Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » ven dic 13, 2013 9:17 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Le raixe de l'Ouropa

Messaggioda Berto » ven dic 13, 2013 9:18 pm

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Re: Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:31 pm

Łe orexeni de ła coultura ouropea, del fiłołogo Joani Semerano

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Pajine de coresion a le voxi de li dixonari etimoloxeghi de Xane Semeran
https://picasaweb.google.com/1001409263 ... aneSemeran


La fola de l’endouropeo – la protolengoa endouropea
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... I5Nnc/edit


LE ORIGINI DELLA CULTURA EUROPEA

del fiłołogo pujexe Giovanni Semerano
[studioxo de łe łengoe vece e moderne (it.)/studioxo de łe łengoe vecie e moerne (ven.)]

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Opara scrita in lengoa tajana (italiana)


http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_S ... _(filologo)
http://www.google.it/search?sourceid=na ... i+semerano


Testi tratti integralmente dall'opera del Semerano

CHIAVE DI LETTURA DELL'OPERA

Questa vuol essere una chiara irradiazione di fraternità che, dall'antico universo dei segni scritti o comunque tramandati, trae, con attenta auscultazione i segreti del mondo che fu alla base dei nostri avviamenti civili.
Questa opera disegna l'ambito di una grande, antica unità culturale dei popoli del nostro Continente, saldati in antica simbiosi con i popoli mediterranei o con quelli del Vicino Oriente. Sulla scorta delle antiche parole, ancora vive, è segnato il cammino della formazione culturale dell'Europa: a livello genetico, sul piano linguistico, non giova l'antitesi di indeuropeo e di semitico, mostrando la via per accertare che gli elementi così detti indeuropei si sviluppano da voci per lo più semitiche talora sumere.
Oso sperare che da queste pagine qualcuno veda sorgere l'esaltante presenza di una Europa antica, madre di tutti i perenni valori, tersa dalle scorie di una barbarie che degrada le supreme virtù della vita.

Queste pagine sono scritte, nella terra di Galilei, con l'onesto ardire di chi intende segnare un nuovo corso della scienza, offrendo con rigore e probità di disciplina gli elementi e le leggi per la verifica dei fenomeni.
Per gli antichi il nome è l'essenza stessa del reale, il destino di ogni creazione.
Civiltà di parole e insieme parole di civiltà: perché nelle parole è il sigillo di ciò che lo spirito ha creato in opere che celebrano la sua umanità.
In esse è impresso il segno dei tempi: il nome stesso di ogni uomo antico espresse la fede nel proprio destino, il Namenglaube.
Come la storia dell'universo, a dire di Galilei, è narrata in figure geometriche, le vicende della nostra civiltà di Occidente sono incise in sillabe lucenti, in parole e nomi che dopo millenni si rivelano più fedeli e tenaci delle pietre.

La scoperta delle civiltà, delle lingue mesopotamiche, come il sumero e l'accadico, alle quali si è aggiunta recentemente la testimonianza di Ebla, intrisa di cultura sumero-paleocananea, la presenza millenaria di genti e culture semitiche nel Mediterraneo, di vaste colonie assire in Cappadocia e sul Mar Nero, sino dal III millennio a. C., la impossibilità di trovare per le voci greche e latine una plausibile origine, guidano alla generale conclusione che le nostre lingue denominate indeuropee, con termine di gusto romantico, sono solo forme evolutive, germogliate su un robusto tronco mediterraneo.

Le ricerche sulla storia antica del nostro Continente, nel definire i significati remoti dei nomi di popoli, di città, di fiumi, non sono mai approdate a risultati convincenti.
Qual'è il significato reale di nomi di popoli, come ad esempio Celti, Germani, Belgi, Britanni, Balti, Veneti? Qual'è il significato originario di Roma, Ellade?

L'avvio alla linguistica storica che viene instaurata ha finalmente dato una base concreta a quel vago termine « mediterranee » con cui si designarono sinora le origini di voci che non s'inquadravano nel sistema linguistico così detto indeuropeo. Essa pone come sistema o quadro di riferimento l'idioma che ha la più antica e più larga documentazione scritta, l'accadico, della famiglia delle lingue semitiche, con tracce di sostrato sumero, e i cui documenti più remoti risalgono alla metà del III millennio a. C.

Anche se fu l'amorreo a realizzare l'unità linguistica del semitico nord-ovest nel II millennio a. C., « il paleo-siriano – scrisse una volta Giovanni Garbini – appare oggi la più antica lingua semitica, forse insieme all'accadico; al di là di queste non sono possibili altre lingue nel senso sociologico ». E non avrei potuto lavorare con una visione organica e dinamica fondandomi su clusters, perciò l'accadico è stato assunto qui come ampio piano di riferimento, al quale vengono ricondotti i nomi, le voci che compogono il tessuto del nostro universo culturale.

Inserite in questo quadro di raffronto, anche le voci delle lingue così dette indeuropee, come i nomi che appaiono nella storia del nostro antico Continente, mostrano che le confluenze delle grandi civiltà mesopotamiche hanno agito lungo la via del Danubio e lungo le direttive che si irradiano dall'Africa sino all'Irlanda, con incancellabili influenze su tutti i popoli dell'Europa.

I nomi dei popoli e delle regioni del nostro Continente ritrovano i loro antichi valori in quel remoto fondo linguistico che costituisce un denominatore comune. Le correnti delle remote civiltà d'Europa passano per le vie dell'ambra e dello stagno, ma anche del ferro. Il padre della storia, Erodoto, attesta che l'ambra gialla, proveniente dalle regioni del Baltico, si smerciava anche in Egeo, e le antiche tradizioni conoscono le vie del traffico della pregevole resina: dalle isole dell'Oceano settentrionale i Germani la recavano in Pannonia e i Veneti la facevano giungere sino all'Adriatico.

Il nome dell'ambra non fu mai chiarito, si ricorda in genere l'arabo anbar. E noto che essa nel Baltico ha origine dalla erosione delle onde marine su sedimenti glauconitici; le ambre siciliane si ritrovavano sulle rive del fiume Imera e del Simeto, ciò spiega l'origine del nome ambra, dall'antichissima voce sumera ambar, «palude, terreno invaso dalle acque », accadico appāru.
Ne è riprova la voce latina succinum (ambra), che deriva anch'essa da un'antichissima voce corrispondente ad accad. siknum « sedimento ».

Si ritiene ,che quei popoli di stirpe germanica dell'estremo nord siano comparsi per la prima volta nel Mezzogiorno d'Europa con i Teutoni e i Cimbri. Quando i Romani, al comando di Mario, si scontrarono con gli Ambroni, che costituivano l'avanguardia dei Teutoni, i primi ad affrontarli furono i Liguri, che risposero al grido di guerra dei nemici con lo stesso grido, perché essi ricordavano che anche la loro antica denominazione era Ambroni: sappiamo ora che il significato originario di questo etnico è « genti delle paludi».

