L'Ouropa fiłoxlamega e antisemita ła boicota Ixraełe, mi no!

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Messaggioda Berto » dom gen 10, 2016 11:17 pm

El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo
viewtopic.php?f=197&t=2124

Canan, Pałestina, Judea, Ixrael
viewtopic.php?f=197&t=2075

Jeruxałeme (Gerusalemme) ebrea, cristiana e musulmana
viewtopic.php?f=197&t=2128

Immagine
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ ... _image.JPG
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Messaggioda Berto » dom gen 10, 2016 11:20 pm

Rasixmo contro łi ebrei
viewtopic.php?f=25&t=1413


Le ensemense só e contro łi ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2178


Łi sasini de l’ebreo Cristo - I romani
viewtopic.php?f=176&t=342
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dtS1k/edit

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Messaggioda Berto » sab feb 13, 2016 11:33 am

Basta finansiar el terorixmo arabo ixlamego pałestinexe antiebreo
viewtopic.php?f=196&t=2193

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... %C3%A0.jpg


Ixrael on paradixo de łebertà anca par arabi e musulmani
viewtopic.php?f=197&t=2208
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Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 9:08 am

Il capolavoro dei boicottatori d’Israele
Quei geni della campagna BDS hanno fatto perdere il lavoro a 500 palestinesi e cancellato un’autentica esperienza di pace e di progresso


http://www.israele.net/il-capolavoro-de ... i-disraele

Due anni fa, Times di Israel publicava un servizio sulla fabbrica SodaStream nella zona industriale di Mishor Adumim (poco a est di Gerusalemme, in Cisgiordania), dove l’azienda israeliana di bevande gassate impiegava 1.300 lavoratori: 350 ebrei israeliani, 450 arabi israeliani e 500 arabi palestinesi di Cisgiordania. Direzione e dipendenti confermavano al nostro giornalista che le paghe e i benefit erano identici per tutti i lavoratori, a parità di mansioni, indipendentemente dalla loro cittadinanza e appartenenza etnica. Titolammo quel pezzo: “Alla SodaStream i palestinesi sperano che la loro bolla non scoppi”. Lunedì scorso è scoppiata.

Lunedì scorso, a malincuore, SodaStream ha annunciato che deve licenziare i suoi ultimi 75 lavoratori palestinesi non essendo riuscita a ottenere dalle autorità di sicurezza i necessari permessi per farli venire a lavorare nel nuovo stabilimento di Lehavim, costruito nella località beduina di Rahat (Israele meridionale). Infatti, a causa delle fortissime pressioni esercitate dai gruppi per il boicottaggio anti-Israele, che lanciarono una feroce campagna internazionale contro la SodaStream e la sua testimonial Scarlett Johansson, lo scorso ottobre l’azienda ha dovuto chiudere l’impianto di Mishor Adumim, colpevole di trovarsi alcuni chilometri al di là della Linea Verde (la ex linea armistiziale in vigore tra Israele e Giordania nel periodo 1949-’67): dunque in territorio “occupato”.

Risultato: centinaia di palestinesi che lavoravano in condizioni eque (e certamente migliori di quelle normalmente in vigore sotto l’Autorità Palestinese) per conto di una corretta azienda israeliana, ora sono senza lavoro.

Fino all’ultimo SodaStream ha cercato di convincere le autorità di sicurezza, garantendo che quest’ultimo gruppo di lavoratori palestinesi non poneva rischi per l’incolumità dei cittadini israeliani. Non è bastato. E non c’è da stupirsi troppo, nell’attuale clima di violenza. Sabato scorso, in un centro commerciale di Ma’ale Adumim, a 10 minuti di auto dalla ex stabilimento SodaStream, un giovane palestinese ha brutalmente aggredito a sangue freddo un guardiano non armato, Tzvika Cohen, riducendolo in fin di vita a colpi di accetta. L’aggressore lavorava in quel centro commerciale con un regolare permesso, e conosceva personalmente la sua vittima. (Per la cronaca, l’amministratore delegato di SodaStream, Daniel Birnbaum, ha usato parole molto dure, lunedì, per criticare il mancato rilascio dei permessi da parte delle autorità israeliane.)

I fautori del boicottaggio (la cosiddetta campagna BDS: boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) sostengono di agire nell’interesse dei palestinesi. E’ assai improbabile che le centinaia di ex dipendenti palestinesi di SodaStream, ora disoccupati, la vedono allo stesso modo.

Nella fabbrica SodaStream di Mishor Adumim, giorno dopo giorno, senza fare notizia, senza che nessuno se ne accorgesse, venivano infranti stereotipi e si costruiva la convivenza. Ebrei e arabi lavoravano gomito a gomito, con uguali contratti, e potevano mantenere le rispettive famiglie in modo onesto e dignitoso. Quella fabbrica incarnava la promessa di un futuro migliore per entrambe le parti. Chissà quante altre imprese avrebbe potuto ispirare: evidentemente un esempio intollerabile.

