Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi (non è A.Spinelli)

Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » gio mar 24, 2016 12:18 am

Paneuropa di Kalergi

L'Unione Paneuropea o Paneuropa, è un'associazione fondata dall'aristocratico austro-ungarico Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi nel 1922 col nome di Unione Paneuropea Internazionale con l'intento di porre le basi per il conseguimento dell'unità politica ed economica dell'Europa. Fu infatti all'interno di Paneuropa che si adottò per la prima volta l'espressione “Unione europea”.
https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_Paneuropea


Coudenhove-Kalergi elabora un progetto di unificazione federale.

Esso prevede tre tappe:

1. Una cooperazione intergovernativa stretta tra gli stati europei: saranno previsti degli incontri periodici. Le decisioni si prendono all'unanimità in questa fase.
2. Un'unione doganale tra i partecipanti.
3. La fase federale: gli Stati Uniti d'Europa.


Il programma di Kalergi prevede nove punti:

1. È necessario che questa unione sia una confederazione europea con una garanzia reciproca di delegazione legale della sovranità. I governi devono, in altre parole, essere sicuri che la cessione di sovranità avverrà in egual misura per tutte le parti.
2. Per gestire i conflitti tra gli stati membri, sarà necessaria una corte federale europea.
3. Un esercito europeo, un'alleanza militare, che raggruppi contingenti dei diversi paesi, per garantire la pace a livello continentale.
4. Un'unione doganale progressiva.
5. Un'unificazione delle colonie. Sfruttamento a livello europeo.
6. Progetto di moneta unica.
7. Rispetto della diversità delle culture europee e delle molteplici civilizzazioni nazionali.
8. Rispetto e protezione delle minoranze nazionali.
9. Una buona ed efficace collaborazione nel quadro della Società delle nazioni.

Nota:
Al tempo di Kalergi c'erano ancora le colonie, oggi sono scomparse.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 8:19 pm

Questa Europa tecnocratica, sovietica, castuale, ademocratica non è quella sognata, pensata, progettata, voluta da Kalergi.
Nemmeno l'invasione dall'Africa e dall'Asia, l'islamizzazione e il meticciato "etnico e razziale" rientrano nel sogno, nel progetto, nel desiderio e nella volontà di Kalergi.


Questa Europa è una conseguenza dell'opera politica europeista degli stati nazionali europei e delle caste politiche e politicanti che li hanno governati negli ultimi decenni e sono quelle socialiste-comuniste-cristiano cattoliche e protestanti, le social democrazie, le statalocrazie con le loro clientele costituite dalle masse dei cittadini statalizzati e privilegiati.
Anche i ceti e le caste economiche dominanti, le aziende e le banche parassitarie, le multinazionali, la finanza internazionale e le caste clericali hanno dato il loro contributo (per ultimo il Papa Bergoglio).
In tutto ciò Kalergi non c'entra nulla.
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 8:20 pm

Ecco una delle mostruosita che ha generato questa orrenda Europa, che è anche una delle cause della mostruosità dello stato italiano

Manifesto di Ventotene - Per un’Europa libera e unita
Ventotene, agosto 1941
https://it.wikisource.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene

Comunisti, internazicomunisti e dintorni
viewtopic.php?f=176&t=1711

I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587

Utopie demenziali e criminali
viewtopic.php?f=141&t=2593
Utopie che hanno fatto e fanno più male che bene e molto più male del male che pretenderebbero presuntuosamente e arrogantemente di curare.
Totalitarismi maomettano (mussulmano o islamista), comunista (internazicomunista), nazista (fascista e nazista), globalista, idolatria cattolico-ecumenista, ...
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » sab mag 06, 2017 9:29 pm

Spinelli e il Manifesto di Ventotene

Il potere dei Comuni per arrivare all’indipendenza. Prima dell’eliminazione, dovremo creare il sistema da mettere al posto di quello di cui intendiamo disfarci
5 Sep 2016
di ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/il-po ... o-disfarci

I soggetti politici che si organizzano in movimenti o partiti non hanno mai suscitato il nostro entusiasmo. La distinzione semantica movimento/partito non significa nulla se il comportamento e i fini sono analoghi. Né migliore affezione hanno quelle liste civiche che servono da mimetismo ai predetti partiti per confondere gli elettori meno smaliziati. La politica partitocratica, e quindi giacobina o fascistoide, non seleziona i migliori, ma i più avidi, ambiziosi, infidi, cinici e talvolta anche criminali: nel confronto fraterno tra Caino e Abele è sempre Caino che ha la meglio.

