Ci si liberi dal senso di colpa del colonialismo Gli europei o i bianchi europei che nei secoli passati hanno colonizzato l'Asia e l'Africa o che le hanno invase con il loro imperialismo politico militare sono stati quasi tutti cacciati, espropriati e sterminati; il Sudafrica è uno degli ultimi esempi, nonostante i bianchi europei colonizzatori del Sudafrica abbiano rinunciato al loro dominio politico consentendo ai neri africani di partecipare e concorrere alla sovranità politica nella gestione del paese e dello stato gli africani del Sudafrica come in quasi tutti gli altri paesi del continente nero maltrattano i bianchi e molti di loro hanno ritenuto e ritengono che i bianchi debbano essere espropriati, cacciati o sterminati.
Per il principio di reciprocità gli africani non possono che aspettarsi lo stesso trattamento e nessunissimo riguardo.
L'imperialismo coloniale così terminato non può quindi essere assunto come scusa, giustificazione e pretesto per l'invasione degli africani in Europa.
I bianchi europei, i cristiani europei, gli stati europei odierni non hanno più alcuna responsabilità e non vi è ragione che debbano sentirsi in colpa verso l'Africa e gli africani; non ne hanno per l'instabilità e i regimi politici indigeni disumani dell'Africa, per le carestie e le epidemie che falciano le sue popolazioni, per i problemi causati dalla sovrapopolazione in molti paesi del continente.
Nemmeno le multinazionali europee del petrolio, minerarie, del legno e agricole sono responsabili dei regimi politici autoritari, dei conflitti etnici, delle crisi sociali, delle carestie, delle problematiche derivanti dalla sovrapopolazione, del sottosviluppo economico endemico e di tutti i mali che affliggono l'Africa. Possono avere qualche responsabilità indiretta locale tipo l'inquinamento o la disoccupazione allo stesso modo che ce l'hanno ovunque nel mondo e nella stessa Europa, tutte questioni che vanno risolte localmente in Africa nei paesi africani, con i loro stati e con le loro popolazioni.
Le problematiche africane dovute alle carestie naturali, ai regimi politici, al tribalismo, ai conflitti etnici e religiosi, alla sovrapopolazione, alle difficoltà e alle crisi economiche non sono responsabilità e non riguardano direttamente l'Europa e pertanto il peso non va scaricato assolutamente sugli europei.
La solidarietà umana dell'Europa e dei suoi paesi, caso mai può esserci solo se volontaria e se non crea problemi ai cittadini europei.
Quindi anche la migrazione socio-economica e l'asilo politico e umanitario vanno trattati alla luce di queste ed altre considerazioni tra cui la sicurezza socio politica, la compatibilità culturale e religiosa, le possibilità economiche e finanziarie.
Non ha alcun senso universale deprivare il propri cittadini, i propri famigliari, la propria gente per aiutare altri che magari sono solo profittatori, parassiti e criminali travestiti da bisognosi.
Colonizzazione e decolonizzazioneviewtopic.php?f=194&t=1822 All'Africa e agli africani non dobbiamo nullaviewtopic.php?f=194&t=2494L'esperta di Africa smonta le balle di Boldrini e Ong: "Ecco chi sono davvero gli immigrati che vengono in Italia"7 Agosto 2017
di Alessandro Giorgiutti
http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... alia-.htmlTracciare l'identikit dell' immigrato che arriva in Italia attraverso il Mediterraneo vuol dire confutare parecchi luoghi comuni. Ha i titoli (e il coraggio) per farlo Anna Bono, dodici anni di studi e ricerche passati in Kenya, già docente di Storia e Istituzioni dell' Africa all'Università degli Studi di Torino, recente autrice del saggio Migranti!? Migranti!? Migranti!? edito dalla friulana Segno.
Da dove partono gli immigrati che sbarcano nel nostro Paese?
«Soprattutto dall'Africa subsahariana, in particolare dall'Africa Occidentale. Nigeria in testa, seguita da Senegal, Ghana, Camerun e Gambia. Africa a parte, un numero consistente viene da Bangladesh, Afghanistan e Pakistan. Siriani e iracheni in fuga dalla guerra sono una minoranza».
Si può farne un ritratto?
«Quasi il 90% sono maschi, hanno perlopiù dai 18 ai 34 anni, con una percentuale importante di minorenni (stando almeno alle dichiarazioni al momento dell' arrivo). E viaggiano da soli. Pochissime sono le famiglie, a differenza di quanto accade per siriani e iracheni».
Quali sono le loro condizioni economiche?
«Per affrontare un viaggio clandestino - clandestino, va precisato, dalla partenza all'arrivo, e non soltanto nell'ultimo tratto via mare - bisogna affidarsi ai trafficanti. I costi sono elevati, nell'ordine delle migliaia di dollari. Ecco perché a partire sono persone del ceto medio (ormai più o meno un terzo della popolazione africana) con un reddito discreto».
