Questi invece sono dementi che sparlano, calunniano e diffamano la GermaniaLa Germania delle meraviglie è come l'isola che non c'èAnna Mazzone - 28 giugno 2013
https://www.panorama.it/news/esteri/ger ... uropa-euro Avete presente quando gli italiani si lamentano dei servizi pubblici obsoleti, delle scuole che cadono a pezzi, delle nuove tecnologie che stentano a decollare? Ecco, immaginate che i tedeschi fanno la stessa cosa e il panorama che si trovano davanti non è poi così lontano da quello dell'Italia.
Incredibile ma vero, verrebbe da dire. Eppure le cifre si commentano da sole. Secondo un recente studio del German Institute of Economic Research (DIW), la Germania non è affatto l'economia trainante dell'Unione europea e, dietro una facciata glamour da superpotenza, nasconde in realtà una struttura fragile, che può deteriorarsi col passare del tempo. La Germania delle meraviglie, insomma, è come l'isola che non c'è di Peter Pan: una favola raccontata ad arte.
Secondo Der Spiegel i tedeschi sono i più risparmiatori del mondo industrializzato e investono poco e niente nel loro futuro. Con le elezioni alle porte il prossimo ottobre, i due principali partiti, la CDU della conservatrice Angela Merkel e l'SPD di Peer Steinbruck, giocano a dire le stesse cose per attirare il voto degli elettori.
Non passa giorno che la Cancelliera non decanti i "successi tedeschi" di una "nazione votata all'export", e dall'altra parte le fanno eco i socialisti che parlano di "un Paese forte" fondato sul "partenariato sociale". Ma, si sa, chi si loda si imbroda, ed ecco che i numeri squarciano il velo su una realtà completamente opposta rispetto a quella tratteggiata dai leader politici.
La Germania è "malata", scrive Der Spiegel, perché ha un'incapacità cronica a investire nel futuro. Nonostante Berlino sia riuscita ad attraversare la crisi economica che ha messo in ginocchio il Vecchio continente, creando più di un milione di posti di lavoro, il risultato di oggi è dovuto a "politiche del passato" e a lunghi anni di sacrifici salariali con la condiscendenza delle forze sindacali. Inoltre, la produttività di questi nuovi posti di lavoro secondo i calcoli dell'Istituto economico tedesco sarebbe pari a zero, e questo a causa proprio della mancanza sostanziale di investimenti.
Usiamo altre parole: se la Germania appare ancora solida agli occhi della comunità internazionale è solo grazie alle sue riserve, ossia a quelle sacche di risparmio che i tedeschi hanno accumulato nell'ultimo decennio. Ma un'economia che mira a mantenersi in forma non si può basare solo sul peso dei correntisti.
Il panorama descritto dalla ricerca dell'istituto di Berlino è desolante. Fabbriche cadenti, università d'altri tempi, un sistema scolastico del tutto inefficace in quanto a formazione della nuova classe dirigente. E poi, la nota dolente dei sistemi di trasporto: ferrovie obsolete, treni non al passo con le nuove tecnologie, viaggiatori scontenti per i ritardi e via dicendo. Insomma, se non lo scrivesse un giornale tedesco verrebbe il dubbio che si stia parlando dell'Italia. Il mito della Germania economicamente imbattibile viene smontato pezzo per pezzo e lo si fa "in casa".
Per Der Spiegel "i ponti tedeschi stanno crollando, industrie e università si stanno deteriorando e non viene speso nemmeno quello che è necessario per la manutenzione del sistema di telecomunicazioni, telefoni in primis". Il risultato di tutto ciò è un impoverimento generale del Paese, come scrivono nero su bianco i ricercatori dell'istituto economico di Berlino.
Se andiamo a guardare le cifre sugli investimenti, ci accorgiamo che la Germania è fanalino di coda dopo la Svezia (che investe il 3.5% del Pil in infrastrutture e servizi), l'Olanda (3.4%), la Francia (3.1%) e la Finlandia (2.6%).
E i numeri delle politiche per l'infanzia sono ancora più sorprendenti. Anche in questo campo la Germania si aggiudica la maglia nera con lo 0.1% di investimenti per la cura e la tutela dei bambini. È superata dall'Italia (0.2%), dalla Francia (0.4%), dalla Gran Bretagna (0.5%), dall'Olanda (0.5%) e dalla Spagna (0.6%).
Secondo gli economisti del DIW, se la Germania avesse investito più in casa invece che all'estero, la sua economia sarebbe più florida e, soprattutto, più solida. E questo, senza bisogno dei numeri, i cittadini tedeschi l'hanno capito da tempo, visto che recenti sondaggi mostrano come la maggior parte di loro propende per l'abbandono dell'euro e il ritorno al vecchio, caro marco.
E sul fuoco di questa insoddisfazione strisciante soffiano i leader populisti di vari schieramenti politici che sono nati come i funghi in tutto il paese e che godono di forti consensi locali. Ma anche alcuni accademici cominciano a voltare le spalle alle politiche rigorose di Angela Merkel, che vede la data delle elezioni di ottobre avvicinarsi sempre più e teme brutte sorprese dalle urne.
