Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mer apr 28, 2021 9:41 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » mer apr 28, 2021 9:41 pm

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La politica estera della banda Biden Biden



Biden è già a corto di idee: in politica estera copia i fallimenti di Obama
Federico Giuliani
23 Febbraio 2021

https://it.insideover.com/senza-categor ... obama.html

Nuova presidenza, vecchia politica estera. Sembrerà un paradosso, ma se diamo uno sguardo alle prime mosse di Joe Biden e leggiamo le sue dichiarazioni a mezzo stampa, il rischio è quello di restare spiazzati. Biden ha già superato la stagione di Donald Trump, cioè i quattro anni in cui quasi sempre – sostengono i giornali liberal – la diplomazia degli Stati Uniti è stata portata avanti a son di cinguettii su Twitter e bypassando ogni organo di intelligence nazionale. Questa parentesi è stata effettivamente archiviata dal presidente democratico, che tuttavia, anziché proporre qualcosa di innovativo, ha pensato bene di fare il classico passo del gambero.

Nonostante gli esperti di mezzo mondo abbiano applaudito la venuta di Biden – tra l’altro eleggendolo a salvatore della patria ancor prima che prestasse giuramento -, il successore di Trump ha dimostrato di essere pronto a proporre ricette provenienti dal passato. In altre parole, e per almeno quattro anni, gli Stati Uniti di Biden affronteranno le imminenti sfide internazionali utilizzando vecchie strategie preparate per contesti ed epoche diverse. Il buon Joe, insomma, ha resettato la politica estera americana, ma anziché proporre qualcosa di nuovo ha riesumato dimenticati spettri del passato. Gli esempi non mancano.


Il dialogo con l’Iran

Prendiamo il rapporto, da sempre tesissimo, tra Stati Uniti e Iran. Durante la sua presidenza, Trump ha aggredito Teheran proprio come un Pitbull azzanna al collo la sua preda. Sanzioni inasprite, minacce più o meno esplicite sui social network, uscita dall’accordo sul programma nucleare iraniano, l’uccisione del potente generale Qassem Soleimani: la linea di Washington era durissima. E, soprattutto, in netta contrapposizione con il modus operandi improntato sul dialogo usato a suo tempo da Barack Obama.

Adesso è tutto pronto per il ritorno alle “origini obamiane” della politica estera americana nei confronti dell’Iran. L’amministrazione Biden è disposta a negoziare con il governo iraniano, proponendo concessioni in cambio di azioni distensive, tra cui la liberazione degli ostaggi statunitensi detenuti nel Paese. Da Teheran hanno comunque prodotto una prima risposta: prima togliete le sanzioni, poi possiamo parlarne. In ogni caso, l’ombra di Obama si staglia sull’operato di Biden.


Il pivot to Asia

Ma ecco altri due esempi lampanti che dimostrano il “ritorno” della politica estera obamiana: il contenimento della Cina e la questione coreana. Partiamo con la Cina. Trump aveva letteralmente dato il via a una guerra commerciale con la controparte cinese, che si è presto trasformata in una nuova Guerra Fredda (col senno di poi pericolosa e strategicamente inutile). Biden continuerà a considerare Pechino il nemico numero uno degli Stati Uniti, ma non adotterà lo stesso pugno di ferro del predecessore.

Riabiliterà, semmai, il famigerato Pivot to Asia di Obama. Questa strategia politica consiste nel creare un fitto sistema di alleanze asiatiche per limitare l’ascesa del Dragone tanto nella regione indo-pacifica quanto nel resto del mondo. Prima dell’avvento di Trump, l’America aveva puntato fortissimo sulle relazioni con i membri dell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico, con l’India e con il Giappone. Niente tweet al vetriolo, insomma, ma tanta diplomazia silenziosa. Ha funzionato? A quanto pare no, se oggi la Cina è più forte che mai. Eppure, Biden è pronto a calare il bis a distanza di qualche anno.


La questione coreana

Un discorso simile può essere esteso anche alla questione coreana. Con un’eccezione: qui Trump era riuscito a fare breccia nel muro coreano e, seppur seguendo una strategia bizzarra, stava quasi per trovare uno storico accordo con Kim Jong Un. Biden difficilmente accetterà di incontrare personalmente Kim, tanto meno si sognerà mai di definirlo “amico”. La sensazione è che Washington replichi il containment obamiano, la solita ricetta ormai scaduta e inadattabile per sciogliere i nodi di un contesto attuale.

Se così dovesse essere, gli Stati Uniti stringeranno il nodo delle sanzioni, cercheranno di isolare ancor di più la Corea del Nord e aspetteranno l’eventuale resa avversaria. Può darsi, visti gli errori del passato, che Washington lasci aperto uno spiraglio di negoziazione. Ma non è detto, perché far così significherebbe legittimare una parte del lavoro fatto da Trump. Molto meglio, penseranno i democratici, eliminare totalmente dalla scena il ricordo del presidente repubblicano e riesumare i diktat di Obama. Anche se si sono già dimostrati inutili una prima volta.




La nuova politica estera usa
Usa, Biden: basta autoritarismi da Cina e Russia. Stop alla guerra in Yemen

https://www.ilsole24ore.com/art/usa-bid ... 1612474164

Il Presidente degli Stati Uniti delinea la nuova politica estera americana nel dopo Trump. Mano tesa agli alleati, a partire dalla Germania, e linea dura contro i regimi autoritari, come Russia e Cina
La doppia partita di Biden, tra sfide economia, Myanmar e Russia
Il Presidente degli Stati Uniti delinea la nuova politica estera americana nel dopo Trump. Mano tesa agli alleati, a partire dalla Germania, e linea dura contro i regimi autoritari, come Russia e Cina

Joe Biden delinea la nuova politica estera americana nel dopo Trump. Mano tesa agli alleati, a partire dalla Germania, e linea dura contro i regimi autoritari, come Russia e Cina: «Non subiremo più azioni ostili ma reagiremo» dice il presidente e chiede che Navalny sia rilasciato.
Gli Stati Uniti non sosterranno più le offensive della coalizione a guida saudita nello Yemen. E si preparano a rientrare negli accordi Onu sul nucleare sull'Iran e a togliere le sanzioni unilaterali.

Le prime mosse di politica estera

Sono le principali mosse annunciate al Dipartimento di Stato, nella sua prima visita ad un ministero (insieme alla vice Kamala Harris) e nel suo primo discorso sulla politica estera da quando si è insediato. Un intervento che suggella la fine dell'America first di Donald Trump e la rinnovata adesione al multilateralismo.
«La diplomazia e l'America sono tornate», ha avvisato prima di tracciare la sua visione degli Stati Uniti nel mondo. «È arrivato il momento di fronteggiare gli autoritarismi di Cina e Russia», ha esordito, mettendo nel mirino in particolare Vladimir Putin: «Sono finiti i tempi in cui subivamo le azioni ostili di Mosca, a differenza del mio predecessore ora non esiteremo ad alzare il prezzo», ha ammonito, chiedendo poi la liberazione immediata e senza condizioni di Alexey Navalny.


Sanzioni nell’aria per la Russia

Nonostante il rinnovo per altri cinque anni del New Start, l’ultimo trattato con la Russia per il controllo degli arsenali nucleari, tira aria di sanzioni: non solo per l’oppositore russo ma anche per le interferenze nelle elezioni, i cyber attacchi e le presunte taglie sull’uccisione di soldati americani in Afghanistan.

Stop al sostegno Usa alla guerra in Yemen

Ma la mossa più clamorosa è lo stop del sostegno americano alla guerra saudita in Yemen, che ha causato uno delle peggiori crisi umanitarie del mondo, con la morte di migliaia di civili. «Questa guerra deve finire», ha detto Biden, annunciando anche la nomina di un nuovo inviato Usa per lo Yemen, Timothy Lenderking. Una decisione che rimette in discussione i rapporti con Riad.

Ritiro soldati dalla Germania e possibili sanzioni alla Birmania

Il Pentagono avvia una revisione completa dell'impegno militare nel mondo, e questo include il congelamento del ritiro di 9.500 uomini dalla Germania. Il presidente ha infatti ribaltato la decisione di Trump di spostare parte dei soldati Usa in Germania, annunciando inoltre una rivalutazione del Pentagono della presenza delle truppe americane in tutto il mondo.
Infine la minaccia di sanzioni alla Birmania dopo il colpo di stato e l’aumento del numero di rifugiati in Usa sino a 125mila, contro i 15mila di quest'anno, dopo le drastiche riduzioni di Trump.






Biden chiama Salman e bombarda la Siria. Messaggio agli alleati
26 febbraio 2021

https://formiche.net/2021/02/telefonata ... nto-siria/

Un attacco contro le milizie sciite finanziate dall’Iran per rimarcare le linee rosse. Una telefonata all’alleato saudita per tranquillizzarlo sulla volontà di non lasciarlo solo. Biden manda un doppio messaggio e spiega che nel Medio Oriente gli Usa ci sono

Gli Stati Uniti hanno inviato un doppio messaggio di rassicurazione agli alleati mediorientali. Quasi contemporaneamente, il presidente Joe Biden ha avuto un colloquio telefonico con Re Salman d’Arabia Saudita e i cacciabombardieri F-15 americani hanno centrato le milizie sciite al confine tra Iraq e Siria.

L’attacco è stata una rappresaglia arrivata in risposta al bombardamento missilistico contro una base occidentale a Erbil, nel Kurdistan (usata dalla Coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico). In quell’occasione, dieci giorni fa, era stata superata una linea rossa: era rimasto ucciso un contractor civile (occidentale). L’azione era stata rivendicata da una milizia nota come i Guardiani del sangue, collegata alla più nota Kataib Hezbollah. Successivamente anche la Balad Air Base, poco fuori Baghdad, era stata colpita da razzi; e poi, per l’ennesima volta, anche l’ambasciata statunitense nella Green Zone della capitale.

“Sotto la direzione del presidente Biden, le forze militari statunitensi questa sera hanno condotto attacchi aerei (cinque, ndr) contro le infrastrutture utilizzate dai gruppi militanti sostenuti dall’Iran nella Siria orientale “, ha detto il portavoce in una dichiarazione. “Questi attacchi sono stati autorizzati in risposta ai recenti attacchi contro il personale americano e della coalizione in Iraq, e alle continue minacce a quel personale”, ha aggiunto.

A essere finite nei mirini dei cacciabombardieri sono stati almeno tre veicoli carichi di munizioni che tagliavano il confine Iraq-Siria nei pressi di Al Bukamal (da notare che è una zona in cui lo spazio aereo è controllato dalla Russia), più alcune abitazioni che nella zona facevano da nodi logistici. Secondo le informazioni disponibili sono stati uccisi 17 miliziani sciiti appartenenti ai gruppi Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada, entrambi collegati a doppio filo ai Pasdarsn.

Il messaggio è chiaro: sebbene l’amministrazione Biden sia intenzionata a rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano Jcpoa, gli Stati Uniti non tollereranno operazioni azzardate da parte delle strutture di Teheran, ma anzi le puniranno con l’azione militare, sempre sul tavolo nonostante un disimpegno strategico in corso dalle dinamiche della regione. È un input operativo e psicologico verso Teheran che contemporaneamente rassicura alleati come Israele, che compie costantemente azioni simili per proteggersi dal rafforzamento delle milizie sciite che odiano lo stato ebraico — su tutti Hezbollah — facilitato dai Pasdaran, sfruttando il caotico scenario siriano.

È una rassicurazione anche agli alleati occidentali, su un impegno che resta attivo e costante, importante davanti al mini-surge Nato in Iraq. È un modo per tranquillizzare l’Arabia Saudita e gli altri partner del Golfo che vedono le volontà americane riguardo al Jcpoa e il minore coinvolgimento regionale come una questione esistenziale di indebolimento e di rafforzamento del nemico iraniano.

Garanzie del genere sono arrivate nella telefonata tra Biden e Salman, linea di interlocuzione ufficiale tra Washington e Riad, come esplicitamente riferito giorni fa dalla Casa Bianca. L’americano ha sottolineato l’alleanza storica tra i due Paesi, l’importanza di Riad nella regione e proprio “l’impegno degli Stati Uniti ad aiutare l’Arabia Saudita a difendere il suo territorio mentre affronta gli attacchi di gruppi allineati con l’Iran” — il riferimento è chiaramente agli Houthi yemeniti, contro cui i sauditi combattono da oltre cinque anni e che Biden ha tolto dalla lista dei terroristi. Questa chiamata è arrivata dopo oltre due mesi dall’insediamento, una tempistica anomala che fa comunque segnare il livello (bassino) di priorità che la nuova Casa Bianca dà al quadrante.

Il contatto con Re Salman, anticipato da quelli Washington-Riad tenuti da altre parti dell’amministrazione (come il Pentagono), arriva nei giorni in cui gli Stati Uniti rendono pubblico un report di intelligence che incolpa l’erede al trono Mohammed bin Salman di essere in qualche modo il mandante dell’omicidio del giornalista scomodo Jamal Khashoggi — ucciso tre anni fa nel consolato di Istanbul da una squadraccia dei servizi segreti sauditi inviata dal futuro sovrano con ordini precisi.