Ma se hanno un reddito discreto perché partono?
«In Africa c'è una percentuale di popolazione giovane convinta che l'Occidente è talmente ricco che basta arrivarci per fare fortuna».
E non li frenano i rischi del viaggio, la paura di morire prima di arrivare a destinazione?
«Non so quanto sia chiara in Africa la consapevolezza di questi rischi. E in effetti un modo per diradare il flusso di partenze sarebbe promuovere campagne informative in loco sui pericoli e i costi del viaggio, e su cosa ci si deve aspettare una volta arrivati in Europa, in termini di disoccupazione giovanile e reali opportunità d' impiego. C'era un senegalese che aveva una mandria di mucche e dei tori. Tutto sommato una buona posizione. Ha venduto tutto per venire in Europa ed è morto in mare. Ma se anche ce l'avesse fatta, uno come lui, un semplice possidente, senza esperienze lavorative e senza conoscere la lingua, quale lavoro avrebbe potuto fare?».
Chi dà queste informazioni sbagliate sull'Europa?
«C'è un'immagine positiva dell'Europa veicolata dai mass media. Ma pesano anche altri fattori. Gli europei, agli occhi dell'africano medio, sono tutti ricchi. L'europeo è il turista che frequenta alberghi di lusso, oppure il dipendente dell'azienda occidentale che frequenta buoni ristoranti, ha una bella casa, l'automobile, magari l'autista. C'è poi un altro elemento.
Da decenni in Africa arriva dall'Occidente di tutto: medicine, cibo, vestiti. Le Ong scavano pozzi e costruiscono (ottimi) ospedali. Tutto gratis. Questo contribuisce all'idea di una prosperità senza limiti dell'Occidente. Per concludere, c'è il ruolo dei trafficanti, che per alimentare il loro business hanno tutto l'interesse ad illudere le persone sul futuro roseo che troveranno in Europa».
Non esiste una controinformazione?
«In Mali dal 2014 il governo tenta una campagna di sensibilizzazione, anche con cartelloni nelle città, per far capire ai giovani che l'emigrazione non è una soluzione. Altri governi fanno lo stesso. E le conferenze episcopali locali organizzano incontri con i ragazzi per dissuaderli dal partire, presentando le testimonianze di chi è tornato indietro. Un lavoro non semplice, ma i governi europei potrebbero collaborare, magari promuovendo spot o finanziando alcune iniziative. Anche se poi, se un giovane si mette in testa di partire. Lo scorso settembre è partita dal Gambia una ragazzina di 19 anni: era il portiere della nazionale femminile di calcio. È annegata nel Mediterraneo. Chi la conosceva era sconvolto: quella giovane donna aveva realizzato in patria il sogno di molte ragazzine, eppure se ne era andata lo stesso, senza dir niente a nessuno. Sempre dal Gambia, a novembre è partito un famoso wrestler. Anche lui è morto in mare. Eppure guadagnava bene, e aveva ammiratori anche fuori confine, in Senegal. Si vede che qualcuno gli avrà messo in testa che, se in Gambia era famoso, in Europa sarebbe diventato milionario».
Le istituzioni internazionali vedono un'economia africana in forte crescita.
«Da oltre vent'anni il Pil continentale cresce a medie altissime. Nel 2017 la crescita media sarà del 2,6%. Grazie al petrolio, l'Angola ha conosciuto picchi del 17% e vanta un record di crescita del Pil tra il 2003 e il 2013 di quasi il 150%. Ma la crescita economica di per sé non coincide con lo sviluppo. Scarseggiano ancora gli investimenti in settori produttivi, infrastrutture, servizi».
Cosa frena lo sviluppo?
«Prima di tutto la corruzione, presente a tutti i livelli sociali, non solo al vertice, che fa sprecare risorse enormi. Pensi che nel 2014 in Nigeria l'ente petrolifero nazionale avrebbe dovuto incassare 77 miliardi di dollari, invece ne ha incassati solo 60. I governi, inoltre, hanno puntato per convenienza politica su una crescita eccessiva del settore pubblico. A tutto questo si accompagna il tribalismo, altro freno allo sviluppo».
È giusto dire «aiutiamoli a casa loro»?
«Ma l'Occidente già lo fa: da decenni trasferisce grandi risorse finanziarie, umane e tecnologiche in Africa. Gli aiuti alla cooperazione internazionale nel 2015 hanno toccato i 135 miliardi di dollari. Ma la Banca Mondiale qualche anno fa, parlando della Somalia, aveva calcolato che su ogni 10 dollari consegnati alle istituzioni governative, 7 non arrivavano a destinazione».
Abbiamo parlato della maggioranza degli immigrati. C' è poi la minoranza di chi fugge da guerre e dittature.
«Su 123 mila domande di status di rifugiato nel 2016 ne sono state accolte 4.940».
Da dove arrivano?