I boicottatori, in sinergia coi terroristi, sono riusciti a fare a pezzi quella realtà e quella promessa. Da lunedì, a differenza dei dipendenti israeliani (arabi ed ebrei), i dipendenti arabi palestinesi sono senza lavoro. Che sfida sarà ora, per loro, sfamare le famiglie e mantenere i loro figli al sicuro, evitando che soccombano alle sirene dell’odio e della violenza.

Gran bel capolavoro davvero, cari boicottatori! Una grande vittoria per la Palestina! Un grande passo avanti verso… Mah! dite voi che che cosa…

(Da: Times of Israel, israele.net, 29.2.16)
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Messaggioda Berto » ven mar 04, 2016 7:45 am

IL PARLAMENTO CANADESE HA APPROVATO UNA MOZIONE CHE CONDANNA FORMALMENTE IL BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele).

https://www.facebook.com/noicheamiamoisraele
https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 6296833100

Il Parlamento canadese ha approvato una bozza di risoluzione che invita il governo a condannare qualsiasi tentativo da parte di individui o gruppi canadesi che promuovono il boicottaggio o le sanzioni contro Israele.

La decisione è stata approvata a larga maggioranza da 229 sostenitori, tra cui il primo ministro Justin Trudeau, contro 51 avversari.

La mozione spiega che il movimento BDS "promuove la demonizzazione e delegittimazione dello Stato di Israele". Parlando a favore della mozione la scorsa settimana, il ministro degli esteri Stephane Dion ,ha detto che "il mondo non vincerà nulla boicottando Israele, ma si privera' solo dei talenti della sua inventiva."

Grazie Canada!
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Messaggioda Berto » ven mar 04, 2016 7:46 am

In Gran Bretagna sarà reato boicottare i prodotti israeliani
Il governo di David Cameron si prepara a mettere al bando il boicottaggio di beni e servizi di Tel Aviv. Proteste della società civile e dei laburisti: "Il governo impone le sue politiche anche agli enti locali"
Giovanni Masini - Lun, 15/02/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/gra ... 24862.html

Boicottare i prodotti israeliani diventerà reato penale: lo avrebbe deciso il governo britannico, secondo le indiscrezioni che stanno trapelando in queste ore sulla stampa britannica ed israeliana.

Nel dettaglio, la discriminazione contro i prodotti di Tel Aviv sarà vietata per tutti quegli enti pubblici, gli organi amministrativi locali e perfino quelle associazioni di studenti universitari che ricevono finanziamenti pubblici. Secondo fonti governative, la scelta di non acquistare o di favorire attivamente il boicottaggio di beni e servizi israeliani potrebbe "minare le relazioni tra comunità, avvelenare e polarizzare il dibattito ed alimentare l'antisemitismo".

La campagna di boicottaggio, rivolta soprattutto contro i prodotti di aziende coinvolte nel commercio di armi, carburanti fossili e tabacco, ha conosciuto grande successo in tutta la Gran Bretagna, con adesioni che hanno avuto del clamoroso. Nel 2014, ad esempio, il consiglio comunale della città di Leicester - dove oltre il 15% della popolazione è di fede musulmana - aveva messo al bando tutti i prodotti "made in Israel".

La decisione del governo, però, ha incontrato le critiche durissime delle associazioni che aderiscono al boicottaggio e del partito laburista. Il leader dei labour, Jeremy Corbyn ha criticato la decisione di Downing Street spiegando che "i cittadini hanno il diritto di eleggere rappresentanze locali in grado di prendere decisioni autonome dalle scelte del governo centrale, comprese quelle che riguardano gli investimenti o l'acquisto di beni e servizi considerati non etici."

"Il bando che il governo di Londra si prepara ad approvare - conclude Corbyn - avrebbe messo fuori legge tutte le proteste della società civile contro il Sudafrica dell'apartheid. Il governo impone le politiche del Partito conservatore agli organi amministrativi locali."

Secondo il quotidiano londinese The Independent, l'annuncio formale della nuova misura di legge verrà ufficializzato in settimana durante la visita in Israele di Matt Hancock, ministro per il Cabinet Office di David Cameron.
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Messaggioda Berto » ven mar 04, 2016 7:52 am

https://www.facebook.com/ClaudioSecondoCarpentieri

Anche la camera alta del parlamento statale dell'Indiana ha approvato a stragrande maggioranza - 47 membri su 50 - una risoluzione (bipartisan) che proibisce ad ogni entità pubblica, o comunque finanziata dallo Stato, di aderire alla campagna del famigerato movimento antisemita BDS contro Israele, senza una chiara e preventiva autorizzazione legale dello Stato stesso: un altro colpo assestato alle canaglie antisemite del suddetto BDS.