La questione è iper imbarazzante, ed è destinata a limare le capacità di interlocuzione internazionale dell’erede (molto proiettato finora, considerato da una parte della narrazione occidentale una sorta di futurista illuminato che rivoluzionerà il regno, su cui gli Usa alzeranno invece un warming in nome del rispetto dei diritti, motore dell’azione politica di Biden). A questa si aggiunga che l’amministrazione Biden ha annunciato di voler “ricalibrare” i rapporti con Riad, ha interrotto il suo coinvolgimento in Yemen, ha bloccato una commessa militare e appunto avviato i colloqui con l’Iran — dove i Pasdaran finanziano gli Houthi che colpiscono anche il territorio Saudita. A Riad (come a Tel Aviv) servono rassicurazioni.



L’attacco di Biden in Siria dimostra la follia dell'”antiterrorismo” dell’establishment
10 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... blishment/

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 2 marzo 2021 di “Tucker Carlson Tonight”.
“Ora stiamo difendendo gli americani in Iraq da persone che abbiamo autorizzato a risolvere il disastro causato dalla nostra stessa invasione”.
Siamo solo a più di un mese dall’inizio dell’amministrazione di Joe Biden, e ha già mantenuto una delle principali promesse della sua campagna elettorale.

Non preoccupatevi, non è niente che migliorerà le vostre vite o quella degli Stati Uniti. Non è niente che vi renderà più liberi o più felici, niente che vi aiuterà a perdere dieci chili o che vi avvicinerà alla vostra famiglia. Non è niente che possiate usare per comprare la vostra cena. Non riceverete un assegno di stimolo questa settimana, i vostri figli non torneranno a scuola, non avrete un aumento.

No, la promessa che Joe Biden ha mantenuto non è stata fatta a voi in primo luogo. È stata fatta all’apparato derll’industria della difesa e ai think tank neocon di Washington, D.C. Joe Biden ha promesso loro che, una volta preso il potere, gli Stati Uniti avrebbero immediatamente riportato la guerra in Medio Oriente dopo una tregua di quattro anni che ha davvero agitato la gente a Washington. E quando l’avrebbe fatto, ha detto Biden, non avrebbe consultato il Congresso e nemmeno i senatori prima di farlo. Lo avrebbe fatto e basta, e non stava scherzando.

Biden ha mandato gli F-15 a uccidere delle persone in Siria. Nessuno in questo paese ne ha beneficiato, nemmeno nel modo più piccolo e ipotetico. Questo di per sé è stato profondamente rassicurante per la classe politica di Washington. Considerano qualsiasi tentativo di migliorare questo paese una forma terrificante di nazionalismo. Tuttavia, per queste persone, l’idea di uccidere delle persone in un luogo lontano è assolutamente eccitante.

La parola d’ordine, nel caso non vi foste sintonizzati sulla CNN o sulla MSNBC, è che l’America che uccide degli stranieri in Siria non è stata inutile. Questo viene direttamente dagli esperti che credono che Saddam Hussein avesse delle armi biologiche ed hanno iniziato una guerra sulla base di questo.

L’attacco contro la Siria, ci hanno detto, era “antiterrorismo” e l’antiterrorismo giustifica tutto. (Tenetelo a mente andando avanti, a proposito. Non vorrete che il “contro-terrorismo” venga rivolto verso di voi, e speriamo che non lo sia mai). In Siria, il contro-terrorismo significa almeno 22 morti, secondo i rapporti locali. Il Pentagono dice che è morta solo una persona.

Chi erano queste persone, in ogni caso? Chi è stato preso di mira? L’amministrazione Biden dice di aver preso di mira due gruppi di miliziani allineati con l’Iran. I membri di questi gruppi hanno presumibilmente sparato un razzo in Iraq che ha ucciso un contractor americano. Vi starete chiedendo: “Perché ci sono ancora contractor americani in Iraq dopo quasi due decenni e nessun risultato evidente?” Questa è un ottima domanda. Ma la affronteremo un’altra volta, perché qui c’è una cosa ancor più sorprendente: entrambe le milizie che l’amministrazione Biden ha colpito fanno parte di qualcosa chiamato Forze di Mobilitazione Popolare, una sorta di gruppo ombrello sponsorizzato dal governo iracheno.

Ora, il governo iracheno stesso è una creazione delle precedenti amministrazioni americane. Quindi, in altre parole, se state seguendo tutto questo (e lo state facendo da 18 anni a questo punto), ora stiamo difendendo gli americani in Iraq da persone che abbiamo autorizzato in primo luogo per risolvere un disastro che è stato causato dalla nostra stessa invasione. Questo è tutto l’antiterrorismo, capito? Il serpente si sta mangiando la coda.
Un varco di frontiera tra Iraq e Siria e gli edifici distrutti dopo gli attacchi aerei statunitensi ripresi da un’immagine satellitare.

Se tutto questo vi sembra demenziale, state tranquilli. Dovete sapere che è stato Joe Biden a farlo, non Donald Trump. Pertanto, va bene. In effetti, va bene. Ecco un tweet di una ex dirigente di Wall Street diventato ora un utente compulsiva sui social network di nome Amy Siskind:

“È diverso avere un’azione militare sotto Biden. Nessuna minaccia a livello di scuola media su Twitter. Fidatevi della competenza di Biden e della sua squadra”.

Esilarante. Con Joe Biden in carica, gli edifici in Siria non crollano in macerie, schiacciando le persone all’interno. No, quegli edifici semplicemente scompaiono, esattamente come le aziende in difficoltà che gente come Amy Siskind ha liquidato per profitto a Wall Street.

Anche David French, che lavorava per il National Review, è entusiasta di questa guerra. Tre anni fa, era invece angosciato dall’idea che Donald Trump potesse attaccare la Siria senza permesso.

“Se Trump colpisce la Siria senza l’approvazione del Congresso, la sua politica siriana sarà sia imprudente che incostituzionale“, aveva twittato nell’aprile del 2018. Noi di “Tucker Carlson Tonight” eravamo, va detto, totalmente contrari a colpire la Siria all’epoca – non perché fosse incostituzionale, solo perché era inutile.

La settimana scorsa, tuttavia, David French ha reagito con soddisfazione alle decine di persone morte in Siria, prima di tornare a scrivere saggi su quanto sia un buon cristiano.

Forse perché legge David French, anche l’addetta stampa alla Casa Bianca Jen Psaki ha cambiato idea. Una volta era contraria a bombardare la Siria senza permesso. Eccola invece oggi:

Jen Psaki: “Il presidente sta inviando un messaggio inequivocabile che ha intenzione di agire per proteggere gli americani e, quando le minacce sono poste, ha il diritto di intraprendere un’azione nell’immediato e nel modo che preferisce.”

Non molto tempo fa ci diceva che era una totale violazione del diritto internazionale bombardare la Siria senza l’approvazione del Congresso. Ora ci sta dicendo che Joe Biden agirà per proteggere gli americani.

Ora, non si dovrebbe parlare di cosa è stato fatto per “proteggere gli americani” che stanno languendo in Iraq diciotto anni dopo l’invasione? Se vogliamo proteggerli, perché li facciamo restare lì? Cosa stanno facendo lì? E ancora una volta, perché è l’unica domanda che conta, in che modo questo sta aiutando qualcuno in questo paese o in qualsiasi altro paese?

Non lo sta facendo, ovviamente. E a loro credito, i neocon hanno smesso di fingere che lo sia. Ciò di cui si tratta veramente, ha spiegato una volta Joe Biden in pubblico, è di aiutare i nostri partner curdi. Ecco Joe Biden nel 2019, mentre si preoccupava del fatto che Donald Trump potesse ritirare le truppe americane dalla Siria:

Joe Biden: “Ritirando precipitosamente un piccolo numero di forze speciali americane in Siria, Trump è riuscito in un colpo solo a tradire i nostri partner curdi che hanno aiutato a sconfiggere l’ISIS, [e] a creare una crisi umanitaria con civili innocenti e comunità di minoranze etniche e religiose prese nel fuoco incrociato.”

A proposito, gli Stati Uniti stanno attaccando il governo di Assad, l’unico governo in tutto il Medio Oriente che ha protetto la più antica delle minoranze religiose, la comunità cristiana. Sono stati massacrati ovunque tranne che nel territorio che controlla Assad. Ma è un dittatore brutale, quindi questo non conta.

Ma naturalmente, stiamo facendo tutto questo per i nostri partner curdi. Sapevate che avevamo dei partner curdi? Li volevate? Per cosa ci siamo associati esattamente?

“Non preoccupatevi dei dettagli”, assicurano i Democratici. Il partito che gestisce Baltimora e la zona est di St. Louis renderanno il Medio Oriente un posto molto migliore, proprio come Hillary Clinton ha migliorato la Libia. Ora hanno una guerra permanente e mercati di schiavi, e vi renderanno molto più sicuri nel frattempo.

Si chiama antiterrorismo. Non può certo essere un male.


Immaginate se il figlio di DJT ed il fratello avessero fatto affari, grazie a lui, con Cina, Ucraina, Russia e costruito 1.5 milardi di edifici in Irak come Bidon.
Ma invece non ne parla nessuno.
https://www.facebook.com/jaime.mancagra ... 5614356089


Peter Schweizer: Joe Biden's Brother Secured Iraq Housing Construction Contract With No Experience
Posted By Tim Hains
On Date January 21, 2020

https://www.realclearpolitics.com/video ... ience.html
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Messaggioda Berto » mer apr 28, 2021 9:42 pm

USA-Corea del Sud: alta tensione con la Corea del Nord | Sicurezza internazionale
16 marzo 2021

https://sicurezzainternazionale.luiss.i ... -del-nord/

Kim Jo Yong, la sorella del leader supremo della Corea del Nord, ha minacciato di interrompere la cooperazione inter-coreana, a causa delle esercitazioni militari della Corea del Sud e degli Stati Uniti.

“Cogliamo l’occasione per avvertire la nuova amministrazione statunitense che sta provando con forza a diffondere odore di polvere da sparo nella nostra terra”, ha dichiarato Kim all’agenzia di stampa nordcoreana, KCNA. “Se vuole dormire in pace per i prossimi quattro anni, farebbe meglio ad astenersi dal provocare tale puzza con il primo passo”, ha aggiunto. La dichiarazione arriva il giorno prima dell’arrivo nella capitale sudcoreana, Seoul, del segretario di Stato degli USA, Antony Blinken, e di quello della Difesa, Lloyd Austin, che hanno iniziato un tour in Asia, il 15 marzo.

Lo stesso 15 marzo, era previsto l’inizio delle esercitazioni militari annuali di Washington e Seul. L’esercito sudcoreano aveva specificato la pandemia aveva costretto le parti a ridurre la portata delle esercitazioni, che dovrebbero durare 9 giorni e prevedono simulazioni al computer, escludendo manovre all’aperto, che sono state effettuate comunque durante l’anno. Inoltre, il numero di truppe e attrezzature dovrebbe essere ridotto al minimo, a causa della pandemia. Sebbene ridimensionati, l’esercitazione congiunta ha causato una dura risposta dalla Corea del Nord, che la definisce una “prova di guerra”.

In tale contesto, il 13 marzo, è cominciata a circolare la notizia che Pyongyang non ha risposto a nessuna delle iniziative diplomatiche proposte dall’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sollevando dubbi sul futuro dei rapporti bilaterali. Un alto funzionario della Casa Bianca, parlando in condizione di anonimato, ha fornito pochi dettagli sulla situazione diplomatica, ma ha specificato che ci sono stati sforzi per raggiungere il governo nordcoreano “attraverso diversi canali a partire da metà febbraio, anche a New York”. Tuttavia, Pyongyang non ha mai risposto. In tale quadro, si inserisce la visita del massimo diplomatico e segretario alla Difesa degli USA in Corea del Sud e Giappone, dove le preoccupazioni per l’arsenale nucleare della Corea del Nord saranno al centro delle discussioni.

Il tour di Blinken e Austin nell’Asia orientale arriva sulla scia di una svolta nei colloqui, comunicata l’8 marzo, riguardanti la condivisione dei costi per il mantenimento delle truppe statunitensi di stanza in Giappone e Corea del Sud, una questione che aveva inasprito i legami bilaterali durante l’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Gli accordi in questione miglioreranno la posizione degli Stati Uniti in Asia, preservando il sostegno di Tokyo e Seoul contro eventuali minacce da parte di Pechino e Pyongyang. Al centro di questo sforzo si inserisce il Quadrilateral Security Dialogue, un’alleanza informale tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India che secondo i quattro Paesi mira a sostenere un “Indo-Pacifico aperto e libero”.

Il cosiddetto gruppo Quad è un forum strategico informale riunitosi per la prima volta nel 2004, in risposta a catastrofi naturali che avevano interessato l’Oceano Pacifico. Di recente, il gruppo si è concentrato sulla tematica dell’apertura e della libertà della regione Indo-Pacifica. Pechino ritiene che il gruppo Quad avrebbe come obiettivo il contenimento dello sviluppo regionale cinese e aveva avanzato l’ipotesi, smentita poi dal primo ministro giapponese, che i quattro Paesi stessero creando una mini-NATO asiatica. Australia, USA, Giappone e India hanno tutte di recente attraversato momenti di conflittualità più o meno accesi con la Cina e gran parte delle tematiche di scontro sono ancora oggi aperte.

