No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » sab dic 07, 2019 10:18 pm

Niente condanna per Erdogan al CdS dell’Onu
ottobre 12, 2019

https://www.atlanteguerre.it/niente-con ... AeYAEYHHDo

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito a concordare una dichiarazione di condanna dell’operazione militare turca in Siria. Gli europei, che hanno messo in guardia su crisi umanitaria e aiuto indiretto ai militanti dello Stato islamico, sono stati sconfitti.

Durante una sessione d’emergenza a porte chiuse del consiglio infatti – riferiva ieri il Washington Post – sei ambasciatori europei che avevano convocato la riunione nella speranza di presentare un fronte unificato contro la Turchia, volevano una risoluzione di condanna che chiedesse alla Turchia di cessare le sue operazioni militari. Ma nonostante a parole sia Stati Uniti sia Russia abbiano manifestato preoccupazioni per quanto avviene, la montagna non ha partorito nemmeno un topolino e si è chiusa senza risoluzione. Col via libera della Nato è la seconda pugnalata vibrata nella schiena dei curdi dalla diplomazia internazionale.

Tutto ciò mentre le Nazioni Unite continuano a far presente la situazione gravissima in Siria e il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha detto di ritenere una de-escalation “assolutamente essenziale”.

Proseguono intanto la manifestazioni di sostegno ai curdi in tutta Europa, Italia compresa: lunedì prossimo 14 ottobre alle ore 17,30 in Piazza Santi Apostoli, Roma, ci sarà un presidio promosso da CGIL CISL UIL, contro l’offensiva militare della Turchia in Siria. Alle ore 18, sempre lunedi, presidio al consolato di Turchia, via Antonio Canova 36 a Milano.

L’offensiva turca però non si ferma: si stima che 100.000 persone siano fuggite dalle loro case nel nord-est della Siria, secondo le Nazioni Unite, mentre Ankata continua la sua offensiva contro i combattenti curdi nonostante le crescenti critiche internazionali sulla campagna e le preoccupazioni che tutto ciò potrebbe portare alla rinascita dell’ISIS.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » sab dic 07, 2019 10:21 pm

Siria: Putin e Trump fermano Erdogan
23 ottobre 2019

http://piccolenote.ilgiornale.it/42701/ ... RxdN3w5MmE


Vladimir Putin e Recep Erdogan a Sochi hanno trovato uno “storico” accordo sulla Siria, recita l’Agenzia stampa di Ankara Anadolu. Le milizie curde nelle prossime 150 ore dovranno ritirarsi dal confine turco, così da garantire una zona smilitarizzata larga 32 km.

A garantire che tale smilitarizzazione sia duratura, e a evitare infiltrazioni future, saranno pattuglie turche e russe, mentre Damasco dovrebbe riprendere il controllo delle frontiere. Un accordo che pone fine alla campagna militare turca e che dovrebbe essere salutato con sollievo anche da quanti, in Occidente, hanno temuto la mattanza.

Non è andata così, dato che Putin è e deve restare l’orco cattivo, né deve essere rilevata la sua ennesima vittoria diplomatica. Così questo accordo è narrato in una cornice del tutto negativa, come fosse una sventura. Ciò nonostante abbia conseguito l’indubbio risultato di salvare vite.

Non mancheranno spinte per far saltare l’intesa, sia usando l’ambiguità di Erdogan che le variegate infiltrazioni all’interno del magmatico ambito curdo, nel quale si cerca di alimentare malcontento.
L’accordo e le aspirazioni curde

Probabile che i curdi, che aspiravano ad altro, vedano in questo accordo un ammaina bandiera.

Anzitutto rispetto al Rojava, la regione della Siria Nord-orientale che si voleva indipendente, democratica, pluralista, inclusiva e tanto altro. Aspirazione che si pensava acquisita e ora dovrà essere negoziata.

In secondo luogo rispetto allo Stato curdo, che dovrebbe nascere dall’unione tra il Kurdistan iracheno e quello siriano (e iraniano), in combinato disposto con le aspirazioni della minoranza curda in Turchia.

Un’idea vaga ma allo stesso tempo concreta, che pone criticità all’integrità territoriale di Siria, Iraq e Turchia, che temono spinte destabilizzanti, da cui il conseguente contrasto.

Criticità antiche e nuove della regione, che il caos siriano ha alimentato e che nulla hanno a che vedere con l’accordo tra Putin ed Erdogan, che certo non poteva dar via libera alla creazione di uno Stato nazionale curdo o trovare una soluzione al rebus Rojava.

Serviva solo a fermare un mattatoio e a trovare una soluzione all’aggressività di Ankara rispetto al Nord-Est della Siria, come è avvenuto.

Interpellato da Giampaolo Cadalanu sulla Repubblica, Redur Khalil, comandante delle milizie curde dello Ypg, spiega che le forze curde stanno effettuando il ritiro, assestandosi a 32 km dal confine, come da accordi, segno che l’intesa è stata accolta con favore (Cadalanu accenna alla “voce rilassata” del suo interlocutore).

E richiesto di un comunicato delle forze del Pkk, che avrebbero affermato di voler proseguire il combattimento, afferma di non saperne nulla, smentendo di fatto una notizia che indica un pericoloso intorbidimento delle acque, sia sul teatro di guerra che nei media.
La convergenza Trump-Putin e la Primavera araba

Vedremo come evolverà la situazione, nel frattempo non si può non salutare con sollievo la notizia (“ciò che conta è fermare la guerra”, dice infatti Khalil) e dare a Cesare, ovvero Putin, quel che è di Cesare: senza l’intervento dello zar la macelleria era assicurata.

Non solo Putin. A favorire l’accordo è stato Trump che il giorno prima dell’incontro tra il presidente russo ed Erdogan ha fatto dire a Mike Pompeo che era pronto a usare la forza per fermare i turchi.

Dichiarazione che è calata come una mannaia sulle velleità del presidente turco, togliendo ogni spazio di manovra alla sua ambiguità.

Nel dare il via alla campagna militare, infatti, Erdogan era convinto che Trump non avrebbe mai rotto definitivamente con la Turchia, per non consegnarla a Putin; e che quest’ultimo non avrebbe mai difeso le ragioni della Siria fino al punto di contrastare apertamente Ankara, per non consegnarla a sua volta agli Stati Uniti.

Così, alla fine, ha dovuto cedere all’impossibile convergenza parallela che si è creata tra Russia e Stati Uniti. Una convergenza tanto esplicita non avveniva dalla Seconda guerra mondiale, come accennato in altra nota… Rilievo storico che conferisce all’accordo di Sochi una portata altrettanto storica.

A conferma di quanto scritto, il twitt nel quale Trump ha salutato come un “grande successo” l’accordo di Sochi. Plauso che suona come tradimento alle orecchie di quanti hanno alimentato le guerre infinite…

A proposito di storia, un’annotazione conclusiva, che ha a che vedere con la denominazione dell’operazione militare turca: Peace Spring, Primavera di pace.

La Turchia, e la Fratellanza islamica alla quale Erdogan afferisce, ha avuto un ruolo decisivo, in combinato disposto con l’intelligence Usa (oltre che britannica e francese), nella Primavera araba, che dopo aver investito Tunisia, Egitto e Libia (e altri Paesi), ha travolto la Siria nel 2011.

I Fratelli musulmani hanno infatti preso il potere in Tunisia, con Ennahda; in Egitto, con la presidenza Morsi; e hanno avuto un ruolo non secondario nel caos libico e siriano.

Da questo punto di vista, l’Operazione Peace Spring sembrava dover dare nuovo alimento a quella stagione di caos. L’accordo di Sochi potrebbe rappresentare, simbolicamente, l’inizio della fine di quella Primavera d’orrore.




Siria, Trump ha revocato le sanzioni alla Turchia
Mauro Indelicato - Mer, 23/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/gue ... lQUL-Yoldo

Per Trump sono stati sufficienti i primi giorni di cessate il fuoco per togliere le misure imposte contro Ankara il 14 ottobre scorso

Via le sanzioni, via le minacce sull’economia: dalla Casa Bianca verso la Turchia adesso emergono posizioni senza dubbio vocate al miglioramento dei rapporti.

Ad annunciare la nuova posizione su Ankara, è stato lo stesso Donald Trump in una conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca: “La tregua in Siria sta reggendo – ha dichiarato il presidente Usa – Le sanzioni alla Turchia vanno tolte.

“Stamattina – ha poi proseguito Trump – il governo della Turchia ha informato la mia amministrazione che fermeranno combattimenti e offensiva in Siria e renderanno il cessate il fuoco permanente, dunque ho chiesto al segretario al Tesoro di revocare tutte le sanzioni imposte il 14 ottobre in risposta all'offensiva della Turchia”.

Dalla Casa Bianca il tycoon newyorkese ha espresso la sua soddisfazione per come la situazione si è evoluta sul campo nel nord della Siria. Da giovedì scorso l’intensità dei combattimenti risulta calata, da ieri si registrano solo sporadici episodi.

È questa quindi la ragione che ha portato Trump ad imporre fine delle sanzioni. Queste ultime, come ha ricordato lo stesso presidente statunitense, sono state prese il 14 ottobre ma la questione in realtà è iniziata quasi una settimana prima.

Il 9 ottobre infatti, alla viglia dell’attacco sferrato dal presidente turco Erdogan nel nord della Siria per bombardare i curdi, Trump ha inviato una lettera al suo omologo di Ankara esprimendogli il disappunto per un’eventuale soluzione militare e ricordandogli di poter infliggere gravi colpi all’economia del suo paese.

Una lettera giudicata da molti inusuale, sia per i toni che per i contenuti. Questi ultimi sono peraltro sembrati in netta contraddizione rispetto alla precedente posizione di Trump, il quale allontanando le truppe americane dalle regioni a maggioranza curda della Siria qualche giorno ha agevolato i piani di Erdogan di ingresso nel paese confinante.

Un ingresso non certo indolore per i curdi, visto che sono state registrate diverse vittime civili soprattutto a causa delle azioni disdicevoli poste in atto dalle milizie dell’Fsa pagate ed addestrate da Ankara.

La prima svolta era arrivata giovedì, quando nella capitale turca sono piombati il vice presidente Mike Pence ed il Segretario Mike Pompeo. In un primo tempo Erdogan ha detto di non voler incontrare la delegazione inviata da Trump, poi però l’incontro si è avuto pur se con un protocollo molto austero segno di colloqui avvenuti in un clima non esente da tensioni.

Si è giunti però in quell’occasione ad un primo cessate il fuoco: la Turchia ha accettato di sospendere le operazioni militari, in cambio della garanzia del ritiro dei curdi in una fascia a 30 km dal confine.

Poi l’incontro di ieri tra Erdogan e Putin ha meglio delineato il quadro, con Ankara che si è fidata delle garanzie poste in essere dalla Russia e che dunque si è impegnata a rendere permanente il cessate il fuoco.

Una situazione di cui Trump ha quindi preso nota, revocando le sanzioni. Ma il presidente Usa, a proposito di Siria, ha lanciato anche un’altra non meno importante indiscrezione: le sue truppe non andranno per adesso tutte via dal paese, annunciando la permanenza di soldati americani nelle aree petrolifere ad est dell’Eufrate e, in particolare, in quelle della provincia di Deir Ezzor.

Un nodo questo che potrebbe venire a galla nei prossimi mesi: le truppe Usa in questa zona fungono infatti da garanzia per evitare diretti collegamenti terrestri tra Teheran e Damasco.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » sab dic 07, 2019 10:22 pm

Parlamento Ue, Ceccardi indossa t-shirt anti terrorismo e contro la Turchia in Europa
Raffaello Binelli - Mer, 23/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... Ix79vWk3EI

La parlamentare della Lega, Susanna Ceccardi, dall'aula di Strasburgo lancia una maglietta per condannare il terrorismo e dire no alla Turchia in Europa

"Chi continua a volere la Turchia in Europa è complice del terrorismo, è complice di una guerra che nel nome di Allah vuole spazzare via la nostra civiltà occidentale".

Non ha usato mezzi termini Susanna Ceccardi, europarlamentare della Lega, intervenuta nella seduta plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo indossando una t-shirt con una vignetta eloquente.

"Erdogan - ha aggiunto Ceccardi- ricatta l'Europa con i terroristi detenuti nelle galere curdi minacciando di spalancare le frontiere. Lo fa dopo aver incassato i nostri sei miliardi di euro per gli accordi bilaterali in materia di immigrazione. Tutto questo è vergognoso ed inaccettabile. Davanti a tutto ciò, mentre gli Stati Uniti e la Russia agiscono in politica estera da protagonisti a livello internazionale, l'Europa è beffata, silente e immobile. Succube dei suoi stessi aguzzini che affilano beffardi le loro scimitarre. Questo avviene anche a causa della più totale incapacità dell’alto rappresentante per gli affari esteri europeo Federica Mogherini, per la quale, come cittadina italiana, mi scuso. Chiusa nel palazzo, lontana dalla realtà, più volte sollecitata anche con una nota formale da me inviata nei giorni scorsi, Mogherini è rimasta chiusa in un vergognoso silenzio, che offende le nostre coscienze".

Ceccardi ha lanciato anche una campagna di sensibilizzazione tra i militanti e sostenitori del proprio partito con una maglietta, pubblicizzata in anteprima alla manifestazione della Lega in piazza San Giovanni lo scorso 19 ottobre. Nella vignetta riprodotta sulla t-shirt si vede l’Europa, con le sembianze di Susanna Ceccardi, che dà una robusta pedata ad un uomo un terrorista islamico. "Cento anni fa - spiega l’europarlamentare toscana - veniva massacrato il popolo armeno, oggi è la volta del popolo curdo. Ad Istanbul ancora bramano un impero e poco importa se per questo dovrà scorrere sangue di innocenti, come quello di Hevrin Khalaf

Ceccardi punta poi il dito contro la sinistra: "Si accorge forse adesso di una situazione intollerabile. Ma dove era quando noi, anni fa, puntavamo già il dito sulla Turchia? Mentre allora, come oggi, noi difendevamo i confini della nostra terra la sinistra era impegnata a darci dei populisti, dei razzisti, dei reazionari". E puntualizza: "Adesso non bastano più solo le sanzioni, per quanto dure possano essere: è necessario che l’Europa ritrovi la propria dignità ed il proprio orgoglio e dica una volta per tutte che la Turchia ed il suo regime non saranno mai parte dell’Europa, perché l’Europa dei popoli liberi che abbiamo faticosamente costruito non permetterà mai più di abbassare lo sguardo e chiudere gli occhi davanti a chi non rispetta i nostri valori e la nostra libertà".
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » sab dic 07, 2019 10:22 pm

La vita dei cristiani nella Turchia di Erodgan. Perché i turchi sono pericolosi
Franco Londei
Dicembre 7, 2019·

https://www.rightsreporter.org/la-vita- ... mV-6YceD1k


Nonostante il dittatore turco, Recep Tayyip Erdogan, vada dicendo di essere equidistante da ogni tipo di religione e che quindi la Turchia rimane uno Stato laico, come imposto dalla Costituzione, la realtà è decisamente diversa.

Erdogan è la rappresentazione perfetta di un membro della Fratellanza Musulmana. Islamista ortodosso, razzista e contrario alle altre religioni.

E nella sua deriva islamista il rais turco ha trascinato tutto il paese, come conferma una ricerca pubblicata lo scorso anno dall’università Kadir Has di Istanbul da dove emerge che solo l’8,2% dei turchi sarebbe felice di avere un vicino armeno e solo il 10,2% si sentirebbe bene con un vicino greco (ortodosso cristiano).

Anche l’annuale rapporto (2019) della United States Commission on International Religious Freedom (USCIRF) ha confermato che il regime turco continua a discriminare le minoranze religiose, una discriminazione che a volte sfocia in vera e propria violenza come nel caso avvenuto diversi anni fa dell’omicidio del giornalista armeno Hrant Dink o degli omicidi di tre impiegati cristiani (uno tedesco e due turco) della casa editrice Zirve per le loro attività missionarie cristiane, inclusa la distribuzione di copie della Bibbia.

