No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » dom feb 04, 2018 10:42 am

Recep Tayyip Erdogan bussa alle porte dell’Europa, guarda al Papa per un’iniziativa su Gerusalemme e combatte senza tregua i nemici della Turchia, a cominciare dall’Afrin siriano.

Erdogan: “Assieme al Papa per difendere Gerusalemme”
Maurizio Molinari
2018/02/04

http://www.lastampa.it/2018/02/04/ester ... agina.html



A descrivere le priorità del viaggio che inizia oggi in Italia e Vaticano è lo stesso presidente turco. L’incontro avviene al secondo piano del palazzo Beylerbeyi - il Signore dei Signori - costruito sul lato asiatico del Bosforo dai sultani ottomani a metà Ottocento, con un’ala che il presidente adopera come ufficio quando torna nella città di cui è stato sindaco. Con alle spalle i drappi nazionali, Erdogan parla in turco, non distoglie mai lo sguardo e non muove le mani, indossa un elegante abito blu e sfoggia baffi ben curati. Trasmette l’immagine di un leader senza esitazioni.

L’unico momento in cui tradisce emozione è quando parla della sua fede nell’Islam: «Per me è tutto, qualsiasi cosa mi ordina è la mia priorità». Alla guida della Turchia dal 2003, presidente dal 2014 e sopravvissuto al colpo di Stato del 15 luglio 2016 con i poteri rafforzati dal referendum dello scorso anno, Erdogan ha domato i nemici interni, bracca quelli esterni, spinge in avanti le truppe in Siria e persegue la creazione di una propria sfera d’influenza in Medio Oriente. Dimostrando in questa intervista una sicurezza, personale e politica, che accompagna la volontà di rilanciare il negoziato per l’adesione all’Unione europea, al momento tutto in salita.


La presidenza di turno bulgara dell’Ue l’ha invitata a Varna a fine marzo a un summit con Junker e Tusk. Crede ancora nella possibilità di aderire all’Unione?

«La Turchia ha ottemperato ai suoi obblighi di Stato-candidato ma non possiamo continuare questo processo da soli. Anche l’Ue deve fare la sua parte, a cominciare dal mantenere le promesse fatte».

A cosa si riferisce?

«L’Ue blocca l’accesso al negoziato e lascia intendere che la carenza di progressi dipende da noi. È ingiusto. Come lo è che alcuni Paesi Ue avanzino per noi opzioni diverse dall’adesione».

Dunque non accetta l’ipotesi di essere affiancato alla Gran Bretagna del dopo-Brexit...

«Desideriamo la piena adesione all’Ue. Altre opzioni non ci soddisfano».

Le resistenze nell’Ue nascono dal disaccordo sullo stato di emergenza e dalle accuse di carente rispetto dei diritti umani...

«Ci aspettiamo che l’Ue rimuova il più presto possibile ogni ostacolo artificiale alla nostra adesione, assumendo un approccio costruttivo. L’adesione della Turchia non può essere sacrificata a calcoli di politica interna».

Cosa si aspetta dal summit di Varna?

«Borisov, Juncker e Tusk sono dei vecchi amici, non c’è un politico con più anzianità di me nell’Ue. Però mi dispiace una cosa: l’Europa, come del resto tutto il mondo, ha il problema del terrorismo. Il Pkk, ad esempio, venne dichiarato organizzazione terroristica dall’Ue e da ogni singolo Stato. Poi però accade che un gruppo si avvolga negli stracci del Pkk e entri nel Parlamento europeo. Sono cose che non devono succedere. Da una parte l’Europa proibisce questa organizzazione e dall’altra ci sono parlamentari che si presentano con i loro simboli nel Parlamento».

Quale è l’argomento in cima all’agenda del colloquio con Papa Francesco?

«Lo status di Gerusalemme».

Perché?

«Dopo la dichiarazione di Trump, contraria alla legge internazionale, ci siamo parlati. Voglio ringraziarlo per quella nostra telefonata su Gerusalemme, in seguito alla quale Papa Francesco non ha perso tempo e ha diffuso a tutto il mondo cristiano un giusto messaggio. Perché Gerusalemme non è una questione solo dei musulmani. Entrambi siamo per la difesa dello status quo e abbiamo la volontà di tutelarlo. Nessuna nazione ha il diritto di adottare passi unilaterali e ignorare la legge internazionale su una questione che interessa a miliardi di persone. Per questo l’Assemblea Generale dell’Onu il 21 dicembre 2017 ha definito illegale la decisione Usa. Sono felice che anche l’Italia l’abbia votata. Come si è visto, a fianco della grandissima America c’erano solo Israele e cinque o sei piccoli Paesi».

Resta il fatto che i palestinesi oggi sembrano isolati, anche nel mondo arabo. Che iniziativa può esservi su Gerusalemme da parte di Turchia e Santa Sede?

«Lo status della città deve essere preservato, sulla base delle risoluzioni Onu, assicurando a musulmani, cristiani ed ebrei di vivere in pace, fianco a fianco. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di assicurare la pace a Gerusalemme».

Dunque, pensa ad un passo internazionale?

«Mantenere lo status, assicurare i luoghi santi di tutte e tre le religioni e riconoscere i diritti del popolo palestinese è di assoluta importanza. È fondamentale che il Papa, come anche le diverse comunità cristiane a Gerusalemme, mandino messaggi in tal senso».

Quale è la strada da seguire per risolvere il conflitto israelo-palestinese?

«Se si desidera davvero la pace fra israeliani e palestinesi l’unica via è la soluzione dei due Stati. Per questo deve aumentare il numero dei Paesi che riconosce la Palestina. Dunque chiedo all’Italia di riconoscerla al più presto».

La bandiera turca sventola in Qatar, Sudan, a Gaza e in molti altri luoghi di un Medio Oriente dove siete diventati un attore strategico. Che cosa volete ottenere?

«La Turchia è un attore influente, affidabile e forte la cui cooperazione è richiesta non solo in Medio Oriente ma nel mondo intero. Siamo importanti per fermare i migranti che da Oriente si dirigono verso l’Europa e anche per garantire stabilità e sicurezza dell’Europa. Dedichiamo grandi sforzi a combattere organizzazioni terroristiche come il Pkk, il Pyd-Ypg e Isis».

Ma Europa e Stati Uniti non considerano i curdi siriani del Pyd-Ypg dei terroristi, anzi li hanno sostenuti nella campagna contro Isis...

«Si sbagliano perché non c’è alcuna differenza fra Pkk e Pyd-Ypg. È molto sbagliato tracciare delle differenze fra organizzazioni terroristiche. La situazione in Siria indica che un’organizzazione terroristica non può essere eliminata usando contro di lei un’altra organizzazione terroristica».

Quale approccio ha alle rivolte popolari nel mondo arabo?

«Per mantenere pace e stabilità servono processi politici inclusivi, unità politica delle nazioni e loro integrità territoriale. Riguardo al sostegno per le richieste di democrazia bisogna adottare un approccio basato su principi, senza discriminare singoli Stati o regioni. Purtroppo la comunità internazionale di recente non lo ha fatto e ciò deve cambiare».

