da Berto » mer feb 10, 2016 7:29 pm
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Il dibattito sulle radici giudaico-cristiane dell’Europa è di nuovo attuale, a causa dell’assenza di riconoscimento di queste radici nell’introduzione della Costituzione Europea, così come è stata modificata dal Trattato di Lisbona nel 2007. Secondo lei, si trattava della scelta di affermare la laicità delle istituzioni europee, oppure dietro la formula generale (le «eredità culturali, religiose e umaniste dell’Europa») ci sono altre ragioni, legate al progetto Eurabia?
Tutte e due possono essere invocate, ma io propenderei per la seconda ipotesi. Perché la laicità delle istituzioni europee del XX secolo non può smentire la cristianizzazione dell’Europa del IV secolo. Sedici secoli separano le due date, sono forse privi di ogni sostanza? Per la verità è il progetto Eurabia che ha determinato questa mutilazione, perché il Corano proibisce ai musulmani, in versetti molto espliciti rafforzati da numerosi hadith (parole e atti attribuiti a Mahomet che hanno un valore normativa) di assimilarsi agli ebrei e ai cristiani e di adottare i loro comportamenti e le loro idee. Questa regola è ripetuta diciassette volte al giorno nelle preghiere quotidiane del musulmano osservante e appare nella prima sura.
Cancellare il carattere giudaico-cristiano dell’Europa significa permettere d’incidere nel suo passato e nel suo presente i segni dell’islam, come hanno affermato numerosi politici europei, tra cui Jacques Chirac e Dominique de Villepin. Allora diventerebbe legittima l’instaurazione delle leggi della sharia. L’intenzione di fare dell’Europa un continente euro-musulmano traspare chiaramente in questa eliminazione, perché non sono certo né i buddisti né gli induisti che si opporrebbero alla sua caratterizzazione giudaico-cristiana. Per quanto ne so, solo i musulmani la contestano, perché essi affermano che la cultura europea è tributaria della civiltà arabo-musulmana, e negano la derivazione cristiana dal giudaismo. ???
Anche gli antisemiti la negano. Ma il cristianesimo non è una religione spontanea emersa sui generis dal nulla. I suoi fondatori erano dei giudei ebrei, e la Bibbia è il suo testo sacro. Eliminare la radice ebraica significa eliminare la Bibbia. Su cosa si baserebbe allora il cristianesimo? Sul Corano e sul Gesù musulmano? Quindi sull’islamizzazione del cristianesimo. Ecco forse là un’altra motivazione per negare le origini giudaico-cristiane dell’Europa, proveniente dalle origini naziste della Comunità Europea, perché nel giudaismo c’è il nemico: Israele.
Lei afferma che gli arabi cristiani erano i principali fautori del palestinesimo. Ma perché i cristiani hanno preferito sostenere il progetto palestinese e non quello israeliano? Questo dipende forse da un sentimento antiebraico molto diffuso?
Brevemente io vedo quattro ragioni per questo comportamento, ma vorrei dire subito che molti cristiani dei Paesi arabi hanno sostenuto, aiutato e amato Israele e il sionismo. Hanno sognato di potersi liberare dalle loro catene come ha fatto Israele, di avere accesso alla dignità umana liberandosi dall’asservimento della dhimmitudine, di vivere liberamente la loro fede e la loro cultura nella loro patria ancestrale. Nei periodi più intensi del loro martirio, assimilavano le loro prove a quelle del popolo ebreo e recitavano passaggi dei Profeti. Ho riprodotto questi testi nei miei libri. La storia della dhimmitudine è un’esperienza umana di tredici secoli, comune agli ebrei e ai cristiani. Ho scritto i miei libri perché dei cristiani che non conoscevo mi hanno chiesto di farlo per loro. Israele era una forza che accarezzavano dentro di loro, perché in essa vedevano la strada verso la loro salvezza. Questi cristiani non si dichiaravano arabi, erano fieri della loro eredità storica che datava dai millenni precedenti l’arabizzazione e l’islamizzazione del loro Paese. Quelle conquiste hanno distrutto i loro popoli, per mezzo della schiavitù e dei massacri, i loro monumenti, le loro antiche città e le loro radici, come si vede oggi a Palmira e altrove.