Sono episodi di diversi anni fa ai quali ne sono seguiti tanti altri di minore importanza ma che messi tutti insieme confermano come la Turchia stia seguendo Erdogan nella sua islamizzazione.

Quindi, quando parliamo di Erdogan come una “minaccia islamista” non possiamo non includere anche una buona fetta della popolazione turca che approva l’operato del Sultano e lo sostiene.

Questo non è un fatto di secondaria importanza. Troppo spesso infatti si tende a individuare solo in Erdogan il nemico, quando invece dietro c’è tutto un popolo, o comunque la maggioranza dei turchi.

Non ci vuole molto ad individuare la Turchia di Erdogan come un paese fortemente islamista, basti guardare all’appoggio dato allo Stato Islamico per molto tempo, al fatto che le milizie turche che stanno massacrando i curdi sono composte da ex membri di ISIS e Al Qaeda, o dalla invasiva campagna di proselitismo nei Balcani o dalle mosse strategiche della Turchia in Africa.

Quello che è difficile, almeno per noi occidentali, è capire quello che avviene nel quotidiano turco. I piccoli e grandi episodi di discriminazione verso i cristiani turchi che avvengono ormai a cadenza quotidiana. Sono quelli il vero segno di cosa è diventata in realtà la Turchia di Erdogan.

Un episodio indicativo di questa realtà quotidiana è quello che riguarda l’insegnante Esma BK, indagata lo scorso mese di ottobre per essere cristiana e per portare avanti una attività di proselitismo cristiano.

Esma BK, laureata in teologia, è una insegnante di cultura religiosa in una scuola pubblica nella provincia occidentale di Aydin. L’ufficio del governatore di Aydın ha ammesso che un ispettore stava indagando su di lei a causa di “accuse di attività missionaria cristiana” e che per questo era stata sospesa.

La questione è arrivata addirittura in Parlamento dove Tuma Celik, un membro dell’opposizione, ha presentato una domanda al Ministro dell’istruzione chiedendo perché Esma BK, un funzionario pubblico, fosse stata sospesa. La risposta è stata a dir poco disarmante: “è inaccettabile che una insegnante di cultura religiosa in un paese in cui il 90% delle persone è musulmana non sia essa stessa musulmana”.

Episodi come questi nella Turchia di Erdogan sono ormai quotidiani, quella stessa Turchia che ancora qualcuno vorrebbe portare in Europa.

Noi occidentali ci interessiamo quasi esclusivamente delle grandi questioni geopolitiche che riguardano la Turchia di Erdogan e troppo spesso perdiamo di vista il “quotidiano turco”. Ma è proprio dal quotidiano che si capisce un popolo. Ed è da questa quotidianità che possiamo capire la reale pericolosità della Turchia, non di Erdogan come singolo, ma di tutto il “sistema turco”.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » mar gen 28, 2020 8:21 pm

Perché la Turchia in prospettiva è più pericolosa dell’Iran (anche per Israele)
by Franco Londei
28 gennaio 2020

https://www.rightsreporter.org/perche-t ... 2jEZpT1c1g


La lotta al fondamentalismo islamico rimane (o dovrebbe rimanere) uno dei cardini delle politiche estere e nazionali di ogni democrazia.

Il nazismo islamico è senza dubbio una delle più grandi minacce al mondo libero della storia moderna, anche se non sempre viene percepita come tale, o almeno non da tutti.

Succede infatti che in più di una occasione le cosiddette “democrazie occidentali” siano così attente al business da dimenticare che proprio gli affari con certi regimi islamici finiscano per rafforzarli aumentando il rischio che essi rappresentano per l’occidente.

Se dovessimo chiedere ad un qualsiasi analista (di quelli bravi) di fare una ipotetica classifica dei pericoli derivanti dal fondamentalismo islamico scopriremmo che molti di loro considerano ISIS e Al Qaeda i due pericoli principali per le democrazie occidentali. Poi, a ruota, seguirebbero i talebani e i vari gruppi terroristici collegati a queste due entità come i nigeriani di Boko Haram, i somali di al-Shabaab e via dicendo.

Stranamente in questa classifica non troveremmo gruppi come Hamas ed Hezbollah, forse perché non minacciano l’occidente ma solo Israele. Ma soprattutto non troveremmo i regimi islamici, quelli che per intenderci sono “Stati” ovvero “nazioni islamiche” che secondo moltissimi analisti (sempre quelli bravi) essendo appunto Stati e quindi soggetti alle leggi internazionali, non rappresentano un pericolo né immediato né nel medio-lungo periodo.

Anzi, con una certa sorpresa potremmo scoprire che molti regimi islamici (quali l’Iran) vengono addirittura etichettati come “nemici del terrorismo islamico”. In occasione dell’uccisione del Generale iraniano Qassem Soleimani non sono stati pochi gli analisti che hanno scritto che gli USA avevano ucciso colui che aveva sconfitto ISIS (enorme menzogna) e che combatteva il terrorismo di matrice islamica.

È un po’ paradossale, persino un ossimoro, che si consideri colui che ha rafforzato incredibilmente Hezbollah e che ha creato una infinità di gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente per nome e per conto di un regime nazi-islamico come quello di Teheran, alla stregua di una paladino della lotta all’islam integralista. Eppure è così e francamente non ce lo spieghiamo.

Come è paradossale che nessuno degli “analisti di spessore” non veda la parabola che sta facendo la Turchia di Erdogan verso l’estremismo islamico vicino a ISIS e ad Al Qeda, una parabola che sta portando la Turchia addirittura a sostituire i due gruppi terroristici sia materialmente sul terreno che nei cuori degli estremisti islamici.

Invece il rischio turco è enorme, in prospettiva più grande di quello rappresentato dall’Iran.

Prima di tutto Erdogan, a differenza degli Ayatollah, ha un enorme seguito interno.

Mentre il regime iraniano viene contestato sia dall’interno che dall’esterno (vedi le manifestazioni in Iraq e in Libano), quello turco gode di un grande appoggio interno. I turchi sono con Erdogan e sognano il ritorno dell’impero ottomano.

L’unica carta che hanno gli iraniani è quella del nucleare e dell’uso indiscriminato dei suoi proxy terroristici, per il resto non hanno un esercito competitivo, una marina o una aviazione in grado di preoccupare chicchessia.

Al contrario la Turchia ha un esercito formidabile, una aviazione e una marina che grazie alla appartenenza al Patto Atlantico possono godere di tutte (o quasi) le ultime innovazioni tecnologiche in campo militare.

Mentre gli Ayatollah sono unicamente concentrati sulla guerra a Israele, Erdogan ha messo in piedi una politica espansiva molto più complessa che coinvolge non solo il Medio Oriente ma anche l’Africa e l’Europa e non è concentrata unicamente sul fattore militare ma anche su quello meramente politico-religioso. L’inganno della Fratellanza Musulmana portato ai massimi livelli.

E se qualcuno, specie tra i filo-israeliani, pensasse che il pericolo per Israele sia rappresentato solo dall’Iran si sbaglia di grosso. Mentre gli Ayatollah lavorano praticamente apertamente contro Israele, Erdogan lavora più subdolamente, lavora “ai fianchi”.

Ieri ISIS ha annunciato “una nuova fase” dove l’obiettivo principale sarà lo Stato Ebraico. Pensate che sia un caso? Pensate che sia un caso che il nuovo capo di ISIS sia un turkmeno con molti agganci in Turchia?

Nelle prossime settimane avremo modo di vedere come si muoverà la Turchia su due grandi ed importantissimi temi che riguardano molto da vicino Israele: l’accordo di pace americano per il Medio Oriente e, soprattutto, lo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo, compreso il progetto di costruire un gasdotto che porti il gas israeliano direttamente in Europa.

Sarà quello il banco di prova che dimostrerà agli “analisti bravi” tutta la pericolosità di Erdogan e del suo piano sul califfato ottomano. E speriamo che qualcuno apra finalmente gli occhi.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:51 pm

9/ Le radici ottomane della Turchia di Erdoğan
Federico Donelli
https://doi.org/10.4000/diacronie.2545
https://journals.openedition.org/diacronie/2545


1. Introduzione
2. La vittoria di Özal e l’emergere della sintesi turco-islamica
3. L’ottomanismo alla base della nuova identità turca
4. L’ozalismo e il riavvicinamento alle province ottomane
5. La vittoria dell’AKP e dell’islamismo moderato
6. Il richiamo al passato ottomano della “profondità strategica” di Davutoğlu
7. Conclusione



Testo integrale

1Il Medio Oriente si presenta oggi come una regione sempre più confusa ed instabile, attraversata da eventi rivoluzionari (la cui direzione è ancora indecifrabile) in cui si scontrano, come già accaduto in passato, istanze modernizzatrici e forti richiami alla tradizione islamica.

2La crisi finanziaria che negli ultimi anni ha colpito le principali economie occidentali, portandole ad una contrazione della propria presenza nella regione, ha favorito l’emergere di nuovi attori nel contesto geopolitico mediorientale: tra questi spicca una Turchia sempre più desiderosa di recuperare il proprio ruolo di potenza.

3Proponendosi al mondo musulmano come modello di democrazia, la Turchia prova a scalfire definitivamente la diffidenza del mondo arabo che la percepisce ancora come l’erede del dispotismo caratteristico dell’Impero ottomano.

4Centrale in questo processo è la politica estera turca che, dopo anni di cauto isolamento, ha trovato le proprie linee guida nella dottrina geopolitica di Ahmet Davutoğlu, conosciuta come “profondità strategica”.

5Una dottrina generata e successivamente applicata in un contesto caratterizzato dal Neo-ottomanesimo ovvero dal richiamo all’ideologia politica ottocentesca conosciuta come ottomanismo.

1 Il termine venne proposto da un noto scrittore e giornalista turco Cengiz Çandar, il quale vedeva l (...)

6Il neo-ottomanesimo, tuttavia, non può considerarsi semplice ideologia, ma piuttosto un generale modo di vivere e pensare la Turchia moderna del presente e del futuro richiamandosi ad un passato glorioso ed ambizioso, ritenuto per decenni scomodo e perdente. Il neo-ottomanesimo, nondimeno, è un termine ancora poco accettato ed utilizzato dall’establishment politico turco che ufficialmente non riconosce le proprie politiche come tali nel timore che ciò possa suscitare richiami errati ad un periodo di neo-imperialismo1.

7Questo termine, infatti, introdotto alla metà degli anni Ottanta per definire le crescenti ambizioni geo-politiche della nuova Turchia – avvalorate dal recupero dell’eredità ottomana – si presenta ancora come un fenomeno eminentemente accademico e giornalistico.

8Il seguente lavoro si propone di analizzare e comprendere gli sviluppi di questa idea non solamente politica ma anche sociale e civica, cercando di coglierne gli elementi fondativi e, al contempo, di provare a capire dove affonda le proprie radici, pur mantenendo una visione costantemente proiettata sul presente e sui possibili sviluppi futuri.

9Nella prima parte verrà analizzato il periodo fondativo del neo-ottomanesimo: gli anni caratterizzati dalla figura di Turgut Özal (1983-1989) e dal sorgere di un sentimento riformatore che segnò un primo, seppur non radicale, distacco dalla politica e dall’identità kemalista favorendo la graduale politicizzazione dell’Islam promossa dalla sintesi turco-islamica.

10La seconda parte del lavoro, invece, si soffermerà sull’ascesa e la definitiva affermazione del Neo-ottomanesimo come idea guida – sia in politica interna, sia in politica estera – sotto l’egida di un partito islamico moderato come l’AKP guidato dall’influente figura del Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan.

11Proprio il governo dell’AKP, in carica dal 2002, rappresenta oggi ed in prospettiva la miglior concretizzazione del neo-ottomanesimo dove l’islamismo incontra la democrazia e il progresso ma anche la storia, il passato ed un’identità che sembrava dimenticata.

2 Le “sei frecce sono sei parole (nazionalismo, populismo, repubblicanesimo, statalismo, laicismo, ri (...)

12L’avvento nel mondo politico turco di Turgot Özal nel 1983 rappresentò l’inizio della rottura con il passato e con la politica dei primi sessant’anni della Repubblica, che era stata improntata sui valori kemalisti ben espressi nel cosiddetto “lungo discorso” di Atatürk all’Assemblea Generale nel 1927 e successivamente ripresi nelle famose “sei frecce”2 programmatiche del 1931.

3 “Partito della Madrepatria”.
4 “Partito dei Lavoratori del Kurdistan”.
5 BOZARSLAN, Hamit, La Turchia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 84.

13Özal, chiamato inizialmente (1979) a risanare l’economia del Paese nella veste di superministro delle finanze, vinse inaspettatamente le elezioni del 1983 alla guida del Anavatan Partisi (ANAP)3. Le elezioni ebbero una grande rilevanza perché furono le prime dopo il colpo di Stato militare del 1980 e la successiva promulgazione della Costituzione (1982) che, seppur con diverse modifiche, è tuttora vigente. La Turchia stava uscendo da un decennio doloroso, caratterizzato da violenti scontri interni tra forze estreme di destra e di sinistra a cui si aggiunse, tra il 1977 e il 1980, l’emegere della guerriglia armata ad opera del PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan4)5.

6 Il clima di tensione crebbe ulteriormente pochi giorni prima dell’intervento militare quando nella (...)

14Le elezioni si svolsero in un clima di generale clima interno di inquietudine ed estremizzazione delle posizioni, dovuto anche all’onda lunga della rivoluzione khomeinista (1979), che influenzò piccoli gruppi radicali turchi allarmando l’esercito garante della laicità dello Stato6.

15L’ascesa di Özal risulterà decisiva per l’avvio di quel cambiamento che nel giro di dieci anni spingerà la Turchia verso una sempre più decisa trasformazione, tanto in politica interna, quanto in politica estera, in cui centrale risultò essere la progressiva riabilitazione dell’Islam sia nella sfera privata dei cittadini che in quella pubblica.

16Un processo che, dopo un breve stallo negli anni Novanta, conoscerà le sue tappe più significative nel nuovo millennio sotto la guida di Recep Tayyip Erdoğan e del AKP.

17Determinanti per il successo di Özal furono diversi fattori, interni ed esterni alla Turchia, come il profondo e preoccupante isolamento dovuto alla crisi cipriota (1974) a cui fece seguito il congelamento dei rapporti con l’alleato americano e con l’Europa.

7 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, London, I. B. Tauris, 1993, p. 324.

18L’isolamento diplomatico aggravò ulteriormente la già precaria situazione economica del Paese, che nel corso del decennio precedente aveva dovuto fronteggiare un’esorbitante inflazione, la quale, in continuo aumento, nel 1979 raggiunse lo straordinario tasso del 90%7.

8 Ibidem, p. 342.
9 Vennero sciolti anche tutti i Consigli Municipali, circa 1.700, e destituiti tutti i sindaci.

19Politicamente, invece, fu determinante il golpe militare del 1980 che, deposto il governo, sospese tutti i partiti politici e arrestò i loro leader storici (Demirel, Ecevit, Erbakan)8. L’intento della giunta militare fu di attuare cambiamenti radicali all’intero sistema politico turco9. Altrettanto decisiva, quindi, risultò la legittimazione ricevuta da Özal per mano della giunta militare, che lo considerava un politico conservatore, le cui idee avrebbero rafforzato i principi alla base del nazionalismo turco-kemalista.

