, con un leggero calo solo in un trimestre del 2012, e le previsioni fanno pensare che possa essere il ciclo più lungo dal Wirtschaftswunder, miracolo economico del dopoguerra. Ciò nonostante, dicono i cinque esperti, il governo deve cambiare marcia rispetto al passato. “Soprattutto ora – scrivono – deve concentrarsi sul futuro e non, come negli anni precedenti, su un discorso di distribuzione”. È una critica implicita all’esecutivo uscente di Grande Coalizione e un invito alla nuova alleanza di governo che Merkel sta cercando di creare assieme, oltre che ai suoi cristiano-democratici, ai liberali e ai verdi. In particolare, i cinque saggi – quattro tendenzialmente liberali e uno keynesiano – spingono per una riduzione del peso fiscale, compresa l’abolizione della tassa di solidarietà a sostegno delle regioni dell’Est, ex socialiste (proposte apprezzate dai liberali ma non gradite dai verdi). La buona situazione, scrivono i saggi, offre “l’opportunità di riaggiustare la politica economica”. Non tutti gli esperti in Germania sono così ottimisti o favorevoli ai tagli delle tasse. C’è chi sottolinea che la crescita non è poi così forte. Chi si concentra sulle aree di povertà esistenti. Chi preferisce investimenti alla riduzione del peso fiscale. Chi dice che la disoccupazione è bassa perché l’innovazione è lenta e non sono ancora arrivati i robot. Fatto sta che un po’ tutti si interrogano sul futuro, sui modi per restare competitivi: e fanno le loro proposte al governo in formazione. Un’economia tedesca forte fa ovviamente bene all’Italia: un’economia tedesca ancora più efficiente dovrebbe anche suggerirle qualche riforma.


Perché la Germania è sempre rimasta così potente, nonostante tutto quello che ha dovuto subire nella storia? Quali sono le cause storiche profonde della forza di questo Paese?
Kortushka Karterfel
Risposto 15/ott/2017

https://it.quora.com/Perch%C3%A9-la-Ger ... esto-Paese

Premetto che questa analisi è risultato di una mia opinione personale la quale, benché supportata da fonti e dati, non si vuole imporre come verità assoluta ma come semplice, individuale e opinabile riflessione storica;

La Germania effettivamente ha subito solamente nel XX secolo ben tre eventi drammatici:

la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale (quasi tre milioni di morti, l’intero comparto industriale distrutto, enormi debiti di guerra alle nazioni vincitrici della Triplice Alleanza);
la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale (da 7 a quasi 8 milioni di morti, Austria compresa, comparto industriale completamente distrutto, grandi città rase al suolo, quadruplice occupazione alleata e sovietica, debiti per migliaia di miliardi di dollari);
la riunificazione della Germania (con un enorme incremento del debito pubblico e con il problema di dover annettere al proprio territorio regioni altamente degradate dell’ex-DDR);

Tuttavia, per la propria posizione geopolitica, il contesto storico-economico e le conseguenze sociali di questi eventi ogni tragedia è stata seguita da reazioni esterne ed interne che sono state sempre la premessa di una nuova restaurazione sia politica che economica. Inoltre, rispetto altre nazioni europee, la Germania ha sempre goduto di una grande popolazione e di un’alta disponibilità di risorse minerare che sicuramente facilitarono le varie ricostruzioni.

Affrontiamo punto per punto le conseguenze alle tre tragedie:

