La stretta di Pechino su Hong Kong: il regime non può permettersi "due sistemi". Una sfida anche per l'Occidente Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
23 Mag 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... occidente/ Sono in corso, a Pechino, i lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Quest’ultima, assieme alla Conferenza Politica Consultiva del Popolo, forma il Lianghui, termine il cui significato è “doppia sessione”.
Nonostante i nomi altisonanti e il continuo ricorso al termine “popolo”, i due organismi in realtà riflettono il completo dominio politico che il Partito comunista esercita sulla società dell’immenso Paese asiatico. Dominio che non è mai venuto meno, neanche dopo le riforme economiche introdotte da Deng Xiaoping a partire dai tardi anni ’70 del secolo scorso, e miranti – almeno in teoria – a contemperare l’economia pianificata con prudenti aperture al mercato e all’iniziativa privata.
Da allora la Cina è cambiata moltissimo, divenendo nel corso di alcuni decenni una potenza mondiale a tutti i livelli, in particolare in economia, nella politica internazionale e sul piano militare.
Tuttavia Deng e i suoi seguaci rifiutarono decisamente di seguire la strada di Gorbaciov. A loro avviso l’ultimo segretario del PCUS commise un errore fondamentale attenuando in più modi il controllo del Partito comunista sulla società. Intrapresero quindi un sentiero diverso lasciando sì spazio all’arricchimento privato ma, al contempo, chiarendo senza ombra di dubbio che soltanto al partito spettava la direzione esclusiva del Paese.
Ne è derivato lo strano “socialismo di mercato” tuttora al potere nella RPC. E, dicendo potere si intende un potere assoluto, giustificato dai testi classici del marxismo-leninismo con alcune modifiche derivanti dalle idee di Mao Zedong.
L’Assemblea e la Conferenza citate all’inizio rappresentano al meglio la declinazione concreta di tale potere. La Conferenza è ufficialmente “consultiva”, ma tale è anche la più importante Assemblea Nazionale, formata da tre mila membri. Entrambe salvano – per così dire – la democrazia dal punto di vista formale poiché i rappresentanti sono eletti, fermo restando che l’elezione è strettamente controllata da un partito unico al quale nulla sfugge. Non mancano – come accadeva nell’URSS e nei suoi Paesi satelliti – formazioni politiche dal nome diverso; le quali, però, seguono fedelmente la linea dettata a Pechino dal Politburo.
Ciò nonostante gli osservatori internazionali seguono sempre con molta attenzione i lavori dei due organismi poiché, da un’attenta lettura di discussioni e documenti, è spesso possibile cogliere sia degli indizi di disaccordo sia l’emergere di nuove tendenze politiche.
Nell’ultima sessione (2016), a causa dei segnali di crisi manifestati dall’economia, la leadership aveva ridotto il budget della difesa facendolo crescere “soltanto” del 7,6 per cento a fronte del 10,1 per cento degli anni precedenti. Si tratta comunque di cifre enormi, ma i militari non avevano mancato di far trapelare una certa preoccupazione tradottasi in brontolii di vario tipo. Come può la Cina rafforzare il suo ruolo di potenza globale se gli stanziamenti per esercito, marina e aviazione vengono tagliati? La risposta del partito fu che i militari “devono farsene una ragione”, poiché solo la leadership è in grado di cogliere il quadro complessivo.
Quest’anno i delegati affrontano uno scenario assai mutato, soprattutto a causa della pandemia di coronavirus le cui conseguenze per l’economia sono assai pesanti, anche se la censura impedisce di capire fino a che punto. Più che del Pil, che è comunque in forte discesa, devono occuparsi della politica internazionale che l’approccio di Donald Trump ha in pratica rivoluzionato.
Bisogna in primo luogo notare che il Partito comunista non può cedere su alcuno dei molti fronti aperti. Ecco quindi una stretta clamorosa su Hong Kong, dove Xi Jinping e il suo gruppo dirigente sono intenzionati a fare sul serio. Alla città-isola verrà applicata la stessa politica di sicurezza nazionale vigente in Cina. Basta dunque con una stampa ancora relativamente indipendente e basta con le manifestazioni di massa, che verranno represse ancor più duramente, magari con l’intervento diretto dell’Esercito Popolare.
