El tenpo ente łe eiscrision votive - preterito aoristo ?

Re: El tenpo ente łe eiscrision votive veneteghe

Messaggioda Berto » mer dic 25, 2013 9:55 am

Ente la lengoa finlandexe:

mojera, moglie se dixe vaimo

http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=57866
finlandese: vaimo, eukko, puoliso
lituano: žmona, moteris, boba, motė, pati

http://glosbe.com/it/fi/moglie
vaimo, vaimosi, vaimosta, vaimoni, vaimooni, vaimoa, vaimostasi, vaimoltasi, vaimollesi, vaimonsa, vaimonne, vaimolle, vaimokin, vaimostani, vaimonaan, vaimolta, vaimokseni, ...
(Và in MONA ???)


Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II

Immagine

5. 2. Tracce di matrilinearità nel lessico parentelare latino e nelle lingue dialettali
...

6.1.2. Da amma «madre» a «uccello»

Il latino amma «mamma, nutrice», il collegato (derivato ?) amita «zia paterna», e l'osco Ammaí «(dea) matri», hanno corrispondenti non solo in tutta l'area IndoEuropea (P. 36), ma anche in area AA [(AfroAsiatica) (Bomhard 1984, 253 nr. 210)], sia nella stessa forma (greco ammás, ammia «madre», antico islandese amma «nonna», antico alto tedesco amma «mamma, nutrice», albanese amë «madre», «zia»; ebraico 'ém, accadico, ummu «madre», aramaico ‘umm, ugaritico ‘uni, etiope ‘Əmm, sheri 'έm(έ[;)], fenicio 'm, tutti «madre», berbero mma, iracheno ameni «donna», ama «nonna», burunge ama «sorella, cugina», asa 'ama'eto «ragazza più vecchia», amama «nonna»), sia nella forma duplicata mamma, che è pan-IE.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El tenpo ente łe eiscrision votive veneteghe

Messaggioda Berto » mer dic 25, 2013 9:57 am

Fameja


fameja
http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=16110
famejarexar
http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=16491


http://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia

http://www.etimo.it/?term=famiglia

Immagine

famiglia,
s. f. ‘nucleo fondamentale della società umana costituito da genitori e figli’ (av. 1294, Guittone), ‘insieme delle persone che costituiscono il seguito o la corte d'un personaggio; servitù d'una casa’ (av. 1292, B. Giamboni), ‘l'insieme di piante, animali o altro, che presentano caratteristiche comuni’ (1754, G. Targioni Tozzetti), “famiglia di curve, dicesi da' geometri d'una classe di curve di differenti ordini o spezie, le quali tutte sono deffinite colla medesima indeterminata equazione, ma in modo diverso, secondo i differenti loro ordini” (1798, D'Alb.).

Locuzioni:
famiglia pontificia ‘il complesso delle persone laiche ed ecclesiastiche addette al servizio domestico e personale del papa’ (1840, Moroni I 167; il DEI data la loc. al XVIII sec., senza indicare la sua fonte),
in famiglia “nella locuzione: “fare una cosa in famiglia”, la detta parola passa ad acquistare talora un senso non lusinghiero e non bello: dalla idea, cioè, di intimità e di segretezza, come avviene in famiglia, viene a significare astuzia, frode, ingiustizia per cui un dato affare si tratta e compie segretamente fra i cointeressati e loro amici con danno e pregiudizio degli altri” (1905, Panz. Diz.).

Derivati:
famiglio,
s. m. ‘servo, aiutante, sbirro’ (1310-12, D. Compagni),
famigliola,
s. f. ‘dim. di famiglia’ (av. 1374, F. Petrarca),
familiare,
agg. ‘di famiglia’ (1304-08, Dante; “famigliare per familiare nella moderna ortografia è ritenuta forma meno buona”: 1905, Panz. Diz.),
familiarità,
s. f. ‘confidenza e affabilità tipiche di chi, di ciò che è familiare’ (av. 1292, B. Giamboni),
familiarizzare,
v. intr. e intr. pron. ‘prendere familiarità con q.c. o con qc.’ (1608-19, P. Sarpi).

Lat. familia(m) (da famulus ‘servitore’, d'orig. preindeur.), col dim. *familiola(m) lat. parl. per il tardo familiola(m); le altre sono vc. semidotte che si rifanno al lat. familiare(m) e familiaritate(m). Familiarizzare è prob. il fr. familiariser (1551).

