No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:53 pm

"Una guerra nell'Egeo sarebbe la fine della Nato"
12 agosto 2020

https://www.agi.it/estero/news/2020-08- ... o-9403144/

"Una guerra nel Mar Egeo significherebbe la fine della Nato e spingerebbe la Turchia definitivamente nell'orbita russa". Non ha dubbi Cem Gurdeniz, che nella Marina turca ha rivestito il grado di contrammiraglio ed ora dirige il centro studi marittimi della Koc University. Laico, nazionalista, in un'intervista all'AGI specifica subito che la dottrina da lui teorizzata della "Patria blu" (Mavi Vatan in turco) non ha nulla a che vedere con l'Islam e con il partito Akp al potere del presidente Recep Tayyip Erdogan, che però ne trae ispirazione per le proprie politiche.


La teoria della Patria blu

"Mavi Vatan descrive il ritorno della Turchia al mare, l'unione tra Anatolia e Mediterraneo orientale, si tratta di una dottrina con cui la Turchia persegue i propri diritti nel Mediterraneo", specifica l'ammiraglio. Un ritorno di ottomana memoria, per realizzare il quale la Turchia si trova da sola contro Grecia, Egitto, Israele, Cipro, Usa e Ue, secondo Gurdeniz "esattamente come a Sevres nel 1920", quando l'impero ottomano fu smembrato per volere delle altre potenze in gioco.

"Oggi come allora la Turchia si trova da sola a combattere per la propria mappa. In passato l'obiettivo delle potenze occidentali era quello di rinchiudere la Turchia nei confini anatolici, ma ora i tempi sono cambiati e dal 2002 che Mavi Vatan ci consente di farci valere, attraverso la diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle".

Dopo alcuni giorni di quiete, seguiti all'annuncio di Erdogan di sospendere le trivellazioni nel Mediterraneo (su pressione della Germania), la situazione è nuovamente precipitata con l'accordo sulla giurisdizione marittima tra Grecia ed Egitto, siglato in risposta all'intesa dello scorso novembre tra Ankara e Tripoli. Tuttavia l'ammiraglio Gurdeniz ha le idee chiare sulla validità dell'accordo greco-egiziano.

"La Grecia vive nel mondo dei sogni. Un confine marittimo tra Grecia ed Egitto è impensabile, contrario al diritto internazionale marittimo. Il Cairo non è un interlocutore della Grecia perché non ci sono isole greche che guardano verso le coste egiziane e le sentenze delle corti internazionali sono chiare".


"Gli Usa usano la Grecia come sicario"

Tuttavia le polemiche tra Ankara e Atene sono all'ordine del giorno. "Da un lato vediamo la violenza con cui la Grecia respinge i migranti, in chiara violazione del diritto marittimo, dall'altro assistiamo a continui tentativi di Atene di usurpare i diritti della Turchia, grazie al sostegno di altre potenze come gli Usa, che usano la Grecia come sicario per colpire la Turchia", afferma Gurdeniz, in riferimento alla disputa sulla piattaforma continentale.

"La Grecia è andata nel panico dopo l'accordo con la Libia. Atene non ha mai reso nota la propria piattaforma continentale e ora pretende di estenderne la superficie per 50 mila km quadrati per Castellorizo, un'isola di pochi km quadrati distante 580 km dalla Grecia e due km dalla costa turca. Ankara non farà alcun passo indietro ed è pronta a mettere in campo la propria marina militare. Sia chiaro a Usa e Ue".

La questione cipriota

Madre di tutte le dispute nel Mediterraneo orientale rimane però la questione di Cipro, crisi che va avanti dal 1974, su cui Gurdeniz ha le idee chiarissime."Se la Turchia avesse voluto avrebbe preso il controllo di tutta l'isola in pochi giorni. Ora l'unica soluzione è quella di due Stati indipendenti, il federalismo condurrebbe inevitabilmente al conflitto, ma il primo fondamentale passo è che Cipro greca riconosca i diritti della parte turca dell'isola e la coinvolga nella gestione dei proventi delle risorse energetiche, invece di agire di nascosto utilizzandole solo a proprio beneficio".

Secondo l'ammiraglio le parti devono riavvicinarsi il prima possibile, perché un conflitto finirebbe inevitabilmente per coinvolgere interessi russi. "Il 75% dei proventi russi derivanti dal commercio marittimo passano dall'Egeo e un conflitto tra Turchia e Grecia spingerebbe definitivamente Ankara nell'orbita russa con gli Usa che perderebbero le proprie basi in Anatolia, la fine della Nato".




La Francia invia le navi: la Turchia infiamma il Mediterraneo
Lorenzo Vita
13 agosto 2020

https://it.insideover.com/guerra/franci ... -navi.html

Il Mediterraneo orientale si infiamma e lo scontro tra Grecia e Turchia si alza a livello critico. Le ultime mosse turche, con la decisione del governo di Recep Tayyip Erdogan di inviare la Oruc Reis scortata da alcune navi militari davanti le acque di Castelrosso, ha scatenato l’ira della Grecia che ha chiesto immediatamente un intervento degli alleati europei. L’Unione europea ovviamente latita, ma nel frattempo la Francia su muove. Emmanuel Macron, annunciandolo con un messaggio su Twitter scritto in lingua greca, ha inviato nell’area contesa la porta elicotteri Tonnerre e la fregata La Fayette, e intanto due caccia Rafale sono atterrati nella base di Souda, a Creta, la stessa usata dalle forze degli Stati Uniti. Dopo l’arrivo dei mezzi francesi, le forze di Parigi e quelle di Atene – rappresentate dalle fregate Spetsai, Aegeon, Limnos e Kountouriotis – hanno dato via a un’esercitazione militare congiunta che ha il significato di un vero e proprio avvertimento nei confronti della Turchia. E il messaggio di Macron non lascia dubbi: “Le decisioni unilaterali della Turchia in materia di esplorazione petrolifera provocano tensioni. Queste devono cessare per permettere un dialogo pacificato fra paesi vicini e alleati in seno alla Nato. Ho deciso di rafforzare temporaneamente la presenza militare francese nel Mediterraneo orientale nei prossimi giorni, in cooperazione con i partner europei fra cui la Grecia”. Post a cui ha replicato il premier greco Kyriakos Mitostakis con un messaggio in francese in cui ha ringraziato Macron per il sostegno alla Grecia. Ieri lo stesso primo ministro aveva segnalato il rischio molto alto di un incidente sul fronte del gas.

La tensione è ovviamente alle stelle. La guerra del gas, se ancora non combattuta col fuoco vivo delle armi, è comunque una realtà con cui è doveroso fare i conti. Erdogan, dopo l’arrivo della flotta francese, ha fatto una sorta di marcia indietro affermando che la via del dialogo è l’unica per raggiungere un’intesa sull’esplorazione dei fondali marini dell’Egeo e del Mediterraneo orientale. Ma è evidente che i piani turchi siano ben altri e passano proprio da questi atti di forza con cui il Paese impone la sua agenda. È stato fatto per anni con Cipro, sopratutto sfruttando la Repubblica del Nord che è gestita de facto dalla Turchia. Ed è un procedimento utilizzato anche in Siria settentrionale e in Libia, dove Erdogan si è inserito per via militare con atti di forza, molto spesso anche solo propagandistici, ma che hanno reso impossibile escludere Ankara dal tavolo delle decisioni. E il percorso sembra essere lo stesso con la Grecia, che da un lato si vede ricattata sul lato dei flussi migratori ma dall’altro vede il rischio di un dinamismo turco dai lati ancora oscuri.

In un’intervista ad Agi, Cem Gurdeniz, ammiraglio turco che ha teorizzato la dottrina del Mavi Vatan, la “Patria blu”, ha spiegato che il “ritorno al mare” previsto dalla sua strategia con l’unione tra Anatolia e Mediterraneo orientale non ha nulla a che vedere né con il partito di Erdogan né con l’islam. Ma è chiaro che questa dottrina esiste ed è anzi confermata proprio dal fatto che Erdogan sia solo uno degli esecutori materiali – il principale – di un’idea che esula dalle decisioni contingenti. Mavi Vatan, la Turchia che si espande di nuovo nel Mediterraneo orientale sfidando Grecia, Israele, Cipro ed Egitto, basandosi sulla memoria dell’Impero ottomano, è più di un sogno: è un obiettivo strategico a lungo termine. Gurdeniz, nazionalista laico, ha spiegato le intenzioni turche in termini molto chiari: “La Turchia si trova da sola a combattere per la propria mappa. In passato l’obiettivo delle potenze occidentali era quello di rinchiudere la Turchia nei confini anatolici, ma ora i tempi sono cambiati e dal 2002 che Mavi Vatan ci consente di farci valere, attraverso la diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle”. In questo senso, le navi militari spedite davanti alle coste greche a poche ore dall’accordo sui confini marittimi tra Grecia ed Egitto, è una conseguenza quasi naturale. E l’impressione è che da parte turca non potranno esserci deroghe a questa strategia.

La questione è di importanza vitale non solo per il Mediterraneo orientale, ma anche per la stessa Nato. L’Alleanza atlantica vede al suo interno sia la Grecia che la Turchia ed entrambi i Paesi sono pilastri fondamentali per la vita del Patto atlantico. Le mosse di Erdogan degli ultimi anni hanno scalfito la fiducia statunitense nella partnership con Ankara (soprattutto con l’acquisto degli S-400 russi) ma nessuno a Washington pensa allo stato attuale di poter fare definitivamente a meno della Turchia cedendola al fronte orientale: ovvero a Cina e Russia. Un timore che però non significa cedimento su tutta la linea, perché il Pentagono ha già rafforzato la sua presenza militare in Grecia proprio per evitare di dover fare troppo perno sulle basi turche. Mentre l’alleanza con Israele – sfidato a più riprese da Erdogan – oltre alla volontà di colpire gli interessi di Mosca, fa si che da parte di Washington siano stati mandati già diversi segnali: a cominciare da quello più subdolo, il crollo della lira.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:55 pm

La minaccia neo-ottomana
David Elber
23 Agosto 2020

http://www.linformale.eu/la-minaccia-neo-ottomana/

Da quando Israele è stato creato, il veto palestinese ha condannato tutti gli sforzi per forgiare la pace tra il mondo arabo e lo Stato ebraico.