Un esempio tra i tanti lo ricaviamo nelle origini del fascismo in Italia, ispirato ai principi enunciati da Benito Mussolini il 23 marzo 1919 all’atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento durante l’adunata di piazza San Sepolcro a Milano. Nati come movimento si trasformarono presto nel Partito Nazionale Fascista (PNF).

A piazza San Sepolcro, il primo intervento programmatico fu di Mussolini che espose a grandi linee in tre punti fondanti del nuovo movimento che furono riassunti così su “Il Popolo d’Italia” del 24 marzo 1919:

L’adunata del 23 marzo rivolge il suo primo saluto e il suo memore e reverente pensiero ai figli d’Italia che sono caduti per la grandezza della Patria e per la libertà del Mondo, ai mutilati e invalidi, a tutti i combattenti, agli ex prigionieri che compirono il loro dovere, e si dichiara pronta a sostenere energicamente le rivendicazioni d’ordine materiale e morale che saran propugnate dalle associazioni dei combattenti.
L’adunata del 23 marzo dichiara di opporsi all’imperialismo degli altri popoli a danno dell’Italia e all’eventuale imperialismo italiano a danno di altri popoli; accetta il postulato supremo della Società delle Nazioni e presuppone l’integrazione di ognuna di esse, integrazione che per quanto riguarda l’Italia deve realizzarsi sulle Alpi e sull’Adriatico colla rivendicazione e annessione di Fiume e della Dalmazia.
L’adunata del 23 marzo impegna i fascisti a sabotare con tutti i mezzi le candidature dei neutralisti di tutti i partiti.

La nota sull’imperialismo fa sorridere considerato che pochi anni dopo il “re fellone” fu dichiarato imperatore d’Etiopia (dal 1936 al 1941; la formale rinuncia al titolo è del 1943). Quanto a: “…all’eventuale imperialismo italiano a danno di altri popoli;” pare che gli etiopi testimonino l’inconsistenza di tale proclama.

Ciò che è più interessante, ai fini del nostro esame, è l’esigenza espressa da Michele Bianchi [ https://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Bianchi ] che perorava la necessità di stabilire a priori dove si voleva andare, che è la cosa, o meglio la mancanza, che da anni noi denunciamo sull’indipendentismo dall’Italia, con particolare riguardo a quello Veneto. Michele Bianchi, infatti, fece l’unico intervento in parte critico della giornata rilevando che: «Tutto ciò che la società attuale contiene di ostacoli per il mantenimento sociale sarà da eliminarsi. Perfettamente d’accordo. Soltanto che, prima ancora dell’eliminazione, dovremo creare l’organismo, il sistema, l’ingranaggio da mettere al posto di quello di cui intendiamo disfarci».

Molti indipendentisti veneti si dichiarano federalisti, ma a parte – ripetiamo – l’inesistenza di un autentico progetto federalista, l’unico che in questi giorni ha manifestato il suo scherno sugli avvenimenti che la cronaca ci propone è stato il toscano Paolo Bonacchi, che ha scritto:

«Visto il baccano che giornali e televisione hanno fatto sulla visita di tre statalisti moderni (Renzi, Merkel, Holland) mi sono riletto interamente per l’occasione, “Il Manifesto di Ventotene, di Altiero Spinelli, con un saggio di Norberto Bobbio”, (Ed. il Mulino, Bologna, 1991). Essendo federalista di lungo corso, tengo a precisare una cosa: nel Manifesto di Ventotene di federalismo non c’è niente. Di conseguenza l’Europa è stata costruita sull’assoluto del niente. Per il resto solo visioni utopiche e contraddittorie dell’organizzazione sociale fino a: “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, ecc. […]” (vedasi p. 52), in perfetta coerenza col pensiero fallimentare marxista e catto-comunista. Non credo ci sia altro da dire».