Difficile cambiare il vento in così poco tempo. I Piraten attendono la Cancelliera al varco e sognano di bissare i numeri dei grillini in Italia. D'altronde, di questi tempi Roma e Berlino sembrano somigliarsi come non mai.
No, la Germania non è il paradiso: viaggio nel paese che nessuno raccontadi Fabrizio Gatti
2017/04/24
http://espresso.repubblica.it/internazi ... i-1.300187 Manifestazione anti migranti a Dresda
La Germania è il tocco di un guanto di pelle sulla spalla. Ti svegliano così sul sedile dell’Eurocity 86 tra Verona e Monaco di Baviera. «Reisepass?», domanda il poliziotto della Repubblica federale. Poi sfoglia il passaporto e si sofferma sulla foto. L’epoca delle frontiere aperte è davvero finita, non solo per i profughi.
L’uomo in divisa nera chiede i documenti perfino a due ragazzi e alle loro fidanzate biondissime, che stanno rumorosamente chiacchierando nel loro marcato accento bavarese. Forse lo fa giusto per evitare discriminazioni in pubblico: gli agenti italiani, saliti sul treno al confine del Brennero un’ora e mezzo prima, hanno controllato soltanto i passeggeri con la faccia scura. La polizia tedesca sembra molto più attenta al galateo multiculturale: o si controllano tutti i cittadini, o non lo si fa con nessuno.
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A settembre il Paese andrà alle urne e a giocarsela, a differenza del resto d'Europa, saranno i tradizionali centrodestra e centrosinistra con l'uscente Merkel e il socialista Schulz. Il direttore di Die Zeit cerca di spiegare i motivi di questa eccezione
La
Gleichheit
, l’uguaglianza: è il primo filo al quale è appesa la società che Angela Merkel, 63 anni, sta consegnando alle elezioni federali del 24 settembre. Il secondo è la fiducia reciproca. Il terzo la sicurezza economica che, dove non c’è lavoro, è garantita da un sistema di protezione sociale ancora diffuso. Tre fili ben visibili nella vita quotidiana: insieme sostengono l’immagine di un popolo solido e apparentemente unito. Ma sono fili sempre più sottili: una crisi improvvisa, un nuovo attentato jihadista, il risveglio populista li potrebbe spezzare. Lo si nota chiaramente, girando in lungo e in largo questa nazione in cui, secondo dati pubblicati nel 2016, il 15,7 per cento degli ottanta milioni di abitanti è considerato a rischio povertà. E il 14,7 è già povero, con punte del 19 per cento tra i bambini. Da Sud a Est, da Nord a Ovest. Dalle Alpi alla Polonia. Dal Mar Baltico al Reno. Rigorosamente su treni regionali. E qualche Intercity. Oltre tremila chilometri. Questo è il diario di un viaggio sottopelle nel corpo della Germania e dell’Unione Europea.
La Cancelliera di Berlino non è infatti soltanto la donna che governa da dodici anni, leader dell’Unione cristiano democratica, candidata per la quarta volta consecutiva. Angela Merkel rischia di essere l’ultimo robusto sbarramento europeo contro l’avanzata delle destre nazionaliste e sovraniste, a cominciare dalla Francia di Marine Le Pen. E può essere un rischio, sì: perché Frau Merkel è perfino umanamente più concreta di papa Francesco nell’accogliere i rifugiati, ma è più brutale di Margaret Thatcher nel difendere i dogmi economici. La sua dottrina contiene il bello e il brutto tempo. Industria galoppante a Ovest, Stato assistenziale a Est e nelle periferie delle grandi città. Disoccupazione intorno al tre per cento in Baviera e Baden-Württemberg, percentuali mediterranee sopra il dieci in quasi tutte le regioni orientali. La ricchezza media dei tedeschi per ora nasconde bene lo stress. Ma fino a quando reggeranno quei tre fili ai quali sono tutti appesi?
DALLA BAVIERA ALLA POMERANIA
Il viaggio in treno in Germania
del nostro inviato Fabrizio Gatti: dalla Baviera verso nordest, per arrivare a Berlino e attraversare i Länder della vecchia Ddr, quindi risalire fino in Pomerania e da lì discendere lungo la Renania e il Baden-Württemberg
LA CITTA' SENZA PAURA
La stazione Centrale di Monaco è completamente aperta. Non ci sono controlli per accedere ai binari. Non ci sono camionette mimetiche e soldati nelle piazze, intorno alle chiese, davanti ai monumenti. L’attentato del 22 luglio 2016 al centro commerciale Olympia nel quartiere di Moosach sembra avvenuto in un altro mondo: 9 morti e 35 feriti, colpiti dalla pistola di Ali David Sonboly, 18 anni, genitori iraniani, passaporto tedesco, simpatizzante di estrema destra. L’arma con cui poi si è ucciso, Ali David l’aveva comprata da un amico afghano conosciuto in un reparto psichiatrico. Ma gli spari di quel pomeriggio di guerra non hanno scalfito la Vertrauen, la fiducia reciproca a cui partecipano tutti: tedeschi e immigrati.