Indiana passes bill banning anti-Israel boycotts
By JTA

http://www.timesofisrael.com/indiana-pa ... l-boycotts

WASHINGTON — The Indiana Senate overwhelmingly approved a bill banning state dealings with entities that boycott Israel or its settlements.

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The bill approved 47-3 on Tuesday, with bipartisan backing, defines “the promotion of activities to boycott, divest from, or sanction Israel” as meeting the standard of “extraordinary circumstances” necessary under state law to mandate divestment from a company.

The state House of Representatives passed the measure in January. Gov. Mike Pence, a Republican who was a pro-Israel leader when he was in the US Congress, is expected to sign the bill into law.

“This will place Indiana among the select vanguard of states that have publicly defended the Jewish State of Israel using proactive legislation,” said a statement Wednesday by the Jewish Affairs Committee of Indiana, which led the lobbying effort for the bill.
Prime Minister Benjamin Netanyahu (R) meets with US Indiana Governor Mike Pence in Netanyahu's office in Jerusalem on December 29, 2014. (screen capture: Facebook/The Prime Minister of Israel/GPO)

Prime Minister Benjamin Netanyahu (R) meets with US Indiana Governor Mike Pence in Jerusalem on December 29, 2014. (screen capture: Facebook/The Prime Minister of Israel/GPO)

The bill includes in its definition “territories controlled by the Jewish State of Israel,” effectively including any bid to boycott settlements in its purview.

It is one of over 20 bills that have passed or are under consideration in state legislatures that would counter the BDS movement; not all include language targeting settlements. The Obama administration has said that while it will continue to oppose efforts to boycott Israel, it will not oppose bids that specifically target settlements.

The businesses defined in the bill include commercial enterprises and nonprofit organizations, which would mean that the bill, once enacted, would apply to universities. The Boycott, Divestment and Sanctions, or BDS, movement has focused its efforts on campuses and scholarly associations.

Funds that would be mandated to divest from businesses that boycott Israel include the retirement funds of teachers and public employees.
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Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 4:16 am

Un pericolo per la democrazia
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
06.03.2016

http://www.informazionecorretta.com/mai ... g.facebook

Cari amici,

come certamente avete letto nei giorni scorsi su Informazione Corretta, se non direttamente sui giornali, il prof. Angelo Panebianco è stato oggetto di aggressioni (nel gergo eufemistico dell’ultrasinistra, ormai passato sui giornali: contestazioni) mentre teneva lezione. Alcuni giovanotti dei “centri sociali” hanno deciso che, non essendo i contenuti politici dei suoi articoli (pubblicati fra l’altro dal “Corriere della Sera”, non dal giornale del Ku Klux Klan) gradevoli ai loro occhi, il docente non aveva diritto di far lezione. Che le lezioni avessero tutt’altro argomento, scientifico e non politico; che in Italia, per nostra fortuna, a differenza che in Cina, a Cuba, in Iran o nei paesi arabi viga la libertà di opinione; che le lezioni universitarie siano un pubblico servizio e un dovere per il docente e che quindi esse non possano essere interrotte senza commettere un grave abuso ai danni degli studenti e del regolare funzionamento di un’istituzione pubblica – di tutto questo ai giovanotti non interessa nulla – anzi per dirla nel gergo fascista che corrisponde alle loro posizioni, non gliene frega niente. Il rettore e gli organi accademici di Bologna hanno condannato la “contestazione”, i colleghi e i giornali hanno espresso solidarietà (anche noi l’abbiamo fatto e lo ripetiamo, ma non è stata affatto punita né impedita la violazione della libertà di tutti da parte di un manipolo di persone che fra l’altro hanno base in un’aula “occupata” - cioè diciamolo: sottoposta ad appropriazione indebita, che è un altro grave reato, concretamente sottratta con la forza all’uso collettivo e istituzionale per servire a pochi facinorosi). Quel che la polizia ha potuto fare è assegnare al prof. Panebianco una scorta per fare lezione, cioè dei poliziotti che invece di sorvegliare quello che fanno i delinquenti, scortano la parte lesa.