«Dalla Somalia, in preda alla guerra civile. Dall'Eritrea, dove c'è una delle dittature peggiori del pianeta. Un po' dal Sudan. Ma in realtà dalle zone più in difficoltà non arrivano tante persone. Dal Sudan del Sud, in guerra dal 2013, arrivano in pochissimi. Dalla Repubblica Centrafricana e dalla Repubblica Democratica del Congo non arriva praticamente nessuno. Quanto alla Nigeria, gli immigrati partono dal Sud, dove non ci sono pericoli, e solo pochissimi dal Nord Est, dove imperversa Boko Haram».
Come si spiega?
«La maggior parte dei profughi non vuole allontanarsi troppo da casa, dove spera di tornare. Chi fugge dalla guerra in Somalia, per esempio, si sposta in Kenya o in Etiopia, e ci pensa bene prima di allontanarsi di più. Insistere sulla integrazione dei rifugiati significa dimenticare che chi scappa dalle bombe chiede una protezione temporanea. Centinaia di migliaia di profughi iracheni e siriani stanno tornando o sono già tornati alle loro case. Emblematico il caso di Mosul: non era ancora stata liberata del tutto dall'Isis, gli abitanti scappavano ancora da alcuni quartieri, ma già nelle aree sicure rientravano alcuni sfollati».
La sorprendono le notizie sulle complicità Ong-scafisti?
«Per niente. La prassi era nota da mesi. Indicativa è la qualità dei nuovi gommoni usati dagli scafisti: dovendo fare un percorso molto più breve di un tempo, si usa materiale di pessima qualità proveniente dalla Cina. Dopo il trasbordo degli immigrati, il gommone viene gettato via. Si conserva solo il motore, che poi si usa per altri gommoni».
Marokviewtopic.php?f=188&t=2642 Cristiani in Maroccoviewtopic.php?f=199&t=2544È sempre colpa dell’uomo bianco?Il dolorismo è la nuova religione di un occidente (e una chiesa) vittima del senso di colpa. E anche i laici balbettano omelie ecclesiali, felici di sottomettersi ai barbari
di Pascal Bruckner | 07 Agosto 2016
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/08/0 ... e_c391.htm L’odio di sé avanza in tutto l’occidente sotto attacco. Ripubblichiamo alcuni stralci del libro dell’intellettuale francese Pascal Bruckner “Il singhiozzo dell’uomo bianco”, pubblicato nel 1984 (Guanda). Istruzioni per l’uso contro le nuove prosternazioni.
A priori pesa su tutto l’occidente una presunzione di delitto. Noi europei siamo stati allevati nell’odio di noi stessi, nella certezza che vi fosse, in seno al nostro mondo, un male congenito che reclamava vendetta senza speranza di remissione. Questo male può riassumersi in due parole, il colonialismo e l’imperialismo, e in poche cifre: le decine di milioni di indiani eliminati dai conquistadores, i duecento milioni di africani deportati o scomparsi nel traffico degli schiavi, infine i milioni di asiatici, di arabi, di africani uccisi durante le guerre coloniali e poi nelle guerre di liberazione. Schiacciati sotto il peso di questi ricordi infamanti, siamo stati indotti a considerare la nostra civiltà come la peggiore, mentre i nostri padri si sono creduti i migliori. Nascere dopo la Seconda guerra mondiale, significava acquisire la certezza di appartenere alla feccia dell’umanità, a un ambiente esecrabile che, da secoli, in nome di una pretesa avventura spirituale, opprime la quasi totalità del globo. Un continente che non finiva mai di parlare dell’uomo mentre lo massacrava in tutti gli angoli del pianeta, un continente basato sul saccheggio e sulla negazione della vita, meritava soltanto d’essere a sua volta calpestato. Il mondo intero accusa l’occidente, e molti occidentali partecipano a questa campagna: la nostra responsabilità viene affermata con indignazione, con disprezzo. Nessun discorso sul Terzo mondo può concludersi o cominciare senza che riecheggi questo leitmotiv: l’uomo bianco è malvagio.
Che cosa ci rimane, a noi figli e nipoti dei barbari che hanno depredato terra e mare? Fare sempre e dappertutto il nostro atto di contrizione. “Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti, per tutto e dappertutto, e io più degli altri” (Dostoevskij), tale è la nostra più intima convinzione. Il sangue versato ricade su di noi e nulla, ci sembra, può riscattare l’infamia commessa, nessun compenso ristabilire l’equilibrio rotto dall’offesa coloniale. Tutti i nostri titoli di gloria, secoli di sforzi, di calcoli, di perfezionamenti, di imprese, di eroismo, che avevano fatto regnare una certa forma di saggezza umana, sono stati spazzati via, ridotti a zero: sapere che questa fioritura artistica o tecnica era legata a una egual dose d’ignominia, ci ha scoraggiati dall’accettarla o dal riprenderla. Così la svalutazione del messaggio europeo è diventata un codice comune a tutta l’intellighenzia di sinistra dopo la guerra, proprio come l’odio del borghese è stato in Europa, dopo il 1917, un autentico passaporto intellettuale, quando nessun articolo poteva giustificarsi senza un’invocazione rituale al proletariato messianico e un ostentato disgusto per i possidenti. L’indipendenza delle antiche colonie ci lascia tuttavia una possibilità di riscatto: impegnarci a fianco dei popoli in lotta, aiutare sempre e dappertutto il sud a distruggere il vitello d’oro occidentale.
