Da: Anna Marinetti - Culti e divinità dei Veneti antichi: novità dalle iscrizioni: 2.4.
Auronzo di Cadore (n 24) Ad Auronzo di Cadore, appena fuori dall’abitato odierno, in località monte Calvario, è stata riportata alla luce un’area adibita ad attività di culto, di cui restano strutture murarie pertinenti a diverse fasi;
l’area è stata solo parzialmente esplorata, e le indagini sono tuttora in corso, tuttavia sulla base dei materiali e della stratigrafia si è potuto stabilire che l’arco cronologico di frequentazione del santuario si colloca tra la fine del II secolo a.C. e il IV secolo d.C. (n 25).
Ne provengono importanti materiali di tradizione preromana: dischi bronzei figurati, lamine e simpula di bronzo con iscrizioni venetiche, monete, alcune delle quali con sovrascritte in caratteri latini con forti influssi locali.
Le sette iscrizioni (tre su lamina, tre su manici di simpula e una su coppetta di simpulum) sono dediche votive, che per alcuni aspetti trovano motivi di stretto collegamento con quelle del vicino santuario di Lagole di Calalzo; con queste condividono innanzitutto la tipologia dei supporti, costituita in prevalenza da lamine bronzee quadrangolari “a pelle di bue”, caratteristiche del comparto veneto alpino e orientale, e da simpula, usati per riti di libagione; la varietà alfabetica è quella di Lagole, con una sola ma importante differenza; è inoltre analoga la realizzazione formulare dei testi.
Così pure ricorrono basi antroponimiche già note a Lagole.
Le dediche di Auronzo presentano però anche tratti caratteristici: ad esempio, nella scrittura è usato il grafema con valore “etimologico” h ad indicare [f], come a Lagole, ma anche ad indicare il corrispondente di -b- interno (a Lagole e nel resto del venetico); e questo è un aspetto che va puntualizzato tra usi grafici e attribuzione fonetica.
In particolare i testi di Auronzo si distinguono per la destinazione, in quanto dediche rivolte ai (dativo plurale)
maisteratorbos.
La presenza di questo nome apre una serie di questioni, che vanno dall’attribuzione linguistica della forma stessa fino all’identificazione, non univoca, delle corrispondenti realtà così designate (vedi § 3.4).
Riporto, anche in questo caso a titolo esemplificativo, alcune iscrizioni da Auronzo:
1) Lamina di bronzo quadrangolare, frammentaria. ] o.m.ma.i.s.terato.r.fo.s./fo. u.vatole.r./<II< //
don]om Maisteratorbos Fouva toler“Fouva offrì (in) dono ai Maisterator-”(???)
2) Lamina di bronzo quadrangolare, frammentaria. zono.m.mai.s.terator.fo.s./.o.s.t.i.s.to [
donom Maisteratorbos Ostis to[ler?“Ostis offrì (in) dono ai Maisterator-”(???)
3) Manico di simpulum.
turicotriticonico.smai.s.terato.r.fos
Turijo Tritijonijos Maisteratorbos "
“Turio Tritionios ai Maisterator-” (???)
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lamene.jpg3.4
Elementi di continuità nella fase di romanizzazioneLe iscrizioni rinvenute nell’area del santuario di Auronzo portano, solidarmente, una forma finora non attestata, il termine (dativo plurale)
maisteratorbos. Nella logica delle dediche votive, apriori da attendersi per il contesto generale e per tipologia di oggetti (lamine e simpula) su cui si trovano, la forma al dativo dovrebbe identificare la divinità a cui è destinata l’offerta. A prescindere dal valore della base, ne consegue che dovrebbe trattarsi di un culto riferito non ha una ma a più figure divine, designate con un nome /epiteto collettivo.
Si tratta di una circostanza non comune, ma neppure sconosciuta nel Veneto: anche senza considerare i marginali
Ashus di Gurina e le incerte
Matres di Asolo, si ha quanto meno la testimonianza vicentina dei
termonios deivos “dei confinari”, a protezione e garanzia di delimitazioni territoriali. Anche in questo caso, si tratta di una collettività di figure divine individuate mediante l’aggettivo che si riferisce al loro ambito di azione.
Tra le due occorrenze però sembra di notare differenze sostanziali.
Se il caso dei
termonios deivos di Vicenza appare prossimo o forse assimilabile a quella sfera del divino nota come
Augenblichsgötter o “dèi dell’attimo”, legata a contingenze specifiche e a interventi funzionali, ad Auronzo pare di dover attribuire ai
maisterator- una diversa qualificazione sul piano teologico.
Partiamo dalla base lessicale.
Il termine
maisteratorbos, dal punto di vista formale , è il dativo plurale di un agente in
-tor- dalla base maistera-; questa trova una corrispondenza pressoché totale con il verbo attestato in latino come magisterare (Paolo ex Festo 113 L “Magisterare moderari”, 139 L “Magisterare regere et temperare est”).