Papa Francesco più volte ha denunciato le violenze contro le minoranze cristiane in Medio Oriente. Come fermarle?

«In Medio Oriente le diverse fedi hanno convissuto pacificamente fianco a fianco per secoli. La situazione si è deteriorata a causa di interventi esterni, ideologie estremiste e conflitti causati da terroristi come Isis e Al Qaeda. Il terrore in Medio Oriente non nuoce solo ai cristiani ma anche ai musulmani. Il maggior numero di vittime di Isis sono musulmane. Sarebbe un errore focalizzarsi solo sui diritti di una parte. L’attenzione del Papa per le sofferenze dei rohingya musulmani deve essere d’esempio per il mondo».

Dall’indomani del referendum sull’indipendenza il Kurdistan iracheno è isolato. Come superare questo stallo?

«Il governo regionale curdo-iracheno ha ignorato gli avvertimenti della Turchia e della comunità internazionale, celebrando un referendum illegale che ha disgregato l’integrità territoriale dell’Iraq. Per rimediare a tale errore questo governo deve convincere il governo centrale di Baghdad che rimarrà parte dell’Iraq. Siamo a favore del dialogo Baghdad-Erbil».

Dopo la caduta di Raqqa e Mosul a suo avviso Isis è davvero sconfitta o può risorgere?

«Con l’Operazione Scudo dell’Eufrate abbiamo neutralizzato 3000 terroristi di Isis, recuperando un’area di 2015 kmq, consentendo a 130 mila siriani di tornare a casa. Mentre l’operazione per ripulire Raqqa da Isis era in corso il Pyd-Ypg ha fatto un accordo con Isis facendo scappare numerosi terroristi, molti dei quali ora si trovano ad Afrin».

Le forze armate turche sono entrate nella provincia di Afrin per combattere i gruppi armati curdi. Quali obiettivi militari avete?

«Anzitutto mi consenta di correggere la sua domanda perché le forze armate turche non sono ad Afrin per combattere “gruppi curdi armati”. Non abbiamo problemi con i curdi siriani. Combattiamo solo i terroristi. Ed abbiamo il diritto di farlo. L’operazione “Ramoscello d’Olivo” vuole eliminarli dalla provincia di Afrin, da dove sono partite circa 700 azioni contro le nostre Hatay e Kilis».

Siete stati accusati di aver ucciso dei civili ad Afrin...

«Dall’inizio delle operazioni abbiamo avuto quattro civili morti e 90 feriti a Hatay e Kilis, per il lancio di razzi. Ad accusarci di uccidere civili sono i terroristi di Ypg, che usano scudi umani».

Quando porrete fine alle operazioni?

«Sarò estremamente franco: non vogliamo alcun territorio. Contribuiremo all’integrità territoriale della Siria».

Sulla Siria collaborate con la Russia di Putin, da cui avete anche acquistato le batterie anti-aeree S-400. Con una decisione che solleva forti timori nell’Alleanza atlantica. Perché lo avete fatto?

«Gli attacchi provenienti dalla Siria hanno evidenziato la necessità di rafforzare e modernizzare i nostri sistemi di difesa aera. Ed è su questo argomento che da qualche tempo, portiamo avanti dei colloqui con diversi Stati. La nostra priorità, oltre al prezzo, era di avere degli interlocutori aperti al trasferimento di tecnologia. Sapendo che vorremmo essere al riparo da qualsiasi problema durante questo processo. Per quanto riguarda l’S-400, la Federazione Russa ha soddisfatto le nostre esigenze sia come prezzo e consegna sia come trasferimento di produzione e tecnologia. È sbagliato mettere in correlazione quest’accordo con la Nato, dato che la Grecia, membro Nato, possiede il modello inferiore, l’S-300. Stiamo portando avanti trattative anche con la Francia e l’Italia».

Di che cosa si tratta?

«L’Aselsan e la Roketsan collaborano con il consorzio italo-francese Eurosam nel progetto di produzione di sistemi di difesa aerea e missilistica a lungo raggio. Durante la mia visita in Francia siamo giunti a un accordo e i lavori sono iniziati. Diamo grande importanza all’industria della difesa. Non vogliamo però essere un Paese che si limiti a consumare e importare».

A Roma vedrà Mattarella e Gentiloni, cosa si aspetta?

«Dobbiamo migliorare le nostre relazioni bilaterali con l’Italia. L’ex presidente Berlusconi è un caro amico e con lui avevamo avviato un’ottima collaborazione, posso dire che le relazioni tra i nostri due Paesi durante il suo mandato sono state molto vivaci e positive. Dobbiamo ritrovare quel clima. Avevamo fatto un accordo importantissimo, ad esempio, per gli elicotteri “Attack Agusta Westland”. E vogliamo sviluppare ancora quel genere di cooperazione. Dopo Papa Francesco incontrerò il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il primo ministro Paolo Gentiloni, per cui ho grandissima stima. Farò inoltre un incontro con gli imprenditori, che mi auguro sia proficuo. L’Italia è il nostro terzo partner commerciale ma il potenziale è maggiore. Siete undicesimi per numero di aziende presenti - circa 1400 - e vogliamo aumentarle. I ponti Osmangazi e Yavuz Sultan Selim sono stati costruiti con partner italiani. Sono convinto che le aziende dei due Paesi potranno firmare grandi accordi grazie all’accordo del 2017».

Per l’Italia la Libia è una priorità strategica. Condividete la necessità di mantenerla unita? Come riuscirvi?

«La Turchia sostiene con vigore l’integrità del territorio libico e la sua unione politica. Incoraggiamo il desiderio di dialogo espresso sin dal 2014 dai nostri amici libici. Constatiamo gli sforzi sinceri di Ghassan Salamé, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Libia. Siamo a favore del processo portato avanti anche col sostegno del Rappresentante speciale, che punta alla riconciliazione regionale e nazionale, all’adozione di una nuova costituzione e infine, all’organizzazione delle elezioni».

C’è dunque l’ipotesi di un’azione congiunta italo-turca in Libia?

«L’Italia come la Turchia desidera pace e stabilità in Libia. Italia e Turchia hanno rilanciato le attività delle loro ambasciate a Tripoli. E anche questo è un segno dell’importanza che i nostri Paesi danno alla Libia. Più la presenza dei nostri due Paesi aumenterà in Libia più ci saranno opportunità di cooperazione. Il gruppo di lavoro congiunto, in fase di definizione, sulla Libia presto sarà operativo».

A Roma in occasione della sua visita ci saranno anche delle proteste, da parte di gruppi che accusano la Turchia di gravi violazioni dei diritti umani. Se potesse rivolgersi a questi manifestanti, cosa gli direbbe?