Ma l’approccio è sempre più minaccioso anche nei confronti di Taiwan, Stato indipendente che Pechino considera soltanto una sua provincia. Non a caso si è ricominciato a parlare di invasione militare dell’isola per farla finita una volta per tutte con la presidente indipendentista Tsai Ing-wen, riconfermata dai cittadini taiwanesi a larghissima maggioranza.
Dunque Xi Jinping, presentatosi ai lavori dell’assemblea senza mascherina protettiva, sembra intenzionato ad andare fino in fondo. La repressione a Hong Kong – ma anche nel Tibet e nello Xinjiang degli uiguri – promette di essere feroce, e gli oppositori sono destinati a entrare nei tanti Laogai, i “campi di rieducazione” sparsi nel Paese.
Il fatto è che il Partito comunista non può cambiare perché non ammette alternative di sorta al suo potere assoluto e, come già notato in precedenza, Xi Jinping non vuole fare la fine di Gorbaciov. Quando la Repubblica Popolare fu ammessa nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) l’11 dicembre 2001, il mondo occidentale si illuse che quella fosse la mossa giusta per favorire la democratizzazione del Dragone.
Non è stato così, e la globalizzazione “cinese” lo ha ampiamente dimostrato. La Repubblica Popolare pone una sfida di enorme portata alla liberal-democrazia e a un Occidente che mai è parso così diviso e distratto. Si tratta di capire se a tale sfida saprà rispondere in modo adeguato su ogni piano: politico, economico e militare.
Hong Kong, polizia stronca manifestazione contro la CinaFederico Garau - Dom, 24/05/2020
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ho ... 65326.html Oltre 150 arresti, tra cui anche quello del vicepresidente del People Power Tam Tak-Chi: agenti in tenuta antisommossa utilizzano spray urticante, cannoni d'acqua e lacrimogeni sulla folla pacifica che intona slogan contro la Legge sulla sicurezza nazionale
Non accennano a placarsi le proteste esplose ad Hong Kong a seguito della annunciata approvazione da parte del governo centrale di Pechino della cosiddetta "Legge sulla sicurezza nazionale", fortemente osteggiata invece dagli abitanti della ex colonia britannica.
La norma, che già in passato si era tentato di far passare salvo poi rinunciare dopo le forti rimostranze dei cittadini, viene quindi riproposta, anche se i tempi di approvazione ancora non sono certi. Di sicura c'è solo l'intenzione da parte del governo cinese di porre fine una volta per tutte sulle proteste e accelerare la sua stretta sui sogni di autonomia di Hong Kong. Approvando una legge che, come annunciato dal ministro degli Esteri Wang Yi, è una norma che"va approvata senza il minimo ritardo" .
La Cina tenta dunque di aumentare il suo controllo su Hong Kong, con l'adozione di leggi che vietino e puniscano ogni atto di tradimento, secessione o sovversione contro il governo centrale e che limitino interferenze straniere da parte di organizzazioni o attività politiche di qualunque genere.
La minaccia all'autonomia di Hong Kong ha dunque portato a una nuova ondata di proteste, la prima dopo la riapertura del paese in seguito all'emergenza sanitaria dovuta al coronavirus. A darsi appuntamento per dar vita ad una manifestazione non autorizzata, finalizzata alla richiesta di ritiro della proposta di Legge sulla sicurezza nazionale, numerosi cittadini. Luoghi di ritrovo, fissati sui social network, il Southorn Playground a Wanchai ed il centro commerciale Sogo a Causeway Bay. Intorno alle ore 13 locali, i manifestanti hanno dato avvio alle proteste, venendo immediatamente raggiunti e fronteggiati dalle forze di polizia. Giunti direttamente in tenuta antisommossa, come riportato dai media nazionali, gli agenti hanno utilizzato gas lacrimogeni, spray urticanti e cannoni ad acqua per disperdere gli attivisti. Oltre 150 sarebbero finiti in manette, e tra di essi anche il vicepresidente del People Power Tam Tak-Chi.