A questo punto, per gli indipendentisti intellettualmente onesti, diviene sempre più difficile quanto più si ritardi e si improvvisi nell’individuazione corretta dei bisogni da soddisfare e degli interessi da tutelare a livello di “insieme”. I bisogni e gli interessi di una federazione, di una comunità, non coincidono se non a livello teorico con quelli dei singoli componenti l’unione, esattamente come accade nei rapporti tra Stato e cittadini. Ciascun bisogno e ciascun interesse di uno Stato non è la sommatoria dei bisogni e degli interessi dei singoli cittadini. Non lo è né in numero né in qualità, perché sono “personalizzati” in coerenza con la natura di una “persona” che si chiama Stato, che è collettiva, che ha una missione ed una durata diversa da quelle del comune mortale.

Allora, bisogna conoscerli, e a fondo, per decidere quali soddisfare, in quale ordine, con quale intensità, con quali mezzi. Che è il compito primo di qualsiasi comunità, di qualsiasi onesto indipendentista, di qualsiasi Unione o Confederazione. Sarebbe molto bello se in materia di rapporti politici, economici, sociali si potesse contare sulla certezza o anche solo sulla chiarezza, ma spesso non è cosa facile, soprattutto perché ci siamo inventati una politica che è “arte del compromesso”, e un’economia che è “arte del raggiro” a fini di profitto. Piuttosto: qualcuno di noi ha sentito parlare di programmi e di pianificazioni concrete e operative aventi per oggetto il nostro indipendentismo, i soggetti che lo compongono? Un Foedus tra alcuni di questi?

In attesa che questa “Costituente” (chiamiamola così per semplicità) si formi e operi, perché gli attuali movimenti o partiti politici sedicenti indipendentisti non prendono ad esempio l’azione del «Comitato più democrazia», e ne imitano l’azione in ogni ente locale dove hanno un rappresentante, e dove non c’è imitano il Comitato stesso che per sua natura è un ente, previsto dall’ordinamento giuridico italiano, che persegue uno scopo altruistico, generalmente di pubblica utilità, ad opera di una pluralità di persone?

Il testo del documento che alleghiamo (Istanza 2-9-16 Comitato) contiene la sintesi e le giustificazioni di alcune richieste che sono comuni alla quasi totalità degli Enti locali, considerando che gli Statuti comunali – salvo rare eccezioni – altro non sono che la fotocopia “adattata”, della bozza di documento che sin dal 1990 (conseguenza della Legge 142/90) fu elaborata dall’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). Alcuni indipendentisti sostengono che questo sarebbe il miglior modo per dimostrare l’onestà intellettuale. Ma sarebbe anche il miglior modo per indicare all’opinione pubblica cosa sono gli indipendentisti.


Spinelli era un comunista, Kalergi un vero federalista.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... alergi.jpg


Alle origini dell'UE Unione Europea non c'è tanto il comunista italiano Altiero Spinelli e il suo Manifesto di Ventotene; ma c'è il liberale federalista Kalergi, un vero europeo, autore di Paneuropa uscito molto prima del Manifesto di Ventotene



Ecco una delle mostruosita che ha generato questa orrenda Europa, che è anche una delle cause della mostruosità dello stato italiano

Manifesto di Ventotene - Per un’Europa libera e unita
Ventotene, agosto 1941
https://it.wikisource.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » dom mag 07, 2017 6:48 am

Oroupeisti e el Manefesto de Ventotene
viewtopic.php?f=92&t=541

Manifesto di Ventotene - Per un’Europa libera e unita
Ventotene, agosto 1941
https://it.wikisource.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » dom mag 07, 2017 6:49 am

???

Per un’Europa libera e unita - Ventotene, agosto 1941

https://it.wikisource.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene


LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA

La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino:


1. Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo,

individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo.

L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.

La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.

In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e dell’odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.

Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.


2. Si è affermato l’uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi istrumenti per dare l’assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l’aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.

Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all’uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell’uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.

D’altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un’unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro.

Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.

Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente. Si è così assicurata l’esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità d’impiego.

Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.


3.’ Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di sé o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo.

Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente si stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà di sopraffazione dell’imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano.