Sinora la linguistica era stata intenta ad accostare su diverse latitudini nomi identici di fiumi. Come è noto gli idronimi hanno serbato intatto il segreto di remote appartenenze : nomi di fiumi come il nostro Ambra si ritrovano non solo in Toscana, in Lombardia, in provincia di Ascoli, ma in Francia, Ambre, in Austria, Amber, e noi vediamo confermato il significato di tale idronimo : « zona paludosa ».

Nomi simili al nostro idronimo Arno si ritrovano numerosi in Francia, Arn, Arnon, Arnel, ma anche in Renania, Orne, in Svizzera, Arnon, in Catalogna; in Transgiordania, Arnon è la vasta e grandiosa fenditura di Wàdi el-Mogib; senza dimenticare il paesello di Arni, in Toscana, « in un cupo seno di monte », come scriveva il vecchio Repetti.
L'origine remota di questo nome fu ignorata: ci si accontentava di notare che doveva avere qualche lontana affinità con la parola arnia, col catalano arpa, " cassa delle api ": il nome antico in realtà definisce corsi d'acqua o luoghi in forti depressioni di terreni profondamente incassati: è l'antico accadico arānu " cassa, arca ", fenicio arón.

Il nome del fiume Nera, antico Nar, si dilata sino al Narenta, iugoslavo Neretva, a tutti i nomi simili di fiumi delle regioni baltiche, in Lituania, in Lettonia, in Prussia, in Bielorussia, nelle regioni occidentali della Russia, e persino ai nomi di luoghi inglesi, alle rive di fiumi denotati dalla voce nar: la base remota dell'idronimo corrisponde ad accadico nāru " fiume ".

Il nome antico Sapis del fiume Sambre, affluente della Mosa, non è diverso dall'antico nome del nostro Savio, a sud di Ravenna, antico Sapis, e non è diverso da Savus, la Sava, affluente del Danubio : questi idronimi risalgono ad una voce comune, come accadico sapù, " irrigare ".

E così per una infinità di altri nomi che attestano, ancora dopo millenni, ciò che le contese dei popoli, le vicende innumerevoli della storia, le passioni immedicabili degli uomini non hanno potuto cancellare dopo millenni : il segno di una unità che legò, un tempo, culturalmente le genti del nostro Continente, sotto l'influsso del vicino Oriente, ove fiorirono le grandi civiltà mesopotamiche destinate a condizionare durevolmente anche le culture del Mediterraneo e dell'Europa in genere.

L'orgoglio piegato delle « avanguardie bionde » indeuropee, irrompenti sul nostro Continente, cede così il campo ad una realtà più evidente : noi dobbiamo in massima parte a quelle civiltà mediterranee e mesopotamiche le nostre lingue, i nostri idiomi.

Irradiazioni di idee, di tecniche, di miti del mondo mesopotamico sono corse dal Mediterraneo all'Hindukush e hanno penetrato il nostro Continente condizionando le origini e gli sviluppi di quella che più propriamente può dirsi civiltà.

Rispetto alla molteplicità di influssi sul nostro universo culturale e alla presenza inavvertita di una molteplicità di motivi e di elementi delle genti di civiltà mesopotamica e paleocananea, di lingua prevalentemente semitica, la scoperta di Ebla ha confermato quanto da sempre ormai poteva essere intuitivo, che cioè è riduttivo il richiamo ai Phoinikes dei Greci frequente nelle opere, ad esempio, di Samuel Bochart (1595-1667), in cui la lingua fenicia è ricostruita sulla scorta dell'ebraico; e così negli scritti del Gesenius (1786-1842), del Movers (1806-1856), di Renan (1823-1892), dell'Astour di Hellenosemitica (1965).
Anche la conoscenza della cultura egizia offrirà modo di illustrare persino alcuni aspetti, non solo di Creta, ma della città etrusca: si leggano le pagine dedicate al Vaso di Tragliatella (p. 893 sgg.).

La notizia erodotea (I, 1), che i Fenici venivano dalle coste del Mare Eritreo, va arricchita del suo significato reale che dilata l'orizzonte di tale dato geografico a tutto il Golfo Persico, sino alle soglie dell'Oceano Indiano. E anche tali limiti sono angusti, perchè occorre porre nel computo anche la presenza delle colonie assire alla fine del III millennio a. C.

Il nome stesso di Ebla è un simbolo ricco perché esso riveste un'antica voce semitica : come il latino riplasmava nomi locali e dava a Placentia, a Faventia, a Florentia il suo nuovo sigillo, così la lingua di Sumer dava all'antica città il significato di « luogo dell'abbondanza », o tale sarà suonato, presumibilmente, agli illuminati, in tono beneaugurante, imbalsamando un nome semitico che non sarà stato molto diverso da accadico abullu (porta o rione di città), non una " porta ", come quella di Babilonia per la quale passavano gli dei.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:32 pm

LE ORIGINI DELLA CULTURA EUROPEA

del fiłołogo pujexe Giovanni Semerano
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LIGURI E BRITANNI SI RITROVANO VICINI

Quando la sovrana d'Inghilterra, Elisabetta II, tornò in Italia, nel suo incontro con le massime autorità le parole più sagge le pronunziò Lei. A chi ricordava recenti contese, Ella disse che duemila anni di storia ci univano più che potessero dividerci eventi ormai trascorsi.

Realmente, i nomi delle nostre terre sono testimonianze perenni.

La voce Britannia, che è affine all'etnico Brentios, dato da Esichio per l'Italia, deriva da una base mediterranea antichissima, che ha filtrato la sua origine antica dall'accadico beritu, e significa " terra circondata dalle acque " e anche " penisola "; il nome dei Liguri Ambroni, che è anche quello di un popolo germanico abitante in zone paludose, torna nel nome del fiume inglese Ambar e dei fiumi toscani Ambra, Ombrone, per ricongiungersi attraverso remoti spazi di tempo e di luoghi al sumero ambar "palude"; Albion, Albione, che originariamente denotò la Terra del Canale, richiama, com'è noto, gli idronimici liguri Albium, Ingaunum, Albenga, Albium, Intemilium, Ventimiglia, e Albis, il fiume germanico; ma se questo è noto, si ignorarono le connessioni lontane che si ritrovano nell'antichissimo sumero halbia, accadico halpiu " specchio d'acqua ", " sorgente ".

Il nome Tina di un fiume occidentale della Britannia del Nord (Ptolem. Il, 3, 4), il nome Tyne, e così Tynemouth, riemerge in quello del fiume etrusco-umbro Tinia, affluente del Tevere, e ricorda Tinia il Giove Pluvio etrusco: Tinia è il greco Zen: questi nomi come lunghi echi su oceani deserti si rincorrono sino a ritrovarsi nella voce accadica zinnu, zinu “pioggia”, qui per denotare acqua.

Il paludoso Avenza, Aventia e i britannici Avon (antico Abona), Avil, Avening, come Avenio, Avignone, alla sinistra del Rodano, si identificano nel nome che corrisponde alla parola accadica amum (leggi awum), hammu, ammu " stagno "; e dalla stessa origine risultano gli idronimi britannici Hamin, Ham, al sud dell'Inghilterra: chi immaginerebbe che al coro si associ anche l'etrusco-toscano Erna?