Noi italiani al confronto viviamo in uno stato d’assedio permanente. Non è solo questione di sicurezza. Non ci sono tornelli, sbarre, cancelli nemmeno per entrare o uscire dalle stazioni sotterranee della metropolitana. Un euro e quaranta il biglietto. E solo una persona ogni venti timbra l’ingresso. Gli altri? Avranno l’abbonamento, o forse no. Ma la fiducia è un collante sociale che vale molto di più di un euro e quaranta centesimi. Così nessuno ferma nessuno. Lo stesso filo riappare agli angoli di qualche strada o nelle piazze. I tedeschi non hanno mai smesso di leggere i giornali. E non dappertutto ci sono edicole. Bastano una scatola di vetro trasparente sul marciapiede, un coperchio sempre aperto, una feritoia per i soldi. Si infilano le monete e si prende il quotidiano. “Bild” costa 90 centesimi. Ma “Frankfurter Allgemeine” 2,70 euro al giorno, 2,90 il sabato, 4 euro la domenica. Chiunque potrebbe prendere il giornale o tutti i giornali senza pagare. Oppure forzare la cassetta e rubare i soldi. Soltanto “Süddeutsche Zeitung”, a pochi passi da Marienplatz, usa un distributore che rilascia una copia alla volta dopo aver infilato gli spiccioli.
Dimostranti protestano contro l'opera...
Dimostranti protestano contro l'opera di un artista siriano a Dresda
La fiducia fa funzionare lo stesso sistema ovunque. Anche in campagna. Al posto dei quotidiani lì vendono prodotti della terra come zucche, sacchi di patate, frutta. Nessun agricoltore si sognerebbe di perdere tempo a fare il commerciante. Bastano un tavolo lungo la strada, un cartello con il listino prezzi e una cassetta: il cliente prende gli ortaggi e lascia il dovuto, senza che nessuno controlli. La sera passa il contadino e ritira l’incasso. Se questo rodato meccanismo sopravvive è perché i furti sono ancora una rara eccezione.
Il sabato sera la Baviera è un viavai di trentenni, quarantenni, cinquantenni in calzoncini corti, calzettoni, bretelle e camicia a quadri. Non tutti indossano i costosi Lederhosen originali in pelle di camoscio. Va di moda la versione casalinga del pantalone vecchio di velluto, tagliato appena sopra il ginocchio. Vestirsi secondo la tradizione piace soprattutto agli uomini. Le donne agghindate con gonnellino e grembiule sono più rare. È anche un gesto politico il loro. Un po’ come se Matteo Salvini si vestisse da Brighella e gli industriali veneti da Pantalon. Alle undici di sera quasi tutti i ristoranti di Monaco hanno già le sedie rovesciate sopra i tavoli per le pulizie. L’Augustiner Klosterwirt, proprio davanti la cattedrale di Nostra Signora, è invece un frastuono di voci, gente in piedi e boccali di birra. Lì dentro tutti, proprio tutti, indossano Lederhosen e camicia a quadri. Camerieri e clienti. Al punto che è difficile distinguere a chi chiedere l’ordine: scambiare un imprenditore bavarese alticcio per il barman non provoca certo risposte amichevoli.
Il desiderio di identità dei tedeschi del Sud ha il suo risvolto con gli immigrati turchi e arabi. La domenica pomeriggio vengono dalla periferia a passeggiare tra i negozi chiusi della centralissima Neuhauser Strasse. Davanti i bambini. Per ultimi i papà. In mezzo, le loro mogli rigorosamente avvolte nello chador nero. E di tanto in tanto qualche niqab, il velo integrale che lascia scoperti soltanto gli occhi.
UNA LAMPEDUSA SUL DANUBIO
Giovani rifugiate dalla Siria e...
Giovani rifugiate dalla Siria e dall'Iraq a una fiera del lavoro a Berlino
Passau, la città al confine austriaco dove confluiscono i fiumi Inn e Danubio, è la porta tedesca della rotta balcanica. Gli accordi con la Turchia e il filo spinato in Ungheria hanno ridotto il flusso di profughi. Quanti ne passano adesso? «Sempre troppi», risponde il poliziotto di pattuglia al marciapiede dove si fermano i treni in arrivo dall’Austria. Ousmane Gaye, 28 anni, è partito da Bamako in Mali, ha attraversato il Sahara e ha chiesto asilo in Germania. La qualità del sistema di accoglienza è dimostrata dal suo tedesco: in appena due mesi di corsi obbligatori, lo parla già discretamente. Stanotte ha lasciato il dormitorio per venire in stazione a raccogliere bottiglie: «Al supermercato c’è una macchina che ricicla la plastica. Per ogni bottiglia ti danno venticinque centesimi», spiega e va a rovistare nei cestini. Solo che ha la pessima idea di attraversare i binari, anziché scendere nel sottopasso. E due agenti, l’uomo di prima e una ragazza, lo bloccano.