La stessa etica sociale della libertà e dell’uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.

Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei — primo fra i quali l’Italia — alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è lanciata nell’opera di sopraffazione.

La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.

La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un’idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell’umanità in Spartiati ed Iloti.

Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.

Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua resistenza dell’esercito sovietico, ed ha dato tempo all’America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze produttive. E questa lotta contro l’imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.

Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine e non possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della massima depressione e sono in ascesa. La guerra delle Nazioni Unite risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per il colpo ricevuto, e persino risveglia tale volontà nei popoli delle potenze dell’Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.

Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottoposta l’intelligenza; imprenditori, che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitù.

A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.



I COMPITI DEL DOPO GUERRA - L’UNITÀ EUROPEA

La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà.

Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell’equilibrio delle potenze nell’apparente immediato interesse del loro impero.

Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali: i quadri superiori delle forze armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l’edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fin’ora e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste.

Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti.

Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l’unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l’ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.

Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.

Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.

Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.

Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Società delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei.

Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie.

D’altra parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la "splendid isolation", la dissoluzione dell’esercito e della stessa repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche — risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la presunzione sciovinista della superiorità gallica — e specialmente la coscienza della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale che ponga fine all’attuale anarchia. Ed il fatto che l’Inghilterra abbia accettato il principio dell’indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea dei problemi coloniali.

A tutto ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali dinastie e la fragilità delle basi di quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie, considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l’appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, la quale non può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di tutti i paesi federati.

E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.

Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.

Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!



I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETÀ

Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.

La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia, come è avvenuto in Russia.

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.

Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:


a. non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;


b. le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.;


c. i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;


d. la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;


e. la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.


Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante.

Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione delle leggi, dell’indipendenza della magistratura — che prenderà il posto dell’attuale — per l’applicazione imparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:


a. la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, dei quali cerca di approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico;


b. la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito con l’ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello stato totalitario. C’è chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti.

Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati di risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz’altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un’anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti all’opera di rinnovamento, ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell’interesse della classe governante.



LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI

La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l’avvento della "libertà" sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione.

Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all’anarchia. Credono nella "generazione spontanea" degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla "storia" al "popolo" al "proletariato" o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un’assemblea costituente eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo debba darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione.

I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi.

In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro.

Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.

Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi.

Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di trasformare l’intera organizzazione della società. Gli operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario.

Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari — trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.

Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie — col predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire — costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici adoperati, poiché il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alle necessità della società moderna. La loro scarsa consistenza si palesa invece senza possibilità di equivoci quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista.

Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficienze, potrebbero avere il loro quarto d’ora, convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del paese.

Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.

Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono però formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze progressiste lungo strade che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del domani costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o sparire.

Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.

Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta volta sentito come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell’organizzazione del partito solo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.

Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.

Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se è movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione.

Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.

Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.

Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.

Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.

Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.

La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.

Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » mer giu 14, 2017 2:16 pm

Kalergi era completamente altro da come lo interpreta il povero Fusaro.

Kalergi lo sapeva: stanno sostituendo i popoli europei coi migranti
Il Capitale deporta dall’Africa schiavi senza coscienza di classe per disfarsi dei cittadini radicati e protetti dai diritti. Mentre l'ideologia gender e il nuovo mito omosessualista distruggono la nostra procreazione.
Diego Fusaro

http://www.lettera43.it/it/articoli/pol ... nti/211391

Ormai dovremmo averlo appreso. La “furia del dileguare” del cattivo infinito capitalistico mira a sostituire la popolazione stabile e protetta da diritti, radicata nel proprio territorio e nella propria storia, con un’immensa massa di nuovi schiavi nomadi e precari, che non hanno più storia ma solo geografia e che figurano come puri atomi al servizio dell’accumulazione flessibile, sempre pronti a essere sottoposti, come tutte le altre merci, ai processi di delocalizzazione di cui beneficia sempre e solo l’aristocrazia finanziaria.