Così, attraverso il ligure, il nome britannico Uxellum si accosta al sardo Usellis e si salda con accadico usallum, siriaco usallà " zona irrigua ", " costa ", " prato " (Uferland, Wiese, Aue, Oberflutungsland).

Il britannico Pen "altura", e Penni, come l'apuana Pania, si ritrovano nel semitico, ebraico pinna " pinnacolo ", e in accadico panu " parte superiore ".

La base Nar di Narborough, Narford, non è lontana dal nome Nar: questo fu a torto ritenuto un derivato da antico inglese nearu " luogo angusto ", ma si ritrova invece nel nome del nostro fiume Nera, antico Nar, semitico nahr, accadico nāru " fiume " e nel nome del popolo germanico dei Naharvali, tribù dei Lygii, sulla Vistola.

Il britannico Lugg, che torna in nomi di fiumi limacciosi come Llugwy, Lligvy del Galles, riaffiora nel ligure, Lucca, nel latino Ligus (v. Ambroni), come in Liger, la Loira, in Ligii o Lygii, popolazione germanica affacciata ai fiumi : deriva dalla stessa base di Lug-dunum, Lione, Lu(c)tetia, Parigi: accadico luhmu, lihmǔ " limo ", calcato forse su l-úgja cioè "al canale ", l- preposizione semitica col senso di " su, al, accanto " (ebr. li-, to, in, for ') e aramaico-ebraico ūgja, siriaco accadico igu, iku (canale, ` Canal ').

Ganarew, Genoreu (c. 1150) rinviato a gallese gen " mento ", dalla base di Genua, Genova, Genava, Ginevra, affine a latino gene (parti rilevate del volto), risale alla base di accadico gennû, ginù " montagna " (mountain).

Il bretone ros, l'irlandese ros promontorio, ha la stessa base dell'etrusco Rusellae, Roselle, come di Rosignano, e dell'etnico stesso degli Etruschi, Rasenna, " i capi ": corrisponde ad accadico rāśum, cananeo rāš, ebraico rōš " capo ", " altura " (chief, top, head ), anche come « caput fluminis », " sorgente ".
Il fiume britannico Savick, Safok che riproduce la base di accadico sapaku " versare acqua " (to pour out), richiama una base affine a quella di Savona, Savo, Sabatia (Vada) : accadico sapû, sabû " irrigare ", " inondare " (to flood).
I fiumi inglesi Tavy, Taw, latino Tavus, nel Galles Taf, Taff si identificano nel nome del ligure Tavia, Taggia: accadico, assiro tabā'um " tuffarsi ", " immergersi " (to immerse, to sink down ).

Gli idronimi britannici Severn, antico “Sabrina”, Seuerne, Sabrann richiamano la base precedente di Savo, col senso di " inondazione " e le basi di Rhenus, come accadico rehum "scaturire" e "ènu " sorgente ".

E così moltissimi nomi che testimoniano le nostre antiche affinità e frequentazioni.
Molti di questi attestati di remote identità si registrano in questa opera, molti altri avrei potuto aggiungere.

Il ligure Caburrum, capoluogo dei Liguri Caburriates (Plin., N. hist., III, 7, 47), odierna Cavour (Torino), nella pianura, a destra del torrente Pellice (cfr. siciliano Belice: ebr. peleg : " fiume "), richiama inglese Cabourn, Caburne, Caburna (c. 1115), la cui base Ca- si fa a torto derivare da maschile inglese ca-, co- (cornacchia, ` jackdaw ') ed è come in Caecina, fiume, antico irlandese cae «spazio chiuso », francese quai: ebraico gaj ( valle, bassura, “depression, lowland, valley”) con la componente che corrisponde ad accadico bùrum (plurale bùràni), ebraico bōr (stagno, specchio d'acqua, “pool, well”).

In questi giorni sappiamo l'Augusta Sovrana regalmente sollecita, oltre che del Suo, anche degli avviamenti sociali e delle inquietudini di altri popoli, di altri paesi; e in tempi in cui si è più sensibili al computo del dare e dell'avere, è ovvio che non tutti ne condividano le nobili attese, che danno alla Sua anima le dimensioni di una grandezza più vasta di quella del Suo antico impero.
È il suo modo regale di tutelare la civiltà e la pace.

POPOLI E PAESI NEL SEGNO DEL LORO NOME

È ormai pacifico che i problemi onomastici sono innestati alla lessicologia normale e che i nomi, iscritti sulle ascisse e ordinate del tempo e dello spazio, investono una vasta realtà preistorica, storica, geografica. La metodologia che opera a questo livello si arricchisce di discipline sempre più affinate, specie la geografia antropica, l'archeologia, la proto-storia, la storia: queste ultime senza la linguistica sono discipline cieche. Tale metodologia di ricerca scientifica fu affermata nel settimo congresso di scienze onomastiche tenuto a Firenze, pilotato da Carlo Battisti e C. A. Mastrelli. Ma l'indagine su come i nomi di sostrato siano assorbiti da un soprastrato è guidata qui, in queste pagine, dalla sorprendente rivelazione che gli strati più profondi consistono di elementi così detti mediterranei, se volete prevalentemente semitici, svelati anche in zone europee ritenute immerse in una pacifica unità indeuropea. La base mediterranea di Umbria, Ambroni, ad esempio, con valore originariamente idronimico, ci accosta al nome, con prefisso originariamente "s- >t (pro-nome determinativo), Thymbrius, fiume della Troade, « il fiume della palude »; Thymbria, località sul fiume Meandro, in Caria; Thymbrium, in Frigia, con la sua fonte, detta di Mida. Così il celtico -dunum « fortezza » richiama i Thyni, Traci, Thynia, la loro terra; Bi-thynia e Thynias, piccola isola del Mar Nero. Le basi di sumero ambar " palude " e di accadico dūnum, " fortezza " sono trasparenti. (Si vedano pagg. 378 sgg.).

Dopo il Fick, lo strato preellenico in Grecia e in Asia Minore fu ricercato, com'è noto, dal Kretschmer nella celebre Einleitung, ma senza rilevarne le reali connessioni. Il Dauzat ha generosamente accordato agli Italiani meriti particolari ... « ce sont les Italiens qui ont fait faire un pas décisif à cette questìon, en reconstituant tout un ensemble de « bases » pour l'Europe sud-occidentale » (La toponymie française, p. 71). Uno spirito genialmente aperto « à toutes les orientations nouvelies », come sanno essere solo le menti superiori, il Meillet, trovò arditezze sconcertanti in alcune pagine del Terracini. Ma poi, dovette riconoscere nei Problemi di sostrato del Bertoldi il manifesto di una nuova scuola e si affrettò a pubblicare quel lavoro nel « Bulletin de la Société de linguistique » (1931).

I Kurgan e la loro antica cultura vengono segnalati come operatori dinamici alle origini baltiche. Si ricercano in voci indeuropee comuni conferme a quadri archeologici singolarmente interpretati. Ma l'antico pruss. syrne (grano), lit. zirnis (ora " pisello "), slav. tzruno derivano da basi corrispondenti ad accadico erānu (cereali, granaglie), plurale di zéru (seme, seed of cereals and of other plants'); allo stesso titolo il sanscrito javah " orzo " rientra nell'ambito del lessico assiro: apu>apa (originariamente " stipula "), e quindi orzo (` Gerste '), lituano javai.