L’identificazione va per le lunghe. Proviamo ad avvicinarci. «Mi hanno fermato perché ho attraversato i binari», ammette Ousmane. Bella stupidaggine, attraversare i binari è pericoloso. «No, non è pericoloso», interviene il poliziotto, «è proibito». Le sue parole sono lo spartiacque della vita quotidiana di un tedesco. Non è necessario scomodare l’inflessibilità con cui la Germania mette periodicamente sotto accusa i bilanci di Stato italiani o greci. Basta fermarsi di notte davanti al semaforo pedonale di Karlsplatz a Monaco, all’angolo con il senso unico di Prielmayerstrasse. Non c’è traffico, non arrivano auto, sono solo pochi metri. Davanti al rosso si fermano gruppi di giovani tiratardi. Passare a quest’ora non sarebbe pericoloso. Ma tutti aspettano il verde. Il rigore teutonico costa a Ousmane 25 euro di multa: cento bottiglie da raccogliere e infilare nella macchina mangiaplastica.
L'EREDITÅ DI CARLO MARX
Uscire dalla stazione di Chemnitz è un tuffo nel silenzio. Strade deserte, non si vedono auto né persone, anche se sono le quattro del pomeriggio. Durante la dittatura della Germania Est si chiamava Karl-Marx-Stadt e del periodo conserva la grande statua del filosofo, i casermoni di cemento, i vialoni tipici della megalomania comunista. Mancano però gli abitanti. Il trenta per cento delle case è vuoto. E lo si sente nella mancanza di rumore di fondo. Chi ha potuto, se ne è andato all’Ovest o si è avvicinato ad altre città della Sassonia, come Lipsia e Dresda.
Chemnitz ha due anime. Una è luminosa e per molti irraggiungibile dentro le vetrine dei due grandi centri commerciali, che si fronteggiano sulla piazza del municipio. L’altra è l’anima cupa e disoccupata di Sonndenberg, il vecchio quartiere in cui i fili dell’uguaglianza, della fiducia e della sicurezza economica si sono spezzati da tempo. Superata la sede dei socialdemocratici della Spd e una sala slot-machine, si cammina tra gli isolati dei negozi turchi e arabi. Gli alunni di una classe attraversano il cortile della scuola: su otto bambine, sei indossano il velo. Già in quarta elementare in Germania bisogna decidere cosa fare da grandi: il Gymnasium, il liceo che apre le porte all’università, comincia a dieci anni. E qui in Sassonia si è ammessi soltanto se la media dei voti è almeno due, secondo una scala che attribuisce uno come punteggio massimo e quattro come sufficienza: una selezione che divide la società tra manager e operai fin da piccoli.
Più su in cima alla salita, i caseggiati più vecchi. Giovanissime mamme tedesche escono dai portoni e spingono carrozzine e passeggini. Molte di loro costituiscono famiglie monogenitoriali, mantenute dai sussidi statali. La quantità di piercing, anelli al naso, tatuaggi sulla pelle degli abitanti tradisce il forte bisogno di identità. Questo quartiere popolare nasconde una diffusa rete neonazista. Come se ne incontrano ovunque a Est, alla periferia di Dresda. Oppure nei paesi agricoli tra Schwerin e Wismar, in Meclemburgo-Pomerania Anteriore, il profondo Nord, bacino elettorale della Cancelliera: dove i commercianti mettono in vetrina riviste dai titoli “Califfato Germania” contro l’accoglienza dei profughi musulmani e “Merkel vattene”. A forza di minacce, ratti morti lasciati davanti alla porta e gavettoni di vernice contro le finestre, lo scorso inverno il partito di sinistra “Die Linke” di Chemnitz ha chiuso l’ufficio in Zietenstrasse 53, proprio nel cuore di Sonndenberg. Poco più avanti è apparsa una nuova vetrina con una macabra insegna: un teschio e i numeri otto e uno che nella numerologia estremista coincidono con le lettere H e A dell’alfabeto. Le iniziali di Hitler Adolf.
L'ARRIVO DEL BRUTTO TEMPO
In una calda serata fuori stagione a Gera, nello stato centrale della Turingia, la polizia anticipa di qualche metro il corteo di duecento sostenitori di”Afd - Alternative für Deutschland”. Lungo la centralissima Leipziger Strasse gli agenti fanno rientrare nei loro negozi di alimentari i proprietari e i clienti dall’aspetto arabo o turco, perché i manifestanti non li vedano. Soltanto loro. Anche se abitano tutti a Gera. Come il fruttivendolo libanese a metà della via, residente e contribuente tedesco da oltre vent’anni.
Una scena agghiacciante. Afd, il partito xenofobo, sta riunendo sotto un abbigliamento apparentemente borghese il consenso di “Pegida”, che tradotto significa “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, e dell’Npd, il partito filo nazista: un fronte antieuropeo che raccoglie simpatie e voti dalla costa sul mar Baltico fino ai confini con la Repubblica Ceca, nei distretti berlinesi di Pankow, Marzahn e Treptow-Köpenick, ma anche nei piccoli paesi agricoli ricchi degli stati federali del Sud.