«Non mi rivolgo a chi sostiene il terrorismo ma a chi lo combatte. Con i terroristi mi comporto come ad Afrin, lo faccio perché loro capiscono solo quella lingua, e continuerò a farlo. Che lingua parlava l’Italia con i terroristi? La Francia, la Gran Bretagna, l’America, la Russia, che lingua parlano con i terroristi? Ecco, anche io parlo quella lingua».

Lei incontrerà il Pontefice che è uomo di fede. Ma anche lei è un uomo di fede. Quanto conta per la sua identità?

«Essere religioso, la fede, per me è tutto. Non è una cosa di cui posso fare a meno, e tutto quello che la mia religione mi ordina per me è una priorità».

È alla guida del suo Paese da 15 anni. Cosa sogna per la Turchia del domani?

«Sogno che la Turchia sia tra i primi dieci Paesi più sviluppati del mondo. Siamo al quinto posto in Europa e al sedicesimo nel mondo, l’obiettivo è entrare tra i primi dieci».
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » mer feb 07, 2018 7:53 pm

Erdogan? No grazie
Giuseppe Crimaldi
5 febbraio 2018

http://www.italiaisraeletoday.it/erdogan-no-grazie

Facciamo nostro l’appello dei giornalisti di Articolo 21: “Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si appresta a mettere in scena la sua passerella istituzionale con l’arroganza che da sempre contraddistingue il suo operato e la certezza di poter lasciare in un cono d’ombra le violazioni dei diritti umani e le repressioni su ogni libertà di espressione, oltre che di informazione, perpetrate in Turchia. Ma ci sarà chi gli chiederà conto di tutto ciò e illuminerà il massacro dei curdi che sta attuando nel distretto di Afrin nel silenzio della comunità internazionale.
Oggi alle 11 Articolo 21 sarà al sit-in a Castel Sant’Angelo per manifestare solidarietà ai colleghi ingiustamente incarcerati in Turchia e a tutte le vittime del regime turco.

Come abbiamo già fatto oggi attraverso la lettera aperta a Papa Francesco, al presidente Sergio Mattarella e al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni apparsa sulla prima pagina, e con ampio spazio all’interno, del Corriere della Sera, insieme a Fnsi, European Centre for Press and Media Freedom, Reporter senza frontiere, International press institute, Rete No Bavaglio e molte altre organizzazioni per la libertà di informazione, porremo all’attenzione dell’opinione pubblica italiana i gravi abusi compiuti in Turchia dal fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, in particolar modo attraverso il controllo dell’esecutivo sulla giustizia e il generale degrado dello stato di diritto nel Paese.
Decine di migliaia di persone sono state oggetto di una repressione arbitraria che continua a peggiorare e colpisce tutte le categorie della popolazione, tra cui i giornalisti, tra i 150 e i 170 sono attualmente detenuti.
Pope Francis shakes hands with Turkish President Recep Tayyip Erdogan at the Presidential palace in Ankara, Friday, Nov. 28, 2014. Pope Francis condemned the Islamic State assault on Christians and other religions minorities in Iraq and Syria as he arrived Friday in neighboring Turkey to encourage Muslim leaders to take a stronger stand against extremists who twist religion to justify terrorism. (AP Photo/Gregorio Borgia)

La Turchia è ormai a un punto di non ritorno sulla china antidemocratica che dal fallito colpo di Stato del luglio 2016 ha marcato una significativa escalation. Arresti e licenziamenti di massa si sono abbattuti su migliaia di persone ritenute affiliate alla presunta rete terroristica del predicatore Fethullah Gulen, ritenuto l’ideatore del fallito colpo di stato.
La prova definitiva che nel Paese non vi sia più traccia dello ‘Stato di diritto’, requisito fondamentale per una democrazia, è rappresentata dalla decisione del Tribunale penale di Istanbul di non dar seguito, per la prima volta nella storia del Paese, alla sentenza di scarcerazione della Corte Suprema per due giornalisti, Memhet Altan e Sahin Alpay, sui quali si era pronunciata definendo incostituzionali le motivazioni dell’arresto. Ancor prima abbiamo assistito all’accanimento nei confronti degli operatori dell’informazione non piegati al volere del regime, come i vertici editoriali e i giornalisti di Cumhuriyet, storico quotidiano di opposizione, di cui tre dei diciotto imputati del processo che li vede accusati di favoreggiamento del terrorismo, pur non essendo stata prodotta alcuna prova a loro carico, sono tutt’ora in carcere.
Quanto sta avvenendo in Turchia ha spinto un gruppo di eurodeputati a chiedere una riunione d’urgenza per discutere sull’opportunità che la Turchia possa continuare ad aspirare ad entrare nell’Unione europea. Già da tempo è stato ventilato a Bruxelles la possibile sospensione dei negoziati di adesione all’Ue e visto che le relazioni con Ankara sono uno dei principali punti della seduta plenaria della prossima settimana al Parlamento europeo, la discussione potrebbe entrare nel vivo proprio nelle prossime ore.
Lo Stato di emergenza perenne che tiene in ostaggio la popolazione turca, gli arresti di massa e le purghe in tutti i settori degli apparati statali attestano che il presidenzialismo autoritario di Erdogan non ha più limiti.

E non c’è alcun potere che possa contrastarlo. Basti pensare a come la giustizia sia stata piegata al suo volere per zittire e punire le voci critiche nei confronti del regime.
Dal processo Cumhuriyet emerge chiaramente che la politica controlla il sistema giudiziario.
Il processo ‘è’ un caso politico. Gli avvocati durante il dibattimento hanno posto in evidenza l’ingiustificata detenzione degli imputati, sostanzialmente senza prove che confermassero la tesi dell’accusa di partecipazione e sostegno a organizzazioni terroristiche se non l’aver usato l’applicazione di messaggistica ByLock, utilizzata dai militari ‘traditori’ la notte dello sventato colpo di Stato.

L’unica certezza in questo processo e che a essere sul banco degli imputatomi sia principalmente la libertà di espressione. Lo dimostra la presenza alla sbarra del giornalista investigativo Ahmed Sik, uno tra i più stimati colleghi turchi mai venuto meno ai principi deontologici della professione, che nonostante la sua inattaccabile credibilità sia ritenuto fiancheggiatore di terroristi.
“La colpa di Sik è di essere tra quei pochi giornalisti che hanno rifiutato di ‘vendere’ le loro penne” ha tuonato in aula il suo avvocato richiedendone il rilascio.
La sua voce, come quella dei difensori di tutti gli altri imputati, è rimasta inascoltata.
Lui, il direttore di Cumhuriyet Murat Sabuncu, l’amministratore delegato della Fondazione che edita il quotidiano, Akın Atalay, che rischiano fino a 43 anni di prigione, dovranno attendere in carcere la prossima udienza del processo, fissata per il 9 marzo, che dovrebbe concludersi con la sentenza per i 18 dirigenti e giornalisti del giornale di opposizione che non si è mai piegato al regime del presidente Erdogan.
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » mer feb 21, 2018 8:15 pm

La Turchia minaccia di invadere la Grecia
Uzay Bulut
21/02/2018

https://it.gatestoneinstitute.org/11931 ... ere-grecia

Meno di due settimane dopo che il ministero greco della Difesa aveva denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte della Turchia per 138 volte in un solo giorno, una motovedetta della Guardia costiera turca, il 13 febbraio scorso, ha speronato una nave della guardia costiera ellenica al largo di Imia, una delle numerose isole greche su cui Ankara rivendica la propria sovranità.