Sottolineando l’importanza della regione nella politica estera degli Stati Uniti, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che si è insediato il 20 gennaio, ha presieduto il primo vertice del Quad, il 12 marzo. In tale contesto, i leader si sono impegnati a lavorare a stretto contatto sulla lotta al COVID -19, sulla questione dei cambiamenti climatici e sulle principali minacce alla sicurezza. La Cina non è stata nominata esplicitamente, ma i Paesi hanno fatto riferimento alla crescente tensione nella regione, sottolineando l’importanza di lottare per la libertà in Asia, valorizzando la democrazia e scongiurando la coercizione. Hanno anche fatto riferimento all’importanza di difendere l’applicazione del diritto internazionale nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, dove Pechino è coinvolta in controversie territoriali con molti dei suoi vicini, tra cui Giappone, Filippine, Malesia e Vietnam. Nel comunicato congiunto reso noto dopo l’incontro, si ribadisce anche “l’impegno del gruppo per la completa denuclearizzazione della Corea del Nord”.



Biden vuol portare il mondo al caos (e ci si lamentava di Trump)
Stefano Graziosi
18 marzo 2021

https://www.panorama.it/news/dal-mondo/ ... e=facebook

Vi avevano detto che, con Joe Biden, sarebbe tornato l'equilibrio alla Casa Bianca. Vi avevano detto che la competenza sarebbe stata ripristinata. Che il clima incendiario tipico di Donald Trump sarebbe stato mandato in soffitta. Che, soprattutto sul fronte internazionale, cooperazione e stabilità sarebbero finalmente rientrate nelle strategie dello studio ovale. Tutto questo vi avevano detto. Eppure, mercoledì scorso, quello stesso Biden – durante un'intervista televisiva – ha esplicitamente concordato nel definire il presidente russo, Vladimir Putin, un "assassino". Parole pesantissime, che hanno spinto Mosca a richiamare l'ambasciatore negli Stati Uniti per consultazioni.

Insomma, dopo neanche due mesi di presidenza, Biden rischia già una crisi diplomatica con la Russia. E una crisi non di poco conto. Utilizzare il termine "assassino" nelle relazioni internazionali ha delle conseguenze precise: con gli "assassini" difatti non può esserci trattativa o dialogo, ma soltanto uno stato di belligeranza e tensione. Insomma, uno stato di conflittualità e turbolenza, uno stato inesorabilmente foriero di instabilità. E' come definire "Hitler" un omologo: con Hitler non può esserci trattativa di sorta, ma solo guerra. Puoi tendere una mano a Rocket Man (come Trump definiva Kim Jong-un nel 2017), non certo a Hitler. L'episodio di Biden è in tal senso addirittura più grave della crisi del 1983, quando Ronald Reagan si rivolse all'Unione Sovietica, definendola l' "impero del male": nonostante si trattasse anche allora di un'espressione forte che tirava in ballo una categoria morale, quell'affermazione si inseriva comunque in una relazione tra Stati e non attaccava un singolo leader. Non risulta che Kennedy, Nixon o lo stesso Reagan abbiano del resto mai definito in pubblico "assassino" rispettivamente Krusciov, Breznev o Andropov. Anche nei momenti di maggiore turbolenza diplomatica è sempre necessario lasciare aperto un piccolo spiraglio per riannodare i fili: quella di Biden rischia invece di essere una sonora, irreversibile e definitiva porta in faccia.

Il punto adesso è capire: perché il presidente americano ha fatto una simile dichiarazione? Èstata una gaffe? Voleva essere una battuta estemporanea? Oppure si è trattato di una precisa scelta politica? Chiarezza, sotto questo aspetto, al momento ce n'è poca. Interpellata esplicitamente sul perché di quell'epiteto, la portavoce della Casa Bianca, Jens Psaki, ha totalmente glissato, lasciando ulteriori interrogativi sull'effettiva trasparenza dell'attuale amministrazione americana. Quindi, per ora, tutte le ipotesi restano sul tavolo. Biden è storicamente un notorio gaffeur, mentre – già dai tempi della campagna elettorale – ha mostrato talvolta momenti di scarsa lucidità. Potrebbe essersi anche trattato magari di una battuta (il che tuttavia contraddirebbe l'immagine di leader serio, competente e pacato, sovente attribuita all'attuale inquilino della Casa Bianca).

Ciononostante non è neppure del tutto escludibile che si tratti di una strategia. Al di là di un approccio duro contro Mosca (che Biden ha costantemente rivendicato), l'attuale amministrazione ha già fornito un esempio di strategia volta a screditare ed attaccare singoli leader stranieri con argomenti di tipo legale, per raggiungere obiettivi di natura politica (nella fattispecie un cambio della guardia ai vertici): ci riferiamo, in particolare, alla recente pubblicazione del rapporto dell'intelligence statunitense sull'omicidio Khashoggi, che aveva individuato nel principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, il principale responsabile. E' chiaro che, con questa strategia, l'obiettivo è quello di esercitare pressione sugli Stati presi di mira, favorendo possibilmente un regime change al loro interno. L'esatto opposto della linea di Trump che, pur essendo stato sovente dipinto come un incendiario, ha sempre considerato il rollback una fonte di instabilità internazionale.

Pertanto, se è questo il tipo di politica che Biden sta realmente portando avanti con Putin, il rischio concreto è la spinta della Russia verso il caos, secondo un modello che abbiamo già avuto modo di vedere in atto – pur mutatis mutandis – con le cosiddette "primavere arabe". Chi ha (ingenuamente) salutato l'arrivo di Biden come un toccasana per Bruxelles rischia ora di doversi quindi ricredere: in una simile crisi tra Washington e Mosca, l'Unione europea finirà prevedibilmente attanagliata nel mezzo e si ritroverà con margini di manovra sempre più limitati nei suoi rapporti con la Russia (dal fronte vaccinale a quello energetico).

Eppure quanto sta accadendo non deve stupire più di tanto. Perché era chiaro che una vittoria di Biden – per la sua storia personale, per i suoi legami politici e per le sue stesse affermazioni elettorali – avrebbe reso la politica estera americana più bellicosa. E' dai tempi della campagna elettorale che Biden promette una strategia internazionale basata sui valori: una strategia che sconfessasse il realismo amorale di Trump, colpevole di "farsela con i dittatori". Ma è proprio qui che sta il problema. A livello generale, come notato dal politologo John Mearsheimer, una politica estera di stampo etico non può che incrementare la conflittualità e la instabilità: è del resto proprio l'idea di esportare i valori occidentali che ha prodotto disastri come l'Iraq (con Bush jr) e la Libia (con Obama). Inoltre, assistiamo a un paradosso scendendo più nel dettaglio. Ma il Biden che accusa oggi Putin e bin Salman di essere degli assassini illiberali è lo stesso Biden che sta cercando di avviare una distensione con l'Iran khomeinista? Lo stesso Biden che fu vice di un presidente, Obama, il quale – nel 2016 – aprì alla Cuba castrista? Visto che parliamo di valori, un simile comportamento parrebbe "leggermente" ipocrita.

Trump, dal canto suo, avrà avuto tanti difetti e limiti. Tuttavia ha sempre cercato di muoversi all'interno di una linea realista, che rispettasse la sovranità degli Stati e che potesse instaurare un ordine internazionale basato sulla pragmatica coltivazione dei rispettivi interessi: un meccanismo, questo, che – come insegnava Nixon – avrebbe reso prevedibile il comportamento dei vari attori statali, contribuendo così a un incremento della stabilità globale. Perché qui il problema non è "difendere Putin". Il problema è che, negli schematismi fanatici e semplicistici che piacciono tanto alla società odierna, non si è più in grado di leggere la realtà in modo complesso, distinguendo i piani differenti: quello morale, quello politico, quello legale. Tre ambiti indubbiamente correlati, ma al contempo diversi. Non capirlo, significa essere degli ingenui. O, peggio, significa essere in malafede.







Il presidente in video al Consiglio europeo rinsalda (a parole) l'alleanza coi Ventisette
Agli Usa il doppio di dosi. Ma Biden delude l'Ue: niente regali sui vaccini
Valeria Robecco
26 marzo 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1616741412

New York. Joe Biden gioca al rialzo sulla campagna vaccinale negli Usa, e promette che nei suoi primi cento giorni alla Casa Bianca verranno somministrate 200 milioni di dosi, il doppio di quando previsto inizialmente.

Poco prima dell'atteso collegamento video al Consiglio europeo riunito a Bruxelles, il presidente americano ha tenuto la sua prima conferenza stampa da quando si è insediato a Pennsylvania Avenue, annunciando quello che lui stesso ha definito un «target ambizioso».
Ai leader dell'Unione, invece, ha ribadito come gli Stati Uniti siano determinati a rivitalizzare l'alleanza con il Vecchio Continente e a lavorare insieme sul fronte della distribuzione globale di vaccini anti-Covid efficaci e sicuri, deludendo così chi si aspettava l'annuncio di una fornitura diretta di dosi ai Ventisette.
Un collegamento breve quello di Biden, una mezz'ora in tutto: niente di operativo, ma un segnale importante, con un totale cambio dei toni rispetto al suo predecessore Donald Trump. «È ora di ricostruire la nostra alleanza transatlantica», ha dichiarato da parte sua il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il quale lavora all'incontro con Biden fin dai primi giorni del suo arrivo alla Casa Bianca. Oltre a puntare a un'alleanza tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti sui vaccini come strumento di diplomazia a livello globale per promuovere i valori della democrazia occidentale, scalzando Cina e Russia.
Dopo la partecipazione del segretario di Stato Usa Antony Blinken alla due giorni di ministeriale Nato a Bruxelles e l'incontro con la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen per parlare della «collaborazione» nella lotta al Covid, Biden è il primo presidente americano a parlare ai 27 dal 2009, quando a intervenire era stato Barack Obama in occasione del summit Usa-Ue di Praga, che si era svolto in concomitanza con la riunione informale del Consiglio europeo.
Per il premier Mario Draghi, la partecipazione dell'inquilino della Casa Bianca all'Eurosummit «conferma la reciproca volontà di imprimere, dopo un lungo periodo, nuovo slancio alle relazioni tra l'Unione e gli Stati Uniti». Nel corso della conferenza stampa, Biden ha anticipato di voler costruire «un'alleanza di democrazie per discutere del futuro», con in cima all'agenda le sfide poste dalla Cina, che punta alla leadership mondiale. «Finché ci sono io non succederà», ha avvertito: «L'America tiene in alta considerazione il concetto di libertà e tiene ai diritti umani. Fino a quando Pechino continuerà a violare così brutalmente i diritti umani, noi continueremo senza sosta a richiamare l'attenzione del mondo per far sapere quello che succede». «Conosco Xi Jinping da tempo, è una persona intelligente - ha proseguito -. Abbiamo parlato per due ore, gli ho detto chiaramente che non vogliamo un scontro, ma una competizione, e una concorrenza leale».
Tuttavia, il presidente ha insistito che il Dragone deve rispettare le regole internazionali. Mentre sulla Corea del Nord gli Usa si stanno confrontando con gli alleati: «Se sceglierà un'escalation ci sarà una risposta - ha sottolineato -. Ma sono pronto anche a qualche forma di diplomazia, a condizione di una denuclearizzazione». E sul ritiro delle truppe Usa dall'Afghanistan, Biden ha spiegato che «non resteranno a lungo», ma sarà difficile rispettare il termine del primo maggio.