«Fino agli anni Novanta, la Germania era ancora uno Stato che sosteneva l’economia sociale di mercato e l’equità. Per questo avevamo basse disparità di reddito, tanto da avvicinarci ai Paesi scandinavi», spiega il grande giornalista e scrittore Günter Wallraff, 74 anni, che ha raccontato la spregiudicatezza della società tedesca in libri come “Faccia da turco” o “Notizie dal migliore dei mondi”: «Oggi invece, secondo ricerche dell’Unione Europea, soltanto in due Paesi il divario tra redditi alti e bassi aumenta più velocemente che in Germania e sono la Bulgaria e la Romania.
Le crescenti diseguaglianze, la retrocessione della classe media e la campagna contro i profughi minacciano la coesione sociale. Il dieci per cento dei tedeschi possiede i due terzi delle risorse nazionali. Mentre il cinquanta per cento della popolazione si divide soltanto l’uno per cento. Se si tratta di rispettare il semaforo verde, la Germania garantisce la certezza della legalità. Ma far valere diritti più importanti, come scoprono i lavoratori che si rivolgono ai Tribunali, è molto complicato. Nelle industrie tedesche vale la legge del più forte. Se ci fosse più uguaglianza tra classi, partiti come Afd non avrebbero questo consenso».
Il risveglio dell’estrema destra sta provocando una reazione uguale e contraria. Tra Neukölln e Kreuzberg, quartieri multietnici di Berlino, una coppia di omosessuali dovrà cercare casa altrove. Da qualche tempo i vicini, soprattutto turchi, li prendono a sassate ogni volta che li vedono uscire.
Katharina Windmeisser, giovane inviata del settimanale “Bild am Sonntag”, da anni racconta il dramma dei piccoli profughi siriani. Ma i bambini del suo quartiere berlinese a maggioranza musulmana la insultano per strada. Semplicemente perché è bionda: quindi tedesca. «La più grande paura di molti tedeschi oggi», racconta Sascha Rosemann, 39 anni, attore e produttore cinematografico, «è l’aumento degli estremismi sui tutti e due i fronti: antisemitismo, islamofobia, omofobia si mescolano».
Lontano dalle ciminiere fumanti della locomotiva industriale tedesca che per settecento chilometri da Amburgo scende fino Mannheim e Stoccarda, c’è un paese simbolo di queste opposte paure. Lohberg, ex villaggio minerario, oggi quartiere di villini a mezz’ora da Duisburg, ha dato il nome alla brigata di polizia che nello Stato islamico si occupava di interrogatori e torture. La Gestapo di Daesh, l’hanno chiamata: venticinque jihadisti, la più alta concentrazione per numero di abitanti, undici partiti per la Siria, quattro già morti. All’uscita della notizia, per marcare la loro distanza dai musulmani, molti tedeschi di Lohberg hanno piantato in giardino la bandiera oro rossa e nera. E come risposta gli immigrati turchi, operai in pensione mai veramente integrati e i loro figli ancor più nazionalisti, hanno fatto altrettanto con la loro.
Una divisione ridicola, perché perfino la filiale del terrore qui è multiculturale. Philip Bergner, 26 anni, il kamikaze che a Mosul ha ucciso venti persone facendosi esplodere, era tedeschissimo foreing-fighter del paese. Così come lo è suo cugino Nils, 28 anni, diventato collaboratore della polizia dopo l’arresto. Ma ancora oggi camminare sotto i platani silenziosi di Lohberg è un continuo passaggio di confini. Come a Risiko: la Turchia al centro, la Germania tutt’intorno. E quando si cominciano a piantare le bandiere per terra, non si sa mai dove si va a finire.
Ecco perché la Germania non è più la locomotiva d'Europadi Stefano Vastano
2016/03/31
http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... a-1.256279 Il 10 per cento delle famiglie più ricche dispone oggi in Germania di oltre il 60 per cento della ricchezza netta. Il numero dei miliardari è aumentato negli ultimi anni, ma la metà circa dei tedeschi meno abbienti non possiede né una casa né alcun tipo di patrimonio netto. Ed oltre il 15 per cento della popolazione, più di 12 milioni di tedeschi, vive già a rischio povertà. Un quadro fosco, preoccupante dell'economia e della società tedesca quello che traccia Marcel Fratzscher, direttore del prestigioso istituto economico Diw di Berlino, nonché consigliere di Sigmar Gabriel, il ministro dell'Economia della Merkel. Dai dati raccolti in “Verteilungskampf”, il suo libro ora dedicato alla “Lotta per la distribuzione”, emerge una Germania sempre più ingiusta, per niente socialdemocratica, e dilacerata da una serie di gravi diseguaglianze non solo sul fronte dei redditi e delle risorse, ma soprattutto nell'accesso al sistema scolastico e mobilità sociale. “Tante barriere e pregiudizi”, inizia a spiegare il 45enne Fratzscher a “l'Espresso”, “che pregiudicano nella Germania di oggi lo sviluppo in particolare sia delle donne che dei figli nelle famiglie più povere. Diseguaglianze che alla fine frenano la crescita dell'economia tedesca e la democrazia in Germania”.