La remota antichità preellenica non premia solo i nomi dei fiumi, dei mari, dei luoghi, ma a poco a poco si scopre che reca anche le voci del linguaggio comune, e per quelle che si credevano portate dalle cosidette genti indeuropee o indogermaniche sopravvenute si vede che le radici indeuropee o indogermaniche non sono produttive.

Provate a cercare l'etimologia di greco ouranôs " cielo " che fu accostato al sanscrito Varuna, foneticamente insostenibile, come vide il Wackernagel; ci si accontentò poi dell'immancabile sanscrito vársati " piovere " o del greco ourhéo " orino " per convincersi poi che potrebbe essere derivato da altra lingua antica (Chantraine). E si ignorò che gli antichi concepirono il cielo come un tetto o un baldacchino e i Sumeri dissero ùr-an " volta del cielo " e accadico ūru è " tetto " e anu è " dio del Cielo "; che si tratti dell'idea di tetto, cupola le riprove abbondano: accadico samû (cielo, baldacchino); il Genesi (I, 6) viene tradotto « 'Elōhim fece il firmamento », ma il testo dice rāqîa' " cupola, volta solida ", e il latino coelum significa anch'esso il concavo: per intendere rāqîa' biblico con l'accezione della voce accadica šamû pioggia bisognerebbe pensare a uno scambio con una voce come accad. rāhium col significato " che si riversa ".

E stato recato a migliore intelligenza il problema delle origini fenicie fuori dagli schemi semplicistici che tolsero in passato coerenza e affidabilità critica alle sue enunciazioni: in una protostoria mediterranea, i così detti Fenici possono inquadrarsi in centri che appaiono talora disarticolati e chiusi in superba autonomia, sino al calcolo egoistico di Cartagine che non soccorre Tiro in procinto di cedere agli assalti di Alessandro. Ma il nome Poeni, Phoinikes poté denotare in una certa epoca le genti della costa « davanti al mare », e deriva da una voce corrispondente ad accadico pànu (` front '), ebraico panim, pane before '), arabo finā, dalla stessa base di accadico pānu (principe, ` friiher: v. Personen, Keinig '). Questo poté denotare nel greco φοιυιξ" la palma ", come vedremo, il segno dei " primi ", dei vittoriosi. Ma alle origini l'etnico deve aver significato i "più antichi ": erano le genti che inconsapevolmente possedevano un elemento che avrebbe potuto caratterizzare e polarizzare le loro presenze : il fondo semitico dei loro linguaggi e con esso i richiami alle antiche civiltà cananee e mesopotamiche. Poi il loro nome denotò le genti che si aggiravano per il mare dedite ai traffici e il loro nome si polarizzo sui significati di una voce omofona semitica: accadico panù, ebraico pānû (andare attorno, ` to turn, to flee, to turn away '), col significato che avrà la voce egizia Turusu, dalla base corrispondente ad accadico târu, ebraico tūr (` to go about: as merchant ').

Questa ricerca, che oggi fa vacillare antiche fedi senza certezze e senza attese, solo qualche decennio fa avrebbe provocato un tribunale di inquisizione; per molto meno un tempo si riuscì a far tacere Graziadio I. Ascoli. Occorre porre la linguistica storica, se non al ritmo delle conquiste scientifiche che hanno violato i misteri siderei e spiano l'essenza dei quark, almeno al passo delle scoperte archeologiche che hanno dilatato e arricchito gli spazi della storia.

Alcuni anni or sono, a testimoniare la tenacia di certe idee fisse che resistono all'evidenza, persino davanti alle rivelazioni dei documenti del passato, un dotto di oltralpe recensendo un'opera nuova, mostrava di ignorare tutto dell'influenza semitica su Tebe di Beozia, a due anni dalla scoperta della Cadmea, di cui l'autore recensito dava notizia in due pagine del suo libro. B. Hemmerdinger scrivendo “De la méconnaissance de quelques étymologies grecques”, in relazione al dizionario etimologico della lingua greca prodotto dallo Chantraine, trascrive la perentoria sentenza: « La recherche de l'étymologie devient un jeu parfaitement gratuit, tant les langues sémites semblent riches en possibilités ».

Tant'è : la logica di questi ` hommes savants ' si adombra dinanzi alla realtà antica e sempre viva di una ricchezza incomparabile offerta dalle lingue semitiche, ed essi preferiscono raccontarsi la favola inamena della pecora indeuropea tosata da August Schleicher e ritosata da Hermann Hirt.


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Nota Mia:
entel testo orijnario 'e bocai e 'e consonandi de 'e vecie paroe acadeghe, sumere, ebraeghe, cananee, ecc., 'e gà tute dei segni particolari ke endega dei soni on fià difarenti da i nostri, col me Word no poso far sti segni, me dovì scuxar, prasiò ciàpei co 'e pinse.
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Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:32 pm

LE ORIGINI DELLA CULTURA EUROPEA

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IL MIRAGGIO INDEUROPEO

LA LINGUISTICA COME STORIA DELLA CIVILTÀ


Questa opera vuole recare un messaggio di fraternità, nella consapevolezza che molti popoli della terra parlano la stessa lingua pur nella molteplicità dei loro idiomi. La grande civiltà sumero-accadica ha disciplinato gli elementi del linguaggio umano che si sono irradiati verso lontane regioni dell'oriente e dell'occidente.
Il linguaggio articolato, con le sue leggi e le sue armonie, affidato alla fedeltà della pietra, alla scrittura, è creazione irrepetibile, relativamente recente nella storia della civiltà. Tale creazione, che attribuisce agli oggetti simboli fonici convenzionali, la scrittura, che riproduce pittograficamente e poi in stilizzazioni rapide tutta la realtà della osservazione e il ritmo del pensiero, nacque nei santuari; furono i sacerdoti maestri di sapienza che dettero al tempio e al potere temporale uno dei più esaltanti e gelosi strumenti del progresso. La storia vera dell'uomo comincia con la scrittura. Si può discutere se questo ritrovato sia stato escogitato una volta per sempre nella storia del genere umano. Alle origini della civiltà numera esso si produsse e si perfezionò rapidamente. I geroglifici dell'Islanda orientale o dei Mari del Sud o lo scritto di cinquanta segni sillabici di una delle Caroline, la fascinosa e misteriosa scrittura dei sacerdoti e dei capi dell'Isola di Pasqua sono relitti e impronte delle civiltà storiche e presuppongono quell'originaria scoperta.

« Opera naturale è ch'uom favella ... » ma il linguaggio indisciplinato dell'uomo alalo è fatto di strida e di gesti, sia pure coloriti e modulati dal variare di sensazioni, dai desideri o dal disgusto. Così gli urli assordanti della fanciulla selvaggia vissuta tra gli animali nella foresta di Chàlons, così i gesti che realizzavano il linguaggio degli sposi indiani del Nord-America provenienti da tribù diverse, con dialetti diversi, i segni silenziosi che per testimonianza di Lewis Morgan accompagnarono durante tre anni, felicemente, la vita di due sposi. Così l'impossibilità degli Arapaho, come di alcuni altri popoli moderni, di parlare al buio senza il sussidio dei gesti.