Il veto palestinese si basa su una tesi tossica, secondo cui, il diritto di Israele di esistere è subordinato alla soddisfazione delle rivendicazioni palestinesi contro di esso. Finché i palestinesi affermano di non essere soddisfatti, Israele non può aspettarsi che il mondo arabo lo riconosca o viva in pace con esso.

L’esistenza stessa del veto ha assicurato che i palestinesi non saranno mai soddisfatti da alcuna concessione israeliana e non accetteranno mai una pacifica convivenza con lo Stato ebraico. Dopo tutto, la loro importanza globale e regionale è un prodotto del veto.

Gli arabi e gran parte del resto del mondo sostengono i palestinesi perché essi esercitano il veto. In quanto detentori del veto, i palestinesi sono visti come la chiave – o l’ostacolo chiave – alla pace in Medio Oriente. Se rinunciano o perdono il veto, perderanno la loro posizione e il potere di consentire o bloccare la pace e fomentare la guerra e l’instabilità.

Per quanto riguarda i leader arabi, per generazioni il veto palestinese è stato il presupposto del loro potere e della loro stabilità. Ha permesso loro di distogliere l’attenzione dei loro popoli e dei governi del mondo dalla loro corruzione, dal loro estremismo e dal loro fallimento in patria e all’estero. Ha permesso loro di concedersi il capro espiatorio di Israele e di incolpare lo Stato ebraico per la sofferenza e la stagnazione del loro popolo.

Dato il suo potere tossico, abrogare il veto palestinese è sempre stato l’obiettivo più ambizioso di Israele. E data la sua centralità sia per i palestinesi che per il mondo arabo in generale, per la maggior parte degli israeliani sembrava un sogno così impossibile che non valeva nemmeno la pena di essere sognato.

I trattati di pace firmati da Israele con l’Egitto e la Giordania sono stati conclusi mentre ci si genufletteva al veto palestinese. Il presidente egiziano Anwar Sadat firmò l’accordo di pace dell’Egitto con Israele nel 1979 solo dopo aver concluso un accordo quadro per l’autonomia palestinese con l’allora primo ministro israeliano Menachem Begin.

Re Hussein di Giordania accettò di firmare un accordo di pace con il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin solo nel 1994 dopo che Rabin firmò l’Accordo di pace di Oslo con il capo dell’OLP Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca.

Da quando hanno firmato i loro trattati di pace con Israele, l’Egitto e la Giordania li hanno continuamente violati rifiutandosi di attuare le clausole degli accordi che richiedono loro di normalizzare le relazioni con Israele. Entrambi usano il veto palestinese per giustificare le loro violazioni materiali, che hanno ridotto entrambi i trattati “storici” a poco più che un cessate il fuoco a lungo termine.

La grande notizia di giovedì scorso che, con la mediazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno concordato di sviluppare pieni legami diplomatici, viene presentata come un terremoto strategico. La ragione di ciò non è perchè l’accordo annunciato promuova i legami commerciali tra i paesi, né perché promuova la campagna arabo-israeliana per impedire all’Iran di portare avanti il suo programma di armi nucleari. Mentre l’accordo fa entrambe le cose, viene presentato come un terremoto strategico, perché i politici e i commentatori proclamano che ha abrogato il veto palestinese.

Se queste affermazioni sono vere, giovedì scorso la posizione diplomatica di Israele è stata trasformata. Lo stato più potente e di maggiore successo del Medio Oriente non è più un capro espiatorio regionale.

Non ci può essere un colpo più grande di questo per l’ONU e per gli attivisti del BDS.

Se il veto è stato gettato nella spazzatura della storia, il primo ministro Benjamin Netanyahu non sarà semplicemente ricordato come il più grande statista che Israele abbia mai avuto. Sarà ricordato come un mago della diplomazia.

Se le affermazioni secondo cui l’accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti ha ucciso il veto palestinese sono vere, allora il presidente Trump ha dato un contributo alla pace in Medio Oriente più grande di tutti i suoi predecessori messi insieme.

Jimmy Carter può anche avere mediato il trattato di pace israelo-egiziano, ma secondo i membri della delegazione israeliana presenti ai colloqui di pace, lungi dal facilitare l’accordo, Carter usò il veto palestinese per cercare di bloccarlo.

Carter insistette sul fatto che Israele ed Egitto accettassero un accordo di autonomia per i palestinesi e concludessero l’accordo di pace tra di loro solo dopo che fosse stato finalizzato. Il piano di autonomia concordato a Camp David costituì la base del sanguinoso quadro di Oslo per la pace tra Israele e l’OLP di 14 anni dopo. La sua scia di terrore, antisemitismo e sofferenza ha portato a un’impasse durata 20 anni.

Il presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush si inchinò al veto palestinese due volte durante il suo mandato. Per prima cosa Bush si inchinò al veto escludendo Israele dalla sua grande coalizione contro Saddam Hussein in vista della Guerra del Golfo e costringendo Israele a ritirarsi di fronte agli attacchi nei suoi confronti dei missilistici iracheni Scud durante il conflitto che ne seguì.

Dopo la guerra, Bush si inchinò nuovamente al veto palestinese quando istituì la conferenza di pace di Madrid e i successivi negoziati tra Israele e i vari partiti arabi per riflettere la sua posizione secondo cui Israele doveva soddisfare le insoddisfabili richieste dei palestinesi come condizione per una più ampia pace tra Israele e il mondo arabo.

I presidenti Bill Clinton e George W. Bush si genuflessero al veto palestinese nel distinguere tra il terrorismo palestinese contro gli israeliani e tutto l’altro terrorismo.

Per quanto riguarda Barack Obama, l’intera politica mediorientale dell’ex presidente era basata sull’accogliere la narrativa palestinese secondo cui il diritto di Israele di esistere dipendeva dalla sua disponibilità a soddisfare le richieste dei palestinesi. Cioè, l’amministrazione Obama credeva che il rigetto palestinese nei confronti di Israele fosse giustificato.

Trump è il primo presidente degli Stati Uniti che non ha usato il veto palestinese per fare pressione su Israele. Invece, ha lavorato per annullare il veto e portare una pace effettiva, basata su interessi condivisi tra i palestinesi e il mondo arabo in generale e Israele.

Alla luce della rivoluzionaria disparità tra l’approccio di Trump al veto palestinese e quello dei suoi predecessori, la questione centrale nel valutare l’accordo di pace tra Israele e Emirati Arabi Uniti è: abroga o no il veto palestinese?

Se non ha posto fine al veto l’accordo è uno sviluppo positivo ma non rappresenta un terremoto strategico. Se ha posto fine al veto, allora a differenza degli accordi di pace che lo hanno preceduto, l’accordo Israele-Emirati Arabi Uniti rappresenta l’inizio di una nuova era di stabilità e pace tra il mondo arabo e lo Stato ebraico.

Se l’accordo rimuove il veto palestinese dalla scena, allora è degno del nome che l’ambasciatore David Friedman gli ha dato “Trattato di Abramo”, poiché i figli di Isacco e Ismaele accettano ancora una volta la loro fratellanza.

C’è solo un modo per testare la natura dell’accordo: valutare in che modo ha influenzato il piano di sovranità di Israele.

Il piano di sovranità israeliano presentato da Netanyahu prevede l’applicazione della sovranità israeliana alle sue comunità in Giudea e Samaria e nella Valle del Giordano, la zona di frontiera di Israele con il Regno hascemita di Giordania, in conformità con la visione per la pace stabilita nel piano di pace di Trump.

Il comunicato stampa che la Casa Bianca ha pubblicato giovedì scorso, annunciando l’accordo di pace tra Israele e Emirati Arabi Uniti, afferma: “Come risultato di questa svolta diplomatica e su richiesta del presidente Trump con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, Israele sospenderà la dichiarazione di sovranità sulle aree delineate nella Vision for Peace del presidente e concentrerà i suoi sforzi sull’espansione dei legami con altri paesi nel mondo arabo e musulmano”.

Il significato dell’annuncio non è chiaro. I leader degli Emirati Arabi Uniti affermano che il piano di sovranità di Israele è affogato. Se hanno ragione, allora l’accordo Israele-Emirati Arabi Uniti non ha posto fine al veto palestinese. Israele non ha ricevuto “pace per la pace” come affermano Netanyahu e altri. Ha ricevuto la pace in cambio della sospensione dei suoi diritti sovrani in Giudea e Samaria.

Netanyahu ha minimizzato il significato delle dichiarazioni degli Emirati Arabi Uniti. Sostiene che il piano di sovranità è ancora vivo e sarà attuato a tempo debito in un futuro non lontano.

Alti funzionari statunitensi coinvolti nelle discussioni che hanno portato all’accordo di pace, compreso Friedman, concordano con Netanyahu. Il presidente Trump ha dato messaggi contrastanti sulla questione. Ma in generale, ha convenuto che il piano di sovranità non è morto, ma semplicemente “non sul tavolo per ora”.

Problematicamente, Jared Kushner, genero, consigliere di Trump al vertice, e il funzionario statunitense più strettamente identificato con l’accordo di pace, ha rilasciato dichiarazioni più in linea con gli Emirati Arabi Uniti che con i messaggi di Israele o con quelli dei suoi colleghi dell’amministrazione.

In più dichiarazioni nei giorni successivi al lancio dell’accordo di pace, Kushner ha ripetutamente affermato che l’accordo è nato dal desiderio degli Emirati Arabi Uniti di impedire a Netanyahu di attuare il piano di sovranità. Kushner ha affermato che l’accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti promuove la cosiddetta “soluzione dei due stati”, basata sul veto palestinese.