Così la nascita del Terzo mondo come forza politica ha generato una nuova categoria: il militantismo espiatorio. In che modo l’odio di sé sia divenuto il dogma centrale della nostra cultura, è un enigma di cui la storia d’Europa è feconda. E’ strano infatti che nel secolo dell’ateismo militante, pensatori agnostici che hanno aguzzato il loro ingegno nella lotta contro le chiese e le loro dottrine ci abbiano riconciliati d’altra parte con la nozione che è alla base stessa del cristianesimo: il peccato originale. Mentre nei costumi e nel pensiero si verificava un formidabile rivolgimento dei valori – il rifiuto delle immagini di autorità, lo smantellamento degli idoli e dei tabù – , la morte di Dio e del Padre si univa – Sartre ne è l’esempio magistrale – a un rafforzamento della cattiva coscienza, come se una società che aveva eliminato perfino l’idea del peccato preparasse la via regia al senso di una colpevolezza generale. Il quale costituisce il prezzo da pagare per appartenere all’Europa vittoriosa, che per un momento ha trionfato sul resto del mondo. Perché la politica moderna ha cessato senza dubbio d’ispirarsi al cristianesimo, ma le sue passioni sono quelle del cristianesimo. Viviamo in un universo politico impregnato di religiosità, ebbro di martirologia, affascinato dalla sofferenza, e i discorsi più laici sono, quasi sempre, soltanto la ripresa o il balbettamento in tono minore delle omelie ecclesiali. Che una tale brama di “dolorismo”, che un tal gusto per la figura dell’oppresso in genere possano coesistere con un anticlericalismo ancora virulento non è, quindi, che un paradosso secondario
Il terzomondismo accredita una visione manichea, la quale vorrebbe che il peccato degli uni testimoniasse indefinitamente a favore della grazia e della virtù degli altri. La povertà spirituale di certi movimenti di liberazione, gli slogan più sommari dei loro capi sono quindi gonfiati a dismisura come altrettante parole del Vangelo, mentre il rigore intellettuale, la logica, l’educazione, monopolio dei paesi ricchi, sono respinti come diabolici stratagemmi dell’imperialismo. Le più insignificanti insurrezioni, le più trascurabili rivolte contadine, hanno diritto a una risonanza enorme, sproporzionata in rapporto alla loro importanza reale; si santifica l’ignoranza, il settarismo dei capibanda tropicali, si glorifica la marcia degli splendidi asiatici chiamati a distruggere la civiltà europea, insomma le più grandi follie sono portate alle stelle da alcuni spiriti eletti, ben felici di sottomettersi a un’autorità primitiva, di prosternarsi “davanti allo splendore d’una sana barbarie. Secondo questo principio, tutto ciò che innalza, loda, celebra l’occidente è sospettato delle peggiori infamie; in compenso, la modestia, l’umiltà, il gusto dell’autodistruzione, ciò che può spingere gli europei a eclissarsi, a rientrare nei ranghi, è onorato, salutato come altamente progressista. La regola aurea di questo masochismo è semplice: ciò che viene da noi è cattivo, ciò che viene da altri è perfetto. Insomma, si concede sistematicamente un premio di eccellenza agli ex colonizzati. Ama i tuoi nemici: mai la nostra epoca miscredente, negli anni Settanta, ha seguito così fedelmente la parola del Cristo.
La religione della simpatia compassionevole che dimostriamo a gara verso tutto ciò che vive, soffre e sente, dal contadino del Sahel al cucciolo di foca, passando per il prigioniero di Amnesty International e gli animali da pelliccia, scuoiati per scaldare le spalle delle nostre elegantone. L’esaltazione degli istinti di benevolenza, “oralità istintiva che non ha cervello ma sembra esser composta solo da un cuore e da mani soccorrevoli” (Nietzsche), queste lodi cantate giorno e notte dai media, dalla stampa, dagli uomini politici, dalle personalità letterarie o artistiche, affondano direttamente le loro radici nel cristianesimo più imbastardito. Questa religione per afflitti dice che bisogna patire la vita come una malattia. Finché ci saranno uomini che rantolano, bambini che soffrono la fame, finché le prigioni saranno piene, nessuno avrà il diritto di essere felice. Si tratta di un imperativo categorico che c’impone il dovere di amare l’uomo impersonale, e, di preferenza, l’uomo lontano. Proprio come Gesù diceva che i poveri sono i nostri maestri, i terzomondisti fanno della miseria dei paesi meridionali una virtù da prendere a modello. Si amano i tropici per le loro pecche e le loro lacune, la carestia e il male sono al tempo stesso sottilmente combattuti e valorizzati; è un’ambiguità temibile da cui la chiesa cattolica non è mai uscita, ma che contamina allo stesso modo tutte le organizzazioni assistenziali nel Terzo mondo.