10 NOCERA Lea, La Turchia contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo dell’Akp, Roma, Carocci (...)

20Un ulteriore fattore decisivo fu la figura stessa di Özal. Egli era un uomo d’affari, fervente ammiratore degli Stati Uniti – dove aveva studiato – e del liberalismo, a cui abbinava una formazione politica fortemente religiosa (era stato candidato del partito islamico)10. L’immagine politica di Turgut Özal rappresentò un elemento di novità: si presentò con tratti considerati ambivalenti in un contesto, come quello turco, in cui si era soliti considerare un esponente politico in quanto modernista laico oppure tradizionalista religioso.

11 Il FMI, così come OCSE e la Banca mondiale, vincolarono il prestito alla Turchia (1,8 miliardi di d (...)

21Altrettanto importante, infine, fu il modo di porsi di Özal nei confronti della giunta militare, che lo considerava come un fattore fondamentale ai fini della ripresa economica. La collaborazione con loro avrebbe infatti garantito la stabilità del Paese, necessaria per attuare le riforme ritenute fondamentali per la ripresa dell’economia e per sbloccare nuovi fondi provenienti dal Fondo Monetario Internazionale11.

12 OZZANO, Luca, «L’AKP: islamocrazia come modello?», in Aspenia, 16, 52, 2011, pp. 136-142.

22L’ANAP vinse le elezioni (45,15%) presentandosi come una sintesi dei quattro principali orientamenti politici turchi degli anni Settanta (destra, sinistra, integralismo islamico, destra radicale). Queste forze, tenute insieme dall’energica personalità di Özal, ottennero consensi e seguito soprattutto presso le classi medie, che avrebbero goduto delle politiche economiche messe in atto dal nuovo governo12.

13 Sull’importanza degli ordini sufi si veda: YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, New (...)

23A godere maggiormente delle riforme, infatti, fu una nuova classe media non legata direttamente ad Istanbul ma piuttosto alle province anatoliche e, come tale, meno vicina all’establishment kemalista ma più alla tradizione religiosa e mistica delle confraternite sufi a cui sia Özal che Erdoğan appartenevano13. Partendo da questi presupposti si mise in moto un meccanismo che risulterà decisivo nei primi anni del secondo millennio per l’ascesa dell’AKP e la definitiva affermazione dell’Islam politico.

14 Un processo simile venne intrapreso negli anni settanta in Egitto da Sadat che favorì il diffonders (...)
15 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 217.

24Le aperture liberali volute da Özal e la graduale rivalutazione del valore islamico della società turca promossa dalla giunta militare, che la considerò un valido argine alle derive rivoluzionarie dei movimenti di sinistra14, contribuirono ad incentivare l’elaborazione di una cultura autonoma rispetto al Kemalismo e una sua progressiva politicizzazione15.

16 “Focolare degli intellettuali”.
17 KURT, Umit, «The Doctrine of Turkish-Islamic Synthesis as official Ideology of the September 12 and (...)
18 TOPRAK, Binnaz, Religion as State Ideology in a Secular Setting: The Turkish-Islamic Synthesis, in (...)

25Formulata da un gruppo di intellettuali e professori universitari, conosciuti come Aydınlar Ocağı16, la sintesi turco-islamica verteva sull’idea che la cultura islamica fosse un complemento morale necessario al rafforzamento dei valori d’ordine incarnati nel nazionalismo turco17. Elemento caratteristico della politica della giunta militare, infatti, fu l’adozione come parte integrante della propria ideologia della sintesi turco-islamica (Türk-İslam Sentezi), la quale contribuì a temperare il pensiero islamista e a tessere uno stretto legame tra i militari e l’ANAP guidato da Özal18.

19 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 112.
20 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», in Carnegie P (...)
21 “Direzione per gli Affari religiosi”. Il Diyanet è un organo governativo tuttora esistente che ha t (...)

26Le riforme economiche – contrassegnate dell’apertura al mercato globale –, portarono sulla scena culturale turca una nuova classe di moderni intellettuali islamici. Questi, provenienti dalla borghesia religiosa, introdussero nel contesto turco pratiche di consumo e comunicazione tipiche dell’Occidente, adattandovi il proprio messaggio culturale e religioso19. Iniziò, quindi, ad essere eroso quel principio di laicità (laiklik), voluto da Kemal Atatürk ed ispirato alla laïcité francese, in cui il secolarismo appariva ancora ad uno stadio ibrido, ossia dove elementi rintracciabili nell’anticlericalismo francese si coniugavano ad influenze direttamente riconducibili all’Impero ottomano20. In particolare, rispetto al laicismo francese, in cui lo Stato rimane neutro e si disinteressa delle vicende religiose, la Repubblica kemalista, come già avvenuto durante gli ultimi anni di vita dell’Impero, puntò a controllare la sfera religiosa attraverso l’istituzione del Diyanet İşleri Müdürlüğü21.

27L’ Islam così acquisì nuovi spazi di espressione, cessando di essere rinchiuso nella sola sfera del privato ed assumendo una valenza identitaria collettiva, che non rinnega la modernità ma sperimenta e professa un nuovo modo di vivere, distante da quello kemalista, in cui centrali sono l’etica islamica e il recupero del proprio passato ottomano a lungo rinnegato.

28Per portare avanti le proprie politiche, Özal avvertì subito la necessità di una nuova definizione dell’identità turca che andasse a sostituire quella kemalista, ormai non più adatta a interpretare i cambiamenti sociali e globali del Paese.

29Per Kemal l’identità turca era definita dalla koinè linguistica e territoriale rigettando, sotto l’influenza del modello francese, il multi-culturalismo che aveva rappresentato uno dei principali pilastri dell’Impero ottomano.

22 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 5.
23 BOZARSLAN, Hamit, La Turchia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 84-87.

30Il forte nazionalismo assimilazionista promosso dal Kemalismo (Atatürkçülük), tuttavia, aveva portato a discriminazioni etniche maggiori di quelle possibili sotto l’Impero ottomano, dove la coabitazione culturale, confessionale ed etnica rappresentò per secoli un carattere peculiare22. L’impostazione kemalista, quindi, portò alla rottura con la comunità curda; rottura che provocherà una delle più delicate e sanguinose questioni interne della politica repubblicana23.

24 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», in USAK Yearbook of Intern (...)
25 Sull’argomento si veda: MANSFIELD, Peter, A History of Middle East, London, Penguin, 1991, pp. 71-9 (...)
26 DEMİRAG, Yelda, «Pan-Ideologies in the Ottoman Empire against the West: From Pan-Ottomanism to Pan- (...)

31Özal era conscio che la Turchia necessitasse un nuovo riconoscimento (dal punto di vista costituzionale e pubblico) delle molte realtà presenti all’interno del Paese. I diversi caratteri etnici, culturali, religiosi, linguistici e politici erano considerati da Özal come valori da comprendere in una nuova identità nazionale24, in grado di assumere un carattere inclusivo più ottomano che turco. Un’identità che avrebbe dovuto ricalcare alcuni dei principali tratti di quella elaborata nel XIX secolo, durante la stagione delle riforme Tanzimat (1839-1876)25, dall’élite burocratica a capo del processo di modernizzazione dell’Impero: l’ottomanismo (in turco Osmanlilik)26.

32Tale ideologia derivava da uno dei principi cardine del processo di Tanzimat, ovvero l’idea che tutti i cittadini dovessero godere dello stesso status all’interno dell’Impero. Nonostante questo fosse un concetto puramente formale, che trovò piena applicazione nella legge sulla cittadinanza ottomana approvata nel 1869, una volta sommato alle riforme istituzionali portate avanti in quegli anni, iniziò a costituire una prima embrionale elaborazione identitaria che prescindeva dalle singole appartenenze religiose ed etniche.

33Paradossalmente fu proprio questo fallito tentativo di dare vita ad un moderno concetto di cittadinanza che, ponendo i sudditi dell’Impero sullo stesso piano – senza più distinzioni etniche e confessionali –, si rivelò essere uno dei principali fattori che determinarono il crollo ottomano.

27 DEL ZANNA, Giorgio, I cristiani e il Medio Oriente (1798-1924), Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 78-79 (...)

34L’ottomanismo, infatti, intaccò il sistema amministrativo e organizzativo dei millet, che fino a quel momento avevano rappresentato la migliore espressione della tolleranza religiosa ottomana, figlia della “pragmatica” convinzione che l’accettazione delle differenze (etniche e religiose) fosse necessaria per la sopravvivenza di una realtà pluriconfessionale come l’Impero27.

35A crollare, prima ancora che l’Impero, fu la coabitazione, intesa come convivenza pacifica di una molteplicità di identità, che per secoli aveva costituito l’asse portante della società ottomana.

36Una più attenta analisi dell’ottomanismo evidenzia come sia possibile riscontrare una sua evoluzione in tre differenti stadi tra il (1856) e il (1882), inevitabilmente legati e influenzati da precise contingenze storiche ma, allo stesso tempo, accomunati dalla volontà di arrestare il declino dell’Impero.

37La prima fase (1856) definibile come ottomanismo “liberale” fu caratterizzata dalle idee di diversi esponenti della Sublime Porta, su tutti i Gran Vizir Alì Pascià e Fuad Pascià, volte alla promozione di una nuova idea di cittadinanza come unione delle diverse etnie dell’Impero (Ittihad-i Ansar).

28 Sull’argomento si veda: MARDIN, Serif, The Genesis of Young Ottoman Thought: A Study in the Moderni (...)

38La seconda fase, invece, vide protagoniste le idee elaborate e promosse dal gruppo di intellettuali riformatori conosciuti come Giovani Ottomani (1865-1878). Essi furono i primi a tentare una mediazione tra le idee di stampo europeo (liberalismo, costituzionalismo) con la specificità islamica dell’Impero e della sua popolazione e coniarono un’idea di unione di elementi ispirata alla comunità islamica (Ittihad-i Islam) che consideravano nella sua forma originaria come un embrione di democrazia28.

29 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., pp. 96-97.
30 Per un’attenta analisi sul mutamento simbolico ed iconografico che interessò la figura del Sultano (...)

39La terza fase dell’ottomanesimo, infine, fu quella delineata dal Sultano Abdülhamit II (1876-1909) il quale, a causa delle ingenti perdite subite in termini territoriali e di popolazione nel 1878 a seguito del Trattato di Berlino, accentuò il carattere islamico dell’Impero e della sua autorità29. Il Sultano, infatti, per legittimare il proprio ruolo diede vita ad una forma di pan-islamismo in chiave difensiva, volto principalmente a compattare la comunità ottomana intorno ai simboli della tradizione islamica (Califfo, califfato)30.

40Nonostante i suoi sviluppi l’ottomanismo fallì nel suo compito più arduo ovvero il contrasto delle molte forze centrifughe interne che indebolirono l’Impero ottomano rendendolo facile preda delle mire imperialiste europee.

41Il richiamo di Özal all’ottomanismo, oltre all’aspetto identitario, si legava anche alla propria ammirazione nei confronti degli Stati Uniti, che considerava un modello ideale per la moderna Turchia.

42Özal riteneva che i due Paesi avessero avuto in passato una struttura politica molto simile, che aveva consentito a culture differenti di coesistere in modo libero e pacifico salvaguardando le proprie preferenze religiose.

43Un altro elemento – che non poteva più essere sottovalutato dal governo turco – era la presenza di un gran numero di migranti provenienti da regioni vicine (Medio Oriente) e lontane (Asia Centrale), riproposizione di quanto già successo nell’Impero ottomano. La rilevanza della Turchia in quanto polo attrattivo per le popolazioni dell’area, infatti, aveva portato all’annessione di varie etnie profondamente diverse tra loro. Le molte etnie furono assimilate con la forza all’identità turca poiché gli fu impedita qualsiasi forma di rappresentanza politica e comunitaria. Ciò non impedì la loro crescita progressiva, che trovò negli anni Ottanta sbocco in vari gruppi di pressione la cui influenza non poteva essere ignorata ancora a lungo.

31 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», cit., pp. pp. 153-205.

44Özal si accorse di questo ulteriore importante cambiamento maturando la convinzione che le esigenze delle molteplici etnie e dei relativi gruppi di pressione dovessero trovare risposte nelle politiche del Paese. Una considerazione che diventerà determinante nella nuova linea di politica estera impostata da Özal, tendente al recupero sempre maggiore delle relazioni con i Paesi vicini e le ex-province ottomane31. La Turchia non poteva più disinteressarsi di ciò che stava avvenendo oltre i propri confini: una politica più attiva era espressamente richiesta dai molti gruppi di pressione etnici.

32 Ibidem.
33 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 11.

45L’idea di società “turca” di Özal era molto diversa da quella professata da Atatürk il quale considerava come possibile minaccia tutto ciò che era esterno all’Anatolia32. Il “turchismo” di Özal era in realtà un concetto fortemente culturale, che non intendeva scontrarsi con le etnie minoritarie del Paese, ma mirava piuttosto ad un loro assorbimento nel più ampio concetto di “turchi” o, più precisamente, sotto quello di ottomani. Se Kemal aveva sognato una società secolarizzata e occidentalizzata con un suo posto in Europa, Özal voleva dar vita ad una società democratica, musulmana, liberale e capitalista racchiusa all’interno di un sistema statale che fosse multiculturale, multilinguistico e multireligioso33.

34 NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit.

46Il neo-ottomanesimo – definito in questa fase “ozalismo” – emerse nella politica estera turca come decisa reazione alla politica isolazionista voluta dal Kemalismo e dalla ferma convinzione che la Repubblica di Turchia potesse tornare a svolgere un importante ruolo di potenza sia a livello regionale che globale. Un’impostazione che per Özal fu anche un obbligo dettato dall’isolamento e dalle pessime condizioni economiche in cui versava la Turchia. I primi anni sotto la sua guida, pertanto, furono caratterizzati dal tentativo di reinserire la Turchia nel contesto internazionale, viste le tensioni sia con l’Europa che con gli Stati Uniti34.

35 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», cit.
36 La bilancia commerciale, quindi, necessitava di trovare un equilibrio tra import ed export e questo (...)

47La politica estera di Özal divenne sempre più funzionale alla protezione degli interessi economici turchi nel mondo; se prima le relazioni internazionali seguivano logiche strategiche, con Özal iniziarono ad essere determinate dagli interessi economici35. Özal cercò lentamente di recuperare i rapporti sia con gli Stati Uniti che con l’Europa, ma allo stesso tempo iniziò a considerare nuovi partner aprendo il Paese a relazioni sempre maggiori con gli altri Stati della regione. Si verificò un deciso incremento nei rapporti con i Paesi dei Balcani, del Mar Nero e soprattutto del Medio Oriente, anche in virtù dell’aumento della domanda di petrolio turca, dovuta alla rapida ripresa economica36.

37 La prima sede in Turchia venne ufficialmente aperta nel 1976.

48Un altro segnale forte del mutato approccio turco fu il cambio di politica sulla questione israelo-palestinese con l’appoggio sempre maggiore fornito all’OLP37, che per anni era stato osteggiato a causa dei suoi legami con il gruppo di guerriglia armeno ASALA.

38 HALLIDAY, Fred, The Middle East in International Relations. Power, Politics and Ideology, Cambridge (...)
39 Ibidem.

49Nella nuova politica estera turca, tuttavia, giocarono un ruolo decisivo anche fattori esterni, determinati da quel continuo intreccio tra globale e regionale che caratterizzò gli anni della guerra fredda: su tutti la rivoluzione iraniana e l’ingresso delle truppe sovietiche in Afghanistan, che portarono ad un nuovo avvicinamento con gli Stati Uniti38. A differenza del Kemalismo che la considerava come una possibile minaccia, Özal vedeva l’avvicinamento e l’integrazione all’Occidente come funzionale alla sicurezza, anche interna, della Turchia. Per questo motivo, le azioni in politica estera intraprese dalla Turchia furono sempre più legate alle scelte di Washington39.

40 Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan. La Turchia fu il primo Paese a ric (...)
41 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., p. 397.