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eja396.jpg

Femena e fameja
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... U4ZGc/edit
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El tenpo ente łe eiscrision votive veneteghe

Messaggioda Berto » mer dic 25, 2013 10:01 am

Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume I

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8.2. Nascita della familia patriarcale

La famiglia PIE di *dhē- «fare, collocare» (P. 235) è una delle più ricche di differenziazioni interne.
Ne abbiamo seguita una in area germanica, dove - probabilmente nel Paleolitico Superiore e in concomitanza con gli strumenti compositi - la formazione *dhə-mi- *dhə-mo- ecc. si sviluppa prima in un sostantivo e poi nel suffisso rappresentato da tedesco -tum, inglese -dom ecc.

Ora, alla stessa base viene ricondotta anche la famiglia italica di latino famulus, osco famel «schiavo», familia, famelo «insieme di schiavi, servitù, compagnia, famiglia».

Questa nuova unità sociale, base della moderna «famiglia», non può risalire a prima dell'età dei Metalli, in quanto implica la presenza generalizzata e istituzionale della schiavitù domestica. Su di essa si fonda la nozione del pater familias, del dominus «padrone» che ha potere di vita e di morte sui suoi soggetti, siano questi schiavi, moglie o figli.

Contemporaneamente, nasce la patria potestās, nascono le dissimmetrie tipiche della famiglia latina, messe in luce da Emile Benveniste e da altri: patrimōnium acquista un significato diverso da matrimōnium, nasce patruus ma non *mātruus, a patrius e patria non corrispondono *mātrius e *mātria, o a patricius «nobile» *mātricius.
E si potrebbe aggiungere, alla luce di quanto abbiamo visto nel IV capitolo sul padrinaggio: nasce la coppia patrōnus patrōna, cui corrisponde, sul versante materno, solo mātrōna; così come dialettalmente, nelle aree più fortemente pastorali, nasce la coppia *patrīnus "patrīna, a cui corrisponde solo *màtrina.

La teoria tradizionale considera questi sviluppi patriarcali «tipicamente IE», mentre sono soltanto «tipicamente patriarcali», cioè caratteristici di qualunque area etnolinguistica che abbia raggiunto lo stesso livello di sviluppo dell'età dei Metalli.
Non a caso, troviamo strutture simili, anzi talvolta molto più fortemente patriarcali, in aree diversissime: semitica, altaica, uralica, caucasica e così via. Così come, nelle stesse aree, troviamo anche tracce di più antiche strutture matrifocali e matrilineari, che analogamente non sono marcate geograficamente o etnicamente, ma lo sono solo evolutivamente.

Dall'idea tradizionale che lo sviluppo della famiglia e della società patriarcale sia tipicamente IE deriva la conseguenza più assurda: il presunto sincronismo di questo sviluppo con tutti gli altri sviluppi culturali osservabili nella documentazione linguistica.
Come sappiamo, di questa assurdità la teoria tradizionale non può fare a meno, perché íl tempo che ha a disposizione è troppo poco, e non le permette di scaglionare nel tempo l'enorme documentazione che essa stessa ha pur così efficacemente ricostruito. Infatti, se i PIE erano ancora indivisi nel Neolitico, se hanno cominciato a differenziarsi solo nell’età dei Metalli, ciò che in realtà deve avere richiesto decine e decine di millenni nella lunga evoluzione di Homo dev’essere compresso in due o tre millenni: un’impresa disperata, destinata all’insuccesso.
È come se il film della differenziazione IE debba scorrere a gran velocità per poter terminare in tempo, prima dell’età del Bronzo, quando in Grecia (in Grecia ???) appare Homo scribens.
Tanto velocemente da diventare immobile, come la ruota dei colori che girando si trasforma in bianco!
In realtà, nel brevissimo tempo in cui la teoria tradizionale è costretta a collocare l’intero processo di differenziazione IE, un solo sviluppo si svolge veramente: la formazione della società, dell’ideologia e della famiglia patriarcale, che sulle basi produttive dell’agricoltura mista e della metallurgia, e su quelle sociali dell’accumulazione in poche mani del surplus con l’introduzione del lavoro servile, porteranno presto alla «rivoluzione urbana», e con questa a Homo scribens.

Ma a questo processo partecipano ormai le lingue e i dialetti dei diversi gruppi IE (e non-IE) come li conosciamo in epoca storica.