Come non sentirsi giudicati sul metro di un martirologio sublime, non sentirsi ignobili e nocivi di fronte a questo grande tribunale della tragedia, che celebra i suoi fasti nell’angusto perimetro dell’apparecchio televisivo o della colonna di giornale? Un Golgotha di sofferenze ci contempla, noi siamo i complici diretti di un sistema economico che saccheggia le risorse dei più sprovveduti. Davanti a questi crimini, ogni spettatore deve dirsi: “Goebbels, sono io!”. Per convincere i cuori reticenti, i media non indietreggeranno davanti a nulla: all’enormità dell’accusa – siete peggio dei nazisti! – si aggiunge l’enormità di quanto viene mostrato. Nessun pudore trattiene la cinepresa; l’orrore non tollera censura, ogni immagine deve avere la sconvenienza di un limite varcato nell’angoscia. Si fa appello all’inaudito, al mai visto, e anzi ve ne fanno vedere anche un po’ di più. Carestie, inondazioni, terremoti vengono riprodotti all’istante per le cineprese: catastrofi fissate su Polaroid. Una catena ininterrotta di immagini va da quelli che mettono in scena la morte degli altri al pubblico del mondo intero, e questa catena dà a tutti il diritto di vedere tutto. Ma favorendo una soltanto delle nostre pulsioni: il voyeurismo. E poiché ci si immagina che, per scuotere gli animi, occorre uno spettacolo sempre più crudo, si aprono all’avidità dello sguardo territori in cui nessuno era penetrato, si punta l’obiettivo su mutilazioni, torture, malattie ancora inedite sullo schermo. La semplice vista di bambini dal ventre gonfio non vi basta? Vi mostreranno questi stessi bambini ridotti a scheletri. Ancora nessuna reazione? Eccoli ridotti a un mucchietto d’ossa e di pelle. Ecco sangue, ferite, ulcere purulente, croste di pus, viscere traboccanti, organi strappati…
Solo la dismisura è in grado di commuovere il pubblico e di interessarlo a questi problemi. E se l’apatia persiste, vuol dire che, così si crede, le immagini non sono abbastanza spettacolari: quindi non vi saranno limiti all’asta degli orrori. Così si produce l’inevitabile perversione dello sguardo: prendiamo gusto al gioco, ne vogliamo sempre di più, la nostra soglia di tolleranza non cessa di aumentare; non chiediamo più di essere commossi, ma sorpresi: ogni volta ci occorre qualcosa di più piccante nell’abiezione. Il valore d’urto di un’informazione è indipendente dalla verità dei suoi termini. L’improbabile, l’enorme saranno considerati sempre meglio del verosimile. Conta solo l’impatto e non l’influenza. Non ci preoccupiamo più di sapere se quelle foto riguardano esseri reali, le vogliamo soltanto più speziate. E vinca la peggiore.
Nella storia biblica della cacciata dal paradiso terrestre, c’erano quattro personaggi: l’uomo tentato, la femmina tentatrice, l’animale tentatore e la cosa tentante. Più due mediazioni: dal serpente alla donna, poi dalla donna ambasciatrice del peccato all’uomo. Storia semplice, rispetto ai molteplici travestimenti che l’occidente utilizza per circuire e sedurre il casto Terzo mondo: il male europeo è multiforme, di volta in volta pornografia, rock, gadget, jeans, droghe, bevande gassate, tecnologia, turismo, denaro: Satana è legione, ha cento maschere, cento travestimenti per sedurre l’oasi primaverile. Da qui la sfumatura d’indefinibile rimpianto con cui accogliamo la normalissima maturazione delle nazioni che entrano nel ciclo delle prove d’iniziazione alla vita politica; da qui anche la nostra collera contro il sacrilego corruttore, il mondo industrializzato, che affretta l’evoluzione smaliziando prematuramente l’umanità innocente.