La maggior parte delle zone all'interno dei confini attuali della Grecia rimasero sotto il dominio dell'Impero ottomano da metà del XV secolo fino alla guerra d'indipendenza greca del 1821 e alla creazione dello Stato moderno greco del 1832. Ma le isole, come il resto della Grecia, sono giuridicamente e storicamente elleniche, come indicano i loro nomi.

Tuttavia, l'Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, al potere in Turchia, e anche gran parte dell'opposizione sembrano determinati, per non dire ossessionati, dall'idea di invadere e conquistare queste isole greche in quanto considerate da sempre territorio turco.

A dicembre 2017, ad esempio, Kemal Kılıçdaroğlu, il leader del Chp, il principale partito turco di opposizione, ha dichiarato che se dovesse vincere le elezioni nel 2019, "invaderà e assumerà il controllo delle 18 isole greche nel mare Egeo, proprio come l'ex premier turco Bulent Ecevit invase Cipro nel 1974". Kılıçdaroğlu ha detto che non esiste "alcun documento" che dimostri che quelle isole appartengano alla Grecia.

Anche Meral Akşener, a capo del neopartito di opposizione Iyi parti, [in turco "il buon partito" o "partito del bene", N.d.T.], ha invocato l'invasione e la conquista delle isole. "Bisogna fare ciò che è necessario", ha twittato il 13 gennaio.

Ovviamente, la dichiarazione più audace e forte è arrivata dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, a quanto pare incoraggiato dall'invasione militare di Afrin, nel nord della Siria, di fatto incontrastata.

"Lanciamo un monito a chi ha passato il segno nel mare Egeo e a Cipro", ha dichiarato Erdoğan, aggiungendo:

"Il loro coraggio persisterà solo fino a quando non vedranno il nostro esercito, le nostre navi e i nostri aerei. (...) Che si tratti di Afrin, del mare Egeo o di Cipro, i nostri diritti sono gli stessi. Non pensiate mai che la prospezione di gas naturale nelle acque di Cipro e altri tentativi opportunisti nel mare Egeo passino da noi inosservati.

"Proprio come mettiamo fine ai piani [nella regione] con le operazioni "Scudo dell'Eufrate" e "Ramoscello d'Ulivo" [in Siria] e presto a Manbij e in altre regioni, possiamo distruggere, e lo faremo, i piani di chi fa calcoli sbagliati sul nostro confine meridionale. (...) Le nostre navi e le nostre forze aeree sorvegliano la zona per intervenire in ogni modo, se necessario".

Riferendosi ai tempi dell'Impero ottomano, Erdoğan ha affermato:

"Chi pensa che ci siamo dimenticati delle terre dalle quali ci ritirammo in lacrime cent'anni fa, si sbaglia.

"Diciamo ogni volta che si presenta l'occasione che la Siria, l'Iraq e altri luoghi sulla mappa geografica dei nostri cuori non sono diversi dalla nostra patria. Stiamo lottando affinché una bandiera straniera non venga sventolata in alcun posto dove sia recitato un adhan [la chiamata islamica alla preghiera nelle moschee].

"Quello che abbiamo fatto finora è nulla in confronto agli attacchi ancor più grandi che stiamo pianificando per i prossimi giorni, inshallah [se Allah lo vuole]."

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di recente ha dischiarato: "Lanciamo un monito a chi ha passato il segno nel mare Egeo e a Cipro. (...) Il loro coraggio persisterà solo fino a quando non vedranno il nostro esercito, le nostre navi e i nostri aerei". (Foto dell'immagine: Elif Sogut/Getty Images)

La dinastia ottomana e il suo impero furono fondati da un capo nomade turcomanno attorno al 1300. Nel corso degli oltre seicento anni del periodo ottomano, i turchi ottomani, che rappresentavano anche il Califfato islamico, hanno regolarmente lanciato il jihad, invadendo e occupando terre in tre continenti.

I fautori del neo-ottomanesimo in Turchia abbracciano ancora con orgoglio il concetto di jihad (la guerra santa islamica) contro i kafir (gli infedeli). Il capo della Diyanet, la Direzione per gli Affari religiosi finanziata dallo Stato, ha apertamente descritto la recente invasione militare di Afrin come un "jihad".

Questo termine ha senso se si pensa che i turchi musulmani devono la loro maggioranza demografica in Asia Minore a secoli di persecuzioni e discriminazioni turche contro i cristiani, gli yazidi e gli ebrei della regione. Nell'XI secolo, i jihadisti turchi dell'Asia centrale invasero e conquistarono l'Impero bizantino, cristiano e di lingua greca, aprendo la strada alla graduale turchificazione e islamizzazione della regione, attraverso metodi quali omicidi, rapimenti, stupri e conversioni forzate.

Il più grande assalto turco contro i cristiani avvenne nel XX secolo. Dal 1914 al 1923, i turchi ottomani commisero un genocidio contro i greci, gli armeni e gli assiri (siriaci/caldei). Ciò non ha impedito alla Turchia di diventare membro della NATO nel 1952. L'attacco non le ha nemmeno impedito, tre anni dopo l'adesione alla Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, di commettere un selvaggio pogrom contro la popolazione greca di Istanbul, o di cacciare con la forza, nel 1964, i greci rimasti in Turchia.

E proprio perché i turchi non sono mai stati ritenuti responsabili delle loro azioni e aggressioni criminali che continuano a minacciare la sicurezza e la sovranità dei paesi vicini. È giunto il momento che l'Occidente si svegli e richiami all'ordine Ankara.

Uzay Bulut, musulmana di nascita, è una giornalista turca che vive ad Washington D.C.
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Messaggioda Berto » dom mar 04, 2018 8:32 am

La nave dell'ENI che la Turchia aveva bloccato vicino a Cipro ha rinunciato per ora a esplorare il giacimento petrolifero
sabato 24 febbraio 2018

https://www.ilpost.it/2018/02/24/saipem-eni-marocco


La nave Saipem 12000 dell’ENI – che era bloccata da due settimane nel Mar Mediterraneo orientale dalla marina militare della Turchia – si sta spostando verso il Marocco. La nave era stata bloccata mentre navigava da una parte all’altra dell’isola di Cipro, per cominciare i lavori di perforazione ed esplorazione di un giacimento concesso all’ENI da Cipro ma conteso dalla Turchia. Dopo diversi giorni di blocco e trattative tra l’ENI e i governi di Cipro, Italia e Turchia, la nave ha quindi rinunciato, almeno per ora, ai lavori di perforazione. Secondo alcune versioni, smentite però dal ministero italiano della Difesa, prima di abbandonare l’area la nave avrebbe provato, d’accordo con il governo di Cipro, a forzare il blocco navale imposto dalla Turchia, trovando però l’opposizione delle navi turche.