Esulia dai nostri limiti il ricercare se sia stata l'arte della terracotta a suggerire marchi di fabbrica, poi divenuti segni di scrittura o sia stato il commercio fra tribù diverse ad avvertire l'esigenza di simboli grafici di reciproca intelligenza; o quanto abbiano contribuito le primitive raffigurazioni di gesti, i ku- wan dei cinesi. Qui si esprime la convinzione di avere dimostrato sufficientemente, nelle pagine di avvio alla nuova ricerca lessicale, che le lingue indeuropee sono il risultato delle successive trasformazioni di basi già documentate dal sumero e dall'accadico, in antica simbiosi e in reciproci scambi, anche se l'accadico riflette talora una nuova elaborazione di basi sumere e per così dire riplasma le più antiche attestazioni di una lingua organica.

Le vere o presunte invasioni di indeuropei lasciano intravedere la dinamica di popoli che ai margini della Fertile Mezzaluna hanno già assorbito gli influssi delle civiltà sumero-accadiche. La stessa denominazione di arii,' con cui si designano gl " stranieri " invasori dell'India, è forma allotropa che deriva dalla base corrispondente a latino alii in trascrizione iranica (1 = r) con interferenza semantica della base corrispondente a latino al tus " elevato " elementi lessicali che si ritrovano in accad. allu (altro, ' he other ': Ras Shamra, Nuzi) e aliu (alto, ' high ').

Se sullo sfondo della storia non facesse la sua apparizione lo spettro del razzismo, trascorso da una scienza bestiale a un olocausto crudele, parlare oggi di lingue e popoli arii parrebbe quasi discorrere di aria fritta.

Le pagine di questo libro sono percorse da una costante ansia di rivelare nelle antiche parole il loro originario segreto, vogliono essere opera di storia. Il vero pregio vorrebbe essere nella misura in cui invece delle radici linguistiche, elaborate simbolicamente e perciò avulse dalla realtà originaria, saranno rivelate le voci corrispondenti, documentate nei più antichi contesti che la civiltà culturale ci offre: nei lessici, nei poemi, negli inni della letteratura sumero-accadica che, anche se registrate nel III o II millennio a. C., presuppongono più antiche origini.

L'origine caucasica delle lingue indeuropee appartiene alle ipotesi gratuite con cui la scienza talora crede di avere risolto alcuni problemi prima di averne rivelate le incognite.Il popolo sumero, la cui lingua fu creduta indeuropea, esprime ideo-graficamente " paese " con il segno che indica montagne, argomento che postula la ricerca dell'antica patria dei Sumeri sui monti. E la tradizione riferita da Beroso ricorda il mitico Oannes che si affaccia al Golfo Persico per recare i segreti della saggezza, della civiltà; la tradizione biblica ricorda Kus, il progenitore dei Cusciti, padre del babilonese Nemrod. Possiamo intuire da dove partano le correnti civilizzatrici della Fertile Mezzaluna : dal popolo che fu detto il più antico del mondo. I monti ove esso abitò non possono essere l'oscuro Caucaso nei cui deserti tempestosi fu confinato e incatenato Prometeo per aver donato la scintilla del fuoco agli uomini, forse invece sono i limpidi altipiani etiopici, ai cui piedi è l'Egitto.

Questa opera vuole riscattare la linguistica, come disciplina storica, dall'ambiguità e dall'astrattezza, offrendo prove documentate di una realtà strutturale; vuole dare concretezza e fondamento storico alla ricerca, una ricerca sul vivo di forme e di voci realmente vissute per restituire alla scienza un nuovo rigore di indagine. Senza un profondo Erlebnis, senza saggiare al fondo l'esperienza di una realtà autenticamente vissuta, la linguistica rischia di trascinarsi in preda a un alienante tecnicismo pseudoscientifico, per sanare le immedicabili ferite delle sue impostazioni astratte.La fenomenologia dell'Husserl mi incuorò alla messa in parentesi di tutta una costruzione che, nata col Bopp in limiti di certe connessioni formali in area indeuropea, non poteva ancora corredarsi di un tesoro lessicale emerso dal territorio di più antica tradizione scritta : quella accadica e in parte sumera.

I principi di quest'opera sono gli stessi che Vico pose a fondamento della sua “De antiquissima Italorum sapientia” e di alcune degnità della Scienza Nuova : cogliere nella storia delle parole il valore euristico di una scienza dell'antichità. « I parlari volgari debbon essere i testimoni più gravi degli antichi costumi de' popoli, che si celebrarono nel tempo ch'essi si formaron le lingue » (Degn. XVII, cfr. XLVIII, IL, L, LX). La funzione di indagine e il suo fine restano intatti pur sostituendo, con uno strumento scientificamente perfezionato e ingigantito dalle nuove tecniche del linguaggio, quel primitivo mezzo di ricerca riconosciuto dal Vico stesso inadeguato e che non era molto diverso da quello del Cratilo platonico, di Varrone, dello Scaligero e di Sanchez.

È dubbio che tale principio di ricerca illuminante nel cuore di sillabe remote risalga ad Eraclito (Diels, Jr. 48; cfr. Procli comm. ad Parm., ed. Stallbaum, p. 479), ma solo Vico gli ha dato la ricchezza, la dimensione e il valore di una auscultazione profonda. Al Vico spetta avere rivalutato certe intuizioni platoniche, il linguaggio dei simboli eloquenti, delle ` imprese eroiche ' con cui parlano uomini muti, l'importanza della scrittura nello sviluppo del linguaggio organico che per noi è convenzione e invenzione relativamente recente nelle vicende dell'umanità.

Platone, Varrone, Vico non cercavano affinità morfologiche ma indagavano, con i mezzi primitivi a loro disposizione, sulla storia della cultura e dello spirito : « lorica quod e loris de corio crudo pectoralia faciebant ». Così Varrone chiarisce il nome della corazza ai contemporanei che ne usavano di ferro e di bronzo, come scrisse Terracini, il quale ha reagito da par suo (B. Terracini, Conflitti di lingue e culture, 1957, p. 169) alla tendenza di chi parlò «anche troppo del linguaggio che si muta secondo una linea di sviluppo fatta di punti impercettibili finché un bel giorno si trova ad essere diverso da ciò che era ».

Qualità specifica del tradizionalismo linguistico è ovviamente la continuità del linguaggio : due punti, anche remoti, su reticoli discontinui, possono essere accostati ricuperando un valore di equivalenza. La scienza etimologica moderna fa riferimenti al quadro filogenetico, per dirla con Schuchardt, che parte dal primo balbettio infantile e moltissimo concede alle onomatopee, divenute comodo rifugio alle aporie degli storici delle lingue.

L'idea dell'unità del linguaggio in epoca cristiana è ispirata dalla Bibbia: Dante nel De vulgari eloquentia (I, 6 sg.) concepisce l'ebraico come lingua originaria parlata da Adamo e dai suoi posteri sino alla confusione babelica, mentre dopo sarebbe stata in uso solo fra gli Ebrei; nella Divina Commedia (Paradiso, XXVI, 124 sgg.) muta idea e per bocca del padre del genere umano afferma che la lingua prima era già tutta spenta prima della confusione babelica.