Anca ste voxi atestà entel latin le xe de la fameja:

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doma, atis, n., tetto, terrazzo, HIER. [gr.].

domesticus, a, um, agg.,
1 della casa, domestico; della famiglia, familiare, domestico: domestici parietes, pareti domestiche, CIC.; canes domestici (di casa), CIC.; vestis domestica, vestito di casa, SUET. Aug. 73; domesticus otior, me ne sto tranquillo in casa, HOR. Sat. 1, 6, 128; res domesticae et familiares, amministrazione della casa e governo della famiglia, CIC.; domesticus luctus, dolore domestico, CIC., OV.; homo prope domesticus, uomo quasi di casa mia, CIC. Fam. 7, 14, 1; domesticus usus et consuetudo, intima familiarità, CIC. S. Rosc. 15; contenti domestico usu (dell'applicazione in casa nostra), QUINT.; sost. m. pl. domestici, orum, i membri d'una famiglia, i familiari o le persone di casa (amici, clienti, affrancati), CIC. e a.; i domestici, gli schiavi, SUET.; persone del seguito d'un magistrato, Cod. Th.;
2 proprio, personale: ex domestico iudicio, per proprio giudizio, CAES. B. C. 3, 60, 2; domesticis se instruere copiis, assicurarsi risorse personali, CIC. de orat. 2, 38; uterer exemplis domesticis (di esempi personali, tratti da mie orazioni), CIC. Or. 132; domesticis exemplis compulit, indusse con esempi tratti dalla propria condotta, LIV.;
3 patrio, natio, del proprio paese: domesticae copiae rei frumentariae, risorse di vettovagliamento che dà il proprio paese, CAES. B. G. 2, 10, 4; domesticae opes, risorse proprie, cittadine, CAES.; domesticarum rerum (delle cose del proprio paese) fastidium, CIC. Fin. 1, 10; domesticae insidiae, insidie interne, CIC.; domesticum bellum, guerra civile, CIC.; guerra all'interno del proprio paese, CAES. B. G. 5, 9, 4
[cf. domus].


domicilium, ii, n.,
domicilio, abitazione, dimora: domicilium Romae habere, avere il domicilio a R., CIC.; domicilia regis, i luoghi di soggiorno del re, NEP.; fig. domicilium imperii, sede della potenza, CIC. Cat. 3, 1; d. mentis, sede dell'intelligenza, CIC. Nat. deor. 1, 76; huic verbo (fideliter) domicilium est proprium in officio, questa parola (fideliter) ha il suo proprio significato quando è usata a proposito d'un dovere, CIC. Fam. 16, 17, 1
[cf. domus, 2. colo].


domina, ae, f.,
padrona (di casa), CIC. e a.; sposa, VERG. e a.; in senso proprio e fig., padrona, sovrana, regina; di dee, VERG. e a.; di imperatrici, SUET.; di donna amata, TIB. e a.; di concetti astratti: cupiditas dura est domina, CIC.; di passioni: dominae, padrone, SEN.; di Roma: dominam revocabit ad urbem, OV.
[cf. dominus].

dominanter, avv., da padrone, DRAC. [dominans + -ter2].

dominatio, onis, f.,
dominazione, signoria, sovranità; potere assoluto; tirannide: Cinnae dominatio, lo strapotere di Cinna, CIC.; con in e l'abl. o l'acc.: regia dominatio in iudiciis, dispotico dominio sui tribunali, CIC. Verr. 6, 175; in libidinem dominatio, CIC. Inv. 2, 164; dominationes funestae, funeste tirannie, SEN.; meton.: totam eam dominationem, quell'intero branco di tiranni, FLOR. 1, 24
[dominor + -tio].

dominator, oris, m.,
dominatore, sovrano, CIC. Nat. deor. 2, 4; LACT. e a.
[dominor + -tor].


dominatus, us, m.,
dominio, signoria, tirannia, CIC. e a.: in... dominatu fuit, è stato vittima della tirannia, CIC. Rab. Post. 39; dominatus unius, dominio assoluto d'un solo, CIC.; col gen. ogg.: terrenorum commodorum dominatus, dominio sui vantaggi terreni, CIC. Nat. deor. 2, 152
[dominor + -tus3].

dominicus, a, um, agg.,
1 del padrone, VARR., COL. e a.: palatum dominicum, i gusti del padrone, SEN.;
2 dell'imperatore, Cod. Iust.;
3 del Signore: dies dominicus o dominica, il giorno del Signore, la domenica, TERT. e a.;
4 sost. n. Dominicum, i, raccolta di poesie di Nerone (dominus), SUET. Vit. 11; l'ufficio divino della domenica, la Messa, CYPR.
[dominus + -cus].