Kushner ha collegato l’accordo alle concessioni israeliane ai palestinesi e ha indicato che il piano di sovranità israeliano in Giudea e Samaria è stato effettivamente messo da parte.

A dire il vero, le dichiarazioni di Kushner sul progetto di sovranità di Israele sono state più gentili rispetto a quelle degli Emirati Arabi Uniti, ma l’impressione generale che lasciano è la stessa: l’accordo di pace non rappresenta un terremoto. Preserva il veto palestinese. Israele ha scambiato il proprio piano inteso ad affermare i suoi diritti sovrani in Giudea e Samaria per la pace con gli Emirati Arabi Uniti.

Diminuendo il risultato in questo modo, Kushner ha ridotto quello che potrebbe essere un punto di svolta strategico in un semplice dosso attenuante la velocità, sulla strada dell’instabilità cronica e dello spargimento di sangue. Invece di sostenere Trump come statista di proporzioni storiche, Kushner lo ha ridotto a un altro presidente degli Stati Uniti che si è inchinato alle patologie della regione piuttosto che eliminarle.

È importante notare che i palestinesi non sono gli unici ad aver esercitato un veto. Negli ultimi 40 anni, Israele ha esercitato un proprio veto più limitato, ma comunque significativo. Ha usato il proprio veto per mitigare il pericolo del veto palestinese e il rigetto arabo che perpetua. Il veto di Israele è consistito nella sua capacità di bloccare la vendita di piattaforme militari statunitensi avanzate agli stati arabi.

Gli Emirati Arabi Uniti vedono il loro accordo di pace con Israele come un mezzo per porre fine alla capacità di Israele di bloccare l’acquisto di caccia F-35. Mercoledì Trump ha indicato che la valutazione degli Emirati Arabi Uniti è corretta quando ha affermato che la richiesta degli Emirati Arabi Uniti di acquistare i caccia è “in fase di revisione”.

Se l’accordo di pace ha abrogato il veto israeliano, allora l’idea che preservi il veto palestinese ha ancora meno senso.

E questo è il nocciolo della questione. L’unico modo in cui l’accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti avrà un significato duraturo, e l’unico modo per distinguere Trump dai suoi predecessori che si sono tutti inchinati davanti al veto palestinese è se Israele implementerà il suo piano di sovranità prima delle elezioni presidenziali con il sostegno di Trump. Se il veto palestinese è veramente morto, allora mentre Israele e gli Stati Uniti procederanno con il piano di sovranità, continueranno a perseguire i loro sforzi per ampliare il cerchio di pace così notevolmente avanzato dall’accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti.

https://www.israelhayom.com/2020/08/21/ ... e-or-dead/

Traduzione di Niram Ferretti
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » mer ago 26, 2020 9:50 pm

Mediterraneo, Erdogan ad Atene: "Ci prenderemo quello che è nostro. Non fate errori. Sarà la vostra rovina"
Il presidente turco alza la tensione e ribadisce che non farà concessioni. Al via le esercitazioni di Francia, Italia, Grecia e Cipro, con l'obiettivo di una "de-escalation delle tensioni nell'area". Oggi a Berlino i colloqui tra ministri della Difesa europei con focus sul conflitto Grecia-Turchia
26 agosto 2020


https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... P2-S2.4-T1

ATENE - Il presidente turco alza i toni e annuncia che "non scende a compromessi" con la controparte, la Grecia. Recep Tayyip Erdogan ha parlato oggi nel corso di una commemorazione a Malazgirt: "La Turchia è determinata a fare tutto ciò che serve per ottenere il riconoscimento dei propri diritti nell'Egeo, il Mar Nero e il Mediterraneo".

"Non accettiamo compromessi su ciò che è nostro", ha continuato il leader di Ankara, "e non faremo concessioni". Aggiungendo che se la Grecia incorresse in errori "sarà la sua rovina".

"Nel Mediterraneo orientale si sta giocando col fuoco. Ogni scintilla può portare alla catastrofe". Ha detto ieri il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, mettendo in guardia i due Paesi dallo scontro in atto, in un viaggio diplomatico di mediazione, in cui ha incontrato i due colleghi greco e turco. "Quello di cui abbiamo immediatamente bisogno è un segnale di distensione e anche una disponibilità al dialogo", ha aggiunto.

Intanto oggi a sud di Cipro, nel Mediterraneo orientale, hanno preso il via le esercitazioni congiunte delle forze armate di Grecia, Cipro, Francia ed Italia. Lo ha riferito il ministro della Difesa greco, Nikos Panagiotopoulos, in una nota rilanciata dal sito di 'Ekhatimerini'. L'Italia, secondo il sito in.gr, partecipa con un cacciatorpediniere della classe Durand de la Penne.

Le esercitazioni 'Eunomia' andranno avanti fino al 28 agosto in una zona di mare teatro nelle ultime settimane di forti tensioni tra Ankara e Atene e si svolgono nell'ambito della Quartet Cooperation Initiative (Quad), precisa il sito. "L'iniziativa ha l'obiettivo di dimostrare l'impegno dei quattro Paesi europei del Mediterraneo per lo stato di diritto nel quadro di una politica di de-escalation delle tensioni", ha affermato Panagiotopoulos.

L'escalation Grecia-Turchia sarà al centro della riunione informale dei ministri degli Esteri Ue che si terrà oggi e domani a Berlino, con Atene intenzionata a chiedere sanzioni contro Ankara.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » lun ott 12, 2020 5:51 am

Una quinta guerra non gioverà alla Turchia
Burak Bekdil
11 ottobre 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/16630 ... nta-guerra

Le minacce dalla Turchia sono arrivate con una profusione senza precedenti. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan di recente ha dichiarato: "...La Turchia ha il potere politico, economico e militare [sufficiente per] stracciare mappe e documenti immorali imposti. O capiranno il linguaggio della politica e della diplomazia, o lo capiranno sul campo con esperienze dolorose. (...) Un secolo fa, li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare (...)". Nella foto, Erdoğan che parla ad Ankara, il 17 settembre 2020.

Nel corso del XX secolo, i turchi e i loro tradizionali rivali dell'Egeo, i greci, hanno combattuto quattro guerre convenzionali: la Prima guerra balcanica (1912-1913); la Prima guerra mondiale (1914-1918); la guerra greco-turca (1919-1922) e la guerra di Cipro (1974). Pertanto, non è la prima volta in tempo di pace che i quotidiani di tutto il mondo dicono ai loro lettori che il Mar Egeo è sull'orlo di una guerra. La "pace" nell'Egeo ha sempre oscillato da fredda a molto fredda, fatta eccezione per brevi periodi di relativa cordialità. Sembra che turchi e greci vivano in case vicine costruite su una faida di sangue che dura da secoli.

Charles King, nel suo libro Midnight at the Pera Palace: The Birth of Modern Istanbul, ha scritto dei primi anni post-ottomani a Istanbul e degli sforzi profusi nella costruzione della nazione della nascente Repubblica di Turchia:

"Le minoranze non musulmane di Istanbul sono diminuite passando dal 56 per cento nel 1900 al 35 per cento alla fine degli anni Venti. Altre città hanno registrato una diminuzione ancora più drastica. Izmir, l'ex Smirne, è passata da una presenza del 62 per cento di non musulmani al 14 per cento. (...) Ma la rivoluzione demografica ha cambiato praticamente tutto nei vecchi quartieri di Istanbul popolati dalle minoranze. Nella fretta di partire, greci, armeni ed ebrei hanno lasciato il contenuto delle loro case e appartamenti nei negozi dei rigattieri, sperando di ottenere almeno una piccola somma di denaro prima di salire a bordo di una nave o di un treno...

"La Turchia nel suo insieme è diventata più musulmana e più turca, più omogenea e più rurale che mai, a causa della fuga dalle città delle minoranze non musulmane. Alcune delle famiglie che sarebbero poi diventate i pilastri dell'economia di Istanbul emersero (...) senza perdere di vista le alterne fortune e trasformando i legami politici in guadagni economici una volta che le attività commerciali greche e di altre minoranze furono messe in vendita. Non c'era nulla di necessariamente disonesto nei loro rapporti, ma facevano affidamento su massicci trasferimenti di ricchezza, le cui origini risiedono nella preferenza della Repubblica per la purezza nazionale rispetto al vecchio cosmopolitismo della capitale imperiale".

Dopo tre guerre all'inizio del secolo, le tensioni turco-greche esplosero poi a Cipro, dove turchi e greco-ciprioti convissero fianco a fianco in pace fino a quando non iniziarono a massacrarsi a vicenda dopo gli anni Cinquanta. I conflitti etnici portarono all'operazione militare turca nel luglio del 1974 che terminò con l'occupazione di un terzo del territorio settentrionale dell'isola. Da allora Cipro è divisa lungo linee etniche.

Nel 1996, le forze armate turche e greche erano sull'orlo di un'accesa battaglia per rivendicazioni di sovranità su una minuscola isoletta nel Mar Egeo meridionale. Pochi anni dopo che la mediazione statunitense riuscì a scongiurare la guerra, pochi turchi o greci ricordavano perfino il nome di quell'isoletta disabitata di 9,9 acri: Imia (Kardak, in turco).

Le tensioni odierne, che si estendono dal Mar Egeo al Mar Mediterraneo, sembrano più gravi di quelle tra due adolescenti che litigano per un pezzo di roccia.

Quando il capo del Mossad israeliano, Yossi Cohen, ad agosto avrebbe affermato che "il potere iraniano è più fragile, ma la reale minaccia proviene dalla Turchia", aveva ragione. Ultimamente, le minacce dalla Turchia sono arrivate con una profusione senza precedenti.