A Torino, all’entrata della mia università, è comparso un lenzuolo su cui era scritto in vernice rossa: “vergogna Panebianco”: assurda inversione della realtà. Gli autori sono presumibilmente gli stessi che hanno compiuto un gesto tutto sommato analogo. Avevano chiesto un’aula per fare propaganda (antidemocratica nella mancanza di contraddittori, antieducativa nei contenuti antisemiti) a favore del boicottaggio del Politecnico di Haifa (il “Technion”), con il ridicolo pretesto menzognero che esso, una delle università più aperte del mondo promuoverebbe l’”apartheid”, e aiuterebbe con le sue ricerche i cittadini israeliani a difendersi dalla mattanza dei terroristi (perché per questi fior di sedicenti “democratici” e “antifascisti”, ma in realtà nipotini di Hitler, uccidere gli ebrei non è un reato). Ne abbiamo abbondantemente parlato. L’Università ha giustamente rifiutato la concessione dell’aula, che cosa è successo allora? Che i boicottatori hanno “occupato” l’aula (cioè di nuovo hanno commesso un reato appropriandosi di un bene pubblico) e hanno tenuto l’incontro diffondendo le loro tesi deliranti. Fra l’altro non consta che abbiano sfondato la porta, l’hanno aperta con chiavi che qualcuno ha dato loro o che già possedevano. Sarebbe interessante accertare la circostanza: mi permetto di suggerire alle autorità universitarie di indagare su un punto che non è privo di importanza: i responsabili giuridici di un bene pubblico ne proibiscono un certo uso e vi sono dipendenti che invece lo consentono? Meritano almeno un provvedimento disciplinare. Oppure vi sono dei gruppi esterni all’università che ne hanno le chiavi? C’è un grave problema di tutela dei beni collettivi e della sicurezza pubblica.

In ogni caso lo stato dei fatti è che di nuovo, come negli anni Settanta, le università stanno diventando una riserva di illegalità (o, se vogliamo metterla in termini leninisti, di duplicità di potere). Vi sono degli individui ben identificati che si prendono la libertà di decidere loro chi debba insegnare, a seconda della conformità delle sue idee politiche con le loro; e che possono anche decidere che uso fare degli spazi pubblici, ignorando le decisioni delle autorità legali. Credo che non solo le autorità universitarie, ma i responsabili politici dell’ordine pubblico dovrebbero riflettere su questa situazione. Negli anni Settanta essa fu una delle condizioni che portarono al radicamento del terrorismo e produssero molti lutti. Di nuovo nei paesi europei vi è una minaccia terroristica organizzata; viene prevalentemente da immigrati, anche di seconda e terza generazione; ma le cronache sulla manifestazione torinese riferiscono proprio la presenza di persone del genere.

Il problema, mi ha spiegato qualcuno, è che le forze dell’ordine sono ben consapevoli dei pericoli e fanno il possibile per prevenirli. Ma i responsabili politici (e talvolta anche quelli accademici) non vogliono una difesa puntuale della legalità, preferiscono, per dirla con Manzoni, “sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire.”

È comprensibile, ma c’è di peggio. Molte volte, nelle cronache recenti si è letto di decisioni della magistratura che sembrano garantire più gli autori di reati che coloro che si difendono da essi. Non è solo il caso dell’immigrazione e della richiesta insistente da parte di rappresentanze giudiziarie di eliminare un reato che è stato introdotto per legge e che tutti i sondaggi dimostrano che gli elettori in larga maggioranza vogliono mantenere; ma c’è stata una serie di casi in cui, a quanto ho capito, le leggi sono state interpretate in modo da proteggere i ladri a spese delle loro vittime. C’è stata la guardia giurata di una banca condannata a ripagare i rapinatori, un ex carabiniere condannato per essersi difeso dai ladri con le armi, un ladro che ha chiesto e credo ottenuto i danni per essere stato morso da un cane di guardia essendo entrato in una casa per rubare.

Sono episodi, e io naturalmente non sono in grado di giudicarli. Ma testimoniano di un clima, di un’ideologia che del resto è largamente testimoniata da dichiarazioni pubbliche di vario grado di ufficialità, in cui sembra che la magistratura si ponga il compito di proteggere quelli che ritiene essere i “deboli”, anche al di là delle leggi scritte e soprattutto si consideri una forza “evolutiva” del sistema, detestando la funzione di conservazione del sistema che invece le è assegnata dalla logica e dalla teoria politica. Non bisogna aver letto Hobbes infatti per capire che il patto sociale fondamentale su cui si regge lo stato moderno è quello in cui lo Stato (e per esso la magistratura e le forze dell’ordine) si fa garante ai cittadini del pacifico godimento dei loro diritti e delle loro proprietà. Questa è la base dello stato liberale (non di quello totalitario, socialista o fascista che sia, in cui lo Stato si dà obiettivi suoi e costringe i cittadini a servirlo per questi scopi). Certo nei nostri sistemi politici e di conseguenza giuridici esistono degli elementi di moderazione di questa libertà degli individui, vi è spazio per la redistribuzione dei redditi, il perseguimento di politiche egualitarie, la garanzia di livelli minimi di servizi per tutti. Ed è giusto che sia così. Ma di qui a proteggere coloro che per ragioni politiche o personali si appropriano di beni e diritti altrui, ce ne passa. Ripeto, non sto accusando nessuno e non ho elementi di fatto da discutere sugli episodi che ho citato. Ma è abbastanza chiaro che c’è oggi nel nostro paese e in genere in Occidente un clima politico/giuridico che protegge o almeno “comprende” certe forme di illegalità, soprattutto se praticate da certi gruppi di minoranza politica o sociale.