dominium, ii, n.,
dominio di, su una cosa, proprietà, diritto di proprietà, LIV. 45, 13, 15 e a.: in quae dominium casus exercet, che sono soggette al dominio del caso, SEN. Ep. 66, 23; proprium dominium habere, esercitare un dominio proprio, SEN.; plur. fig. tiranni: dominia impotentissima, SEN. Dial. 7, 4, 4; banchetti, festini, LUCIL., CIC. Verr. 4, 9
[dominus + -ium].

domino, as, are, 1 tr., vincere, FORT. [cf. dominor].

dominor, aris, atus sum, ari, 1 dep. intr.,
dominare, essere padrone, aver dominio, regnare, prevalere; assol.: dominandi cupidus, avido di potere, CIC.; con in e l'abl. o l'acc.: in iudiciis dominari, spadroneggiare nelle azioni giudiziarie, CIC.; summa dominari in arce, avere il possesso della rocca, VERG.; dominari in suos, comandare ai suoi, CIC., in cetera animalia, su tutti gli altri animali, OV.; actio in dicendo una dominatur, il modo di porgere è d'importanza fondamentale nel parlare, CIC. de orat. 3, 213; dominari con senso passivo = essere sotto il dominio di, Poet. inc. in CIC. Off. 1, 139; vedi dominans
[dominus + -o3].

dominus, i, m.,
1 padrone (di casa); padrone, proprietario: domino domus honestanda est, il padrone deve onorare la casa, CIC. Off. 1, 139; discordia dominorum, discordia del padrone e della padrona di casa, CIC. Fin. 1, 58; vilicus consideret quae dominus imperaverit, il fattore consideri le cose che ha ordinato il padrone, CAT.;
2 padrone e cioè: capo, signore, arbitro; organizzatore (di spettacoli): populus omnium gentium dominus (popolo signore di), CIC.; is qui rei dominus... est, il giudice che è arbitro della causa, CIC. de orat. 2, 72; dominus epuli (CIC.) o convivii (PETR.) o solo dominus (VARR.), chi offre un banchetto (cf. dominium), anfitrione; tiranno: de rege dominus exstiterit, dal re sia venuto fuori il tiranno, CIC. Rep. 2, 47;
3 Signore, detto di imperatori, SUET. e a.;
4 signore, termine di cortesia, SEN. e a.: iam dominum appellat, OV. Met. 9, 466;
5 il Signore, Dio, Eccl.: dominus Christus, OROS.
[domus + -nus].

domito, as, are, 1 tr.,
domare, addomesticare, VERG. Georg. 1, 285 e a.: d. vitiferos agros, coltivare le piantagioni di vite, SIL. 15, 568
[domo + -to].

domitor, oris, m.,
1 domatore, addomesticatore (di animali), CIC. e a.;
2 vincitore, CIC. e a.
[domo + -tor].

domitrix, icis, f.,
domatrice (di animali), VERG. e a.; fig. in PLIN. 36, 127
[domo + -trix].

domo, as, ui, itum, are, 1 tr.,
1 domare: domare feras beluas, domare le bestie feroci, CIC.; addomesticare: viam insiste domandi, prendi ad addomesticarli (i vitelli) metodicamente, VERG. Georg. 3, 164; domita mansuetudo, mansuetudine fatta domando, IUST. 15, 4, 19;
2 vincere, sottomettere, soggiogare (in senso proprio e fig.): d. nationes, domare le nazioni, CIC.; vino domiti, vinti dal vino, ENN.; d. ferrum igne, plasmare il ferro col fuoco, PLIN. 36, 200; rastris terram domat, doma il terreno coi rastrelli, VERG.; invidiam domare, vincere l'invidia, HOR.
[cf. gr. damázo].

domuncula, ae, f.,
casetta, VITR. 6, 10 e a.
[domus + -uncula].