EUROPA IN CALO DEMOGRAFICO. Da un lato l’integralismo economico favorisce, con metodi che sono tutto fuorché idillici, processi di immigrazione di massa. E, dall’altro, abbatte la crescita demografica nei Paesi occidentali, i cui cittadini non sono ancora integralmente ridotti al rango di migranti. Le aspettative decrescenti e la rassegnazione depressiva, ma poi anche la disgiunzione della sessualità dalla sua funzione procreativa (libertinismo edonistico, ideologia gender, disgregazione della vita etica familiare, elogio mediatico permanente di tutte le figure erotiche altre rispetto all’eterosessualità), secondo un principio in parte già teorizzato da Malthus nel suo An Essay on the Principle of Population (1798), determinano il calo demografico che sta investendo, nel nuovo millennio, il continente europeo.

ARRIVA UNA MASSA INDISTINTA. Un calo che procede di conserva con la sostituzione programmata della popolazione europea con il nuovo esercito industriale di riserva dei migranti provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo. Sembra così realizzarsi, mutatis mutandis, il perverso disegno del conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, espresso nel suo Praktischer Idealismus (1925) con l’idea, a beneficio dei dominanti del tempo, di una sostituzione di massa dei popoli nazionali d’Europa con una massa seriale e indistinta, post identitaria e post nazionale di schiavi ideali, migranti e sradicati, gregge multietnico senza qualità e senza coscienza.

L’uomo del lontano futuro sarà di sangue misto (Mischling). La razza futura (Zukunftsrasse) eurasiatica-negroide, simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli con la molteplicità degli individui
Il conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi

Per un verso, l’ideologia gender disgiunge la sessualità dalla funzione procreativa e contrabbanda il nuovo mito omosessualista, transgenderista e post familiare come paradigma glamour per le masse precarizzate e indotte all’abbandono del modello familiare borghese e proletario mediante riti di normalizzazione post moderna (gay pride, sfilate arcobaleno, Pussy Riot). Per un altro verso, l’immigrazione di massa voluta dai signori apolidi del capitale deporta in Europa masse di nuovi schiavi disposti a tutto pur di esistere e privi di coscienza di classe e di memoria dei diritti sociali.

MEMORIA STORICA SPAZZATA VIA. La popolazione europea è, così, sottoposta a un pressante calo demografico e, insieme, è sempre più massicciamente sostituita dalle nuove masse migranti provenienti dall’Africa. In luogo dei popoli radicati e con memoria storica, con identità culturale e con coscienza mnestica dei conflitti di classe e delle conquiste sociali, prende forma una massa di schiavi post identitari umiliati, strutturalmente instabili, servili e sfruttabili senza impedimenti e a ogni condizione.

E LA CHIAMANO "ACCOGLIENZA". Da una diversa prospettiva, mediante le pratiche della deportazione di massa che la neolingua ha scelto di chiamare “accoglienza” e “integrazione”, il Capitale deporta dall’Africa migliaia di nuovi schiavi disposti a tutto e pronti a essere sfruttati illimitatamente, il “materiale umano” ideale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale. E, con movimento simmetrico, aspira a sostituire con questi nuovi schiavi il vecchio popolo europeo, composto da individui ancora troppo avvezzi ai diritti sociali, alla dignità del lavoro, alla coscienza di classe, alle conquiste salariali: in una parola, ancora memori del precedente assetto borghese e proletario del capitalismo non del tutto finanziarizzato.
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Re: Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2017 3:01 pm

Non è il piano Kalergi ma il piano Spinelli e del Manifesto di Ventotene.

Kalergi era un liberale che sognava un'Europa delle libertà e dei popoli; questa Europa è quella voluta dai comunisti come Spinelli e gli altri di Ventotene a cui si sono aggiunti i cattolici bergogliani e tutti gli ademocratici e illiberali della finanza internazionale e delle mutinazionali favorevoli ai totalitarismi, agli assolutismi e alla massificazione degli uomini e dei popoli. Ma Kalergi con tutto ciò non 'c'entra nulla.
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Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi (non è A.Spinelli)

Messaggioda Berto » mar ott 17, 2017 7:43 pm

https://www.facebook.com/DonMammoliti/p ... nt_mention


Gino Quarelo
Caterina non esiste il piano Kalergi; Kalergi non aveva alcun piano del genere. Il "Piano" caso mai è di altri ma non di Kalergi che era un uomo intelligente, buono, rispettoso del prossimo e liberale. Questa idiozia su Kalergi è una delle tante fake che girano in rete su cui inciampano molti che non hanno l'intelligenza di approfondire le cose come invece si dovrebbe.