Senatori USA chiedono al Presidente Biden di riconoscere il Genocidio armeno
Agenzia Fides
26/3/2021

http://fides.org/it/news/69852-AMERICA_ ... k.facebook

Washington (Agenzia Fides) – Un gruppo di 37 senatori statunitensi, sia democratici che repubblicani, in appoggio alle posizioni espresse dal Presidente della Commissione per le relazioni estere del senato Robert Menendez, ha indirizzato al Presidente Joe Biden una lettera con la richiesta di riconoscere pienamente e formalmente il Genocidio armeno. “Amministrazioni di entrambe le parti” si legge nella missiva “hanno taciuto sulla verità del Genocidio armeno. Vi esortiamo a rompere questo schema di complicità, riconoscendo ufficialmente che il Genocidio armeno è stato un vero Genocidio”.
Il contenuto della lettera è stato reso noto nei giorni scorsi anche in un comunicato stampa diffuso dall'Armenian National Committee of America (ANCA). "Il Presidente Biden in virtù del suo solido passato e delle risoluzioni bipartisan della Camera e del Senato che ha sostenuto come candidato” ha affermato Aram Hamparian, direttore esecutivo dell'ANCA “si trova in una posizione di forza per respingere la ‘regola del bavaglio’ turca, che blocca la condanna permanente a livello di governo degli Stati Uniti e la commemorazione del Genocidio armeno”.
Nel settembre 2019 Biden, a quel tempo candidato alle primarie democratiche in vista delle elezioni presidenziali USA 2020,aveva invitato gli Stati Uniti a riconoscere "una volta per tutte" come Genocidio il “Grande Male” dei massacri perpetrati nel 1915 contro la popolazione armena nella Penisola anatolica.
Il Presidente Donald Trump, predecessore di Biden alla Casa Bianca, come riferito da Fides (vedi Fides 25/4/2017), aveva dedicato nell’aprile 2017 un pronunciamento ufficiale ai massacri pianificati subiti nella Penisola anatolica dagli armeni nel 1915, ma aveva evitato di applicare a quei massacri sistematici la definizione di “Genocidio armeno”, accodandosi alla linea seguita dai suoi ultimi 4 predecessori per non suscitare reazioni risentite da parte della Turchia.
In passato, i Presidenti USA Jimmy Carter e Ronald Reagan avevano usato l'espressione “Genocidio armeno”, ma poi, da George H.W Bush a Barack Obama, l'espressione era scomparsa da lessico dei leader della Casa Bianca nei loro pronunciamenti ufficiali. Il Presidente Obama, anche a causa delle pressioni turche sul Congresso USA, aveva accantonato la promessa fatta durante una campagna elettorale di riconoscere la natura genocidaria dei massacri subiti nell’attuale territorio turco dagli armeni più di un secolo fa.
La nuova iniziativa bipartisan di senatori USA ripropone la questione del frequente ricorso alla categoria di “Genocidio” nella definizione delle strategie geopolitiche USA. Una opzione carica di risvolti concreti e operativi: nell’ordinamento statunitense, quando i crimini sofferti da una comunità di persone in qualsiasi parte del mondo sono riconosciuti come genocidio, il Presidente Usa è tenuto a porre in atto tutte le opzioni politiche, economiche e militari utili a sostenere le vittime e portare a giudizio i colpevoli. Negli anni della espansione jihadista sui territori iracheni, negli Usa un cartello di 118 sigle e rappresentanti di gruppi civili e religiosi organizzò campagne lobbistiche per spingere le istituzioni statunitensi a riconoscere come genocidio le azioni compiute dai jihadisti del Daesh contro tutte le comunità religiose minoritarie, a partire da cristiani e yazidi. Il risultato più rilevante della campagna è stato l’ “Iraq and Syria Genocide Relief and Accountability Act”, la legge firmata dal Presidente Donald Trump che nel dicembre 2018 definiva come “Genocidio” la serie di crimini perpetrati negli anni precedenti da gruppi jihadisti su cristiani e yazidi in Iraq e Siria, e impegnava il governo USA anche a perseguire i gruppi accusati come esecutori delle efferatezze. La legge fu definita da alcuni invitati alla cerimonia della firma come uno strumento “vitale” per garantire la sopravvivenza dei cristiani in Iraq e salvare le loro comunità dall’estinzione. Nondimeno, il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, anche in una recente intervista rilasciata all’Agenzia Fides (vedi Fides 3/3/2021, ha ripetuto che “Se c’è stato un genocidio, esso ha colpito tutti: i cristiani e ancora di più gli yazidi, ma anche sciiti e sunniti, in numero più alto. Non bisogna separare i cristiani dagli altri, le sofferenze dei cristiani da quelle degli altri, perché in quel modo si alimenta la mentalità settaria”.



Per il Pentagono l’Iran non è una “minaccia importante”. Via i Patriot dal Golfo
Written by Haamid B. al-Mu’tasim•
2 aprile 2021

https://www.rightsreporter.org/per-il-p ... dal-golfo/


Via anche la batteria che protegge la base aerea Prince Sultan. Una vera smobilitazione

Per il Pentagono l’Iran non è una minaccia importante tanto che a Washington hanno deciso di rimuovere almeno tre sistemi di missili Patriot dal Golfo Persico.

La decisione però non è dell’Amministrazione Biden ma di quella che faceva capo all’ex Presidente Donald Trump.

L’Amministrazione Biden ha quindi messo in pratica una decisione già presa nel 2020, ma con alcune varianti molto significative.

Per esempio verrà smantellata la batteria che protegge la base aerea Prince Sultan, in Arabia Saudita. Questo è uno dei segnali più forti del fatto che il Pentagono non considera l’Iran un pericolo importante.

Secondo alcune fonti ben informate nei prossimi mesi verranno rimossi anche sistemi antimissile THAAD e l’hardware militare di alcuni sistemi di difesa e sorveglianza oltre a quasi tutti i droni.

L’ex Presidente Trump aveva preso questa decisione perché intendeva costringere l’Arabia Saudita a prendersi maggiori responsabilità per la propria difesa e comprare i vari sistemi di difesa. Ma questo sembra un vero e proprio smantellamento.

Stando a quello che si apprende, al Pentagono vogliono riposizionare i propri sistemi di difesa aerea e antimissile in configurazione anti-cinese e anti-russa in quanto proprio Cina e Russia vengono considerati dal Pentagono come i due maggiori e imminenti pericoli.

In ogni caso, fanno sapere da Washington, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo non verranno lasciati soli di fronte al “pericolo iraniano”.

A tal proposito è stata allestita una task force denominata “tiger team” con il compito di studiare varie modalità di difesa del regno saudita e degli altri Paesi del Golfo. Una specie di contentino.
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Messaggioda Berto » mer apr 28, 2021 9:42 pm

Perché le guerre democratiche (o "umanitarie") non funzionano
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
12 Lug 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... unzionano/

Ancora una volta, dunque, aveva ragione Donald Trump. Pesantemente criticato per aver deciso di ritirare le truppe Usa e alleate dall’Afghanistan, il suo successore democratico Joe Biden ne ha subito seguito le orme. Riconoscendo che si tratta dell’unica decisione possibile, giacché Biden ha pure detto con onestà che non spetta agli americani esportare la democrazia, i diritti e la parità per le donne.

Tanto più in un Paese dove il fondamentalismo islamico è una sorta di senso comune, e che nessuno – neppure i sovietici e i britannici all’apice della loro potenza imperiale – è mai riuscito a conquistare. Biden così rovescia, seguendo la strategia di Trump, la politica delle precedenti amministrazioni Usa. E soprattutto di quella di Obama, nella quale le linee di politica estera erano fissate da Hillary Clinton.

Se vogliamo capire l’essenza delle “guerre democratiche” (o umanitarie), è utile leggere un libro di Francis Fukuyama, il politologo nippo-americano divenuto celebre per aver propagandato il concetto di “fine della storia”. Lo fece nel noto volume “La fine della storia e l’ultimo uomo”, pubblicato in Italia da Rizzoli.

In seguito Fukuyama ha scritto un altro saggio importante: “Esportare la democrazia. State-building e ordine mondiale nel XXI secolo”. Tradotto nel nostro Paese dall’editore Lindau, è oggi reperibile con una certa difficoltà. Vale tuttavia la pena di parlarne poiché ci fornisce un quadro chiaro dei criteri che hanno indotto – e inducono tuttora – la comunità internazionale occidentale guidata dagli Stati Uniti a intervenire in modo diretto, soprattutto militarmente, quando si giudica che uno Stato minacci la stabilità mondiale. O anche nei casi in cui detta stabilità venga messa in pericolo da Stati “collassati”, non più in grado di gestire i loro affari interni.

Accade allora, secondo Fukuyama, che Usa e comunità occidentale abbiano non tanto il diritto, bensì il dovere di intervenire quando crisi di quel tipo si manifestano. Al fondo si cela una concezione che implica la diffusione della democrazia liberale sul piano globale. Ne risulta essenziale, a suo avviso, che siano sempre e comunque gli Usa a intervenire, ferma restando la loro posizione di leadership dovuta a fattori politici, economici e, soprattutto, militari. “La logica della politica estera americana – egli scrive – dall’11 settembre sta trascinando gli Stati Uniti in una situazione in cui o essi si assumeranno la responsabilità di governare gli Stati deboli, oppure consegneranno questo problema alla comunità internazionale”.

In un discorso tenuto nel 2002 a West Point, George W. Bush negò recisamente che gli Usa coltivassero sogni imperiali, ma non esitò ad ammettere che una dottrina allargata della guerra preventiva era in grado di porre gli Stati Uniti nella condizione di governare popolazioni potenzialmente ostili nei Paesi che li minacciano con il terrorismo. Ecco quindi Afghanistan e Iraq. Tuttavia la presenza di organizzazioni come Isis e al-Qaida (o i talebani afghani) rende tale compito assai più difficile del previsto. La lotta va estesa a una miriade di contesti territoriali seguendo l’ondata degli attacchi terroristici, da Mombasa a Bali a Riad. Se in quelle nazioni i governi locali non risultano in grado di fronteggiare il fenomeno, “occorre stimolare dall’esterno la costruzione dello Stato in Paesi con gravi disfunzioni interne”.

Eccoci dunque giunti al concetto di state-building, il vero nucleo del libro. Gli Stati deboli o addirittura “collassati” (si pensi, per citare un solo esempio, alla Somalia) rappresentano una minaccia non solo per se stessi, ma anche per l’intero scenario mondiale. Gli interventi umanitari degli anni ’90 del secolo scorso portarono all’estensione di un potere imperiale internazionale di fatto sugli “stati falliti” del mondo. Gli interventi furono spesso guidati dalla potenza militare americana, ma seguiti, nel nation-building, da un’ampia coalizione di Paesi, principalmente europei, più l’Australia e il Giappone.

Ma come mettere in pratica il nation building in nazioni che non hanno le tradizioni democratiche occidentali e, per di più, sono spesso recalcitranti ad adottarle? Fukuyama non esita a notare che, forse, gli Stati si possono costruire deliberatamente ma, “se da questo si genera anche una nazione, è più questione di fortuna che di progettazione”. Dal che consegue che state-building e nation-building non sono affatto la stessa cosa, e gli europei sembrano esserne più consapevoli degli americani.

C’è da chiedersi, a questo punto, se l’internazionalismo liberale che ha sempre avuto un ruolo di rilievo nella politica estera degli Stati Uniti possa davvero trovare sbocco e soddisfazione in una strategia come quella appena delineata. Perché esiste, com’è noto, anche l’eterogenesi dei fini. È rarissimo che una politica estera raggiunga con precisione proprio gli obiettivi che si proponeva di conseguire.

Passando agli anni più recenti, vediamo che il quadro non muta molto quando il bastone del comando passa da un presidente americano a un altro. La strategia delle “primavere arabe” promossa dal duo Barack Obama-Hillary Clinton ha dapprima suscitato entusiasmi stellari, per poi diventare fonte di dubbi e recriminazioni. Non era affatto chiaro se davvero si trattasse di “primavere”, visto che in Tunisia ci sono stati seri rischi di veder regredire la condizione femminile, mentre quasi ovunque nell’area l’instabilità era cresciuta.

Un quadro, insomma, tremendamente complicato, che il volume di Fukuyama ha il merito di tratteggiare con lucidità senza tuttavia fornire risposte convincenti. Non è sufficiente dire che “le nazioni devono essere in grado di costruire istituzioni statali non solo all’interno dei propri confini ma anche in altri Paesi più disorganizzati e pericolosi”. Il problema è “come” farlo e con “quali strumenti”. Sarebbe forse più ragionevole ritornare a un sano realismo politico, senza sbandierare nobili ideali. Ed è proprio ciò che ha fatto il tanto vituperato Donald Trump. In questo caso Joe Biden è stato onesto, affermando a chiare lettere che gli Usa non sono andati in Afghanistan per costruire una nazione, e nemmeno per unificarla. Poiché nessuno c’è mai riuscito, tanto vale essere realisti e perseguire obiettivi più limitati.
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Messaggioda Berto » sab mag 01, 2021 7:43 am

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Il mondo orrendo di Sleepy Joe e della sua banda Biden Biden

Messaggioda Berto » sab mag 01, 2021 7:43 am

23) La teresina di Biden



Veroooo lo ho appena sentito! Ha detto ""quello che manda avanti la baracca".
Poraccio, si chiama Lloyd Austin ed è un ex Generale.
https://www.facebook.com/jaime.mancagra ... 4829126465


Biden Fails To Remember The Name Of His Defense Secretary
Biden non riesce a ricordare il nome del suo segretario alla difesa
March 8, 2021
https://rumble.com/veghl5-biden-fails-t ... r&mc=1a3kd

Oramai è andato!