Il 23 febbraio Claudio De Scalzi, amministratore delegato di ENI, aveva detto: «Non ci ritiriamo da Cipro, siamo abituati ad avere possibili contenziosi. Dipende ora dalle decisioni che verranno prese da Cipro Nord e Cipro Sud. Abbiamo dei permessi che durano moltissimi anni».



Erdogan vince il braccio di ferro La nave Eni costretta a lasciare Cipro
Claudio Del Frate
2018 febbraio 23

http://www.corriere.it/esteri/18_febbra ... e9b6.shtml

La nave Saipem 12000, affittata dall’Eni per effettuare ricerche petrolifere nelle acque di Cipro e bloccata dalla Marina Militare turca fa dietrofront. La notizia è stata confermata tanto dai veritci di Eni quanto dalle autorità di Nicosia. Come spiegato dall’a.d. del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi, l’imbarcazione potrebbe essere diretta in Marocco in attesa che la situazione diplomatica tra Cipro Sud e Nord si sblocchi. Dal 9 febbraio la nave era ferma in seguito allo stop delle autorità di Ankara. Erdogan rivendica infatti la zona di mare in cui la Saipem 12000 avrebbe dovuto operare alla repubblica turco-cipriota, uno Stato nato dopo l’invasione di Ankara dell’isola nel 1974 e mai riconosciuto a livello internazionale. Dal punto di vista politico e diplomatico, dunque, si tratta di una vittoria per il «sultano» turco.


Bloccata da 5 navi da guerra

Il ministro dell’Energia di Cipro, Giorgos Lakkotrypis, parlando all’emittente locale «Sygma» ha riferito che il rientro di Saipem 12000 sarebbe avvenuto dopo che l’imbarcazione e’ stata fermata in mattinata da cinque navi militari turche.Versione confermata dal vice portavoce del governo cipriota, Victoras Papadopoulos, all’agenzia di stampa «Cyprus News Agency». Secondo Papadopoulos, dopo le consultazioni tra Saipem ed Eni, il capitano della nave avrebbe tentato ancora una volta di guidare la nave verso l’obiettivo di Soupia per condurre le sue operazioni di perforazione. «Durante il suo percorso verso l’obiettivo Soupia, la nave e’ stata fermata da cinque navi da guerra turche e dopo le minacce di violenza lanciate (dai turchi) e la minaccia di una collisione, nonostante gli sforzi coraggiosi e lodevoli del capitano, sfortunatamente la nave e’ stata costretta a tornare», ha aggiunto Papadopoulos.


L’irritazione (vana) di Bruxelles

La questione rischia ora di trasformarsi in una caso diplomatico di rilievo poiché oltre all’italiana Eni anche la francese Total e l’americana Exxonmobil hanno ottenuto licenze per esplorare giacimenti di idrocarburi nella stessa zona di mare contesa tra Cipro e la Turchia. Durante la sua recente visita a Roma, Erdogan aveva ammonito il governo italiano, invitandolo a rinunciare alle ricerche petrolifere nella zona turco-cipriota: l’invio delle navi militari a sbarrare il passo alla Saipem 12000 è stata la risposta concreta a quelle parole. Nei giorni successivi anche la Ue aveva invitato il «sultano» a desistere e a rispettare la sovranità nazionale di Nicosia ma invano. Nuovi colloqui ad alto livello sono previsti nei prossimi giorni per affrontare una questione che sta aggravando ulteriormente le tensioni tra Ankara e Bruxelles, a poco più di un mese dall’atteso summit di Varna tra il presidente turco e i vertici Ue. Il governo di Cipro, dal canto suo, ha annunciato che chiamerà in causa i tribunali internazionali per risolvere la questione.
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Messaggioda Berto » dom mar 04, 2018 8:33 am

“Erdogan chiama la bimba sul palco: “Se diventa martire avrà tutti gli onori”. E lei scoppia in lacrime
Monica Ricci Sargentini
2018/02/26

http://lepersoneeladignita.corriere.it/ ... e1df0f08tK

Piange la piccola Amine Tiras, sei anni, in tenuta militare, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan la bacia sulla guancia e le dice “i berretti marroni non piangono”. Poi, indica la bandiera turca sulla sua uniforme e arringa la folla:

“Se diventerà una martire, con il volere di Dio, sarà avvolta nella bandiera. Lei è pronta a tutto. E voi lo siete?”.

L’episodio, avvenuto sabato 24 febbraio durante un comizio al congresso provinciale dell’Akp nella provincia meridionale di Kahramanmaras, ha destato molte polemiche per l’uso strumentale e nazionalistico da parte del presidente di una piccola impaurita. A destare l’attenzione del “sultano” era stato il fatto che la bimba era vestita in uniforme militare con un berretto marrone, simbolo delle forze speciali di Ankara appena entrate nell’enclave curdo-siriana di Afrin per portare l’assedio al suo centro urbano. Per questo il presidente turco ha chiesto che fosse portata sul palco, per indicarla come simbolo delle nuove generazioni pronte a combattere per la patria, ma la bambina non ha gradito e ha cominciato a piangere.



Niram Ferretti
26 febbraio 2018

Il sultano Erdogan e la piccola Amine, la bimba turca di sei anni, in tenuta militare, che piange mentre il presidente, il grande presidente padre della patria, la bacia e arringa la folla: "Se diventerà una martire, con il volere di Dio, sarà avvolta nella bandiera. Lei è pronta a tutto. E voi lo siete?”. E questi sarebbero i partner dell'Europa? Stiamo regredendo al tempo della barbarie in cui si è perso il senso di cosa è giusto e sbagliato, in cui le Ahed Tamimi sono omaggiate come eroine, le bimbe turche sono portate sul palco per fanatizzare le masse e la ragione entra in sonno. Questo schifo ci si rivolterà contro.

Giulio Meotti
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 8:28 pm

Perché la Turchia vuole invadere le isole greche
Uzay Bulut
11/03/2018

https://it.gatestoneinstitute.org/12022 ... ole-greche

C'è una questione in merito alla quale l'Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, al potere in Turchia, e il Partito repubblicano del popolo (Chp), il suo principale oppositore, sono pienamente d'accordo ed è la convinzione che le isole greche occupino il territorio turco e che pertanto debbano essere riconquistate. Tale determinazione è così forte che i leader di entrambi i partiti hanno apertamente minacciato di inviare truppe nel Mar Egeo.

I due partiti però fanno a gara per dimostrare chi è il più potente e patriottico e chi ha il coraggio di mettere in atto la minaccia contro la Grecia. Mentre il Chp accusa l'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan di consentire alla Grecia di occupare le terre turche, l'Akp attacca il Chp, partito fondatore della Turchia, accusandolo di aver permesso alla Grecia di prendersi le isole, grazie al Trattato di Losanna nel 1924, agli accordi italo-turchi del 1932 e al Trattato di Parigi del 1947, che riconoscevano tutti alla Repubblica ellenica i diritti di sovranità sulle isole dell'Egeo.