La prima ragione del sostegno dei cristiani arabi alla Palestina è la politica pro-islamica delle potenze coloniali europee, che soffocarono e agirono anche contro i movimenti di autonomia nazionale dei cristiani armeni, assiri, siro-caldei in una politica di pacificazione dei musulmani. Dopo la prima guerra mondiale i governi europei, le Chiese, il Vaticano dichiararono ai notabili cristiani che la loro sicurezza risiedeva unicamente nella difesa delle cause islamiche, di cui l’antisionismo era la più importante. Gli USA sostennero questa politica.
Dopo la Dichiarazione di Sanremo (25/04/1920) da parte della Società delle Nazioni che riconosceva al popolo ebreo il diritto di costruire un Focolare nazionale in Palestina (Israele e Giordania), i partiti politici antisemiti occidentali ingiunsero ai cristiani arabi di unirsi ai musulmani per militare nel Nazionalismo arabo. Una delle motivazioni di questo movimento creato dalla Francia dopo il 1860 mirava, attraverso l’alleanza di due odi verso gli ebrei, a unire cristiani e musulmani nella lotta araba contro il sionismo. I cristiani d’Oriente divennero gli strumenti della politica antisemita francese. Numerosi cristiani, politici, intellettuali e religiosi, si rifiutarono, scorgendo nel nazionalismo arabo una dissoluzione delle identità etniche e religiose cristiane nell’arabismo, cioè nell’islam. Cento anni più tardi, l’evoluzione prevedibile del nazionalismo arabo nell’islamismo terminerà di distruggere le comunità cristiane totalmente disgregate dal rifiuto della propria origine religiosa ed etnica.
La seconda ragione è la politica francese in Oriente che proibiva ai cristiani ogni tipo di solidarietà o amicizia con il sionismo e Israele. L’Europa, che aveva programmato lo sterminio totale del popolo giudeo per mezzo della Shoah, negli anni Sessanta programmava, con l’alleanza euro-araba, i cui pilastri erano Arafat e la Palestina, l’eliminazione dello Stato Ebraico. La solidarietà e la fusione islamo-cristiana avrebbero realizzato la riconciliazione tra islam e cristianesimo. I cristiani dovevano assolutamente sostenere il progetto palestinese che era quello dell’Europa.
La terza ragione è l’antisionismo tradizionale delle Chiese d’Oriente, radicato nei suoi dogmi e attizzato dal potere musulmano. Così, durante il Concilio Vaticano II, i governi arabi esercitarono delle pressioni sulle decisioni conciliari, attraverso la mediazione dei vescovi arabi, per mantenere l’infamia degli ebrei nella liturgia e negli insegnamenti cristiani. Spesso le pressioni arabe si accompagnavano a minacce di rappresaglie collettive contro le comunità cristiane nei loro Paesi. Ancora oggi, i vescovi arabi reclamano dall’Europa il suo riconoscimento della Palestina come condizione per la sicurezza di queste comunità nei paesi musulmani. In altre parole: se l’Europa non sopprime Israele, i musulmani si vendicheranno sui cristiani.
La quarta ragione, che contiene le precedenti, è la dhimmitudine, questa condizione d’insicurezza permanente imposta dalla sharia, che riduce la vita dei non musulmani a un valore monetizzato, unito a discriminazioni umilianti. Una di queste condanna a morte ogni non musulmano colpevole di allearsi con i nemici dei musulmani o di manifestare solo simpatia. Il sostegno a Israele nei Paesi musulmani comporta la pena capitale. Quest’unica condizione ha obbligato i cristiani che vivono in un mondo islamico a essere più antisionisti degli stessi musulmani.
È necessario rendersi conto che l’antisemitismo-antisionismo è un potente strumento politico utilizzato dall’Europa nella sua politica islamofila, per raggiungere i suoi obiettivi, oppure esso si ritorcerà sempre contro i cristiani, perché nell’islam cristiani e giudei sono intercambiabili.