Lloyd James Austin III (Mobile, 8 agosto 1953) è un ex generale e politico statunitense, primo comandante di origini afroamericane dello United States Central Command (CENTCOM) e segretario della Difesa degli Stati Uniti dal 22 gennaio 2021.
https://it.wikipedia.org/wiki/Lloyd_Austin



Giorno 49: Metà della nazione preoccupata che Biden non sia "fisicamente e mentalmente all'altezza del lavoro.
L'Osservatore Repubblicano
9 marzo 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 1732853578

Non ci vuole molto perché gli elettori della nazione si preoccupino che il presidente Biden, il più vecchio nuovo capo dell'esecutivo a 78 anni, possa non essere all'altezza del lavoro.
L'ultima prova: La sua resistenza a tenere una vera e propria conferenza stampa ora, dopo 49 giorni di presidenza, ha fatto preoccupare metà del paese.
Nell'ultimo sondaggio Rasmussen Reports sui probabili elettori, il 50% ha detto di non essere sicuro che "Joe Biden sia fisicamente e mentalmente all'altezza di essere presidente degli Stati Uniti". Un altro 48% ha fiducia in Biden, anche se solo il 34% era "molto fiducioso" che fosse all'altezza del lavoro.
L'esito, ha detto Rasmussen, è stato il rifiuto di Biden di incontrare i giornalisti. Ha avuto alcune interazioni con un piccolo pool di giornalisti, ma il suo stile di parlare a volte goffo ha portato a delle critiche. E la Casa Bianca ha recentemente ridotto le sue apparizioni.
Rasmussen ha detto oggi che il 52% dei probabili elettori è preoccupato che non abbia tenuto una conferenza stampa e che il 46% non lo è.
E il 76% di coloro che non hanno fiducia nelle capacità di Biden sono molto preoccupati per la mancanza di conferenze stampa, ha aggiunto Rasmussen.
Questi risultati arrivano mentre la Casa Bianca ha anche taciuto sul fatto che il presidente terrà un discorso sullo stato dell'Unione. I sostenitori sono scioccati dal fatto che non sia andato a Capitol Hill per dichiarare l'apertura della nuova era di Biden e condividere i suoi piani.
Ma i risultati non dovrebbero essere sorprendenti considerando i sondaggi pre-elettorali che hanno mostrato che molti elettori erano preoccupati che Biden si sarebbe dimesso prima della fine del suo primo mandato.

https://www.washingtonexaminer.com/wash ... to-the-job



Kayleigh McEnany dice che Biden evita le domande della stampa perché il suo staff non ha "fiducia" in lui
L'Osservatore Repubblicano
9 marzo 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 5926186492

L'ex addetta stampa della Casa Bianca Kayleigh McEnany non è sorpresa che il presidente Biden non abbia tenuto una conferenza stampa da solo nonostante sia in carica da più di sei settimane.
Ha definito le sue azioni "straordinarie" ma "non senza precedenti" su "Varney and Co." di FOX Business.
"Vi ricorderete... la 'strategia del seminterrato', è quella che ha impiegato in campagna elettorale", ha detto al conduttore Stuart Varney, riferendosi all'allora candidato Biden che faceva conferenze stampa dal suo seminterrato. "È andato avanti qualcosa come 50 giorni e ha risposto alle domande solo due volte. E quando lo ha fatto, erano preconfezionate.
L'immediato predecessore di Biden, Donald Trump, ha tenuto la sua prima conferenza stampa il 16 febbraio 2017, mentre Barack Obama ha tenuto la sua prima conferenza stampa il 9 febbraio 2009.
McEnany crede che la mancanza di interazioni di Biden con la stampa sia dovuta al suo staff.
"Penso che il suo staff non abbia fiducia che lui possa stare sul podio e tenere una conferenza stampa come ha fatto molte volte il presidente Trump", ha detto.
McEnany ha continuato a dire che, da quello che può dire, Biden sembra divertirsi a parlare con i media.
"Non penso che questo sia il presidente Biden che dice: 'Non voglio fare questo'", ha detto. "Penso che siano quelli intorno a lui che riconoscono che quando parla, non vengono sempre fuori così bene, come chiamare i repubblicani 'Neanderthal', come ha fatto recentemente nello Studio Ovale".
Lei crede che lo staff di Biden stia cercando di proteggerlo ritardando una conferenza stampa.
"La pressione sta aumentando quando si hanno anche organi di stampa di sinistra che lo chiamano per questo", ha aggiunto.


Gli elettori bocciano Biden: "Non è mentalmente idoneo"
Mariangela Garofano
11 marzo 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/us ... 30294.html

Secondo un sondaggio, metà degli elettori degli Stati Uniti nutre dei dubbi sulle effettive capacità psicofisiche del presidente Joe Biden. Ed ora si chiedono se è adatto a ricoprire un ruolo così delicato

Metà dei potenziali elettori degli Stati Uniti teme per la salute mentale del presidente Joe Biden.

Il dato è emerso da un sondaggio pubblicato da Rasmussen Reports, secondo il quale il nuovo inquilino della Casa Bianca non sarebbe “fisicamente e mentalmente all'altezza" del suo incarico. Il 50 per cento dei partecipanti al sondaggio ha espresso seri dubbi riguardo alle condizioni di salute del presidente, mentre il 48 per cento avrebbe fiducia nelle sue capacità.

I dubbi di gran parte dei cittadini statunitensi sarebbero dettati da una serie di episodi che hanno fatto scattare l'allarme riguardo alle condizioni psicofisiche di Biden. Primo tra tutti il mancato confronto con la stampa del presidente, che è entrato in un "silenzio ufficiale" di 50 giorni dal 20 gennaio. Da quando si è insediato alla Casa Bianca, Joe Biden non ha ancora rilasciato una conferenza stampa, cosa che ha fatto nascere perplessità ed inquietudine sul motivo di tale decisione. Nella storia della presidenza americana nessun presidente si era tenuto lontano dalla stampa così a lungo, ed ora gli elettori si chiedono il perché.

Negli ultimi mesi i media conservatori non hanno mancato di porre l’accento sulle gaffe del presidente, che ultimamente si è reso protagonista di alcuni episodi decisamente bizzarri. Nei giorni scorsi lo staff presidenziale ha improvvisamente interrotto una diretta senza alcun preavviso, proprio mentre i giornalisti ponevano delle domande al presidente, come a volerlo tenere lontano da possibili "scivoloni". Il 9 marzo Biden si è reso ancora una volta protagonista di una gaffe, o per meglio dire, di un momento di amnesia. Durante un discorso in occasione della Giornata internazionale della donna, Biden, nell’imbarazzo generale, sembra non ricordare neppure il nome del segretario della Difesa Lloyd Austin. “Voglio ringraziare… l'ex generale, continuo a chiamarlo "generale". Il mio… il mio…il ragazzo che gestisce quel gruppo laggiù”, ha affermato il presidente in evidente stato confusionale, definendo Austin come “il tipo in divisa”. Le voci di una forma di demenza del presidente degli Stati Uniti hanno caratterizzato tutti i mesi precedenti alla sua elezione, ma Biden ha sempre messo a tacere il chiacchiericcio e le battute sul suo conto, sostenendo di soffrire di una forma di dislessia.



Fine del Nuovo Ordine Mondiale? – parte 2 – MN #101
da Roberto Mazzoni
Mar 17, 2021

https://mazzoninews.com/2021/03/17/fine ... -2-mn-101/

Un’indagine di opinione condotta recentemente da Rasmussen Reports indica che il 52% degli americani, metà, ritiene che Joe Biden non sia fisicamente e mentalmente in grado di svolgere il lavoro di presidente.

Questo segue un evento alla Casa Bianca dove Joe Biden, nell’annunciare la nomina di due generali donna alla guida di due comandi inter-forza, si è dimenticato il nome di Lloyd Austin segretario alla difesa e lo ha chiamato “il tizio che gestisce le cose da quelle parti”.

In un Executive Order pubblicato il 25 gennaio, l’amministrazione Biden ha proibito il congedo e qualsiasi altra forma di discriminazione nelle forze armate statunitensi basandosi sull’identità di genere (gender identity).

Il segretario della difesa Lloyd Austin ha pubblicato un memorandum in cui dichiara che fornirà gratuitamente gli interventi chirurgici per il cambiamento di sesso come parte dell’assistenza medica offerta ai militari.

Il parlamentare repubblicano Jim Banks, veterano della guerra in Iraq non contrario alla presenza di transgender nelle forze armate statunitensi, ha dichiarato:

“Il fatto che un’amministrazione presidenziale costringa i contribuenti a pagare per le operazioni di cambiamento di sesso a beneficio di militari rappresenta un territorio inesplorato e radicalizzato per un’amministrazione presidenziale”.

Sottolinea che si tratta di una misura di dubbia costituzionalità, come confermato che neanche il Congresso ha approvato leggi in tal senso.

Il Pentagono ha pagato per il cambio di sesso di un soldato per la prima volta nel 2017 e tra il 2016 e il 2019 ha speso $ 8 milioni per il trattamento psicologico di 1,525 soldati transessuali.

Un caso eclatante di transessuale militare è stato quello di Chelsea Manning arruolatosi come maschio con il nome di Bradley Edward Manning e in seguito diventata Chelsea Elizabeth Manning, in parte a spese dello stato durante la sua detenzione nelle carceri militari per aver fatto trapelare nel 2010 e 2011 enormi quantità di materiale confidenziale di natura militare e non, in cui documentava anche abusi commessi dalle forze armate statunitensi durante le guerre in Afghanistan e Iraq.


Critical Race Theory – la nuova teoria razziale americana

Le forze armate hanno anche ripreso l’addestramento sulla teoria di supremazia razziale che l’amministrazione Trump aveva bloccato lo scorso settembre seguendo una precedente dichiarazione di Russel Vought, direttore dell’Office of Management and Budget della Casa Bianca.

Vought aveva dichiarato che le agenzie della branca esecutiva del governo statunitense avevano speso milioni di dollari dei contribuenti per “addestrare i dipendenti governativi affinché credano a propaganda anti-americana e che ci divide”.

La Critical Race Theory (Teoria Razziale Critica) è un movimento attivista d’interpretazione della legge negli Stati Uniti promosso in particolare da due avvocati e docenti universitari statunitensi, Richard Delgado e la moglie Jean Stefancic. Il programma è nato presso la Harvard Law School a partire dalla fine degli Anni Settanta all’inizio degli Anni Novanta.

La Critical Race Theory dichiara che il razzismo è presente in ogni cosa e chiunque lo neghi dimostra di essere razzista. Crea un razzismo sintetico, alimenta il risentimento nei confronti della propria nazione e della propria religione di appartenenza grazie anche all’abbinamento diretto o indiretto con il filone gender. Mira ad eliminare la libertà di parola e di religione espressa nel primo emendamento della costituzione americana per sostituirlo con il 13mo emendamento che condanna la schiavitù. Chiunque è un fervente difensore dei valori di una particolare fede è uno schiavo, secondo Delgado e la moglie.

L’Iran cerca attenzione nella trattativa per il nuovo “nuclear deal”

L’Iran ha mostrato sulla televisione di stato un video in cui mostra l’inaugurazione di una nuova base navale missilistica sotterranea che si aggiunge a svariate “città dei missili” già annunciate in passato. La base ospita missili balistici e da crociera (cruise) e l’annuncio serve come elemento di pressione nei confronti di Washington per il rinegoziato del “nuclear deal” patto nucleare che era stato cancellato da Trump sostituendolo con una serie di sanzioni.

Le sanzioni, come ha notato Trump in un recente intervento, sono state tolte da Washington prima di iniziare i nuovi negoziati il che pone l’Iran nella condizione d’incrementare costantemente la pressione al fine di ottenere una posizione negoziale più forte.

In generale, l’amministrazione Biden sembra proiettata a facilitare un rafforzamento dell’estremismo islamico.
Josh Hawley dichiara la prossima fine del New World Order

Josh Hawley: “Per dare un senso del tipo di visione che gli elettori hanno rifiutato, il presidente Bush, nel 1990 tenne un discorso al Congresso dove parlò del Nuovo Ordine Mondiale. Ne parlava nel contesto dell’Iraq, ma parlò ampiamente di un ‘Nuovo ordine globale liberale’ che naturalmente sarebbe stato capitanato dall’America, e che avrebbe coinvolto l’America nel trasformare il resto del mondo in modo che le assomigliasse di più portandolo quindi a fondersi con l’America. Non ci sarebbe più stato bisogno di confini e avremmo avuto un commercio libero. Avremmo avuto una grande cooperazione multinazionale e le multinazionali sarebbero state in grado di fare affari in qualsiasi nazione, e sarebbe stata una nuova era.

Da come sono andate le cose vediamo innanzitutto che la Russia e la Cina non hanno recepito il messaggio. Inoltre quel Nuovo Ordine Mondiale non si è rivelato positivo per i lavoratori americani. Non proteggeva i valori della classe media americana. Di fatto ha indebolito lo stile di vita della classe media”.

La classe dominante è composta da un numero molto ristretto di persone che provengono da un gruppo molto limitato di università che condividono le stesse visioni e si oppongono al tradizionalismo delle comunità americane. Sono anche quelli che guadagnano dall’integrazione globale.

Da quando gli Stati Uniti hanno firmato l’accordo NAFTA (North American Free Trade Agreement) e da quando la Cina ha potuto entrare nella World Trade Organization, gli americani hanno perso 5 milioni di posti di lavoro e 50.000 aziende manifatturiere statunitensi sono state chiuse.

Il disavanzo commerciale degli USA nei confronti del resto del mondo è sestuplicato. In generale, i posti di lavoro si sono spostati in alcuni centri chiave, mentre il resto degli USA è stato sistematicamente impoverito.