Così, per spiegare i disastri, la repressione, la corruzione, il nepotismo, la stagnazione che imperversano nell’emisfero sud, si ricorre a questo concetto magico fra tutti: il neo colonialismo. Poiché l’Europa ha lasciato i suoi possedimenti solo per installarvisi meglio, tocca a lei assumersi gli errori e gli sbagli che vi si commettono. Mirabile cortocircuito: di nuovo, il presente non è che un duplicato del passato, e l’antica invettiva può avere libero corso: nelle prigioni iraniane, siriane, algerine si pratica la tortura? E perché i loro agenti “sono gli allievi dei nostri poliziotti” (Claude Bourdet). Lo sciismo s’irrigidisce in un fondamentalismo oscurantista? E’ perché “le ‘soluzioni’ dell’occidente hanno fatto fallimento” e condannano certi paesi all’integralismo (Roger Garaudy). La miseria avanza a grandi passi: naturalmente, a causa delle multinazionali e del loro svergognato saccheggio. Sempre per spiegare l’analfabetismo, le epidemie, le guerre, la decadenza del tenore di vita, il dispotismo dei nuovi padri del popolo, si invocano i colonialisti francesi, gli imperialisti americani, i dominatori inglesi, gli affaristi olandesi, tedeschi o svizzeri, perché in tutto il globo ci sono soltanto due tipi di paesi: i “paesi malati” e i “paesi ingannati” (Roger Garaudy). Insomma, invece di tener conto dei fatti, di cercare le cause determinanti, si prediligono le cause remote che esonerano da ogni responsabilità gli stati tropicali: istigatore universale, il neocolonialismo diventa così il mezzo per accantonare in perpetuo i veri problemi.
Laggiù, in Francia, nello stesso momento in cui innaffiavate le piante o sorseggiavate un caffè, la televisione vi mostrava bambini dilaniati dalle mine, oppositori politici torturati, profughi ammassati sulle giunche che affondavano con tutti i loro beni, vittime di una tempesta o dei pirati che li colavano a picco dopo averli taglieggiati. Potevate credere che fosse una finzione, e bastava premere un bottone per far cessare quelle scene d’incubo. Ma qui, la miseria impregna i muri, l’aria che si respira, l’orizzonte che si abbraccia, forma la sostanza stessa della città. Gli alberghi più lussuosi, le ville meglio custodite sono cittadelle dotate di un privilegio transitorio, circondate dalla sporcizia e dall’infelicità. E, ogni momento, vi aspettate di vedere la porta della vostra camera aprirsi per lasciar passare una teoria di sciancati, di straccioni famelici, di donne miserabili, pronti a occupare lo spazio che la vostra prosperità vi attribuisce indebitamente.
Il fardello e le colpe dell'uomo biancoVittorio Guillot, 16 febbraio 2015
http://www.algheroeco.com/il-fardello-e ... omo-biancoDopo aver sentito i sanguinari proclami dell’Isis penso che sia concreta la minaccia di una invasione dell’Europa da parte degli islamici. Del resto Boumedienne, presidente dell’Algeria, circa 50 anni fa, disse che gli arabi ed i musulmani, essendo poligami e molto più prolifici degli europei, avrebbero invaso l’Europa con l’immigrazione più o meno pacifica.
D’altra parte la pressione arabo-musulmana verso l’Europa è stata costante fin dall’alto Medioevo e fu fermata solo nel cuore della Francia, a Poitiers, nell’ 8° secolo mentre i turchi nel 17° secolo, furono sconfitti addirittura a Vienna. Ricordo che anche la Sicilia e, per un breve periodo, parte della Sardegna, furono invase dagli arabi e che solo nel 1830 l’occupazione colonialista dell’Algeria da parte della Francia pose fine alle incursioni dei pirati barbareschi lungo tutte le coste del Mediterraneo.
Comunque non esito ad affermare che anche i ‘bianchi’, nei luoghi che conquistarono, compirono molti genocidi degni del peggiore nazismo e terribili crimini contro l’umanità simili a quelli comunisti. Il generale USA Sherman, per esempio, diceva che ‘l’indiano buono è l’indiano morto’. I suoi connazionali lo presero in parola, deportarono i nativi americani, li rinchiusero in lager chiamati riserve, li sterminarono e gli portano via le terre. Lo stesso fecero gli inglesi con gli aborigeni australiani, che utilizzarono persino per sperimentare gli effetti di certi proiettili sui corpi umani. Gli stessi inglesi , con la guerra dell’oppio, imposero alla Cina la liberalizzazione dell’uso di quella droga che rincoglioniva grandi parti della popolazione. Gli spagnoli, dal canto loro, sterminarono gli incas, i maya e gli atzechi etc.
Tutte le potenze marinare europea, poi, praticarono lo schiavismo in danno dei negri con una tale ‘non chalance’ che persino il paladino dell’illuminismo, dei diritti dell’uomo e della tolleranza, Voltaire, fu azionista di una compagnia di negrieri, Mi ricorda certi compagni comunisti, stracarichi di soldi, che vestono maglioni di cachemire, esibiscono orologi Rolex o possiedono mega yachts.
Malgrado le responsabilità dei bianchi, il solo fatto di essere ‘bianco’ non mi fa, però, soffrire di alcun complesso di colpa. Ciò mi capita forse perché, come italiano, appartengo ad un popolo meno responsabile di altri per quelle stragi? Qualcosa di odioso, comunque, lo abbiamo commesso anche noi con le rappresaglie indiscriminate compiute in Libia contro i ribelli ed i Abissinia, dove furono uccisi migliaia di innocenti in seguito all’attentato al gen. Graziani e centinaia di preti copti furono sbrigativamente fatti fuori a Debra Libanos .Èanche vero che in Africa lasciammo case, strade, porti, scuole , ospedali, ferrovie , alberghi e cinematografi e terreni irrigui e bonificati. Posso assicurare che in Eritrea, a Massaua, i vecchi ricordano con piacere la colonizzazione italiana mentre detestano il periodo in cui furono governati dagli inglesi e,ancor peggio, dagli abissini. Sono queste le ragioni per cui non mi sento oppresso da sensi di colpa? Forse si.