Secondo la ricostruzione (che troviamo in Comprendere Eurabia) dei legami tra il mondo musulmano e l’Europa in nome del palestinesimo, in che misura è possibile affermare che esisteva un’alleanza anti-israeliana?
Nell’elaborazione di questa nuova strategia si distinguono tre politiche interconnesse:
La dimensione politica (la lotta comune contro Israele)Un’ampia cooperazione tra i Paesi della CEE e i Paesi arabi a livello economico, industriale, militare, petrolifero, mediatico, culturale e d’investimenti.
Una politica migratoria di apertura dell’Europa con l’adozione del ricongiungimento familiare e una politica di accoglienza appropriata sul piano sociale, professionale, scolastico, sanitario e culturale per gli immigrati musulmani.
La sconfitta degli eserciti egiziano e siriano che avevano invaso Israele nell’ottobre del 1973 aveva deluso la speranza europea di una disfatta israeliana. L’Europa aveva proibito il sorvolo del suo territorio agli aerei americani che rifornivano Gerusalemme, la Gran Bretagna aveva chiuso loro il suo aeroporto di Cipro e il cancelliere tedesco aveva vietato loro le basi della NATO in Germania. Tuttavia Israele, benché ferita e sanguinante, era sempre in piedi.
Furiosa per la neutralizzazione delle armate egizio-siriane, la Lega Araba decretò l’embargo petrolifero contro l’Europa, con l’esclusione della Francia sua alleata. Quadruplicò il prezzo e classificò i Paesi consumatori di petrolio in amici, neutrali o nemici degli arabi. Danimarca e Olanda, troppo legate a Israele, furono punite. In effetti, le operazioni militari di terra contro Israele si accompagnavano a una guerra economica e terroristica contro l’Europa (1969: Zurigo, Atene. 1970: Monaco, Amsterdam. 1972-73: Londra, Bruxelles, Monaco, Cipro, Roma, Atene). La strategia araba mirava a condurre la CE ad allinearsi alla politica araba anti-israeliana e a forzarla a riconoscere Arafat e l’OLP, la sua organizzazione terroristica. Gheddafi, Feysal d’Arabia, lo sceicco Yamani ministro saudita del petrolio, dichiararono che non ci sarebbero state né concessioni né ripensamenti nelle loro decisioni, e che le loro richieste avrebbero dovuto essere accettate senza condizioni per ottenere l’annullamento dell’embargo. Il 6 novembre 1973, con una risoluzione congiunta, i Nove si allinearono sulle posizioni arabe nel conflitto contro Israele[3].
In un incontro tra il presidente francese Georges Pompidou e il cancelliere della Germania Occidentale Willy Brandt, svoltosi il 26 e il 27 novembre 1973, i due leader riaffermarono la loro intenzione di iniziare un dialogo con gli arabi. Questa dichiarazione coincise con il VI vertice della Conferenza araba, tenutosi ad Algeri dal 26 al 28 novembre. I capi di stato arabi risposero con una dichiarazione indirizzata alla CEE, in cui si diceva che essi avevano «registrato con attenzione e interesse le prime manifestazioni di una maggior comprensione della causa araba da parte degli stati dell’Europa occidentale. […] Adottando posizioni chiare ed efficaci, e soprattutto impegnandosi ad agire in ogni modo in vista del ritiro di Israele da tutti i territori arabi occupati, in primo luogo da Gerusalemme, e del ripristino dei naturali diritti del popolo palestinese, l’Europa rafforzerebbe al tempo stesso la sua volontà di indipendenza [dell’America] e il suo ruolo nelle questioni mondiali»[4].
Questa posizione è differente dalla Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza del novembre 1967, che non nomina un popolo palestinese ma dei rifugiati, compresi il milione di rifugiati ebrei provenienti dai Paesi arabi. I territori in questione furono occupati illegalmente e colonizzati dall’Egitto, la Siria e la Giordania durante la guerra araba dichiarata a Israele nel 1948-49.