domus, us, (locativo i, dat. ui, acc. um, abl. o, raro u, gen. pl. uum e orum, acc. pl. os e us, dat. e abl. pl. ibus), f.,
casa, abitazione,
1 stato in luogo, locativo: domi, in casa; intus domique, nell'interno della casa, CIC.; anche domo, in casa (CIC. Cluent. 27; VARR.; SUET. e a.) e in domo, in casa (QUINT. 5, 10, 16), e intra domum, SEN. Dial. 4, 31, 6 e a.; domi meae, tuae, suae, nostrae etc., a casa mia, tua, sua, nostra, CIC. e a.; anche in domo sua, nella sua casa, NEP. Alc. 3, 6; alienae domi, a casa d'altri, CIC.; domi (CIC.) o in domo (NEP. Lys. 3, 5) alicuius, in casa di qualcuno; aliquem tecto et domo invitare, invitare uno a casa propria, CIC. (anche con l'acc. di moto: domos invitant, invitano a casa, SALL. Iug. 66, 3); domi habeo (o domi est mihi), ho dentro di me; ho abbastanza in casa (senza bisogno di cercar fuori, di sapere da altri): domi habet fallacias, ha dentro di sé le frodi, PL. Mil. 192; domi habuit unde disceret, ebbe il maestro in casa, TER. Ad. 413; domo docta, dico, parlo, saggia di per me stessa, PL. Truc. 454; sed quid ego nunc haec ad te, cuius domi nascuntur?, ma a che dirti queste cose che sai benissimo da te?, CIC. Fam. 9, 3, 2; vetus ac domi parta dignatio, dignità antica acquistata da sé, TAC. Ann. 13, 42;

2 moto a luogo: domum, verso casa, a casa, CIC. e a.; anche con in: in domos refugere, rifugiarsi dentro le case, LIV. 26, 10, 7; domum meam, tuam, suam, alienam, a casa mia, tua, sua, d'altri, CIC. e a.; anche con in: cur non introeo in nostram domum?, perché non entro in casa nostra?, PL. Amph. 409; domum o in domum alicuius venire, venire a casa di uno, CIC.; domum abducere aliquem, attirare uno a sé, al proprio partito, CIC.;
3 moto da luogo: domo, da casa, CIC.; ex domo, dalla propria casa, LIV.;
4 in generale, abitazione, dimora, sede: domus cornea, il guscio della tartaruga, PHAEDR. 2, 6, 5; animae novis domibus receptae, le anime accolte in nuovi corpi, OV.;
5 casa, famiglia: domus te nostra tota salutat, ti saluta tutta la nostra famiglia, CIC.; scuola filosofica, setta, CIC., SEN.;
6 patria, luogo natio, CIC. e a.: foris bella, domi (in patria) seditiones, LIV.; domo emigrare, abbandonare il proprio paese, CAES.; domum (in patria) reverti, CAES.; unde domo?, da qual paese?, VERG. Aen. 8, 114; domi bellique (PL., CIC. e a.) o domi belloque o domo bellique (LIV.) etc., in pace e in guerra; domi militiaeque o domique militiaeque, etc., in pace e in guerra, CIC. e a.
• Locativo domui nel latino tardo (e sporadicamente in mss. di CIC., QUINT., TAC.)
[cf. gr. dómos, dôma].
® App. Ling. 2

domusio, onis, f., uso della casa, PETR. 46, 7 [domus + usio].
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Re: El tenpo ente łe eiscrision votive veneteghe - aoristo ?

Messaggioda Berto » dom set 28, 2014 12:29 pm

Teuta/touta, trabs/treb/tribus, opida, vico/vigo, pago/pagus, viła, viłàjo, paexe, dorf, borgo, çità, muniçipo, mansio/maxo, corte, comun

viewforum.php?f=172

Teuta/touta, trabs/treb/tribus, opida, vico/vigo, pago/pagus, viła, çità, muniçipo, mansio, paexe, viła, viłàjo, dorf, borgo, maxo/maniero, corte, comun

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Re: El tenpo ente łe eiscrision votive veneteghe - aoristo ?

Messaggioda Berto » dom apr 26, 2015 3:58 pm

El tenpo ente łe eiscrision tonbare romane:

"hic natus hic situs est" («qui è nato, qui è stato sepolto» NO ma "kì nato, ki sepełio lè o ki lè nato, ki lè sepełio")


Mircea Eliade
MITI, SOGNI E MISTERI
http://www.gianfrancobertagni.it/materi ... isogni.pdf