50Negli anni successivi Ankara dimostrò una grande capacità di sfruttare a proprio vantaggio i molti cambiamenti degli assetti geopolitici regionali e globali; ne fu un esempio la capacità, nei primi anni Novanta, di crearsi un proprio spazio di manovra, comunque su incoraggiamento degli Stati Uniti, nelle ex-Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale, approfittando della contrazione territoriale e politica della Russia. Il crollo dell’Unione Sovietica e la nascita di cinque repubbliche “turcomanne”40 suscitarono reazioni euforiche presso l’opinione pubblica turca, tanto che Özal salutò l’evento dichiarando la nascita di un «nuovo secolo turcomanno»41.

51Özal inserì un altro importante elemento di novità nella politica estera turca: l’aspetto culturale, che ha sempre giocato nell’ideologia neo-ottomana un ruolo di primo piano e che spinse Özal prima e l’AKP poi, ad avvicinarsi sempre più ai territori delle ex-province ottomane.

52Anticipando quella che sarebbe stata una prerogativa della politica estera di Davutoğlu, Özal introdusse nelle relazioni con le ex-province ottomane il sempre maggiore utilizzo del “soft power”; tuttavia, a differenza di quanto sarà poi fatto dall’AKP, Özal non poté godere di ampi margini di manovra a causa di un’economia non ancora abbastanza forte e affidabile.

42 NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit.; TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: betwee (...)

53Özal, quindi, ebbe il merito di emancipare concetti come “islamismo” e “ottomanismo”, ritenuti per anni dai kemalisti pericolosi per la Turchia, facendoli diventare valori e punti di contatto su cui costruire nuove relazioni. Argomenti che saranno successivamente fatti propri e approfonditi dall’AKP42.

43 “Partito della Giustizia e dello Sviluppo”.

54L’avvento al potere dell’Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP)43 alle elezioni del novembre 2002, ha rappresentato il decisivo punto di rottura della politica turca rispetto al passato.

44 “Vista Nazionale”.

55La specificità del caso turco risiede proprio nella capacità di produrre un partito di governo che pur affondando le proprie radici nella tradizione islamica – il movimento Milli Gorus44 di Necmettin Erbakanh – ha saputo coniugare l’Islam al libero mercato e a cospicue aperture nei confronti dell’Occidente, in particolare dell’Unione Europea.

45 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., pp. 370-371. Sull’argomento si veda: HALE, Willi (...)

56Solamente dando vita ad un movimento politico più maturo e meno vulnerabile agli attacchi dei militari e della magistratura, si sarebbe potuto rafforzare il ruolo politico dell’Islam all’interno delle strutture di una democrazia laica quale quella turca45.

57Erdoğan e Gül, infatti, partendo dall’esperienza di governo di Erbakan tra il 1995 e il 1997, compresero l’importanza di dare vita ad una formazione politica ibrida in cui le radici islamiche si incontravano con i tradizionali valori del nazionalismo e con la ferma ambizione di avvicinarsi ulteriormente al mondo occidentale ed in particolare all’Unione Europea.

58La capacità dei due leader del AKP, l’attuale Presidente Gül e il Premier Erdoğan, è stata quella di sancire uno strappo non solo con il Kemalismo ma anche con il vecchio islamismo politico attraverso un rapido processo di maturazione e temperamento, favorito da dinamiche endogene ed esogene.

46 Primo Ministro dal 1950 al colpo di Stato del 1960; dopo essere stato deposto dai militari, venne g (...)

59Erdoğan, tuttavia, ebbe il merito e il coraggio di richiamarsi ad un passato politico considerato scomodo dalla giunta militare e dall’élite kemalista. Egli fu, infatti, il primo ed unico leader politico turco ad identificarsi con lo spirito politico che avevano avuto in precedenza Ertekin Menderes46 – Primo Ministro negli anni Cinquanta – e Özal negli anni Ottanta. Come loro, anche lui ereditava un Paese in profonda crisi, economica e politica e, come loro, si proponeva di guidarlo attraverso una difficile transizione verso nuovi equilibri democratico istituzionali.

47 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 257.

60Risulta quindi corretto considerare la vittoria dell’AKP nel 2002 non come un “terremoto politico” ma, piuttosto, come un processo avviato dalla volontà di restaurare qualcosa che già era esistito in passato47.

48 Sull’argomento si veda: HALE, William, ÖZBUDUN, Ergun, Islamism, Democracy and Liberalism in Turkey (...)
49 OZZANO, Luca, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., pp. 137-1 (...)

61A ciò l’AKP ha saputo però conciliare caratteri moderni, presentandosi come piattaforma “democratica conservatrice”48 in grado di rispondere pienamente alle esigenze del nuovo ceto imprenditoriale sviluppatosi nelle province anatoliche grazie alle politiche economiche avviate dal governo Özal, le cosiddette Tigri anatoliche. Una nuova borghesia che vede nell’Europa e nella democrazia non frutti avvelenati della colonizzazione e dell’imperialismo occidentale, bensì occasione per l’acquisizione di maggiori libertà in diversi ambiti, compreso quello religioso49.

62L’ascesa di un partito di chiara origine islamica, per quanto moderato, ha inoltre contribuito all’erosione del potere detenuto dai militari. L’esercito, in Turchia, ha legittimato fin dal primo golpe repubblicano (1960) il proprio ruolo di garante ed interprete dei valori e dei principi kemalisti, giustificando e rafforzando tale ruolo ipotizzando possibili minacce interne al Paese.

50 BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, cit., pp. 66-67.

63Un ruolo, quello dei militari, riconosciuto costituzionalmente nella veste del Consiglio di Sicurezza nazionale, organo costituzionale anomalo con a capo i vertici delle forze armate, ufficialmente incaricato di occuparsi della sicurezza nazionale50.

64Per anni i principali pericoli all’unità nazionale sono stati identificati con le rivendicazioni separatiste curde e con l’Islam politico in quanto promotore di uno Stato islamico.

65La progressiva riabilitazione dell’Islam nella sfera pubblica e in quella politica turca ha gradualmente disinnescato la minaccia rappresentata dall’islamismo radicale e, al tempo stesso, promosso una possibile, seppur improbabile, soluzione alla questione curda, rappresentata dall’idea di identità multietnica che integra, invece di assimilare come quella kemalista, le diversità etniche.

66Questi sviluppi hanno segnato il progressivo, seppur lento, calo di popolarità dell’esercito, accompagnato da una generale disaffezione popolare nei confronti dello stesso mito kemalista. Una disaffezione seguita da due pesanti sconfitte politiche incassate dai militari.

67La prima è avvenuta con l’ascesa del AKP al ruolo di partito di governo: il risultato più eclatante è rappresentato dall’elezione alla carica di Presidente di Abdullah Gül, primo Presidente islamico della Repubblica. La seconda si è verificata con il fallimento del “comunicato di mezzanotte” del 2007; i militari sperimentarono un metodo comunicativo diverso, non più una diretta minaccia al governo – come avvenuto nel febbraio del 1997 nei confronti del governo a guida Erbakan – ma, piuttosto, un invito a mobilitare l’opinione pubblica facendo un ampio uso del mezzo di comunicazione più diretto e moderno: il web.

51 BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, cit., pp. 83-85; NOCERA, Lea, La Turch (...)
52 DOGAN, Ali Kemal, «L’AKP et l’évolution de la laïcité en Turquie», cit.

68Il comunicato di mezzanotte risultò l’ultimo tentativo da parte dell’esercito di intromettersi negli affari politici ed istituzionali del Paese51, segnando anche una decisiva svolta nelle politiche promosse dall’AKP che, a partire da quello stesso anno, acquisirono un carattere più marcatamente islamico52.

69Gli effetti principali di questo mutamento di prospettiva si sono avuti in politica estera, con il progressivo allontanamento da partner storici come l’Unione Europea e Israele, e in politica interna, dove, attraverso il processo di introduzione della propria élite nei diversi apparati amministrativi statali (educazione, economia, informazione, affari religiosi), l’AKP ha potuto portare avanti la trasformazione dell’intera società civile turca.

53 OZZANO, Luca, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 138. P (...)

70Nei suoi primi anni di governo, invece, l’AKP ha saputo utilizzare la spinta, anche popolare, all’adesione all’Unione Europea sia per fugare dubbi e timori occidentali di derive islamiche, sia per accelerare le riforme interne al Paese. Proprio le misure conosciute come “pacchetti di armonizzazione” rispetto alle norme comunitarie hanno liberalizzato ulteriormente l’economia, andando ad intaccare il controllo diretto statale e la politica, limitando ulteriormente l’influenza dei militari53.

54 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 257.

71Il voto elettorale in favore dell’AKP, pertanto, deve essere letto come volontà da parte della società civile di legittimare un nuovo attore avente mandato “implicito” di ristrutturare il confine tra Stato e società54.

72Le decisioni prese in questi anni dall’AKP sono confortate da un largo consenso da parte di una popolazione a cui non sembra vero di essere riuscita a trovare in un decennio la definitiva stabilità politica oltre ad una impressionante ed inaspettata crescita economica (9,2% nel 2011) che ha portato la Turchia al sedicesimo posto tra le economie mondiali.

73Va quindi evidenziato come il fattore decisivo per il successo del disegno politico proposto dall’AKP sia stato il contesto globale. In particolare i trend economici dell’ultimo decennio si sono dimostrati favorevoli ai Paesi in via di sviluppo, che nel giro di pochi anni hanno saputo lanciarsi nel mercato globale.

74Il successo in ambito economico ha aiutato a mantenere gli ottimi rapporti con la borghesia economica e religiosa ma ha anche permesso allo Stato una lunga serie di interventi volti al miglioramento delle condizioni di vita delle fasce più povere della società, disinnescando elementi potenzialmente destabilizzanti per l’equilibrio sociale turco.

55 DAVUTOGLU, Ahmet, «Turkey’s New Foreign Policy Vision», in Insight Turkey, 10, 1/2008, pp. 77-96.

75La posizione della Turchia durante gli anni di guerra fredda era comunemente associata a quella di un Paese di frontiera, nozione che è cominciata a mutare nel 1990 con la fine del mondo bipolare ed è divenuta quella attuale di Paese ponte55. Una definizione che, nonostante appaia troppo abusata, rispecchia bene il ruolo di collegamento tra Occidente e Oriente svolto dalla Turchia e che richiama il ruolo in passato ricoperto dall’Impero ottomano.

56 Il testo di Davutoğlu è DAVUTOGLU, Ahmet, Stratejik derinlik: Türkiye’nin uluslararası konumu, Ista (...)

76Con l’ascesa dell’AKP, la centralità geopolitica della Turchia ha iniziato a svilupparsi definendo nuovi indirizzi in politica estera, caratterizzati da una crescente e legittima autonomia. Determinante è stata l’influenza di Ahmet Davutoğlu, ministro degli esteri dal 2009 ma da sempre vicino ad Erdoğan, e della sua dottrina della “profondità strategica”56.

57 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., pp. 14- (...)

77Una dottrina, incentrata sulla retorica dell’“incontro tra civiltà”, che rientra nel più ampio e complesso quadro del neo-ottomanesimo e mira a trasformare la Turchia da Stato periferico ad attore centrale nel contesto regionale prima e in quello globale poi57.

58 HEPER, Metin, «The Justice and Development Party Government and the Military in Turkey», in Turkish (...)

78A prevalere è l’idea di una Turchia in grado di mediare tra i due mondi, Occidente ed Islam, diventandone l’anello di congiunzione58.

59 Sull’argomento si veda: BOZDAGLIOGLU, Yücel, «Modernity, Identity and Turkey’s Foreign Policy», in (...)

79L’asset fondamentale nella dottrina di Davutoğlu, attuale e più completa realizzazione del neo-ottomanesimo59, risulta essere il progressivo recupero dell’eredità ottomano islamica. In questo approccio, centrale è l’idea dell’AKP dell’Islam come fattore non più destabilizzante, come riteneva invece il Kemalismo, bensì aggregante. Al richiamo all’eredità islamica, il governo turco aggiunge una politica estera che, rifacendosi a quella intrapresa da Özal, riflette un maggiore attivismo negli ex-territori dell’Impero in ambito politico, economico e culturale. Un disegno che non è volto a perseguire una nuova fase di imperialismo, quanto piuttosto a un sempre più diffuso uso di soft power nelle ex province ottomane (Balcani, Medio Oriente, Asia Centrale). In quest’ottica si deve comprendere l’enunciazione, dello stesso Davutoğlu, del principio di “zero problemi con i vicini”, che ha portato a sviluppi decisivi nella normalizzazione delle relazioni con Paesi come Armenia e Grecia e, in parte, anche con Cipro. La politica di zero problemi si basa essenzialmente sulla progressiva eliminazione di relazioni impostate in maniera conflittuale con i Paesi confinanti e più in generale con tutti quelli adiacenti alla regione, attraverso la risoluzione pacifica delle controversie e dei possibili fattori di tensione.

60 AKYOL, Mustafa, “Turkey’s maturing foreign policy”, in Foreign Affairs July/2011. URL: < http://www (...)

80La peculiarità della retorica “zero problemi” risiede nel suo forte carattere transnazionale, emerso in tutta la sua forza durante i mesi successivi alle rivolte arabe, che ha consentito alla Turchia di creare relazioni soprattutto con i popoli vicini più che con gli Stati. La tendenza è stata quella di ramificare le relazioni in più ambiti, soprattutto economico e culturale, spesso scavalcando i regimi e le istituzioni, ed andando a creare legami direttamente con la popolazione60.

61 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 15.
62 ENHAILI, Aziz, «La Pax ottomana: Une politique en direction du Moyen-Orient et de l’Europe?», in Mo (...)
63 DEL ZANNA, Giorgio, I cristiani e il Medio Oriente (1798-1924), cit., p. 198.

81Questa visione comporta implicazioni anche interne con una revisione, come già compreso da Özal, del concetto di identità nazionale. Il neo-ottomanesimo comporta l’apertura alle molte minoranze etniche del Paese attraverso l’elaborazione di un concetto multi-culturale di cittadinanza che avrà inevitabili conseguenze nel rapporto con i curdi61. Un concetto che non solo si rifà alle idee di Özal in materia, ma richiama direttamente l’ideologia dell’ottomanismo e la sua idea di “unità di elementi” sotto una veste ancora più specifica. L’AKP accentua la presenza di un forte richiamo all’identità islamica riprendendo l’ottomanismo nella sua terza fase, ovvero quella del periodo hamidiano. In questo periodo, come già evidenziato in precedenza, l’idea di ottomanismo venne rivestita dal Sultano Abdülhamit II di un simbolismo di matrice islamica, volto a dare nuova e maggiore legittimità al proprio potere62. Una scelta politica e strumentale del Sultano, che portò alla ripresa del titolo di Califfo, che però non presentava il carattere espansionistico tipico del panislamismo moderno, ma, si prefissava l’intento di rafforzare la coesione interna all’Impero63. Anche per l’AKP l’Islam può e deve essere la chiave e l’amalgama per una nuova identità sempre più sentita e condivisa dalle diverse etnie. A ciò si deve aggiungere come Davutoğlu ed Erdoğan – così come prima di loro Özal e lo stesso Sultano Abdülhamit II – condividessero la visione di un Islam dinamico e progressista perfettamente in grado di adattarsi ed esprimersi nella modernità. Un’idea figlia della forte influenza avuta su tutti loro dalla confraternita sufi Nakşibendi, di cui sia Erdoğan che Özal sono stati membri.

64 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 3.

82Quella professata da Davutoğlu ed Erdoğan, quindi, non è in alcun modo un islamizzazione ma, piuttosto, una sorta di riconciliazione con l’Islam e, al tempo stesso, correzione dell’approccio laico del Kemalismo64.