Sopratutto, però, ciò mi capita capita perché tutto ciò che i popoli del terzo mondo hanno di moderno e di avanzato scientificamente e tecnologicamente gli è arrivato dai bianchi. In Australia ed in America, dove pure si era sviluppata una civiltà notevolissima, non conoscevano neppure la ruota. Non dimentichiamo neanche che neppure quei popoli, già da prima dell’arrivo dei bianchi, non erano costituiti da tenere mammole. Infatti si sterminavano e mangiavano reciprocamente, facevano sacrifici umani con migliaia di prigionieri a cui, spesso, strappavano il cuore quando erano ancora vivi. Praticavano anche la schiavitù. Addirittura i maggiori collaboratori dei negrieri bianchi furono le tribù africane avversarie ed i predoni arabi. La schiavitù, anzi, ad un certo punto della storia, fu abolita proprio dai bianchi e sopravvisse nei territori che non erano caduti sotto la loro influenza (es.Arabia ed Etiopia).i Gli stessi arabi , i mongoli ed i turchi nelle loro guerre di conquista sterminavano i popoli che gli si paravano davanti e distruggevano tutto ciò che c’era da distruggere. È falso attribuire i saccheggi ed i genocidi solo ai crociati.
Oggi la miseria del terzo mondo è dovuta ad una molteplicità di fattori. Indubbiamente c’è una grossa responsabilità dello sfruttamento del capitalismo mutinazionale . Ci sono, però, responsabilità non certo minori dei tiranni e delle corrotte classi dirigenti indigene . Ci furono anche responsabilità dell’imperialismo sovietico, che appoggiò dittatori feroci come Gheddafi, Idi Amin Dada, i tiranni di Sudan ed Abissinia ed altri . Oggi anche la Cina appoggia i dittatori che le fanno comodo. Ci sono pure grandi responsabilità delle masse popolari stessi popoli che si abbandonano a conflitti etnici e religiosi accompagnati da stragi spaventose.Ricordo quelle del Ruanda e quelle , recenti, della Nigeria. Concludo che, a mio, avviso, le colpe dei mali del mondo non ricadono solo sui bianchi ma sono equamente ripartite tra tutti i popoli del pianeta. Perciò rifiuto il manicheismo dei terzomondisti di casa nostra e, in quanto bianco, non mi sento peggiore né dei negri né dei gialli né dei grigi né dei rossi di pelle . Piuttosto mi sento uguale a loro.
All'area arabo islamica del nazismo maomettano d'Africa e d'Asia, noi europei, occidentali e cristiani non dobbiamo nulla, anziviewtopic.php?f=188&t=2674Colonizzazione e decolonizzazioneviewtopic.php?f=194&t=1822Africa razzista, il continente nero è tra i più razzisti della terraviewtopic.php?f=196&t=2750Razzismo africano:
interetnico e tribale, dei neri contro i bianchi, dei maomettani contro i cristiani, gli ebrei e gli animisti
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lema-2.jpg Crimini dei nazisti maomettani marocchini e africani in Europaviewtopic.php?f=188&t=2753Violenza e stupri africano asiatico maomettaniviewtopic.php?f=194&t=2679Il rapporto Europa-Africa: la necessità di superare i sensi di colpa e il delirio di onnipotenza di volersi accollare tutti i mali e i rimedi
Anna Bono
12 Lug 2018
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... tti-rimediL’impegno a creare un’area di libero scambio continentale, sottoscritto da 44 paesi membri dell’Unione Africana il 21 marzo scorso, è stato accolto in Europa con incondizionato entusiasmo, nonostante i molti, fondamentali punti ancora da chiarire e il fatto che tra gli 11 paesi che non hanno aderito ci siano le due maggiori potenze economiche del continente, il Sudafrica e la Nigeria. Inoltre sono i toni con cui l’evento è stato commentato a meritare attenzione. Qualche mass media italiano ad esempio – tra i pochi che ne hanno parlato diffusamente – ha definito l’accordo un evento storico, una pietra miliare, evidenziando come la parte del mondo “dipendente dal Nord e meno sviluppata” stia dando una grande lezione al Nord. L’Africa “prova ad alzare la testa”, “mentre l’America si chiude, il resto del mondo, quello più povero, continua ad andare verso un’altra direzione” esordiva un articolo di “Il Sole 24 ore” intitolato “Nasce una grande area di libero scambio. La rivincita dell’Africa parte dal commercio”. Di quale rivincita si tratti l’articolo non lo diceva. Siccome poi non c’è limite alla falsificazione dei fatti e della storia quando si tratta di mettere l’Occidente in pessima luce e descrivere per contro gli Africani come vittime innocenti che, se libere, disporrebbero di sé ben diversamente, ecco che la colpa dei dazi africani è dell’Europa che ha colonizzato l’Africa e l’ha divisa in stati. Il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, ha commentato con queste parole la firma dell’accordo: “Un continente che è stato diviso 134 anni fa dalla Conferenza di Berlino ha deciso di integrarsi e di unirsi. Ci sono 84mila km di frontiere, 84mila km di ostacoli che fanno sì che gli scambi intra-africani rappresentino oggi appena il 17% del totale”.