Influsso religioso fu negli antichi grammatici arabi l'idea della loro lingua come madre di tutte le altre, perché sarebbe stata quella del paradiso terrestre, parlata da Allah (cfr. H. Fleisch, Introd., p. 11).

Dante, comunque, nei celebri versi: opera naturale è ch'uom favella, ma così o così natura lascia poi fare a voi secondo che v'abbella ...(Par., XXVI, 130-32), ha superato il dissidio scolastico fra realisti e nominalisti che configura l'antico conflitto greco fra i sostenitori del linguaggio come νόμος e come φύσις.
Dante ha saputo raccogliere almeno la lezione delle scuole: « Significare conceptus suos est homini naturale, determiminare autem signa est ad placitum ».

La concezione della lingua come νόμος e come φύσις che sarà raccolta ai nostri tempi dal Saussure, rimase comunque fra i logici, da Aristotele e S. Tommaso, l'unico modo razionale di intendere il linguaggio, perché le parole sono gli elementi che per convenzione designano le cose, sebbene non siano le cose stesse né le idee che hanno invece realtà solo nello spirito.

La scienza del linguaggio dovrà concedere più a Democrito e Pindaro, che cantò « la convenzione regna su tutto » (Herod., III, 38), più a Ermogene che a Graffio.

Una delle ragioni fondamentali del differenziarsi delle lingue è segnalata da una delle più lucide intuizioni del Rinascimento: è nell'opera di Francisco Sánchez, el Brocense (Minerva seu de causis linguae latine, 1587, libro I, I sg.) : le stesse cose vengono designate da popoli diversi con voci diverse, perché ogni cosa può essere considerata sotto differenti aspetti.

Dante parla spesso con le anime del cielo senza produrre il linguaggio organico dei mortali e anche la Scolastica non ignora il linguaggio interiore con cui gli uomini sanno comunicare fra loro. Ma Dante sa che esiste un altro linguaggio: sono le voci della natura che ci assediano costantemente e nelle quali parla Dio. Dante, in un celebre passo del De vulgari eloquentia (I, IV) ha condensato Agostino, (De Genesi ad litteram), San Tommaso e il Salmo XXVIII : « Vox Domini super aquas... Vox Domini confringentis cedros... Vox Domini intercidentis flammam ignis... Vox Domini concutiensis desertum ». Ma le voci arcane non sono bastate a quelli che primi si accinsero a fissare un codice: « oportuit ergo genus humanum ad comunicandas inter se conceptiones suas aliquod rationale signum et sensuale habere » (ibid., I, 3).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:32 pm

LE ORIGINI DELLA CULTURA EUROPEA

del fiłołogo pujexe Giovanni Semerano
[studioxo de łe łengoe vece e moderne (it.)/studioxo de łe łengoe vecie e moerne (ven.)]

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 1/kw-4.jpg

VENETICI

La storia di Tito Livio comincia con la leggenda di Antenore che, a guida dei Veneti cacciati dalla Paflagonia, approda nella parte piú interna dell'Adriatico, occupa la regione allontanandone gli Euganei.

Dobbiamo subito rilevare col Prosdocimi (La lingua ventica,IIl, 235) che la tradizione classica su questo popolo è sotto l'influenza del cenno omerico (Il., 2, 851 sg.): «Pilemone guida i Paflagoni έξ Έυετών». Strabone attesta anch'egli (I, 3, 21) `che gli Ένετοί sono passati dalla Paflagonia sulle rive dell'Adriatico.
Dagli Antenoridi di Sofocle il passaggiò dì Antenore con gli Enetoi dalla Tracia verso Adria è stato orchestrato, al dire di Polibio (II, 17, 6), da tanti tragediografi.

L'etimo dei Paflagoni, gli abitanti della regione affacciata al Mar Nero e delimitata dal fiume Halys, a sud, è da ricercare in basi assire corrispondenti a baal-palag (quest'ultima base la ritroviamo in Pelagonia). I Paflagoni sono " i dominatori delle vie d'acqua " e " i signori del mare ", il Mar Nero, dal quale, verso la fine del secondo millennio a. C. si diramano molte correnti di popoli e civiltà di influenza assira della Cappadocia.

Erodoto fa cenno dei Veneti dell'Illiria ('‘Eνετοί, I, 196) per rilevare la coincidenza di una stessa consuetudine fra loro e i Babilonesi.
Parlando dei Siginni (V, 9) dice che i loro confini si estendono sino a gli Eneti che abitano sull'Adriatico. Strabone (C 553), sulla fede di Meandrio, conferma che gli 'Ένετοί 'provenienti dal Paese dei Leucosiri, cioè Cappadoci di origine assira, partiti da Troia, insieme coi Traci, approdarono e si stanziarono nella parte superiore dell'Adriatico.

Non si dimentica la testimonianza di Catone (in Plinio, N. h., III, 130-131) « Venetos troiana stirpe ortos ».

L'etimo di Ένετοί si richiama alla stessa base di greco Aίνος, latino Aenus, nome della città che, posta alla foce dell'Ebro, si può designare " la città del fiume ": cioè accadico ēnu, īnu, semitico ‘ain ( ‘spring, river’), voce che torna nell'idronimo Inn, Aenus il fiume che segna il limite tra la Rhaetia e il Noricum.
Il suffisso -to- (su cui cfr. Prosdocimi, II, p. 241 sg.) corrisponde ad accadico etû, itû (confine, regione, border, region, confines ') e acquisterà un valore aggettivante di " appartenente a " implicito nel senso di ` adjacent to '.

Strabone stesso (7, 6.1) informa che Aenus (Eno) si chiamò già Poltyobria (Πολτυοβρία[[;)] e che nella lingua dei Traci βρία significa città. βρία, in effetti, corrisponde ad accadico bīrtu, ebraico bīrā (borgo, ` citadel, castle, fort ') e πόλτνς, Polti, nome del re trace, corrisponde ad accadico, antico babilonese pāltu (spada, ` a two-edged sword '), degno attributo e decoro di un antico re.

Quella parte della Cappadocia lungo il fiume Halys e lungo la Paflagonia usa due dialetti che abbondano di nomi paflagoni, come Bagas, Biasas, Aeniatēs, Rhatōtēs, etc.
Questi due ultimi nomi richiamano Aenus, e Rhaetia. Anzi Rhaetia conferma il significato del primo : " la terra del fiume ": accadico, antico babilonese rātum ebraico, aramaico rahaţ (corso d'acqua, ` Wasserlauf'). Atōtēs è correzione errata del Reinach.

Il nome degli Ένετοί richiama quello degli Enieni, Ένιήνες; (Il., 2, 749) che il catalogo omerico, indica come genti della valle superiore dello Spercheo (Herod., 7, 132, 185); il suffisso -ήνες, corrisponde ad antico babilonese ēnum (signore, dominatore, ` ruler, lord '), sumero en.