L’Italia e il New World Order

Il ruolo dell’Italia nel Medio Oriente. In origine la sigla E3 indicava le tre nazioni che hanno dato vita al progetto di progressiva unificazione europea: Germania, Francia e Italia. I tre padri fondatori e pionieri sono: Konrad Adenauer cancelliere tedesco dal 1949 al 1963, Robert Schuman, primo ministro francese dal 1947 al 1948, Alcide De Gasperi, primo ministro italiano dal 1945 al 1953.

Il primo atto ufficiale fu il trattato di Roma del 1957 con la formazione della Comunità Economica Europea.

Nel 2003 la sigla E3 ha cambiato significato. L’Italia scompare per essere sostituita dalla Gran Bretagna e il gruppo delle tre nazioni si dedica espressamente al negoziato per la limitazione del programma nucleare iraniano, con l’Accordo di Parigi del 15 novembre 2004. L’Italia si era ritirata per non esacerbare i rapporti con Washington già compromessi dall’opposizione dell’Italia alla guerra in Iraq iniziata nel 2003, nonostante Teheran premesse affinché l’Italia fosse presente.

Nel 2006 il gruppo si è allargato con l’aggiunta di Stati Uniti, Russia e Cina ed è diventato E3+3, che corrisponde ai cinque membri permanenti delle Nazioni Unite più la Germania. L’Italia ancora non era rappresentata. I negoziati su un nuovo accordo per la limitazione del programma nucleare sono continuati fino al 2014 quando Matteo Renzi, allora primo ministro italiano, chiede di includere nella trattativa anche Federica Mogherini, come alto rappresentante della Comunità Europea. Il negoziato si concluse il 14 luglio 2015 con la firma del cosiddetto “Iran Nuclear Deal”, fiore all’occhiello dell’amministrazione Obama che lo aveva concluso attraverso l’opera del Segretario di Stato John Kerry che ora copre la posizione di Inviato per il Clima nell’amministrazione Biden.

Vediamo la foto dell’annuncio finale dell’accordo in cui compaiono i ministri degli esteri delle nazioni E3+3 e la Mogherini come rappresentante dell’Unione Europea, manca il ministro degli esteri russo.

Nel maggio del 2018, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo unilateralmente e hanno cominciato ad imporre sanzioni sull’Iran che l’Unione Europea ha ignorato continuando i propri scambi commerciali con Teheran creando uno speciale strumento finanziario chiamato Instrument in Support of Trade Exchanges (INSTEX) sito a Parigi che scavalca il circuito bancario SWITF che è bloccato dalle sanzioni americane. Gli sponsor originali dell’INSTEX sono Francia, Germania e Gran Bretagna. Nel novembre del 2019 si sono unite anche Belgio, Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia.

La Russia ha indicato di non essere interessata a unirsi e ha creato circuiti propri.

La prima transazione ufficiale dell’INSTEX si è conclusa il 31 marzo 2020 per la fornitura di rifornimenti medici per l’epidemia COVID-19 esplosa in Iran. Federica Mogherini ha dichiarato che le finalità dell’INSTEX sono di facilitare scambi commerciali legittimi con l’Iran.

Nel 2005, l’Italia era il terzo Paese al mondo per scambi commerciali con l’Iran. Nel 2017 era la nazione che aveva la maggior parte di scambi con l’Iran all’interno dell’Unione Europea. L’Iran è una destinazione importante per l’export industriale italiano, 1 miliardo di euro di macchinari e veicoli nel 2017, come pure una fonte di energia importante sin dai tempi dell’ENI di Enrico Mattei. I manufatti italiani sono una componente molto importante nella crescita industriale e infrastrutturale dell’Iran.

L’Italia dispone di un proprio veicolo finanziario per gestire gli scambi con l’Iran, denominato Invitalia, che è stato congelato nella attesa di vedere come si risolvono i rapporti tra Iran, Stati Uniti e Unione Europea. Gli Stati Uniti avevano già concesso un’esenzione all’Italia per l’approvvigionamento di petrolio dall’Iran, che tuttavia non è stata utilizzata.

Alcune aziende italiane hanno continuato ad operare in Iran, come Fincantieri, Ferrovie dello Stato e Ansaldo, ma altre si sono fermate per non compromettere le proprie relazioni commerciali con gli USA.

L’Italia è quindi in una posizione ambigua.
Operazione Tempesta nel Deserto canto del cigno del Nuovo Ordine Mondiale

L’invasione del Kuwait il 1 agosto 1990 da parte dell’esercito iracheno fu un a sorpresa per la maggior parte dei servizi segreti occidentali. Dopo mesi di tentativi diplomatici, nel gennaio 1991 una coalizione di 35 nazioni cominciò una serie di bombardamenti su obiettivi strategici. Fecero ampio uso delle cosiddette bombe intelligenti così da contenere i danni alla popolazione civile Il 24 febbraio 1991, dopo che la strada era stata spianata da una pioggia di bombe, iniziò l’attacco terrestre che includeva anche divisioni corazzate siriane ed egiziane e che si concluse in poco più di 100 ore con la totale espulsione degli iracheni e con un accordo di cessate il fuoco.

La coalizione aveva subito poche perdite e decise di non inseguire gli iracheni in rotta in territorio iracheno perché erano convinti che il regime di Saddam sarebbe caduto per intervento interno, a seguito dell’umiliazione internazionale. Comunque furono bombardate e distrutte tutte le strutture chiave del regime che erano sopravvissute ai bombardamenti preventivi.

La Tempesta del Deserto fu una dimostrazione di grande coordinamento multinazionale, con il benestare delle Nazioni Unite, e di netta superiorità tecnologica dei sistemi bellici schierati in particolare dagli Stati Uniti. Fu soprattutto una celebrazione della fine della Guerra Fredda visto che anche l’Unione Sovietica aveva dato il suo benestare attraverso il suo presidente Michail Gorbaciov, che sarebbe stato dimissionario proprio alla fine del 1991 con lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Già nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, i rapporti tra Unione Sovietica e occidente erano cambiati.

Gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza al mondo in quel momento, e il progetto di New World Order, concepito in particolare da David Rockerfeller con la partecipazione di altri banchieri europei e personaggi di Wall Street, vedeva la nascita di un governo mondiale affidato alle Nazioni Unite e difeso dalla preponderante forza bellica statunitense.

Come sintetizzato da George Bush durante una riunione alle Nazioni Unite del 21 settembre 1992: “Le nazioni dovrebbero formare ed addestrare unità militari delle Nazioni Unite da impiegare in possibili operazioni di mantenimento della pace”.

La formula dell’ordine imposto con la forza in un’area strategica del Medio Oriente da cui dipendeva fortemente la valutazione del petrolio e quindi del dollaro, entrambi interessi molto cari alla famiglia Rockerfeller, aveva raggiunto nella Guerra del Golfo del 1991 il suo apice massimo che non sarebbe mai più stato ripetuto. Era stato il trionfo del complesso militare-industriale-energetico statunitense, finanziato dalla forza del petrodollaro, ma ne sarebbe anche stato il canto del cigno.

Troviamo una spiegazione di questa caduta nel manuale di guerra non convenzionale Unrestricted Warfare (Guerra illimitata) scritto nel gennaio 1999 da Qiao Lang e Wang Xiangsui, due colonnelli dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese a beneficio delle forze armate cinesi.

Il testo è stato in seguito adottato anche dai militari statunitensi e dalle forze armate di altri Paesi.

Qiao Lang e Wang Xiangsui spiegano che l’operazione Tempesta del Deserto ha segnato la fine di un’era. Tutte le operazioni militari successive che hanno visto impegnati gli americani insieme alle Nazioni Unite, come le campagne in Somalia, in Boznia-Herzegovina e i nuovi bombardamenti contro l’Iraq condotti da USA e Gran Bretagna nel 1998, hanno dimostrato l’inefficacia di tale approccio.

L’inserimento di fattori politici, economici, culturali, diplomatici, etnici e religiosi, che sono più complessi di quanto una pianificazione militare possa includere, hanno fatto emergere le limitazioni dell’approccio bellico puro e semplice.

Nel 1999 anche la Russia si era completamente ritirata dal progetto New World Order con l’arrivo sulla scena di Vladimir Putin nel 1999 e la Cina cominciava ad assumere un ruolo importante e sicuramente indipendente dalle Nazioni Unite.

La globalizzazione stava smontando gradualmente il progetto New World Order togliendo agli USA e alle Nazioni Unite il ruolo di poliziotti e pacificatori del mondo, e soprattutto il ruolo di controllori degli equilibri in Medio Oriente, cambiando anche il modo in cui si combattevano le guerre.

Roberto Mazzoni

https://www.newsmax.com/newsfront/rasmu ... 0502jnjwk8

https://www.newsmax.com/politics/milita ... d/1013272/

https://en.wikipedia.org/wiki/Chelsea_Manning

https://www.dailymail.co.uk/news/articl ... ffair.html

https://en.wikipedia.org/wiki/EU_three

https://en.wikipedia.org/wiki/European_ ... _Community

https://en.wikipedia.org/wiki/Joint_Com ... nistration

https://en.wikipedia.org/wiki/Instrumen ... _Exchanges

https://en.wikipedia.org/wiki/Iran%E2%8 ... _relations

https://www.breitbart.com/politics/2019 ... y-of-life/



USA 15 giorni da incubo per Joe Biden e la stampa liberal
Ludovico Seppilli
18 marzo 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 5320808471

Il 25 febbraio Biden ordina un attacco aereo in Syria per colpire milizie di orbita iraniana responsabili di un attacco a militari USA ad Erbil, in Iraq, il 15 febbraio. La logica è identica a quella che aveva portato Trump, il 7 aprile 2017, a colpire la base aerea di Shayat sempre in Syria. Allora, Trump fu accusato di fascismo e Joe Biden parlò di un inaccettabile attacco in uno Stato sovrano. Oggi, silenzio assoluto dei media.
Al confine tra USA e Messico la situazione è del tutto esplosa in mano a Biden negli ultimi giorni. Dopo aver di fermato i lavori del muro, etichettato come madre di tutti i mali, e revocato il blocco del confine voluto da Trump, ecco la situazione: 9457 minori chiusi nei centri di detenzione per minori al confine, pratica per cui Trump era stato descritto come bestia disumana. A Donna, in Texas, c'è un centro di detenzione occupato al 729% della sua capienza. Biden ha dovuto parlare in TV dicendo che gli immigrati messicani non devono partire. Ma nessuno si permette di dire beh.
In un'intervista alla ABC ha definito Putin un assassino, provocando il ritiro dell'ambasciatore russo da Washington. Un fatto mai accaduto neanche in piena Guerra Fredda. Putin ha, con furbizia e diplomazia, risposto con ironica cortesia, esponendo Biden a una figuraccia di stampo mondiale. Non si ha ancora notizia di commenti da parte del mainstream media, che per 4 anni ci aveva raccontato come il linguaggio incendiario di Trump ci avrebbe portato alla terza guerra mondiale.
Il suo fedelissimo e Governatore di NY, Andrew Cuomo, è sotto processo per abusi sessuali, per aver falsificato i contagiati a NY e tutti, democratici compresi, ne chiedono le dimissioni per la pessima gestione di Covid-19. Intanto, il Repubblicano Ron De Santis in Florida, che per tutto il 2020 si è rifiutato di applicare i lockdown, è ai massimi di popolarità per la sua gestione della pandemia.
Va detto, tutto questo in poco più di 15 giorni non era facile.




Biden scivola e cade salendo la scaletta dell’Air Force One
Ven, 19/03/2021

https://www.ilgiornale.it/video/mondo/b ... 1616181277

Joe Biden è inciampato mentre saliva la scaletta dell'Air Force One per volare ad Atlanta, è scivolato due volte prima di cadere una terza, mentre si reggeva al corrimano. The Hill (Alexander Jakhnagiev)



I Mass Media riserveranno ora la stessa morbosa attenzione alla salute di Biden come hanno fatto con Trump? Ovviamente No!
23 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... amente-no/

Joe Biden è caduto per ben tre volte nel tentativo di salire a bordo dell’Air Force One, e ciò ci ha riportato alla mente l’isteria di massa dei media liberal quando invece toccò al Presidente Donald Trump, quella volta che venne deriso per aver camminato lentamente e cautamente lungo una rampa lo scorso anno.

Giornalisti ed opinionisti avevano lanciato l’allarme sulle condizioni fisiche di Donald Trump per quelli che credevano fossero “i segni del declino della sua salute” durante l’apparizione alla cerimonia di consegna dei diplomi a West Point lo scorso giugno, quando Trump era stato visto scendere cautamente la rampa del palco.

Una clip della cauta camminata di Trump, condivisa su Twitter dal giornalista di sinistra Aaron Rapar, aveva totalizzato oltre 13,1 milioni di visualizzazioni. Quel filmato aveva occupato parecchi giorni nei notiziari e gli opinionisti liberal l’avevano persino “usato” come spunto per chiedersi se ci fosse qualcosa di “neurologicamente sbagliato” in Donald Trump.