In un recente discorso a Istanbul, il presidente islamista turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha fatto accenni non così sottili alle sue idee irredentiste, con particolare riferimento al Trattato di Sévres del 1923, che insieme ad altri trattati, ha stabilito i confini della Turchia moderna:

"Capiranno che la Turchia ha il potere politico, economico e militare [sufficiente per] stracciare mappe e documenti immorali imposti. O capiranno il linguaggio della politica e della diplomazia, o lo capiranno sul campo con esperienze dolorose. (...) Un secolo fa, li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare. Spero che non paghino lo stesso prezzo ora".

Robert Ellis, che scrive di Turchia, ha ricordato ai lettori ciò che Abdullatif Şener, un tempo fedele alleato di Erdoğan e ora membro dell'opposizione, aveva dichiarato in un'intervista sei anni fa: Erdoğan sarebbe perfino pronto a trascinare la Turchia in una guerra civile per mantenere la sua presa sul potere.

Metin Külünk, un ex parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan, il 28 agosto ha pubblicato una cartina della "Grande Turchia", che mostra la portata delle ambizioni revisioniste della Turchia. Comprende aree geografiche di Grecia, Bulgaria, Cipro, Siria, Iraq, Georgia e Armenia.

Im una dichiarazione altrettanto minacciosa, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha consigliato provocatoriamente alla Grecia di rimanere in silenzio "per non diventare un meze [uno spuntino] per gli interessi degli altri".

Tutte queste parole bellicose hanno inviato vari messaggi su diverse lunghezze d'onda sul lato occidentale del Mar Egeo e oltre. La Grecia ha detto che sta rafforzando il proprio arsenale militare e le sue truppe per prepararsi a un conflitto aperto con la Turchia. Il 13 settembre, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha dichiarato che la Grecia avrebbe acquistato 18 nuovi caccia francesi Rafale per sostituire i suoi vecchi caccia Mirage 2000, avrebbe anche acquistato quattro elicotteri per la Marina e quattro nuove fregate, e modernizzato altre quattro navi. Mitsotakis ha inoltre affermato che il suo governo ha intenzione di estendere il servizio militare obbligatorio dagli attuali nove mesi a un anno.

Un conflitto aperto in seno e intorno al Mar Egeo è contro gli interessi occidentali. I Paesi occidentali, tuttavia, hanno ragione a non rimanere indifferenti o sottomessi alle minacce turche. Il 1° settembre, Washington ha annunciato che avrebbe revocato parzialmente un embargo sulle armi nei confronti della Repubblica (greca) di Cipro, imposto 33 anni fa, una mossa immediatamente condannata da Ankara. Con una mossa correlata, il segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recato a Cipro il 12 settembre nel tentativo di mediare una soluzione pacifica alle tensioni con la Turchia nel Mediterraneo orientale.

"Restiamo profondamente preoccupati per le operazioni della Turchia volte a rilevare le risorse naturali nelle aree su cui Grecia e Cipro affermano la propria giurisdizione sul Mediterraneo orientale", ha detto Pompeo ai giornalisti a Nicosia. Durante la sua visita, il governo statunitense e quello cipriota hanno firmato un memorandum d'intesa, che Ankara ha in modo assurdo contestato, sostenendo che potrebbe danneggiare la pace e la stabilità nel Mediterraneo orientale.

Il conflitto nell'Egeo e le sue ripercussioni riguardano anche l'Unione Europea. Il gruppo MED7 dei Paesi dell'Europa meridionale, il cui summit il 10 settembre è stato ospitato dalla Francia in Corsica, ha espresso pieno sostegno e solidarietà a Grecia e Cipro riguardo alle ripetute violazioni dei loro diritti di sovranità da parte della Turchia. Il Consiglio Europeo si è riunito l'1 e il 2 ottobre per decidere se imporre o meno sanzioni ad Ankara [e ha convenuto di avviare un'agenda politica UE-Turchia. In caso di nuove azioni di Ankara in violazione del diritto internazionale, l'UE farà ricorso a tutti gli strumenti di cui dispone per tutelare i propri interessi e quelli degli Stati membri, N.d.T.].

La Grecia ha inoltre il sostegno di altri due Paesi di primaria importanza nel Mediterraneo, l'Egitto e Israele, oltre al sostegno di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania.

Erdoğan può vincere la quinta guerra solo in casa. Se evita un conflitto militare, avrà scongiurato una guerra persa per la Turchia. In patria, la sua politica estera aggressiva, le sue spacconate e la sua retorica del tipo "Sfido il mondo intero" potrebbero fargli guadagnare qualche voto in più e ulteriore popolarità. La quinta guerra di Erdoğan non avrà vincitori. Ma la Turchia di Erdoğan sarebbe la più grande perdente.

Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » lun ott 12, 2020 5:56 am

Gerusalemme appartiene alla Turchia
Erdogan
Timesofisrael 01.10.20

http://www.comunitaarmena.it/gerusalemm ... -01-10-20/

Secondo The Times of Israel (https://www.timesofisrael.com/jerusalem-is-our-city…/…) il presidente turco Recep Tayyip Erdogan giovedì scorso ha dichiarato che Gerusalemme appartiene alla Turchia, riferendosi al controllo ottomano delle antiche città nell’era moderna.
“In questa città, che abbiamo dovuto lasciare durante la prima guerra mondiale piangendo, si possono ancora trovare tracce dell’Impero Ottomano. Gerusalemme è la nostra città. La nostra prima qibla islamica è stata eseguita nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme”, ha detto Erdogan durante il suo discorso all’apertura della nuova sessione legislativa del parlamento turco.
Proseguendo il suo lungo discorso Erdogan si è lamentato per il destino di Gerusalemme e per la difficile situazione dei palestinesi. “Un’altra crisi che il nostro Paese e la nostra nazione stanno seguendo è la pressione israeliana sui palestinesi e l’approccio indifferente che ignora la delicatezza e la sicurezza di Gerusalemme”, ha continuato.
“La questione di Gerusalemme non è un problema geopolitico ordinario per noi. Prima di tutto, l’aspetto fisico attuale della città vecchia, che è il cuore di Gerusalemme, fu costruito da Solimano il Magnifico, con un mercato e molti edifici. I nostri antenati hanno dimostrato l loro rispetto nei confronti di questa città per secoli”.
Il leader turco ha affermato che il popolo palestinese vive a Gerusalemme da “millenni” ma che i suoi diritti sono stati violati. “Consideriamo un onore rappresentare a nome del nostro paese, della nostra nazione, i diritti del popolo palestinese oppresso su ogni piattaforma, poiché abbiamo vissuto con loro per secoli”, ha detto. “Con questa considerazione, perseguiremo fino alla fine la causa palestinese, la causa di Gerusalemme”.
Il Ministero degli Esteri israeliano ha rifiutato di commentare il discorso di Erdogan.


Turchia, Erdogan dice: "Gerusalemme è la nostra città"
5 ottobre 2020

https://www.islamnograzie.com/turchia-e ... tra-citta/

L’uomo turco ripete la pretesa ottomana pre-WW1 nella capitale di Israele, dicendo che “è la nostra città”.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto giovedì che la capitale di Israele, Gerusalemme, appartiene ancora alla Turchia.

In un discorso che segna l’apertura della sessione autunnale del parlamento turco, coperto dai media turchi, Erdogan ha iniziato con dure critiche nei confronti dell’Armenia per il conflitto armato scoppiato questa settimana con l’Azerbaigian e le loro reciproche rivendicazioni alla regione del Nagorno-Karabakh. Tuttavia, i suoi commenti si sono spostati più vicino a casa e ha fatto l’osservazione a sorpresa che Gerusalemme appartiene ancora alla Turchia.

“La questione di Gerusalemme non è un problema geopolitico per noi. Gerusalemme è la nostra città, una città nostra”, ha detto Erdogan, riferendosi alla sconfitta dell’Impero Ottomano nella prima guerra mondiale.

“In questa città [Gerusalemme] che abbiamo dovuto lasciare in lacrime durante la prima guerra mondiale, è ancora possibile incontrare tracce della resistenza ottomana”, ha detto Erdogan. “Accettiamo con onore a nome del nostro paese e della nostra nazione di esprimere i diritti del popolo palestinese oppresso su ogni piattaforma.”

L’Impero Ottomano ha controllato Gerusalemme per 400 anni fino alla sua sconfitta per mano degli alleati occidentali che hanno diviso l’ex impero, con molte delle sue ex province che sono diventati paesi arabi indipendenti. Durante la guerra gli Ottomani hanno compiuto il genocidio armeno, uccidendo circa 1,5 milioni di armeni cristiani – inimicizia che rimane e ha portato alla condanna di Erdogan dell’Armenia.

Nonostante la Turchia sia un membro della NATO, le relazioni con Israele sono state ripetutamente tese sotto Erdogan.

Le relazioni tra i due paesi hanno preso una brutta piega nel 2010 dopo che nove cittadini turchi appartenenti a un gruppo islamico radicale sono stati uccisi durante un raid dell’IDF sulla flottiglia di Mavi Marmara che stava cercando di violare illegalmente il blocco di Israele su Gaza.

La Turchia ha ritirato il suo ambasciatore e le relazioni sono state ripristinate solo nel 2016. Tuttavia, Erdogan ha cercato di affermare la sua influenza sulla regione ed è diventato un patrono del gruppo terroristico di Hamas che ha preso il potere a Gaza in un sanguinoso colpo di stato militare del 2007.

La Turchia ha permesso ad Hamas di utilizzare il suo territorio per organizzarsi contro Israele ed è stato recentemente rivelato essere la cittadinanza di noti terroristi di Hamas , permettendo loro il libero passaggio in Occidente.