Eppure, se consideriamo il parametro del Pil, le esportazioni e una disoccupazione al 6 per cento, l'impressione è che l'economia tedesca sia salda e forte...
“Certo, se confrontiamo l'economia tedesca a quella italiana, la nostra oggi sta meglio ed è solida. In Germania abbiamo la metà della vostra disoccupazione; e quella giovanile è tra le più basse in Europa. Il Pil poi quest'anno crescerà dell'1,6 per cento; i salari sono aumentati l'anno scorso del 2 per cento, insieme alla creazione di 400mila nuovi posti di lavoro e a un reddito pro capite che oggi in Germania si aggira sui 40mila dollari. Ma questo è solo un volto dell'economia tedesca”.
L'altro qual è?
“Il fatto che in Germania la metà dei lavoratori ha subito negli ultimi 15 anni una perdita del potere d'acquisto dei salari. Mentre nello stesso periodo in nessun altro Stato europeo il 10 per cento della popolazione più abbiente ha accumulato patrimoni consistenti come qui in Germania. D'altro lato, e nonostante la crisi, negli ultimi 15 anni, l'economia francese è cresciuta del 3 per cento in più rispetto all'economia tedesca, e quella spagnola persino del 10 per cento. E ciò mentre dal 2000 ad oggi in Germania si allargava a dismisura la forbice tra ricchi e poveri, fra redditi alti e bassi e, tanto a sfavore del ceto medio che per le fasce più deboli, si cementavano opportunità di carriera e mobilità sociale. È questa sistematica distribuzione sempre più diseguale ed iniqua dei patrimoni, redditi ed opportunità sociali 'l'altro volto' che di fatto caratterizza oggi l'economia tedesca”.
Analizziamo i patrimoni: com'è distribuita nel 2016 la ricchezza nel Paese della Merkel?
“In nessun altro Paese europeo, le diseguaglianze nei patrimoni sono oggi più marcate che in Germania. Basti pensare che il 40 per cento delle famiglie tedesche non possiede quasi nessun patrimonio netto o, per esempio, che solo il 40 per cento dei tedeschi possiede un immobile. Dall'altro lato della scala sociale invece, registriamo che il 10 per cento dei più ricchi dispone oggi di oltre il 63 per cento del patrimonio netto in Germania. I 'supericchi' tedeschi vantano quindi la maggiore concentrazione di ricchezza in tutta Europa, tanto che nella lista Forbes i miliardari in Germania sono aumentati negli ultimi 15 anni. Con il triste risultato che i forti dislivelli nella distribuzione dei beni e patrimoni rendono la Germania di oggi molto più simile agli Usa”.
In compenso, dal 1990, non c'è mai stato tanto lavoro in Germania e meno disoccupazione...
“Già, ma non dimentichi che, dal 2005, dalle riforme cioè del welfare e del mercato del lavoro, i posti di lavoro precari e part-time sono aumentati notevolmente anche in Germania. Il lavoro sempre più instabile o il 'salario minimo' da 8,50 euro l'ora riguardano persone prive di qualificazione, che non hanno terminato o avuto accesso agli studi; e mostrano quindi la parte della società tedesca esclusa dalla mobilità. Una vera economia sociale di mercato dovrebbe offrire qualcosa in più della precarietà o un assegno di disoccupazione ai più giovani”.
Le donne hanno le stesse chance degli uomini sul mercato del lavoro tedesco o anche in Germania pagano un 'Gender-Gap'?
“Anche rispetto alle donne il mercato del lavoro in Germania è molto più discriminatorio che, ad esempio, nei paesi scandinavi. A pari qualificazione, oggi le donne guadagnano in media in Germania il 39 per cento in meno degli uomini per lo stesso lavoro. Le donne si scontrano con un enorme Gender Gap sul mercato del lavoro tedesco, sebbene alle università, e da anni, abbiano seminato gli uomini”.
Veniamo alla terza diseguaglianza, la mancanza di pari opportunità culturali. Come e quando si manifestano queste barriere nella società tedesca?
“Si manifestano già con il semplice fatto che il 70 per cento dei figli di coloro che hanno una laurea va all'università in Germania, mentre appena il 20 per cento dei figli dei lavoratori arriva ad immatricolarsi. E questo è solo il risultato di una serie di handicap che partono sin dai primi giorni di vita, dagli asilo nido e dal tipo di scuole a cui i figli dei meno abbienti hanno accesso in Germania. Col risultato che oggi chi ha la sfortuna di nascere povero ha molte probabilità di morire povero in Germania”.
Sta dicendo che nel 21° secolo il destino dei lavoratori tedeschi è segnato dai primi giorni di scuola?