Nel 2016, Erdogan affermò che la Turchia aveva "svenduto" le isole che "erano nostre" e che sono "a un tiro di schioppo" [dalla Turchia]. "Lì ci sono ancora le nostre moschee, i nostri santuari", egli disse, riferendosi all'occupazione ottomana delle isole.

Due mesi prima, in occasione della "Conferenza sul nuovo concetto di sicurezza della Turchia", Erdoğan aveva dichiarato: "Il Trattato di Losanna (...) non è mai stato un testo sacro. Ovviamente, ne discuteremo e lotteremo per ottenerne uno migliore". In seguito, i media pro-governativi pubblicarono le mappe e le foto delle isole nell'Egeo, definendole il territorio che "Erdogan afferma che è stato svenduto a Losanna".

Per raggiungere il suo fine ultimo di lasciare un'eredità che superi quella di tutti gli altri leader turchi, Erdogan ha fissato degli obiettivi per il 2023, in occasione del 100° anniversario della fondazione della Repubblica di Turchia, e per il 2071, anno in cui ricorrerà il 1000° anniversario della battaglia di Manzikert, che sancì la vittoria dei jihadisti musulmani turchi dell'Asia centrale sulle forze cristiane greco-bizantine sull'altopiano armeno dell'Impero bizantino.

L'idea alla base di questi obiettivi è quella di creare una coesione nazionalistica per l'annessione di più territori alla Turchia. Ma per modificare i confini turchi, Erdogan deve rinegoziare o annullare il Trattato di Losanna. Paradossalmente, in vista della sua visita ufficiale in Grecia nel dicembre 2017 – propagandata come un segnale di una nuova era nelle relazioni greco-turche – Erdogan ha detto ai giornalisti greci che il Trattato di Losanna aveva bisogno di essere revisionato. Durante il viaggio, prima visita ufficiale in Grecia da parte di un capo di Stato turco in 65 anni, Erdogan ha ripetuto il suo mantra che il Trattato di Losanna necessita di una revisione.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che la Turchia "aveva svenduto" le isole greche che "erano nostre" e che sono "a un tiro di schioppo" [dalla Turchia]. "Lì ci sono ancora le nostre moschee, i nostri santuari", egli ha detto, riferendosi all'occupazione ottomana delle isole.(Foto di Carsten Koall/Getty Images)

A gennaio scorso, il presidente turco ha preso di mira il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, accusando di nuovo il suo partito che firmò il Trattato di Losanna di aver svenduto le isole nel corso dei negoziati. "Informeremo la nostra nazione di questo", ha dichiarato Erdogan. Tale affermazione implica che Erdogan accetta il fatto che le isole appartengano alla Grecia, ma allo stesso tempo ne denuncia "l'invasione" da parte della Repubblica ellenica, esprimendo la volontà di riappropriarsi di quei territori che un tempo erano sotto il dominio dell'Impero ottomano.

Tuttavia, la retorica del Chp è altrettanto aggressiva, con Kilicdaroglu che ha affermato davanti al parlamento turco che la Grecia aveva "occupato" 18 isole. Quando il ministro greco della Difesa Panos Kammenos si è detto "imbarazzato" per questa affermazione, il responsabile per la politica estera del Chp, Ozturk Yilmaz, gli ha risposto: "La Grecia non deve mettere la nostra pazienza alla prova". Yilmaz avrebbe anche aggiunto che "la Turchia è molto di più di un governo" e ogni ministro greco che provoca la Turchia sarà "colpito con una mazza sulla testa. (...) Se Kammenos ripassa la storia, troverà molti esempi".

La storia è infatti piena di esempi di violenze e massacri perpetrati dai turchi contro i greci anatolici. Il genocidio commesso contro i cristiani greci e armeni a Izmir nel 1922 è stato evocato da Devlet Bahceli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), in un discorso pronunciato davanti al parlamento:

"Se i greci vogliono di nuovo finire in mare – se hanno voglia di essere inseguiti ancora – beh, sono i benvenuti. La nazione turca è pronta e fiduciosa di rifarlo. Qualcuno deve spiegare al governo greco cosa accadde nel 1921 e nel 1922. Se non lo farà nessuno, fionderemo come proiettili nel Mar Egeo, pioveremo dal cielo come una vittoria benedetta e insegneremo la storia daccapo ai messaggeri di ahl al-salib [il popolo della croce]".

Anche i propagandisti turchi hanno distorto i fatti per cercare di ritrarre la Grecia come l'aggressore. Umit Yalim, ex segretario generale del Ministero della Difesa nazionale, ad esempio, ha dichiarato che la "Grecia ha trasformato le isole in arsenali e avamposti militari in vista dei suo futuro intervento militare contro la Turchia".

Tutti i politici turchi sembrano avere la propria motivazione a essere ossessionati dalle isole: espansionismo turco tradizionale, turchificazione delle terre elleniche, neo-ottomanesimo e – fiore all'occhiello della conquista islamica – il jihad. Il desiderio di invadere le isole è anche dettato da ragioni strategiche, come si evince da una dichiarazione rilasciata dal vice-premier Tugrul Turkes sul controllo di Cipro da parte della Turchia dal 1974:

"Circolano erronee informazioni che la Turchia sia interessata a Cipro perché lì ci sarebbe una comunità turca. (...) Anche se nessun turco vivesse a Cipro, la Turchia avrebbe comunque una questione cipriota ed è impossibile rinunciarci".

Lo stesso atteggiamento e la medesima logica valgono per le isole del Mar Egeo. Sebbene i turchi sappiano che le isole appartengono giuridicamente e storicamente alla Grecia, le autorità turche vogliono occuparle e turchificarle, presumibilmente per promuovere la campagna di annientamento dei greci, come fecero in Anatolia dal 1914 al 1923 e anche in seguito. La distruzione di tutte le vestigia della cultura greca esistenti in Asia Minore, una regione greca prima dell'invasione turca dell'XI secolo, è quasi completa. Meno di 2 mila greci vivono ancora oggi in Turchia.

Tenuto conto della brutale invasione turca di Cipro del 1974, le attuali minacce contro la Grecia – da un capo all'altro dello spettro politico turco – non dovrebbero essere sottovalutate dall'Occidente. La Grecia è la culla della civiltà occidentale. Confina con l'Unione Europea. Qualsiasi attacco contro la Grecia dovrebbe essere considerato come un attacco contro l'Occidente. È ora che l'Occidente, che è rimasto in silenzio di fronte alle atrocità turche, si opponga ad Ankara.