Non esiste alcun Piano Kalergi, poiché Kalergi non ordì alcun Piano di tale natura come a torto gli viene attribuito
viewtopic.php?f=92&t=1475

Gino Quarelo
Quello che viene a torto attribuito a Kalergi in verità lo si trova in tutti gli imperialismi-mondialismi-ecumenismi: economici e finanziari (vedasi le multitazionali e la finanza internazionale), politici (vedasi gli imperi mesopotamici e quello romano), ideologici (vedasi il comunismo) e religiosi (vedasi il nazismo maomettano e il cattolicesimo romano). Il povero Kalergi con tutto ciò non c'entra nulla. L'unico piano Kalergi è quello di creare una Europa federale come gli USA dove i popoli europei potessero vivere e prosperare in pace senza farsi la guerra. Kalergi è uno dei padri dell'Europa, un padre liberale e non comunista e totalitario come l'italico Spinelli.

Immaginare che il mondo tra qualche secolo possa essere costituito da una mescolanza/fusione di genti di ogni continente, per via della libertà di movimento e di spostamento delle persone e per via della globalizzazione economica e finanziaria, non significa affatto pianificare la costruzione di una umanità di zombi senz'anima, senza radici, senza storia, senza identità e senza volontà propria, sottomessa e manipolata da una elite di feroci, crudeli e disumani dominatori.


Francesco Birardi
Gino Quarelo parla di "qualche secolo", non di pochi decenni, come invece sta avvenendo. E i secoli danno la possibilità di assorbire e di "educare" i nuovi venuti. La mescolanza di etnie poi (e cioè la società multietnica) non è affatto sinonimo di mescolanza di culture e di ideologie (e cioè di società multiculturale). L'Europa di domani - tanto per limitarci all'Europa - potrà anche essere multietnica, ma NON multiculturale : sarà occidentale e cristiana, oppure sarà islamica. Dipenderà da noi. Nessuna cultura ormai vive isolata in un mondo chiuso. E mai come oggi è stato importante salvaguardare le proprie radici. L'albero Europa può anche continuare a crescere e ad aggiungere nuovi rami, come ha sempre fatto, l'importante è che tronco e radici rimangano gli stessi, saldi e forti.

Il "Piano Kalergi" non esiste. Esiste però, ben chiaro e preciso, quello stesso piano di invasione e distruzione dell'Europa, ideato però non dal povero Kalergi, ma da "entità" per me ancora piuttosto astratte e oscure : la finanza internazionale, il mondialismo, il NWO, ecc.... Non so cosa si celi esattamente dietro questi nomi.... ne vedo però alcuni fattori determinanti : 1) Un Occidente in decadenza, in preda al cancro politicamente corretto, sostanzialmente ateo, vuoto di valori morali, vuoto di figli, vergognoso di sè e della sua storia, timoroso di perdere il benessere acquisito e non più avvezzo a menare le mani. 2) Gli Usa, la potenza egemone dell'Occidente, in ritirata, per gli stessi motivi, e illusa forse di potersi rinchiudere nel suo mondo dorato. 3) L'Islam in pieno boom ideologico, religioso, economico e demografico, lanciato alla conquista dell'Europa e dell'Africa. 4) Paesi "emergenti" come la Cina, a cui forse (e ci metto anche Russia e Usa) può tutto sommato convenire la fine dell'Europa come colosso economico, per togliere di mezzo un pericoloso concorrente. 5) La famosa "finanza internazionale", di cui però una notevole parte è costituita dai capitali arabi, e quindi orientata allo stesso fine.


Alfio Visalli
Gino Quarelo , negare l'evidenza e' tipica dei radicalizzati di sinistra .... menti orientate e obnubilate ...