È un pericolo molto grave per la convivenza civile. L’ho detto molte volte e lo ripeto qui. In Europa l’islamismo (che pratica diffusamente l’illegalità, a partire dall’immigrazione ed è protetto dalla benevola opinione di coloro che vogliono usare le istituzioni per “fare giustizia”) sta provocando una controspinta fascista altrettanto pericolosa. Per cause paradossali che ho spesso discusso e si rifanno a una volontà suicida alla Sansone, il naturale alleato dell’islamismo, che ha una natura fortemente reazionaria, è l’estrema sinistra. Lasciare libero campo a tutti e due e rinunciare a difendere la legalità è una scelta politica pericolosissima, anzi sostanzialmente suicida, che però è praticata largamente dagli ambienti “progressisti” che dominano ideologicamente gli “apparati ideologici di stato”, come scuola, media, politica e anche magistratura. Sarebbe importante che su questo tema si aprisse una discussione. O almeno che ci pensassero coloro che si meravigliano molto della virata dell’opinione pubblica europea verso la destra. Lo stato di diritto, che è una delle grandi realizzazioni della nostra storia, è anche uno stato che rispetta i diritti e obbliga tutti, anche i “contestatori” a rispettarli. Se occorre, con la forza.
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Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 4:21 am

Il fantasma all’opera
Claudio Vercelli
(6 marzo 2016)