alla fine della Prima Guerra Mondiale, sebbene la Germania fosse uscita sconfitta e selvaggiamente attaccata dai diktat postbellici di Inghilterra e (soprattutto) Francia, rimaneva una nazione economicamente e demograficamente potente. Anzitutto bisogna considerare che rispetto alla Francia aveva sofferto meno perdite sia militari che civili, aveva un tasso di natalità tra i più alti al mondo (da cui la necessità del lebensraum, lo spazio vitale, hitleriano). Inoltre, sebbene il suo complesso industriale fosse stato quasi completamente smantellato, tale smantellamento era stata compiuta gratuitamente ed i successivi programmi d’aiuto economico, come il Piano Dawes statunitense, permisero all’industria tedesca di diventare in rapido tempo quella più avanzata dell’intero globo terracqueo. Lo stesso Hitler ringraziò le potenze dell’Intesa per quella smantellamento, perchè aveva fatto risparmiare molti soldi alle compagnie metallurgiche tedesche, che ora erano costrette, contro il proprio interesse personale ma in pieno interesse corporativo, ad ammodernarsi. I finanziamenti inglesi e americani divennero anche consistenti con l’affermarsi dell’Unione Sovietica nell’Europa orientale e con il crescente timore degli angloamericani che senza una Germania forte l’Europa potesse cadere sotto i sovietici. Vi fu anche un fattore interno, quello dell’orgoglio nazionalista, a far crescere la Germania, che durante la Conferenza di Pace di Parigi era stata riconosciuta come unica e sola responsabile dell’intero conflitto mondiale. Tale accusa fece nascere in molti tedeschi una voglia di rivalsa che divenne ancora più grande quando, allo scoppio della Grande Depressione, i prestiti americani cessarono, facendo balzare in alto l’inflazione del marco tedesco ed aumentando la povertà complessiva. Il successivo governo nazista fu, per quanto eticamente abominevole, molto oculato nel gestire le limitate risorse della Germania: si può dire che Hitler fu il primo politico occidentale ad implementare ferree politiche keynesiane per risollevare l’economia nazionale. In breve, sebbene possa sembrare riduttivo, il keynesismo prevedeva un rovesciamento delle meccaniche socialiste: lo Stato, anzichè utilizzare il capitale privato per aumentare le condizioni di vita del popolo, utilizzava il capitale pubblico per salvare le grandi imprese private; in poche parole il governo nazista avviò grandi opere pubbliche, e di conseguenza grandi investimenti pubblici (basti pensare alla prima superstrada europea, la Reichsautobahn) per ottenere la piena occupazione e far decollare la spesa dei consumatori. Grazie all’influenza che lo Stato esercitava sull’economia nazionale la Germania fu una delle poche potenze occidentali (l’altra era l’Unione Sovietica) a crescere mentre Inghilterra, Francia e Stati Uniti erano in piena recessione.
alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Germania fu divisa e occupata dagli Alleati e dai Sovietici, come tutti sappiamo. Ma per gli stessi motivi che comportarono l’avvio del piano Dawes negli anni ‘20, anche nel secondo dopoguerra la paura di un’espansione sovietica portò gli americani a finanziare la ricostruzione dell’industria tedesca a tassi d’interesse piuttosto agevolati. Se la ricostruzione della Germania occidentale fu piuttosto rapida (anche se non comparabile con quella avvenuta durante il primo dopoguerra, e inficiata dal continuo controllo di americani, inglesi e francesi, che continuavano a temere la possibilità di un riarmo segreto), la Germania orientale versava in peggiori condizioni: i sovietici avevano infatti intenzione, a differenza degli alleati, di far pagare alla Germania ogni marco di debito bellico, sottraendo annualmente il 13% del PIL tedesco. Con il consolidamento della Comunità Europea le nazioni alleate iniziarono pian piano a diminuire il costo delle riparazioni postbelliche che la Germania avrebbe dovuto pagare e, per il 1990, tale debito era praticamente istinto, nel nome di una supposta “solidarietà europea”.
la riunificazione causò sicuramente enormi danni economici al governo federale tedesco, che negli anni ’80 tornava per la prima volta a crescere in maniera esponenziale, ma se da una parte la nuova Germania ereditava il debito pubblico lasciatole dall’occupazione sovietica, d’altro canto ricevette una vera e propria “iniezione” di milioni di lavoratori altamente specializzati ed istruiti, che sicuramente favorirono la crescita economica negli anni ‘90. Inoltre la Germania è la nazione che più di tutte ha guadagnato dall’introduzione dell’Euro: la creazione di una valuta comune europea ha infatti svalutato il marco, rendendolo più economico e competitivo. Al contempo ha alzato il valore di altre valute, come la nostra lira o la dracma greca: in questo modo per le nazioni dell’eurozona con valuta svalutata, come la Germania, è stato più facile esportare, mentre per quelle che avevano subito un effetto opposto, come l’Italia, è convenuto di più importare beni prodotti dai primi. In poche parole, grazie alla svalutazione del marco e alla rivalutazione di altre valute europee la Germania ha raggiunto un surplus di esportazioni estremamente elevato, trovandosi inoltre in condizioni finanziarie che la ponevano in vantaggio competitivo rispetto a Paesi con valuta rialzata.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 5:25 pm

Perché la Germania domina ma non è egemonica in Europa
Luca Steinmann
Giornalista, 26 anni
14/07/2015

https://www.huffingtonpost.it/luca-stei ... 92626.html

Strano popolo i tedeschi. Quando si chiede loro di chiudersi in sé stessi rispondono conquistando tutta l'Europa, quando invece viene loro proposto di assumersi un ruolo di leadership europea questi rifiutano ogni responsabilità.