65 Famoso il discorso tenuto a Sarajevo dal Ministro Davutoğlu il 23/10/2009. Consultabile su URL: < h (...)

83Argomenti questi che, al pari del successo economico degli ultimi anni, hanno fatto breccia nel mondo musulmano facendo crescere l’ammirazione verso il modello turco e il suo leader Erdoğan. Per capitalizzare questa ammirazione il governo dell’AKP ha dato vita ad una politica regionale sempre più attiva, trovando nell’Islam l’elemento comune da cui partire. In quest’ottica si spiega l’importanza del recupero del discorso islamico in un contesto, come quello dei Balcani65 e del Medio Oriente, in cui l’appartenenza comunitaria e confessionale ha ancora un ruolo primario e determinante nelle relazioni tra Stati e tra popoli.

84Questo approccio in politica estera abbraccia l’idea neo-ottomana dell’odierna Turchia, sempre più pronta a riscoprire il proprio grande passato, facendolo diventare un carattere inconfondibile del proprio futuro.

85Il presente lavoro ha voluto analizzare alcuni elementi chiave caratterizzanti l’attuale Turchia ed in particolar modo le sue linee guida in politica estera. L’intento era quello di evidenziare un legame tra l’attuale decennio trascorso sotto la guida del Partito per la Giustizia e Sviluppo (AKP) e il decennio (1983-1992) contraddistinto dall’influente figura di Turgut Özal.

86In entrambi i periodi analizzati si ritrova un comune richiamo ad una vecchia idea generatasi all’interno dell’Impero ottomano: l’ottomanismo. Quest’ultimo, dopo un lungo letargo obbligato dalla Repubblica kemalista, riemerge sotto una nuova e moderna elaborazione con il nome di neo-ottomanesimo. Una lettura inedita dell’ottomanismo, questa, che mette in relazione in maniera indissolubile politica identitaria e politica estera, ritenendo lo sviluppo di una comune identità turco-ottomana fondamentale per promuovere le ambizioni geopolitiche della Turchia.

87Tale politica verte sul recupero non solo dell’eredità ottomana, ma anche del peculiare rapporto con l’universo islamico turco/ottomano caratterizzato, oltre che dall’Islam ufficiale degli ulama, dalla ramificata presenza di confraternite sufi (Nakşibendi, per esempio) e movimenti islamici (Nurcu) considerati i custodi – durante gli anni del Kemalismo – del patrimonio culturale ottomano-islamico.

88Punto di partenza di quest’analisi sono state le innovative politiche intraprese negli anni Ottanta dal governo Özal, che hanno favorito l’emergere di una nuova idea di società turca caratterizzata da maggiori aperture nel settore economico e in politica estera; sviluppi che accelerarono il processo di rivalutazione e successiva politicizzazione dell’Islam.

89Nella seconda parte, invece, si è analizzato l’attuale ruolo della Turchia in campo internazionale dove, seguendo i principi teorizzati dal Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu nella sua dottrina della “profondità strategica”, l’AKP ha saputo costruire l’immagine di una Turchia affidabile e matura, sempre più indispensabile per gli equilibri regionali.

90Nella Turchia odierna, tuttavia, permangono diversi limiti, come quello relativo al livello democratico del Paese, che la stessa impostazione neo-ottomana dovrà imprescindibilmente trattare se vorrà coltivare le proprie ambizioni. Il progetto neo-ottomano, infatti, costringe il governo turco a confrontarsi con situazioni critiche, tra cui le relazioni con Israele, recentemente deterioratesi, e la crescente diffidenza di alcune petromonarchie saudite (Qatar, Arabia Saudita) spaventate dall’ammirazione suscitata sulle masse dalla retorica di Erdoğan. Un’altra incognita futura è rappresentata dai rapporti con l’altra potenza regionale forte e in ascesa, quell’Iran che inevitabilmente rappresenterà un ostacolo ai progetti turchi.

91A questo si deve aggiungere la storica polarizzazione interna alla società turca tra laici e tradizionalisti islamici che il neo-ottomanesimo non ha fatto altro che accentuare ulteriormente. Sullo sfondo, infine, rimane l’ingombrante ombra dell’esercito e i timori di un suo, al momento poco probabile, nuovo intervento nella vita politica del Paese.

92Difficile poter immaginare la Turchia come modello esportabile nei Paesi mediorientali, poiché la specificità turca risiede in molteplici suoi aspetti (culturali, storici, politici, sociali) che la rendono difficilmente imitabile, compreso il carattere del tutto particolare dell’Islam turco.

93Detto questo, la presa di coscienza da parte dell’Occidente della forza e del potenziale dell’attuale Turchia, deve aiutare a costruire nuove basi per un rapporto che sia caratterizzato da una minore diffidenza reciproca. Un rapporto nuovo, utile alla Turchia per proseguire la propria maturazione in chiave democratica e di Stato moderno e all’Occidente per cercare un maggiore dialogo con un mondo, come quello musulmano, da cui è ancora considerato troppo ostile.

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Note

1 Il termine venne proposto da un noto scrittore e giornalista turco Cengiz Çandar, il quale vedeva la Repubblica come la naturale erede dell’Impero ottomano e definì la politica estera del governo Özal come neo-ottomana.

2 Le “sei frecce sono sei parole (nazionalismo, populismo, repubblicanesimo, statalismo, laicismo, rivoluzionarismo) che rappresentano le linee programmatiche della filosofia kemalista ovvero una equilibrata sintesi di nazional populismo e corporativismo. Principi approvati dal Partito Repubblicano del popolo nel 1931 e integrati nella costituzione del 1937 dando così completa attuazione al regime del partito-stato. Si veda: BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 52-54.

3 “Partito della Madrepatria”.

4 “Partito dei Lavoratori del Kurdistan”.

5 BOZARSLAN, Hamit, La Turchia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 84.

6 Il clima di tensione crebbe ulteriormente pochi giorni prima dell’intervento militare quando nella cittadina di Konya durante un comizio un gruppo islamico invocò il ripristino della Şeriat (Shari‘a).

7 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, London, I. B. Tauris, 1993, p. 324.

8 Ibidem, p. 342.

9 Vennero sciolti anche tutti i Consigli Municipali, circa 1.700, e destituiti tutti i sindaci.

10 NOCERA Lea, La Turchia contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo dell’Akp, Roma, Carocci, 2011, p. 69.

11 Il FMI, così come OCSE e la Banca mondiale, vincolarono il prestito alla Turchia (1,8 miliardi di dollari) all’introduzione di una serie di riforme economiche, finanziarie e commerciali.

12 OZZANO, Luca, «L’AKP: islamocrazia come modello?», in Aspenia, 16, 52, 2011, pp. 136-142.

13 Sull’importanza degli ordini sufi si veda: YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, New York, Oxford University Press, 2003, pp. 133-145.

14 Un processo simile venne intrapreso negli anni settanta in Egitto da Sadat che favorì il diffondersi delle Gama’at al-Islamiyya (Associazioni Islamiche) al fine di arrestare lo sviluppo delle forze rivoluzionarie di sinistra, sull’argomento si veda: KEPEL, Gilles, Jihad: expansion et déclin de l’islamisme, Paris, Gallimard, 2000, pp. 87-105.

15 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 217.

16 “Focolare degli intellettuali”.

17 KURT, Umit, «The Doctrine of Turkish-Islamic Synthesis as official Ideology of the September 12 and the Intellectuals Hearth as the Ideological Apparatus of the State», in European Journal of Economic and Political Studies, 2, 2010, pp. 111-125.

18 TOPRAK, Binnaz, Religion as State Ideology in a Secular Setting: The Turkish-Islamic Synthesis, in WAGSTAFF, Malcolm (ed.), Aspects of Religion in a secular Turkey, Center for Middle Eastern Studies and Islamic Studies, University of Durham UK, 1990, pp. 10-14.

19 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 112.

20 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», in Carnegie Papers, 10, 2008, pp. 4-5.

21 “Direzione per gli Affari religiosi”. Il Diyanet è un organo governativo tuttora esistente che ha tra le sue principali funzioni quella di dettare le linee guida dell’Islam turco: questo avviene attraverso la definizione dei programmi educativi delle scuole per predicatori (imam), oltre checon il coordinamento e la gestione di tutte le questioni burocratiche e finanziarie dell’apparato religioso. Sull’argomento si veda: KEPEL, Gilles, Jihad: expansion et déclin de l’islamisme, cit., p. 49. Sullo sviluppo del concetto di laicità nella Turchia moderna si consiglia: DOGAN, Ali Kemal, «L’AKP et l’évolution de la laïcité en Turquie», in Moyen-Orient, n. 9, 2011, pp. 36-41.

22 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 5.

23 BOZARSLAN, Hamit, La Turchia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 84-87.

24 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», in USAK Yearbook of International Politics and Law, 2, 2009, pp. 153-205 URL: < http://www.turkishweekly.net/article/33 ... alism.html > [consultato il 2 febbraio 2012].

25 Sull’argomento si veda: MANSFIELD, Peter, A History of Middle East, London, Penguin, 1991, pp. 71-95; CAMPANINI, Massimo, Storia del Medio Oriente, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 25-29.

26 DEMİRAG, Yelda, «Pan-Ideologies in the Ottoman Empire against the West: From Pan-Ottomanism to Pan-Turkism», in The Turkish Yearbook of International Relations, 36, 2005, pp. 139-156.

27 DEL ZANNA, Giorgio, I cristiani e il Medio Oriente (1798-1924), Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 78-79. Si veda anche: ZARCONE, Thierry, La Turquie moderne et l’Islam, Paris, Flammarion, 2004.

28 Sull’argomento si veda: MARDIN, Serif, The Genesis of Young Ottoman Thought: A Study in the Modernization of Turkish Political Ideas, Princeton CA, Princeton University Press, 1962.

29 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., pp. 96-97.

30 Per un’attenta analisi sul mutamento simbolico ed iconografico che interessò la figura del Sultano si veda: DERINGIL, Selim, The Well-Protected Domains: Ideology and the Legitimation of Power in the Ottoman Empire 1876-1909, London, I. B. Tauris, 1999, pp. 15-43.

31 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», cit., pp. pp. 153-205.

32 Ibidem.

33 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 11.

34 NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit.

35 LAÇİNER, Sedat, «Turgut Özal period in Turkish Foreign Policy: Ozalism», cit.

36 La bilancia commerciale, quindi, necessitava di trovare un equilibrio tra import ed export e questo portò all’apertura degli scambi e degli investimenti turchi in nuovi Paesi come la Libia, che divenne il principale mercato turco, l’Arabia Saudita oppure l’Iraq di Saddam Hussein. Si veda: TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 11.

37 La prima sede in Turchia venne ufficialmente aperta nel 1976.

38 HALLIDAY, Fred, The Middle East in International Relations. Power, Politics and Ideology, Cambridge, Cambridge University Press, 2005.

39 Ibidem.

40 Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan. La Turchia fu il primo Paese a riconoscerle a livello diplomatico.

41 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., p. 397.

42 NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit.; TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., pp. 14-16.

43 “Partito della Giustizia e dello Sviluppo”.

44 “Vista Nazionale”.

45 ZURCHER, Erik Jan, Turkey: A Modern History, cit., pp. 370-371. Sull’argomento si veda: HALE, William, ÖZBUDUN, Ergun, Islamism, Democracy and Liberalism in Turkey: The Case of the Akp, London, Routledge Studies in Middle Eastern Politics, 2010.

46 Primo Ministro dal 1950 al colpo di Stato del 1960; dopo essere stato deposto dai militari, venne giustiziato con l’accusa di attentato alla Costituzione turca.

47 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 257.

48 Sull’argomento si veda: HALE, William, ÖZBUDUN, Ergun, Islamism, Democracy and Liberalism in Turkey: The Case of the Akp, cit., p. 24; NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit., p. 104.; YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., pp. 260-261.

49 OZZANO, Luca, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., pp. 137-138.

50 BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, cit., pp. 66-67.

51 BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, cit., pp. 83-85; NOCERA, Lea, La Turchia contemporanea, cit., pp. 106-108.

52 DOGAN, Ali Kemal, «L’AKP et l’évolution de la laïcité en Turquie», cit.

53 OZZANO, Luca, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 138. Per una valutazione completa delle riforme volte all’armonizzazione con l’Unione Europea si veda: BERNARDINI D’ARNESANO, Beatrice, CARDUCCI, Michele, Turchia, cit., pp. 135-149.

54 YAVUZ, Hakan, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 257.

55 DAVUTOGLU, Ahmet, «Turkey’s New Foreign Policy Vision», in Insight Turkey, 10, 1/2008, pp. 77-96.

56 Il testo di Davutoğlu è DAVUTOGLU, Ahmet, Stratejik derinlik: Türkiye’nin uluslararası konumu, Istanbul, Küre Yayınlari, 2001. Parti tradotte del testo si trovano in: DAVUTOGLU, Ahmet, «Profondità Strategica. Il mondo secondo Ankara», in Limes 4/2010, pp. 29-39.

57 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., pp. 14-17.

58 HEPER, Metin, «The Justice and Development Party Government and the Military in Turkey», in Turkish Studies, 6, n.2/2005, pp. 220-229.

59 Sull’argomento si veda: BOZDAGLIOGLU, Yücel, «Modernity, Identity and Turkey’s Foreign Policy», in Insight Turkey, 10, 1/2008; DAVUTOGLU, Ahmet, «Turkey’s New Foreign Policy Vision», cit.

60 AKYOL, Mustafa, “Turkey’s maturing foreign policy”, in Foreign Affairs July/2011. URL: < http://www.foreignaffairs.com/articles/ ... ign-policy > [consultato il 15 febbraio 2012].

61 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 15.

62 ENHAILI, Aziz, «La Pax ottomana: Une politique en direction du Moyen-Orient et de l’Europe?», in Moyen-Orient, 9/2011, pp. 26-32.

63 DEL ZANNA, Giorgio, I cristiani e il Medio Oriente (1798-1924), cit., p. 198.

64 TASPINAR, Ömer, «Turkey’s Middle East Policies: between Neo-Ottomanism and Kemalism», cit., p. 3.

65 Famoso il discorso tenuto a Sarajevo dal Ministro Davutoğlu il 23/10/2009. Consultabile su URL: < http://www.setadc.org/multimedia/texts/ ... lus-speech > [consultato il 15 febbraio 2012].


Federico Donelli, « Le radici ottomane della Turchia di Erdoğan », Diacronie [Online], N° 12, 4 | 2012, documento 9, Messo online il 29 décembre 2012, consultato il 17 mai 2020. URL : http://journals.openedition.org/diacronie/2545 ; DOI : https://doi.org/10.4000/diacronie.2545

Federico Donelli, laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è attualmente laureando in Politica ed Economia del Mediterraneo presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Genova. Collabora con alcune riviste online di analisi geopolitica (Equilibri, Geopolitica) e con una rivista mensile di storia (Instoria).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:52 pm

La basilica di Santa Sofia, da museo a moschea.
Credo Erdogan lo faccia per rappresaglia con l'Europa che non fa entrare la Turchia nella UE.



ALLA LUCE DEL CREPUSCOLO
Niram Ferretti
11 luglio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La situazione attuale è disastrosa naturalmente, però fingiamo giulivamente che non lo sia e ci apprestiamo, potendo, alle vacanze. I pensieri vanno scacciati in qualche modo, ma poi saranno i fatti ad incalzare.

I temi da affrontare sarebbero molti ma prendiamone solo due da esempio. L'Europa, sempre più disossata e museale non avendo più alcuna identità specifica da difendere, preda del meaculpismo, del relativismo, e drappeggiata con gli ultimi vestimenti del marxismo culturale e dello gnosticismo alla moda: antirazzismo, antinazionalismo, ambientalismo, transgenderismo, identità di genere, ecc. marcia spedita verso le magnifiche sorti e progressive della propria obsolescenza. A una cosa non ha mai però rinunciato come suo specifico, all'antisemitismo, declinato ormai da decenni in antisionismo. E' una immarcescibile costante in mezzo a tante variabili.