http://moked.it/blog/2016/03/06/il-fantasma-allopera

“È vero che i nostri nemici comuni sono la Gran Bretagna e i sovietici, i cui principi sono opposti ai nostri. Ma dietro di essi si nasconde l’ebraismo che guida entrambi e che, in questi due paesi, ha un solo obiettivo. Contro queste due nazioni siamo attualmente impegnati in una battaglia per la vita o per la morte, che non determinerà solo l’esito della lotta tra nazionalsocialismo ed ebraismo; infatti, l’intera condotta di questa guerra vittoriosa sarà di grande e concreto aiuto agli arabi impegnati nella stessa lotta”. Così Hitler a un signore dall’aspetto misurato e dai toni gentili, vestito integralmente con un elegante caffettano nero e un turbante chiaro. Sono le parole che il secondo attribuisce al primo. Chi era Muhammad Husayni-al Amin (o anche Haj Amin-al Husseini e altro ancora, a seconda di come lo si traslitteri e lo si qualifichi)? Il nome è da sempre noto a tutti gli studiosi della politica mediorientale ed in particolare agli storici. Meno conosciuto, invece, lo era al grande pubblico prima che nell’autunno scorso il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo chiamasse direttamente in causa quando, dinanzi ad una platea selezionata, quella del World Zionist Congress, riunitasi a Gerusalemme il 21 settembre scorso, ebbe modo di affermare che: «And this attack and other attacks on the Jewish community in 1920, 1921, 1929, were instigated by a call of the Mufti of Jerusalem Haj Amin al-Husseini, who was later sought for war crimes in the Nuremberg trials because he had a central role in fomenting the final solution. He flew to Berlin. Hitler didn’t want to exterminate the Jews at the time, he wanted to expel the Jews. And Haj Amin al-Husseini went to Hitler and said, “If you expel them, they’ll all come here.” “So what should I do with them?” he asked. He said, “Burn them”». Quanto il ruolo dell’autorità “spirituale” arabo-musulmana sia stato rilevante, se non decisivo, nel percorso di radicalizzazione delle scelte naziste che portarono allo sterminio sistematico delle comunità ebraiche nei territori occupati dalle armate tedesche, è materia di discussione. Che intendesse liberarsi degli ebrei è fatto certo, rivendicato allo spasimo dal medesimo protagonista. Al di là dell’ipoteca storiografica formulata dal primo ministro Netanyahu, rimane il fatto che il politico palestinese fu al medesimo tempo cinque soggetti in uno: un aspro e durissimo esponente del nazionalismo panarabo prima e del nazionalismo palestinese poi, delle cui istanze, spesso contraddittorie tra di loro, si eresse a maggiore esponente nell’area mediorientale, in ciò tuttavia contrastato da altri capi in cerca di visibilità, che finirono con l’oscurarlo e il soppiantarlo quando l’evoluzione del quadro geopolitico e storico lo permise; al medesimo tempo un antagonista del sistema coloniale franco-britannico, dalla cui dissoluzione confidava di cogliere i migliori benefici per la sua parte, ed un estimatore profondo, brutalmente “sincero”, del modello ideologico nazista; un pervicace “antisionista”, la bandiera dietro la quale diede corpo al suo viscerale antisemitismo, identificando l’ebraismo con la “modernità” e quest’ultima con il colonialismo corruttore, oltre che con le peggiori nefandezze dei tempi correnti; un precursore, sia pure atipico dal punto di vista dottrinario (a fronte della modestia della sua produzione intellettuale che, per buona parte, ebbe poco o nulla a che fare con la dottrina e la teologia musulmane), del radicalismo islamista, di cui raccolse e strutturò le istanze politiche che dagli anni Venti in poi venenro definendosi, dandogli corpo e sostanza; il figlio di una delle più importanti famiglie del notabilato arabo, composto dagli Husseini, dai Nusseibeh, dai Khalidi, dai Dajani, dai Nashashibi (suoi acerrimi avversari), fino agli Alauri che componevano, nel loro insieme, la rigida tessitura di una aristocrazia terriera e latifondiaria, basata sul legame verticale e gerarchico tra gli “effendi” (posti ai vertici) e i “fellahim”, il bracciantato rurale. Un legame di vincoli e subalternità apparentemente inamovibili, intrecciate con la disposizione amministrativa dell’Impero ottomano di cui i distretti che componevano l’area della futura Palestina mandataria erano il territorio elettivo di azione dei militanti arabo-islamisti, e che ebbe parte non secondaria nelle dinamiche dello sviluppo del movimento nazionalista locale. Di lui, morto a Beirut nel 1974, dopo un’esistenza tanto pirotecnica quanto sostanzialmente fallimentare sul piano dei risultati politici, rimane la solida immagine di un agitatore indefesso, ostile innanzitutto all’immigrazione ebraica nella Palestina mandataria e poi alla nascita d’Israele. Alla prima e al secondo, in competizione con gli altri esponenti del nazionalismo arabo e poi del panislamismo, andava contrapponendo invece la generazione di uno Stato musulmano, legato all’ipotesi di una “grande Siria”, saltando per più aspetti a piè pari le brutali ma inossidabile logiche della spartizione mandataria attuata con gli accordi segreti Sykes-Picot del 1916, sottoscritti dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Fin qui, peraltro, nulla di nuovo. Ben diverse, invece, sono le liaisons dangereuses, i legami spavaldi e intollerabili, con l’Italia fascista prima e poi, in un comune sentire evidentemente ancora più gratificante di quello velleitariamente offertogli da Roma, con la Germania nazista. Comprovato è il suo sforzo, tra gli altri, per il reclutamento (in parte riuscito, soprattutto in Bosnia) dei musulmani nelle formazioni internazionali delle Waffen-SS; la compromissione con l’Abwehr, l’intelligence militare tedesca; i rapporti con alcuni dei maggiori esponenti delle SS; i due incontri con Hitler, tra il 1941 e il 1942 che, tuttavia, suggellarono soprattutto la dipendenza del Muftì dal secondo. La base comune era l’antisemitismo, ovvero la lotta contro il «giudeo-bolscevismo». Quanto all’apertura di credito che il duce tedesco gli offrì, al di là dell’ovvio gradimento per tutto quanto Husayni-al Amin portava generosamente in “dono” – a partire dalla corresponsabilità nei diversi moti antiebraici succedutisi dal 1921 alla Seconda guerra mondiale, passando per l’avversione nei confronti degli inglesi, continuando con l’adesione all’antisemitismo apocalittico e “redentivo” (Saul Friedländer) di Berlino per giungere, infine, alla concezione dell’identità musulmana come di un totalitarismo ideologico per più aspetti omologo a quello nazista -, la questione non è ancora del tutto risolta sul piano storiografico. Poiché Hitler intrattenne sempre e comunque un rapporto di reciprocità calcolata con un personaggio che, per più aspetti, se da un lato poteva risultare funzionale alla politica mediterranea e araba di Berlino, dall’altro risultava problematico per più di un aspetto riguardo ai progetti di lungo corso nel merito di “nuovo ordine orientale”. Peraltro, il Muftì gerosolimitano, nel suo sgomitare ossessivo, scontava anche la competizione di altri leader arabi e musulmani i quali lo considerarono sempre e comunque una figura di scarso valore. Non è un caso se abbia faticato nell’avanzare nel corso degli studi, di fatto interrompendoli ed assurgendo poi al ruolo spirituale, morale e civile di Muftì in base alla nomina voluta da parte dell’allora Alto commissario britannico per la Palestina mandataria, sir Herbert Samuel (un ebreo, per intenderci), nel 1921, in una rosa di cinque nomi dove Husayni-al Amin risultava non solo tra le figure più deboli ma anche la peggio accreditata dinanzi alla comunità musulmana. Non era infatti né uno “shaykh”, non avendo visto riconosciuta l’autorevolezza che ad altre figure era invece garantita, né un sapiente in materia religiosa, in grado quindi di emanare decisioni tali da imporsi sulla comunità dei credenti. L’unica qualifica corrispostagli con certezza, oltre ad un diploma alla Scuola di amministrazione di Istanbul (cosa ben diversa dai più prestigiosi studi religiosi al Cairo, nei quali non sembra che avesse avuto modo di eccellere), fu quella di “pellegrino”, avendo compiuto nel 1913 il viaggio rituale a La Mecca. Era invece, nella sua apparente debolezza contrattuale (elemento che sicuramente pesò nella decisione di Samuel, convinto di potere integrare un esponente altrimenti sovversivo dentro la ragnatela dei rapporti istituzionali), un elemento affine al radicalismo, poiché la sua maturazione ideologia era avvenuta in qualità di allievo di Rashid Rida (1865-1935), il dominus intellettuale e politico della cosiddetta «rinascita araba», dentro la quale maturarono tutti gli elementi che sarebbero poi stati recepiti e raccolti nel fondamentalismo islamista, dal secondo dopoguerra in poi: l’avversione programmatica contro l’«Occidente»; l’enfatizzazione del Jihad come precetto fondamentale della fede coranica e della prassi dell’uomo pio e praticante; il rimando alla Sharia come fonte primaria (ed unitaria) nella legislazione e nella vita associata; un antisionismo viscerale, che si trasfondeva nell’antisemitismo programmatico, quest’ultimo probabilmente coltivato avendo assistito, e forse anche in qualche modo partecipato, al genocidio degli armeni, nella sua qualità di ufficiale dell’esercito ottomano, stanziato con la sua unità di artiglieria nella città di Smirne fino al 1916. L’adesione alla Fratellanza musulmana, negli stessi tempi della sua fondazione in Egitto, testimonia di questa impostazione di fondo, che rimandando alla visione wahhabita dell’Islam, che predica la “purezza” della terra consacrata attraverso l’espulsione o l’eliminazione dei non credenti, degli apostati, delle stesse minoranze. I fatti successivi, dalla corresponsabilità nei massacri di Hebron (1929) fino alla totale compromissione con la politica dell’Asse tripartito, sono questioni che accompagnano come un’ombra inquietante la fisionomia e il ruolo politico del Muftì gerosolimitano. Fino ai giorni nostri, laddove ci deve confrontare con il suo “lascito”, coltivato da ineffabili nipotini di rigorosa aderenza fondamentalista. Di tutto questo, del ruolo svolto nella realizzazione della «soluzione finale della questione ebraica», delle sue attività postbelliche avremo modi di parlare martedì 8 marzo, dalle ore 20,45, a Milano, presso la Residenza Arzaga, in via Arzaga 1, nell’ambito delle attività promosse dal progetto Kesher, voluto e realizzato, tra gli altri, dalla Comunità ebraica ambrosiana.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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L'Ouropa fiłoxlamega e antisemita ła boicota Ixraełe, mi no