Per chi non lo ricordasse, la Conferenza di Berlino si svolse nel 1884. Al summit, considerato erroneamente l’inizio della corsa alla spartizione dell’Africa, i paesi europei in realtà discussero e decisero la creazione in Africa di due vastissime aree di libero commercio e concordarono anche la libera navigazione sui 4.180 chilometri del fiume Niger. Dei confini in effetti furono poi tracciati a delimitare i territori coloniali. Quasi tutti gli africanisti e praticamente tutti gli africani sostengono che sono quei confini la causa dei pochi scambi commerciali tra un paese e l’altro e delle guerre tribali che dopo le indipendenze hanno dilaniato il continente. Nessuno sembra ricordare che prima dell’era coloniale, e in parte anche dopo, per ogni africano il territorio sicuro, in cui circolare liberamente, era quello controllato dal proprio lignaggio e, nei periodi di pace tra i lignaggi, quello tribale. Per commerciare si viaggiava con grave rischio, in convoglio, armati, cercando di stringere patti di volta in volta con i lignaggi e le tribù di cui si attraversavano i territori.
Questo a parte, i paesi africani indipendenti hanno avuto decenni a disposizione per comunicare tra loro, scambiare, cooperare. Invece hanno imposto di loro iniziativa dazi d’importazione astronomici: una scelta mai abbastanza criticata per quel che è, vale a dire una irresponsabile, rovinosa politica economica che, con il pretesto di proteggere l’industria locale, serve a far entrare milioni di dollari nelle casse statali, da cui gli africani al potere sono molto abili a prelevarli.
Il modo in cui è stato accolto e commentato l’accordo africano di libero scambio non è che un esempio tra i tanti, emblematico, di come l’Europa si pone nei confronti dell’Africa. Una letteratura sterminata descrive i rapporti tra i due continenti come un tragico susseguirsi di crimini contro l’umanità, culminati nella colonizzazione europea. L’idea è che noi, popoli europei colpevoli, non faremo mai abbastanza per farci perdonare e per rimediare ai danni incalcolabili di cui siamo accusati. Per contro agli africani non si attribuiscono responsabilità né colpe. Un inconsapevole razzismo, portato all’estremo, li rappresenta come inermi, incapaci di decidere di sé e da sé, eterne vittime di interessi stranieri e di trame ordite altrove.
Di nessun continente, di nessuna popolazione parliamo – governi, mass media, atenei, ong, autorità religiose… – nei termini usati per l’Africa. Dalle parole ai fatti, l’Europa, con il resto dei paesi occidentali, riversa incessantemente nel continente risorse finanziarie, tecnologiche, umane, pretendendo di provvedere a tutto: saldo dei debiti (HIPC), amministrazione della giustizia (tribunali speciali, Cpi), profughi, sviluppo, campagne sanitarie, elezioni e osservatori internazionali, accordi di pace, antiterrorismo, missioni di peacekeeping Onu e non solo.
La Amisom è una missione di peacekeeping dell’Unione Africana, operativa in un paese africano, la Somalia, per contrastare un nemico africano, il gruppo jihadista al Shabaab. Africani sono il capo della missione e tutto il suo personale, 22.126 “caschi verdi” tra militari e civili, forniti da Uganda, Kenya, Etiopia, Burundi e Gibuti. Tutto è africano, salvo i soldi. Quelli li mette l’Unione Europea: 1.028 dollari al mese per ogni dipendente. I rispettivi paesi trattengono 200 dollari, ai peacekeeper ne vanno 828. Adesso l’UA sta considerando di aumentare gli stipendi. Il sostegno alla Amisom deve essere pari a quello che ricevono le missioni delle Nazioni Unite, ha argomentato Samil Chergui, Commissario dell’UA per la pace e la sicurezza, parlando al 30° vertice dell’organismo panafricano, e lo stipendio mensile dei caschi blu è di 1.400 dollari.
La comunità internazionale deve fare di più, ha concluso Samil Chergui. L’Europa obbedirà, che invece, per il bene di tutti, dovrebbe finalmente liberarsi dei sensi di colpa indotti, del razzismo mascherato da buon cuore, del delirio di onnipotenza di chi si accolla la responsabilità di tutti i mali e di tutti i rimedi.