Contro ogni aspettativa, Israele era sopravvissuta miracolosamente alla Shoah, poi alle tre guerre di annientamento dei Paesi arabi. La decisione europea di ridurre il suo territorio a delle proporzioni esigue e indifendibili non solamente la condannava a morte, ma violava la sua sovranità e i suoi diritti storici. Era evidente che la deliberata scelta europea d’imporre delle condizioni di pace inaccettabili per Israele la rinchiudeva in un conflitto che andava a tutto beneficio dell’Europa.
La dichiarazione di Algeri sottolinea chiaramente il legame tra lo sviluppo della cooperazione euroaraba e il quadro politico. Lo stesso anno la Conferenza di Damasco del Dialogo (14-17/9/1974) riunì esponenti di tutti i partiti presenti nei Parlamenti dei Paesi aderenti alla CEE, eccetto quello danese. Gli arabi fissarono le condizioni politiche per gli accordi di cooperazione economica con gli stati membri della CEE, elemento essenziale del Dialogo:
ritiro incondizionato di Israele alle linee d’armistizio del 1949;
sovranità degli arabi sulla città vecchia di Gerusalemme, di cui si erano impadroniti con la forza nel 1948, cacciando ed espropriando tutti gli ebrei;
partecipazione dell’OLP e del suo leader Yasser Arafat a tutti i negoziati;
pressioni della CEE sugli Stati Uniti per allontanarli da Israele e avvicinare la loro politica a quella araba.
Queste precondizioni politiche, indispensabili per l’apertura del Dialogo, furono ribadite un mese dopo al VII Summit della Conferenza Araba. In quel Summit, tenutosi a Rabat nell’ottobre del 1974, i leader arabi precisarono che lo sviluppo del DEA doveva seguire gli orientamenti indicati nella dichiarazione del VI vertice arabo di Algeri, trasmessa alla CEE il 28 novembre 1973, che definiva le richieste politiche arabe concernenti Israele. Al Dialogo non era assegnato alcun limite di tempo. Per la parte araba, l’interdipendenza degli aspetti economici e politici della cooperazione euroaraba rappresentava una clausola non negoziabile. Alle riunioni euro-arabe, i delegati musulmani non mancavano mai di ricordarlo ai loro colleghi europei, esigendo dei risultati. Questa correlazione è sottolineata nell’introduzione della memoria congiunta del Comitato misto di esperti riuniti al Cairo (10-14 giugno 1975) per la prima riunione del Dialogo euro-arabo che precisa:
«Il Dialogo Euro-Arabo è il frutto di una volontà politica comune che si è manifestata ai massimi livelli e che ha per oggetto l’instaurazione di speciali relazioni tra i due gruppi. Le due parti rammentano che il dialogo ha origine negli scambi intercorsi tra loro alla fine del 1973, comprendenti in particolare la dichiarazione fatta dai nove stati membri della Comunità Europea il 6 novembre 1973 a proposito della questione mediorientale, ma anche la dichiarazione rivolta ai paesi dell’Europa occidentale dalla VI Conferenza al vertice dei paesi arabi, svoltasi ad Algeri il 28 novembre 1973».
Contrariamente a Israele e all’America, l’Europa, e in particolare Parigi, rifiutavano il principio della pace separata tra Gerusalemme e dei Paesi arabi. La pace tra Israele e l’Egitto nel 1979, sotto l’egida americana, gettò la Lega Araba in un tale furore che essa espulse l’Egitto dai suo ranghi e interruppe le sedute del Dialogo. Essa rimproverava all’Europa la sua incapacità d’impedire la pace. La CEE, dopo aver riconosciuto con reticenza questa pace, per compiacere gli arabi promulgò subito la Dichiarazione di Venezia (1980), in cui essa si attribuiva il diritto di stabilire le frontiere e la politica d’Israele. Questo testo che condanna Israele alla distruzione determina fino a oggi la politica europea.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.