Messaggioda Berto » ven mar 11, 2016 7:05 am

Ruth Dureghello: “Anche Italia si doti di legge anti Bds. E Ue deve capire ruolo di Israele”
Riccardo Ghezzi
8 marzo 2016

http://www.linformale.eu/ruth-dureghell ... di-israele

Due mesi fa, il suo coraggioso discorso diretto a Papa Bergoglio durante la visita di quest’ultimo alla sinagoga di Roma aveva conquistato tutti. “La pace non si conquista con i coltelli” e “Mi sento di poter dire che ebrei e cattolici, a partire da Roma, debbono sforzarsi di trovare assieme soluzioni condivise per combattere i mali del nostro tempo” aveva detto Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma.
La prima donna presidente della comunità ebraica di Roma dopo 2000 anni. Destinata, quindi, a lasciare il segno. Anche per questo abbiamo voluto conoscerla meglio, ringraziandola per aver accettato di rilasciare questa intervista in esclusiva per L’Informale.

Ruth Dureghello, Lei è la prima presidente donna della comunità ebraica di Roma dopo duemila anni di storia. Possiamo considerarlo un successo simbolico anche per il mondo femminile?
Non mi sono mai sentita coinvolta da questa tematica perché sono stata educata alla differenza dei ruoli, credo che la donna sia differente rispetto all’uomo ma non per questo abbia minore importanza nella società. Non credo ci debba essere competizione tra i generi. Con il tempo però, in questi sette mesi alla presidenza della comunità ebraica di Roma ho apprezzato il segnale importante di questa mia nomina. Il fatto che, dopo 2000 anni, la comunità ebraica più antica d’Europa abbia una donna presidente è un importante segnale di come la nostra comunità rispetti certi valori, che sono valori occidentali. Tra questi, appunto, la non discriminazione delle donne.

Anche perché i fatti recenti dimostrano che dove sono in pericolo gli ebrei non sono rispettate neppure le donne. L’Europa e l’Italia stanno facendo abbastanza per tutelare i propri valori?
Il legame effettivamente esiste in molte zone del mondo. Non voglio essere pessimista, ma in Europa e in Italia c’è ancora moltissimo da fare e le statistiche non confortano. Questo è dovuto ad una crescente crisi valoriale che si accompagna alla diffusione di antisemitismo ed anche xenofobia, razzismo, mancanza di rispetto delle donne. Non aiuta di certo la scarsa attenzione, se non strumentalizzazione, delle forze politiche. Da sottolineare come questi disvalori si stiano diffondendo sul web, nel mondo giovanile e nel mondo accademico e universitario.