Uzay Bulut, musulmana di nascita, è una giornalista turca che vive a Washington D.C.
https://armenianweekly.com/author/uzay-bulut
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 4:54 am

Turchia: arrestate 845 persone per aver criticato Erdogan sui social
Sadira Efseryan on 12 marzo 2018

http://www.rightsreporter.org/turchia-a ... sui-social

Oggi in Turchia si rischia l’arresto per un solo post di critica su Facebook. L’hanno chiamata “Operazione Social Media” e al di la del nome amichevole è una vera e propria operazione di repressione fascista del libero pensiero che tra il 26 febbraio e l’11 marzo ha portato in carcere 169 persone che avevano criticato l’operazione militare turca ad Afrin e la politica di Erdogan portando così il numero degli arresti a un totale di 845 persone.

Gli ultimi due arresti in ordine di tempo sono quelli di Kubilay Celik, vice presidente della DEKD (Darıca Laborer Culture Association) e di Enver Arg, membro senior della stessa associazione di lavoratori. I due, arrestati ieri, sono accusati di aver pubblicato su Facebook un post di critica sulla operazione “Olive Branch” in corso nella regione siriana di Afrin. A renderlo noto un comunicato della associazione distribuito ai “media amici”.

I numeri degli arresti sono confermati dal Ministero degli Interni turco che con un comunicato distribuito questa mattina afferma che «in una operazione legale denominata “operazione social media” sono state tratte in arresto 169 persone che operavano sui social media contro la Turchia». Nel comunicato si specifica anche che da gennaio le persone arrestate per aver criticato la Turchia sui social media sono complessivamente 845, alcune delle quali rilasciate in attesa di giudizio.

A guidare la “Operazione Social Media” è direttamente il Ministero degli interni turco che attraverso le squadre antiterrorismo nei giorni scorsi ha effettuato delle vere e proprie retate soprattutto nella città di Smirne. Durante le retate agli arrestati sono stati sequestrati anche diversi computer, articoli di giornali esteri che criticavano la Turchia e più specificatamente Erdogan, appunti presi da testate estere e tradotti in turco oltre ad altro materiale giudicato dall’antiterrorismo come “ostile alla Turchia”.


Deriva fascista
vignette erdogan
Una delle vignette su Erdogan che costano l’arresto e che denunciano la censura sui social media

Le associazioni turche e le organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani in Turchia denunciano la deriva fascista del regime di Erdogan. «Oggi in Turchia si va in galera solo per scrivere un post critico sui social media» denuncia a RR un esponente della società civile. «La libertà di stampa ormai è solo un miraggio, possono scrivere solo i giornali e i media di regime. Ora si cerca di uccidere anche la libertà di pensiero e di opinione» ci dice l’uomo che naturalmente vuole rimanere anonimo.

Quello che i tantissimi dissidenti turchi si chiedono è come sia possibile che nel pieno di questa deriva autoritaria e fascista intrapresa dal regime di Erdogan, l’Europa se ne stia assolutamente in silenzio. «Non solo stanno zitti, ma accolgono Erdogan nelle loro capitali e persino in Vaticano quasi che fosse uno statista democratico invece di essere un mero dittatore» ci scrive in una mail un rappresentante della associazione DEKD.

Ed è quello che ci chiediamo anche noi: com’è possibile che l’Europa continui nel suo silenzio rotto solo da qualche sterile comunicato di forma? Non è forse arrivato il momento di sanzionare il regime turco e di isolarlo una volta per tutte? O i valori europei sono solo sulla carta?
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 4:56 am

Finita la resistenza dei curdi di Afrin, venduti da un occidente miope e vigliacco
Franco Londei on 18 marzo 2018

http://www.rightsreporter.org/finita-la ... -vigliacco

L’annuncio della conquista del centro di Afrin arriva da Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan.

Solo fino a poco più di tre mesi fa la stampa mondiale era piena di articoli in cui si lodavano i valorosi combattenti curdi siriani e li si elevavano (giustamente) al ruolo di eroi, di salvatori del popolo siriano (non solo curdo) dai macellai dello Stato Islamico. Le cronache ci raccontavano di come, città dopo città, i curdi avanzano nel territorio di Daesh e lo liberavano dal crudele e sanguinario giogo islamico fino ad arrivare a Raqqa. Poi a sostituire Daesh venne Erdogan e calò il silenzio.

Erdogan, lo stesso che per anni ha fatto affari con lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi comprandogli il petrolio siriano e iracheno in cambio di armi, denaro e di un passaggio sicuro per i suoi terroristi, lo stesso Erdogan che pochi mesi prima si era inventato di sana pianta un golpe solo per trasformare la Turchia da un Paese laico in un califfato del quale lui sarebbe stato l’indiscusso califfo. Un Daesh con riconoscimento internazionale.

Poteva Erdogan sopportare che i curdi venissero considerati degli eroi? Poteva permettere che dopo il Kurdistan iracheno nascesse anche un Kurdistan siriano? Certo che no. E allora il nuovo califfo, il sostituto naturale di Abu Bakr al-Baghdadi, si inventa che i curdi siriani sono terroristi che minacciano la Turchia e addirittura il popolo siriano, quello stesso popolo che proprio i curdi hanno difeso a carissimo prezzo. E cosa si fa con i terroristi se non attaccarli?

È così che nel silenzio internazionale nasce l’operazione chiamata tragicomicamente “Olive Branch”, ramoscello d’ulivo, un simbolo di pace usato cinicamente per un massacro studiato a tavolino, quello dei curdi siriani di Afrin.

Ecco, questo è in poche parole il sunto della pianificazione di quello che è un massacro annunciato che proprio in queste ore sta vedendo il suo tragico epilogo con le forze turche appoggiate dalle milizie islamiche fedeli ad Ankara che sono a pochi passi dal centro di Afrin nonostante l’eroica resistenza curda. Pochi minuti fa Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan, ha annunciato di aver conquistato il centro di Afrin. Fine della storia, massacro compiuto, il ramoscello d’ulivo di Erdogan è stato consegnato ai destinatari.

Viene da chiedersi come faranno i diplomatici europei e americani a guardarsi allo specchio questa mattina, come faranno a non sentirsi dei vigliacchi per aver abbandonato i curdi siriani nelle mani del califfo Erdogan dopo che li avevano usati per sconfiggere il califfo al-Baghdadi. Come faranno nel guardare le lunghe fila di persone in fuga dai turchi, quelle stesse che fuggivano da Daesh, a non sentirsi dei vermi? Come faranno a non sentire il sangue delle migliaia di curdi massacrati dalle milizie islamiche di Erdogan sulle loro mani, sulla loro pelle?



Kurdistan e de torno
viewtopic.php?f=144&t=1145
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » sab mar 24, 2018 4:14 pm

Turchia come ISIS: distrutto sito archeologico cristiano in Siria. La vergogna continua
Sarah G. Frankl
24 marzo 2018

http://www.rightsreporter.org/turchia-c ... a-continua

Aerei da guerra turchi hanno bombardato e distrutto l’importante sito archeologico di Barad, a sud di Afrin e non lontano da Aleppo, in Siria. A renderlo noto è stato il direttore generale per le antichità e i musei del regime di Damasco, Mahmoud Hamoud.

Il bombardamento sarebbe avvenuto mercoledì scorso ma solo ieri in serata se ne è avuta la conferma.