Resta da vedere se la tripla caduta del 78enne Biden riceverà anche solo una frazione dell’attenzione che Donald Trump aveva ricevuto per aver solo camminato con cautela.

“Onestamente a nessuno importerebbe così tanto di un vecchio che inciampa, ma il NYT, la CNN e altri si sono buttati a capofitto in una copertura speculativa quando Trump camminò lungo quella rampa, quindi eccoci dunque con i media che devono rimangiarsi la loro stessa copertura ostile e corrosiva”, ha osservato il giornalista Mark Hemingway.

Il New York Times aveva titolato all’epoca: “La camminata di Trump sulla rampa solleva nuove questioni sula sua salute”.

“Il signor Trump – che ha compiuto 74 anni domenica, il più vecchio presidente degli Stati Uniti nel suo primo mandato – è stato ripreso mentre scendeva esitante la rampa, un passo alla volta, dopo aver tenuto un discorso ai cadetti diplomati dell’accademia di New York, sabato. Il sovrintendente dell’accademia, il tenente generale Darryl A. Williams, camminava al suo fianco. Il signor Trump ha accelerato leggermente solo per gli ultimi tre passi, quando stava per arrivare in fondo”, aveva scritto la giornalista del NYTimes, Maggie Haberman.

“Domanda seria: cosa gli sta succedendo? I suoi sostenitori hanno cercato in tutti i modi di convincere i media a mettere in dubbio la forma fisica e mentale di Joe Biden, ma sono così spesso impegnati in congetture che sembra valga la pena indagare”, aveva twittato allora la conduttrice della MSNBC Joy Reid.

“La questione della salute di un presidente è di grande importanza per il pubblico americano”, ha detto il giornalista dell’Associated Press Jonathan Lemire sulla MSNBC, notando che Donald Trump aveva regolarmente messo in discussione l’idoneità di Joe Biden per la carica.

“Diventa assolutamente più difficile sostenere una causa quando vediamo video come questo, laddove il presidente stesso sta avendo degli inciampi improvvisi, lapsus momentanei, si sforza per trovare una parola o qualsiasi altra cosa possa essere”, ha continuato Lemire.

Donald Trump e la sua camminata incerta all’accademia di west Ponit nel giugno 2020

La CNN era particolarmente ossessionata dalla “cauta camminata” di Trump, come Alisyn Camerota, sempre della CNN, che aveva detto che un presidente che cammina “in modo molto lento” potrebbe essere un motivo di preoccupazione.

“Forse ha solo difficoltà a scendere una rampa in leggera pendenza”, ha detto prima di chiedere al dottor Sanjay Gupta, “Ma vede qualcosa, forse di natura neurologica, che potrebbe fargli perdere equilibrio?”

Gupta aveva risposto che molti neurologi stavano parlando della situazione. Nel frattempo, Chris Cillizza della CNN diceva che era una storia importante, perché Trump aveva 74 anni all’epoca.

“Sappiamo così poco della storia medica di Donald Trump”, aveva detto Cillizza mentre la grafica sullo schermo della rete liberal riportava: “La camminata instabile di Trump, nel braccio alzato che solleva domande sulla sua salute”.

Il conduttore della CNN John King aveva detto che Trump sembrava “un po’ traballante” su quella rampa. La corrispondente politica della CNN Abby Phillip si è chiesta se Trump fosse “trasparente” riguardo alla sua salute e sulla base degli “ultimi incidenti”.

Joe Biden stesso aveva partecipato a quella recita, prendendo in giro Trump sull’onda della campagna elettorale, ma per un momento che, con il senno di poi, sarebbe tornato a perseguitarlo…

“Guardate come cammina lui e guardate come cammino io. Guardate come corro su per le rampe e lui inciampa giù per le rampe. Suvvia”, aveva detto Biden.

Donald Trump aveva risposto a queste speculazioni, osservando come la rampa fosse “scivolosa“, ma Haberman non l’aveva bevuta. “Non c’erano prove che la rampa fosse scivolosa, e il cielo era chiaro durante la cerimonia”, aveva twittato il giornalista del Times.

Tornando alla caduta di Joe Biden, però, notiamo come il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, Kate Bedingfield, abbia spiegato che Biden non sia rimasto ferito dalla tripla caduta. Un altro portavoce ha detto che la caduta stessa erano dovute al “forte vento“.

“So che la gente ha visto che il presidente Biden è scivolato mentre saliva le scale dell’AF1, ma sono felice di riferire che sta bene e non ha nemmeno richiesto alcuna attenzione da parte del team medico che viaggia con lui”, ha detto. “Niente di più che un passo falso sulle scale”.

Biden non è nuovo a questo tipo di d’incidente, a dicembre si era infatti fratturato un piede mentre inseguiva il suo cane.



ll commento ironico di Joe Biden sulla dicesa lenta e cauta di Donald Trump dalla rampa del palco alla cerimonia dei diplomi dell'accademia di West Point, nel giugno del 2020. Ancora ignaro che la stessa ironia sarebbe presto tornata a perseguitarlo.
L'Osservatore Repubblicano
23 marzo 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 5417124128

Donald Trump dalla rampa del palco alla cerimonia dei diplomi dell'accademia di West Point
https://www.youtube.com/watch?v=Cp775-4XSSU
https://www.youtube.com/watch?v=t9BPU_xeJ1A

Joe Biden trips three times while boarding Air Force One
https://www.youtube.com/watch?v=2UfsqZ1T6E8




“La pandemia è la crepa dell'edificio della nostra civiltà in decomposizione”
Giulio Meotti
18 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/la-pandem ... lledificio

“È la fine del mondo giudaico-cristiano e la cascata di catastrofi che ne segue: l’inversione dei valori, la scomparsa della verità, la caduta della cultura sotto colpi dell’antirazzismo e del postfemminismo... In una frase, la generalizzazione del nichilismo come giustamente annunciato da Nietzsche”.

Così, in una lunga intervista a El Mundo, si esprime il filosofo francese Michel Onfray. Nella newsletter ho pubblicato due lunghi brani del suo ultimo libro. “La pandemia è la crepa dell'edificio della civiltà che è sul punto di crollare”, dice Onfray al quotidiano spagnolo. “I segni fatiscenti sono il nichilismo, la scomparsa diffusa dello Stato, il trionfo dell’immoralismo, l’era della post-verità ... L'epidemia rivela che siamo una civiltà in stato di decomposizione avanzata. Il capitalismo ne approfitta per far avanzare il transumanesimo”.

Alla domanda se Trump sia l’imperatore della decadenza, Onfray replica: “Trump è meno decadente di Biden, con la sua preoccupazione di essere progressista e di correre, a piccoli e ridicoli passi, dietro tutte le mode che risultano essere molto decadenti. Maternità surrogata, identità sessuale dei bambini a scuola per cui non c'è né uomo né donna ma il progetto di essere una cosa o l'altra ... Puzza di Petronio a leghe di distanza! Biden è l'Imperatore decadente, non Trump”.

È il momento della Cina, dice l’intellettuale francese. “Farà scacco matto all’Europa, che esalerà l’ultimo respiro”.

Da ateo e conservatore di sinistra, Onfray lamenta infine la fine del cristianesimo in Europa. “Ogni civiltà ha come punto di partenza un testo sacro. Il nostro giudeo-cristiano ha la Bibbia in generale e il Nuovo Testamento in particolare. Se pensiamo all'Egitto ci vengono in mente le piramidi, se pensiamo al giudeo-cristianesimo ci verranno in mente le cattedrali. Vivo a Caen, in Francia, dove Guglielmo il Conquistatore ha costruito due cattedrali mille anni fa e dove si officia ancora la messa. Le edificò in soli vent’anni. La Sagrada Familia è stata concepita nel XIX secolo, non terminata nel XX e consacrata nel XXI da un Papa che ha abdicato. Non è finita e già sembra in rovina ... E la polizia vi ha sventato un attacco islamista che avrebbe trasformato le rovine di oggi nelle rovine di domani ... Abbiamo molto materiale per fare allegorie!”.
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Messaggioda Berto » sab mag 01, 2021 7:44 am

Hannity fa a pezzi la performance di Joe Biden alla conferenza stampa: “I nostri nemici ci guardano, imbarazzante”
26 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... arazzante/

Se Joe Biden non è in grado di portare avanti il lavoro, non dovrebbe ricoprire quel ruolo.

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Sean Hannity dell’edizione del … di “Hannity”.

Nel monologo di apertura di “Hannity”, giovedì, il conduttore Sean Hannity ha inveito contro la performance di Joe Biden alla sua prima conferenza stampa, in cui ha usato dei foglietti di carta per rispondere alle domande del corpo dei giornalisti della Casa Bianca amichevole e ben disposto.

“I nostri nemici ci stanno guardando, tutto ciò è imbarazzante. Avete mai visto un presidente americano affidarsi ad un libretto degli appunti? Per rispondere ad una semplice domanda in una conferenza stampa? È patetico. È imbarazzante. E cerchiamo di essere chiari, la folla compiacente dei media non stava esattamente lanciando a Joe delle palle curve difficili. Sono stati incredibilmente educati e gentili.

Hannity si è anche chiesto chi stia davvero dirigendo la Casa Bianca, dicendo che se Joe Biden non è all’altezza del lavoro, non dovrebbe fare quel lavoro.

“Un presidente competente non dovrebbe avere bisogno di prepararsi per giorni e giorni per rispondere ad alcune semplici domande. Questo è il lavoro più difficile del mondo. Un lavoro di comando, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Chiedetevi, Joe Biden, secondo voi – il popolo americano – è all’altezza del lavoro, per esibirsi bene anche in una conferenza stampa? Dopo essersi esercitato per giorni, cosa è in grado di fare? Qualsiasi cosa? Perché onestamente, dobbiamo davvero chiederci chi sta conducendo lo spettacolo al 1600 di Pennsylvania Avenue? È la Vicepresidente Kamala Harris? È il capo dello staff Ron Klain? È Chuck Schumer? È Nancy Pelosi? È Barack Obama? È Susan Rice? Perché di certo non è il fragile, il debole e l’uomo con difficoltà cognitive a cui tutti abbiamo assistito oggi. Se Joe Biden non è in grado di fare il lavoro, non dovrebbe fare quel lavoro. C’è così tanto in gioco. E i nostri nemici ci stanno guardando.”
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Messaggioda Berto » sab mag 01, 2021 9:29 pm

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Messaggioda Berto » gio mag 13, 2021 6:00 pm

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Messaggioda Berto » gio mag 13, 2021 6:00 pm

24)
Le poche cose buone e le molte cose cattive fatte da Biden e i primi 100 giorni


Biden riconosce genocidio armeni
24 aprile 2021

https://www.rainews.it/dl/rainews/artic ... d9b71.html

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha formalmente riconosciuto le atrocità contro gli armeni da parte dell'impero ottomano come genocidio. Una mossa che per Ankara si configura come un "grave errore di Biden" perché "così ostacola pace e stabilità nella regione".

"Riconoscere genocidio armeno non è incolpare Turchia"
Riconoscendo il genocidio armeno vuol dire "confermare la storia", e "non incolpare" la Turchia. "Ma vogliamo che questo non accada mai più": afferma il presidente americano Joe Biden in una
dichiarazione

diffusa dalla Casa Bianca. Nella nota diffusa dalla Casa Bianca nel giorno del 106mo anniversario dell'inizio dei massacri compiuti dall'impero ottomano, si legge: "Ogni anno, questo giorno, ricordiamo le vite di tutti quelli che sono morti nel genocidio armeno in epoca ottomana e ci impegniamo di nuovo a prevenire che tali atrocità accadano di nuovo". "Onoriamo le vittime del Meds Yeghern (Grande Male), in modo che gli orrori di quanto è accaduto non vadano mai persi nella storia", scrive Biden.

Ankara: grave errore Biden
La Turchia "respinge e denuncia nei termini più forti" la dichiarazione del presidente Joe Biden, che ha riconosciuto come genocidio il massacro degli armeni compiuto a partire dal 1915 sotto l'impero ottomano. In una nota, il ministero degli Esteri turco invita il presidente degli Stati Uniti "a correggere questo grave errore, che ostacola la pace e la stabilità nella nostra regione e apre una ferita profonda che mina la nostra amicizia e fiducia reciproca". "La Turchia - prosegue la lunga nota - non prende lezioni da nessuno, compresi gli Stati Uniti".

Un riconoscimento che scatena le ire della Turchia
La posizione della Turchia è da sempre che il massacro degli armeni commesso durante la prima Guerra Mondiale non si possa configurare come un genocidio. E la questione è altrettanto da sempre motivo di attrito tra Ankara e i governi che hanno riconosciuto il genocidio. Nell'aprile del 2019 una pioggia di critiche arrivava dalla Turchia all'Italia dopo l'approvazione alla Camera di una mozione bipartisan che impegna il governo a "riconoscere ufficialmente il genocidio armeno". L'ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani, veniva convocato al ministero degli Esteri turco, che esprimeva il proprio disappunto per la mozione quando era ancora in discussione. Nel novembre del 2000 una risoluzione della Camera dei Deputati aveva già riconosciuto il genocidio degli armeni.