Si assumono a confronto etnici simili, come Veneti, i Galli dell'Armorica (are mori = ad mare), tra la foce della Loira e quella della Senna. Plinio (Nat. hist., IV, 105) associava all'Armorica anche l'Aquitania (aqua), la regione a sud della Garonna e Aquitania è da accostare etimologicamente ad Aquileia (dove l'aquila non ha nulla da vedere), congiunta alla laguna di Grado e al mare dal fiume Natiso; sono interessati anche gli Slavi Veneti, sul corso medio e inferiore della Vistola; Venosta che dà nome al tronco superiore della valle dell'Adige, dalla sorgenti del fiume. Occorre concludere che la costante del nome di fiume, assiro ēnum, è presente nell'etnico dei Veneti.

Il nome di Rhaetia è affine semanticamente al nome ladino Engiadina, Engadina, in cui En- corrisponde a greco έν, latino in, accadico in, ana; -gad- corrisponde ad accadico gādu (` at the side of '), ebraico gādā " riva ", ` bank of a river '). Engadina è la valle superiore dell'Inn, fra le due catene delle Alpi Retiche, dalle sorgenti del fiume, non lontano dal passo del Maloggia.

Anche Noricum, in analogia con Veneti, rende il senso di terra del fiume: accadico nārum (fiume, `river, canal, stream'); la stessa origine ovviamente ha il nome Naro, il Narenta, e Narona, che fu colonia romana in Dalmazia, sulle rive del Naro.
Le concomitanze, in particolare, con l'Asia Minore e l'occidente balcanico si estendono ad altri particolari.
Dardano, il capostipite dei Priamidi nella Troade, è autoctono per Omero; il suo nome corrisponde ad accadico tartānu (commander in chief).
I Dardani, in Illiria, divisi in tribù, tra le quali sono noti i Galabrii e i Thunatae, sono il popolo che ritroviamo in epoca classica ai confini settentrionali della Macedonia, sulle rive dei corsi superiori dell'Axius (Vardar) e della Morava, fra le sorgenti del Timacus (Timok) e del Drino (Drin).

Axius richiama il nome dell'Apsus della Troade e dell'Apsus illirico, accadico apsû (acqua profonda, ` deep water, sea, cosmic, subterranean water '), sumero ab-zu, dal quale nome derivano quelli di Japodi, Giapidi e Apuli, ma la sua origine è calcata: corrisponde alle basi di accadico agî-āsû (sorgente) : accadico agû (acqua) e āsû (` spring ').

Il nome del Timavo, Timavus, greco Tίμανος, non può disgiungersi da Timacus, il Timok, fiume della Mesia Superiore. Tale nome riaffiora in Timau, fiume dell'Alta Carnia, al valico di Monte Croce, dove dalla roccia scaturisce abbondante corrente, il Fontanone; accanto al fiume Cellina, sopra Maniago, fu rinvenuta un'ara votiva al Timavo, della fine della repubblica (v. Religione dei Venetici).

Gli abitanti dell'Istria, delimitati dal canale dell'Arsa (Arsia) e dal Timavo, sono popolazione di stirpe venetica che verisimilmente verso la fine del primo millennio penetra nella regione e occupa i castellieri, il più forte dei quali deve essere stato Nesazio sul Quarnaro.
Gli Istri non derivano il nome dalle basi che richiamano l'idionimo Istro (lett. anse, ritorni del fiume) : accadico id (fiume, ` river '), calcato da āşû, āşītu (sorgente, ` spring, canal ') e tīru (ansa di fiume, ritorno, ` Windung ') : Istria, " l'ansa ", richiama basi semitiche: ebraico i (` coast-land ') con determinativo -eš, e tā'ar (` to turn round '), accadico tīru.

Nessun fiume più del Timavo merita la denominazione generica di Istro, di fiume che erra, scompare e ritorna.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:34 pm

"Bibliografia di parte delle fonti testuali adoperate dal Semerano, per la realizzazzione della sua opera "Le Origini della Cultura Europea

(it.) Tratti dalla pagina LXXVII alla pagina XCVI del dizionario etimologico della lingua greca antica.
(ven.) Trati fora da ła pajina LXXVII a ła pajina XCVI del disionaro etinołojigo de 'a vecia łengoa grega.

DISIONARI ETIMOŁOJÇI DE ŁA ŁENGOA GREGA

Al fine su indicato, ci limitiamo a segnalare per il greco:

P. Chantraine:
Dictionnaire étymologique de la langue grecque, 1968-80, 2 voll.

H. Frisk:
Griechisches Etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, 1954-72, 3 voll. J. 13.

Hofmann:
Etymologisches Wörterbuch des Griechisches, Monaco, 1950.

E. Boisacq:
Dictionnaire étymologique de la langue grecques, (1907), Heidelberg,
1938.

G. Jucquois:
B. Devlamminck, Compléments aux Dictionnaires étymologiques du grec ancien, I (A-K), Lovanio, 1977.


DISIONARI ETIMOŁOJÇI DE ŁA ŁENGOA LATINA


A. Ernout - A. Meillet :
Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots [Paris, 19321], 3' éd. rev., con. et augm. d'un index, 1951, 2 voll. pp. 1-667; 669-1385; 4' éd. 1980, pp. XIX-832 (IV rist. 1985) Adition et corrections, par J. André.
Rec.: Lejeune «REA» 53, 1951, 115-116; Niedermann «Erasmus» 4, 1951, 679-684; Marouzeau «REL» 29, 1951, 376; Whatmough «CPh» 46, 1951, 196; Maniet «LEC» 19, 1951, 273; Vendryes «RPh» 25, 1951, 108; Chantraine «BAGB» 1, 1951, 96; Leroy «AC» 20, 1951, 214-217; Benveniste «BSL» 47, 1951, n. 135, 107-108; Leroy «AC» 29, 1960, 231-233.

Walde J. B. Hofmann:
Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, 1930-1958; 19654, 3 voll.

(J. Pokorny:
Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Bern-Munchen, 1959: per l'i.e.).

B. Forssman:
Etymologische Nachschlagerwerke zum antiken Latein. Stand und Aufgaben, «Das Etym. Wörterbuch. Fragen der Konzeption und Gestaltung» hrsg. von A. Bammesberger, Regensburg, 1983, 49-73) (su i dizionari di Walde-Hofmann, Ernout-Meillet, ecc.).

G. Alessio:
Lexicon etymologicum. Supplem. ai Dizionari etimologici latini e romanzi. Indici a cura di A. Landi, Napoli, L'Arte Tipogr., 1976, pp. XX-689.
Ree.: Pisani «Paideia» 32, 1977, 157-158; André «Latomus» 37, 1978, 981-984, Leroy «RBPh» 56, 1978, 1041.

INDIÇI, LESEGHI E CONCORDANSE DE I AOTORI

H. Quellet:
Bibliographia indicum, lexicorum et concordantiarum auctorum Latinorum. Répertoire bibliographique des index, lexiques et concordances des auteurs latins, Hildesheirn-New York, Olms Verlag, 1980, pp. XIV-262.
Rec.: Fontaine «REI,» 58, 1980, 463-465; Petitmengin «Latomus» 42, 1983, 893-894; Challet «BSL» 78, 1983/2, 171-175.