“Sto dicendo che per quanto concerne asili nido e scuole a tempo pieno, l'offerta e qualità in Germania sono al di sotto della media dei Paesi-Oecd e delle potenzialità del nostro Paese. Specie nei primi e decisivi 10 anni di vita, i figli delle famiglie più deboli si ritrovano davanti nel percorso scolastico tedesco delle barriere più alte di quelli nati in famiglie più ricche. Ed è proprio da questa diseguaglianza nel libero sviluppo culturale del singolo che sorgono le ricadute più negative per le prestazioni dell'intera economia tedesca”.
È possibile quantificare quanto queste barriere e freni siano sinora costati all'economia tedesca?
“Secondo uno studio dell'Oecd, la forte diseguaglianza nei redditi, patrimoni e nella mobilità sociale ha significato per l'economia tedesca negli ultimi 20 anni una perdita di almeno 6 punti percentuali del Pil. Purtroppo questa 'forbice' sempre più aperta nella distribuzione di redditi e patrimoni non si è spalancata solo in Germania, ma è un trend negativo che segna l'economia e società di tutti i Paesi dell'eurozona”.
Con la differenza che una Germania con un'economia sempre più 'diseguale' frena l'intera Europa...
“Ripeto, anche se l'economia tedesca continua ad esser stabile, la Germania degli ultimi 20 anni di fatto non è stata la locomotiva d'Europa. Uno dei fattori che ha più rallentato l'economia tedesca è per l'appunto la disparità sociale negli accessi alla cultura e la carenza di investimenti nel sistema scolastico“.
L'ideale del “benessere per tutti” predicato negli anni '50 dal ministro e cancelliere Ludwig Erhard è scomparso per sempre dalla Repubblica Federale della Merkel?
“Nella Germania del 2016 si allarga la sacca dei precari e dei 'dimenticati', dipendenti dalle iniezioni di un welfare a sua volta sempre più burocratico ed inefficiente. Già per questo la nostra economia sociale di mercato è fallita da tempo, anche se noi tedeschi siamo troppo orgogliosi per ammetterlo”.
Le cause di questo fallimento, oltre alla forbice dei redditi e alle barriere negli studi, quali sono? Che ruolo hanno le tante piccole e medie aziende a conduzione familiare, i veri Champions del 'made in Germany'?
“Una delle caratteristiche del sistema industriale tedesco sono le tante aziende, alcune all'avanguardia mondiale nel loro settore di nicchia, tradizionalmente a conduzione familiare. Basti pensare che delle 300 più grandi ditte tedesche, oltre 100 sono imprese familiari. Ma la crisi dell'economia tedesca non si risolve certo subissando di tasse le aziende o i più ricchi, ma sbloccando le diseguaglianze che congelano i redditi e le opportunità di carriera del 40 per cento dei tedeschi privi di risorse”.
Il governo di Berlino ha già introdotto il salario minimo, pensioni a 63 anni e 'quote rosa' nei consigli di sorveglianza delle imprese: la cancelliera Merkel fa abbastanza per smantellare le diseguaglianze che minano la produttività tedesca?
“Il governo di Berlino sbaglia limitandosi a distribuire ai tedeschi quei regali elettorali, come la pensione a 63 anni, a chi ha potuto versare contributi per 45 anni. In Germania occorre prima di tutto investire molto di più in cultura e nei sistemi scolastici. Soprattutto poi nelle infrastrutture di un Paese rimasto per 20 anni fermo e che ora rischia di perdere in competitività. Da questo punto di vista è curioso che il governo di Berlino sproni tanto spesso voi italiani a realizzare quelle riforme strutturali che scorda poi di realizzare qui in Germania!”.
Il pareggio di Bilancio predicato instancabilmente dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble servirà a risolvere le diseguaglianze nella vostra economia e società?
“L'ossessione dello 'schwarze Null', dello Zero nei conti dello Stato è un obiettivo a cui mirare se la congiuntura tira. Lo Stato deve cioè abbattere i debiti quando l'economia fila. Ma non è certo un fine in sé, né un feticcio a cui immolarsi nei tempi di crisi, in cui invece congiuntura ed economia vanno sostenute. Come in questo momento in cui è urgente integrare un milione di profughi nel mercato e società tedesca. Anche per questo sono ora urgentemente necessari più investimenti in cultura ed infrastrutture, se non vogliamo che le paure dei tedeschi aumentino e con loro l'avanzata di populisti e demagoghi”.
Europa, il vero nemico dell'euro è la GermaniaCesare Sacchetti
Zonaeuro | 13 maggio 2016
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/0 ... ia/2723188Le cronache dell’eurozona di questi giorni hanno individuato il principale responsabile della crisi dell’Unione Monetaria: la Germania. Difatti è da diverso tempo a questa parte che si susseguono editoriali e puntuali analisi sullo stato della crisi dell’euro, e sul perché mai non si riesca a trovare una via d’uscita percorribile congiuntamente dagli stati membri. Non può esserci una soluzione condivisa per il semplice fatto che lo stato dell’arte attuale, permette alla Germania di difendere il primato commerciale ed economico costruito in questi anni. Il surplus delle partite correnti tedesco è stato solamente nel 2015 di ben 275 miliardi euro, l’8,8% del Pil della Germania, mentre nel mese di marzo di quest’anno ha già raggiunto la cifra di 30 miliardi di euro. La Germania continua ad esportare, e a comprimere la propria domanda interna per poter difendere e aumentare ancora di più quell’enorme surplus. Ma le regole dell’identità contabile insegnano che se c’è un surplus da un lato, dall’altro deve necessariamente esserci un deficit. E questa regola trova esattamente conferma nelle dinamiche dell’eurozona.