"Stare con Hong Kong", "Niente rivoltosi, solo tirannia", e "Rivoluzione dei nostri tempi", questi alcuni degli slogan scanditi dai manifestanti. "Dato che la Cina sta violando e riscrivendo le regole stabilite da un trattato internazionale su Hong Kong chiedo all'Unione europea di imporre sanzioni a Pechino e di inserire clausole legate al rispetto dei diritti umani. Spero che l'Italia possa ridurre la sua partecipazione al progetto della Via della Seta ", si auspica il leader Joshua Wong rivolgendo un appello all'occidente, come riportato da Agi. "Poiché l'Italia è una delle maggiori economie europee ad aver partecipato all'iniziativa della Via della Seta, non è sicuro che la Cina rispetti i suoi impegni e le promesse fatte nell'ambito degli accordi commerciali. È anche da discutere la possibilità che l'Italia consideri la Cina responsabile per i suoi errori", conclude.
L’atteggiamento cinese nei confronti di Hong Kong mostra la fine della superiorità statunitense Markus
24 Maggio 2020
https://comedonchisciotte.org/latteggia ... tunitense/ Incolpare la Cina per la pandemia del Covid-19 è una menzogna. Ma gli Stati Uniti continueranno a farlo come parte della loro più ampia strategia anti-cinese.
Mentre gli Stati Uniti sono impegnati a contrastare l’epidemia a casa loro, la Cina l’ha già sconfitta all’interno dei propri confini. Ora utilizza la sua posizione di vantaggio per rimuovere un problema che gli Stati Uniti usavano da tempo per infastidirla. Hong Kong sarà finalmente liberata dai razzisti travestiti da liberali sostenuti dagli Stati Uniti.
Alla fine del 1984, la Gran Bretagna e la Cina avevano firmato un accordo formale che prevedeva, per il 1997, il passaggio alla Cina della colonia britannica di Hong Kong. La Gran Bretagna aveva dovuto accettare il patto perché aveva perso la capacità di difendere la colonia. La dichiarazione congiunta sino-britannica stabiliva che la Cina avrebbe promulgato una legge formale che avrebbe consentito ad Hong Kong di autogovernarsi in larga misura.
La “Legge Formale della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese” è, di fatto, la costituzione della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. Ma è anche una legge nazionale della Cina, adottata dal Congresso Nazionale del Popolo Cinese nel 1990 e introdotta ad Hong Kong nel 1997, al termine del dominio britannico. Se necessario, la legge può essere modificata.
Il paragrafo II della Legge Formale regola le relazioni tra le autorità centrali e la Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. Secondo l’articolo 23 della Legge Formale, Hong Kong avrebbe dovuto attuare alcune misure di sicurezza interna:
La Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong emanerà leggi proprie per vietare qualsiasi atto di tradimento, secessione, sedizione, sovversione contro il governo centrale del popolo o furto di segreti statali; per vietare alle organizzazioni o agli organi politici stranieri di svolgere attività politiche nella regione e per vietare alle organizzazioni o agli organi politici della regione di stabilire legami con organizzazioni o organismi politici stranieri.
Hong Kong non è riuscita a varare nessuna delle leggi richieste dall’articolo 23. Ogni volta che il suo governo ha cercato di applicare, anche parzialmente, tali leggi, nel 2003, 2014 e 2019, le proteste e le rivolte su larga scala nelle strade di Hong Kong lo hanno sempre impedito.
La Cina è sempre stata preoccupata per i disordini ad Hong Kong fomentati dall’estero, ma non aveva sollevato il problema perchè dipendeva ancora da Hong Kong per l’accesso ai capitali e ai mercati.
Nel 2000, il PIL di Hong Kong ammontava a 171 miliardi di dollari, mentre quello cinese era solo 7 volte più grande, 1.200 miliardi. L’anno scorso il PIL di Hong Kong è quasi raddoppiato, passando a 365 miliardi. Ma il PIL cinese è cresciuto di oltre dieci volte, fino ad arrivare a 14.200 miliardi, quasi 40 volte quello di Hong Kong. A parità di potere d’acquisto, la divergenza è ancora maggiore. Come sbocco economico della Cina, Hong Kong ha perso molta della sua importanza.
Un altro fattore che tratteneva la Cina dall’occuparsi in modo più attivo di Hong Kong era la sua preoccupazione per le conseguenze negative da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma, durante l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno introdotto sempre più misure per ostacolare lo sviluppo della Cina. Secondo l‘Atto sui diritti umani e la democrazia ad Hong Kong, approvato lo scorso anno dal Congresso americano, il governo degli Stati Uniti dovrebbe vigilare su Hong Kong e punire coloro che, a suo giudizio, violano i diritti umani. Le sanzioni contro le società cinesi, in particolare contro Huawei, recentemente estese fino al blocco totale delle consegne dei chip 5G, dimostrano che gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per ostacolare il successo economico della Cina.