Francesco Birardi
se ho ben capito, la Sinistra mondialista, di cui personaggi come Soros e Bergoglio sono solo rappresentanti, ha preso ormai il controllo – ideologico, culturale e finanziario - dell'Occidente e tenta di imporre una sua versione del Piano Kalergi, una visione appunto “mondialista” della società futura, una società "multiculturale e multietnica" basata sulla tolleranza, accettazione dei “diversi”, libertà civili, laicismo, rinuncia dell’Occidente (e cioè dell’Uomo Bianco) all’egemonia culturale, convinzione che il fenomeno “Islam”, ora usato come martello per scardinare le vecchie strutture della Civiltà occidentale, sia poi controllabile e riconducibile all’ordine.
Questa Sinistra "mondialista" non tiene alcun contro della realtà dell’Islam, di cui è l'utile idiota, e di cui non ha capito una mazza.
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Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi (non è A.Spinelli)

Messaggioda Berto » sab nov 04, 2017 9:02 am

Magdi Cristiano Allam - Stiamo subendo una sostituzione etnica. Molti italiani non lo sanno, nessuno fa niente. Dobbiamo insorgere per porre fine al suicidio-omicidio demografico

(Il Giornale, 29 ottobre 2017) - Stiamo subendo la sostituzione etnica della popolazione italiana. È una realtà oggettiva, frutto di una strategia deliberata, pianificata e finanziata. La maggioranza degli italiani non ne è del tutto consapevole e assiste passivamente ad una eutanasia demografica che non ha precedenti nella Storia. Una minoranza di italiani ne è consapevole ma è come paralizzata dal trauma del suicidio-omicidio dei cittadini.
I fatti e i numeri attestano inequivocabilmente che siamo destinati ad estinguerci come popolazione italiana e, in parallelo, a morire come civiltà italiana. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) indica che l'Italia già ora è uno dei Paesi più vecchi del mondo: ci sono 38 ultra-65enni ogni 100 persone tra i 20 e i 64 anni. E nel 2050, ossia tra soli 33 anni, gli italiani ultra-65enni saranno 74 ogni 100. L'Istat prevede che nel 2065 un terzo della popolazione residente sarà formata da stranieri, di cui 14,1 milioni i residenti stranieri e 7,6 milioni i cittadini italiani di origine straniera. Nel 2016 ci sono state 473.438 nascite e 615.261 decessi, con un saldo naturale di 141.823 persone in meno, come se all’improvviso scomparisse una città come Cagliari. Nel 2015 gli aborti ospedalieri sono calati al di sotto dei 90 mila, ma sono cresciuti gli aborti farmaceutici, negando la vita a centinaia di migliaia di vite umane.
L'Italia è impegnata al massimo per favorire la cosiddetta «accoglienza». Dal 2014 ad oggi ha consentito l’ingresso a oltre 600 mila «migranti», sprovvisti di documenti, prevalentemente maschi, tra i 20 e i 30 anni, musulmani. Nel 2016 circa 200 mila stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana. In parallelo l'Italia condanna i propri figli migliori a cercare fortuna all'estero. Solo nel 2016 gli italiani espatriati sono stati circa 300 mila.
Ormai la prospettiva della nostra sostituzione etnica viene inculcata ai nostri figli a scuola. In «Geo Green» di Carlo Griguolo, testo per la Scuola Media, si legge: «Gli immigrati extraeuropei rappresentano già oggi una parte consistente della popolazione giovane d’Europa. La vera sfida sociale e demografica del continente consiste nel “passare il testimone”: gli immigrati devono poter entrare nella società e nell’economia europee a ogni livello professionale e civile; solo accettando gli immigrati l’Europa anziana permetterà l’esistenza dell’Europa futura». L’ha denunciato Roberto Novelli, Consigliere di Forza Italia nella Regione Friuli.
È un messaggio di rassegnazione alla sconfitta dentro casa nostra, è un suicidio più che un omicidio. Possibile che per consentire all'Europa di avere un futuro dovremmo morire come popolazione e come civiltà e «passare il testimone» agli immigrati che sono prevalentemente islamici? Mi dispiace per i «Poteri forti» ma io non ci sto. E sono certo che la maggioranza degli italiani non ci sta. Noi combatteremo per realizzare il miracolo di riscattare il nostro diritto ad essere pienamente noi stessi dentro casa nostra.
magdicristianoallam@gmail.com
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