Gerusalemme, Erdogan: la Turchia aprirà l'ambasciata nella zona Est
17 dicembre 2017

https://www.rainews.it/dl/rainews/artic ... adaa6.html

"Dopo averla riconosciuta capitale dello Stato palestinese" afferma il presidente turco, che si conferma così il più acerrimo oppositore alla decisione di Trump di riconoscere la città santa capitale di Israele

La Turchia aprirà un'ambasciata a Gerusalemme Est. Lo ha annunciato il presidente Recep Tayyip Erdogan, confermandosi il più acerrimo oppositore alla decisione degli Usa di riconoscere la città santa come capitale di Israele. "Se Dio vuole, è vicino il giorno in cui ufficialmente, con il suo permeeso, apriremo la nostra ambasciata lì", ha detto citato dal quotidiano israeliano Haaretz.

La dichiarazione di Erdogan è destinata a destare scalpore. "Il vertice per la Cooperazione dei Paesi Islamici (Oic) ha già riconosciuto Gerusalemme Est come capitale della Palestina, tuttavia non abbiamo potuto aprire la nostra ambasciata perché Gerusalemme è occupata dalle forze israeliane" ha affermato ancora il presidente turco durante un comizio nella città di Karaman, nel sud ovest dell'Anatolia.


Il prossimo obiettivo di Erdogan: prendere Gerusalemme
Emanuel Pietrobon
10 luglio 2020

https://it.insideover.com/politica/il-p ... lemme.html

10 luglio 2020, una data che è già entrata nella storia. Dopo un mese di attesa, caratterizzato da tensioni diplomatiche con i governi occidentali e con i patriarcati del cristianesimo ortodosso, il Consiglio di Stato della Turchia ha dato il via libera alla riconversione in moschea di Santa Sofia (Ayasofya), il simbolo della cristianità divenuto, dal 1453 in avanti, gioiello dell’islam e dell’impero ottomano.

In molti hanno suggerito che possa trattarsi di una mossa elettorale, progettata per distogliere l’attenzione dei turchi dai problemi economici, ma sposare una simile linea di pensiero significa avere una comprensione superficiale e parziale del contesto (e del modo) in cui Recep Tayyip Erdogan ha dovuto operare onde evitare un colpo di stato da parte dei guardiani del kemalismo e del complesso impianto ideologico che sorregge e guida le azioni del “Sultano” nel mondo.

Il ritorno di Santa Sofia ad essere Ayasofya è soltanto la prima tappa di un lungo viaggio, il cui esito è tutt’altro che scontato, le cui destinazioni finali saranno Gerusalemme e Riad, perché l’obiettivo di Erdogan è la riunificazione dell’islam mondiale sotto la bandiera turca, come ai tempi dell’impero ottomano, e i principali ostacoli a questo disegno sono proprio Israele ed Arabia Saudita.
Lo sguardo su Gerusalemme

Ad alcune ore di distanza dalla sentenza, sullo sfondo di un raduno naturale e genuino di migliaia di fedeli nei pressi del complesso, il presidente turco ha parlato alla nazione per spiegare il significato della riconversione in moschea. Il discorso si è aperto con l’annuncio della riapertura al culto in tempi brevissimi, ovvero venerdì 24 luglio, ha poi assunto la forma di un atto d’accusa nei confronti di coloro che hanno interferito nel processo decisionale e si è concluso nel messianismo.

Erdogan ha spiegato al popolo turco, e in esteso ai musulmani di tutto il mondo, che la “resurrezione di Santa Sofia è precorritrice della liberazione della moschea al-Aqsa”. Quest’ultima si trova a Gerusalemme e sorge sul monte del Tempio, luogo che i musulmani chiamano la “spianata delle moschee”, e riveste un’importanza fondamentale all’interno dell’escatologia islamica.

Il passaggio sulla liberazione della moschea di al-Aqsa è stato tradotto per il pubblico arabo ma è stato oscurato, volutamente eliminato, nella traduzione in lingua inglese del discorso di Erdogan. Il maldestro (o ben studiato?) tentativo della cancelleria turca di indebolire la carica politica del discorso presidenziale non è servito, perché la grande stampa israeliana si è accorta della differenza nelle traduzioni in arabo e in inglese e il dibattito è scoppiato immediatamente, perché quel passaggio, e più nello specifico la sua cancellazione, è stato interpretato come una minaccia.

Il discorso, però, non si è esaurito alla questione di Gerusalemme; è stato molto più ricco e ha spaziato dall’esaltazione del passato ottomano al significato della conversione di Santa Sofia per l’intera umma (ndr. la comunità islamica mondiale): “La resurrezione di Santa Sofia parla della volontà dei musulmani di tutto il mondo di uscire dall’interregno. La resurrezione di Santa Sofia è la riaccensione del fuoco della speranza non soltanto dei musulmani, ma ─ insieme a loro ─ di tutti gli oppressi, le vittime di ingiustizie, i calpestati e gli sfruttati.”

L’errore è credere che il discorso di Erdogan debba destare preoccupazione soltanto in Israele, perché nel corso dei lavori di traduzione sono stati accuratamente eliminati anche i riferimenti al piano di un califfato mondiale. Erdogan, infatti, ha spiegato che la riconversione di Santa Sofia si inquadra nel contesto più ampio di un piano turco mirante al risveglio dell’islam “da Bukhara, in Uzbekistan, all’Andalusia, in Spagna”.

إحياء آيا صوفيا من جديد هي بشارة نحو عودة الحرية للمسجد الأقصى

Gepostet von Recep Tayyip Erdoğan am Freitag, 10. Juli 2020

I segni premonitori

Per secoli l’impero ottomano ha avuto il controllo della Terra Santa, perciò è legittimo e coerente che nel piano di rinascita imperiale perseguito da Erdogan sia dedicato dello spazio al confronto con Israele. Le relazioni fra i due paesi hanno registrato un forte deterioramento negli anni recenti, in particolar modo a partire dall’incidente della Freedom Flotilla nel 2010, e la radicalizzazione delle piattaforme ideologiche che ne guidano le decisioni in politica estera ha senz’altro contribuito ad aumentare le possibilità di uno scontro.

La Turchia, dopo aver curato la fuga dei Fratelli Musulmani dall’Egitto, diventandone il nuovo garante e sostenitore, ha consolidato i legami con le principali realtà dell’insurgenza palestinese, come Hamas, e nei mesi recenti ha iniziato a mostrare delle velleità di collaborazione pratica, concreta e multisettoriale con l’Iran.

Il 15 giugno Il capo della diplomazia di Teheran, Mohammad Javad Zarif, ed il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, si sono incontrati ad Istanbul per discutere di cooperazione negli affari regionali e nella sicurezza. Il vertice, che è stato definito dai due come “molto produttivo“, si è concluso con la firma di un memorandum d’intesa incentrato su una maggiore collaborazione in campo diplomatico.

La bilaterale ha funto da apripista per altri eventi. Il 15 giugno, Zarif ha approfittato della conferenza stampa per esprimere il supporto diplomatico di Teheran alle azioni turche in Libia. Due giorni dopo i due paesi portavano avanti un attacco coordinato in Iraq avente come obiettivo alcune postazioni del Pkk. Si è trattato di eventi spartiacque, soprattutto quest’ultimo, che hanno portato la cooperazione tra Ankara e Teheran ad un livello senza precedenti e che potrebbero gettare le basi per un sodalizio capace di rovesciare l’attuale divisione del potere in Medio Oriente a detrimento di Israele ed Arabia Saudita.

Ma il segno premonitore più importante è stato sicuramente il lungo editoriale pubblicato il 21 aprile dal Daily Sabah, la voce dello stato profondo turco, un vero e proprio manifesto politico dalle venature anti-israeliane e anti-saudite che fuori dai confini del paese è stato completamente e colpevolmente ignorato.

Le accuse contenute dell’editoriale erano gravissime: Israele, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti avrebbero dato vita ad una “struttura di spionaggio e terrore” che agirebbe in tutto il Medio oriente con la scusante della minaccia iraniana per colpire, in realtà, oppositori politici e potenze rivali, in primis la Turchia.
Esiste un piano per catturare Gerusalemme?

La “liberazione di Gerusalemme” può suonare come la semplice e sempreverde provocazione di un populista islamico, ma la verità è che in Turchia si è discusso di muovere guerra ad Israele e sono stati anche elaborati dei piani. Lo scenario è stato realizzato dal centro di studi e consulenze militari “Sadat“, fondato nel 2012 da Adnan Tanriverdi, un generale allontanato dall’esercito nel 1997 nel corso delle purghe anti-islamiste che sono costate la presidenza del consiglio all’allora primo ministro Necmettin Erbakan, il mentore di Erdogan.

La stretta vicinanza alla presidenza, o meglio al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), hanno spinto cronisti occidentali e turchi a ribattezzare la Sadat l’”esercito ombra di Erdoğan”, in quanto viene ritenuta una vera e propria istituzione parallela creata appositamente per proteggere il nuovo sistema di potere dai colpi di coda del morente stato profondo kemalista.

Il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016 è stato sventato anche grazie al perentorio intervento di questo esercito parallelo, i cui membri hanno assicurato il controllo di luoghi-chiave, come i ponti, e combattuto contro i golpisti. Non è una coincidenza che Tanriverdi, ad un mese dal golpe, sia stato nominato consigliere capo militare da Erdogan, ruolo che ha ricoperto sino a gennaio di quest’anno, quando si è dimesso in seguito alle critiche ricevute da una parte del mondo politico per aver dichiarato che la Sadat sta lavorando per accelerare il ritorno del Mahdi, una figura messianica dell’escatologia islamica associata alla fine dei tempi.

La presenza di Sadat è stata segnalata in Siria, dove fornisce supporto diretto ed indiretto all’Esercito Siriano Libero, in Palestina, dove armerebbe Hamas, ed in Germania, dove aiuterebbe i servizi segreti turchi, Milli Istihbarat Teşkilati (MIT), a condurre operazioni coperte e spionistiche, e sarebbe in contatto con pericolose bande di strada come “Germania ottomana“.

A parte la tutela dell’ordine erdoganiano e l’addestramento delle forze armate straniere alle tattiche d’avanguardia nella guerra diretta ed asimmetrica, Sadat svolge ed offre altre funzioni di rilievo: è un think tank, ossia un incubatore di idee.