Giovani e Università, appunto. Nei giorni scorsi su L’Informale abbiamo denunciato la presenza di volantini antisionisti e scritte antisemite all’interno del Campus Einaudi di Torino, ipotizzando che una concausa fosse l’appello al boicottaggio della Technion da parte di alcuni docenti universitari. Cattivi maestri?
Viste le crescenti forze di boicottaggio, credo sia molto importante che l’Italia si doti di una legge anti-Bds come ha fatto la Gran Bretagna. Si deve dare il segnale che il boicottaggio contro Israele sia intollerabile per l’occidente, per ciò che Israele rappresenta fortunatamente anche a detta di buona parte della nostra classe politica. Bisogna innanzitutto veicolare le informazioni in maniera corretta, evitando di credere alle distorsioni di chi lancia appelli al boicottaggio.

Ritiene che il razzismo contro gli ebrei sia più tollerato rispetto ad altre forme di intolleranza, soprattutto da parte di chi dovrebbe condannare ogni forma di discriminazione, come Ong e associazioni umanitarie?
È indubbio che noi siamo gli ebrei di tutto il mondo, in un mondo in cui ciascuno ha i suoi ebrei, per citare Herbert Pagani . A causa del pregiudizio antiebraico, un ebreo italiano o svizzero o svedese è sempre un ebreo, il diverso per eccellenza, e su questo si fonda l’occidente da millenni. L’antisionismo di oggi è un diverso modo per sfogare l’odio contro l’ebreo, un pregiudizio rimasto radicato e non considerato tale neppure da chi difende altre categorie ritenute invece vittime dell’occidente.

In Svezia chi denuncia l’antisemitismo rischia di essere accusato di islamofobia, dalla Francia gli ebrei fuggono perché si sentono più sicuri in Israele. In Italia com’è, a suo parere, la situazione?
Quello della Svezia è un vero paradosso. In Italia la situazione è diversa grazie anche, come già ho detto, alla nostra politica. Il nostro Paese, e sottolineo nostro con orgoglio perché siamo italiani, negli ultimi 30-40 anni ha fatto scelte diverse rispetto a quelle ad esempio della Francia, che si è fatta fagocitare dall’esasperazione dei valori di laicità e tolleranza. Esasperazione che invece ha generato una nuova ondata di antisemitismo.
Per quanto riguarda gli ebrei italiani, è vero che ci sono famiglie che scelgono di trasferirsi in Israele, ma questo perché Israele è sempre una meta ambita a prescindere. I dati parlano di un leggero incremento di ebrei italiani trasferiti in Israele in questi ultimi anni, dovuto però alla crisi economica e non al dilagare di antisemitismo come in Francia.

Diceva del paradosso svedese…
La Svezia, come altri Paesi che si considerano civili, in qualche modo si sta facendo mettere paura da alcune cose. Il paradosso consiste nel fatto che le moderne Svezia e Danimarca hanno decisamente svoltato rispetto al passato anche recente, sembrano lontani i tempi in cui il re di Danimarca, Cristiano X, si appuntava la stella gialla al petto in segno di solidarietà con gli ebrei discriminati e deportati dai nazisti. Oggi Svezia e Danimarca si nascondono e preferiscono gli uni rispetto agli altri.

Preferiscono i musulmani agli ebrei, forse sono scelte elettorali, essendo gli ebrei in netta minoranza?
Gli ebrei sono effettivamente una minoranza per una serie infinita di ragioni. La stessa identità ebraica si trasmette con difficoltà, ed è ancor più impegnativo trasmettere questa identità in paesi con predominanza laica o cristiano-cattolica dove invece gli ebrei potrebbero rappresentare una voce di pluralismo. Pluralismo che non è più garantito se si fanno scelte come quelle svedesi o francesi.

Cosa ne pensa dei rapporti tra Israele e Ue e tra Israele e amministrazione Obama in Usa?
Come presidente della comunità ebraica romana preferisco non entrare nel merito della politica, ma rispondendo da semplice cittadina europea dico che se l’Europa non ha ben chiaro quale sia il ruolo di Israele nel Medio Oriente e nel mondo rischia di trovarsi presto in una grave crisi, non solo di valori. Le prime avvisaglie ci sono già state a Parigi e a Bruxelles, episodi che hanno dimostrato che in Europa si sta perdendo il controllo della situazione.

Torniamo ai fatti interni. La nomina di Fiamma Nirenstein come ambasciatore di Israele in Italia sembra aver creato polemiche e divisioni. Qual è la Sua posizione?
Quella che abbiamo dichiarato sempre: le scelte di Israele sono sempre scelte rappresentative per tutte le comunità ebraiche e per la democrazia.
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