Nel bene o nel male la Germania è stato sempre il Paese che ha determinato il futuro di un'Europa di cui è il cuore pulsante. Quando nel diciannovesimo secolo gli inglesi chiedevano ai tedeschi, ancora frammentati in centinaia di principati, di unirsi per fare fronte all'egemonia napoleonica, questi rimasero divisi fino a venire conquistati. Quando dopo la Grande Guerra i vincitori cercarono di umiliarla per evitare che potesse risorgere, in Germania prese piede il nazionalsocialismo che portò alla più grande espansione territoriale della storia tedesca e alle tragedie ad essa connesse. Quando nel 1945 gli alleati la smembrarono in due blocchi alla testa dei quali vennero posti due governi che facevano riferimento l'uno a Washington l'altro a Mosca (tecnici si chiamerebbero oggi) il popolo tedesco riuscì a mettere in atto una rivoluzione pacifica (Friedliche Revolution) che riunì il paese in un unico nuovo Stato. Da quando questo Stato si è collocato all'apice delle gerarchie europee e gli viene ripetutamente chiesto di trasformare la propria forza in egemonia europea, la risposta di Berlino è sempre la stessa: non se ne parla proprio.

Se c'è una cosa che la crisi greca sta facendo emergere con chiarezza è che in Europa la Germania domina ma non è egemone. Che sia lo Stato più forte sia politicamente che economicamente è fuori dubbio. Che questa forza si traduca in maggiore potere decisionale all'interno delle istituzioni comunitarie lo è altrettanto. Ma che Berlino non voglia mettersi alla testa di tutti i paesi europei per guidarli nella conquista degli obiettivi comuni è evidente.

L'egemonia di un paese sugli altri si ha quando il primo, consapevole della propria preponderanza politica ed economica, assume un ruolo guida per guidare gli altri nelle battaglie comuni, che altrimenti sarebbero troppo deboli per potere combattere.

Egemonica è quella potenza regionale che si mette alla testa dei Paesi meno forti per guidarli e promuovere quegli interessi condivisi a cui chi è più debole non potrebbe ambire. La crisi greca e quella dell'Unione europea stanno facendo emergere uno scenario antitetico rispetto a quello egemonico: un insieme di Stati in competizione economica e politica l'uno con l'altro che si combattono in nome dei propri interessi particolari. Ogni campagna elettorale europea è incentrata su questioni nazionali, a dimostrazione che non esiste nessun fantomatico elettorato europeo, bensì tanti popoli con storie culture, tradizioni e interessi diverse che vogliono vedere promosse le proprie esigenze. In questo la Germania è uguale alla Grecia. I rispettivi popoli votano la Merkel piuttosto che Tsipras pensando a se stessi. La differenza tra greci e tedeschi è semmai che hanno interessi contrastanti.

In questi giorni stiamo assistendo con sempre più evidenza al fatto che il successo dell'economia sia direttamente proporzionale all'insuccesso di quella greca. La creazione di un mercato unico per tante economie diverse si sta mostrando in tutta la sua fragilità, perché l'unione monetaria non sembra essere in grado di omologare così tante diversità culturali. L'idea di "mandare avanti la moneta così poi arriviamo al resto" tanto in voga negli anni 90 sta lasciando spazio alla convinzione del suo contrario: ossia che la moneta unica, almeno così come è stata concepita e attuata, è diventata il maggior ostacolo al progetto dell'Europa unita.

Senza un'Europa unita, o perlomeno coesa, non ci può essere nessuna potenza egemonica a guidare gli altri, ma solo Stati più forti che si rafforzano ai danni di quelli più deboli. Per questo, di fronte alla crisi, sono tanti i governanti europei che chiedono alla Germania di diventare egemonica per indicare una via alternativa all'euro e creare un'Europa unita. Nonostante la leadership tedesca sia stata più volte sul punto di rispondere positivamente, quella economica e soprattutto il popolo hanno detto un chiaro no.

A differenza di quanto dicono i populisti di tutta Europa, la Germania non ambisce ad essere una potenza egemonica in Europa. Per ovvie ragioni storiche i tedeschi hanno il terrore di essere visti come uno Stato guida e non vogliono prendersi più responsabilità degli altri. Per questo ogni volta che la Merkel assume un ruolo di protagonista attivo nella gestione della crisi greca viene richiamata all'ordine dalla stampa e dall'opinione pubblica, che non esita a paragonarla ai dittatori del passato. I tedeschi sono usciti dalla Seconda Guerra mondiale con una totale indisponibilità a parlare di identità e vedono la Ue come una soluzione a ciò, nel senso che sperano di superare i drammi della propria storia dissolvendo l'identità tedesca in quella europea. Quando però si tratta di assumere un ruolo guida con e per gli altri popoli emerge una assoluta indisponibilità della cultura politica tedesca di giocare questo ruolo. Uno dei problemi più paradossali dell'Unione europea è che il Paese più forte è quello meno disponibile a usare il suo potere. Anche per salvare la Grecia e quindi tutta l'Eurozona.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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