Di evidente rilevanza sono le pagine che opere ben note dedicano alla formazione delle parole:
E. Benveniste:
Origine de la formation des nos en Indo-européen, Paris, 1962.

A. Ernout:
Morphologie historique du latin, Paris, Klincksieck, 1974.

Palmer, L R:
La lingua latina, Torino, Einaudi, 1977 (The Latin Language, London, Faber and Faber, 1961).

Anche per il latino, come per il greco, nella formazione delle parole svolgono una funzione fondamentale gli elementi alloformanti: suffissi, oltre che prefissi, sulla cui origine ha gravato un'assoluta oscurità. Poiché essi hanno un'anima antica, occorreva evocarla sulla scorta dei richiami storici: fuori dalla loro storia i reali valori delle parole alle origini coltivano l'ombra degli enigmi.


SEMETEGO/semitico

The Assyrian Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago, ancora in corso di pubblicazione dal 1963; e
Akkadisches Handwörterbuch ... bearbeitet von Wolfram von Soden, Wiesbaden, Harrassowitz, 1965-1981.

J. Gelb:
Glossary of old Akkadian, The University Chicago Press, 1957

Di grande utilità l'opera di S. Moscati, A. Spitaler, E. Wollendorf, W.
v. Soden, An Introduction to Comparative Grammar of the SemiticLanguage:
Phonology and Morphology, edited by S. Moscati, II pr., Wiesbaden, Harrassowitz, 1969,
e di:
Garbini:
lingue semitiche, Studi di storia linguistica, 2° ed., Napoli, Ist. Univ. Orientale, 1984.
Il semitico nordoccidentale,Roma, «La Sapienza», 1988.

von Soden - Rollig:
Das akkadische Syllabar, Roma, Pont. Inst. Bibl.,
1967.

Se oce anca/si guardi anche:

C. Brockelmann, Lexicon Syriacum, Halis Saxon, 1928.

D. Cohen:
Dictionnaire des racines sémitiques ou attestées dans les langues sémitiques, Paris, Mouton, fasc. I, 1970; fasc. II, 1976.

P. Fronzaroli:
Studi sul lessico comune semitico, 1964, 1965.

Studies on Semitic Lexicography, Ist. di linguistica e di lingue orientali, Università di Firenze, 1973.

G. Garbini:
Considerations on the language of Ebla, in Cagni, LdE , p. 75 e sgg.
L'aramaico antico Roma, 1956.

C. Gordon: Ugaritic textbook: Glossary; 1965.

L. Koehler, W. Baumgartner, Lexicon in Veteris Testamenti libros, Leiden, 1953; e Supplementum, ibid., 1958.

Wörterbuch der klassischen Arabischen Sprache. Auf Grund der Sammlungen von A. Fischer, Th. Noldecke, H. Reckendorf u.a. Wiesbaden, 1957.

G. Pettinato:
Testi lessicali monolingui della Biblioteca L. 2769, Napoli, 1981.
Testi lessicali bilingui della Biblioteca L. 2769, Napoli, 1982.
Vedi anche: A. Archi, Les textes lexicaux bilingues d' Ebla, in S.E.C., IV (1980), pp. 81 sgg.

G. Pettinato e H. Waltzold:
Studi per il vocabolario sumerico. I: 1, Roma, 1985;
G. Pettinato e V. Davidovic: I/2, Roma, 1985;
G. Pettinato, in collaborazione con J. Gregoire, D. I. Owen, H. Waltzold, Roma, 1985.

C. Saporetti:
Onomastica medio-assira ..., Roma, Biblical Inst. Press. Roma, 1970; vol. I: I nomi di persona; vol. 2: Studi, vocabolari ed elenchi.

E Zorell:
Lexicon Hebraicum et Aramaicum Veteris Testamenti, Roma, 1940 ff


VOXI DE ANCÒ/voci di oggi

ANGREXE/inglese

E. A. Klein:
A comprehensive Etymological Dictionary of the English language, 2 voli., Amsterdam, 1967.

C. T. Onions:
The Oxford Dictionary of English Etymology, with the assistance of
G. W. S. Friedrichsen and R. W. Burchfield, Oxford, 1966.

Walter W. Skeat:
An Etymological Dictionary of the English Language, Oxford, 4th ed., 1910 (ristampa: 1968).

E. Weeldey:
An Etymological Dictionary of Modem English, New York, 1921.


TODESCO/tedesco

Duden. Etymologie.
Herkunfiswörterbuch der deutschen Sprache, bearbeitet von Gunther Drosdowsi, Paul Grebe und weiteren Mitarbeitern der Dudenredaktion. Mannheim, 1963.

H. H. Keller:L
German root lexicon, Coral Gables, 1973.

F. Kluge:
Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, 20. Auflage bearbeitet von Walter Mitzka, Berlin, 1967.


ANTRE ŁENGOE JERMANEGHE/altre lingue germaniche

H. s. Falk - Alf Torp:
Norwegisch-Dänisches etymologisches Woerterbuch, Kristiania [= Oslo], 1910 (ristampa Heidelberg, 1960).

G. Scardigli - T. Gervasi:
Avviamento all'etimologia inglese e tedesca, Firenze, Le Monnier, 1978.


ANTRE ŁENGOE DITE ENDOROPEE/altre lingue dette indoeuropee

O. Bloch - W. v. Wartburg:
Dictionnaire étymologique de la langue française. V. éd., Paris, 1968.

M. Mayrhofer:
Kurzgefasstes etymologisches Wörterbuch des Altindischen. Heidelberg, Bd. I. 1956 Bd. II, 1963, Bd. III, 1977.

M. Wasmer:
Russisches etymologisches Wörterbuch. Heidelberg, 1053-1958 (3 voll.).


TAJAN/italiano (tra i altri)

T. Bolelli:
Dizionario etimologico della lingua italiana, ediz. riveduta, Milano, TEA, 1994.

M. Cortelazzo - P. Zolli:
Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 5 voli. 1979-1988-2000.

G. Devoto:
Avviamento alla etimologia italiana, Firenze, Le Monnier, 1966.


ETIMOŁOJA/etimologia

J. Trier:
Wege der Etymologie, Berlin, 1981.

A. Zamboni:
L'etimologia, Bologna, Zanichelli, 1976, pp. VI-218: linguistica generale.
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Re: Ourope: etimoloja e la canta de la joia

Messaggioda Berto » dom set 13, 2015 2:51 pm

Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi
viewtopic.php?f=92&t=1475

Immagine

http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Ni ... ve-Kalergi

Il conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (Tokyo, 17 novembre 1894 – Schruns, Austria, 27 luglio 1972) è stato un politico austriaco, fondatore dell'Unione Paneuropea e primo uomo politico a proporre un progetto di Europa unita.

Sempre Coudenhove-Kalergi per primo propose nel 1929 di adottare come inno europeo l'Inno alla gioia di Friedrich von Schiller su musica della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven. Fu inoltre l'autore nel 1930 della prima proposta di celebrare una giornata dell'Europa a maggio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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