Uno dei progetti più ambiziosi proposti e sponsorizzati dall’ente è il cosiddetto “esercito dell’islam“. Si tratterebbe di amalgamare le forze armate dei 57 paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) sotto un’unica bandiera, possibilmente turca, per dare vita al più corposo esercito del globo: 5 milioni e 206mila soldati all’attivo. Tale esercito servirebbe un unico scopo: fungere da deterrente contro l’imperialismo occidentale nel mondo islamico ed essere pronto e preparato alla guerra totale qualora necessario.

Sadat ha curato il piano nei minimi dettagli, realizzando anche un’analisi di scenario inerente un conflitto fra l’esercito dell’islam ed Israele. L’analisi prevede un attacco su larghissima scala in stile guerra lampo (blitzkrieg) che, si stima, dovrebbe assicurare una rapida vittoria in una settimana. A quel punto, con Israele completamente sottomesso, il blocco islamico turco-centrico potrebbe trasformarsi in un polo di potere capace di rivaleggiare con l’Occidente e creare un nuovo ordine internazionale.

L’idea del think tank ha colpito Erdogan, che ha tentato di promuoverla in diversi paesi, anche in sede di OIC, ma con scarsi risultati: soltanto la Malesia ha accolto con favore il progetto, mentre il Pakistan ha mostrato un certo interesse. L’appoggio dei due paesi è bastato a convincere Ankara a focalizzare gli sforzi sulla formazione di un triangolo con Islamabad e Kuala Lumpur per spostare il baricentro della civiltà islamica dal mondo arabo al cuore dell’Asia.

Oggi, il progetto di costruire un nuovo ordine mondiale turco-centrico non appare più così folle né così remoto: dopo aver lanciato un vero e proprio assalto all’Eurasia, dal quale nessun paese è stato esentato, e mostrato la propria volontà di potenza con la conversione in moschea di Santa Sofia, adesso potrebbe essere veramente giunto il turno di Gerusalemme.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » mer mar 10, 2021 9:24 pm

Erdogan vuole la Turchia nell'Ue: "Ci sentiamo parte dell'Europa, Bruxelles rispetti impegni"
Dario Prestigiacomo
23 novembre 2020

https://europa.today.it/attualita/erdog ... acron.html

Le tensioni con la Francia di Emmanuel Macron, l'interventismo in Libia, il braccio di ferro con la Grecia su migranti e giacimenti di gas nel Mediterraneo. Nonostante tutto questo, Recep Tayyip Erdogan continua a dichiarare solennemente il suo impegno a portare la Turchia all'interno dell'Unione europea. Lo ha ribadito in queste ore in un discorso rivolto ai membri del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) che siedono al governo di Ankara. E alla vigilia di settimane calde in cui i leader Ue potrebbero varare delle sanzioni contro quella che Bruxelles considera un'ingerenza turca nelle acque territoriali dell'Ue (per la precisione di Grecia e Cipro).

Le divisioni Ue su Ankara

Il condizionale è d'obbligo, visto che i Paesi dell'Unione continuano a spaccarsi sull'atteggiamento da tenere nei confronti della Turchia: da un lato Francia e Grecia, che spingono per il pugno duro. Dall'altro, un gruppo di Stati membri tra cui la Germania (e l'Italia), che professa calma e dialogo. Del resto, la Turchia riveste sempre più un'importanza strategica per le politiche Ue, non solo economiche: per esempio, è ad Ankara che i Paesi Ue si sono affidati (e continuano ad affidarsi) per fermare una delle principali rotte di affusso di migranti e richiedenti asilo nel pieno della crisi del biennio 2015-2016. Ed è sempre ad Ankara che l'Ue si è rivolta quando la Cina ha chiuso alle importazioni di plastica in eccesso dall'Europa. Gli esempi sono tanti e non finiscono certo qui: Erdogan lo sa e per questo continua ad alzare la posta. Così come sa che per continuare ad alimentare la crescita del Paese ha bisogno dell'Ue.

Il 'messaggio d'amore' rivolto a Bruxelles in queste ore fa parte della sua strategia. "Chiediamo all'Ue di mantenere le sue promesse, di creare un legame più stretto con noi, mantenendo la loro promessa di piena adesione e rispettando gli impegni sui migranti, di non discriminarci o almeno di non farsi strumento dei nemici che prendono di mira il nostro Paese", ha detto il presidente ai membri dell'Akp. "Non ci vediamo altrove che in Europa", ha aggiunto, "vogliamo costruire il nostro futuro insieme all'Europa" e "non abbiamo problemi con l'Ue che non possano essere risolti attraverso la politica, la diplomazia e il dialogo".

L'adesione congelata

Il percorso di adesione della Turchia nell'Ue è stato interrotto nel 2018. Prima la forte repressione contro l'opposizione interna ordinata da Erdogan con la scusa del tentativo di golpe del 2016, poi l'interventismo in Siria e quello in Libia hanno esacerbato i rapporti con l'Unione europea, in particolare con la Francia. Di recente, gli attentati a Parigi e Vienna hanno rinfocolato le tesi di un sostegno di Ankara al terrorismo di matrice islamica. Ma le sanzioni di cui si discute a Bruxelles riguardano un altro elemento di discordia, ossia l'intervento di Ankara nel Mediterraneo per mettere le mani su un giacimento di idrocarburi al largo di Cipro, isola divisa a metà tra l'Ue e la Turchia. Erdogan ritiene che quel giacimento sia anche turco e ha siglato in tale ottica un'intesa con il governo libico per le ridefinizione dei loro confini marittimi. In cambio, Ankara sta dando sostegno militare a Tripoli, anche (stando all'accusa dell'Ue) con l'invio di armi in barba all'embargo Onu.

Per fermare quella che ritiene un'ingerenza, Bruxelles ha avviato l'operazione Irini, con navi militari dei Paesi Ue poste nel Mediterraneo per bloccare l'eventuale export di armi dalla Turchia. Ma a quanto pare, l'operazione non ha dato i suoi frutti, vista l'impossibilità di ispezionare le navi commerciali battenti bandiera turca che viaggiano alla volta della Libia. Anche per questo, Parigi vorrebbe che adesso si passi alle sanzioni per fermare la strategia di Erdogan.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » mer mar 10, 2021 9:24 pm

TURCHIA Islam, Covid-19 e la fine del miracolo economico del sultano Erdogan
AsiaNews.it
27/11/2020

http://www.asianews.it/notizie-it/Islam ... 51708.html

Il Paese ha interrotto la vigorosa crescita economica dell’ultimo decennio. E appare destinato a una fase recessiva. Studi del sindacato confederale confermano che la soglia della povertà è di almeno 3,5 volte superiore al salario minimo. L’interventismo in politica estera per mascherare la crisi interna.

Istanbul (AsiaNews) - Caratterizzata da una crescita economia vigorosa a partire dagli anni duemila, la Turchia registra oggi una pesante battuta di arresto che rischia di minare il prestigio del presidente Recep Tayyip Erdogan. Il “sultano” ha cavalcato a lungo i buoni risultati sia da Primo Ministro, nel 2003, poi come capo dello Stato dal 2014. Tuttavia, l’alto tasso di inflazione, disoccupazione e una politica finanziaria disastrosa nell’ultimo biennio hanno oscurato i successi, tanto da dover ripiegare sul fattore religioso e una politica a colpi di nazionalismo e islam per mascherare la profonda crisi.

Gli ultimi dati forniti dal sindacato confederato turco (TÜRK-İŞ) e relativi allo “Studio sulla linea della fame e della povertà” confermano la portata della crisi. Secondo il rapporto, per avere una dieta bilanciata e sufficiente al fabbisogno (oltre la soglia della fame), una famiglia di quattro persone deve spendere in media 320 dollari al mese (2,516 lire turche). Se aggiungiamo anche le spese per l’abbigliamento e la casa (affitto, tasse, corrente, acqua potabile, etc), insieme a trasporti, educazione, sanità, il fabbisogno schizza ad almeno 1030 dollari (8197 lire turche).

Considerando che il salario minimo in Turchia è di 2324 lire, la soglia della povertà è di almeno 3,5 volte superiore a quanto garantito dallo Stato. E a questo si aggiunge il problema relativo all’inflazione che ha determinato una impennata nei prezzi: il denaro minimo necessario per una famiglia di quattro persone che vive ad Ankara per il “cibo” è aumentata dell’1,39% in un mese. Il dato allargato agli ultimi 11 mesi mostra un aumento del 16,37%, che sale al 19,68% prendendo in esame l’ultimo bimestre. La crescita media annuale si attesta attorno al 14,57%.

Sindacalisti ed esperti concordano sugli effetti della pandemia di Covid-19 per l’economia del Paese, che hanno colpito con maggiore forza le classi medio-basse e basse della società le quali oggi devono affrontare difficoltà crescenti. Dai salari insufficienti all’inflazione, la disoccupazione sono tutti elementi che aggravano ogni giorno di più la situazione e finiscono per offuscare l’immagine vincente nell’ultimo decennio del presidente Erdogan, che per troppo tempo ha ostentato sicurezza - e indifferenza - di fronte a una crisi crescente. Il tutto mentre a dipendenti, salariati e pensionati è sempre più difficile chiedere di compiere ulteriori sacrifici.

Interpellato da L’Orient-Le Jour (LOJ) Soner Cagaptay, esperto di Turchia al Washington Institute, sottolinea che la longevità del potere di Erdogan è stata lungo ascrivibile ai suoi successi economici. “Ha strappato - spiega - molte persone alla povertà, questa è una delle ragioni del successo attorno a lui. Dal 2002 al 2016 il Pil è raddoppiato e il Paese ha registrato una crescita media del 5,5% su scala annuale, attirando molti investitori”.