Il necessario riequilibrio di questi disallineamenti dovrebbe passare per un trasferimento di fondi, pertanto parte di quel surplus dovrebbe essere utilizzato per sostenere le esportazioni degli altri paesi membri, e reinvestito nelle stesse aziende tedesche, possibilmente per aumentare il livello dei salari. Il centro dovrebbe seguire questo schema per sostenere la debole domanda della periferia, ma tutto questo non avviene, perché la Germania non ne vuole sapere di cedere il suo bonus di competitività a vantaggio degli altri paesi europei, e si rimane confinati in questo limbo, dove il nord attribuisce le colpe della debole ripresa al sud e alle sue errate politiche di gestione dei bilanci pubblici. Da questo nasce la richiesta tedesca di proseguire sulla strada delle riforme strutturali ai paesi del sud Europa, ma come brillantemente spiegato dalle stesse fonti della Bce, queste non sortiscono alcun risultato nella ripresa della domanda interna, né aiutano in alcun modo a risollevare la debole inflazione che continua a far registrare un segno negativo.
Come sottolineato da Martin Wolf sul FT, è questa situazione di stallo che mette a rischio l’euro, ed è soprattutto l’ostinato egoismo della Germania a mettere a dura prova la possibilità di passare alla fase successiva dell’unione fiscale e monetaria dell’Ue. L’ordoliberismo è stato il marchio di fabbrica del Trattato di Maastricht, ovvero un vero e proprio vestito su misura dell’economia tedesca che già ai tempi della Cee ricorreva a politiche commerciali aggressive nei confronti dei suoi avversari. La flessibilità del cambio era lo strumento che consentiva ai paesi del sud di difendersi dall’egemonia commerciale tedesca, e allo stesso tempo permetteva ad economie strutturalmente diverse da quelle della Germania, di essere competitivi sui mercati senza ricorrere a pratiche di deflazione salariale di scuola neoliberista.
Ora la posizione della Germania è stata messa nel mirino da più osservatori, un tempo piuttosto distratti sul surplus tedesco, e se ne arriva a chiedere persino il sanzionamento, come del resto previsto da Maastricht, che fissa il limite dell’avanzo commerciale al 6%. Quello che appare chiaro, dalle dichiarazioni dei protagonisti e dei falchi tedeschi, è che la Germania non ha la minima intenzione di cedere di un millimetro su questa linea. Ed è la linea imposta da Weidmann, presidente della Bundesbank, che riversa le responsabilità del fallimento del Qe su Mario Draghi, accusato di azzerare il rendimento dei risparmi tedeschi con le sue politiche di tassi bassi, quando è proprio l’eccessivo livello del risparmio tedesco a impedire sul nascere qualsiasi possibilità di ripresa dell’eurozona.
Se la Germania volesse davvero stimolare la ripresa degli altri paesi, dovrebbe necessariamente aumentare la propria domanda interna, e sostenere così le esportazioni dei suoi concorrenti. Ma è un’ipotesi di pura scuola al momento, perché “non c’è spazio per la solidarietà” come affermato dallo stesso Weidmann che si è affrettato a chiudere la porta anche alla possibilità dei trasferimenti fiscali. A questo punto appare chiaro che non esiste una forza politica ed economica, in Europa, in grado di contrastare lo strapotere tedesco, e non è affatto da escludersi un intervento esterno di Washington per portare il gigante tedesco a più miti consigli. Proprio recentemente il Tesoro americano ha stilato una lista dei paesi che praticano politiche commerciali aggressive, in grado di mettere a rischio la tenuta e la stabilità economica degli altri paesi.
In questa lista c’è la Germania, che è stata messa nel mirino dagli Usa da diverso tempo, perché le sue resistenze a qualsiasi tipo di cambiamento mettono a rischio l’euro e tutta l’Ue. Le conseguenze potrebbero rivelarsi serie per le esportazioni tedesche, con disdette di contratti e sanzioni economiche americane verso la Germania. Alla Casa Bianca, da tempo, non fanno mistero di non gradire il comportamento tedesco, e di certo non sarà tollerata una ribellione che metta a rischio l’integrazione europea. Gli avvertimenti ricevuti fino ad ora, si veda il caso VW, sono stati ignorati dai vertici politici tedeschi, e non è ardito prevedere che a breve ci sarà un nuovo scontro tra Usa e Germania. Il giudice di Berlino potrebbe essere presto giudicato a sua volta dal giudice di Washington.