In Turchia, uno degli attori pricipali della declinazione di un Islam orgogliosamente forte e aggressivo, il neo sultano Erdogan, riconverte Santa Sofia, uno dei simboli del cristianesimo fino alla caduta di Costantinopoli e poi trasformata in museo nel 1935 da Mustafa Kemal Atatürk, al culto islamico. Mentre da noi le chiese vengono sconsacrate e trasformate in palestre, biblioteche, centri commericiali, ecc. Erdogan, con questo gesto afferma perentoriamente che l'identità dell'Islam è forte e chiara.

La Santa Sede tace. Ed è un silenzio eloquente. La Chiesa, dopo la celebre e vituperata lectio magistralis dell'ultimo grande papa di Occidente, Benedetto XVI, quella tenutasi a Ratisbona nel 2006, ha preferito l'acquiescenza. E la storia insegna che la debolezza, con i prepotenti, genera solo altra prepotenza. Ma, l'Europa, che da tempo ha rinunciato alla bellicosità non solo nei fatti ma anche nelle parole, è un gigante flaccido, vecchio e acciaccato che, la voce grossa, la fa solo nei confronti di Israele.

Il futuro incalza e non suggerisce scenari incoraggianti.




Matteo Salvini contro Erdogan: "Santa Sofia trasformata in moschea, certo Islam incompatibile con la democrazia in Occidente"
Andrea Cionci
11 luglio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... dente.html

La decisione del presidente turco Recep Erdogan di trasformare in moschea Santa Sofia, storico monumento di Istanbul, ha scatenato le reazioni indignate di molte voci in Occidente. La chiesa è uno dei simboli dell'Islam turco, ma anche della Chiesa cristiano ortodossa (molte le proteste in Grecia e in Russia) e di quella cattolica, avendo un legame strettissimo con l'epoca romana e bizantina. Ma il tema non è solo culturale, ma anche politico, e lo sintetizza con effiacia il leader della Lega Matteo Salvini: "La stessa Turchia che qualcuno vorrebbe far entrare in Europa, trasforma Santa Sofia in una moschea. La prepotenza di un certo islam si conferma incompatibile con i valori di democrazia, libertà e tolleranza dell’Occidente".

Alberto Pento
No Salvini no, non si tratta di "un certo Islam" ma dell'Islam, non esistono due Islam, uno buono e uno cattivo.



“Allahu Akbar”! Manifestazione di giubilo davanti a Santa Sofia dopo la riconversione a moschea della più importante chiesa orientale. Europa, Occidente e capi della cristianità umiliati. 10 luglio 2020, sarà ricordato come un giorno profetico nel mondo islamico. Un giorno di sottomissione degli infedeli.
10 luglio 2020
https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 927617049/



"La città che dopo Costantino aveva resistito per più di mille anni e che non era mai caduta in potere degli infedeli, è andata incontro ora, in quest'anno infausto, alla distruzione da parte dei Turchi, gente quanto mai spregevole. Soffro al pensiero che il tempio di Santa Sofia, famosissimo in tutto il mondo, sia stato distrutto o profanato.
Giulio Meotti

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 198903831/

Questa è una seconda morte per Omero, un secondo trapasso per Platone". Queste parole furono scritte nel XV secolo da Enea Silvio Piccolomini, il più grande umanista. 29 maggio 1453. Il sultano Mehmet II, in sella a un cavallo bianco, arrivò a Santa Sofia, la cattedrale della Divina Sapienza costruita mille anni prima da Giustiniano. I cristiani che si erano rifugiati sotto la sua cupola vennero sottoposti a violenze. Le donne legate per portarle negli harem. Fu il crollo di una civiltà. Soltanto conoscendo la storia si può capire l'importanza di quello che è successo oggi, la riconversione di Santa Sofia in moschea dopo 100 anni. Un anno fa ne parlavo con lo scrittore di origine turca e di nazionalità francese Nedim Gürsel, a processo due volte nella Turchia di Erdogan, e che mi disse: “Quella di Erdogan è l’ideologia della conquista ottomana, è un grande piano che si rifà alla presa di Costantinopoli". I turchi non avevano bisogno anche di questa moschea, negli ultimi anni ne hanno costruite 17.000 sotto Erdogan. L'Islam politico aveva bisogno di infliggere una umiliazione alla cristianità e all'Occidente.


Giulio Meotti
10 luglio 2020

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 1275290740

Non è un caso se un paese a stragrande maggioranza islamica di 82 milioni, erede del Califfato, che ha il secondo esercito della Nato, che ospitava il cristianesimo di tutti i concili, riconverte in moschea la più grande basilica dell’antichità orientale, qualcosa mai successo ai nostri giorni. È un mese che in Occidente politici ed èlite abbattono monumenti e simboli del proprio passato, da soli o assistendo colpevolmente in silenzio gli eserciti dell’odio di sè. Quel paese ha visto questo spettacolo senza precedenti, che nessun leader morale si è opposto a questa distruzione, e ha pensato: “Sono dei polli, spenniamoli”.



Giulio Meotti
11 luglio 2020

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 8012059155

Dalla pagina di Erdogan: "La rinascita di Santa Sofia è un segno verso il ritorno della libertà nella moschea di Al Aqsa. La resurrezione di Santa Sofia è un saluto dal nostro cuore a tutte le città che simboleggiano la nostra civiltà. Da Buchara all'Andalusia". Capito? Sognano di tornare in Spagna, da cui furono cacciati qualche anno dopo la presa di Santa Sofia. Resto convinto che non ce la faranno mai a prendere il posto di Israele. Un tempo avrei detto che anche il ritorno in Europa era troppo anche per loro. A giudicare dal nostro silenzio su Santa Sofia e dalla qualità di entropia che c'è in giro qui direi che potrebbero anche farcela.


Hagia Sophia: storia del patrimonio Unesco che fa ancora discutere musulmani e cristiani
Stefano Mentana
10 Lug. 2020

https://www.tpi.it/esteri/perche-status ... 710634360/


Il 10 luglio un tribunale turco ha di fatto spianato la strada alla possibilità che Hagia Sofia (o Santa Sofia) a Istanbul torni a essere una moschea, ritenendo illegale la sua trasformazione in museo avvenuta nel 1934. Questa decisione è molto importante perché lo status di Hagia Sophia è un affare delicato, strettamente legato al particolare ruolo ricoperto dall’edificio sia per il Cristianesimo che per l’Islam. Tale situazione aveva avuto una soluzione con la decisione del 1934 di trasformare il luogo di culto in un museo, storicizzando così il suo ruolo chiave per l’Impero Romano d’Oriente prima e per l’Impero Ottomano poi.

Una decisione che tuttavia da diversi anni è oggetto di numerose pressioni da parte di organizzazioni musulmane che ne vorrebbero l’uso esclusivo come moschea, che hanno ottenuto il sostegno del presidente Recep Tayyip Erdogan e il cui tentativo è sfociato nella decisione del tribunale che spiana la strada a far tornare l’edificio a essere una moschea. Ma vediamo di preciso a cosa è dovuta l’importanza di questo edificio e perché oggi il suo status è una faccenda molto spinosa.
Fondata da Giustiniano

L’origine della Hagia Sophia risale all’Impero Romano d’Oriente (che oggi per convenzione chiamiamo in maniera impropria Impero Bizantino), quando nel 532 Giustiniano volle ricostruire la vecchia “Megali Ecclesia” (grande Chiesa), una delle principali chiese di Costantinopoli che era stata da poco distrutta per la seconda volta nella rivolta di Nika.

Il nuovo luogo di culto venne inaugurato già nel 537 e dedicato alla Hagia Sophia, la Sapienza Divina, un’intitolazione molto ricorrente nelle chiese del mondo cristiano orientale (importanti sono ad esempio quella di Salonicco e quella di Sofia, che peraltro dà il nome alla città).

La nuova struttura, opera dell’architetto Isidoro di Mileto e del matematico Antemio di Tralle, venne realizzata in dimensioni imponenti e la sua cupola, di 31 metri di diametro, rappresentava per l’epoca una vera e propria impresa architettonica. L’interno venne poi arricchito da pregiati mosaici, tipici dell’arte dell’Impero Romano d’Oriente.

La nuova Hagia Sophia divenne in breve tempo la più importante chiesa di Costantinopoli e di tutto l’Impero, sede di importanti cerimonie che si svolgevano alla presenza dell’imperatore e del patriarca locale. La struttura nei secoli ebbe rimaneggiamenti e subì danni, la cupola – che per i mezzi dell’epoca sfidava letteralmente le leggi della fisica – fu danneggiata in più occasioni, così come durante l’iconoclastia bizantina vennero danneggiati i suoi pregiati mosaici.

La chiesa, inoltre, originariamente Cattolica di rito greco, divenne Ortodossa con lo scisma d’Oriente nel 1054, divenne una cattedrale Cattolica tra il 1204 e il 1261 sotto l’Impero Latino di Costantinopoli nato dopo la Quarta Crociata e tornò poi nuovamente una Basilica Ortodossa. Ma durante tutti questi cambiamenti, ci fu una costante: la Hagia Sophia era uno dei simboli imperiali, culturali e religiosi di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente.


Da Basilica a Moschea

Nel 1453 l’Impero Romano d’Oriente era ormai in notevole decadenza, pressato dall’avanzata dei turchi che ormai controllavano la quasi interezza della penisola anatolica. All’Impero che un tempo controllava il Mediterraneo Orientale, il Medio Oriente e i Balcani restavano solo alcuni rimasugli del suo grande territorio, tra cui la sua capitale, Costantinopoli, che nel mese di aprile fu assediata dagli ottomani guidati da Maometto II, che la conquistarono militarmente il 29 maggio.

Nella città di Costantinopoli molte cose cambiarono immediatamente: il nome della città, ad esempio, diventò Istanbul, il sultano ottomano vi trasferì la propria corte e numerose chiese vennero trasformate in moschee, tra cui anche Hagia Sophia, che rimase uno dei simboli della città e, con il nome turchizzato di Aya Sofya, divenne una delle moschee più importanti dell’intero impero. L’edificio subì una serie di modifiche architettoniche legate alla sua nuova funzione: quattro minareti vennero eretti intorno all’edificio e i mosaici vennero intonacati. Il patriarca ortodosso, invece, si trasferì nella chiesa dei Santi Apostoli.
La fine dell’Impero ottomano e la trasformazione in un museo

Due anni dopo la sconfitta ottomana nella Prima guerra mondiale nel 1918, il trattato di Sevres ridusse ulteriormente il territorio dell’Impero ottomano già da tempo in crisi, minacciando anche il suo controllo della stessa città di Istanbul e costringendolo a cedere alla Grecia gran parte dell’Asia minore, dove era forte la presenza di popolazione greca. Oltre a questo, dovette concedere privilegi territoriali ed economici alle potenze dell’Intesa.

Il Movimento nazionale di Mustafa Kemal, noto come Ataturk, scatenò però una guerra che portò in pochi anni alla fine del sultanato e alla sconfitta della Grecia, portando la Turchia a formare una nuova nazione entro i suoi attuali confini, con capitale ad Ankara e con una forma di governo repubblicana di orientamento laico. Dal punto di vista etnico, gran parte della popolazione greca (di religione ortodossa) si trasferì in Grecia. Nel trattato di pace con cui si pose fine a quella guerra, il trattato di Losanna del 1923, si mise anche nero su bianco il rispetto delle minoranze cristiana e musulmana e della loro cultura da parte di Turchia e Grecia.

Fu in questo clima che nel 1934 lo stesso Ataturk, presidente della Turchia, decise di trasformare Hagia Sophia in un museo, facendo alcuni cambiamenti architettonici per riportare alla luce molte delle decorazioni della sua complessa storia. Hagia Sophia ha continuato a essere uno dei loghi simbolo di Istanbul pur perdendo il suo status di luogo di culto, attraverso una storicizzazione che puntava a valorizzarne l’interezza della sua lunga e complessa storia. Fu proprio con questo status che, nel 1985, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Tuttavia, questa forma di storicizzazione col passare del tempo ha iniziato a essere messa in discussione.

Le pressioni e il procedimento legale per farla tornare una moschea

La Turchia è uno stato nato come una repubblica fortemente laica, ma negli ultimi anni l’Islam politico, trainato anche dal presidente Erdogan, ha preso sempre più piede nel Paese la cui popolazione è composta per il 98 per cento da musulmani (la maggior parte dei quali sunniti). Con il passare degli anni sempre più gruppi hanno fatto pressione per fare in modo che Hagia Sophia tornasse a essere una moschea.

L’Associazione per il servizio delle fondazioni storiche e dell’ambiente, un’associazione turca che ha come obiettivo trasformare nuovamente Hagia Sophia in una moschea, ha sollecitato più volte i tribunali turchi negli ultimi 15 anni a prendere provvedimenti per rovesciare la decisione con cui Ataturk nel 1934 trasformò l’edificio in un museo, giudicata a loro avviso illegale.

Nelle due campagne elettorali per eleggere il sindaco di Istanbul nel 2019, l’associazione aveva fatto sapere, rivolgendosi al massimo tribunale turco, che il governo di Ataturk non aveva a loro avviso il diritto di annullare i desideri del sultano che aveva trasformato la basilica in una moschea, paventando anche la possibilità che la firma del presidente fosse falsificata. Il presidente turco Erdogan ha sostenuto la campagna per trasformare Hagia Sophia in moschea, dicendo che i musulmani dovrebbero poter pregare di nuovo lì e si è fatto portavoce della questione, molto sentita in numerosi ambienti musulmani turchi.

Tuttavia, lo status di Hagia Sophia è un tema molto sentito anche da numerosi cristiani fuori dai confini della Turchia, e quanto la cosa sia ancora sensibile e spinosa è ben visibile in numerosi contesti. Nel giugno del 2019 aveva fatto particolarmente discutere un tweet pubblicato dall’associazione ANCA, che raccoglie statunitensi di origine armena, con la fotografia della Hagia Sophia priva di minareti e con una croce sulla cupola (e quindi nelle forme di basilica cristiana) circondata da bandiere greche e armene con la scritta “Make Istanbul Constantinople again”, con un chiaro riferimento a rifare di Istanbul una città greca orientale e ortodossa.

L’istituto di sondaggi turchi Metropoll ha però rilevato che il 44 per cento delle persone intervistate ritiene che la questione Hagia Sophia sia oggi all’ordine del giorno per distogliere l’attenzione degli elettori dagli attuali problemi economici della Turchia.
Le reazioni

La questione Hagia Sophia è molto sentita e molto spinosa per le ragioni che abbiamo visto finora. Lo dimostra ad esempio l’Unesco, l’agenzia Onu che si occupa della cultura, che ha fatto sapere all’agenzia di stampa Reuters che la Turchia dovrebbe discutere preventivamente con loro qualsiasi modifica dello status di Hagia Sophia, dal momento che è stata iscritta all’elenco dei patrimoni dell’Umanità come museo e con le caratteristiche architettoniche e le funzioni che ricopre attualmente.

Ma quella dell’UNESCO non è stata l’unica posizione critica verso la possibilità che Hagia Sophia torni a essere una moschea. Il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo, “primus inter pares” dei cristiani ortodossi, ha notato come trasformare Hagia Sophia in una moschea avrebbe causato una grave frattura tra mondo occidentale e mondo orientale. A fargli eco c’è stato poi il patriarca russo ortodosso Cirillo, che ha definito “una minaccia per il cristianesimo” la possibilità di una conversione in moschea della Hagia Sophia.

La Grecia, che oltre a essere un vicino della Turchia è un Paese con una popolazione in grande maggioranza cristiana ortodossa, ha reso noto che una trasformazione in moschea di Hagia Sophia rischierebbe di causare un “enorme abisso emotivo” con i Paesi cristiani. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha detto come una trasformazione dello status di Hagia Sophia le farebbe perdere il ruolo di ponte tra diverse fedi e tradizioni.