Poi è arrivata la crisi, che le politiche del genero del presidente Berat Albayrak non hanno saputo arginare. Anzi, per molti esperti ed analisti egli, assieme al direttore della Banca centrale, è fra i maggiori responsabili dei dissesti dell’ultimo biennio, tanto da costringere Erdogan a rimpiazzarli, in tutta fretta, nell’ultimo periodo mentre il Paese è entrato ufficialmente in recessione. “Questa - avverte Cagaptay - è la ragione della sconfitta elettorale a Istanbul e Ankara e in altre grandi città alle ultime amministrative”.

L’interventismo in politica estera, l’uso strumentale dell’islam e i cambi al vertice dell’economia sembrano, almeno per il momento, aver sortito effetti e la popolarità di Erdogan appare salda. Tuttavia, in molti concordano sul fatto che la sua carriera politica stia vivendo un passaggio cruciale e, conclude Cagaptay, “non gli basta più il sostegno occasionale di altri partiti per controllare il Paese, ma deve contare su una minoranza per continuare a opprimere la maggioranza. Una svolta”.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » mer mar 10, 2021 9:25 pm

Erdogan riscrive i libri di scuola e chiama i cristiani "infedeli"
Giulio Meotti
10 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/erdogan-r ... -di-scuola

I libri di testo scolastici in Turchia sotto Recep Tayyip Erdogan sono stati riscritti per riferirsi a ebrei e cristiani come gavur, "infedeli", secondo un nuovo studio pubblicato dall’Institute for Monitoring Peace and Cultural Tolerance in School Education.

I libri di testo turchi precedenti si riferivano ai membri delle due religioni come ai "popoli del Libro". "I libri scolastici sono stati utilizzati come arma nei tentativi di Erdogan di islamizzare la società turca e di risalire a un'epoca nostalgica della dominazione turca", ha scritto Marcus Sheff dell’istituto.

Queste alcune delle scoperte dello studio:

“Il Jihad è stato introdotto nei libri di testo e trasformata nella ‘nuova normalità’, con il martirio in battaglia glorificato. Vengono insegnati obiettivi religiosi etno-nazionalisti del neo-ottomanismo e del pan-Turkismo. Pertanto, l'Islam è descritto come una questione politica, con la scienza e la tecnologia utilizzate per promuovere i suoi obiettivi. C'è un'enfasi su concetti come ‘Dominazione turca del mondo’ e ‘Ideale turco o ottomano dell'ordine mondiale’. Secondo il curriculum, il ‘bacino turco’ si estende dal mare Adriatico all'Asia centrale. Il curriculum adotta una posizione anti-americana, mostrando simpatia per le motivazioni di Isis e al-Qaeda. La Turchia assume posizioni anti-armene e filo-azere. L'identità e le esigenze culturali della minoranza curda continuano ad essere ampiamente trascurate. I pogrom del 1955 contro la comunità greca di Istanbul vengono ignorati”

Sotto Erdogan a scuola sono comparse mappe che mostrano il potere turco. Si fa riferimento all’“eredità turca dal mare Adriatico alla Grande Muraglia cinese": “I manufatti culturali turchi possono essere visti in una vasta regione, che inizia dai paesi dell'Asia centrale e orientale, come la Cina e la Mongolia, e si estende fino all'Erzegovina e all'Ungheria…”. "Siamo una grande famiglia di 300 milioni di persone dall'Adriatico alla Grande Muraglia cinese", ha detto Erdogan in un discorso dalla Moldova. I confini della Turchia, ha affermato poi da Izmir, si estendono "da Vienna alle rive del Mar Adriatico".

L’Europa e la Nato dovrebbero iniziare a preoccuparsi, anche alla luce del suo recente militarismo in Libia, in Grecia, in Siria, in Iraq e in Armenia. Alle parole Erdogan ha fatto seguire i fatti.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » ven apr 09, 2021 10:12 pm

L'incontro di ieri tra Unione Europea e Turchia non è stato improvvisato
Dario Berardi
8 aprile 2021

https://www.facebook.com/dario.berardi. ... &ref=notif

L'incontro di ieri tra Unione Europea e Turchia non è stato improvvisato o frutto di una idea estemporanea tra le parti ma bensi un meeting ben pianificato in cui gli argomenti di discussione erano gia sul tavolo da tempo, esattamente dal 12 gennaio, giorno in cui è svolto un incontro tra gli ambasciatori degli stati membri UE ed Erdogan in cui il sultano ottomano ha auspicato ai presenti "di voltare pagina nelle relazioni tra stato turco ed Europa" presentando un documento scritto di sua mano chiamato:
" La nostra entrata nella UE, una necessità ontologica per il futuro dell'Unione" (tradotto dal politichese " se volete continuare ad esistere è meglio che accettate la nostra domanda di adesione")

In questo documento Erdogan ha esposto le sei condizioni per rafforzare i rapporti tra il suo paese e le istituzioni europee e "non avere future incompresioni" ( tradotto dal politichese per non avere attentati di misteriosi militanti della jihad islamica finanziati e diretti da altrettanti misteriosi governi in medioriente).

La prima è quella gia detta: entrata nella Ue.
La seconda è che i rifugiati dalla guerra in Siria se devono restare in Turchia la UE deve versare altri 4 miliardi
La terza solo un burlone come lui poteva proporla: un miliardo di fondi per la lotta all'islamofobia, "un buco nero in cui i governi europei si sono infilati e che butta una ombra oscura sulle città europee in cui il razzismo verso l'islam dilaga"
La quarta è il riconoscimento di Cirpro Nord
La quinta è il ritiro degli altri governi europei e della UE stessa nelle trattative tra Turchia e Grecia per i confini marittimi ( tradotto dal politichese io mi prendo il mediterraneo orientale e voi state zitti e muti)
La sesta è quella piu inteessante dal punto di vista geopolitico: la UE dovrà riconoscere "al momento giusto" l'annessione dell'Azerbaygyan da parte della Turchia. Il momento giusto si intende quando l'Azerbaygyan proverà ad attaccare ed annettere l'Armenia. Il presidente azero, Aleyev, ha gia dichiarato in presenza dello stesso Erdogan che Jerevan, capitale armena, sarà azera in breve tempo.

In cambio cosà riceverà la UE? Semplice: il gas, tanti immigrati musulmani con cui combattere l'islamofobia e ripopolare le nostre nazioni ed un disimpegno dei gruppi piu radicali islamici nel nostro continente.

CHE AFFARONE!
Comunque se pensate che la storia della sedia sia una trollata isolata da parte di Erdogan sbagliate perchè il presidente turco non è nuovo a queste performances. Come dimenticare ad esempio quando si presentò in Germania durante la campagna elettorale per il referendum di 4 anni fa che lo ha fatto diventare di fatto il nuovo sultano di tutti gli ottomani. La Merkel era un po preoccupata perchè in Gerrmania la presenza kurda è numerosa e quindi voleva evitare che Erdogan venisse personalmente a fare campagna elettorale parlando ai turchi che abitano felicemente in Germanurchia. Lui si presentò quindi con un coccodrillo sulla mano destra minacciando la premier tedesca con la frase: "ma davvero fai? mica vorrai essere divorata dal mio amico che fa CROC CROC?"




Draghi: incidente diplomatico con la Turchia dopo le sue parole
VirgilioNotizie
8 aprile 2021

https://notizie.virgilio.it/draghi-erdo ... ia-1475248


Il premier definisce Erdogan come un dittatore, scatenando uno scontro diplomatico con la Turchia, che convoca l'ambasciatore italiano

Le parole prounciate dal premier Mario Draghi hanno causato uno scontro diplomatico tra Italia e Turchia. Durante la sua ultima conferenza stampa per fare il punto sulla campagna vaccinale e spiegare le misure del Governo, il presidente del Consiglio ha fatto alcune dichiarazioni su quello che è stato definito il sofagate. Il capo dell’esecutivo si è infatti espresso su quanto avvenuto durante una visita da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in terra ottomana, ma le sue dichiarazioni hanno sollevato un polverone tra il nostro Paese e quello di Recep Tayyip Erdoğan. Ne dà notizia l’Ansa.

Durante l’incontro tra i vertici Ue e il presidente turco erano state disposte solo due sedie: una per il leader di Ankara e una per il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La presidente della Commissione europea si era dovuta invece sedere più lontana dai due, sopra un divano. Il caso ha fatto subito il giro del mondo, scatenando critiche feroci alla Turchia e al trattamento riservato alle donne.
Draghi dà del dittatore a Erdogan e difende Von der Leyen per il sofagate

In conferenza stampa Mario Draghi ha dichiarato che quello di Erdoğan non è stato “un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dovuto subire”.

“Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono anche se ne abbiamo bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società. E deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio”, ha sottolineato il premier.
Draghi dà del dittatore a Erdogan: incidente diplomatico con la Turchia

Le affermazioni sul sofagate non sono piaciute alla Turchia. Il ministro degli Affari esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha convocato l’ambasciatore italiano Massimo Gaiani. “Condanniamo con forza le affermazioni senza controllo del primo ministro italiano nominato Mario Draghi sul nostro presidente eletto“, ha dichiarato il politico di Ankara, come riporta l’Ansa.

Dopo le accuse moste dalla stampa internazionale, il governo turco aveva già rimandato al mittente le critiche sul sofagate. “Accuse ingiuste. Durante l’incontro è stato rispettato il protocollo“. Gli staff della Turchia e dell’Unione Europea “si sono incontrati prima della visita e le loro richieste sono state soddisfatte”, aveva dichiarato lo stesso Çavuşoğlu. Che non ha accettato le parole di Mario Draghi in conferenza stampa, con un incidente diplomatico che rischia di minare i rapporti tra i due Paesi.