L’esercito turco ha distrutto molti importanti resti archeologici cristiani trai quali la tomba di San Marone, padre della chiesa maronita, e la chiesa di Julianos, una delle più antiche chiese cristiane del mondo che fu costruita alla fine del IV secolo D.C. e nella quale erano custoditi importanti mosaici bizantini.

Il sito ospitava anche altre chiese cristiane ricche di mosaici bizantini e di opere di pregio che purtroppo ora sono andate distrutte.

Quello della Turchia è lo stesso tipo di atteggiamento avuto da ISIS per altri importanti siti archeologici come quello di Palmira e di Ninive, distrutti solo perché secondo gli estremisti islamici erano una offesa a Maometto.

Mahmoud Hamoud ha esortato la comunità internazionale a condannare duramente la distruzione del sito archeologico di Barad, dal 2011 inserito anche nella lista dell’UNESCO dei patrimoni dell’Umanità, anche perché non c’è nessuna giustificazione al bombardamento turco se non per ragioni religiose visto che il sito era completamente deserto e non forniva rifugio a nessuno. Dall’inizio dell’offensiva di Afrin l’esercito turco e i miliziani islamisti alleati di Ankara hanno distrutto diversi siti archeologici senza alcuna motivazione se non quella religiosa.

«Erdogan sta finendo il lavoro iniziato da al-Baghdadi» ha detto il direttore delle antichità siriano letteralmente costernato da quanto sta avvenendo nel totale silenzio della comunità internazionale.

Anche ieri il Consiglio d’Europa si è limitato a condannare le azioni turche nel Mediterraneo e nel Mar Egeo ma non ha detto una parola sull’aggressione alla regione di Afrin. E la vergogna continua.
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Re: No a ła Turkia ente l'Ouropa Onida, mi no me fido

Messaggioda Berto » mar mar 27, 2018 7:13 pm

Per capire la pericolosità di Erdogan basta leggere la stampa turca
27/03/2018

http://www.rightsreporter.org/per-capir ... ampa-turca

L’Unione Europea deve imparare a vivere con Erdogan. Questo è il titolo di un editoriale apparso questa mattina su Daily Sabah, uno dei maggiori quotidiani turchi vicini al regime di Ankara.

Ieri Erdogan ha incontrato i vertici dell’Unione Europea a Varna, in Bulgaria. All’ordine del giorno la discussione sul processo di adesione della Turchia all’Unione Europea che nonostante le tante malefatte del dittatore turco, le tante violazioni dei Diritti Umani e la palese islamizzazione della società turca, continua incredibilmente ad andare avanti.

L’Unione Europea era rappresentata ai massimi livelli, a partire dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker.

Nell’editoriale firmato da Ilnur Cevik, una delle firme di punta del giornalismo turco, si afferma che la Grecia e Cipro stanno «ulteriormente inquinando l’atmosfera tra Ankara e Bruxelles» mentre si sostiene che l’attuale stato di emergenza in Turchia, che a tante violazioni dei Diritti Umani ha portato, sarebbe «vitale per risolvere il caos creato dal tentativo di golpe del 15 luglio 2016 da parte dell’Organizzazione del Terrore Gülenista (FETO) e a creare un ambiente sicuro e protetto nel Paese» e che quindi, in sostanza, l’Europa dovrebbe “comprendere” le misure interne prese da Erdogan.

Poi con molta sicurezza Ilnur Cevik afferma che «non è un segreto che FETO abbia trovato rifugio in molti paesi europei, con grande sgomento di Ankara. La cosa triste è che i funzionari e i leader degli stati membri dell’UE hanno omesso di applaudire il popolo turco per aver resistito ai carri armati durante il tentativo di colpo di stato e aver sacrificato la loro vita per la democrazia».

Insomma, gli europei non solo non capiscono le misure prese da Erdogan, non solo non hanno gioito quando il (finto) golpe è stato fermato, ma hanno addirittura dato rifugio ai golpisti.

Poi il buon Ilnur Cevik tira fuori il coniglio dal cilindro e passa direttamente all’attacco di Unione Europea e addirittura degli Stati Uniti quando scrive che «il fatto che molti paesi della UE abbiano cercato di dissuadere Ankara dal lanciare un’operazione militare per annientare le Unità di protezione del popolo (YPG) affiliate al PKK nella regione siriana settentrionale di Afrin ha creato sgomento nel pubblico turco. Il fatto che la Turchia abbia scoperto enormi, costose e sofisticate difese in mano al YPG ad Afrin ha creato profondi sospetti in Turchia in merito al fatto che i terroristi del YPG siano stati finanziati da alcuni paesi membri dell’UE e dagli Stati Uniti».

Poi passa direttamente alle minacce quando scrive che «eppure il grande successo di Afrin ha messo Erdogan in una posizione di forza quando si è seduto con i funzionari dell’UE. Adesso vedono il peso politico e militare della Turchia e si rendono conto che questo potrebbe essere un vantaggio tanto quanto può trasformarsi in una seria responsabilità per loro. La Turchia non solo fa guerra ai terroristi, ma ha anche assorbito 3 milioni di rifugiati siriani fuggiti dalla sanguinosa guerra civile nel loro paese. La Turchia è servita da cuscinetto per l’UE per fermare la marea dei rifugiati siriani che volevano raggiungere l’Europa. Devono molto alla Turchia».

In un solo paragrafo si esalta la potenza militare turca, si mette in guardia l’Europa dal non considerarla avvertendo che se gli europei non lo considereranno un vantaggio ci dovranno fare i conti, e infine si tira fuori sfacciatamente il ricatto dei rifugiati siriani.

Ora, se un editoriale del genere fosse uscito in un quotidiano qualsiasi, magari firmato da un giornalista qualsiasi, ci si sarebbe pure potuto anche scherzare sopra. Ma Daily Sabah non è un quotidiano qualsiasi e Ilnur Cevik non è un giornalista qualsiasi. Sono la voce di Erdogan, quella che negli ultimi tempi è stata la più vicina al regime turco, quella che ha giustificato in tutti i modi le centinaia di arresti di cittadini colpevoli di aver criticato Erdogan sui social media arrivando addirittura ad esaltare la durissima repressione nei confronti della dissidenza pacifica al regime di Erdogan.

E se a volte in Europa dovessero pensare che le minacce turche, nemmeno troppo velate, nei confronti dell’Unione Europea fossero solo un mezzo di pressione, sarebbe bene che a Bruxelles ricordino che negli ultimi mesi il dittatore turco alle minacce ha fatto sempre seguire i fatti senza curarsi di niente e di nessuno, nemmeno degli alleati americani che addirittura accusano di connivenza con i “terroristi”.

La pericolosità di Erdogan è palpabile, lo vedremo anche nelle prossime ore dato che il dittatore turco ha promesso di attaccare anche il nord Iraq curdo. Continuare solo a parlare con lui è un affronto a tutti i concetti su cui si basa l’Unione Europea.
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