MUTTER ERDE

E' universalmente diffusa la credenza che gli uomini sono partoriti dalla terra; basta sfogliare alcuni libri scritti su questo argomento, per esempio "Mutter Erde" di Dieterich, oppure "Kind und Erde" di Nyberg. (11) In numerose lingue l'uomo è chiamato «nato dalla terra» (canzoni russe, miti dei Lapponi e degli Estoni, eccetera). (12) Si ritiene che i bimbi «vengano» dal fondo della terra, delle caverne, delle grotte, delle crepe, ma anche delle paludi, delle sorgenti, dei fiumi. Sotto forma di leggenda, di superstizione o semplicemente di metafora, credenze simili sopravvivono ancora in Europa. Ogni regione, e quasi ogni città e villaggio, conosce una roccia o una fonte che «porta» i bimbi: sono i "Kinderbrunnen", i "Kinderteiche", le "Bubenquellen". (13) Guardiamoci dal credere che queste superstizioni o queste metafore siano soltanto spiegazioni per bimbi. La realtà è più complessa. Anche negli europei di oggi sopravvive il sentimento oscuro di una solidarietà mistica con la terra natale, da non confondere con il sentimento profano d'amore per la patria o per la provincia, né con l'ammirazione per il paesaggio familiare o con la venerazione per gli antenati sepolti da generazioni attorno alle chiese dei villaggi. E' ben altro: è l'esperienza mistica dell'autoctonia, il sentimento profondo di essere emersi dal suolo, di essere stati generati dalla terra allo stesso modo in cui la terra ha dato origine, con una fecondità inesauribile, a rocce, fiumi, alberi, fiori. Proprio in questo senso si deve comprendere l'autoctonia: il sentirsi GENTE DEL LUOGO, un sentimento di struttura cosmica che supera di molto la solidarietà familiare e ancestrale. Si sa che in molte culture il padre aveva una funzione secondaria, in quanto si limitava a legittimare il bimbo, a riconoscerlo. "Mater semper certa, pater incertus". Tale situazione si è prolungata per parecchio tempo: nella Francia monarchica si diceva: «Il re è il figlio della regina». Ma era pur sempre un fatto non originario, perché la madre si limitava a RICEVERE il figlio. Innumerevoli credenze ci dicono che le donne diventano incinte quando si avvicinano a determinati luoghi: rocce, caverne, alberi, fiumi. Le anime dei bimbi penetrano allora nel loro ventre e le donne concepiscono. Qualunque sia la condizione di queste anime-bambini - siano o no le anime degli antenati -, una cosa è certa: per incarnarsi, hanno atteso nascoste nei crepacci, nei solchi, nelle paludi, nelle foreste: già da allora vivevano una specie di esistenza embrionale nel grembo della loro vera madre, la terra: da essa vengono i bambini. Secondo altre credenze ancora vive negli europei del secolo Diciannovesimo, dal grembo della terra li portano certi animali acquatici: pesci, rane, soprattutto cigni. Il ricordo oscuro di una preesistenza nel grembo della terra ha avuto considerevoli conseguenze: ha creato nell'uomo un sentimento di parentela cosmica con l'ambiente che lo circonda; si potrebbe addirittura dire che per un certo tempo l'uomo non aveva tanto la coscienza della sua appartenenza alla specie umana, quanto piuttosto il sentimento di una partecipazione cosmo-biologica alla vita del suo ambiente. Sapeva certamente di avere una «madre immediata», quella che vedeva sempre vicino a lui, ma sapeva anche di venire da più lontano, di essere stato portato da cigni o da rane, di aver vissuto nelle caverne e nei fiumi.
E tutto questo ha lasciato tracce nel linguaggio: a Roma il bastardo era chiamato "terrae filius";
in Romania lo chiamano ancora oggi «figlio di fiori».

Questa specie di esperienza cosmo-biologica creava una solidarietà mistica con il LUOGO, la cui intensità si prolunga tuttora nel folclore e nelle tradizioni popolari.
La madre si limitava a completare l'opera della Terra Madre.
E, alla morte, il grande desiderio era di ritrovare la Terra Madre, di essere sepolti nel suolo natale; in quel «suolo natale» di cui ora si intuisce il profondo significato.
Da ciò la paura di essere sepolti altrove; da qui soprattutto la gioia di ritornare alla «patria», gioia che spesso trapela dalle iscrizioni sepolcrali romane: "hic natus hic situs est" («qui è nato, qui è stato sepolto»); "hic situs est patriae" («questo è il luogo natale»); "hic quo natus fuerat optans erat illo reverti" («dove era nato là ha desiderato ritornare»). (14)
L'autoctonia perfetta comprende un ciclo completo, dalla nascita alla morte. Bisogna ritornare alla madre. «Striscia verso la terra, tua madre!». (15) «Tu, che sei terra, ti metto nella terra!». (16) «La carne e le ossa ritornino di nuovo alla terra!», si dice durante le cerimonie funebri cinesi.


Edentetà e tera mare o màrea/matria -espariensa mestega de l’aotoctonia- Heimat
viewtopic.php?f=103&t=321
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