L'ERRORE DI DRAGHI
Niram Ferretti
8 aprile 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Sembra che Erdogan non abbia preso bene essere stato definito "dittatore" da Mario Draghi.
Il capo della diplomazia turca, Mevlut Cavusoglu ha bollato le dichiarazioni di Draghi come"populiste", non si capisce in che accezione e ha poi affermato che Erdogan è stato eletto regolarmente.
Anche Adolf Hitler divenne Cancelliere in virtù di libere elezioni anche se, diciamolo, avvenute in un clima un po' intimidatorio, e prese pieni poteri successivamente, ma, evidentemente, per Cavusoglu, i dittatori possono essere solo coloro che arrivano al potere in virtù di un golpe.
Tuttavia, forse, dovremo cambiare registro e imparare a vedere Erdogan sotto un'altra prospettiva, inquadrarlo come un uomo severo ma giusto anche se un tantino maschilista, uno che se ci sono due sedie in una stanza messe una accanto all'altra, due uomini, di cui uno è lui, e una donna, obbliga la donna a sedersi un po' lontana, in modo che capisca come funziona il mondo.
Erdogan è come un padre di famiglia all'antica, una figura patriarcale un tantino autoritaria.
Bene ha fatto la Turchia a convocare l'ambasciatore italiano per chiedere spiegazioni. Che Draghi riconosca presto il proprio errore.




Il Parlamento Ue al fianco di Draghi. Weber: “La Turchia con Erdogan si è allontanata dalla democrazia”
9 aprile 2021

https://www.facebook.com/groups/3168285 ... 7542188371

Il premier italiano ha definito indirettamente il presidente turco “un dittatore” attaccandolo per l’atteggiamento riservato a Ursula von der Leyen nella visita ad Ankara. Convocato l'ambasciatore italiano.
La Turchia condanna le parole di Draghi e chiede che vengano ritirate.
Non si placa la bufera sul sofagate al palazzo presidenziale di Ankara.
E il caso è diventato uno scontro diplomatico tra l'Italia e la Turchia con tanto di convocazione dell'ambasciatore italiano. Tutto è nato durante la visita della delegazione Ue nella capitale turca, martedì 6 aprile, quando il padrone di casa Erdogan ha fatto sedere accanto a lui il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, lasciando su un divano la presidente della Commissione Ursula von del Leyen. L’episodio ha fatto il giro del mondo e ha scatenato molte critiche.
Le parole di Draghi
Nella serata di giovedì 8 aprile il premier italiano Mario Draghi ha usato parole dure sulla vicenda. "Non condivido assolutamente Erdogan, credo che non sia stato un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo per l'umiliazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dovuto subire", ha premesso il presidente del Consiglio, per poi aggiungere: "Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono", ha sottolineato Draghi, "di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell'esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio".
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » ven ott 22, 2021 2:36 pm

La Turchia bocciata dalla Commissione "Non è pronta a entrare nell'Unione"
Francesco De Palo
22 Ottobre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1634891862

Duro il report annuale: "deficienze rilevanti" dalla democrazia alle libertà. Erdogan minaccia di cacciare 10 ambasciatori
La Turchia bocciata dalla Commissione "Non è pronta a entrare nell'Unione"

Atene. Un calcio alla distensione la doppia condotta del presidente turco Receyp Tayyip Erdogan che, da un lato minaccia di espellere dieci diplomatici che chiedevano la liberazione dell'imprenditore Osman Kavalas e, dall'altro, non fa passi avanti verso i principi democratici per entrare nell'Ue. Per questo, l'annuale report della Commissione boccia in toto la Turchia.

Il presidente turco ha chiesto l'espulsione degli ambasciatori di dieci paesi, tra cui Stati Uniti, Germania e Francia, che hanno spinto per la liberazione dell'imprenditore in carcere da ottobre 2017 per accuse sul fallito tentativo di golpe del 2016 e alle proteste antigovernative di Gezi Park del 2013. Il 64enne nega le accuse di Erdogan, che lo dipinge come la «gamba turca» del miliardario e filantropo statunitense George Soros, ispiratore - secondo il leader turco - delle insurrezioni di piazza.

«La Corte europea dei diritti dell'uomo ha deciso. Vogliono quasi condannare la Turchia per questo residuo di Soros chiamato Kavalas ha tuonato Erdogan a margine del suo tour commerciale in Africa - Perché i 10 ambasciatori dovrebbero fare questa dichiarazione? Coloro che difendono questo residuo di Soros stanno cercando di liberarlo. Ho detto al ministro degli Esteri che non potevamo permetterci di ospitarli nel nostro Paese. Come puoi provare a insegnare una lezione del genere in Turchia? Chi sei? Dicono di lasciare Kavalas. Stai rilasciando terroristi, assassini nei tuoi stessi paesi». Nel frattempo però Kavalas è stato assolto dalle accuse relative alle proteste del 2013, ma la sentenza è stata ribaltata quest'anno e sommata alle accuse relative al golpe farlocco.

Proprio in questo giorni Bruxelles ha inferto un duro colpo alle policies erdoganiane. Il sunto è che il paese non rientra nell'Ue, almeno per ora, per una serie di deficienze rilevanti in tutti i settori cardine: dalla democrazia alla libertà di stampa, al rispetto per leggi e trattati internazionali (Cipro, donne). La Commissione Ue critica il fatto che i poteri speciali delle autorità statali abbiano una forte influenza sulla democrazia e sui diritti fondamentali. Il paese è anche accusato di continue pressioni sulla società civile e sui sindaci di opposizione, senza dimenticare gli attacchi deliberati contro leggi e trattati internazionali, come quelli che delimitano i confini nell'Egeo, che Erdogan contesta perché punta al gas lì presente.

L'esempio cipriota è illuminante: secondo il report, la Turchia ha interrotto le sue attività illegali di esplorazione di idrocarburi nelle zone marittime della Grecia e di Cipro. Tuttavia all'inizio di ottobre, le navi da guerra turche hanno impedito alla nave Nautical Geo di condurre un'indagine nella zona economica esclusiva di Cipro e la Turchia ha emesso un Navtex per condurre indagini sismiche che avrebbero compreso parti della Zee di Cipro. Inoltre la Turchia ha continuato a intraprendere azioni volte a modificare lo status della città recintata di Varosha, situata nella zona occupata dai turchi, con decisioni unilaterali inaccettabili che vanno contro le risoluzioni 550 (1984) e 789 (1992) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L'Ue, si legge, ha fermamente condannato le iniziative unilaterali della Turchia e chiesto il capovolgimento delle misure intraprese su Varosha da ottobre 2020. Se da un lato appare evidente che non si può immaginare di azzerare il dialogo con Erdogan, per una serie di ragioni geopolitiche e commerciali, dall'altro la Commissione Ue ha messo finalmente dei paletti su principi non negoziabili.



Erdogan caccia 10 ambasciatori. Ma è l'Italia che perde la faccia
Via i diplomatici di Francia, Usa, Germania e altri Paesi. Non il nostro, che non si è battuto per il dissidente Kavala
Gian Micalessin
24 Ottobre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1635054248


L' espulsione degli ambasciatori di dieci Paesi occidentali (Stati Uniti, Francia, Germania, Canada, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia) messi alla porta dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan per aver chiesto la liberazione di Osman Kavala, un dissidente e filantropo colpevole di battersi per i diritti umani e per le minoranze curde e armene, è vergognosa. Benché i giudici lo abbiano assolto dall'accusa di aver finanziato l'opposizione e il governo non sia riuscito a provare la sua presunta partecipazione al colpo di stato del 2016, Kavala è in galera da oltre quattro anni. Il tutto mentre la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ne pretende la scarcerazione dal 2019 e il Consiglio d'Europa prepara una procedura d'infrazione contro Ankara.

In tutto questo, però, siamo noi italiani a doverci vergognare di più. Tra i nomi dei diplomatici battutisi per la liberazione di Kavala manca, infatti, quello del nostro ambasciatore ad Ankara. La nostra diplomazia, a differenza di un Mario Draghi che non esitò a definire Erdogan un dittatore, non ha mai preso posizione sullo stato dei diritti umani in un paese che negli ultimi anni non ha perso occasione di compromettere i nostri interessi nazionali. La Turchia, anche se la Farnesina, il Ministro Luigi Di Maio e il nostro ambasciatore ad Ankara sembrano averlo scordato, è lo stesso paese che nel novembre 2019 stipulò un accordo marittimo con il governo di Tripoli finalizzato, tra i vari obbiettivi, a tagliar fuori l'Italia da qualsiasi ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo. Un accordo seguito, settimane dopo, da quello che trasformò parte del porto di Misurata, città dove abbiamo un ospedale militare, in una base della Turchia.

Per non parlare dei tentativi di mettere le mani sulla Guardia Costiera di Tripoli da noi finanziata e, più in generale, di subentrare all'Italia come potenza di riferimento in Libia. Il tutto mentre i nostri confini orientali restano, dal 2015, una delle mete di quei migranti usati da Erdogan come arma di ricatto nei confronti dell'Europa.

Certo, dietro le distrazioni della nostra ambasciata ad Ankara e della Farnesina c'è il tentativo di difendere gli oltre 9 miliardi di esportazioni (dati 2020) che - assieme a un interscambio da oltre 17 miliardi e all'attività di oltre 1500 nostre aziende - fanno dell'Italia il sesto partner commerciale della Turchia. Ma se alleati e partner europei del peso di Stati Uniti, Francia, Germania e Olanda hanno deciso di mettere a rischio le relazioni diplomatiche con un regime come quello turco, allora qualcuno dall'Ambasciata di Ankara fino alla Farnesina farebbe bene a chiedersi se quei 9 miliardi di esportazioni valgano la vergogna di cui ci copriamo ignorando la desolazione di una Turchia trasformata nel cimitero dei diritti umani.

La cacciata di quei dieci ambasciatori ci trasforma nell'ultimo puntello d'un regime sempre più isolato internazionalmente e sempre più a corto d'ossigeno su un fronte interno dove inflazione galoppante e svalutazione erodono i consensi di Erdogan. E in un paese sull'orlo della bancarotta politica ed economica, il ruolo di partner privilegiato rischia di rivelarsi una maledizione anziché un vantaggio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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