Sono una ventina i Paesi nel mondo, ha riportato il Washington Post, che riconoscono il massacro come un genocidio, compresi Francia, Russia e Canada. Nel 2019 una risoluzione in tal senso passò al Congresso. Per il sito dell'Armenian National Institute, sono invece 30 i Paesi - Italia e Usa compresi - che riconoscono il genocidio armeno. Nel 1965 il primo Stato al mondo a riconoscerlo è stato l'Uruguay. Nel febbraio 2019 il governo di Ankara condannò "con fermezza" la decisione del presidente francese, Emmanuel Macron, di dichiarare il 24 aprile giornata della commemorazione del genocidio armeno. E oggi in un tweet, con una foto della commemorazione a cui ha partecipato a Parigi, Macron ha ribadito: "Noi non dimentichiamo. Combatteremo insieme contro il negazionismo, l'odio, la violenza".

Nel 2015 Papa Francesco definì l'uccisione degli armeni "il primo genocidio del XX secolo", scatenando l'ira della Turchia, dove l'utilizzo del termine 'genocidio' è punito con il carcere in base all'articolo 301 del codice penale, che prevede il reato di "vilipendio dell'identità turca". Per questo sono stati perseguiti lo scrittore Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk, e il giornalista di origine armena Hrant Dink, ucciso da un ultranazionalista nel gennaio del 2007. Nel 2014 l'allora premier e oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, con un gesto senza precedenti, porse le "condoglianze ai nipoti degli armeni uccisi nel 1915", auspicando che "gli armeni che hanno perso la vita nelle circostanze dell'inizio del XX secolo riposino in pace".
Due anni dopo fortissime tensioni fecero da corollario al voto con cui il Bundestag approvò quasi all'unanimità la risoluzione che ha definito come genocidio il massacro degli armeni da parte dell'Impero Ottomano.

Martedì contro gli Usa si è scagliato il capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu mettendo in guardia da danni alle relazioni bilaterali. E due giorni fa in dichiarazioni riportate dall'agenzia ufficiale Anadolu Erdogan ha insistito sulla determinazione della Turchia a "continuare a difendere la verità contro il cosiddetto 'genocidio armeno'".

Poi ieri c'è stata la telefonata tra Biden ed Erdogan con il presidente americano che ha sottolineato l' "interesse a relazioni bilaterali costruttive con aree allargate di cooperazione e una effettiva gestione dei disaccordi". E la notizia dell'accordo tra i due per "un incontro bilaterale a margine del summit della Nato a giugno".

Gli armeni fanno risalire l'inizio del genocidio alla notte tra il 23 e 24 aprile del 1915, quando il governo ottomano ordinò l'arresto e l'esecuzione di 50 tra intellettuali e leader della comunità armena, con il pretesto che fossero "una quinta colonna" dei russi. Dopo quel primo episodio, centinaia di migliaia di armeni vennero deportati e uccisi alla fine dell'Impero ottomano tra il 1915 e il 1917. Secondo le stime degli storici, le vittime di quei massacri furono almeno 1,5 milioni. Ankara riconosce che un gran numero di armeni furono uccisi dai turchi durante quel periodo, ma contesta l'idea che ci fosse un piano per sterminarli, rifiutando così il termine "genocidio".




I primi 100 giorni di Joe Biden – Guardiamo ai fatti…
29 aprile 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -ai-fatti/

Questo articolo è adattato dai vari contenuti pubblicati sul sito internet dei Repubblicani alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America.
Guardiamo ai fatti – Energia

Joe Biden ha parlato a lungo ieri stasera del clima e mentre parla a grandi linee di questo problema, non menziona le conseguenze senza cuore delle politiche, sue e del suo partito, che danneggeranno milioni di americani ed indeboliranno l’America.

I Repubblicani hanno proposto soluzioni ragionevoli, responsabili e di buon senso che sostengono i passi positivi fatti per migliorare la qualità dell’ambiente senza penalizzare l’industria energetica americana. Al contrario, l’agenda dell’amministrazione Biden avrà diffuse ramificazioni negative che distruggeranno posti di lavoro, aumenteranno i costi dell’energia ed incoraggeranno gli avversari dell’America nel mondo:

Quello che ha fatto:

Ha aderito all’accordo sul clima di Parigi che distruggerà posti di lavoro e costringerà l’America a seguire oneri rigorosi mentre lascerà i suoi avversari come la Cina fuori dai guai.

Ha cancellato il Keystone XL Pipeline che ha distrutto 11.000 posti di lavoro sostenuti dal progetto.

Ha emesso un divieto su nuove locazioni energetiche e permessi su terreni federali che potrebbero eliminare fino a 1.000.000 di posti di lavoro e costringere gli Stati Uniti a dipendere da nazioni straniere per l’approvvigionamento energetico.

Le conseguenze:

Aumento del 159% del prezzo del gas già nell’ultimo anno.

Gli Americani che lottano per trovare lavoro e tirare avanti dopo la cancellazione dei progetti energetici.

Altri piani di spesa in stile Green New Deal in arrivo che danneggeranno ulteriormente gli Americani che dipendono dall’industria energetica mentre aumenteranno sostanzialmente il ruolo complessivo del governo federale nell’economia.

Invece di portare avanti l’estrema agenda climatica della Sinistra radicale che tenta di trasformare l’intera economia americana in una fantasia socialista, Joe Biden dovrebbe lavorare guardando all’altra parte dell’emiciclo con i Repubblicani per trovare soluzioni bipartisan che aiutino a preservare l’ambiente e contemporaneamente a riconoscere il posto importante che l’industria energetica ha negli Stati Uniti.

Guardiamo ai fatti – Tasse e Spese

Invece di seguire il track record che ha creato l’economia più forte ed il tasso di disoccupazione più basso da generazioni prima della pandemia, Joe Biden ha proposto più di 6.000.000.000.000 di dollari in nuove spese e vuole aumentare le tasse che distruggeranno posti di lavoro, mineranno la crescita economica e costringeranno la classe media a pagare il conto:

Spese:

Ha approvato un pacchetto di spesa di 1.900.000.000.000 di dollari che ha finanziato le priorità dell’estrema Sinistra, con solo il 9% degli stanziamenti della legge destinati alla salute e al contrasto del COVID-19.

Ha proposto un disegno di legge di più di 2.300.000.000.000 di dollari sotto il pretesto di rafforzare le “infrastrutture“, anche se solo il 6% ($ 115M) degli stanziamenti della legge andrà in strade, ponti e autostrade, mentre molti più soldi ($ 174M) andranno ai bonus per i veicoli elettrici.

Ha delineato un piano da 1.800.000.000.000 di dollari questa settimana che espanderà drammaticamente il ruolo e l’influenza del governo federale nella vita degli individui.

Tasse:

Si stima che distruggerà fino a 1.000.000 di posti di lavoro in due anni con il piano per aumentare l’aliquota dell’imposta sulle società.

Ha già firmato in legge 60.000.000.000.000 di dollari di nuove tasse da quando è entrato in carica.

Sarà il più grande aumento di tasse che il popolo americano ha mai visto in generazioni.

Con l’economia che continua a tornare al livelli pre COVID-19, aumentare drasticamente i livelli di spesa e le tasse metterà a rischio la ripresa economica. Sfortunatamente, l’amministrazione Biden sembra più concentrata sull’espansione delle dimensioni e della portata del governo federale per portare avanti le politiche di estrema Sinistra piuttosto che proseguire sul sentiero delle idee responsabili che aiuteranno le piccole imprese e i lavoratori americani ad avere successo.

Guardiamo ai fatti – Rendere l’America meno sicura

L’America affronta oggi molte più minacce globali come mai prima d’ora dalla fine della seconda guerra mondiale. Dall’attività maligna del Partito Comunista cinese alla minaccia della Russia ai progressi compiuti dall’Iran e molto altro, l’America ha bisogno di dimostrare la forza della sua sicurezza nazionale per proteggere i suoi interessi e quelli dei suoi alleati.

Invece, Joe Biden ha mostrato debolezza. Le decisioni che ha preso sono servite solo ad incoraggiare gli avversari dell’America – che stanno facendo progressi significativi – nel mentre minano le capacità di provvedere alla sicurezza della nazione.

Esempi di debolezza:

Porre fine alla campagna di massima pressione contro l’Iran e prendere provvedimenti per rientrare nell’accordo sul nucleare che li metterà sulla via per ottenere un’arma nucleare anche nel mentre in cui continuano ad arricchire l’uranio.

Ha detto che gli Stati Uniti ritireranno completamente le forze dall’Afghanistan, il che potrebbe permettere ai terroristi di ristabilire paradisi sicuri da cui pianificare attacchi.

Ha proposto dei tagli corretti all andamento dell’inflazione al Dipartimento della Difesa e al Dipartimento della Sicurezza Nazionale, e nel mentre ha chiesto un aumento del 16% della spesa interna per finanziare la sua agenda di estrema Sinistra.

Ha suggerito agli Stati Uniti di fare questi tagli alla difesa in un momento in cui la Cina sta facendo progressi militari storici e “mozzafiato“.

Ha evitato di affrontare la sfida posta dal Partito Comunista Cinese e ha ammesso che non hanno “fretta” di affrontare la minaccia che questo rappresenta.

Ha permesso alla Russia di ammassare truppe al confine ucraino, mentre si rifiutava di emettere sanzioni che avrebbero dato un giro di vite alla costruzione del Nord Stream 2.

Questo approccio generale rende l’America un paese meno sicuro.

I Repubblicani sostengono invece che bisogna fornire le risorse per rendere sicura la nazione e mandare un messaggio agli avversari avvertendoli che non possono nemmeno pensare di sfidare l’America perché essa risponderà con una forza schiacciante.

Guardiamo ai fatti – La crisi di confine di Biden

Durante il suo discorso di ieri sera, Joe Biden ha fatto solo una breve menzione sull’immigrazione e non ha fornito al popolo americano alcun chiarimento su come abbia pianificato di risolvere la crisi che ha creato al confine.

Quello che ha fatto:

Ha incoraggiato gli immigrati illegali a cercare di entrare illegalmente nel paese.

Ha messo fine alla politica di successo del “Remain in Mexico“.

Ha fermato la costruzione del muro di confine.

Ha negato l’esistenza di una crisi rendendo più difficile risolvere il problema

Le conseguenze:

Aumento del 400% dei fermi di migranti rispetto all’anno scorso.

5.018 individui con precedenti penali arrestati dal CBP.

Più di 20.000 minori non accompagnati sotto la custodia del CBP o dell’HHS.

Aumento del 233% dei sequestri di fentanyl al confine.

A causa delle azioni specifiche di Joe Biden, il paese sta affrontando una crisi di salute pubblica, umanitaria e di sicurezza nazionale al confine. La sua riluttanza ad affrontarla, combinata con il rifiuto anche di Kamala Harris, che dura ormai da un mese, di visitare il confine anche se è stata incaricata di supervisionare la situazione, è un’abdicazione alla leadership da parte dell’amministrazione e un segno che – dopo 100 giorni – non ci si può fidare di loro per affrontare in modo responsabile le sfide più serie che la nazione deve affrontare.

Guardiamo ai fatti – Un Partito pigliatutto

I Democratici hanno storicamente sempre avuto margini ristretti al Congresso. Il Senato è diviso 50-50 e la Speaker Nancy Pelosi ha la maggioranza più sottile da decenni. Mentre Joe Biden parla dell’agenda di politica interna del suo partito, non dirà la verità sulle motivazioni del suo partito.

Il fatto è che i Democratici hanno preso una serie di misure per aumentare artificialmente il loro potere in modo da poter forzare l’approvazione della loro agenda radicale. Questi tentativi di prendere il potere sono un affronto alle voci dissenzienti nel popolo americano e minacciano il fondamento stesso delle istituzioni che hanno finora sostenuto la democrazia.

Esempi di accaparramento del potere:

Ha approvato una legislazione per proteggere il seggio dei politici in carica, fornire fondi pubblici per le campagne elettorali, e federalizzare l’intero processo elettorale.

Ha proposto di aumentare il numero dei giudici della Corte Suprema – qualcosa cui i Democratici si sono sempre precedentemente espressi contro – per aggiungere altri giudici liberal che sosterranno le sue politiche estremiste.

Hanno votato per rendere Washington, D.C, uno Stato solo per poter avere due Senatori Democratici in più nel tentativo di abolire l’ostruzionismo e portare avanti le loro idee pericolose.

Hanno tentato di togliere il seggio congressuale alla rappresentante Mariannette Miller-Meeks anche dopo che una commissione elettorale bipartisan l’ha certificata come la vincitrice.

Non cadete nella retorica di Joe Biden. Mentre nel suo discorso di stasera parla di unità, l’agenda che lui ed il suo partito stanno perseguendo è estrema e avrà conseguenze negative per il popolo americano. Poiché è così radicale, i Democratici sanno che non possono attuarla all’interno delle attuali linee guida della democrazia americana, ed è per questo che stanno tentando di togliere il potere dalle mani del popolo americano per metterlo nelle loro mani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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