Il “perno sull’Asia” dell’amministrazione Obama era già una mossa mascherata contro la Cina. La strategia di difesa nazionale dell’amministrazione Trump ha apertamente definito la Cina come “un concorrente strategico che utilizza attività economiche di tipo predatorio per intimidire i paesi confinanti, mentre militarizza il Mar Cinese Meridionale.”
Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti viene riconfigurato in unità specializzate con il compito specifico di bloccare l’accesso della Cina al mare:
In questo modo, piccole unità di Marines verrebbero dispiegate intorno alle isole dell’arcipelago avanzato e nel Mar Cinese Meridionale, ogni elemento avrebbe la capacità di contestare lo spazio aereo e navale circostante usando missili antiaerei e antinave. Collettivamente, queste forze opererebbero un’azione di logoramento contro le forze cinesi, impedendo loro di spostarsi verso l’esterno e, alla fine, come parte di una campagna congiunta, le costringerebbero a ripiegare sulla terraferma cinese.
La “Guerra fredda 2.0” lanciata dagli Stati Uniti contro la Cina vedrà ora importanti contromosse.
Le violente rivolte dello scorso anno ad Hong Kong, incoraggiate dai media di Washington DC, erano state la dimostrazione che la situazione ad Hong Kong si stava evolvendo in modo pericoloso per la Cina.
Non c’è più motivo per la Cina di trattenersi dal contrastare questa assurdità. L’economia di Hong Kong non è più così importante. Le sanzioni statunitensi stanno comunque arrivando, indipendentemente da ciò che la Cina farà o non farà ad Hong Kong. I progetti militari statunitensi sono ora una minaccia evidente.
Dal momento che le leggi che Hong Kong avrebbe dovuto varare non sono neanche in programma, ora sarà la Cina stessa a crearle e a farle rispettare:
Venerdì, il governo centrale presenterà una risoluzione per consentire ai vertici del massimo organo legislativo, il Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo (NPC), di elaborare ed approvare una nuova legge sulla sicurezza nazionale tagliata su misura per Hong Kong, è stato annunciato giovedì scorso.
In precedenza, alcune fonti avevano riferito al Post che questa nuova legge avrebbe proibito la secessione e l’attività sovversiva, nonché le interferenze e gli atti terroristici stranieri nella città, sviluppi che preoccupavano Pechino da un po’ di tempo, soprattutto nell’ultimo anno, che aveva visto proteste antigovernative sempre più violente.
…
Secondo una fonte continentale a conoscenza della situazione ad Hong Kong, Pechino è giunta alla conclusione che, dato l’attuale clima politico, è impossibile per il Consiglio Legislativo della città approvare una legge di sicurezza nazionale che renda operativo l’articolo 23 della Legge Formale riguardante la città. Questo è il motivo per cui [Pechino] ha chiesto all’NPC di assumerne la responsabilità.
Il 28 maggio l’NPC voterà una risoluzione per chiedere al proprio Comitato Permanente di redigere la legge che riguarda Hong Kong. È probabile che venga votata ed approvata alla fine di giugno. La legge entrerà a far parte dell’allegato III della Legge Formale che comprende “Le leggi nazionali da applicare nella regione amministrativa speciale di Hong Kong.”
In base alla nuova legge, gli Stati Uniti dovranno interrompere il finanziamento delle organizzazioni studentesche, dei sindacati antigovernativi e dei media di Hong Kong. I partiti di opposizione non potranno più avere rapporti con operazioni di influenza gestite dagli Stati Uniti.
Il Dipartimento di Stato americano ha prontamente condannato questa presa di posizione:
Hong Kong si è sviluppata come bastione della libertà. Gli Stati Uniti esortano vivamente Pechino a riconsiderare la sua disastrosa proposta, ad adempiere ai suoi obblighi internazionali e a rispettare l’alto grado di autonomia, le istituzioni democratiche e le libertà civili di Hong Kong, fondamentali per preservare il suo status speciale ai sensi delle leggi degli Stati Uniti. Qualsiasi decisione che pregiudichi l’autonomia e le libertà di Hong Kong, come garantito dalla Dichiarazione Congiunta sino-britannica e dalla Legge Formale, avrebbe inevitabilmente un impatto negativo sulla nostra valutazione della formula un “paese-due sistemi” e dello stato del territorio.