Una forma
maister- rispetto a
magister- è pienamente spiegabile come risultato fonetico di una assimilazione, con esito ben noto nelle lingue romanze (cfr. italiano
maestro), e ipotizzabile, tramite il confronto con forme analoghe (nota 54), anche per il venetico.
(No ghe çentra par gnente el latin e gnanca li romani)
La semantica di lat.
magisterare potrebbe ad una prima istanza far pensare per
maisterator- ad un possibile riferimento a cariche di potere, a “magistrati” o figure assimilabili; dovrebbe trattarsi allora di destinatari umani, e non divini, delle dediche, quindi, al massimo, dei beneficiari delle stesse. Per una serie di ragioni ciò appare poco verosimile: dalla ripetizione del nome in tutte le dediche, all’assenza dei nomi propri dei titolari della eventuale carica, all’anomalia della presenza dei beneficiari in assenza sistematica del teonimo, alla verosimiglianza generale per cui in iscrizioni da santuario, e pertanto votive, la forma di dativo è prioritariamente da interpretare come riferita alla divinità.
Tutto pertanto rimanda ad un inquadramento, per
maisterator-, come teonimo (???).
Con quale valore, nell’ambito di una semantica corrispondente al latino “
regere, moderari, temperare”?
La eventualità che si offre più adeguata ad una sfera divina è quella di divinità “reggitrici = supreme” o simili.
Al momento non disponiamo di precisi elementi per sostanziare una tale interpretazione.
Sarà da valutare se la pluralità di destinatari divini segnalati dal nome plurale può essere messa in correlazione con le raffigurazioni presenti nei due dischi bronzei, uno con figura femminile analoga a quelle dei dischi di Montebelluna, l’altra con figura maschile.
Tuttavia, anche ammettendo che i dischi di Auronzo rappresentino divinità, non possiamo affermare che la pluralità del nome si limiti a due, e non comprenda anche altre figure, per il solo fatto che i dischi ritrovati sono due. L’analisi iconografica forse consentirà di riconoscere non solo gli attributi delle (possibili) divinità così raffigurate, ma forse anche di precisarne i contorni individuali (n 55).
Resta il fatto che la nominazione delle divinità secondo un plurale collettivo non è la norma nel Veneto, anche se non è di massima estranea.
A ben vedere, nel santuario di Auronzo sono molti gli elementi che presentano caratteri di questo tipo, vale a dire di una veneticità evidente nei tratti più macroscopici, la scrittura, la lingua, il formulario, la tipologia dei materiali (lamine, dischi), che tuttavia si rivela in alcuni tratti “anomala” o fuori schema nelle modalità di realizzazione. Nelle iscrizioni, oltre alla peculiarità dei destinatari, vi sono tratti grafici che differenziano questa scrittura da tutto il resto del corpus venetico; in reperti ancora inediti vi sono contaminazioni grafiche tra venetico e latino; nei graffiti sovrascritti a monete vi è una sorprendente continuazione di influssi della scrittura venetica fino ad epoca molto tarda.
Dal punto di vista materiale, come ha sottolineato Giovanna Gangemi, la tradizione venetica dei dischi figurati è presente, ma con peculiarità del tutto autonome nelle figurazioni; le tipiche lamine a pelle di bue non hanno - come invece a Lagole - la figurazione centrale ecc.
L’insieme di questi indizi, oltre ad altre più ampie considerazioni, restituisce una chiave interpretativa che ha riflessi importanti non solo per Auronzo ma per la storicità in generale e in area Veneta in particolare.
Gli indizi di “interferenza” nella tradizione locale di elementi esterni indirizzano, coerentemente, in una direzione, che è quella della romanità, certamente presente e dominante in area in queste fasi cronologiche. (??? ma dove ???)
Non si tratta solo di un generico influsso culturale, né si tratta - come parrebbe in prima istanza - di attardamento di forme locali giustificabili in un’area geografica apparentemente periferica;
pare piuttosto di riconoscere una precisa volontà di mantenimento della tradizione precedente, ribadita nei tratti più “appariscenti” ma che tradisce in dettagli apparentemente secondari una “regia” esterna.
Ciò non può che essere correlato alla politica di Roma verso le realtà locali nell'ambito del più generale processo di restauratio da parte di Augusto, come è stato ben sottolineato da Aldo Prosdocimi in un recente lavoro (n 56). In questo quadro politico trovano la loro spiegazione non solo i caratteri del santuario di Auronzo, ma anche altre spie di interferenze e di supposto attardamento, quanto meno a livello di grafia e di lingua, rilevate in altra documentazione venetica dal Cadore e in generale dall’area alpina.
(Ma coala poledega de Roma ? No jera Roma e gnanca li so enperadori ke anemava l’ogneverso intiero de la mente, de l’anema e del spirto de le jenti taleghe e de l’Ouropa).