La Turchia, tuttavia, rivendica la propria possibilità di prendere qualsiasi decisione sulla vicenda, con il ministro degli Esteri Mevut Cavusoglu che ha criticato qualsiasi interferenza dicendo che “è una questione di sovranità nazionale” e che ciò che è importante è “ciò che il popolo turco vuole”.



La maestosa Santa Sofia è diventata moschea.
I barbari mongoli-turchi sono stati solo capaci di edificare Ankara e rubare ai greci tutto il resto.
Nessuna storia, nessuna cultura, nessuna civiltà, nessun rispetto, solo ladrocinio e precedenti penali.
I turchi ora si inginocchieranno davanti a tutti i simboli Cristiani Ortodossi di Santa Sofia.
C’è una famosa profezia che dice “quando Santa Sofia sarà una moschea, Costantinopoli tornerà a essere cristiana”.
https://www.facebook.com/groups/3168285 ... 195054241/



La riconversione di Santa Sofia, spiegata
11 luglio 2020

https://www.ilpost.it/2020/07/11/erdoga ... a-moschea/

Venerdì il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha firmato un decreto che ordina la riconversione della basilica di Santa Sofia di Istanbul in una moschea. Con il decreto, Erdoğan ha trasferito il controllo della basilica – sito patrimonio dell’umanità per l’Unesco – al Direttorato degli Affari religiosi turco. La firma è arrivata poco dopo l’annuncio che il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Turchia, aveva stabilito l’illegittimità della decisione con cui nel 1934 il primo presidente turco Mustafa Kemal Atatürk aveva trasformato in museo Santa Sofia, che all’epoca era una moschea.

È una questione importante e altamente simbolica, che racconta delle cose sul momento che sta attraversando Erdoğan e che allo stesso tempo si inserisce in un contesto assai più ampio: il lungo percorso con cui il presidente ha progressivamente rimesso la religione al centro della vita pubblica della Turchia, un paese a maggioranza islamica che per quasi un secolo era stato conosciuto per la sua laicità.

Da tempo Erdoğan si diceva favorevole alla riconversione di Santa Sofia. Secondo i suoi oppositori politici è un tema che tirava fuori ogni volta che si trovava in difficoltà, e ultimamente aveva orientato il dibattito nazionale (e non solo, visto il valore culturale internazionale della basilica) sulla riconversione per distogliere l’attenzione dal calo di consensi del suo partito e dalla crisi economica che la Turchia sta attraversando. La discussione su Santa Sofia fa presa sulla parte più conservatrice e religiosa della società turca, ma anche su chi ha sentimenti nazionalisti, alimentando la rivalità nei confronti della Grecia e degli altri paesi occidentali.

L’interno della basilica di Santa Sofia, il 2 luglio 2020 (Chris McGrath/Getty Images)

Già l’anno scorso, infatti, Erdoğan aveva detto che la riconversione di Santa Sofia in moschea avrebbe rappresentato una risposta alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele.

Poi a fine maggio, in occasione del 567esimo anniversario della conquista di Costantinopoli (l’antico nome di Istanbul) da parte dei turchi, Erdoğan partecipò in diretta streaming a una cerimonia di commemorazione organizzata a Santa Sofia in cui, per la prima volta in più di 80 anni, un imam recitò versi del Corano all’interno della basilica. Questo provocò una reazione da parte della Grecia, paese con cui la Turchia ha una antica rivalità che ha le sue origini proprio nella conquista di Costantinopoli. Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias definì la lettura del Corano dentro Santa Sofia «inaccettabile», e una violazione dello status di patrimonio dell’umanità della basilica.

In reazione alle proteste della Grecia, che ci sono nuovamente state negli ultimi giorni, Erdoğan ha accusato il paese di voler interferire con gli affari interni della Turchia: «Siete voi che amministrate la Turchia o no? La Turchia ha le sue istituzioni».

Analisti ed esperti hanno definito talvolta “ottomanismo” il progetto di Erdoğan di recuperare la tradizione e la cultura dell’Impero Ottomano, durato dal Trecento all’inizio del Novecento, e il cui sultano Maometto II conquistò Costantinopoli nel 1453, rendendola la capitale. Quest’operazione è servita ad Erdoğan ad aumentare il nazionalismo nel paese, dandogli però un’impronta nettamente religiosa.

Manifestanti favorevoli alla riconversione di Santa Sofia, il 10 luglio 2020; sul cartellone si vede la faccia di Erdoğan affiancata a quella del sultano Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli (Burak Kara/Getty Images)

Atatürk fu il presidente che riformò il paese in senso laico dopo la fine dell’Impero Ottomano, e per tutto il Novecento era stato considerato il padre fondatore della Turchia. Ma la sua eredità è stata fortemente messa in discussione dall’attuale classe dirigente del paese e dallo stesso Erdoğan, che sul suo conto ha espresso opinioni spesso ambigue alimentando il risentimento serbato per decenni dai turchi più conservatori. Molte azioni di governo di Erdoğan, dal divieto di vendita di alcolici vicino alle moschee o la cancellazione del divieto del velo nelle università, sono servite a rendere il paese meno laico un pezzetto alla volta.

Selim Koru, un membro del think tank turco Tepav, ha detto all’Economist che la riconversione di Santa Sofia in moschea sarà considerata dai sostenitori di Erdoğan come il culmine della trasformazione della Turchia realizzata dal presidente nei suoi anni di governo. Secondo l’AKP il periodo storico iniziato negli anni Venti con la laicizzazione della Turchia voluta da Atatürk è stato solo una parentesi. «Riconvertire Santa Sofia segnerà la chiusura di questa parentesi», ha spiegato Koru.

Soner Cagaptay del Washington Institute, un altro think tank, la vede in modo simile: «Atatürk rese Santa Sofia un museo per ribadire il suo impegno per il secolarismo, portando la religione fuori dallo spazio pubblico. Erdoğan sta facendo più o meno il contrario». Ovviamente si tratta di un processo più ampio, che non riguarda solo Santa Sofia, e che è stata un’operazione che Erdoğan porta avanti da quasi vent’anni. Tra l’altro in Turchia ci sono altre quattro basiliche di Santa Sofia, che un tempo erano chiese e che erano state trasformate in musei: negli ultimi dieci anni sono tutte state riconvertite in moschee, su richiesta della stessa associazione che ha chiesto la riconversione della Santa Sofia di Istanbul.

Erdoğan è alla guida della Turchia, prima come primo ministro e poi come presidente, da 18 anni, e nonostante alle ultime elezioni presidenziali abbia ottenuto un nuovo mandato fino al 2023, ultimamente le cose non gli stanno andando benissimo. L’anno scorso il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ha perso – per due volte, dopo che le elezioni contestate dallo stesso presidente erano state ripetute – alle amministrative di Istanbul, città dove Erdoğan è nato e di cui peraltro fu sindaco negli anni Novanta.

Riconvertire Santa Sofia in moschea è considerato dagli oppositori del presidente come una mossa per riprendere il controllo, anche solo simbolicamente, della propria città. L’ex ministro della Cultura e del Turismo Ertuğrul Günay, che era stato al governo quando Erdoğan era primo ministro, ha detto in un’intervista televisiva che il presidente sta facendo sì che si parli di Santa Sofia per mostrare di essere ancora padrone di Istanbul nonostante la sconfitta elettorale.


La basilica di Santa Sofia, il 2 maggio 2020 (Chris McGrath/Getty Images)

L’amministrazione di Istanbul comunque non è l’unico problema di Erdoğan. Nell’ultimo anno i consensi dell’AKP hanno continuato a calare e nel frattempo l’epidemia di COVID-19 ha danneggiato l’economia turca, che già era in crisi. Di recente ex membri dell’AKP hanno fondato nuovi partiti politici, minacciando di togliere consensi al partito del presidente tra i conservatori religiosi, che ne sono la base. Anche da questo punto di vista la riconversione di Santa Sofia sarebbe una mossa per riguadagnare consensi. Tra gli oppositori di Erdoğan c’è anche chi pensa che sia stata pensata in vista di elezioni anticipate.

Secondo l’Economist questo progetto spiegherebbe anche l’aumento delle misure repressive contro l’opposizione e la stampa avvenuto durante i mesi dell’epidemia. Tre parlamentari dell’opposizione e due giornalisti sono stati arrestati di recente con l’accusa di spionaggio e terrorismo; quattro attivisti per i diritti umani, tra cui due di Amnesty International, sono stati condannati con sentenze da due a sei anni di carcere. Nello stesso periodo a due canali televisivi sono state impedite temporaneamente le trasmissioni e un’università legata a uno dei rivali politici di Erdoğan è stata chiusa.

Non è chiaro come sarà il futuro di Santa Sofia, ma il portavoce di Erdoğan Ibrahim Kalin ha detto che continuerà a essere accessibile ai turisti, come altre moschee e come tante chiese di tutto il mondo. Quello che ancora non si sa è cosa succederà ai mosaici che mostrano figure religiose cristiane e imperatori bizantini – compresa l’imperatrice Zoe Porfirogenita, una delle quattro donne che regnarono su Costantinopoli – e che nel periodo in cui Santa Sofia fu una moschea erano stati coperti.







Giulio Meotti
12 luglio 2020
https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 7817064274

Bene il Papa su Santa Sofia all'Angelus. Ma l'Islam politico se ne frega del "dolore" del pontefice e del nostro per il ritorno a moschea di quella che fu la più grande chiesa al mondo per 900 anni. Parliamo di un capo di stato che ancora nega il genocidio di oltre un milione di cristiani armeni. L'unica volta che l'Islam politico ha mostrato rispetto, quello vero, quello che si tributa a uno sfidante, è per Benedetto XVI a Ratisbona e infatti cercarono (e riuscirono) di linciarlo. Ratzinger evocò una frase critica su Maometto dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo nel corso di un dialogo con un persiano durante l’assedio di Costantinopoli: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". Odio e fanatismo, disse Ratzinger, sono "patologie" della religione, il jihad è "irragionevole" e "contrario" a Dio, rivendicando le radici ebraiche, greche e cristiane della nostra identità, spiegando perché erano diverse dal monoteismo islamico. Benedetto XVI disse la verità, l'Islam lo capì e non gli fu perdonato. Il Vaticano oggi avrebbe tre motivi per guardare all’Islam con preoccupata attenzione e realismo, come dimostra il caso di Santa Sofia. Il primo è la sorte dei cristiani nei paesi musulmani. Sono decimati, sfollati, cancellati. Il secondo è la rivalità tra le due religioni in Africa, il grande banco di prova demografico del futuro. Il terzo è la crescente presenza di musulmani in Europa con tutto quello che comporta dal punto di vista culturale, religioso e sociale. I dirigenti della Chiesa dopo Ratisbona non si sono semplicemente astenuti dal criticare l’Islam. Hanno colto ogni occasione per lodare l’Islam, per aprirgli le porte, per dichiarargli solidarietà, per aderire a ogni iniziativa islamica. Questa strategia dello struzzo ha fallito. E' il momento di pensarne un'altra, una che si fondi sul rapporto onesto e non ipocrita fra due competitori, sul rispetto della storia, sul legame fra cristiani ed ebrei, sulla protezione delle minoranze. Il resto è aria fritta e il canto del muezzin che torna su Santa Sofia dopo un secolo.







O ci liberiamo tutti dall’islam o saremo tutti sottomessi all’islam
Magdi Cristiano Allam
12 Luglio 2020

https://www.italiaisraeletoday.it/o-ci- ... -allislam/

La decisione del Presidente turco Erdogan di riconvertire la Cattedrale di Santa Sofia a moschea è la parabola della fine del cristianesimo e della vittoria dell’islam. Erdogan è considerato un “musulmano moderato”, che sta reislamizzando la Turchia, promuovendo la riesumazione del Califfato ottomano, finanziando la proliferazione delle moschee e la diffusione dell’islam in Europa e nel mondo. Nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio umano di mettere fuori legge l’islam come religione dentro casa nostra. Anche gli italiani e gli europei che legittimamente la pensano diversamente da me, sappiano che siamo tutti sulla stessa barca: o ci liberiamo tutti dall’islam o saremo tutti sottomessi all’islam

Magdi-C-Allam

La decisione di riconvertire la Cattedrale di Santa Sofia a moschea è la parabola della fine del cristianesimo e della vittoria dell’islam nel nostro Mondo in preda alla decadenza della civiltà laica e liberale. È successo in passato quando i musulmani hanno imposto con la violenza il loro potere sulle popolazioni cristiane nel Mediterraneo.
Succede ora sia nei territori dove i musulmani sono diventati la maggioranza della popolazione sia in un’Europa scristianizzata dove gli stessi cristiani vendono le chiese ai musulmani per trasformarle in moschee.

Succederà sempre più in futuro ovunque nell’Occidente formalmente civilizzato ma sostanzialmente sottomesso, vittima del relativismo che ha legittimato l’islam a prescindere dalla sua incompatibilità con le leggi, le regole e i valori di uno Stato di diritto e democratico, precipitato nel baratro dell’odio di se stesso concependosi come l’incarnazione di tutti i mali del mondo, razzismo, schiavismo, colonialismo e totalitarismo, da espiare mettendosi in ginocchio e cancellando la propria Storia.

La Cattedrale di Santa Sofia è l’emblema della fragilità del cristianesimo e dell’aggressività dell’islam. Costruita nel 537 per volere dell’imperatore Giustiniano e della moglie Teodora che desideravano farne la più grande chiesa del mondo, fu contesa dalle Chiese cristiane.

Gestita prima dalla Chiesa greco-cattolica, poi dalla Chiesa ortodossa che la trasformò in sede del Patriarcato di Costantinopoli, mentre dal 1204 al 1261 i crociati la trasformarono in una cattedrale cattolica di rito romano.
Il 29 maggio 1453, dopo la presa di Costantinopoli da parte delle truppe islamiche ottomane e la fine dell’Impero Romano d’Oriente, il Sultano Mehmet II, Maometto II, detto “Al Fatih”, Il Conquistatore”, trasformò la Cattedrale di Santa Sofia in una moschea con l’aggiunta dei 4 minareti.

Il primo febbraio 1935 per volere di Mustafa Kemal Ataturk, il “Padre della Patria”, fondatore della Repubblica della Turchia su basi laiche, la Cattedrale di Santa Sofia divenne un museo.
Il 10 luglio 2020 il Presidente Erdogan con un decreto presidenziale ha riconvertito la Cattedrale di Santa Sofia a moschea. La decisione di Erdogan è arrivata appena un’ora dopo il verdetto con cui il Consiglio di Stato turco ha annullato il decreto del 24 novembre 1934 di Ataturk che trasformava la Cattedrale di Santa Sofia in un museo. Erdogan ha detto che questa decisione è un “diritto sovrano” della Turchia ed è già stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.
Debole la denuncia della Chiesa ortodossa e ancor più tiepide le reazioni dell’Unesco, che ha inserito la Cattedrale di Santa Sofia tra il patrimonio dell’umanità, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Finora non ci sono reazioni della Chiesa cattolica.

Il protagonista della riconversione di un luogo di culto cristiano fortemente rilevante trattandosi di una delle Cattedrali più antiche, più grandi e più visitate al mondo, è un musulmano considerato moderato. Erdogan non è considerato un terrorista o un estremista.

La Turchia è formalmente uno Stato laico e democratico, fa parte della Nato, del Consiglio d’Europa e vuole aderire all’Unione Europea. Eppure Erdogan è l’artefice della reislamizzazione della Turchia, promuove la riesumazione del Califfato islamico turco-ottomano anche con interventi militari in Siria, Iraq, Somalia, Libia e Qatar, è tra i più accesi finanziatori della proliferazione delle moschee in Europa e altrove nel mondo. Ed è lo stesso Erdogan che nega l’esistenza di un “islam moderato” sostenendo che “l’islam è l’islam”.