Noi siamo con la gente di Hong Kong.
Non è (ancora?) “La guerra imminente contro la Cina” ma solo un soffiare e sbuffare, con tanta retorica ma pochi effetti pratici. Nessuna azione degli Stati Uniti può impedire al governo cinese di mettere al sicuro il proprio reame. Hong Kong è una città cinese in cui comandano le leggi cinesi, non i dollari statunitensi.
Gli Stati Uniti sembrano credere di poter vincere una guerra fredda contro la Cina. Ma si sbagliano.
Sul fronte economico non sono gli Stati Uniti a vincere con il disaccoppiamento dalla Cina, perché è l‘Asia intera che si sta distaccando dagli Stati Uniti:
Da quando, nell’aprile 2018, era iniziata la guerra tecnologica USA-Cina con il divieto di Washington di esportare chip alla ZTE Corporation cinese, la “de-americanizzazione delle catene di approvvigionamento” era diventata la parola d’ordine nel settore dei semiconduttori.
Nell’aprile 2020, Taiwan, Vietnam, Tailandia e Indonesia hanno acquistato circa il 50% in più di prodotti cinesi rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Giappone e Corea hanno fatto registrare aumenti del 20%. Anche le esportazioni negli Stati Uniti sono aumentate nell’ultimo anno, anche se da una base molto bassa per il 2019.
Anche le importazioni cinesi dall’Asia sono aumentate rapidamente.
Quando gli Stati Uniti proibiscono alle aziende che utilizzano software o macchinari statunitensi di progettare chip e di venderli alla Cina, queste società cercheranno di acquistare altrove i software e i macchinari. Quando gli Stati Uniti tentano di ostacolare l’accesso della Cina ai chip dei computer, la Cina costruirà la propria industria per la produzione di chip. Tra dieci anni saranno gli Stati Uniti ad aver perso l’accesso a quelli che allora saranno i prodotti allo stato dell’arte, perché verranno tutti dalla Cina. Già oggi è la Cina a dominare il commercio globale.
Il modo caotico in cui gli Stati Uniti stanno gestendo la crisi del Covid viene ampiamente osservato all’estero. Quelli che ci vedono chiaro hanno già riconosciuto che ora è la Cina, non gli Stati Uniti, la superpotenza con la testa sul collo. Gli Stati Uniti sono in affanno e continueranno ad esserlo per molto tempo:
Questo è il motivo per cui non considero il discorso su una possibile “Guerra Fredda 2.0” significativo o rilevante. Se ci fosse una sorta di “Guerra Fredda” tra gli Stati Uniti e la Cina, i politici statunitensi sarebbero comunque in grado di iniziare a pianificare in modo credibile la gestione di questa complessa relazione con la Cina. Ma, in realtà, le opzioni per “gestire” il nucleo di questa relazione sono penosamente poche, dal momento che il compito principale di ogni leadership statunitense che emerga da questo incubo del Covid sarà quello di gestire il crollo vertiginoso di quell’impero mondiale che era stato detenuto dagli Stati Uniti fin dal 1945.
…
Quindi, qui a Washington nella primavera del 2020, io dico, lasciamoli soffiare e sbuffare con queste loro nuove flatulenze di infantile sinofobia. Lasciamoli minacciare questa o quella versione di una nuova “Guerra Fredda.” Lasciamoli competere alle prossime elezioni, se queste si terranno, su “Chi può essere più duro con la Cina.” Ma la dura realtà mostra che, come diceva Banquo, “È una storia, raccontata da un idiota, piena di rumori e di rabbia, che non significa nulla.“
Nel suo libro del 2003, After the Empire, Emmanuel Todd descriveva il perché gli Stati Uniti si stessero muovendo verso la perdita del loro status di superpotenza:
Todd, in modo calmo e sereno, fa il punto su molte tendenze negative, tra cui l’indebolimento dell’impegno americano sull’integrazione socio-economica degli afroamericani, un’economia bulimica che si basa sempre più sui giochi di prestigio e sulla buona volontà degli investitori stranieri ed una politica estera che sperpera le riserve di “soft power” del paese, mentre il suo comportamento guerrafondaio da pompiere piromane si scontra con una resistenza in continua crescita.
La crisi del Covid-19 lo ha reso evidente a tutti.
Gli Stati Uniti, come previsto da Todd, dovranno ora rinunciare al loro status di superpotenza? O daranno inizio ad una grande guerra contro la Cina per distogliere l’attenzione e dimostrare la loro presunta superiorità?
Londra ci ripensa sul 5G di Huawei: in corso una revisione che potrebbe preludere ad una clamorosa esclusione dei cinesi Atlantico Quotidiano
Daniele Meloni
27 maggio 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... ei-cinesi/ Gli allarmi e le nuove sanzioni da Washington, le preoccupazioni crescenti tra i Tories, convincono il governo Johnson a rivalutare l’apertura al colosso cinese
Il futuro di Huawei nel Regno Unito torna materia di discussione nel governo Johnson. E non solo. Domenica scorsa il National Cyber Security Centre (NCSC) ha annunciato che è in corso un esame sull’impatto che la tecnologia 5G dell’azienda cinese avrà sui network che la utilizzeranno. Nel gennaio scorso il governo conservatore aveva dato il via libera all’utilizzo del 5G firmato Huawei, riducendo il suo ruolo nel mercato e, allo stesso tempo, ottenendo precise garanzie dai Servizi Segreti sulla sicurezza nazionale. La decisione aveva generato malcontento presso l’alleato americano, con i componenti del National Security Council Usa che erano venuti a Londra per degli incontri blindatissimi con i vertici di Whitehall e dell’intelligence.
Ora, con l’annuncio da parte americana di nuove sanzioni per limitare il ruolo di Huawei, il portavoce dell’NCSC ha affermato che “si impone una revisione del rapporto dello UK con Huawei”. La formula utilizzata è vaga, ma potrebbe essere abbastanza per i Conservatori per compiere un’inversione a U rispetto a quanto deciso a inizio anno, quando Johnson diede il via libera all’uso della tecnologia del gigante cinese nella parte “edge” della rete fino a un massimo del 35 per cento dei componenti e aveva deciso di bandire Huawei dalle sue parti sensibili – “core”.
Tre delle quattro principali società di telefonia mobile britannica hanno già deciso di impiegare il 5G di Huawei: Vodafone, EE e Three. Ora si potrebbe presentare loro la possibilità di cambiare fornitore. In Europa Nokia ed Ericsson sarebbero pronti a subentrare in caso di uscita di scena prematura dei cinesi anche se, secondo Assembly, una società di consulenza vicina agli operatori telefonici e della rete britannici, “l’addio di Huawei potrebbe causare ritardi alla rete 5G e costare fino a 7 miliardi di sterline all’economia del Regno Unito”. Anche uno studio della stessa Huawei mostra come l’eventuale lockout all’azienda cinese potrebbe “generare un aumento dei costi nel 5G dall’8 al 29 per cento per mancata competitività sul mercato”.
La decisione è stata accolta con favore dai backbenchers Tory alla Camera dei Comuni, che già a marzo avevano inscenato la prima ribellione contro il governo Johnson e dato luce al China Research Group, un think tank interno al partito sul modello dello European Research Group – che valuterà il rapporto tra Cina e Regno Unito anche rispetto alla crisi del coronavirus e ad altri investimenti sostenuti – o proposti – da Huawei e altri colossi della Repubblica Popolare in Inghilterra.
Prima del ricovero di Johnson al St. Thomas Hospital di Londra a causa del Covid-19, un gruppo di parlamentari Tories tra cui Iain Duncan Smith, David Davis e Bob Seely, aveva scritto una lettera al premier manifestando preoccupazione per le attività della Cina in alcuni settori-chiave dell’economia. La decisione del NCSC potrebbe rappresentare una buona notizia per Johnson che si appresta a portare in aula il Telecoms Infrastracture Bill, che ha già superato le prime due letture ai Comuni con una maggioranza trasversale che ha visto anche i laburisti votare a favore del progetto di legge. Il cambio di passo sulla sicurezza avviene in un momento in cui l’MI5 ha cambiato direttore generale: dal 31 marzo infatti è stato nominato Ken McCallum, una vita nei Servizi Segreti di Sua Maestà, che ha il compito anche di rafforzare la rete di cybersecurity interna britannica.