Stiamo toccando con mano la decadenza della nostra civiltà. La causa è la nostra fragilità. Come già accadde con l’Impero Romano d’Occidente, l’Europa laica e liberale sta collassando non per la forza degli islamici o dei cinesi, ma per la propria intrinseca debolezza. Siamo a un passo dalla morte non per omicidio ma per suicidio.

È arrivato il momento di riscattarci per salvaguardare il nostro inalienabile diritto alla vita, alla dignità e alla libertà.

Nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio umano di mettere fuori legge l’islam come religione dentro casa nostra, all’interno del nostro Stato nazionale, esercitando la nostra legittima sovranità, per preservare noi stessi e la nostra civiltà laica e liberale. Non vogliamo fare la guerra ai musulmani o all’islam nel mondo, chi vuole praticare l’islam a casa sua è libero di farlo, ma abbiamo il diritto e il dovere di difendere la nostra civiltà sia dai terroristi e estremisti islamici, sia dai “musulmani moderati” alla Erdogan.

Anche gli italiani e gli europei che legittimamente la pensano diversamente da me, sappiano che siamo tutti sulla stessa barca: o ci liberiamo tutti dall’islam o saremo tutti sottomessi all’islam. E dobbiamo agire subito. Il tempo non è dalla nostra parte.



Cacciare la Turchia dalla NATO? – Analisi Difesa
Giuseppe Cucchi
15 luglio 2020


https://www.analisidifesa.it/2020/07/ca ... alla-nato/

Cacciare la Turchia dalla NATO è indubbiamente una tentazione che si fa di giorno in giorno più incalzante, alimentata dal modo in cui il Paese anatolico, e soprattutto il suo “uomo forte” procedono sulla scena della politica internazionale, del tutto indifferenti al danno o al fastidio che alcuni dei loro atti possono provocare a quelli che – almeno in teoria – sono ancora formalmente loro alleati a tutti gli effetti.

Sono ormai parecchi anni che le cose procedono in questo modo e che l’Alleanza è sottoposta da Ankara a continue provocazioni e ricatti. Per non parlare poi di quelli che, pur senza interessare direttamente il Patto Atlantico, feriscono tuttavia o il suo pilastro europeo o quello di oltre Oceano.

Così gli Stati Uniti si sono visti negare in più occasioni l’uso di basi che pure in alcuni momenti sarebbero risultate preziose. Un rifiuto, tra l’altro, che in alcuni casi si è anche chiaramente configurato come un sostegno indiretto fornito da Erdogan a regimi o movimenti islamici estremisti.

Così l’Unione Europea è stata e rimane costantemente sottoposta al ricatto dei profughi-migranti che ha avuto il torto di accettare la prima volta invece di sigillare ermeticamente le proprie frontiere e mandare al diavolo chi proponeva il baratto. Ed in materia di ricatti si sa che chi cede una volta…..

Così l’intero Occidente ha dovuto accettare prima che Ankara si crogiolasse con l’ISIS in una apparente neutralità che in molte occasioni sconfinava in aperta complicità, poi che essa attaccasse, oltretutto servendosi per buona parte di milizie irregolari legate all’estremismo islamico, quei curdi che erano stati i nostri migliori alleati nel crogiolo medio orientale.

Turchi AfrinCosì una serie di decisioni unilaterali di Ankara ha portato il disordine nelle acque mediterranee, cambiato le carte sul tavolo in Libia, ridato fiato ad una “Fratellanza Musulmana” che si sperava ridotta agli estremi e, ultimamente, restituito alla condizione di moschea la chiesa di Santa Sofia ad Istanbul, nonostante ciò potesse suonare come uno schiaffo deliberatamente inflitto all’intero ecumene cattolico ed ortodosso.

Quanto all’Alleanza Atlantica poi, essa è stata direttamente ferita dalla decisione di Erdogan di acquistare armamenti controaerei e reattori nucleari in Russia, una decisione su cui il Presidente turco non ha più acconsentito a ritornare nonostante gli sia costata il blocco della prevista fornitura statunitense di aerei F-35.

Ce ne è abbastanza per iniziare a considerare la Turchia non più come un fedele alleato, come essa era vista ai tempi di quel controllo militare sul paese di fronte a cui le nostre democrazie storcevano il naso incapaci di rendersi conto della sua funzione di estrema garanzia, bensì come un pericolo immanente, un costante elemento di destabilizzazione per tutta quella area mediterranea che per la NATO è di estremo interesse?

Certamente sì, e sarebbe a questo punto anche il caso di chiederci che cosa ci stia a fare un membro di questo genere in seno ad una Alleanza che dovrebbe essere il faro della sicurezza, della stabilità e della democrazia in tutta l’area Nord Atlantica.

Oltretutto lo status di membro della Turchia potrebbe permetterle , in un domani che si spera resti ipotetico, di paralizzare qualsiasi eventuale azione dell’Alleanza che risulti non di suo gradimento .
Non sembra comunque che l’urgenza del problema di che cosa fare di questo alleato a dir poco scomodo sia sentita come tale dai vertici della NATO che sino ad oggi, probabilmente procedendo su una linea condivisa con il “Grande Fratello” americano, si sono rifiutati di iniziare qualsiasi discussione anche informale al riguardo.

ESL a Afrin EPAA chi poneva dall’esterno la domanda sono state cosi opposte costantemente le medesime due obiezioni. La prima, di carattere formale, consiste nel fatto che il Trattato del Nord Atlantico, pur prevedendo esplicitamente il caso e la procedura per il ritiro volontario di un membro dall’Alleanza, non si esprime invece sull’eventualità che esso venga invitato, o costretto, ad andarsene dalla volontà congiunta di tutti gli altri associati.

Quello che non viene mai indicato è però come un altro articolo sancisca come basterebbe la richiesta di un solo partner per aprire la via ad una eventuale revisione che consenta di rimediare alla mancanza.
La seconda obiezione, di carattere storico/pratico questa volta, è centrata poi sul modo in cui, anche nei momenti più delicati della sua e della loro storia, la NATO non abbia mai considerato provvedimenti tanto drastici nei riguardi dei propri membri.

Al massimo essa si è limitata ad applicare nei loro confronti quella specie di “periodo di quarantena” non dichiarato che nella pratica, anche se non formalmente, li escludeva dalle maggiori decisioni.
Si trattò di un provvedimento che venne a suo tempo utilizzato verso la “Grecia dei Colonnelli”, verso il “Portogallo della rivoluzione dei garofani ” ed anche nei riguardi dell’Italia, per lo meno nel 1976 allorché sembrava che il PCI di Berlinguer potesse diventare maggioritario nel nostro paese.

Anche qui vi è comunque qualcosa che non viene detto esplicitamente. La quarantena dei reprobi di turno fu resa infatti possibile da una silente approvazione del provvedimento da parte degli interessati che trovarono più conveniente tacere e continuare a rimanere membri piuttosto che finire col rischiare di mettere in discussione la loro appartenenza alla Alleanza, con tutto ciò che da tale condizione derivava.

Non sembra che in questo momento tale sia il caso nè della Turchia ne’ del Presidente Erdogan che ne è l’espressione pubblica di vertice. Basta far mente locale alla feroce arroganza con cui egli ha definito “intromissione negli affari interni turchi ” le civili proteste di buona parte del mondo nei riguardi della trasformazione in moschea di Santa Sofia per rendersi infatti conto di come Ankara reagirebbe nel vedersi silenziosamente esclusa dai giochi maggiori della Alleanza.

Cosa fare allora? E per quanto continuare a sopportare un rosario di eventi e di forzature collegate l’una all’altra che ricorda molto tanto nel modo, quanto negli effetti, quanto infine nell’impatto sulla opinione pubblica occidentale quello che fu il comportamento delle grandi dittature europee negli anni Trenta del secolo scorso?

Certo, perdere la Turchia significherebbe lasciare quasi sguarnito il fianco sud-est della nostra Alleanza e ciò potrebbe rivelarsi poco prudente, almeno sino a quando rimarranno aperti con la Russia i vari contenziosi in atto.

Vi è però da considerare come, se non agiamo noi tempestivamente, domani potrebbe essere proprio la Turchia a decidere di andarsene.

Basterebbe che il suo Presidente valutasse l’uscita dalla Alleanza come una mossa capace di rendergli parte di quel sostegno popolare che la caduta dell’economia sta facendogli perdere. E magari ad una mossa del genere potrebbe anche essere associata una politica di maggiore e più muscolosa presenza in tutta quella “dorsale verde” Islamica che attraversa il sud est dei Balcani.

Se ciò dovesse avvenire il vantaggio della iniziativa sarebbe tutto dalla sua parte e noi saremmo ridotti ad una difensiva che, oltretutto, il numero troppo alto dei membri ed i troppi interessi parziali da salvaguardare della Alleanza renderebbero particolarmente difficoltosa .

Vogliamo che ciò accada? Pensiamoci bene ed evitiamo soprattutto di rifugiarci come al solito in una non decisione. Come diceva Andreotti, che in politica internazionale aveva le idee molto chiare, vi sono infatti momenti storici in cui ciò che viene gabellato come una non decisione consiste in realtà in una decisione ben precisa!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:53 pm

L'Egitto manda l'esercito in Libia si rischia la guerra con la Turchia
Chiara Clausi - Mar, 21/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 78568.html

Al Sisi deciso a intervenire al fianco di Haftar per fermare l'avanzata di Serraj, appoggiato da Erdogan

Tensioni alle stelle in Libia dopo il voto del parlamento egiziano che autorizza il presidente Abdel Fattah Al-Sisi a schierare truppe nella vicina Libia se le forze appoggiate dalla Turchia a Tripoli si prepareranno a riconquistare Sirte, città strategica sulla costa.

Sempre nella giornata di ieri Al-Sisi e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno avuto una telefonata allo scopo di evitare un'escalation, e mantenere il cessate il fuoco. Il presidente egiziano aveva però avvertito a giugno che qualsiasi attacco a Sirte o all'aria di Jufra avrebbe spinto il Cairo ad intervenire, per proteggere il suo confine occidentale. Nel frattempo anche il parlamento libico con base nell'est del Paese ha esortato Al-Sisi a inviare truppe in suo aiuto.

Un intervento egiziano però destabilizzerebbe il Paese. La Libia fa gola a potenze straniere perché ricco di petrolio, ma il rischio è che i due alleati statunitensi - Turchia ed Egitto - potrebbero andare verso un confronto diretto. E sarebbe il caos. Però l'esito del voto, previsto per domenica, poi rimandato a ieri era scontato. La Camera egiziana infatti è dominata dai sostenitori del presidente, che governa con pugno di ferro il Paese. Anche se c'erano già stati segnali sulle intenzioni di Al-Sisi. La scorsa settimana il presidente ha ospitato dozzine di capi tribali fedeli a Haftar al Cairo, dove ha ripetuto che l'Egitto «non rimarrà pigramente di fronte a mosse che rappresentano una minaccia diretta alla sua sicurezza».

Ma nel conflitto libico ci sono anche altri attori, ed è diventato una guerra per procura regionale. Le potenze straniere hanno trasferito armi e mercenari nel Paese. Il caos è scoppiato da quando nel 2011 una rivolta sostenuta dalla Nato ha rovesciato il dittatore Muammar Gheddafi poi ucciso.

Il Paese è ora diviso tra un governo a est, alleato del comandante militare Khalifa Haftar e uno a Tripoli, a ovest, sostenuto dalle Nazioni Unite. Haftar è sostenuto oltre che dall'Egitto anche dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Russia, mentre oltre alla Turchia, le forze di Tripoli sono appoggiate anche dal Qatar e dall'Italia. Gli Stati Uniti sono invece più attenti alla crescente influenza di Mosca. Centinaia di mercenari russi della compagnia Wagner hanno infatti appoggiato un tentativo delle forze di Haftar di catturare Tripoli.

Haftar e i suoi hanno lanciato l'offensiva nell'aprile dello scorso anno, ma si sono fermati alla periferia della città. Il mese scorso l'avanzata ha subito una battuta d'arresto da quando le forze alleate di Tripoli, con il sostegno turco, hanno preso il sopravvento. Ora la partita si giocherà a Sirte, una città-simbolo, luogo di nascita di Gheddafi. Ma Sirte è importante anche perché aprirebbe la porta alle forze sostenute dalla Turchia per spingersi ancora più a est, riprendersi così il Paese, e controllare le installazioni di petrolio, vitali, ora sotto il controllo di Haftar.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:53 pm

L'ARGINE MANCANTE
Niram Ferretti
21 luglio 2020
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il rais turco Erdogan procede impunito nelle sue operazioni, senza che nessuno gli metta i bastoni tra le ruote. Nè l'Europa, che politicamente non è in grado di contrapporgli nulla, nè gli Stati Uniti che si girano dall'altra parte.

Nel quarantaseiesimo anno dell'occupazione illegale di una parte di Cipro Erdogan costringe un caccia greco vicino all'isola greca di Castelrosso ad allontanarsi "dal territorio turco".

La Grecia arretra. Erdogan no. Cipro è stata colonizzata dai turchi nel 1974. Sull'isola ci sono 40,000 militari turchi in pianta stabile. L'ingresso di Cipro nella UE nel 2004 non è servito a nulla.

Ora Erdogan, dopo avere rislamizzato Santa Sofia, dichiara, con una sfrontatezza pari alla sua arroganza, che i greci ciprioti devono riconoscere ai turchi ciprioti uno statuto di parità.

Nel frattempo estende i suoi tentacoli sopra il mar Rosso. La ricostruzione sull'isola sudanese di Suakin dell'antico porto ottomano è il prezzo che il governo sudanese paga alla Turchia per il suo copioso investimento in infrastrutture.

In Somalia c'è un'altra imponete base militare turca. La Turchia è presente in Siria e in Iraq e in Libia e non fa mistero di volersi porsi come guida del mondo islamico sunnita.

Si è creduto, illudendosi alla grande, che il mondo post bellico, quello emerso dall'ultima grande guerra, potesse mantenere l'equilibrio e l'ordine unicamente sulla base dei trattati e delle istituzioni sovranazionali, respingendo per sempre nel passato l'uso della forza.

Tuttavia, senza la minaccia concreta della forza nei confronti di chi la usa vedendo che nessuno lo contrasta, gli Erdogan avranno gioco facile.

Come scriveva Machiavelli nell'immortale "Il Principe":

“Li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare che uno che si facci temere; perché l'amore è tenuto da uno vincolo di obbligo, il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto: ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai.”
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Re: No alla Turchia nazi maomettana nella UE

Messaggioda Berto » dom ago 23, 2020 9:53 pm

Così parlava Ataturk :

« Per quasi cinquecento anni, queste regole e teorie di un vecchio arabo(MAOMETTO ) e le interpretazioni di generazioni di religiosi pigri e buoni a nulla hanno deciso il diritto civile e penale della Turchia. Loro hanno deciso quale forma dovesse avere la Costituzione, i dettagli della vita di ciascun turco, cosa dovesse mangiare, l’ora della sveglia e del riposo, la forma dei suoi vestiti, la routine della moglie che ha partorito i suoi figli, cosa ha imparato a scuola, i suoi costumi, i suoi pensieri e anche le sue abitudini più intime. L’Islam, questa teologia di un arabo immorale, è una cosa morta. Forse poteva andare bene alle tribù del deserto, ma non è adatto a uno Stato moderno e progressista. La rivelazione di Dio! Non c’è alcun Dio! Ci sono solo le catene con cui preti e cattivi governanti inchiodano al suolo le persone. Un governante che abbisogna della religione è un debole. E nessun debole dovrebbe mai governare. »
(Mustafa Kemal )


Alberto Pento
Parlava più che bene. Su Dio aveva ragione e torto in sieme, nel senso che Dio c'è ma non è quello delle religioni tanto meno quello dell'invasato e bugiardo idolatra Maometto, Allah era ed è solo un idolo e non certo Dio.
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